John Gabriel Borkman

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JOHN GABRIEL BORKMAN

Commedia in quattro atti (1896)

Di HENRIK IBSEN

Traduzione di Giuseppe Ottaviano

PERSONAGGI

JOHN GABRIEL BORKMAN, ex direttore di banca

GUNHILD BORKMAN, sua moglie

ERHART BORKMAN, loro figlio, studente

ELLA RENTHEIM, sorella gemella della signora Borkman

FANNY WILTON

VILHELM FOLDAL, impiegato statale

FRIDA FOLDAL, sua figlia

Cameriera della signora Borkman

L’azione si svolge in una sera d’inverno nel palazzo avito dei Rentheim, a breve distanza dalla capitale.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

II salotto della signora Borkman, arredato con mobili antiquati e livori che una volta sembravano lussuosi. Una porta scorrevole, aperta, conduce ad un altro salone che da sul giardino, con finestre e porta a vetri nel fondo, attraverso cui si scorge, nella luce crepuscolare, cadere la neve a piccoli fiocchi. Sulla parete di destra si apre la porta dell'atrio. Più verso il fondo, è accesa una vec­chia e grossa stufa di ghisa. A sinistra verso il fondo, una porticina. In primo piano, dallo stesso lato, una finestra coperta da una pesante tenda. Fra la finestra e la porta un divano imbottito di crine, davanti ad esso un tavolino, con tappeto, su cui si trova una lampada accesa, velata da paralume. Presso la stufa un'altra pol­trona con lo schienale alto.

La signora Borkman, seduta sul divano, lavora all'uncinetto. È una donna piuttosto anziana, d'aspetto freddo, distinto, dal gesto rigido e dai lineamenti impassibili. Abbondante chioma molto gri­gia. Mani fini e trasparenti. Indossa un vestito di pesante seta scura d'una eleganza d'altri tempi, ma un po' liso e logoro. Sulle spalle uno scialle di lana.

All'alzarsi del sipario, resta per qualche tempo seduta, immobile tenendo tra le mani un lavoro a uncinetto. Poco dopo si sente, dal di fuori, squillare la sonagliera di una slitta di passaggio.

SIGNORA BORKMAN       - (tende l'orecchio. Le brillano gli occhi dalla gioia e quindi mormora inconsciamente): Erhart! Finalmente! (Si alza e va a guardare alla finestra, rimuovendo la tenda. Ap­pare delusa, torna a sedere sul divano e riprende il suo lavoro. Poco dopo entra la cameriera venendo dall'atrio, con un biglietto da visita su un vassoio.) Allora è arrivato il signorino?

CAMERIERA                       - No; c'è una signora, di là...

SIGNORA BORKMAN       - (mettendo da parte il lavoro): Sì, deve essere la signora Wilton,

CAMERIERA                       - (avvicinandosi); No, è una forestiera...

SIGNORA BORKMAN       - (prendendo il biglietto): Vediamo un po'... (Legge; si alza dì colpo e guarda fisso la cameriera.) Ma è sicura che ha chiesto di me?

CAMERIERA                 - Sì, cerca la signora, almeno così ho capito.

SIGNORA BORKMAN       - Ma ha proprio chiesto di parlare a me, alla signora Borkman?

CAMERIERA                       - Sì, ha detto così.

SIGNORA BORKMAN       - (con tono secco e deciso): E va bene; le può dire che ci sono.

(La cameriera apre la porta alla forestiera ed esce. La signorina Ella Rentbeim entra nel salone. Somiglia alla sorella ma l'espressio­ne del suo volto è piuttosto dolorosa anziché dura e conserva trac­ce d'una grande ed espressiva bellezza tramontata. La pesante chioma, d'un bianco argento, è naturalmente ondulata e rialzata sulla fronte. Indossa un abito di velluto con cappello e cappotto della stessa stoffa. Le due sorelle si guardano in silenzio per alcuni istanti. Ognuna aspetta che l'altra inizi a parlare.)

ELLA RENTHEIM         - (che si è tenuta presso la porta): Gunhild, per­ché mi guardi con tanta sorpresa?

SIGNORA BORKMAN       - (ritta, immobile, fra il tavolino e il divano con la punta delle dita appoggiate sul tavolino); Non hai, per caso, sbagliato strada? L'intendente abita nel padiglione.

ELLA RENTHEIM         - No, non devo parlare all'intendente oggi.

SIGNORA BORKMAN       - Devi parlare con me?

ELLA RENTHEIM         - Sì, ho qualcosa da dirti.

SIGNORA BORKMAN       - (venendo innanzi nella stanza): E va bene... siediti.

ELLA RENTHEIM         - Grazie, posso restare anche in piedi.

SIGNORA BORKMAN   - Come vuoi. Ma almeno togliti il cappotto.

ELLA RENTHEIM          - (sbottonandosi il cappotto): Sì, fa molto caldo qui...

SIGNORA BORKMAN       - Ho sempre freddo, io.

ELLA RENTHEIM         - (resta qualche istante a guardare con le braccia appoggiate alla spalliera della poltrona): Sì; Gunhild, fra poco saranno otto anni che non ci vediamo.

SIGNORA BORKMAN       - (freddamente): Che non ci parliamo, vuoi dire.

ELLA RENTHEIM         - Già... Perché qualche volta forse mi hai veduta quando venivo a parlare con il nostro intendente una volta l'anno.

SIGNORA BORKMAN       - Sì, ...credo di averti intravista.

ELLA RENTHEIM               - Anch'io t'ho intravista, una volta o due... a quella finestra.

SIGNORA BORKMAN   - Già, dietro le tende. Hai buoni occhi. (Dura e tagliente.) Ma l'ultima volta che abbiamo parlato è stato qui. nel mio salotto.

ELLA RENTHEIM               - (cercando di sviare il discorso): Sì, sì, lo so, Gunhild.

SIGNORA BORKMAN       - È stata la settimana prima che luì uscisse di prigione.

ELLA RENTHEIM         - (facendo qualche passo): Oh, non parlarmi dì questo.

SIGNORA BORKMAN       - (con decisione ma abbassando la voce): È stata la settimana prima che lui, il banchiere, venisse scarcerato.

ELLA RENTHEIM         - (venendo innanzi): Ma sì, sì, quel momento non me lo scordo. Ma è amaro pensarci, anche soffermandosi per un solo istante...

SIGNORA BORKMAN       - (sordamente): Ma non lo si può cancellare dal­l'anima. (Prorompendo e torcendosi le mani:) No, non si ca­pisce, non potrò mai capirlo! Come è possibile che una simile disgrazia... una disgrazia così spaventosa possa colpire una fa­miglia! Pensa... una famiglia distinta come la nostra. Pro­prio noi dovevamo essere colpiti da una simile sciagura!

ELLA RENTHEIM         - Ma, Gunhild... ci sono state anche tante altre famiglie ad essere colpite oltre noi.

SIGNORA BORKMAN   - Sì, ma di queste altre famiglie non m'im­porta. Dopotutto per loro si è trattato solo della perdita di un po' di denaro o dì qualche titolo.,. Mentre per noi!... E per me! E per Erhart! Erhart che in quel tempo non era che un bambino! (Esaltandosi sempre più:) Che vergogna per noi due poveri innocenti! Il disonore! Il terribile, spaventoso disonore! E per giunta anche la completa rovina!

ELLA RENTHEIM         - (cautamente): Dimmi, Gunhild... come fa, lui a tollerare tutto questo?

SIGNORA BORKMAN       - Erhart, vuoi dire?

ELLA RENTHEIM         - No... lui. Come fa a tollerarlo?

SIGNORA BORKMAN   - (con espressione di disprezzo): E tu credi che mi interessi saperlo?

ELLA RENTHEIM         - Non credevo fosse necessario saperlo...

SIGNORA BORKMAN       - (guardandola sorpresa): Non penserai mica che abbia dei rapporti con lui! Che lo incontri! Che lo vada a vedere!

ELLA RENTHEIM               - Nemmeno questo?

SIGNORA BORKMAN   -  Un uomo che ha dovuto fare ben cinque anni di prigione! (Coprendosi il volto con le mani:) Oh, che vergo­gna! (Alzandosi di colpo:) E pensare che il nome di John Gabriel Borkman, una volta... No, no, quell'uomo non lo vedrò mai più, mai più!...

ELLA RENTHEIM         - (la fissa per qualche momento): Hai un cuore di pietra, Gunhild!

SIGNORA BORKMAN       - Nei suoi riguardi, sì.

ELLA RENTHEIM         - Ma è tuo marito!

SIGNORA BORKMAN   - Un marito, che davanti ad un tribunale, ha avuto il coraggio di dire che ero io la causa della sua rovina! Che ero io a spendere troppo denaro!...

ELLA RENTHEIM         - Non c'era qualcosa di vero, in questo?

SIGNORA BORKMAN   - Ma era lui che voleva così! Tutto doveva es­sere splendido, lussuoso!

ELLA RENTHEIM         - Sì, lo so. Ma proprio per questo avresti dovuto trattenerlo e non mi pare che tu lo abbia mai fatto.

SIGNORA BORKMAN       - Ma sapevo, io, che quel denaro che mi dava da sciupare non era suo? E che lui stesso sciupava? Che sciu­pava dieci volte più pazzamente di me?

ELLA RENTHEIM               - (con delicatezza): La sua posizione lo esigeva, suppongo. Quando si appartiene ad una grande casata...

SIGNORA BORKMAN       - (con disprezzo): Questa era la solita scusa: do­vevamo «rappresentare»! E come rappresentava! Carrozza a quattro cavalli... come un re! La servitù si comportava con lui come se fosse un re. (Ridacchia.) E in tutto il paese lo chiama­vano per nome come si usa con ì re: « John Gabriel »!... « John Gabriel »!... E lo sapevano tutti quanto grande fosse John Gabriel.

ELLA RENTHEIM               - (con calore e fermezza): In effetti era un gran personaggio, allora!

SIGNORA BORKMAN       - Sì, apparentemente. Ma non mi ha mai detto niente riguardo la sua vera situazione. Mai una parola riguar­do la provenienza della sua ricchezza.

ELLA RENTHEIM               - No, no... e, nemmeno gli altri ne avevano il sospetto.

SIGNORA BORKMAN       - Gli altri... Cosa m'importa degli altri! È a me che doveva dire la verità. E lui non lo ha mai fatto. Non ha fatto altro che mentire... mentire spudoratamente...

ELLA RENTHEIM               - (interrompendola): Non credo, Gunhild. Avrà ta­ciuto, ma non mentito.

SIGNORA BORKMAN       - Chiamalo come vuoi; tanto il risultato è lo stesso. E dopo, tutto è crollato. Tutto! Tutti gli splendori so­no svaniti.

ELLA RENTHEIM               - (come parlando a se stessa): Sì, tutto è crollato... tutto. Per lui... e per gli altri.

SIGNORA BORKMAN       - (minacciosa): Ma ti giuro, Ella... che non ce­derò! Otterrò una riparazione. Vedrai.

ELLA RENTHEIM               - (interdetta): Una riparazione? Che vuoi dire?

SIGNORA BORKMAN       - Riparazione per la perdita del nome, dell'onore e del benessere! Riparazione per tutta la mia esistenza sciupata. Ecco che intendo dire! Ho un asso nella manica, sap­pilo!... E laverà tutto quello che il banchiere Borkman ha insu­diciato.

ELLA RENTHEIM               - Oh, Gunhild! Gunhild! .

SIGNORA BORKMAN       - (accalorandosi): Ci sarà un vendicatore! b ri­parerà tutto il male che suo padre mi ha fatto.

ELLA RENTHEIM               - Erhart! . . .

SIGNORA BORKMAN       - Sì, Erhart... il mio figliolo! E sarà lui a ripri­stinare il nome, la casa, la famiglia. Tutto quello che può ripristinare... E anche più, forse.

ELLA RENTHEIM               - E come pensi si realizzerà tutto questo.

SIGNORA BORKMAN       - Non lo so come avverrà ma deve avvenire. (Con una occhiata interrogativa:) Ma Ella... in fondo non hai pensato anche tu la stessa cosa fin da quando era bambino?

ELLA RENTHEIM               - No, veramente non potrei dirlo.

SIGNORA BORKMAN       - No? Ma allora perché l'hai tenuto con te, quando la tempesta si è scatenata su... su questa casa?

ELLA RENTHEIM               - Perché allora tu, Gunhild, non potevi occu­partene.

SIGNORA BORKMAN       - Oh, è vero, non potevo occuparmene. E nem­meno suo padre... poteva. Aveva un impedimento... era vi­gilato!...

ELLA RENTHEIM               - (ribellandosi): Ma come fai a parlare così!... Tu che...

SIGNORA BORKMAN       - (con espressione velenosa): E tu come hai po­tuto occuparti di un... di un figlio di John Gabriel! Proprio come se si trattasse di un figlio tuo... E hai potuto togliermelo... portartelo a casa... e tenerlo per anni. Era quasi un uomo quan­do è tornato qui. (Guardandola con diffidenza:) Perché hai agi­to così Ella? Perché lo hai tenuto con te tanto tempo?

ELLA RENTHEIM               - Mi ero talmente affezionata a mi...

SIGNORA BORKMAN       - Più di me... che sono sua madre?

ELLA RENTHEIM               - Ah, questo non lo so. E poi Erhart era un po' delicato, durante lo sviluppo.

SIGNORA BORKMAN       - Erhart... delicato?

ELLA RENTHEIM               - Sì, cosi mi pareva... allora. E sulla costa occi­dentale l'aria è sempre assai più mite di qui, lo sai.

SIGNORA BORKMAN       - Davvero? (Interrompendosi:) Sì, devo dire che hai fatto molto per Erhart. (Cambiando tono:) D'altronde ne avevi i mezzi. (Sorridendo:) Hai avuto fortuna, Ella. Hai po­tuto salvare tutto ciò che ti apparteneva.

ELLA RENTHEIM               - (offesa): Posso assicurarti di non aver mai fatto niente in questo senso. Non ho mai avuto il più piccolo sospet­to se non molti anni dopo... quando seppi che i miei depositi bancari non erano stati toccati.

SIGNORA BORKMAN       - Ma sì, sarà così; e poi di queste cose non m'intendo. Ho detto solo che hai avuto fortuna. (Con un'oc­chiata interrogativa:) Ma quando, spontaneamente, ti sei messa ad allevare Erhart in mia vece... qual era la tua intenzione?

ELLA RENTHEIM               - (guardandola): La mia intenzione?...

SIGNORA BORKMAN       - Ma sì... uno scopo. Che volevi farne di lui? L'avrai pur avviato verso qualcosa...

ELLA RENTHEIM               - (lentamente): Volevo soltanto spianargli la strada perché fosse felice.

SIGNORA BORKMAN       - (sbuffando): Le persone nella nostra condizione hanno altro da fare che pensare alla felicità!

ELLA RENTHEIM               - E a cosa dovrebbero pensare?

SIGNORA BORKMAN       - (guardandola con occhi grandi e severi): Prima di tutto occorre che Erhart cerchi dì brillare in modo tale che nessuno, nel paese, possa scorgere l'ombra che suo padre ha gettato su di me e su di lui.

ELLA RENTHEIM         - (con un'occhiata scrutatrice): Dimmi, Gunhild è questo lo scopo della vita per Erhart?

SIGNORA BORKMAN       - (interdetta): Sì, lo spero, almeno!

ELLA RENTHEIM         - ...oppure sei tu che glielo imponi?

SIGNORA BORKMAN       - (seccamente): Lo scopo mio e di Erhart è unico

ELLA RENTHEIM         - (lentamente e con tristezza): E sei così sicura del tuo ragazzo, Gunhild?

SIGNORA BORKMAN       - (dissimulando il suo trionfo): Sì, grazie a Dio... Puoi esserne certa.

ELLA RENTHEIM         - Allora, in fondo, dovresti essere felice, nono­stante tutto.

SIGNORA BORKMAN       - Lo sono infatti. Ma quella storia in ogni mo­mento si abbatte su di me come una bufera.

ELLA RENTHEIM               - (cambiando tono): Tanto vale dirtelo subito. Per­ché in fondo è per questo che sono venuta. Ascolta...

SIGNORA BORKMAN              - Che C’è?

ELLA RENTHEIM         - È una questione di cui credo sia mio dovere parlarti. Dimmi, abita presso di voi Erhart?

SIGNORA BORKMAN   - (seccamente): Erhart non può vivere con me, qui. Abita in città.

ELLA RENTHEIM         - Sì, me lo ha scritto.

SIGNORA BORKMAN       - Sai, è per i suoi studi. Ma ogni sera viene a trovarmi.

ELLA RENTHEIM         - Allora potrei vederlo? Potrei parlargli subito?

SIGNORA BORKMAN   - Non è ancora arrivato. Lo sto aspettando.

ELLA RENTHEIM               - Ma sì, Gunhild... dev'essere arrivato. Lo sento camminare di sopra.

SIGNORA BORKMAN       - (con una rapida occhiata): Di sopra? Nella sa­la grande?

ELLA RENTHEIM         - Sì, è da quando sono arrivata che lo sto sentendo.

SIGNORA BORKMAN       - (schivando lo sguardo): Non è lui, Ella.

ELLA RENTHEIM               - (sorpresa): Allora chi è?

SIGNORA BORKMAN       - II banchiere.

ELLA RENTHEIM               - (sottovoce, con dolore sostenuto): Borkman? John Gabriel Borkman?

SIGNORA BORKMAN       - Già, cammina così. In lungo e in largo. Dal mattino alla sera. Per intere giornate.

ELLA RENTHEIM         - Sì, ho sentito qualcosa in proposito...

SIGNORA BORKMAN   - Lo credo! Chissà quante ne dicono sul no­stro conto!

ELLA RENTHEIM         - Me ne ha parlato Erhart nelle sue lettere. Dice che siete isolati tra voi... Lui lassù e tu quaggiù.

SIGNORA BORKMAN   - Sì... Ella, è così che viviamo dal giorno che è stato scarcerato. Per tutti questi otto lunghi anni.

ELLA RENTHEIM         - Non ho mai creduto che fosse vero. Che ciò fosse possibile.

SIGNORA BORKMAN       - (muovendo la testa): È così. E non sarà mai altrimenti.

ELLA RENTHEIM               - (guardandola): Dev'essere una vita orribile, Gu­nhild.

SIGNORA BORKMAN   - Più che orribile. Non la sopporterò a lungo.

ELLA RENTHEIM               - Capisco.

SIGNORA BORKMAN       - Sentire sempre i suoi passi lassù! Dal mattino fino a notte inoltrata... E come si sente qui!

ELLA RENTHEIM         - Sì, è vero, qui si sente molto.

SIGNORA BORKMAN   - Spesso mi sembra di avere un lupo ammalato in gabbia, là nel salone. Proprio sulla mia testa. (Si mette in ascolto e mormora:) Sentì...! Senti...! Su e giù, su e giù!

ELLA RENTHEIM         - (cautamente): Ma questa situazione non potreb­be cambiare, Gunhild?

SIGNORA BORKMAN   - (respingendo l'idea): Non ha mai fatto niente per cambiarla.

ELLA RENTHEIM         - Ma non potresti farlo tu il primo passo?

SIGNORA BORKMAN   - (sobbalzando): Io! Dopo tutto il male che mi ha fatto!... Ah, no! Preferisco che il lupo cammini, di sopra...

ELLA RENTHEIM         - Sento caldo qui. Posso togliermi il cappotto, Gunhild?

SIGNORA BORKMAN   - Ma sì, te l'avevo detto poco fa...

(Ella Rentheim deposita il cappotto e il cappello sopra una se­dia, accanto alla porta d'ingresso.)

ELLA RENTHEIM         - Non lo hai mai incontrato, fuori?

SIGNORA BORKMAN       - (ride con amarezza): In società, vuoi dire?

ELLA RENTHEIM               - Cioè quando esce a prendere aria. Per il bosco oppure...

SIGNORA BORKMAN       - II banchiere non esce mai!...

ELLA RENTHEIM         - Nemmeno al tramonto?

SIGNORA BORKMAN       -  Mai.

ELLA RENTHEIM         - (commossa): Non ha il coraggio?

SIGNORA BORKMAN   - II suo cappello e il suo soprabito sono sem­pre appesi nell'armadio. Sai, quello che sta in anticamera...

ELLA RENTHEIM               - (come fra sé): ...dove giocavamo da piccole...

SIGNORA BORKMAN   - (annuendo): Di tanto in tanto... di sera tardi... lo sento scendere per indossare il soprabito e uscire. Ma a mez­za scala, si ferma... e ritorna su, nel salone.

ELLA RENTHEIM         - (con dolcetta): Ma qualche vecchio amico non va mai a trovarlo?

SIGNORA BORKMAN       - Non ha amici.

ELLA RENTHEIM         - Ne aveva tanti... allora.

SIGNORA BORKMAN       - Uhm! Ha saputo liberarsene nel modo più effi­cace. John Gabriel per i suoi amici, è stato un amico troppo costoso.

ELLA RENTHEIM         - Già, forse hai ragione, Gunhild.

SIGNORA BORKMAN       - (vivacemente): È una cosa meschina, volgare miserabile attribuire tanta importanza a quel che hanno perduto per causa sua. Alla fin fine loro hanno perduto solo denaro. Nient'altro!

ELLA RENTHEIM               - (sema replicare): E così vive solo qui sopra. Com­pletamente solo?

SIGNORA BORKMAN       - Sì, così. Però so che di tanto in tanto viene a trovarlo un suo vecchio copista.

ELLA RENTHEIM         - Ah, deve essere Foldal. So che sono amici sin dalla gioventù.

SIGNORA BORKMAN       - Credo di sì. Ma non lo conosco. Perché non faceva parte della cerchia delle nostre amicizie, quando ne ave­vamo.

ELLA RENTHEIM         - Ed ora viene a trovare Borkman?

SIGNORA BORKMAN   - Sì. Non trova niente di meglio. Comunque viene dopo il tramonto.

ELLA RENTHEIM         - Questo Foldal... ha subito perdite quando la ban­ca fallì?

SIGNORA BORKMAN       - (con negligenza): Mi sembra di sì. Ma si è trat­tato di una somma insignificante.

ELLA RENTHEIM               - (calcando un poco le parole): Era tutto quello che possedeva.

SIGNORA BORKMAN       - Dio mio!... Quello che possedeva era così poco. Non vale neanche la pena parlarne.

ELLA RENTHEIM               - Infatti... di Foldal durante il processo... nem­meno se n'è parlato.

SIGNORA BORKMAN       - D'altronde posso dirtelo: Erhart lo ha abbon­dantemente indennizzato.

ELLA RENTHEIM         - (sorpresa): Erhart! E come ha fatto?

SIGNORA BORKMAN       - Si è occupato della figlia più piccola di Foldal. Le ha dato delle lezioni... cosicché un giorno forse, potrà badare a se stessa. Come vedi... è più di quanto il padre avrebbe potuto fare per lei.

ELLA RENTHEIM               - II padre vive modestamente, non ha molti mezzi.

SIGNORA BORKMAN   - E poi Erhart le sta insegnando la musica. E già capace di suonare il pianoforte per... per lui, su nel salone.

ELLA RENTHEIM         - Gli piace ancora la musica?

SIGNORA BORKMAN   - Certo; nel salone c'è quel pianoforte che tu gli hai mandato... quando si aspettava il suo ritorno.

ELLA RENTHEIM         - Ed è su quel pianoforte che la piccola Foldal suona per lui?...

SIGNORA BORKMAN   - Sì, di tanto in tanto. Di sera. È stata un idea di Erhart. ,

ELLA RENTHEIM               - E quella povera ragazza deve fare tutta la strada dalla città fin qui, e altrettanta per tornare indietro?

SIGNORA BORKMAN       - Oh, no. Erhart l'ha fatta alloggiare presso una signora che abita qua vicino. Una certa signora Wilton...

ELLA RENTHEIM         - (vivamente): La signora Wilton!...

SIGNORA BORKMAN       - Una signora molto ricca. Non credo tu la conosca.

ELLA RENTHEIM         - La conosco di nome. Fanny Wilton, mi sembra...

SIGNORA BORKMAN       - Sì, lei.

ELLA RENTHEIM         - Erhart mi ha parlato spesso di lei, nelle sue let­tere... Abita qui, adesso?

SIGNORA BORKMAN   - Ha affittato una villa qui vicino, ormai da tanto tempo.

ELLA RENTHEIM         - (un po' esitante): Si dice che sia separata dal marito.

SIGNORA BORKMAN   - II marito è morto parecchi anni fa.

ELLA RENTHEIM         - Sì, ma erano divorziati... e fu lui a chiedere il divorzio...

SIGNORA BORKMAN   - Fu lui che l'abbandonò. Lei certo non aveva colpe.

ELLA RENTHEIM         - Tu la conosci bene, Gunhild?

SIGNORA BORKMAN       - Abbastanza. Abita qui vicino e qualche volta viene a trovarmi.

ELLA RENTHEIM         - Cosa pensi di lei?

SIGNORA BORKMAN       - Ha una intelligenza notevole; una lucidità di giudizio...

ELLA RENTHEIM         - Dì giudizio sulle persone?

SIGNORA BORKMAN       - Sì, soprattutto sulle persone. Erhart lo ha studiato a fondo. Proprio in fondo all'anima. Ed è per questo che l'adora.

ELLA RENTHEIM         - (quasi in agguato): Ma allora conosce più Erhart che te?

SIGNORA BORKMAN       - Sì, perché Erhart l'ha conosciuta in città. Pri­ma che venisse a stabilirsi qui.

ELLA RENTHEIM               - (sconsideratamente): E, ciononostante, ha lascia­to la città.

SIGNORA BORKMAN       - (con un'occhiata penetrante): Ciononostante? Cosa vuoi dire col tuo ciononostante?

ELLA RENTHEIM         - (evasiva): Dio mio... voglio dire quello che ho detto.

SIGNORA BORKMAN   - L'hai detto in un modo... Tu stavi pensando a qualcosa, Ella!

ELLA RENTHEIM               - (guardandola fermamente): È vero, Gunhild. M'era venuta un'idea.

SIGNORA BORKMAN       - Quale? Dimmelo francamente!

ELLA RENTHEIM         - Prima di tutto devo dirti che credo di avere anch'io dei diritti su Erhart. Non credi, Gunhild?

SIGNORA BORKMAN   - (guardando nel vuoto): Certo! Dopo tutte le spese che hai sostenuto...

ELLA RENTHEIM         - Oh, Gunhild, non è per questo. È perché gli voglio bene...

SIGNORA BORKMAN   - A mio figlio? Tu? Nonostante tutto?

ELLA RENTHEIM         - Sì, nonostante tutto. Voglio bene ad Erhart. Tut­to il bene che si può volere alla mia età.

SIGNORA BORKMAN   - E va bene; però...

ELLA RENTHEIM         - E quindi mi turbo quando sento che c'è un pe­ricolo che lo minaccia.

SIGNORA BORKMAN   - Minaccia Erhart? Cosa, chi lo minaccia?

ELLA RENTHEIM         - Anzitutto tu... a modo tuo...

SIGNORA BORKMAN              - (in UH grido): Io!

ELLA RENTHEIM         - ...e poi quella signora Wilton... credo.

SIGNORA BORKMAN       - (la guarda un poco tacendo): E tu credi questo di Erhart! Di mio figlio! Lui che ha la sua grande missione da assolvere!

ELLA RENTHEIM               - (con noncuranza): Oh! Finiscila con questa mis­sione!

SIGNORA BORKMAN       - (indignata): Come osi parlare così!?

ELLA RENTHEIM         - Ma pensi sul serio che un ragazzo, dell'età di Erhart ...allegro e sano... voglia sacrificarsi per... per una «missione»?

SIGNORA BORKMAN       - (con forza e fermezza): Erhart Io farà. Ne sono convinta.

ELLA RENTHEIM         - (scuotendo la testa): Non ne sei convinta. Non ci credi neppure tu, Gunhild.

SIGNORA BORKMAN       - Io non ci credo!

ELLA RENTHEIM         - È solo un sogno per te. Se tu non avessi qual­cosa a cui afferrarti, saresti ridotta alla disperazione.

SIGNORA BORKMAN   - Sì, certo; cadrei in preda alla disperazione. (Con violenza:) E tu ne saresti felice, vero Ella?

ELLA RENTHEIM         - (a testa alta): Sì... preferirei così, piuttosto che veder soffrire Erhart.

SIGNORA BORKMAN       - (minacciosa): Ti vuoi mettere fra noi! Fra ma­dre e figlio! Tu!

ELLA RENTHEIM         - Voglio sottrarlo al tuo potere... alla tua influen­za... al tuo dominio.

SIGNORA BORKMAN       - (trionfante): Non potrai più farlo ormai! L'hai tenuto nelle tue reti fino a quindici anni. Ma oggi te l'ho ripreso!

ELLA RENTHEIM         - Ebbene te lo riprenderò! (Con voce roca e sof­focata:) Già un'altra volta abbiamo lottato per un uomo, Gunhild!

SIGNORA BORKMAN   - (la guarda e si raddrizza): Sì, e ho vinto io!

ELLA RENTHEIM         - (con un sorriso ironico): E oggi pensi ancora che... quella vittoria sia stata proficua per te?

SIGNORA BORKMAN       - (rabbuiandosi): No... riguardo a questo hai pur­troppo ragione.

ELLA RENTHEIM         - E nemmeno questa volta ne ricaverai niente.

SIGNORA BORKMAN   - Ti pare niente conservare il mio potere materno su Erhart?

ELLA RENTHEIM         - Oh, certo. Ma è il solo potere che puoi avere su lui.

SIGNORA BORKMAN       -  E tu allora?

ELLA RENTHEIM         - (caldamente): Io voglio il suo affetto... l'anima sua... tutto il suo cuore!

SIGNORA BORKMAN       - (gridando): Questo non l'avrai mai più!

ELLA RENTHEIM         - (guardandola): Forse hai già preso le tue misure?

SIGNORA BORKMAN   - Sì, le ho prese. Non l'hai capito leggendo le sue lettere?

ELLA RENTHEIM               - (annuisce lentamente}: Sì, sembravano scritte da te!

SIGNORA BORKMAN       - (provocante): Li ho impiegati bene questi otto anni...

ELLA RENTHEIM         - (dominandosi): Cosa hai detto ad Erhart di me? Puoi dirmelo?

SIGNORA BORKMAN       - Sì, certamente,

ELLA RENTHEIM               - Parla.

SIGNORA BORKMAN       - Gli ho detto la pura verità.

ELLA RENTHEIM                        - Cioè?

SIGNORA BORKMAN   - Gli ho sempre detto e ricordato che Io dob­biamo a te se possiamo vivere decorosamente...

ELLA RENTHEIM               - Nient'altro!

SIGNORA BORKMAN   - Oh, penso che basti! Lo so per averlo pro­vato anche io.

ELLA RENTHEIM         - Ma questo Erhart, lo sapeva già.

SIGNORA BORKMAN   - Certo, ma quando è tornato a casa, pensava che tu lo facessi per bontà. (Guardandola con cattiveria:) Ma ora non lo crede più, Ella.

ELLA RENTHEIM         - E cosa crede adesso?

SIGNORA BORKMAN   - La verità. Gli ho chiesto anche cosa pensava del fatto che tu non venivi mai a trovarci...

ELLA RENTHEIM         - (interrompendola): Anche questo lo sapeva già!

SIGNORA BORKMAN       - Ora lo sa anche meglio. Gli avevi fatto credere che lo facevi per rispetto a me... e a quello di sopra...

ELLA RENTHEIM         - Ma era proprio per questo!

SIGNORA BORKMAN   - Erhart non ci crede più.

ELLA RENTHEIM         - Che cosa gli hai fatto credere?

SIGNORA BORKMAN       - La verità. Che ti vergogni di noi... che ci di­sprezzi. Non è così, forse? Non volevi, una volta, separarlo da me? Rifletti. Non puoi averlo dimenticato.

ELLA RENTHEIM               - (respingendo il rimprovero): Questo accadde al momento dello scandalo. Al processo... Ma adesso non la penso più come allora.

SIGNORA BORKMAN   - D'altronde non ti servirebbe a nulla. Altri­menti... la sua missione! Ah, no, grazie. Erhart ha bisogno di me, non di te. È morto per te! E tu per lui!

ELLA RENTHEIM         - (freddamente decisa): Lo vedremo! Per ora mi fermo qui.

SIGNORA BORKMAN       - (fissandola): Qui, in questa casa?

ELLA RENTHEIM         - Sì, in questa casa.

SIGNORA BORKMAN   - Qui... da noi? Tutta la notte?

ELLA RENTHEIM         - Tutta la vita, se sarà necessario!

SIGNORA BORKMAN       - (riprendendosi): Sì, sì, Ella... la casa è tua!

ELLA RENTHEIM               - Oh, figurati!

SIGNORA BORKMAN   - È tutto tuo: questo seggiolone sul quale so­no seduta; il letto ove passo le mie notti insonni; il pane che mangiamo; tutto è tuo!

ELLA RENTHEIM               - Non potrebbe essere diversamente. Borkman non può possedere nulla, altrimenti glielo sequestrerebbero.

SIGNORA BORKMAN   - Lo so, Lo so che viviamo della tua carità!

ELLA RENTHEIM         - (freddamente): Pensala come vuoi, Gunhild.

SIGNORA BORKMAN       - Non puoi impedirmelo. Quando dobbiamo an­dare via?

ELLA RENTHEIM               - (guardandola): Andar via?

SIGNORA BORKMAN       - (accalorandosi): Non penserai che io voglia stare con te sotto lo stesso tetto!... Ah, no. Meglio la pubblica assi­stenza o la strada!

ELLA RENTHEIM         - Va bene; ma ridammi Erhart,..

SIGNORA BORKMAN       - Erhart! Mio figlio! Il mio ragazzo!

ELLA RENTHEIM         - Sì, solo allora potrei tornarmene a casa.

SIGNORA BORKMAN       - (dopo aver riflettuto un istante, con fermezza): Vorrà dire che sarà lo stesso Erhart a scegliere fra noi.

ELLA RENTHEIM               - (la guarda esitante e dubbiosa): Erhart?... Vuoi correre il rischio, Gunhild?

SIGNORA BORKMAN       - (con un sorriso duro): Se voglio correre il ri­schio? Che mio figlio scelga fra sua madre e te? Certo che vo­glio rischiare.

ELLA RENTHEIM               - (tendendo l'orecchio): Viene qualcuno? Sento...

SIGNORA BORKMAN       - Dev'essere Erhart...

(Qualcuno picchia con forza alla porta dell'anticamera, che poi viene aperta. Entra la signora Wilton, in abito da sera e mantello. È seguita dalla cameriera che, non avendo avuto il tempo di annunziarla, ha l'aria perplessa. La porta resta socchiusa. La signo­ra Wilton è una donna robusta, sui trent’anni, molto bella. Gros­se labbra rosse e sorridenti. Occhi vivaci. Folti capelli.)

SIGNORA WILTON            - Buona sera, carissima signora Borkman!

SIGNORA BORKMAN       - (piuttosto freddamente): Buona sera, signora. (Alla cameriera, indicandole il salotto che da in giardino:) Pren­da quella lampada e l'accenda. (La cameriera prende la lampada ed esce.)

SIGNORA WILTON            - (scorgendo Ella Rentheim): Oh, mi scusi... ha visite...

SIGNORA BORKMAN       - è mia sorella, è... di passaggio.

                                               - (Erhart Borkman spalanca la porta dell'atrio e si precipita nel sa­lone. È un giovanotto dagli occhi chiari e lucenti, elegantemente vestito. Baffi nascenti.)

ERHART BORKMAN         - (sulla soglia, raggiante di gioia): Oh! Zia Ella qui? (Le si accosta e le prende la mano.) Zia, zia! Che sor­presa! Tu qui?

ELLA RENTHEIM               - (gettandogli le braccia al collo): Erhart! Il mio Erhart! Come sei diventato grande! Che piacere vederti!

SIGNORA BORKMAN       - (acida): Ma, Erhart... stavi nascosto nell'atrio?

SIGNORA WILTON            - (prontamente): E arrivato con me Erhart... il si­gnor Borkman.

SIGNORA BORKMAN   - (squadrandolo): Dunque, Erhart. Perché non sei venuto per primo a salutare tua madre?

ERHART                               - Mi sono fermato un momento dalla signora Wilton... per prendere la piccola Frida.

SIGNORA BORKMAN       - C'è anche 3a signorina Foldal?

SIGNORA WILTON       -  Sì, è nell'atrio.

ERHART                               - (parlando verso l'atrio): Venga, Frida.

(Silenzio. Ella Rentheim osserva Erhart, che ha l'aria imbarazzata e anche un po' seccata; il suo volto assume un'espressione tesa, piuttosto fredda. La cameriera porta la lampada accesa, quindi esce chiudendo la porta.)

SIGNORA BORKMAN   - (con forzata gentilezza): Signora Wilton.., se vuoi passare qui la serata, può...

SIGNORA WILTON            - Oh, grazie signora. Abbiamo un altro invito. Andremo dall'avvocato Hinkel, noi.

SIGNORA BORKMAN       - (guardandola): Noi? Come noi?

SIGNORA WILTON       - (ridendo): Be', avrei dovuto dire io. Ma le si­gnore mi hanno pregato di condurre il signor Borkman... se, per caso, lo avessi incontrato.

SIGNORA BORKMAN   - Come vedo l'ha incontrato.

SIGNORA WILTON       - Sì, per fortuna. Ha avuto la gentilezza di pas­sare da me... per cercare la piccola Frida.

SIGNORA BORKMAN       - (seccamente): Erhart... non sapevo che tu co­noscessi gli Hinkel.

ERHART                               - (annoiato): Infatti non li conosco. (Quindi aggiunge spa­zientito:) Lo sai benissimo, mamma chi conosco e chi non co­nosco!

SIGNORA WILTON       - Oh, si fa presto a conoscersi in quella casa! È gente allegra, piena di brio, ospitale. E ci sono molte si­gnorine.

SIGNORA BORKMAN       - (calcando sulle parole): Conoscendo mio figlio, non credo che quella sia una compagnia adatta a lui, signora Wilton.

SIGNORA WILTON       - Ma, signora! È giovane anche luì!

SIGNORA BORKMAN       - Per fortuna. Sarebbe seccante se non lo fosse.

ERHART                        - (contenendo la sua impazienza): Sì, sì, sì, mamma... ho capito: non andrò dagli Hinkel. Resterò con te e con zia Ella.

SIGNORA BORKMAN   -  Lo sapevo, mio caro Erhart.

ELLA RENTHEIM         - Ma no, Erhart. Non voglio che, a causa mia, ti privi...

ERHART                               - Oh, zia! Figurati! (Guarda la signora Wilton con esitazione:) Come facciamo? Non sarà scortese? Il fatto è che lei ha accettalo l'invito... in mia vece.

SIGNORA WILTON            - (allegramente): Sciocchezze! Perché scortese? Chi l'ha detto? Andrò sola alla festa... sola e abbandonata... e mi scuserò in nome suo.

ERHART                        - (lentamente): Già... se lei crede che non sia scortese.,.

SIGNORA WILTON       - (in tono vivace e leggero): Chissà quante volte ho detto sì e poi no... io! E poi avrebbe il coraggio di abbandona­re una zia ch'è appena arrivata? Signor Erhart! Le sembra un at­teggiamento filiale questo?

SIGNORA BORKMAN       - (turbata): Filiale?

SIGNORA WILTON       - Beh, da figlio adottivo, signora Borkman.

SIGNORA BORKMAN       - Sì, bisogna aggiungere adottivo.

SIGNORA WILTON            - Secondo me credo che si debba più riconoscenza ad una madre adottiva che ad una madre vera.

SIGNORA BORKMAN       - Parla per esperienza?

SIGNORA WILTON       - Mia madre!... L'ho conosciuta tanto poco... Ma se anch'io avessi avuto una madre adottiva... forse non sarei co­sì maleducata come dicono. (Rivolgendosi ad ERHART) Allora resterà con mamma e zia, a prendere il té... signor studente! (Alle signore:) Arrivederci, cara signora! Arrivederci signorina! (Le signore salutano senza parlare. La signora Wilton si avviaverso la porta.)

ERHART                        - (seguendola): La accompagno per un tratto?

SIGNORA WILTON       - (sulla porta con un gesto di diniego): Nemmeno un passo! Sono abituata ad andare sola. (Si ferma sulla soglia, lo guarda e accenna con la testa:) Stia in guardia, signor studente... diffidi!

ERHART                               - E perché?

SIGNORA WILTON            - (allegramente): Perché, quando sarò in istrada... sola e abbandonata... lancerò su di lei qualche incantesimo.

ERHART                               - (ride): Ah, vuoi provare di nuovo;

SIGNORA WILTON       - (semiseria): Sì, stia attento! Quando sarò in istrada mi concentrerò e ripeterò studente Erhart Borkman, pren­da il suo cappello!... Studente Erhart Borkman, prenda il suo...

SIGNORA BORKMAN       - (interrompendo): E secondo lei Erhart prenderà 11 suo cappello?

SIGNORA WILTON       - (ridendo): Certo: lo prenderà subito. Poi ag­giungerò: studente Erhart Borkman, indossi il soprabito! Le soprascarpe! Non dimentichi le soprascarpe! E mi segua! Obbe­disca! Obbedisca!

ERHART                               - (con allegria forzata): Ci conti, signora Wilton.

SIGNORA WILTON            - (levando l'indice): Obbedisca! Obbedisca! Buona-notte. (Ride, fa un cenno alle signore ed esce chiudendo la porta.)

SIGNORA BORKMAN       - Sa fare veramente cose del genere?

ERHART                               - Ma cosa vai a credere? Scherzava. (Interrompendosi:) Ma non parliamo della signora Wilton, adesso. (Costringe Ella Rentheim a sedersi nella poltrona accanto alla stufa e resta per qual­che momento'davanti a lei guardandola:) Zia Ella perché hai fatto questo lungo viaggio? Adesso, in pieno inverno!

ELLA RENTHEIM         - Era necessario, Erhart!

ERHART                               - Perché?

ELLA RENTHEIM               - Devo consultare dei medici, qui.

ERHART                        - Ah, per questo! Ma bene!

ELLA RENTHEIM               - (sorridendo): Ti sembra bene consultare medici?

ERHART                        - Che tu ti sia decisa a farlo, voglio dire.

SIGNORA BORKMAN       - (seduta sul divano dice con freddezza): Stai ma­le, Ella?

ELLA RENTHEIM         - (guardandola con durezza): Lo sai benissimo.

SIGNORA BORKMAN       - Sì, malaticcia come lo sei da anni...

ERHART                        - Quando stavo da te, ti ho consigliato spesso di consul­tare un medico.

ELLA RENTHEIM               - Ma laggiù non c'è un medico che mi ispiri fiducia. E poi non stavo tanto male, allora.

ERHART                        - Ma allora sei peggiorata!

ELLA RENTHEIM         - Oh, sì, ragazzo mio: ma solo un poco.

ERHART                        - Ma non è pericoloso, vero?

ELLA RENTHEIM               - Dipende...

ERHART                        - (vivamente): Ma, allora zia Ella... non partire subito.

ELLA RENTHEIM         - Non ci penso nemmeno.

ERHART                               - Devi restare qui, in città. Così puoi scegliere i migliori medici.

ELLA RENTHEIM               - Questo infatti avevo pensato al momento della partenza.

ERHART                               - Devi cercarti una camera... in una pensione comoda e tranquilla.

ELLA RENTHEIM               - Sono stata, stamattina, alla solita pensione.

ERHART                               - Starai bene lì.

ELLA RENTHEIM         - Sì, però non ho intenzione di rimanervi-.

ERHART                               - E perché no?

ELLA RENTHEIM         - Ho cambiato idea, quando sono arrivata qui.

ERHART                               - (sorpreso): Hai cambiato idea?

SIGNORA BORKMAN       - (lavorando all'uncinetto e senza alzare gli occhi): Tua zia abiterà qui, Erhart, nella sua casa.

ERHART                               - (guarda ora l'una ora l'altra): Qui, da noi? Ma è vero, zia?

ELLA RENTHEIM         - Sì, ho deciso poco fa.

SIGNORA BORKMAN   - (come sopra): Lo sai bene Erhart che qui è tutto di tua zia.

ELLA RENTHEIM         - Resterò qui, Erhart. Mi sistemerò laggiù, nell'ala riservata all'intendente...

ERHART                               - Hai ragione. Di là ci sono sempre delle stanze pronte. (Animandosi improvvisamente:) A proposito, zia, non sei stanca per il viaggio?

ELLA RENTHEIM               - Sì, UIÌ po'.

ERHART                        - Allora dovresti andartene a letto presto.

ELLA RENTHEIM         - (lo guarda sorridendo): Lo farò.

ERHART                        - (vivacemente): Allora parleremo domani... o un altro giorno. Parleremo di tutto. Tu, la mamma ed io. Non sarebbe meglio, zia Ella?

SIGNORA BORKMAN       - (irritata, si alza dal divano): Erhart, te lo leg­go negli occhi: vuoi lasciarmi!

ERHART                               - (sobbalzando): Cosa vuoi dire?

SIGNORA BORKMAN       - Vuoi andare dagli.., dagli Hinkel!

ERHART                        - (suo malgrado): Be', sì. (Riprendendosi.) Secondo te do­vrei restare qui a intrattenere zia Ella fino a tardi? Lei che è malata e bisognosa di riposo.

SIGNORA BORKMAN   - Tu vuoi andare dagli Hinkel, Erhart.

ERHART                        - (spazientito): Mio Dio, mamma... credo di non potermi esimere. Che ne pensi, zia?

ELLA RENTHEIM         - Sei libero diagire come meglio credi, Erhart.

SIGNORA BORKMAN       - (volgendosi a lei in tono di minaccia): Vuoi stac­carlo da me!

ELLA RENTHEIM         - (alzandosi): Magari potessi, Gunhild!

(Si sente musica nella sala di sopra).

ERHART                               - (come torturato): Oh, basta! (5/ guarda attorno.) Dov'è il cappello? (A Ella:) Conosci il pezzo che stanno suonando di sopra?

ELLA RENTHEIM               - No, COS'è?

ERHART                        - È la «Danza macabra». La danza dei morti. Non la conosci, zia?

ELLA RENTHEIM         - (con un triste sorriso): Non ancora, Erhart.

ERHART                               - (alla signora Borkman): Mamma, te lo chiedo per favore... fammi andare.

SIGNORA BORKMAN   - (profondamente colpita): Mi vuoi lasciare per andare da quegli estranei! Da... da... no, non voglio nep­pure pensarci!

ERHART                               - Ci sono tante luci, laggiù... Visi giovani e allegri... E si suona, mamma.

SIGNORA BORKMAN   - (indicando il soffitto): Anche qui si suona, Erhart.

ERHART                        - Ma è proprio questa musica... che mi fa fuggire.

ELLA RENTHEIM         - Non sei contento che tuo padre abbia qualche istante di oblio?

ERHART                        - Sì, certo. Sono contento per lui. Purché non costringa anche me a sentirla.

SIGNORA BORKMAN       - (con un'occhiata incitante): Coraggio, Erhart! Sii torte! Ricordati che hai la tua missione da compiere.

ERHART                               - Oh, mamma... non mi angosciare! Non ho la stoffa del missionario, io... Buonanotte, zia. Buonanotte, mamma. (Esce speditamente per l'atrio.)

SIGNORA BORKMAN   - (dopo un breve silenzio): Te Io sei subito ri­preso tu, Ella.

ELLA RENTHEIM               - Magari fosse vero!

SIGNORA BORKMAN   - Ma non lo terrai a lungo, vedrai.

ELLA RENTHEIM               - Lo terrai tu?

SIGNORA BORKMAN       - Io, oppure... quell'altra.

ELLA RENTHEIM         - Allora meglio lei che tu.

SIGNORA BORKMAN       - (annuendo a lungo): Capisco. E io dico altret­tanto: meglio lei che tu.

ELLA RENTHEIM               - Qualsiasi cosa accada?

SIGNORA BORKMAN       - Tanto sarebbe lo stesso.

ELLA RENTHEIM         - (prendendo sul braccio il suo cappotto): Per la prima volta, noi due, sorelle gemelle, siamo d'accordo... Buona­notte, Gunhild. (Esce dalla porta d'ingresso mentre in alto la musica risuona più forte.)

SIGNORA BORKMAN       - (resta immobile un istante, sobbalza, si agita e mormora inconsciamente): Urla ancora il lupo... il lupo malato! (Resta in piedi un istante, quindi si getta a terra sul tappeto, si contorce, geme e mormora:) Erhart! Erhart... non mi lasciare! Vieni a soccorrere tua madre! Non posso più sopportare que­sta vita!

Sipario

ATTO SECONDO

La grande sala delle feste, al primo piano del palazzo Rentheim. Le pareti sono coperte di arazzi con scene di caccia, di pastori e pa­storelle, in colori sbiaditi. Sulla parete di sinistra, una porta a due battenti con un pianoforte in proscenio. Nell'angolo di fondo, a sini­stra, una porta mascherata, senza incorniciatura. A metà della parete di destra, grande scrivania di quercia scolpita ingombra di libri e di carte. Verso il proscenio, dallo stesso lato, un divano con un tavolo e seggiole. I mobili sono in stile impero.

Sulla scrivania e sul tavolino vi sono lampade accese. John Gabriel Borkman, in piedi accanto al pianoforte, ascolta Frida Foldal che suona le ultime note della Danza macabra. Borkman è un uomo di più di sessant’anni, di media statura, ben piantato. In­dossa un abito nero di taglio non molto moderno e cravatta bianca . Frida Foldal è una ragazza di una quindicina d'anni, graziosa, pallida, dall'espressione stanca e affaticata, è vestita poveramente con un abito chiaro. Il brano di musica termina. Pausa.

BORKMAN                    - Sa dove ho sentito, per la prima volta, una musica co­me questa?

FRIDA                                   - (alzando gli occhi a guardarlo): No, signor Borkman.

BORKMAN                          - Giù nelle miniere.

FRIDA                                   - (senza capire): Nelle miniere?

BORKMAN                    - Son figlio di minatori, io. Non lo sapeva?

FRIDA                                   - No, signor Borkman.

BORKMAN                    - Figlio di minatori. E mio padre, qualche volta, mi fa­ceva scendere con sé nelle miniere... E laggiù si sentiva cantare il minerale.

FRIDA                           - Canta, il minerale?

BORKMAN                          - (annuisce): Quando è staccato dalla roccia. I colpi di martello che lo staccano... sono come i rintocchi della campana di mezzanotte, che suona l'ora della libertà. E, a suo modo, il minerale canta per la gioia.

FRIDA                           - Perché canta, signor Borkman?

BORKMAN                          - Perché vuoi salire in superficie ed essere utile agli uo­mini. (Passeggia su e giù per la sala, sempre con le mani die-tro la schiena.)

FRIDA                           - (resta seduta, in attesa, per un po' dì tempo; poi guarda l'orologio e s'alza): Mi scusi, signor Borkman,.. ma purtrop­po, debbo andare.

BORKMAN                          - (fermandosi davanti a lei): Di già?

FRIDA                                   - (chiudendo lo spartito): Sì. (Visibilmente imbarazzata:) De­vo andare in un posto, questa sera.

BORKMAN                          - Ad una festa?

FRIDA                                   - Sì.

BORKMAN                          - Da un concerto?

FRIDA                           - (mordendosi le labbra): No... devo suonare ì ballabili.

BORKMAN                          - Solo i ballabili?

FRIDA                           - Sì, balleranno dopo la cena.

BORKMAN                          - (si ferma e la guarda): Lei suona volentieri per far ballare gli altri? Così, di casa in casa?

FRIDA                                   - Sì, quando mi chiamano... si guadagna sempre qualcosa.

BORKMAN                    - (insistendo): E pensa solo al guadagno quando è lì se­duta a suonare per gli altri?

FRIDA                           - No. Penso soprattutto che mi dispiace non poter ballare anch'io.

BORKMAN                          - (con un cenno del capo): Era questo che volevo sapere. (Continua a camminare su e giù, agitato:) Sì, sì, sì, è molto tri­ste dover guardare senza poter partecipare. (Si ferma:) Ma c'è un compenso, Frida.

FRIDA                                   - (con un'occhiata interrogativa): Quale, signor Borkman?

BORKMAN                    - È che c'è più musica in lei che in tutti quei ballerini.

FRIDA                           - (sorride evasivamente): Oh, non ne sono poi tanto sicura.

BORKMAN                    - (alzando l'indice in segno di ammonimento): Non dubiti mai di se stessa!

FRIDA                           - Mio Dio, ma quando non c'è nessuno che mi conosca...?

BORKMAN                    - Basta che lo sappia lei... Dove va a suonare questa sera?

FRIDA                                   - Dall'avvocato Hinkel.

BORKMAN                          - (le lancia un'occhiata penetrante): Hinkel?

FRIDA                                   - Sì.

BORKMAN                    - (con un sorriso pungente): La gente ci va? C'è della gente che va a casa sua?

FRIDA                           - Da quanto mi ha detto la signora Wilton sembra che ci sarà molta gente.

BORKMAN                    - (con vivacità): Ma che specie di gente? Me lo dice?

FRIDA                                   - (un po' inquieta): Questo non lo so. Anzi sì... so, per esem­pio che ci sarà il signor Borkman.

BORKMAN                          - (interdetto): Erhart! Mio figlio?

FRIDA                                                - Sì.

BORKMAN                          - Lei come lo sa?

FRIDA                           - Me lo ha detto lui, un'ora fa.

BORKMAN                    - è venuto qui, stasera?

FRIDA                           - Sì, ha passato tutto il pomeriggio dalla signora Wilton.

BORKMAN                    - (scrutandola): Sa dirmi se è venuto anche qui? Se ha parlato giù con qualcuno?

FRIDA                           - Sì, è stato un momento dalla signora.

BORKMAN                          - (con amarezza): Ah, ah... lo supponevo.

FRIDA                           - C'era anche una signora forestiera.

BORKMAN                    - Una forestiera? Può darsi. Ogni tanto la signora riceve delle visite.

FRIDA                           - Devo dire al signor Erhart, più tardi, di salire qui da lei?

BORKMAN                    - (in tono rude): Non deve dirgli proprio nulla. Quelli che desiderano vedermi, devono venire spontaneamente. Non prego nessuno, io.

FRIDA                                   - No, no... non dirò nulla... Buonanotte, signor Borkman.

BORKMAN                          - (passeggiando su e giù): Buonanotte.

FRIDA                           - Posso scendere per la scala a chiocciola? Si fa prima.

BORKMAN                          -  Certo! Scenda da dove vuole. Buonanotte, signorina.

FRIDA                                   - Buonanotte, signor Borkman. (Esce dalla porta mascherata nel fondo, a sinistra).

(Borkman, trasognato, si avvicina al pianoforte, ma poi se ne allontana. Guarda attorno, a sé nel salone vuoto e, sempre agi­tato, va avanti e indietro, dal pianoforte all'angolo di fondo a destra. Finisce per avviarsi alla scrivania. Tende l'orecchio ver­so la porta grande, prende uno specchio, ci si guarda e si aggiusta la cravatta. Bussano alla porta grande. Borkman lo sente, guarda da quella parte, ma tace. Poco dopo bussano ancora più forte.)

BORKMAN                          - (ritto davanti al tavolo su cui appoggia la mano sinistra, mentre la destra è infilata nell'apertura della giacca): Avanti! (Vilhelm Foldal entra cautamente nel salone, È un uomo incur­vato, consumato, con dolci occhi azzurri. I capelli radi e grigi, gli scendono sul collo. Ha una busta di cuoio sotto il braccio. Nella mano un cappello floscio, e porta occhiali di tartaruga che rialza sulla fronte. Borkman cambia posizione e guarda il nuovo venuto con una espressione mezzo delusa e mezzo soddisfatta.) Oh! Sei tu.

FOLDAL                        -  Buona sera, John Gabriel. Sì, sono io.

BORKMAN                          - (con un'occhiata severa): Mi sembra che sia un po' tardi.

FOLDAL                        - Eh, la strada non è certo breve. Soprattutto per chi va a piedi.

BORKMAN                    - E tu, Vilhelm, perché vai sempre a piedi? Mi pare che hai un comodo tram.

FOLDAL                        - Camminare fa bene. E poi risparmio dieci centesimi... È venuta Frida a suonare per te?

BORKMAN                    - È uscita proprio adesso. Non l'hai incontrata?

FOLDAL                        - No, è un po' che non la vedo. Da quando abita con quella signora Wilton.

BORKMAN                          - (si mette a sedere sul divano e, indicando una seggiola): Siediti, Vilhelm.

FOLDAL                               - (siede sull'orlo della seggiola): Grazie. (Guardandolo con tristezza:) Se tu sapessi quanto mi sento solo! Specialmente ora, da quando Frida non è più in casa.

BORKMAN                    - Ma via!... Hai tanti bambini!

FOLDAL                        - Sì, ne ho ancora cinque. Ma Frida era la sola che mi capisse un poco. (Scuote tristemente la testa.) Gli altri non mi capiscono affatto.

BORKMAN                          - (rabbuiato, guarda nel vuoto e tamburella con le dita sul tavolo): È il destino, È la maledizione che pesa su di noi, gli isolati, gli eletti. La massa... la folla... la gente mediocre... Vilhelm, non ci capisce.

FOLDAL                               - (rassegnato): Se fosse solo comprensione. Con un po' di pazienza si potrebbe aspettarla. (Con le lacrime in gola:) Ma vedi ci sono delle cose più amare.

BORKMAN                          - (vivacemente): Nulla può essere più amaro che essere incompreso!

FOLDAL                        - Ma sì John Gabriel! Prima di venire qua ho avuto un'al­tra scenata in famiglia...

BORKMAN                          - E perché

FOLDAL                               - (prorompendo): A casa... mi disprezzano.

BORKMAN                          - (sobbalzando): Ti disprezzano?

FOLDAL                        - (asciugandosi gli occhi): Da molto tempo lo sospettavo. Ma oggi, è stato evidente.

BORKMAN                    - (dopo un momento di silenzio): Hai fatto proprio una cattiva scelta, sposandoti.

FOLDAL                        - Non ho scelto. D'altronde quando si comincia ad invec­chiare si sente la necessità di sposarsi. E poi povero com'ero...

BORKMAN                          - (balzando incollerito): Alludi? Rimproveri?...

FOLDAL                        - (inquieto): Ma no, John Gabriel...

BORKMAN                    - Sì, tu alludi a quella bancarotta!...

FOLDAL                        - Ma non do la colpa a te! Dio me ne guardi!...

BORKMAN                    - (si siede borbottando): Ah, credevo.

FOLDAL                        - Del resto non mi lamento certo di mia moglie. È vero, non è molto educata, né colta, poverina. Ma è buona... No, vedi, sono i figli...

BORKMAN                          - Lo immaginavo.

FOLDAL                        - Vedi, i figli sono più istruiti ed allora pretendono di più.

BORKMAN                          - (lo guarda con pietà): Per questo i tuoi figli ti disprez­zano, Vilhelm?

FOLDAL                               - (crollando le spalle): Non ho fatto carriera. Bisogna riconoscerlo...

BORKMAN                          - (gli si avvicina e gli appoggia la mano sul braccio): Non sanno che, da giovane, hai scritto una tragedia?

FOLDAL                        - Sì, lo sanno. Ma la cosa non li ha colpiti per niente.

BORKMAN                          - Questo dimostra che non capiscono niente! Perché quel­la tua tragedia era buona. Sicuro, era buona.

FOLDAL                        - (illuminandosi nel volto): C'era qualcosa di buono vero, John Gabriel? Oh, Dio mio, se un giorno potessi farla rappresentare... (Apre la borsa e si mette a sfogliare carte feb­brilmente,) Guarda! Vi ho apportato delle modifiche.

BORKMAN                          - Ce l'hai qui?

FOLDAL                               - L'ho con me. £ passato tanto tempo da quando te la lessi. Ed allora ho pensato che t'avrebbe distratto un poco ascoltarne un atto o due...

BORKMAN                    - (si alza facendo un gesto di rifiuto): No, no, un'altra volta.

FOLDAL                               - Come vuoi.

(Borkman va su e giù per la stanza, Foldal riordina il suo ma­noscritto. )

BORKMAN                    - (fermandoglisi davanti): Avevi ragione, poco fa, quan­do hai detto di non aver fatto carriera. Ma ti prometto, Vilhelm, che quando suonerà per me Fora della riscossa...

FOLDAL                        - (fa per alzarsi): Oh, ti ringrazio!.,.

BORKMAN                          - (con un cenno della mano): Sta comodo. (Con crescente esaltazione:) Quando suonerà l'ora della riscossa... Quando si accorgeranno che non possono fare a meno di me... Quando ver­ranno qui ad umiliarsi e supplicarmi di riprendere la direzione della banca!... Di quella nuova banca che hanno fondato e che sono incapaci di amministrare... (Si porta davanti al suo tavolo e si batte la mano sul petto.) Io sarò qui e li riceverò! E tutti sapranno le condizioni che avrà posto John Gabriel Borkman per...      - (S'interrompe e guarda fisso Foldal.) Hai un'aria dub­biosa! Forse non credi che verranno? Che saranno costretti a cercarmi? Non credi?

FOLDAL                        - Ma sì, lo credo, John Gabriel!

BORKMAN                    - (tornando a sedere sul divano): Lo credo fermamente. Ne ho la certezza... Verranno!... Se non ne fossi sicuro... già da tempo mi sarei cacciato una pallottola in testa.

FOLDAL                               - Oh! No! Tutto, ma...

BORKMAN                          - (impettito): Verranno.' Verranno! Vedrai! Ogni giorno, ora, possono arrivare qui! E, come vedi, sono pronto a riceverli.

FOLDAL                        - (con un sospiro): Se venissero presto!

BORKMAN                    - È vero, il tempo passa; gli anni passano; la vita pas... No! Non posso pensarci! (Guardandolo:) Sai cosa penso, a volte?

FOLDAL                               - Cosa?

BORKMAN                          - Di essere un Napoleone... storpiato alla sua prima bat­taglia,

FOLDAL                        - (appoggiando la mano sulla sua borsa di cuoio): Anch'io ho gli stessi pensieri.

BORKMAN                    - Eh, sì, in piccolo naturalmente!

FOLDAL                        - (con dolcezza): II mio piccolo mondo poetico ha un gran­de valore per me, John Gabriel.

BORKMAN                    - (con vivacità): E io? Avrei guadagnato milioni. Avrei controllato tutte le miniere. Nuove miniere! Infinite miniere! Cascate, cave, vie commerciali, vie di navigazione in tutto il mondo! Avrei organizzato tutto, tutto da solo!

FOLDAL                        - Sì, lo so. Nulla ti fermava.

BORKMAN                    - (stringendo i pugni): E mi tocca stare qui, come un uccello ferito, a guardare gli altri che mi superano... e mi por­tano via tutto, un'idea dietro l'altra.

FOLDAL                        - Proprio come capita a me.

BORKMAN                          - (senza badargli): Chi l'avrebbe supposto? Essere vicini alla meta e... Se soltanto avessi avuto otto giorni di tempo... I depositi sarebbero stati rimborsati. Il denaro di cui mi ero tem­poraneamente servito, sarebbe tornato al suo posto. Non man­cava che un'inezia per la costituzione di potenti società per azioni. Nessuno avrebbe perduto un centesimo!...

FOLDAL                               - Sì, Dio buono... c'eri quasi arrivato...

BORKMAN                          - (reprimendo il suo furore): E invece mi tradirono! Pro­prio al momento della realizzazione! (Guardandolo:) Sai qual è secondo me il delitto più infame che un uomo possa com­mettere?

FOLDAL                               - No, qual è?

BORKMAN                    - Non è l'omicidio, né il furto, nemmeno il furto con scasso, né il falso giuramento... Sono reati che si commettono generalmente contro persone che si detestano, o che sono indifferenti.

FOLDAL                        - Ma allora qual è il più infame, John Gabriel?

BORKMAN                          - (calcando sulle parole): È l'abuso della fiducia concessa da un amico!

FOLDAL                        - (esitante): Ma allora senti...

BORKMAN                    - (irritandosi): So cosa vuoi dirmi! Te lo leggo in viso. Le persone che avevano i loro depositi in banca avrebbero riavuto tutto. Proprio tutto! No, vedi la cosa più infame consiste nell'abusare delle lettere di un amico... di far conoscere a tutti ciò che era stato confidato, in segreto, ad uno solo... L'uomo che ricorre a simili mezzi è avvelenato, è appestato fino alla fibra più interna, da una morale scellerata... Ed io ho avuto un tale amico... Ed è stato lui a rovinarmi...

FOLDAL                        - Immagino a chi alludi.

BORKMAN                    - Gli avevo confidato tutto, anche il più piccolo parti­colare. Ma lui, al momento opportuno, rivolse contro di me quelle armi che io stesso gli avevo messo in mano!

FOLDAL                        - Non ho mai capito perché egli... Be' sai, allora corsero molte voci.

BORKMAN                          - Quali voci? Dimmelo! Io non ne so niente. Perché mi... mi... mi isolarono subito. Cosa dicevano, Vilhelm?

FOLDAL                               - Che stavi per diventare3 ministro.

BORKMAN                          - Sì, ma rifiutai.

FOLDAL                        - Dunque non eri tu che lo ostacolavi!

BORKMAN                    - Oh, no. Non mi ha tradito per questo.

FOLDAL                               - Ma allora,..

BORKMAN                          - Ora posso dirtelo, Vilhelm.

FOLDAL                               - Ebbene?

BORKMAN                    - Fu per una storia di donne.

FOLDAL                        - Una storia di donne? Ma no... John Gabriel!...

BORKMAN                          - (tagliando corto): Sì, sì... ma non parliamo più di quelle vecchie e stupide storie... La cosa certa è che nessuno dei due è diventato ministro.

FOLDAL                        - Però è salito molto in alto, lui.

BORKMAN                    - Io invece sono sceso molto in basso.

FOLDAL                        - Oh, che dramma terribile...

BORKMAN                    - (annuendo): Terribile quasi quanto il tuo, ora che ci penso.

FOLDAL                        - (ingenuamente): Sì, altrettanto terribile.

BORKMAN                    - (con un riso sordo): Sotto certi aspetti, però, sembra una commedia.

FOLDAL                        - Una commedia? Come sarebbe a dire?

BORKMAN                    - Sì, quando le cose prendono una certa piega... Sta' a sentire.

FOLDAL                               - Sentiamo!

BORKMAN                    - Non hai incontrato Frida, quando sei venuto.

FOLDAL                               -  No.

BORKMAN                          - Sappi, mentre noi due siamo qui, Frida sta suonando musiche da ballo in casa di quell'uomo che mi ha tradito e rovinato.

FOLDAL                        - Ma io non ne avevo la più pallida idea!

BORKMAN                    - Poco fa, ha preso i suoi spartiti e se n'è andata... alla gran serata.

FOLDAL                               - (come per scusarsi): Quella povera ragazza...

BORKMAN                    - E indovina per chi suona... fra gli altri?

FOLDAL                               - Per chi?

BORKMAN                          - Per mio figlio.

FOLDAL                        - Ma no!

BORKMAN                    - Che te ne pare, Vilheìm? Mio figlio, laggiù a ballare. Non è una commedia, forse?

FOLDAL                        - Ma certamente lui non ne sa niente.

BORKMAN                          - Cosa non sa?

FOLDAL                               - Non sa come quel... quell'uomo... quel...

BORKMAN                    - Puoi anche nominarlo. Non mi da alcun fastidio, ora.

FOLDAL                        - Sono sicuro che tuo figlio ignora come stanno le cose, John Gabriel.

BORKMAN                    - (tetro e battendo il pugno sul tavolo): Invece sa tutto... com'è vero che io sono qui.

FOLDAL                        - Ma come puoi credere, se sapesse, che frequenterebbe quella casa?

BORKMAN                    - (crollando la testa): Mio figlio vede le cose in modo diverso da me. Giurerei che sta dalla parte dei miei nemici! È convinto, come loro, che l'avvocato Hinkel non ha fatto che il suo maledetto dovere, denunziandomi.

FOLDAL                        - Ma chi gli ha mostrato Ì fatti sotto un simile aspetto?

BORKMAN                    - Chi? Dimentichi, forse, da chi è stato allevato? Prima da sua zia, fino a sedici o diciassette anni. Poi da... da sua madre!

FOLDAL                        - Credo, che tu sia ingiusto, ora.

BORKMAN                          - (sobbalzando): Non sono ingiusto verso nessuno, io! Ti dico che l'hanno aizzato contro di me, tutte e due!

FOLDAL                        - (timidamente): Sì, sì... forse hai ragione.

BORKMAN                          - (incollerito): Oh! Le donne! Ci rovinano la vita! Ci ro­vinano i progetti... ci impediscono le vittorie.

FOLDAL                        - Be', non tutte.

BORKMAN                          - Davvero? Citamene una che valga qualcosa.

FOLDAL                        - È vero. Quelle che conosco non valgono niente.

BORKMAN                    - (con disprezzo): E allora? Cosa importa che esistano donne diverse se noi non le conosciamo?

FOLDAL                        - (calorosamente): Sì, John Gabriel, importa lo stesso. Non è bello e confortante pensare che, da qualche parte, attorno a noi o lontano, la vera donna esiste?

BORKMAN                          - (si sposta con impazienza sul divano): Ma smettila con queste tue chiacchiere poetiche.

FOLDAL                        - (lo guarda profondamente ferito): Tu chiami chiacchiere le mie più sacre convinzioni?

BORKMAN                          - (con durezza): Sì, certo. Lo devi ad esse se non hai con­cluso mai niente di buono! Se tu abbandonassi questi tuoi con­vincimenti, potrei ancora aiutarti a rialzarti... a rimetterti in piedi.

FOLDAL                               - (agitato internamente): Non potrai farlo!

BORKMAN                    - Lo potrò. Quando sarò di nuovo al potere.

FOLDAL                        - Ci vorrà moltissimo tempo!

BORKMAN                          - (vivacemente): Credi che quel momento non verrà mai? Rispondimi!

FOLDAL                        - Non so che dirti.

BORKMAN                          - (si alza, freddo e superbo, con un gesto della mano verso la porta): Allora non so più che farmene, di te.

FOLDAL                        - (balzando in piedi): Non sai più che fartene!...

BORKMAN                    - Visto che tu non credi che il mio'destino debba cam­biare...

FOLDAL                        - Ma non posso credere ciò che è contro ogni buon sen­so!... Dovresti prima essere riabilitato...

BORKMAN                          - Continua, continua pure!

FOLDAL                        - Non mi sono laureato, è vero... ma ne capisco abba­stanza da...

BORKMAN                          - (asciutto): È impossibile?

FOLDAL                        - Be' diciamo che non ci sono precedenti.

BORKMAN                          - Non occorrono, per uomini eccezionali.

FOLDAL                        -  Ma la legge non fa queste distinzioni.

BORKMAN                    - (duro e tagliente): Tu non sei un poeta, Vilhelm.

FOLDAL                               - (congiunge le mani involontariamente): Ma lo dici sul serio?

BORKMAN                          - (tagliando corto e senza replicare): Qui stiamo perden­do tempo. È meglio che non ci ritorni più.

FOLDAL                        - Devo andarmene?

BORKMAN                    - (senza guardarlo): Non mi servi più.

FOLDAL                               - (con rassegnazione, prendendo la sua borsa di cuoio): No, no. Non è possibile!

BORKMAN                    - Tu mi hai sempre mentito.

FOLDAL                        - (crollando la testa): Non ho mai mentito, John Gabriel.

BORKMAN                    - Non hai, forse, alimentato, in mala fede, la fiducia in me stesso?

FOLDAL                        - Non erano menzogne dato che credevi alla mia vocazio­ne. Finché tu hai creduto in me, io ho creduto in te.

BORKMAN                    - Quindi ci siamo ingannati a vicenda. E può darsi che ognuno di noi abbia ingannato... se stesso.

FOLDAL                        - In fondo, non è amicizia pure questa, John Gabriel?

BORKMAN                          - (con un sorriso amaro): Ingannarsi... è amicizia. Hai ragione. Ho avuto già un'esperienza al riguardo...

FOLDAL                               - (guardandolo): Nessuna capacità poetica! E l'hai detto così brutalmente!

BORKMAN                          - (con maggiore dolcezza): Oh, ma io non me ne intendo.

FOLDAL                               - Forse più di quanto credi.

BORKMAN                                     - Io?

FOLDAL                        - (sottovoce): Sì, tu. Anch'io ho avuto, talvolta, dei dub­bi. Ed ero angosciato al pensiero di aver sciupato la mia vita rincorrendo un'illusione.

BORKMAN                    - Se dubiti di te stesso, non concluderai mai niente.

FOLDAL                        - Ed era proprio per questo che venivo qui. Ad attingere forza da te, che pensavo... (Prende il cappello.) Ma ora sei di­ventato un estraneo per me.

BORKMAN                    - Come tu per me.

FOLDAL                               - Buonanotte, John Gabriel.

BORKMAN                          - Buonanotte, Vilhelm. (Foldal esce a sinistra. Borkman resta a guardare la porta chiusa e fa un movimento come se volesse richiamare Foldal, ma ci ripensa e si mette a camminare su e giù per la stanza con le mani dietro la schiena. Poi si ferma davanti al tavolinetto del divano e spegne la lampada. La sala resta semibuia. Poco dopo si sente bussare alla porta mascherata nel fondo a sinistra.) (Borkman accanto al tavolo, sobbalza, si volta e domanda ad alta voce:) Chi è? (Nessuno risponde. Bussano di nuovo.) (Borkman stando sempre in piedi:) Chi è? Avanti! (Ella Rentheim, con una candela accesa in mano, appare sulla soglia della porta. Indossa lo stesso abito nero di prima ma il cap­potto è gettato sulle spalle.) (Borkman la guarda fissamente.) Chi è? Cosa vuole?

ELLA RENTHEIM         - (chiude la porta dietro di sé e si avvicina): Sono io, Borkman. (Posa il candeliere sul pianoforte e vi resta ac­canto, in piedi.)

BORKMAN                    - (resta come fulminato, la contempla fissamente e bor­botta sottovoce): Lei è?... Lei è Ella?... Lei è Élla Rentheim?

ELLA RENTHEIM         - Sì... sono la « tua » Ella... come mi chiamavi una volta. Molti... molti anni fa.

BORKMAN                          - (come sopra): Sì, sei tu, Ella... Ora ti riconosco.

ELLA RENTHEIM               - Mi riconosci?

BORKMAN                          - Sì, ora comincio a...

ELLA RENTHEIM         - Sono invecchiata un po' prima del tempo, Borkman. Non ti sembra?

BORKMAN                    - ( imbarazzato ) : Sei un po' cambiata. Così... a prima vista...

ELLA RENTHEIM         - Non ho più i riccioli bruni che mi cadevano sul­le spalle. Quei riccioli che ti piaceva attorcigliare con le dita.

BORKMAN                    - (vivamente): È vero. Ora capisco! Hai cambiato pet­tinatura.

ELLA RENTHEIM         - (con un triste sorriso): Già... è la pettinatura.

BORKMAN                          - (cambiando discorso): Non sapevo che stessi da queste parti.

ELLA RENTHEIM         - Sono arrivata da poco.

BORKMAN                          - Perché sei venuta... adesso... d'inverno?

ELLA RENTHEIM               - Ascolta.

BORKMAN                          - Vuoi qualcosa da me?

ELLA RENTHEIM         - Anche da te. Ma prima è necessario che risalga molto indietro nel tempo.

BORKMAN                          - Ma sarai stanca...

ELLA RENTHEIM         - Sì, sono stanca.

BORKMAN                          - Ti prego, siediti. Là... sul divano.

ELLA RENTHEIM         - Grazie. Ne ho proprio bisogno. (Ella Rentheim siede all'angolo del divano verso il pro­scenio. Borkman, in piedi accanto al tavolo, con le mani dietro la schiena, la guarda. Breve silenzio. Poi Ella riprende a parlare:) È passato molto tempo da quando ci siamo trovati faccia a fac­cia, Borkman.

BORKMAN                    - (rabbuiandosi): Sì, molto tempo. C'è stata quella terri­bile storia, di mezzo.

ELLA RENTHEIM         - Tutta una vita, in mezzo, un'intera vita sciupata.

BORKMAN                          - (con un 'occhiata ostile): Sciupata!

ELLA RENTHEIM         - Sì, proprio sciupata. Per tutti e due.

BORKMAN                    - (come se parlasse di affari): La mia vita non la consi­dero ancora sciupata.

ELLA RENTHEIM               - E la mia?

BORKMAN                    - La colpa è tua, Ella.

ELLA RENTHEIM         - (di soprassalto): Proprio tu lo dici?

BORKMAN                    - Avresti potuto essere felice anche senza di me.

ELLA RENTHEIM         - Credi?

BORKMAN                          - Bastava che tu lo volessi.

ELLA RENTHEIM         - (con amarezza): Sì, lo so, c'era un altro pronto ad accogliermi...

BORKMAN                          - Ma tu l'hai respinto.

ELLA RENTHEIM         - Sì, l’ho respinto.

BORKMAN                    - Più di una volta, per anni.,.

ELLA RENTHEIM         - (con sdegno): Per anni ho respinto la felicità. Questo vuoi dire?

BORKMAN                    - Anche con lui avresti potuto esser felice. Ed io mi sarei salvato.

ELLA RENTHEIM               - Tu?,..

BORKMAN                    - SI, Ella, tu mi avresti salvato.

ELLA RENTHEIM         - In che modo?

BORKMAN                          - Egli credeva che fossi io la causa dei tuoi rifiuti... delle tue continue ripulse. E si è vendicato, E gli è stato facile... aveva in mano le lettere in cui gli rivelavo tutto. Se n'è servito... e sono stato vinto... per il momento. Come vedi, Ella, è tutta colpa tua.

ELLA RENTHEIM         - Quindi sarei io colpevole e debitrice nei tuoi confronti!

BORKMAN                    - Secondo i punti di vista. So quanto ti devo. Quando questa proprietà è stata messa all'asta l'hai comperata metten­do la casa a disposizione mia e... di tua sorella. Hai preso Erhart con te incaricandoti della sua educazione...

ELLA RENTHEIM         - ...finché mi e stato permesso.

BORKMAN                    - ...finché tua sorella te l'ha permesso. Io non mi sono mai interessato di questioni domestiche... Dunque come dicevo, so quanto hai fatto per me e per tua sorella, ma bisogna anche dire che potevi farlo. E non dimenticare che fui io a metterti in condizione di poterlo fare.

ELLA RENTHEIM         - (indignata): Ti sbagli, Borkman! È stato il mio affetto, la mia tenerezza per Erhart, ...e anche per te.., che mi hanno spinta!

BORKMAN                    - (interrompendola): Cosa c'entra il sentimento in que­stioni di questo genere! Comunque volevo dire che se tu hai agito come hai fatto, lo devi a me, Perché io ti. avevo dato Ì mezzi. (Si adira.) Sì, proprio i mezzi! Al momento della battaglia decisiva,., quando non potevo risparmiare né parenti né amici.., e quando mi servii dei milioni depositati... accan­tonai tutto ciò che ti apparteneva... benché potessi servirmene come avevo fatto di tutto il resto!

ELLA RENTHEIM         - Questo è vero, Borkman.

BORKMAN                    - Sì, è vero. Perciò... quando sono venuti a... prendermi, i tuoi depositi furono trovati intatti nei sotterranei della banca.

ELLA RENTHEIM         - (guardandolo): Mi sono sempre domandata per­ché avevi messo da parte solo quello che mi apparteneva, e solo quello.

BORKMAN                          - Perché?...

ELLA RENTHEIM         - Sì, perché? Vuoi dirmelo?

BORKMAN                    - (duro e sprezzante): Probabilmente tu pensi che io vo­lessi avere qualcosa su cui rifarmi... in un secondo tempo se le cose si fossero messe male?

ELLA RENTHEIM         - No. Sono sicura che in quel momento non ci pensavi.

BORKMAN                    - Mai! Ero troppo sicuro della vittoria.

ELLA RENTHEIM         - Ma allora perché?.,.

BORKMAN                          - (alzando le spalle): Mio Dio, Ella... Non posso rammen­tare cose di vent'anni fa. Ricordo solo che rielaboravo i miei progetti nella mente e mi sentivo come pensavo dovesse sen­tirsi un aeronauta. Nelle notti insonni, mi sembrava di gon­fiare un enorme pallone destinato a sorvolare un oceano violento e burrascoso.

ELLA RENTHEIM         - (sorride); Tu che non hai mai dubitato della vittoria?

BORKMAN                    - (spazientito): Ma l'uomo è fatto così, Ella. Dubita e crede, contemporaneamente, nella stessa cosa. (Guardando nel vuoto:) Ed è per questo che ho voluto far salire te e i tuoi averi sulla navicella del pallone.

ELLA RENTHEIM               - (facendosi attenta): Ma perché, perché? Dimmelo.

BORKMAN                    - (senza guardarla); Non si fa fare un simile viaggio, a ciò che si ha di più prezioso.

ELLA RENTHEIM         - La cosa più preziosa a bordo era la tua vita e il tuo futuro...

BORKMAN                          - Non sempre la vita è la cosa più preziosa che abbiamo.

ELLA RENTHEIM         - (in un soffio): Era questo che sentivi, allora?

BORKMAN                          - Credo di sì.

ELLA RENTHEIM         - Ero io, per te, la cosa più preziosa?

BORKMAN                    - Sì, così mi pare di ricordare.

ELLA RENTHEIM         - Eppure erano passati parecchi anni da quando mi avevi tradita sposandoti con... con un'altra!

BORKMAN                    - Tradita? Sai bene che vi fui costretto da motivi di ordine superiore... Senza la collaborazione di.,, quell'uomo, non avrei concluso nulla.

ELLA RENTHEIM         - (dominandosi): Dunque mi hai lasciata per... mo­tivi di ordine superiore.

BORKMAN                    - II suo aiuto mi era necessario, e tu eri il prezzo della sua collaborazione.

ELLA RENTHEIM               - E il prezzo glielo hai pagato. Interamente. Senza mercanteggiare.

BORKMAN                    - Non avevo scelta. Dovevo vincere o cadere.

ELLA RENTHEIM               - (guardandolo, e con voce tremula): E dici an­cora che, allora per te, ero la cosa più preziosa al mondo?

BORKMAN                          - Allora e dopo, ancora per molto tempo dopo...

ELLA RENTHEIM               - Ciò non toglie che tu mi abbia venduta, mer­canteggiando con un altro il tuo diritto d'amore. Hai barattato il mio amore per... un posto da direttore di banca.

BORKMAN                          - (rabbuiandosi): Era assolutamente necessario, Ella.

ELLA RENTHEIM         - (furibonda e fremente): Miserabile!

BORKMAN                          - (sobbalza, ma si domina): Mi è stato già detto.

ELLA RENTHEIM               - Oh, non alludo a quello che hai fatto contro le leggi del tuo paese! Cosa vuoi che m'importi dell'uso che hai fatto delle obbligazioni o delle azioni che ti erano state affidate!... Se avessi potuto starti vicino quando tutto ti rovi­nava addosso...

BORKMAN                          - (tutto teso): Allora, Ella?...

ELLA RENTHEIM               - Insieme a te avrei sopportato tutto. Ti avrei aiu­tato a sopportare tutto.,, la vergogna, la rovina... tutto.

BORKMAN                                     - Lo avresti fatto?

ELLA RENTHEIM               - Sì. Perché allora ignoravo il tuo nefando delitto.

BORKMAN                          - Delitto? Quale delitto?

ELLA RENTHEIM               - II delitto per il quale non c'è perdono.

BORKMAN                          - (guardandola fisso): Ma che dici?

ELLA RENTHEIM               - (avvicinandosi a lui): Sei un assassino! Hai com­messo il grande peccato mortale!

BORKMAN                          - (indietreggiando verso il pianoforte): Sei impazzita, Ella!

ELLA RENTHEIM               - Hai ucciso in me la vita d'amore. (Avvicinandosi a lui:) Sai cosa vuoi dire? La Bibbia parla di un misterioso peccato per il quale non esiste perdono. Finora non avevo capito di che peccato si potesse trattare. Ora lo so. Il grande peccato senza remissione consiste nell'uccidere una vita d'amore in un essere umano.

BORKMAN                          - Ed io ho commesso questo peccato?

ELLA RENTHEIM               - Sì! Prima di questa sera non avevo mai capito cosa esattamente mi era accaduto. Che tu mi abbandonassi, per andare con Gunhild l'avevo considerato come il risultato della tua incostanza e della sua abilità di donna calcolatrice. E credo di averti un po' disprezzato. Ma ora so che tu hai tradito la donna che amavi. Me! Me! Me! La cosa più preziosa. Ti sei reso colpevole di due omicidi! Hai assassinato la tua anima e la mia!

BORKMAN                          - (freddo e compassato): Come riconosco il tuo tempera­mento appassionato e indomabile, Ella! Ti è naturale conside­rare le cose in questo modo. Perché sei una donna e quindi per te non esiste nient'altro al mondo.

ELLA RENTHEIM               - No! Nient'altro!

BORKMAN                          - Solo le tue questioni di cuore e di sesso.

ELLA RENTHEIM               - Sì. Hai ragione, solo quelle!

BORKMAN                          - Ma ricordati che io sono un uomo. Come donna eri la cosa più preziosa che possedessi. Ma, quando è necessario, una donna può essere sostituita con un'altra...

ELLA RENTHEIM               - (gli sorride amaramente): Hai fatto questa espe­rienza quando hai sposato Gunhild?

BORKMAN                          - No. Ma lo scopo che avevo m'ha aiutato a sopportare anche questo. Volevo impadronirmi del potere economico di que­sto paese. Volevo possedere tutte le ricchezze che la terra, le foreste, le montagne, ì mari contengono... per il benessere di migliaia e migliaia dì esseri umani.

ELLA RENTHEIM               - (assorta nel ricordo): Ricordo. Si parlava spesso, dei tuoi progetti, la sera...

BORKMAN                          - Sì, con te potevo parlare, Ella.

ELLA RENTHEIM               - E io ti prendevo in giro e ti chiedevo se volevi risvegliare gli spiriti dormienti dell'oro.

BORKMAN                          - (annuendo): Ricordo questa espressione: (lentamente:) tutti gli spiriti dormienti dell'oro.

ELLA RENTHEIM               - Ma per te non era una burla. Mi dicevi: sì, Ella, è proprio questo che voglio.

BORKMAN                          - Era così infatti. Se avessi potuto salire ancora un altro scalino... Allora tutto dipendeva da quell'uomo. Poteva e voleva farmi avere quella posizione nella banca... a condizione che io, da parte mia..,

ELLA RENTHEIM               - Proprio così! A condizione che tu rinunciassi al­la donna che amavi... e che ti amava con tutto il cuore.

BORKMAN                          - Sapevo della sua passione per te e sapevo che solo a quella condizione...

ELLA RENTHEIM               - E tu accettasti.

BORKMAN                          - (con vivacità): Sì, accettai! Avevo una tale sete di potere, che accettai! Ho dovuto. Poi mi aiutò a salire verso le cime che volevo raggiungere. E salii, salii... salii sempre più in alto.

ELLA RENTHEIM         - Intanto io venivo cancellata dalla tua vita.

BORKMAN                          - Però poi mi ha ricacciato di nuovo nell'abisso. Per causa tua, Ella.

ELLA RENTHEIM               - (dopo un istante di meditazione): Borkman, non ti sembra che su noi gravasse una specie di maledizione?

BORKMAN                          - (guardandola): Una maledizione?

ELLA RENTHEIM               - Sì, non ti pare?

BORKMAN                          - (agitato): Sì. Ma perché?... (Interrompendosi:) Oh, Ella... fra poco non saprò più chi di noi abbia ragione... tu o io!

ELLA RENTHEIM               - Tu sei il colpevole. Sei tu che hai ucciso in me ogni gioia di vivere.

BORKMAN                          - (ansioso): Non dir questo, Ella!

ELLA RENTHEIM               - O almeno la gioia di vivere da donna. Da quando la tua immagine è cominciata a svanire dalla mia mente, ho vissuto una vita grigia. Durante questi anni la vita mi ha sempre più ripugnato, tanto che alla fine mi è diventato difficile amare una creatura vivente. Persone, animali o piante che fossero. Tranne...

BORKMAN                                     - Chi?...

ELLA RENTHEIM         - Erhart, naturalmente.

BORKMAN                          - Erhart?

ELLA RENTHEIM         - Erhart... tuo figlio, Borkman.

BORKMAN                    - Gli vuoi tanto bene?

ELLA RENTHEIM         - Perché l'avrei preso con me, se non per que­sto? Perché l'avrei tenuto con me finché mi è stato possibile?

BORKMAN                    - Credevo che tu lo facessi per carità. Come tutto il resto.

ELLA RENTHEIM         - (con violenta commozione): Per carità? La ca­rità è un sentimento del quale sono diventata incapace... da quando mi hai lasciata. Se un povero bambino intirizzito ed affamato chiedeva di mangiare, lasciavo che se ne occupasse la mia cuoca. Non sentivo il bisogno di farlo entrare in casa, di riscaldarlo alla mia stufa, di vederlo sfamarsi. Ricordo benissimo di non essere stata mai così in gioventù! Sei stato tu a creare il vuoto, il deserto in me ...e intorno a me!

BORKMAN                          - Eccetto Erhart.

ELLA RENTHEIM         - Sì, ad eccezione di tuo figlio, non sentivo niente per tutti gli altri. Tu mi hai privato delle gioie materne ed anche delle pene e delle lacrime materne. E questa è stata, forse, la perdita più crudele.

BORKMAN                          - Davvero, Ella?

ELLA RENTHEIM         - Chissà. Forse le pene e le lacrime materne era­no le cose di cui avevo maggior bisogno. (Con crescente com­mozione;) Ma non potevo rassegnarmi! Perciò mi presi Erhart. Ho conquistato interamente il suo cuore di fanciullo, sincero e fiducioso... fino a che... oh!

BORKMAN                          - Finché?...

ELLA RENTHEIM         - Finché sua madre... la madre carnale... me l'ha ripreso.

BORKMAN                    - Doveva lasciarti. Doveva tornare qui, in città.

ELLA RENTHEIM         - (torcendosi le mani): Sì, ma io non posso sop­portare la solitudine! Il vuoto! La perdita del suo affetto!

BORKMAN                          - (con un'espressione cattiva nello sguardo): Uhm!... Non l'hai perduto, Ella. Quella che abita di sotto, al pianterreno, non conosce l'arte dì conquistare i cuori.

ELLA RENTHEIM         - Ho perduto Erhart. O lo ha riconquistato lei o un'altra. L'ho capito dalle lettere che mi scrive ogni tanto.

BORKMAN                    - Ma allora sei qui per riprendertelo?

ELLA RENTHEIM         - Sì, se è possibile.

BORKMAN                    - È possibile, se tu lo vuoi. Hai su di lui il più grande, il più importante diritto.

ELLA RENTHEIM         - Oh! Il diritto! Che importanza ha qui un diritto? Se egli non verrà spontaneamente non sarà mai mio. Ed io vo­glio avere tutto il suo cuore, da sola.

BORKMAN                    - Ormai Erhart ha più di vent'anni. Non potrai avere per molto tempo tutto il suo affetto.

ELLA RENTHEIM         - (con un triste sorriso): Non durerebbe a lungo.

BORKMAN                    - No? Pensavo che volessi tenerlo con te fino alla tua morte.

ELLA RENTHEIM         - Proprio cosi. E non è escluso che debba arri­vare molto presto.

BORKMAN                          - (colpito); Che cosa vuoi dire?

ELLA RENTHEIM         - La mia salute non è stata affatto buona in questi ultimi anni.

BORKMAN                          - Davvero?

ELLA RENTHEIM         - Non lo sapevi?

BORKMAN                          - No, veramente...

ELLA RENTHEIM         - (guardandolo sorpresa): Erhart non te l'ha detto?

BORKMAN                          - Non ricordo...

ELLA RENTHEIM         - Non ti ha mai parlato di me, forse?

BORKMAN                          - Penso di no. D'altronde lo vedo rarissimamente. Quasi mai. C'è qualcuno, giù, al pianterreno che lo tiene lontano da me. Molto lontano, capisci?

ELLA RENTHEIM         - Sei sicuro, Borkman?

BORKMAN                          - Sì, certo. (Cambiando discorso:) Dunque sei stata ma­lata, Ella?

ELLA RENTHEIM         - Sì. E dallo scorso autunno mi sono aggravata tanto che son dovuta venire qui per consultare degli specialisti.

BORKMAN                          - Li hai già consultati?

ELLA RENTHEIM         - Sì, questa mattina.

BORKMAN                    - E cosa t'han detto?

ELLA RENTHEIM         - Mi hanno confermato ciò che sospettavo da molto tempo...

BORKMAN                                     - Cioè?

ELLA RENTHEIM               - (con calma e semplicità): Soffro dì un male in­curabile, Borkman.

BORKMAN                          - Oh, no, Ella!

ELLA RENTHEIM         - È un male inesorabile e non c'è più niente da fare. Non c'è alcun rimedio, né si può arrestarne il corso. Pos­sono soltanto alleviarmi un po' il dolore. Ed è già qualcosa.

BORKMAN                    - Oh, ma potrà durare anche molto tempo... credimi.

ELLA RENTHEIM               - Al massimo durerà tutto l'inverno, mi hanno detto.

BORKMAN                          - (senza riflettere): Be'... l'inverno è lungo, dopotutto.

ELLA RENTHEIM         - (sottovoce): Comunque abbastanza lungo per me.

BORKMAN                    - (vivamente, per distrarla): Ma come hai preso una si­mile malattia? Tu hai sempre condotto una vita sana e regolare!... Come mai?

ELLA RENTHEIM         - (guardandolo): I medici pensano che abbia subito delle forti emozioni,

BORKMAN                          - (irritandosi): Emozioni? Ah! Capisco! Sono io il col­pevole!

ELLA RENTHEIM         - (sempre più turbata): È troppo tardi per discu­tere di queste cose! Ma, prima di morire, rivoglio il figlio de] mio cuore! È triste pensare che dovrò abbandonare tutto... la vita... la luce... l'aria... senza lasciare su questa terra qualcuno che mi ricordi con tenerezza e malinconia... come un figlio si ricorda della madre che ha perduto.

BORKMAN                    - (dopo un breve silenzio): Prenditelo, Ella... se puoi riconquistarlo.

ELLA RENTHEIM         - (rianimandosi): Mi dai il permesso? Davvero?

BORKMAN                    - (tetro): Sì. Non è un gran sacrificio. Non conto niente per lui.

ELLA RENTHEIM         - Grazie! Grazie lo stesso!... Ma devo chiederti un'altra cosa. È molto importante per me, Borkman.

BORKMAN                          - Di che si tratta?

ELLA RENTHEIM         - Forse per te è puerile... forse non mi capirai...

BORKMAN                          - Ma parla, dunque!

ELLA RENTHEIM         - Quando morirò, fra non molto, lascerò un di­screto patrimonio...

BORKMAN                          - Sì.

ELLA RENTHEIM         - E avrei l'intenzione di lasciare tutto ad Erhart.

BORKMAN                    - Sì, infatti non hai altri parenti prossimi.

ELLA RENTHEIM               - (con calore): Sì, nessuno mi è più prossimo di lui.

BORKMAN                    - Nessuno. Sei l'ultima della tua famiglia.

ELLA RENTHEIM         - (annuendo lentamente): Appunto. Alla mia mor­te... morirà con me anche il nome dei Rentheim. Questo mi rat­trista molto. Sparire... persino col nome...

BORKMAN                          - (sobbalzando): Ah!... Ora capisco dove vuoi arrivare!

ELLA RENTHEIM         - (con passione): Fa che Erhart porti il mio nome, dopo la mia morte.

BORKMAN                    - (guardandola duramente): Ho capito. Vuoi che mio fi­glio non si vergogni di portare il nome di suo padre: questa è la verità.

ELLA RENTHEIM         - Affatto! Io sarei stata fiera e felice di portare il tuo nome! Ma una madre che sta per morire... Un nome è un legame più forte di quel che pensi, Borkman.

BORKMAN                          - (freddamente e con fierezza): D'accordo, Ella. Sono uomo da portarlo da solo, il mio nome.

ELLA RENTHEIM         - (gli prende e stringe le mani): Grazie, grazie! Ora tutto è in regola tra noi. Sì, sì, è così. Adesso hai riparato i tuoi errori. Alla mia morte ci sarà Erhart Rentheim che sopravviverà.

(Si spalanca la porta mascherata e la signora Borkman appare con in testa l'ampio scialle nero.)

SIGNORA BORKMAN       - (violentemente indignata): Erhart non si chia­merà mai così!

ELLA RENTHEIM               - (indietreggiando): Gunhild!

BORKMAN                    - (duro e minaccioso): Non hai il diritto di salire qui da me!

SIGNORA BORKMAN       - (avanzando di qualche passo): È un diritto che io mi prendo.

BORKMAN                          - (andandole incontro): Cosa vuoi?

SIGNORA BORKMAN   - Voglio lottare per te. Proteggerti contro le forze del male.

ELLA RENTHEIM         - Le peggiori forze del male sono dentro di te, Gunhild.

SIGNORA BORKMAN       - (duramente): Credi quel che vuoi. (Minacciando a braccio teso:) Ma sappilo... porterà il nome di suo padre! E lo porterà con orgoglio, e gli restituirà l'onore! E io sola sono sua madre! Io sola! E il cuore di mio figlio apparterrà a me! A me e a nessun'altra! (Esce dalla porta mascherata nella tappez­zeria chiudendosela alle spalle.)

ELLA RENTHEIM               - (sconvolta): Borkman!... Erhart è destinato a soc­combere fra queste tempeste! È necessario che tu e Gunhild vi accordiate. Scendiamo subito da lei.

BORKMAN                          - (guardandola): Anch'io?

ELLA RENTHEIM         - Sì, anche tu.

BORKMAN                          - (crollando la testa): È dura Gunhild. Dura come il mi­nerale che sognavo di strappare alle montagne.

ELLA RENTHEIM               - Ebbene: provaci ora! (Borkman tace e la guarda esitando).

Sipario

ATTO TERZO

Salone dell'appartamento della signora Borkman. La lampada è ancora accesa sul tavolino davanti al divano. La signora Borkman con lo scialle in testa e quasi sconvolta dall'ira', entra dalla porta dell'atrio, si avvicina alla finestra e ne scosta un poco le tende, quindi va a sedersi accanto alla stufa, ma, poco dopo, si alza di scatto e va a tirare il cordone del campanello. Aspetta un po', ìn piedi, vicino al divano. Nessuno viene e tira nuovamente il cordone con maggiore energia. Un momento dopo, dalla porta dell'atrio, entra la cameriera, con aria indispettita e sonnolenta: è evidente che deve essersi vestita in fretta.

SIGNORA BORKMAN       - (spazientita); Dov'era, Malene? Ho suonato due volte!

CAMERIERA                       - Sì. signora. Ho sentito.

SIGNORA BORKMAN   - E perché non è venuta subito?

CAMERIERA                       - (in tono sgarbato): Dovevo pur mettermi addosso qualcosa.

SIGNORA BORKMAN   - Bene. Si vesta meglio e vada a cercare mio figlio.

CAMERIERA                       - (guardandola stupita): Devo andare a cercare il signor Erhart?

SIGNORA BORKMAN       - Sì, e gli dirà di tornare subito. Devo parlargli.

CAMERIERA                       - (facendo una smorfia): Allora sarà meglio che vadaprima a svegliare il cocchiere,

SIGNORA BORKMAN       - Perché?

CAMERIERA                 - Perché attacchi la slitta. Con la neve che c'è sta­sera!...

SIGNORA BORKMAN       - Non è necessario. Si sbrighi; è qui vicino, ap­pena svoltato l'angolo.

CAMERIERA                 - Ma no, signora. Non è qui vicino...

SIGNORA BORKMAN   - Come, non sa dove abita l'avvocato Hinkel?

CAMERIERA                       - (beffarda): Toh! È là che si trova il signor Erhart questa sera?

SIGNORA BORKMAN       - (stupita): Perché, dove dovrebbe stare? cameriera     - (sorridendo): Oh, pensavo che fosse dove va tutte le sere.

SIGNORA BORKMAN       - Cioè dove?

CAMERIERA                 - Da quella signora Wilton, così mi pare si chiami.

SIGNORA BORKMAN   - Dalla signora Wilton? Ma mio figlio non ci va così spesso.

CAMERIERA                       - (fra i denti): Ho sentito dire che ci resta la notte...

SIGNORA BORKMAN       - Pettegolezzi! Comunque vada dagli Hinkel e avverta mio figlio.

CAMERIERA                       - (alzando le spalle): Vado... Vado...

(Si avvicina alla porta dell'atrio che in quel momento si spa­lanca. Sulla soglia appaiono Borkman e Ella Renthetm. )

SIGNORA BORKMAN   - (indietreggia di un passo): Cosa vuoi dire questo?

cameriera                            - (spaventata, congiunge istintivamente le mani): Gesù mio!...

SIGNORA BORKMAN       - (sottovoce alla cameriera): Gli dica di venire immediatamente!

CAMERIERA                       - (sottovoce): Va bene, signora!

(Ella Rentheim, seguita da Borkman, entra nel salone. La ca­meriera scivola alle loro spalle ed esce chiudendo la porta. Breve silenzio-)

SIGNORA BORKMAN       - (diventata calma, volgendosi ad Ella): Cosa vuole quest'uomo?

ELLA RENTHEIM         - Vuole accordarsi con te, Gunhild.

SIGNORA BORKMAN       - Non l'ha mai fatto, finora.

ELLA RENTHEIM               - Lo fa ora.

SIGNORA BORKMAN   - L'ultima volta che ci siamo trovati di fron­te... fu in tribunale. Chiamata per dare delle spiegazioni...

BORKMAN                    - (venendo innanzi): E questa sera sarò io a darne.

SIGNORA BORKMAN     - (guardandolo): Tu?!

BORKMAN                          - Non sul mio operato. Lo conoscono tutti.

SIGNORA BORKMAN   - (con un sorriso amaro): Questo è verissimo. Lo conoscono tutti.

BORKMAN                    - Già, però nessuno sa il motivo per cui l'ho fatto. Do­vevo farlo. La gente non capisce che vi ero costretto, perché ero... ero John Gabriel Borkman... e non un altro. Su questo cercherò di darti delle spiegazioni.

SIGNORA BORKMAN   - (scuotendo il capo): È inutile. Gli impulsi o le ispirazioni non scusano.

BORKMAN                    - Però possono scusarci davanti a noi stessi.

SIGNORA BORKMAN       - (respinge l'idea con un gesto della mano): Oh, lascia perdere. Ho riflettuto abbastanza su queste tue oscure faccende.

BORKMAN                          - Anch'io. Durante quei cinque interminabili anni di pri­gione ho avuto tempo di riflettere. Per non parlare poi di que­sti otto anni trascorsi lassù, nel salone. Ho esaminato la cosa sotto l'aspetto giuridico. Sono stato il mio accusatore, il mio difensore e il mio giudice. Imparziale più di chiunque altro, posso ben dirlo. Passeggiando nel salone, ho esaminato, a fondo ogni mia azione, girandola e rigirandola, senza indulgenza, come un avvocato. E il verdetto a cui sono pervenuto, volta per volta, è questo: che se colpa c'è stata, è stata solo contro me stesso.

SIGNORA BORKMAN       - E contro di me? E contro tuo figlio?

BORKMAN                    - Quando dico me stesso, voi siete compresi.

SIGNORA BORKMAN   - E quelle centinaia di altre persone che avre­sti rovinato, a quanto si dice?

BORKMAN                    - (più animato): Avevo il potere! E in me vi era una irresistibile vocazione. I milioni imprigionati nel paese, ne! cuore delle montagne mi chiamavano, gridavano di metterli in libertà. Nessun altro li udiva, io solo!

SIGNORA BORKMAN   - Sì, per disonorare il nome dei Borkman.

BORKMAN                    - Chissà se altri, avendo il potere, avrebbero agito come me.

SIGNORA BORKMAN       - Nessun altro!

BORKMAN                    - Può darsi. Ma soltanto perché nessuno aveva le mie capacità. E se avessero agito come me, non si sarebbero pre­fissi gli stessi scopi. Le loro operazioni sarebbero state diverse... Insomma... io mi sono assolto.

ELLA RENTHEIM               - (dolcemente, in tono di preghiera): Oh, Borkman, puoi dirlo con tutta onestà?

BORKMAN                    - (annuendo con la testa): Da quella colpa mi sono as­solto. Ma ora ho rivolto contro di me un'altra accusa grave e schiacciante.

SIGNORA BORKMAN       -  Quale?

BORKMAN                    - Ho perduto, a passeggiare là dì sopra, otto anni pre­ziosi della mia vita. Dal primo giorno di libertà, avrei dovuto riaccostarmi alla realtà... alla dura realtà che non conosce sogni! Avrei dovuto ricominciare da capo e innalzarmi nuovamente verso le cime... sempre più in alto... più in alto di prima... no­nostante il passato.

SIGNORA BORKMAN       - Oh, avresti rivissuto la stessa vicenda... cre­dimi!

BORKMAN                          - (scuote la testa e la guarda con aria professorale): Non si ripete mai lo stesso evento. È l'occhio che trasforma l'azione. L'occhio rigenerato trasforma la vecchia azione. (Interrompen­dosi:) Ma tu non puoi capire queste cose.

SIGNORA BORKMAN       - (seccamente): Certo. Non posso capirle.

BORKMAN                    - Ecco la maledizione; non ho mai trovato compren­sione in nessuno.

ELLA RENTHEIM               - (guardandolo): In nessuno, Borkman?

BORKMAN                    - Una volta... forse. Tanto tempo fa. Quando credevo di non avere alcun bisogno di comprensione. In seguito, più nes­suno! Nessuno che stesse attento a chiamarmi... a suonare l'al­larme... a incoraggiarmi a riprendere con fiducia il lavoro... E ad assicurarmi che noi avevo commesso nulla d'irreparabile.

SIGNORA BORKMAN       - (con un riso sprezzante): Dunque, hai bisogno che qualcuno ti inciti?

BORKMAN                          - (in preda alla collera): Sì, quando tutti in coro mi gri­dano che sono irrimediabilmente perduto, ho dei momenti di sconforto e quasi vi credo anch'io. (Alzando H capo:) Ed è al­lora che la mia coscienza si rialza trionfante e mi assolve.

SIGNORA BORKMAN   - (guardandolo duramente): Perché non l'hai mai cercata da me, ciò che tu chiami comprensione?

BORKMAN                    - Sarebbe servito a qualcosa... se fossi venuto a cercarla da te?

SIGNORA BORKMAN   - (eludendo la domanda, con un gesto della mano): Hai amato sempre e solo te stesso... ecco la verità.

BORKMAN                          - (fieramente): Ho amato il potere...

SIGNORA BORKMAN       - Sì, il potere!

BORKMAN                          - ...il potere di creare la felicità umana intorno a me.

SIGNORA BORKMAN       - L'hai avuto il potere di rendermi felice... tene sei forse servito?

BORKMAN                          - (senza guardarla): Qualcuno si deve pur sacrificare...

SIGNORA BORKMAN   - E per tuo figlio? Ti sei forse servito del tuopotere per renderlo felice?

BORKMAN                          - Mio figlio!... Nemmeno Io conosco!

SIGNORA BORKMAN   - È vero, nemmeno lo conosci.

BORKMAN                          - (con durezza): Hai cercato di renderlo felice... tu, sua madre?

SIGNORA BORKMAN       - (guardandolo con superiorità): Oh, tu non im­magini neppure cos'altro ho fatto!

BORKMAN                          - Tu?

SIGNORA BORKMAN       - Sì, IO. Da Sola.

BORKMAN                          - Cosa?

SIGNORA BORKMAN       - Ho provveduto alla tua buona memoria.

BORKMAN                    - (ridacchiando): Alla mia memoria? To'! Parli come se fossi già morto!

SIGNORA BORKMAN       - (con forza): Infatti...

BORKMAN                    - (lentamente): Forse hai ragione. (Scattando:) Ma no! Non ancora. Anche se ci sono stato vicino. Ma mi sono sve­gliato. Mi sono ripreso. Ho ancora un futuro. Mi sta aspettan­do. E sarà brillante, vedrai. Anche tu lo vedrai.

SIGNORA BORKMAN       - (alzando il braccio): Non sognare più la vita. Resta là, dove meriti di stare!

ELLA RENTHEIM               - (sdegnata): Gunhild!... Gunhild!... Come puoi...?

SIGNORA BORKMAN       - (senza ascoltarla): Innalzerò un monumento sul­la tua tomba.

BORKMAN                          - Una stele infamante?...

SIGNORA BORKMAN       - (con crescente commozione): Oh, no, non sarà un monumento di pietra o di metallo. E nessuno vi inciderà scritte dì disprezzo. La tua tomba verrà tutta circondata da al­beri e da piante sempreverdi. E ricopriranno tutto il tuo foscopassato. E l'oblio scenderà su John Gabriel Borkman.

BORKMAN                    - (con voce vaca e tagliente): £ questa l'opera di carità che vuoi compiere?

SIGNORA BORKMAN   - Non da sola; non ce la farei. Ma ho chi mi aiuterà e consacrerà la sua vita a questo compito. La sua vita sarà pura, nobile e luminosa in modo da cancellare la tua buia vita dal ricordo dei vivi.

BORKMAN                    - (scuro e minaccioso): Se è Erhart, fa pure il suo nome.

SIGNORA BORKMAN   - (guardandolo negli occhi): Sì, è Erhart... mio  figlio. Quel figlio cui tu hai rinunciato, in espiazione delletue colpe,

BORKMAN                          - (lanciando uno sguardo ad Ella): In espiazione del mio più grave delitto.

SIGNORA BORKMAN       - (respingendo l'idea): Una colpa verso unti per­sona estranea! È verso di me che hai delle colpe! (Guardandoli ambedue dall'alto in basso:) Erhart non vi ascolterà! Quando invece io lo chiamerò, egli accorrerà. Perché vuole stare sola­mente con me. Con me e con nessun altro... (Tende l'orecchio e poi grida:) Eccolo... lo sento! È Erhart che viene! (Erhart Borkman apre violentemente la porta dell'atrio e entra nel salone, con cappotto e cappello. )

ERHART                        - (pallido e inquieto): Per amor di Dio, mamma, cosa c'è? (Scorge Borkman che è in piedi presso la porta della sala di fondo; trasale e si toglie il cappello. Tace un istante, poi chie­de:) Che cosa vuoi, mamma? Che cosa è successo?

SIGNORA BORKMAN       - (tendendogli le braccia): Volevo vederti, Erhart!Voglio averti vicino... per sempre!

ERHART                               - (balbettando): Vicino?... Per sempre? Non capisco.

SIGNORA BORKMAN       - Vicino, vicino a me ti voglio! Perché voglionoportarti via da me!

ERHART                               - (indietreggiando di un passo): Ah!... Dunque lo sai!

SIGNORA BORKMAN   - Sì. Ma tu, come lo sai?

ERHART                               - (la guarda sorpreso): Come lo so? Ma si, naturalmente...

SIGNORA BORKMAN       - Ah! Mi si è tesa una trappola! Alle spalle!Erhart! Erhart!

ERHART                               - (speditamente): Che cosa sai, mamma? Dimmelo!

SIGNORA BORKMAN       - So tutto. So che tua zia è venuta qui pertoglierti a me.

ERHART                               - Zia Ella!

ELLA RENTHEIM               - Oh, Erhart, ascoltami!

SIGNORA BORKMAN   - Vuole che io ti ceda a lei. Vuole esserti ma­dre, Erhart! Vuole che tu sia figlio suo, e nori mio. Ti vuoi far erede dei suoi averi. E vuole che tu lasci il tuo nome per assumere il suo!

ERHART                               - È vero, zia Ella?

ELLA RENTHEIM               - Sì, è Vero.

ERHART                        - Ma non sapevo niente di tutto questo. Perché mi rivuoi con te?

ELLA RENTHEIM               - Perché ho il presentimento che, se resti qui, io ti perderò.

SIGNORA BORKMAN       - (con durezza): Lo hai già perduto. Perchéio te l'ho ripreso!

ELLA RENTHEIM         - (lo guarda, supplice): Non posso perderti, Erhart. Sappi che sono sola e... in fin di vita.

ERHART                        - In fin dì vita?...

ELLA RENTHEIM         - Vuoi startene con me, fino alla mia morte? Dedicarti a me completamente? Vuoi essere per me come un figlio?...

SIGNORA BORKMAN       - (interrompendola): ...e abbandonare la tua ve­ra madre e, forse, anche la tua missione? Vuoi questo, Erhart? erhart           - (con calore): Sei stata molto buona con me, zia Ella. Grazie a te ho avuto una infanzia felice e spensierata come nessun altro bambino...

SIGNORA BORKMAN       - Erhart! Erhart!

ELLA RENTHEIM         - Che gioia sarebbe per me se tu potessi rivivere quei tempi!

ERHART                               - ...ma non posso dedicarmi a te, ora. Non posso farlo così completamente, fino a essere un figlio, per te...

SIGNORA BORKMAN   - (trionfante): Ah! Ne ero certa! Non lo avrai!Non Io avrai, Ella!

ELLA RENTHEIM         - (con tristezza): Lo vedo: me l'hai ripreso.

SIGNORA BORKMAN       - Sì, sì... è mio. Sarà sempre mio! È vero, Erhart?... Dimmi che abbiamo ancora da fare un lungo cam­mino, noi due.

ERHART                        - (in lotta con se stesso): Mamma... è meglio che te lo dica subito...

SIGNORA BORKMAN       - (tutta tesa): Che cosa?

ERHART                        - II cammino che farò con te, mamma, non sarà molto lungo.

SIGNORA BORKMAN       - (come distrutta): Che vorresti dire?

ERHART                        - (facendosi forza): Dio mio, mamma... sono giovane, do­potutto! Quest'aria di rinchiuso mi soffoca.

SIGNORA BORKMAN       - Qui!... Da me!...

ERHART                        - Sì, mamma, qui da te.

ELLA RENTHEIM         - Allora vieni con me, Erhart!

ERHART                        - Vedi, zia Ella. Qui o da te sarebbe la stessa cosa. Cam­bia soltanto Io stile che non è certo migliore. Almeno per me. C'è un odore di rose appassite e di lavanda... un odore di rinchiuso proprio come qui!

SIGNORA BORKMAN       - (turbata ma dominandosi): Odore di rinchiusoqui, in casa di tua madre?

ERHART                               - (spazientendosi sempre più): Non trovo espressione più appropriata. Questa premura morbosa... questa idolatria... Non la sopporto più!

SIGNORA BORKMAN       - (guardandolo con gravita): Dimentichi la tua missione, Erhart?

ERHART                        - (prorompendo): Oh! Di piuttosto la « tua » missione. Ti sei sempre sostituita alla mia volontà. Non mi hai per­messo di averne una mia! Sono stufo di questo giogo! Sono giovane, mamma! Ricordalo! (Con un'occhiata di deferente os­sequio verso Borkman.) Non posso sacrificarmi per espiare le colpe di un altro. Chiunque egli sia.

SIGNORA BORKMAN       - (presa da crescente angoscia): Chi ti ha tra­sformato così, Erhart?

ERHART                               - (impressionato): Chi?.., Non potrei essere io che...

SIGNORA BORKMAN   - No, no, no! Hai subito influenze estranee. Non sei più sotto quella di tua madre. Nemmeno sotto quel-la di... della tua madre adottiva.

ERHART                               - (vedutamente testardo): Sono sotto la «mia» influenza, mamma. Non obbedisco che alla mia volontà.

BORKMAN                    - (avvicinandosi al figlio); Forse è venuto il mio mo­mento.

ERHART                        - (freddo e compassato): Come? Cosa vuoi dire mio padre?

SIGNORA BORKMAN   - (con disprezzo): Me Io sto chiedendo anch'io.

BORKMAN                          - (continuando senza turbarsi): Ascolta, Erhart,.. Vuoi seguirmi? Un uomo caduto non può essere riabilitato dalla condotta di un altro. Questo è quanto ti hanno dato ad inten­dere qui... in quest'odore di rinchiuso. Ebbene, anche se tu vivessi una vita da santo... non mi gioveresti in nulla.

ERHART                        - (misurato e rispettoso): È vero.

BORKMAN                          - E nemmeno mi gioverebbe se io mi consumassi nella penitenza e nella costrizione. Ho cercato di sollevarmi me­diante sogni e speranze, ma non è servito a nulla. Ed ora voglio affrontare la realtà.

ERHART                               - (inchinandosi leggermente): E che cosa intende fare, mio padre?

BORKMAN                    - Voglio ricominciare da capo. È solo con il suo pre­sente e con il suo avvenire che un uomo può far dimenticare il suo passato. Voglio tornare a lavorare... lavorare a quell'opera che mi proponevo in gioventù e che era Io scopo della mia vita, allora, e che oggi lo è mille volte di più. Erhart... vuoi aiutarmi in quest'opera di ricostruzione?

SIGNORA BORKMAN       - (scongiurandolo con un gesto della mano): Non farlo, Erhart!

ELLA RENTHEIM               - (calorosamente): Sì, sì, fallo Erhart; aiutalo!

SIGNORA BORKMAN       - Questo gli consigli? Tu... la solitària!... La moribonda !

ELLA RENTHEIM         - Per me è lo stesso.

SIGNORA BORKMAN       - Certo. Purché non sia io a portartelo via.

ELLA RENTHEIM               - Proprio così, Gunhild,

BORKMAN                          - Allora, Erhart ?

ERHART                               - (in imbarazzo): Babbo... non posso, adesso. Mi è im­possibile.

BORKMAN                          - Ma allora, cosa vuoi fare?

ERHART                        - (con foga): Sono giovane e voglio vivere! Vivere la mia vita!

ELLA RENTHEIM         - Non puoi sacrificare due mesi per illuminare una povera vita che si spegne?

ERHART                               - Non posso zia, anche se Io vorrei.

ELLA RENTHEIM         - Nemmeno per me che ti amo più di ogni ai-tra cosa al mondo?

ERHART                        - Quant'è vero Dio, zia Ella... non posso.

SIGNORA BORKMAN   - (con uno sguardo caustico): Neppure io pos­so più trattenerti, ormai?

ERHART                               - Ti vorrò sempre bene, mamma, ma non me la sento di vi­vere per te sola. Non è vita per me quella che trascorrerei qui al tuo fianco.

BORKMAN                    - Vieni con me, allora! Perché vivere significa lavo­rare, Erhart. Vieni, vivremo e lavoreremo insieme!

ERHART                        - (con passione): Ma non voglio lavorare adesso! Sono giovane! Non me n'ero mai accorto finora. Ma ora sento un fuoco nelle vene. Non voglio lavorare! Voglio soltanto vi­vere ! Vivere ! Vivere !

SIGNORA BORKMAN   - (con un presentimento): Ma, Erhart... qual è il tuo scopo?

ERHART                               - (con gli occhi lucenti): La felicità, mamma!

SIGNORA BORKMAN       - E dove credi di trovarla?

ERHART                               - L'ho già trovata!

SIGNORA BORKMAN       - (con un grido): Erhart!

(Erhart corre alla porta dell'atrio e la spalanca.)

ERHART                               - (chiamando): Fanny... puoi entrare, adesso.

(La signora Wilton, in cappotto e cappello, appare sulla soglia.)

SIGNORA BORKMAN       - (sollevando le braccia): La signora Wilton!...

SIGNORA WILTON       - (un po' imbarazzata, interroga Erhart con lo sguardo): Allora, posso?...

ERHART                        - Sì, entra. Ho detto tutto.

(La signora Wilton entra nel salone. Erhart chiude la porta alle sue spalle. Ella saluta cerimoniosamente Borkman, che le ren­de il saluto in silenzio. Breve silenzio generale.)

SIGNORA WILTON       - (a voce bassa, ma decisa): Dunque sapete tut­to. E capisco che mi considerate come la causa delle vostre disgrazie.

SIGNORA BORKMAN   - (lentamente, con lo sguardo fisso su di lei): Lei ha distrutto le mie ultime ragioni di vivere. (Con un gri­do.) Ma questo è... questo è impossibile!

SIGNORA WILTON       - Capisco come ciò le debba sembrare impossi­bile, signora Borkman.

SIGNORA BORKMAN       - Lei stessa si deve rendere conto che è ìmpossibile. Non è vero?

SIGNORA WILTON            - Anzi dico che è addirittura assurdo. Però è così

SIGNORA BORKMAN       - (voltandosi): È la tua ultima parola, Erhart?

ERHART                        - Per me è la felicità, mamma. È la più grande felicità della vita. Non so dirti altro.

SIGNORA BORKMAN   - (alla signora Wilton, con i pugni chiusi). Ohcome me l'ha abbindolato, sedotto, il mio povero ragazzo!

SIGNORA WILTON       - (alzando fiera la lesta): Non ho fatto niente di tutto questo!

SIGNORA BORKMAN       - Nulla, eh?

SIGNORA WILTON       - Non l'ho abbindolato, né lo ho sedotto. È ve­nuto a me spontaneamente. E spontaneamente gli sono andata incontro fino a metà strada.

SIGNORA BORKMAN       - (guardandola dall'alto in basso, con disprez­zo): Lei, sì! Non ho dubbi.

SIGNORA WILTON            - (calma): Signora Borkman... nella vita umanavi sono delle forze che lei sembra ignorare.

SIGNORA BORKMAN       - Forze?... Quali forze?

SIGNORA WILTON            - Quelle che obbligano due esseri ad unire per sempre i loro destini... senza alcun riguardo per gli altri.

SIGNORA BORKMAN       - (sorridendo): La credevo già unita per sem­pre... ad un altro.

SIGNORA WILTON       - (subito): Quell'altro mi ha abbandonata.

SIGNORA BORKMAN       - Sì, però si dice che sia ancora vivo.

SIGNORA WILTON            - Per me è morto.

ERHART                        - (insistendo): Sì, mamma, per Fanny è morto. E poi diquell'altro non m'importa niente.

SIGNORA BORKMAN       - (guardandolo severamente): Dunque sei a co­noscenza... di quell'altro?

ERHART                               - Sì, mamma. So tutto.

SIGNORA BORKMAN       - E ciononostante non t'importa!

ERHART                               - (evitando la questione): Voglio solo la felicità! Sono giovane! E voglio vivere, vivere, vivere!

SIGNORA BORKMAN   - Sì, sei giovane Erhart. Troppo giovane per certe cose.

SIGNORA WILTON       - (con fermezza e gravita): Mi creda, signora Borkman, anch'io gli ho detto così. Gli ho detto tutto della mia vita. E più di una volta gli ho ricordato di avere sette anni più di luì...

ERHART                               - ( interrompendola ) : Ma via ! Fanny... lo sapevo.

SIGNORA WILTON       - ...ma non è servito a niente... proprio a niente.

SIGNORA BORKMAN       - Proprio a niente? Perché non l'ha respinto proibendogli di venire in casa? Questo doveva fare!

SIGNORA WILTON       - (guardandola e abbassando la voce): Non po­tevo, signora Borkman.

SIGNORA BORKMAN       - E perché?

SIGNORA WILTON            - Perché Erhart è per me la felicità, la felicità.

SIGNORA BORKMAN       - (sprezzante): Uhm!... la felicità, la felicità...

SIGNORA WILTON       - Non l'avevo mai conosciuta finora. E non pos­so respingerla solo perché mi è giunta in ritardo.

SIGNORA BORKMAN       - E quanto tempo durerà, secondo lei, questafelicità?

ERHART                               - (interrompendo): Che duri molto o poco... non m im­porta, mamma!

SIGNORA BORKMAN       - (adirata): Cieco! Non vedi dove finirai?

ERHART                               - Non mi preoccupa l'avvenire. Non guardo da nessuna parte! Voglio soltanto vivere anch'io la mia vita!

SIGNORA BORKMAN       - (dolorosamente): E tu la chiami vita questa, Erhart?

ERHART                               - Ma non vedi quanto è bella?

SIGNORA BORKMAN       - (torcendosi le mani): Anche questa vergogna!

BORKMAN                          - (dal fondo della stanza con tono duro e mordace): Oh, sei ormai abituata a sopportare queste vergogne, Gunhild!

ELLA RENTHEIM               - (supplichevole): Borkman!...

ERHART                               - (come sopra): Babbo!...

SIGNORA BORKMAN       - E dovrò vedere ogni giorno mio figlio insie­me ad una... una...

ERHART                               - (interrompendola bruscamente): Non temere, mamma. Non vedrai mai niente. Non resterò qui.

SIGNORA WILTON            - (pronta e decisa): Partiremo, signora Borkman. signora

BORKMAN                          - (impallidendo): Anche lei parte? Insieme!

SIGNORA WILTON            - (annuendo): Vado a Sud, all'estero. Con una mia giovane protetta. Ed Erhart ci accompagna.

SIGNORA BORKMAN   - Ed Erhart accompagna lei e la sua protetta?

SIGNORA WILTON            - Sì, è la piccola Frida Foldal. Voglio che si perfezioni nello studio della musica.

SIGNORA BORKMAN       - Perciò la conduce con sé?

SIGNORA WILTON            - Certo, non posso lasciar sola quella ragazza.

SIGNORA BORKMAN       - (reprimendo un sorriso): Tu che ne dici,Erhart?

ERHART                        - (un po' confuso, alzando le spalle): Mamma... se Fanny vuole così, io...

SIGNORA BORKMAN       - (freddamente): E a quando la partenza? Si può sapere?

SIGNORA WILTON            - Subito. Questa notte stessa. La mia slitta è già in strada... davanti alla casa degli Hinkel.

SIGNORA BORKMAN       - (squadrandola dall'alto in basso): Ah, era una festa!

SIGNORA WILTON       - (sorridendo): Eravamo solo Erhart ed io. E la piccola Frida, naturalmente.

SIGNORA BORKMAN       - E dov'è Ora?

SIGNORA WILTON       - È giù nella slitta, ci sta aspettando.

ERHART                                         - (molto imbarazzato): Mamma... volevo risparmiarti questa scena... a te e agli altri..,

SIGNORA BORKMAN       - (lo guarda profondamente offesa): E volevi lasciarmi così, senza salutarmi?

ERHART                               - Sì, mi pareva che fosse meglio così. Meglio per tutti Tutto era pronto. Le valigie fatte. Ma poi la cameriera è ve­nuta a cercarmi, e allora... (Le tende le mani.) Addio, mamma

SIGNORA BORKMAN       - (respingendolo col gesto): Non toccarmi!

ERHART                               - (con dolcezza): È la tua ultima parola?

SIGNORA

BORKMAN                          - (con durezza): Sì.

ERHART                               - (voltandosi): Addio, zia Ella!

ELLA RENTHEIM               - (stringendogli le mani): Addio Erhart. Vivi la tua vita... e sii felice... il più felice possibile!

ERHART                               - Grazie, zia. (Fa un inchino a Borkman.) Addio, babbo. (Sussurrando, alla signora Wilton:) Partiamo subito, il più pre­sto possibile.

SIGNORA WILTON            - (sottovoce): Sì, andiamo via.

SIGNORA

BORKMAN                          - (con un sorriso maligno): Ed è prudente, se­condo lei portarsi dietro la ragazza?

SIGNORA WILTON            - (sorridendo allo stesso modo e con un tono se­miserio): Sono così incostanti gli uomini, signora Borkman! E anche le donne. Perciò quando Erhart si stancherà di me... ed io di lui... sarà meglio per tutti e due che egli abbia qual­cuno su cui ripiegare.

S IGNORA BORKMAN      -  E lei ?

SIGNORA WILTON            - Oh! Io saprò arrangiarmi, mi creda. Addio a tutti.

(Saluta ed esce attraverso l'ai trio. Erbart resta un istante come indeciso; poi si volta e la segue.)

SIGNORA BORKMAN       - (congiunge le mani abbassandole); Sola, adesso!

BORKMAN                          - (come se si svegliasse e improvvisamente deciso): Be­ne! Andrò da solo nella tormenta! Il mio cappello! Il mio cappotto! (Va speditamente verso la porta.)

ELLA RENTHEIM               - (angosciata lo ferma): Dove vai, John Gabriel?

BORKMAN                          - Nella tormenta della vita. Lasciami, Ella!

ELLA RENTHEIM               - ( trattenendolo ) : No, non ti lascio ! Sei amma­lato. Te lo vedo in faccia!

BORKMAN                          - Lasciami andare! (Si libera ed esce per l'atrio.)

ELLA RENTHEIM               - (sulla porta): Aiutami a trattenerlo, Gunhild!

SIGNORA BORKMAN       - (fredda e dura, ritta in mezzo al salone): Non trattengo nessuno, io. Che mi lascino tutti. Che vadano lon­tano... lontano dove vogliono. (Improvvisamente grida:) Erhart, non andartene! (Si precipita verso la porta con le braccia tese. Ella Rentheim la trattiene.)

Sipario

ATTO QUARTO

Cortile aperto davanti all'edificio principale che è sulla destra. Se ne vede un angolo con la porta d'ingresso antistante, alla quale si accede per una scaletta a bassi scalini di pietra. Nel fondo, in lon­tananza, oltre il cortile, si scorgono colline coperte di abeti. A si­nistra, un bosco ceduo diradato dal tempo. La tempesta di neve è cessata, ma il terreno è coperto da una spessa coltre di neve. I rami degli abeti si piegano sotto il suo peso. Notte fonda. Nuvole di pas­saggio. A intervalli chiaro di luna. La scena è illuminata da una luce scialba riflessa dalla neve. Borkman, la signora Borkman e Ella Rentheim sono in piedi sulla scaletta. Borkman, debole e pallido, si appoggia contro il muro della casa. Porta sulle spalle un consunto cappotto di vecchio taglio. In una mano, un cappello di feltro grigio, nell'altra, un nodoso bastone. Ella Rentheim tiene il suo cappotto sul braccio. Alla signora Borkman lo scialle è scivolato sulle spalle, cosicché è a testa scoperta.

ELLA RENTHEIM               - (che ha sbarrato la strada alla signora Borkman): Non puoi seguirlo, Gunhild!

SIGNORA BORKMAN       - (turbata dall'angoscia): Fammi passare! Erhart non mi deve abbandonare!

ELLA RENTHEIM               - È tardi, ormai. Non lo raggiungerai!

SIGNORA BORKMAN       - Fammi passare ugualmente, Ella! Mi met­terò a gridare sulla strada, dietro di lui. Dovrà ben sentire le grida di sua madre!

ELLA RENTHEIM               - Non può sentirle. È già dentro la slitta...

SIGNORA BORKMAN       - No, no... forse non è ancora salito.

ELLA RENTHEIM               - Ma sì; è già salito, credimi.

SIGNORA BORKMAN       - (disperata): Se si trova nella slitta... allora vuoi dire che sta con lei, con lei... con lei!...

BORKMAN                          - (con una risata sinistra): Allora sicuramente non sen­tirà le grida dì sua madre,

SIGNORA BORKMAN       - No... forse non le sentirà. (Tende l'orecchio.) Zitti! Che cos'è?

ELLA RENTHEIM               - (anch'ella in ascolto): Sembra una sonagliera ignora

BORKMAN                          - (con un grido soffocato): È la sua slitta!

ELLA RENTHEIM               - O quella di qualche altro... inora

BORKMAN                          - No, no, è la slitta della signora Wilton. La riconosco dal suono dei campanelli d'argento. Senti! Stanno passando qui davanti... stanno scendendo giù per la collina.

ELLA RENTHEIM               - (vivamente): Se vuoi richiamarlo, Gunhild devi farlo ora! (Si sente il suono della sonagliera molto vicino nel bosco.) Gunhild! Sono vicini!

SIGNORA BORKMAN       - (resta un momento indecisa, quindi s'irrigi­disce): No, non, lo farò: Erhart Borkman può andarsene. Lon­tano, molto lontano, verso ciò che chiama, oggi, vita e felicità (il suono della sonagliera si perde in lontananza.)

ELLA RENTHEIM               - (poco dopo): La sonagliera non si sente più

SIGNORA BORKMAN       - Suonava a morto.

BORKMAN                    - (con un riso secco): Oh, oh, non suonava per me!

SIGNORA BORKMAN       - Suonava per me. E per Erhart che mi ha abbandonata.

ELLA RENTHEIM         - (come in un sogno crollando la testa): Chissà invece che non lo chiamino alla vita e alla felicità, Gunhild.

SIGNORA BORKMAN       - (sobbalza e la guarda con durezza): Alla vita e alla felicità, credi?

ELLA RENTHEIM               - Almeno per qualche momento.

SIGNORA BORKMAN   - E tu gli auguri la vita e la felicità... insieme a quella donna?

ELLA RENTHEIM         - (teneramente): Perché no?

SIGNORA BORKMAN   - (fredda): Allora tu sei capace di amare più di me!

ELLA RENTHEIM               - (lo sguardo perduto in lontananza): Sarà la pri­vazione ad aumentarne la forza.

SIGNORA BORKMAN       - (fissandola): Allora... fra poco, sarò ricca d'af­fetto come te, Ella,      - (Si volta e rientra in casa.)

ELLA RENTHEIM               - (guarda per un momento Borkman inquieta, quin­di gli appoggia la mano sulla spalla): John, rientra anche tu.

BORKMAN                          - (come svegliandosi): Io?

ELLA RENTHEIM               - Quest'aria fredda ti fa male. Hai un viso!... Vieni, rientriamo insieme. Dentro è caldo.

BORKMAN                          - (adirato): Ancora lassù, nel salone?

ELLA RENTHEIM               - No... piuttosto giù da lei.

BORKMAN                    - (con violenza): Non rimetterò mai più piede in que­sta casa!

ELLA RENTHEIM         - È notte. Dove vuoi andare?

BORKMAN                          - (mettendosi il cappello): Prima di tutto andrò a vedere i miei tesori nascosti.

ELLA RENTHEIM               - (guardandolo angosciata): Non ti capisco... John.

BORKMAN                          - (con un riso brusco): Non temere, Ella. Non ho beni rubati e sotterrati. (Si ferma e accenna col dito.) Chi è quel­lo laggiù? (Vilhelm Foldal, con una vecchia palandrana coperta di neve, con la tesa del cappello abbassata e un grosso ombrello in mano, si avvicina all'angolo della casa, trascinandosi a fatica sulla «oppi fortemente dal piede sinistro.) Vilhelm! Cosa vieni a fare di nuovo qui?

FOLDAL                        - (alzando gli occhi): Dio mio!... Sei qui fuori, John Gabriel? (Salutando:) E anche tua moglie, vedo.

BORKMAN                          - (seccamente): Non è mia moglie.

FOLDAL                               - Scusatemi. Ho perduto gli occhiali nella neve e allora... Ma come mai ti trovo qui fuori?

BORKMAN                          - (con tono spensierato e allegro:) Devo riabituarmi alla libertà. Dopo tre anni di prigione preventiva, cinque anni di segregazione cellulare e otto anni in quella sala lassù...

ELLA RENTHEIM               - (inquieta): Borkman... ti prego.

FOLDAL                                           - Sì, SÌ... Capisco.

BORKMAN                          - Allora? Che vuoi?

FOLDAL                               - (sempre in basso alla scaletta): Venivo da te, John Ga-briel. Desideravo salire da te, in quella sala. Ah!... Dio mio, quella sala!

BORKMAN                          - Volevi tornare anche se ti ho messo alla porta?

FOLDAL                               - Dio mio. Non ha importanza.

BORKMAN                          - Che hai? Tu zoppichi!

FOLDAL                               - Sì... sono stato investito.

ELLA RENTHEIM                        - Investito?

FOLDAL                               - Sì, da una slitta...

BORKMAN                          - Questa poi!...

FOLDAL                               - ...a due cavalli. Scendeva la collina a rotta di collo. Non ho fatto in tempo a scostarmi; e così,..

ELLA RENTHEIM         - ...l'ha buttato a terra?

FOLDAL                        - Mi ha investito, signora... o signorina. M'è venuta ad­dosso e m'ha buttato sulla neve. E ho perso così gli occhiali e ho rotto l'ombrello. (Massaggiandosi:) E credo di essere rimasto ferito al piede.

BORKMAN                          - (con riso soffocato): Sai chi c'era in quella slitta, Vilhelm?

FOLDAL                               - Non saprei. Era una slitta chiusa con le tendine ab­bassate. Il cocchiere non si è degnato nemmeno di fermarsi dopo che mi ha buttato per terra... Ma non m'importa, per­ché... (Prorompendo:) Oh! sapessi quanto sono felice!

BORKMAN                          - Felice?

FOLDAL                               - Felicità è la parola giusta. Non saprei chiamarla diver­samente. È successo un fatto straordinario! Non ho saputo trattenermi... e sono dovuto venire qui a dividere la mia gioia con te, John Gabriel.

BORKMAN                          - (rude): Dividi questa gioia, dunque!

ELLA RENTHEIM               - Ma prima fa entrare il tuo amico, Borkman.

BORKMAN                    - (duramente): Ho già detto che non entrerò più in casa.

ELLA RENTHEIM         - Non hai sentito che è stato investito?

BORKMAN                          - Oh, tutti veniamo investiti... almeno una volta nella vita! Tutto sta nel rialzarsi e far finta di niente.

FOLDAL                        - Un pensiero profondo, John Gabriel. Del resto pos­so raccontarti quello ch'è successo qui fuori, in due parole.

BORKMAN                          - (dolcemente): Ti ascolto, Vilhelm.

FOLDAL                        - Poco fa, dopo averti salutato sono tornato a casa e ho trovato una lettera... Indovina di chi?

BORKMAN                          - Della piccola Frida?

FOLDAL                        - Proprio così. Hai indovinato. Era una lettera di Frida., una lunga lettera. Era stata portata da un domestico. Sai cosa mi scrive?

BORKMAN                          - Un addio ai suoi genitori, forse?

FOLDAL                        - Sì. È sorprendente come tu indovini le cose, John Ga­briel! Sì, dice che la signora Wilton ha una grande simpatia per lei, e che siccome ora va all'estero la conduce con sé per farle studiare musica. Scrive anche che la signora Wilton ha pre­so un bravo maestro che l'accompagnerà nel viaggio e le darà delle lezioni, alla piccola Frida. Perché Frida, capisci, è nuo­va a queste cose.

BORKMAN                          - (trattenendo una risata): Ma sì, ma sì. Capisco tutto perfettamente, Vilhelm.

FOLDAL                        - (continuando con calore): Ha saputo di questo viaggio solo stasera, durante quel ricevimento... sai bene quale. E tut­tavia ha trovato il tempo di scrivermi. Una lettera affettuosa, gentile. Nessun accenno di disprezzo a suo padre. È stata ve­ramente gentile salutarci con una lettera... prima di partire. (Ride.) Ma non se ne farà nulla!

BORKMAN                          - (con un'occhiata interrogativa): E perché?

FOLDAL                               - Scrive^-ebe partiranno domattina, molto presto.

BORKMAN                          - Domani? Sei sicuro?

FOLDAL                        - (ride e si stropiccia le mani): Ma io sono furbo! Andrò subito dalla signora Wilton, e...

BORKMAN                          - Adesso?

FOLDAL                        - Sì. Non è troppo tardi. E se la porta sarà chiusa, suo­nerò. Perché debbo e voglio vedere Frida prima della par­tenza. (Si prepara ad andarsene.)

BORKMAN                          - Senti, Vilhelm... risparmiati questo cammino.

FOLDAL                        -  Ah, per via del mio piede...

BORKMAN                          - Già. E poi non potrai entrare dalla signora Wilton.

FOLDAL                        - Certo che potrò. Suonerò alla porta finché non mi apriranno. Perché voglio vedere Frida. E la vedrò.

ELLA RENTHEIM         - Sua figlia è già partita, signor Foldal.

FOLDAL                               - (come fulminato): Partita! Chi glielo ha detto?

BORKMAN                          - II suo futuro maestro.

FOLDAL                               - E chi è?

BORKMAN                    - Un certo Erhart Borkman, studente.

FOLDAL                        - (raggiante di gioia): Tuo figlio, John Gabriel. È partito anche lui?

BORKMAN                          - Ma sì; sarà lui che aiuterà la signora Wilton a perfezionare nella musica la piccola Frida.

FOLDAL                        - Dio sia lodato! La mia bambina non si poteva trovare in mani migliori! È sicura che siano già partiti?

BORKMAN                    - Sì. Ed erano tutti su quella slitta che ti ha inve­stito.

FOLDAL                        - (battendo le mani): La mia piccola Frida in quella magnifica slitta!

BORKMAN                    - (accennando con la testa): Eh, già... tua figlia se messa in viaggio. Ed anche Erhart... Dimmi un po'... hai no­tato la sonagliera d'argento?

FOLDAL                        - Certo!... Ma era d'argento? Proprio d'argento?

BORKMAN                          - Certamente. Tutto autentico. Tanto fuori che dentro,

FOLDAL                        - (dolcemente commosso): Non è curioso come, a volte, la fortuna ci caschi addosso? Il mio talento poetico s'è tra­sformato in talento musicale nella mia Frida. Non è stato del tutto invano che io sia nato poeta. Conoscerà lei quel grande mondo che, in altri tempi, avevo sognato di vedere. La pic­cola Frida parte con una slitta magnifica. E i cavalli hanno la sonagliera d'argento...

BORKMAN                          - ...e investono il padre.

FOLDAL                               - (allegramente): Oh! Che m'importa... purché la mia bam­bina... Be', sono arrivato tardi. Torno a casa. A consolare la madre che starà piangendo in cucina.

BORKMAN                          - Piange?

FOLDAL                        - (ridendo con dolcezza): Sì, da non crederci! Piangeva quando sono uscito.

BORKMAN                          - E tu? Ridi, Vilhelm?

FOLDAL                        - Certo! Io capisco, ma lei, povera donna, non è lun­gimirante! Addio allora! Meno male che il tranvai passa qui vi­cino. Addio, John Gabriel. Addio, signorina. (Saluta e se ne va faticosamente per la stessa direzione dalla quale era arrivato.)

BORKMAN                          - (dopo essere stato con lo sguardo fisso nel vuoto): Ad­dio, Vilhelm! Non è Sa prima volta che ti buttano a terra, vecchio amico mio.

ELLA RENTHEIM               - (lo guarda reprimendo la sua angoscia): Sei pallido, John. Così pallido...

BORKMAN                    - È stata l'aria della prigione che ho respirato lassù.

ELLA RENTHEIM         - Non ti avevo mai visto così.

BORKMAN                          - Perché non hai mai visto dei reclusi dopo la galera.

ELLA RENTHEIM         - Oh! Vieni, rientra con me.

BORKMAN                          - Finiscila di lusingarmi. T'ho già detto...

ELLA RENTHEIM               - Ma se ti prego con tutta l'anima? Per il tuo bene?... (Sull'alto della scaletta appare la cameriera.)

CAMERIERA                 - Scusino. La signora m'ha ordinato di chiudere il portone.

BORKMAN                          - (ad Ella sottovoce): Senti? Mi sì vuole di nuovo rinchiudere!

ELLA RENTHEIM               - (alla cameriera): II signore si sente poco bene Vuole respirare ancora un po' d'aria fresca.

CAMERIERA                       - Ma la signora m'ha ordinato di...

ELLA RENTHEIM               - Chiuderò io il portone. Lasciate la chiave nei- la serratura, e...

CAMERIERA                       - Va bene. Come desidera... (Rientra in casa.)

BORKMAN                          - (resta un poco in ascolto, quindi scende rapidamente nel cortile): Finalmente fuori, Ella! Non mi riprenderanno mai più!

ELLA RENTHEIM               - (che è scesa accanto a luì): Ma anche in casa sei libero, John. Puoi andare e venire come ti piace.

BORKMAN                    - (come preso da spavento): Mai più in casa! Solo fuori c'è un'aria così buona. Se adesso ritornassi in quella stanza... le pareti e il soffitto, crollerebbero... mi schiaccerebbero come una mosca...

ELLA RENTHEIM               - Ma dove vuoi andare?

BORKMAN                    - Voglio solo andare, andare via. E tornare alla libertà, alla vita, alla società degli uomini. Vuoi venire con me, Ella?

ELLA RENTHEIM               - Io? Adesso?

BORKMAN                          - Sì... adesso, subito.

ELLA RENTHEIM               - Ma fin dove?

BORKMAN                          - Fin dove mi sarà possibile.

ELLA RENTHEIM               - Ma rifletti un po'. In questa notte umida e gelida...

BORKMAN                          - (con voce rauca): Oh! La signorina si preoccupa della sua salute? Sì, si... è un po' delicata.

ELLA RENTHEIM         - È la tua salute che mi preoccupa, invece!

BORKMAN                    - Oh, oh, oh! La salute di un morto! Non farmi ridere, Ella! (Continua ad andare.)

ELLA RENTHEIM               - (lo segue trattenendolo con una certa forza): Cos'hai detto di essere?

BORKMAN                          - Un morto! Non ricordi che Gunhild m'ha detto di restare dov'ero?

ELLA RENTHEIM               - (decisa si mette il cappotto): Verrò con te, John.

BORKMAN                    - Sì, noi due, Ella! (Va oltre.) Vieni!

(A poco a poco raggiungono il boschetto a sinistra. Presto re­stano nascosti dagli alberi. Intanto si allontana la casa e il cortile. Il paesaggio sì trasforma leggermente. Nuovi colli e cime lo ren­dono sempre più selvaggio.)

voce Di ELLA RENTHEIM - (viene dal bosco a destra): Dove an­diamo, John? Non mi ritrovo qui.

voce diBORKMAN        - (viene da più in alto): Segui le mie orme sul­la neve.

VOCE di ELLA RENTHEIM- Ma perché dobbiamo arrampicarci così in alto?

VOCE diBORKMAN          - (più vicina): Bisogna seguire il sentiero tortuoso.

ELLA RENTHEIM         - (sempre invisibile): Non ce la faccio più.

BORKMAN                          - (nel bosco a destra): Vieni, Ella! Stiamo per arrivare alla vetta. Una volta c'era una panchina, lassù...

ELLA RENTHEIM         - (ricomparendo fra gli alberi): La ricordi?

BORKMAN                          - Là potrai riposare. (Sono arrivati ad una piccola radura del bosco. Dietro di loro la collina si eleva ripida. A sinistra, in basso, vasto paesaggio con la vista del fiordo e dell'alta catena di montagne che digradano in lontananza. Sulla radura, a sinistra, un pino secco con sotto una panca. La neve è alta sulla radura. Borkman e Ella Rentheim, dietro di lui, vengono da destra faticosamente, tra la neve. Borkman si ferma sull'orlo del burrone.) Vieni qui, Ella. Vieni a vedere. .

ELLA RENTHEIM         - (accanto a lui): Che cosa, John?

BORKMAN                          - (accennando col dito): Guarda come il panorama si apre davanti a noi!

ELLA RENTHEIM         - Quella è la panchina sulla quale siamo venuti tante volte a sederci... a guardare lontano, molto più lontano!

BORKMAN                    - A guardare il paese dei sogni!

ELLA RENTHEIM               - (annuendo lentamente): SI, il paese dei sogni della nostra vita. Ora è tutto coperto di neve... e il vecchio albero è morto.

BORKMAN                          - (senza ascoltarla): Vedi il fumo delle navi laggiù, nel fiordo?

ELLA RENTHEIM               - No.

BORKMAN                    - Io sì... Partono e arrivano. Mettono vita a tutta la terra. Generano luce e calore in migliaia di famiglie. Questo sognavo di realizzare.

ELLA RENTHEIM         - (sottovoce): Ed è rimasto un sogno.

BORKMAN                    - SI, è rimasto un sogno. (Tendendo l'orecchio.) E lag­giù, in riva al fiume, ascolta come lavorano le fabbriche. Le mie fabbriche! Quelle che volevo impiantare. Senti come la­vorano? C'è il turno di notte. Lavorano in continuazione. Ascol­ta, ascolta! Le ruote girano, Ì cilindri lampeggiano... tutto si muove! Non lo senti, Ella?

ELLA RENTHEIM               - No.

BORKMAN                          - Io lo sento.

ELLA RENTHEIM         - (inquieta): Credo che ti sbagli, John.

BORKMAN                    - (eccitandosi sempre più): Oh, ma tutte queste cose non sono che le esteriorità, l'espressione sensibile del regno.

ELLA RENTHEIM               - II regno?... Quale regno?

BORKMAN                    - II mio regno! I! regno di cui stavo per impadronirmi quando... Quando caddi morto.

ELLA RENTHEIM               - (sottovoce, commossa): Oh, John, John!

BORKMAN                    - Ed ora eccolo là. Senza padrone, senza difesa, espo­sto alle razzie dei banditi... Ella! Vedi quelle catene dì montagne, laggiù, lontano? Che digradano in cerchio e si sovrappongono... È là il mio regno, grande, immenso, inesauribile!

ELLA RENTHEIM               - Oh, John! Da quel regno viene un vento glaciale!..,

BORKMAN                          - Che per me è un soffio di vita! È il saluto degli spiriti sconfitti. E sento dove sono i milioni nascosti. Vedo i fi­loni d'oro. Mi tendono le braccia sinuose, ramificate, affa­scinanti. Mi venivano innanzi come ombre viventi... quella notte in cui discesi, con la lanterna in mano, nei sotterranei della banca. Mi chiedevano la libertà ed io tentai. Ma non vi riuscii. Il tesoro ripiombò nell'abisso! (Tendendo le braccia.) Ma ascoltate! Voglio dirvi, sottovoce, nel silenzio della notte: io vi amo, oh, come vi amo, ricchezze che state nascoste nelle viscere della terra, inutilizzate. Vi adoro ricchezze, che volevate la vita per vivere con tutta la vostra corte di potenza e di splendore! Vi amo! Vi amo! Vi amo!

ELLA RENTHEIM         - (con calma indignazione, ma sempre crescente): Sì, John è sempre laggiù che riponi i tuoi amori. Dove li hai sempre avuti. Ma qui, John... qui alla luce del sole batteva per te un cuore di donna. Un cuore che tu hai spezzato. Anzi hai fatto peggio: dieci volte peggio! L'hai venduto per... per...

BORKMAN                    - (trema come preso da un brivido in tutta la sua per­sona): Per conquistare il reame e... la potenza e l'onore... Vo­levi dire questo?

ELLA RENTHEIM         - Te l'ho già detto questa sera. Hai ucciso la vita d'amore nella donna che ti amava. E che tu amavi. Anche se a modo tuo. (Levando le braccia al cielo:) Perciò io ti predico, John Gabriel Borkman... che non avrai mai il premio per il delitto commesso! Non entrerai mai trionfante nel tuo tenebroso regno di ghiaccio.

BORKMAN                    - (raggiunge la panchina barcollando e vi cade a sedere pesantemente); Temo, Ella, che la tua predizione si avveri.

ELLA RENTHEIM         - (accostandosi a lui): Non aver paura, John. È la miglior cosa che ti possa accadere.

BORKMAN                          - (lancia un grido mettendosi una mano sul petto): Ah...! (Con un fil di voce) Ecco, mi sta lasciando...

ELLA RENTHEIM         - (scuotendolo): Che cosa, John?

BORKMAN                          - (abbandonandosi contro la spalliera): Una mano gelida che mi aveva afferrato il cuore,

ELLA RENTHEIM               - John, hai sentito una mano di ghiaccio?

BORKMAN                          - No… non di ghiaccio... era una mano di ferro! (Si affloscia sulla panchina.)

ELLA RENTHEIM         - (si toglie il cappotto e glielo stende addosso): Vado a cercare aiuto. Resta lì disteso. (Fa alcuni passi verso destra quindi si ferma. Torna indietro e gli tasta a lungo il polso e la fronte. A voce bassa ma ferma:) No, Meglio così. John Gabriel Borkman. Meglio così.(Gli aggiusta addosso il cappotto, poi si siede sulla neve davanti alla panchina,)       (Un breve silenzio.)

(La signora Borkman, col cappotto sulle spalle, viene, dalla destra attraverso il bosco. È preceduta dalla cameriera che porta una lanterna accesa.)

CAMERIERA                 - (mandando la luce sulla neve): Ecco, signora. Qui ci sono le loro impronte...

SIGNORA BORKMAN       - (scrutando intorno): Sono là! Seduti sulla panchina. (Chiama:) Ella!

ELLA RENTHEIM               - (alzandosi): Ci stai cercando?

SIGNORABORKMAN        - (con durezza): Per forza!

ELLA RENTHEIM               - (accennando col dito): È lì, Gunhild!

SIGNORABORKMAN        - Dorme?

ELLA RENTHEIM               - (annuendo): Un sonno lungo e profondo.

SIGNORABORKMAN        - (grida): Ella! (Poi si domina e domanda sottovoce:) Volontariamente?

ELLA RENTHEIM               - No.

SIGNORA BORKMAN       - (sollevata): Non di sua mano, dunque?

ELLA RENTHEIM         - No. è stata una gelida mano di ferro. Gli ha spezzato il cuore.

SIGNORA BORKMAN   - (alla cameriera): Vada a cercare aiuto. Chia­mi i domestici.

CAMERIERA                 - Va bene, signora. (Sottovoce:) Oh! Dio mio! (Si allontana, a destra, verso il bosco.)

SIGNORA BORKMAN   - (in piedi, dietro la panchina): Dunque è stato il freddo che l'ha ucciso...

ELLA RENTHEIM               - Dev'essere così.

SIGNORA BORKMAN       - Lui!... l'uomo forte!

ELLA RENTHEIM               - (venendo davanti alla panchina): Non vuoi guardarlo, Gunhild?

SIGNORA BORKMAN       - (con un gesto di ripulsa): No, no! (A bassa voce:) Era figlio di un minatore... lui... il banchiere. L'aria li­bera l'ha ucciso.

ELLA RENTHEIM         - È stato piuttosto il freddo ad ucciderlo.

SIGNORA

BORKMAN                          - (abbassando il capo): II freddo, dici? Il freddo l'aveva ucciso già molto tempo fa.

ELLA RENTHEIM         - (la guarda crollando la testa): Sì... e aveva fatto di noi due ombre.

SIGNORA BORKMAN   - Hai ragione.

ELLA RENTHEIM         - (con un sorriso doloroso): Un morto e due om­bre... ecco il risultato del freddo.

SIGNORA BORKMAN   - Sì, il freddo del cuore... Credo che ora pos­siamo stringerci la mano, Ella.

ELLA RENTHEIM               - Sì. Credo di sì.

SIGNORA

BORKMAN                          - Noi, sorelle... accanto al cadavere di colui che abbiamo amaro.

ELLA RENTHEIM               - Noi ombre…. Sopra un morto. (La signora Borkman, dietro la panchina, ed Ella Rentheim, davanti, uniscono con solennità le loro mani).

FINE