Kean ovvero Genio e sregolatezza

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ovvero

 


Commedia in cinque atti

di Alessandro Dumas sr

Traduzione di Guido Petriccione

Rizzoli Editore - Milano 1955

PERSONAGGI

EDMONDO KEAN

IL PRINCIPE DI GALLES

IL CONTE DI  KOEFELD

LORD MEWILL

SALOMONE, suggeritore

PISTOLA, saltimbanco

DARIUS, parrucchiere

TOM, attore

DAVIDE, attore

BARDOLFO, attore

MERCUZIO, personaggio sulla scena

CAPULETO, personaggio sulla scena

IL DIRETTORE DI SCENA

IL CAPO DELLE COMPARSE

IL CONESTABILE

PETER PATT, oste

JOHN COOKS, pugile

GIORGIO, marinaio

FILIPPO, garzone di Peter Patt

IL DISPENSIERE di Peter Patt

TRE BEVITORI

IL MEDICO

IL SEGRETARIO  del conte di Koefeld

IL MAGGIORDOMO  del conte di Koefeld

UN DOMESTICO  del conte di Koefeld

IL DOMESTICO di Kean

ANNA DAMBY

ELENA, contessa di Koefeld

AMY, contessa di Gosswill

KETTY LA BIONDA, attrice di circo

GIULIETTA personaggio sulla scena

LA NUTRICE personaggio sulla scena

GIDSA, cameriera della contessa di Koefeld

DOLLY, domestica di Peter Patt

Una fantesca di miss Anna Damby

Pubblico, comparse, invitati.

ATTO PRIMO

La scena rappresenta il salone del conte di Koefeld.

SCENA   PRIMA

ELENA, IL MAGGIORDOMO, UN DOMESTICO.

IL MAGGIORDOMO (dando gli ordini) Sono stati ap­parecchiati i tavoli da gioco?

IL DOMESTICO    Due di whist, uno di boston.

IL MAGGIORDOMO    Avete avvertito i musicanti?

IL DOMESTICO Saranno nel gran salone alle nove e mezzo.

IL MAGGIORDOMO Bene... Allora, il punch e il tè nel salottino.

ELENA           (che sta scrivendo una lettera) E non dimen­ticate i sigari per i signori... Va tutto bene; signor maggiordomo, vi prego, non allontanatevi durante l'in­tera serata. 

(Il maggiordomo esce).

IL DOMESTICO (annunciando) La signora contessa di Gosswill.

ELENA           Oh! fatela entrare... fatela entrare, subito! (Ri­volgendosi ad AMY che entra) Buongiorno, cara... Oh, come siete stata gentile a venire così di buon'ora! Ho tante cose da dirvi! Non ci si vede veramente più; ci si incontra, e questo è tutto...

SCENA   SECONDA

ELENA e AMY dinanzi a una specchiera mobile.

AMY              (con leziosaggine) Sì, ho creduto di far proprio be­ne, giungendo prima di tutti; così, almeno, potremo avere una mezz'ora di buona conversazione; perché anch'io ho mille cose da dirvi, e la prima, mia bella veneziana, è che, in mezzo ai nostri capelli biondi e ai nostri occhi azzurri, i vostri capelli e i vostri oc­chi neri sono sempre quanto vi è di più nuovo e di meglio, per il momento, nei nostri saloni.

ELENA           Sempre che non lo siano questo vostro incan­tevole collo bianco, queste vostre belle mani candide, questa vostra figura sottile e flessuosa come una sciar­pa... Oh! voi mi giudicate davvero secondo il parere del vostro grande poeta, e l'Inghilterra è proprio un nido di cigni al centro di un vasto stagno... Ma andiamo, cre­dete che gli invitati non giungeranno? Sedete un mo­mento, dunque.

AMY              Subito, e con gran piacere, perché sono stanca... terribilmente stanca: c'era una corsa, a New Market, e non ho potuto evitare di andarci. Sono stata costret­ta ad alzarmi alle dieci del mattino, e quando faccio di queste imprudenze mi occorre l'intera giornata per rimettermi... Oh! bisognava proprio che venissi da voi...  (Sedendosi)  E voi  cosa  avete fatto?...

ELENA           Niente, oggi, al di fuori dei preparativi neces­sari.

AMY              E ieri sera siete stata in qualche luogo?

ELENA           Sì, a Drury Lane.

AMY              Che recitavano?

ELENA           Amleto e il Sogno di una notte d'estate.

AMY              E chi interpretava Amleto? Young?

ELENA           No, Edmondo Kean.

AMY              Perché non mi avete scritto che era il vostro gior­no di abbonamento? Vi avrei chiesto un posto.

ELENA           E io ve lo avrei dato con grande piacere... Kean è stato veramente magnifico.

AMY              Magnifico?

ELENA           Sublime, avrei dovuto dire.

AMY              Che entusiasmo!

ELENA           Vi meraviglia? Eppure, voi sapete che noi al­tre italiane non abbiamo mai sensazioni a metà, e non sappiamo nascondere né il disprezzo né l'ammirazione.

AMY              Promettetemi di non picchiarmi troppo forte, e vi dirò una cosa.

ELENA           Dite...

AMY              Preparatevi allora a udire la cosa più assurda che sia mai stata inventata.

ELENA           Parlate...

AMY              Non so veramente come dirvelo... è così ridicolo!

ELENA           Ma, mio Dio, che è mai?

AMY              Nessuno può udirci?

ELENA           Sapete che cominciate ad allarmarmi?

AMY              Ebbene, coraggio! Vi dirò che in società si co­mincia a notare che voi siete molto assidua a Drury Lane.

ELENA           Davvero? Ebbene, dovrebbe lusingare i vo­stri compatrioti, che una straniera sia tanto devota a Shakespeare.

AMY              Certo; però si aggiunge che voi non andiate in chiesa per pregare il Signore... ma per adorare il prete.

ELENA           Young?

AMY              No.

ELENA           Macready?

AMY              No.

ELENA           Kemble?     

AMY              Kean...

ELENA           Oh! Che pazzia!... (Mordendosi le labbra) Chi è che lo dice?

AMY              Quando mai si sa chi dice certe cose? Esse cado­no dal cielo...

ELENA           E passa sempre una buona amica che le rac­coglie... Dunque, io l'amerei.

AMY              Alla follia, si dice.

ELENA           E mi si biasima?

AMY              No, vi si compiange... Amare un uomo come Kean!...

ELENA           Un istante, contessa! Non ho inteso di confes­sarvi nulla... E perché non si potrebbe amare Kean?

AMY              Ma anzitutto perché è un attore, e perché, dal momento che questo genere di persone non sono in­vitate ai nostri ricevimenti...

ELENA           Non devono nemmeno essere ricevute in pri­vato... Eppure, io ho incontrato Kemble negli appar­tamenti del duca di York.

AMY              È vero.

ELENA           E perché chiudere le porte all'uno quando si aprono all'altro?

AMY              La sua cattiva riputazione, cara amica...

ELENA           Veramente?

AMY              Oh, non potete non saperlo che Kean è un vero eroe del disordine e dello scandalo! Un uomo che si vanta di eclissare Lovelace per la quantità dei suoi amori, che gareggia nel lusso col principe ereditario, e che, a onta di tutto ciò, con una contraddizione che ri­vela le sue origini, un istante dopo essersi spogliato del manto di re Riccardo, si veste con l'abito di un ma­rinaio del porto, corre di taverna in taverna, e da quei luoghi si fa riportare a casa più spesso che non vi torni di persona.

ELENA           Vi ascolto, cara amica... Proseguite, proseguite!

AMY              È un uomo carico di debiti, che, si dice, specula sui capricci di certe grandi dame per sfuggire alle per­secuzioni dei creditori.

ELENA           E si è potuto supporre che io amassi un uo­mo simile... un uomo come quello di cui mi avete fat­to il ritratto! Andiamo! Seriamente?

AMY              Serissimamente. Spero bene che penserete, però, che io non l'ho creduto, io... che lord Delmours non l'ha creduto... che milady...

ELENA           A proposito, mi ero dimenticata di chiedervi sue notizie. Come sta?

AMY              Chi?

ELENA           Lord Delmours.

AMY              Sue notizie, a me? E perché? Che cosa posso sa­perne, io, di quello che fa... e di quello che gli succede?

ELENA           Scusate, ma io me ne informo un poco da tut­ti: è un così splendido giovane! Bello, elegante, spiri­toso... Solo, un po' indiscreto...

AMY              Indiscreto?

ELENA           Sì... Ma chi ci crede, a quello che dice? Nessuno! Ma scusate,  vi  ho  interrotta...  Stavate  parlando di...

AMY              Non so più. Ah! credo che si trattasse dell'ultimo ballo del duca di Northumberland... È stato magnifico, e sono rimasta sorpresa di non avervi vista. Vi ho cer­cato dappertutto; volevo presentarvi alla duchessa di Devonshire... ella sarebbe stata assai lieta di conoscer­vi, ne sono certa.

ELENA           Grazie di pensare così spesso a me, ma è cosa avvenuta già da molto tempo. Mio marito, nella sua qualità di ambasciatore di Danimarca, è stato invitato a casa sua appena dopo l'arrivo a Londra.

AMY              E noi non avremo mai il piacere di vederlo, que­sto caro ambasciatore?

ELENA           Si direbbe che voi abbiate la bacchetta di una fata, e che i vostri desideri siano ordini. Eccolo.

SCENA TERZA

Gli stessi e IL CONTE DI KOEFELD; poi UN DOMESTICO.

IL CONTE      (al suo segretario) Fate subito partire un corriere, e che approfitti del primo bastimento che prenderà il largo: questi dispacci non possono subire alcun ritardo.

AMY              La politica europea lascia finalmente al signor conte di Koefeld un momento di respiro?

IL CONTE      Il conte di Koefeld ha rimandato tutti i so­vrani d'Europa a domani, pur di poter finalmente con­sacrare la serata alla regina d'Inghilterra e alla bella Amy di Gosswill.

AMY              Che peccato che non si possa credere a una sola parola di tutto questo!

ELENA           Ma non ha detto che fino a domani ha rotto ogni rapporto con la diplomazia?

AMY              Sì, ma l'abitudine è una seconda natura.

IL CONTE      Se è così, dovrò dire cose orribili sul vo­stro conto. Dunque: da chi mai vi vestite, milady? quest'abito vi fa una figura spaventosa! E come sce­gliere il bianco con un colorito come il vostro? Se aveste almeno i capelli biondi e gli occhi neri, una co­sì severa beltà riscatterebbe tutti gli altri difetti... ma no, niente di tutto questo!... Oh, sul mio onore! Quan­do si è stati così maltrattati dalla natura, si deve es­sere proprio invidiosi di tutti! Ebbene? questa volta ho detto la verità?

AMY              Non più della prima.

IL CONTE      Ma allora a che mai crederete?

AMY              A tutto quello che non mi direte.

IL CONTE      È una vera disgrazia che le donne non sia­no ambasciatori.

AMY              Perché mai?

IL CONTE      Perché ben pochi segreti si riuscirebbe a nasconder loro.

ELENA           (guardando Amy) Ma esse non sono ambascia­trici?

AMY              Maligna!

ELENA           E, in tale qualità, sanno custodire ciò che scoprono.

AMY              Oh, che bel ventaglio avete!

ELENA           Regalo del principe di Galles.

AMY              Mostratemelo.

IL CONTE      Non avremo lord Gosswill, fra noi?

AMY              Non è potuto venire; credo che in questo mo­mento stia aiutando lord Mewill a sposarsi.

IL CONTE      Ah, è vero! È oggi che lord Mewill sposa quella ricca ereditiera, con la dote della quale calcola di rifare la sua fortuna. Come si chiama quella giova­ne? Miss Anna?

AMY              Anna Damby, mi pare. Èuno di quei nomi che non si rammentano mai... non c'è niente che li ricordi.

IL CONTE      (a Elena) Voi la ricorderete, signora. È quel­la graziosa giovane che ha un palco a Drury Lane quasi in faccia al nostro, e che voi avete notato, vedendo­la a tutte le rappresentazioni. Ella ha potuto notare egualmente voi, del resto.

ELENA           Sì, sì, la ricordo.

AMY              Certo non indovinerete, signor conte, l'indiscre­zione che ho commesso: ho chiesto alla mia cara Elena un posto nel suo palco per la prima volta che reciterà Kean... È un così grande attore!... un uomo di tale genio!...

IL CONTE      Desiderate ascoltarlo?

AMY              Più di quanto possiate immaginare... e soprat­tutto da vicino. Il vostro palco è quasi sul proscenio, e vi si deve stare a meraviglia, se si vuole che neanche uno dei moti della sua fisionomia vada disperso.

IL CONTE      Molto bene!  Sono proprio lieto che abbiate questo desiderio, dato che io ve lo farò vedere oggi stesso molto più da vicino che dal mio palco. AMY    Davvero? E da dove?

IL CONTE      Da un lato della tavola all'altro. L'ho invi­tato a pranzo da noi.

ELENA           Come, mio caro? Avete fatto questo senza av­visarmi?

AMY              Invitare Kean!

IL CONTE      Perché no? Il principe ereditario non lo in­vita, forse? D'altronde, l'ho invitato come lo si fa con queste persone, in qualità di buffone. Gli faremo reci­tare qualche brano di Falstaff, dopo pranzo, e ci diver­tiremo, rideremo.

ELENA           Ma vi ripeto, mio caro, come avete fatto questo senza avvertirmene?

IL CONTE      Era una sorpresa che preparavo per il prin­cipe ereditario, che i miei compiti m'impongono di cor­teggiare; ma voi mi avete carpito il segreto. Dite an­cora che sono un diplomatico, ora!

UN DOMESTICO (entrando con una lettera in mano) Una lettera urgente per il signor conte.

IL CONTE      Permettete, signore?

AMY              Naturalmente.

IL CONTE      (leggendo)  «Monsignore, sono desolato di non poter accettare il vostro cortese invito, ma un affare improrogabile mi priva dell'onore di sedere alla tavola di Vostra Eccellenza. Siate così buono, monsi­gnore, di deporre il mio più sentito rincrescimento e i miei più rispettosi omaggi al piedi della signora contessa».

ELENA           (a parte)    Oh! respiro...

IL CONTE      Viviamo in un secolo proprio curioso, biso­gna riconoscerlo... Un attore rifiuta l'invito di un ministro!

AMY              Ma queste mi sembrano scuse, non un rifiuto.

IL CONTE      Oh! è un rifiuto in piena regola. Io me ne intendo: sono stato incaricato a tre negoziati di ma­trimonio fra Altezze Reali.

ELENA           Ma la vostra lettera era cortese?

IL CONTE      Giudicatela dalla risposta, signora.

IL DOMESTICO (annunciando) Sua Altezza Reale mon­signore il principe di Galles.

SCENA QUARTA

Gli stessi e IL PRINCIPE DI GALLES; poi IL DOMESTICO.

IL PRINCIPE   (entrando ridente) Oh! Dio mi fulmini! è veramente magnifico! Vogliate scusarmi, signora con­tessa, se entro da voi così allegramente; ma che posso farci? in questo momento l'avventura più ridicola che io abbia mai udito si diffonde per le vie di Londra, e senza alcun velo...

ELENA           Certo che vi perdoniamo, monsignore, ma ari una condizione:  che voi ce la raccontiate.

IL PRINCIPE   Altro che, se ve la dirò!... lo credo bene. La direi anche alle canne del Tamigi, come il re Mida. se non avessi alcuno a cui raccontarla.

ELENA           Dichiaro in anticipo che non crederò a una so­la parola.

AMY              Oh! raccontatela egualmente, monsignore; anche se non la crederemo vera, state tranquillo, ciò non ci impedirà di diffonderla.

IL PRINCIPE  Voi conoscete bene lord Mewill, no?

IL CONTE      Colui che doveva sposare quella borghesuccia?

IL PRINCIPE   Che doveva, come ben dite.

AMY              Era stato deciso per oggi, il suo matrimonio, non è così?

IL PRINCIPE   Ebbene! egli ha avuto l'ingenuità di cre­derlo, così come voi, e di conseguenza ha rimesso a nuovo l'intera casa: cavalli e carrozze, creditori e cre­diti, tutto è stato rinnovato... è un uomo sbrigativo, lord Mewill. Disgraziatamente, al momento di recarsi al­l'altare, poiché la fidanzata si faceva attendere, si è andati a cercarla a casa: ma si è trovata la porta aperta e la giovane rapita; la gabbia, non più l'uccello.

ELENA           Povera giovane! Certo volevano sacrificarla; senza dubbio amava qualche altro! Le sarà successo una disgrazia.

IL PRINCIPE   Tenete presente anche il fatto che abita­va a cinquecento passi dal Tamigi. (Ride).

IL CONTE      Vi si sarà gettata... La continua vista dell'acqua...

AMY               Oh! mio Dio!  E voi, monsignore, ridete?

IL PRINCIPE   Rassicuratevi, signora: la continua vista dell'acqua le ha dato il desiderio di viaggiare per mare, ecco tutto. Ma, dato che viaggiare da soli è cosa noiosa, ella ha scelto un buon compagno, che, ve lo garantisco, non la lascerà per istrada.

AMY              E si conosce il nome del rapitore?

IL PRINCIPE   Uno dei nomi più illustri d'Inghilterra.

AMY              Oh!  principe, principe, ditecelo, ve ne supplico!

IL CONTE      Non fate troppe pressioni su Sua Altezza, signore... Potreste metterlo in imbarazzo.

IL PRINCIPE   State tranquillo, burlone, con la borghe­sia non mi ci metto: avrei troppa paura di far fiasco... No, signore, si tratta di un nome molto più illustre del mio... una fronte coronata già da molto tempo, mentre la mia attende ancora la corona; e Dio la conservi an­cora per molti anni sulla testa di mio fratello!

ELENA           (inquieta)    Ma chi, allora?

IL PRINCIPE   Non indovinate? eppure, mio Dio! è un'o­ra che vi metto il dito sopra... E chi, dunque, poteva essere, se non il Faublas, il Richelieu, il Rochester dei Tre Regni?... Edmondo Kean.

ELENA           Edmondo Kean... È impossibile!

IL CONTE      Impossibile?... Ma, al contrario, questo mi spiega il suo rifiuto. Occorreva un affare di tale impor­tanza per privare il signor Kean dell'onore di essere nostro invitato.

ELENA           (a parte)    Oh! mio Dio!

IL CONTE      E sono contento che abbia rifiutato. Se fosse venuto oggi da noi, e la cosa si fosse verificata domani, si sarebbe potuto credere che io ero suo complice.

IL PRINCIPE   E questo avrebbe potuto far litigare l'Inghilterra con la Danimarca... Signore, occorre veramen­te festeggiare questo avvenimento che evita una guerra all'estero e che riporta la pace all'interno.

AMY              Eravamo forse minacciati da qualche rivoluzione?

IL PRINCIPE   Come? ma... noi eravamo in stato perma­nente di guerra civile... dal punto di vista matrimoniale, dato che non vi era più marito che osasse fidarsi del­la moglie, né amante della propria amica. È una fortuna per la pubblica morale, e non mi meraviglierei che questa sera mezza Londra fosse in festa.

AMY              Era veramente un uomo tanto temibile? E sa­rebbe dunque vero che certe grandi dame hanno avuto la bontà, veramente inaudita, di elevarlo fino a loro?

IL PRINCIPE   Oh! siete in errore. Esse non l'hanno elevato fino a loro: sono solo scese fino a lui... che è del tutto differente, mi sembra.

ELENA           (a parte) Quanto soffro! mio Dio! quanto sof­fro!

IL CONTE      È veramente molto buffo; cose simili se ne vedono solo in Inghilterra.

IL PRINCIPE   State attento, caro conte... gli ambascia­tori sono mezzo naturalizzati.

ELENA           Monsignore...

IL PRINCIPE   Oh! scusate, signora contessa.

AMY              E voi credete, monsignore, che la notizia sia vera?

IL PRINCIPE   Se lo credo? Scommetto che a quest'ora Kean è sulla strada di Liverpool.

IL DOMESTICO (annunciando)    Il signor Kean.

ELENA           (stupita)    Il signor Kean!

IL CONTE      (stupito)    Il signor Kean!

IL PRINCIPE   Ah!  la cosa si complica, perbacco!

IL CONTE      Fate entrare.

SCENA QUINTA

Gli stessi e KEAN; poi IL DOMESTICO.

KEAN            (con le più ricercate maniere) Milady, milord… oso sperare che vorrete proprio scusare la contraddi­zione che vi è tra la mia lettera e la mia condotta; ma una circostanza inattesa è venuta improvvisamente a mutare alcuni progetti già stabiliti, imponendomi il dovere... la legge, dirò, di fare il passo che compio in questo istante. (Volgendosi verso il principe) Sua Al­tezza si degnerà di ricevere i miei ossequi?

IL CONTE      Vi confesso che non contavo più sulla vostra venuta, signore. Anzitutto, a motivo del rifiuto che era nella lettera ricevuta or ora; e poi a causa delle strane voci che si sono sparse oggi sul vostro conto.

KEAN            Sono appunto queste voci che mi conducono da voi, signor conte, perché esse, per quanto esagerate siano, hanno tuttavia una certa consistenza: sì, miss Anna è venuta a casa mia, ma, non avendomi trovato, mi ha lasciato questa lettera. La spia che l'aveva vista entrare non avrà avuto la pazienza di attenderne l'usci­ta, ecco tutto... Ma, dato che la reputazione di miss Anna è compromessa, io non ho trovato migliore ma­niera di ringraziarvi del gentile invito che mi avete fatto l'onore d'inviarmi, che scegliendovi, signor conte, per fare conoscere a tutta Londra la sua giustificazio­ne e la mia... onore per onore...

IL CONTE      La vostra giustificazione, signore! Voi siete o innocente o colpevole... Se siete innocente, una vostra formale smentita basterà.

KEAN            Una formale smentita data da me basterà, voi dite? Oh! signor conte, ma credete che io non conosca le calunnie alle quali ci espone la nostra particolare posizione? Una smentita data dall'attore Kean sarà sufficiente per gli artisti, che conoscono l'attore Kean come uomo d'onore, ma non avrà alcun peso per gli altri, che lo conoscono solo come uomo di talento. Oc­corre perciò che questa smentita sia data loro da una bocca a cui non si possa non credere... da una persona il cui alto rango e la perfetta reputazione impongano la fiducia e il rispetto... per esempio, dalla signora con­tessa... ed ella potrà farlo senza timore, se vorrà de­gnarsi di dare un'occhiata a questa lettera.

IL PRINCIPE   Dove vuole arrivare?

IL CONTE      Leggetela voi stesso, signore: vi ascoltiamo.

KEAN            Scusate, signore, ma un segreto dal quale dipen­de la felicità, l'avvenire e, chi sa? l'esistenza di una donna, spesso non può essere rivelato che a una don­na; vi sono misteri e delicatezze che i cuori di noialtri uomini non comprendono. Permettete, dunque, che sia in quello della signora contessa che io deponga il se­greto di miss Anna. Se si trattasse di un mio segreto, signor conte, io l'esporrei alla luce del giorno, perché brillasse al sole e rischiarasse gli occhi di tutti. La signora contessa mi permetterà solamente di chiederle di non rivelarlo; ma quando tutti sapranno che essa lo conosce, allorché essa alzerà la voce per dichiarare: «Edmondo Kean non è per nulla colpevole del ratto di miss Anna», tutti quanti lo crederanno.

IL PRINCIPE   E il mio rango mi dà il diritto di divide­re tale confidenza?

KEAN            Monsignore, tutti gli uomini sono eguali di fron­te a un segreto. Signor conte, vi rinnovo la mia pre­ghiera.

IL CONTE      Se la signora vi consente, e voi gli attri­buite realmente l'importanza che sembrate dargli, non vedo alcun inconveniente.

KEAN            La signora contessa vuol ratificare il favore che il signor conte mi concede?

ELENA           Veramente io non so...

KEAN            Io la supplico.

21

AMY              (prendendo il conte per un braccio) Andiamo, con­te, una volta che vostra moglie conoscerà questo segre­to, voi lo indovinerete subito. Siete un diplomatico, voi.

IL PRINCIPE   (prendendolo per l'altro) E quando voi lo conoscerete, ce ne metterete a parte, non è così, si­gnor conte? Sempre che questo non sia contro le istru­zioni del vostro governo.

(I due conducono il conte presso il camino).

ELENA           (che è sul davanti della scena, a Kean che è die­tro a lei) Datemi questa lettera, allora, dal momento che la sua lettura può giustificarvi.

KEAN            Eccola.

ELENA           (leggendo) «Signore, io mi sono presentata a casa vostra, e non vi ho trovato. Dirvi, quantunque io non abbia l'onore di essere da voi conosciuta, che da questo colloquio dipenderà l'avvenire della mia intera esistenza, è certo assicurarmi in anticipo che avrò la fortuna d'incontrarvi domani. Anna Damby». (A Kean) Grazie, signore, grazie mille... ma che cosa avete ri­sposto?

KEAN            Voltate la pagina, signora...

ELENA           (leggendo, mentre Kean ritorna a conversare col principe e col conte) «Non sapevo come riuscire a vedervi, Elena, e non osavo scrivervi; mi si presenta quest'occasione, e la colgo. Voi sapete che i rari mo­menti che voi sottrarrete per me a coloro che vi circon­dano passano sì rapidi e così tormentati, che. nella mia vita, essi incidono realmente solo per il loro ri­cordo...» (Si ferma sbalordita).

KEAN            (che è tornato presso di lei) Vogliate degnarvi, signora, di leggere sino alla fine.

ELENA           (leggendo) «Io ho spesso cercato di escogitare con quale mezzo una donna, nella vostra posizione, e che mi amasse veramente, potrebbe per caso accordar­mi un'ora senza compromettersi... ed ecco ciò che ho trovato: se questa donna mi amasse abbastanza da po­termi concedere questa ora, in cambio della quale lo darei la mia vita... ella potrebbe, passando davanti al teatro di Drury Lane, far fermare la vettura al botte­ghino ed entrare col pretesto di ritirare un biglietto. L'uomo che è allo sportello mi è fedele, e io gli ho dato l'ordine di aprire una porta segreta - che ho fatto pra­ticare nel mio camerino senza che alcuno lo sappia – a una donna vestita di nero e velata che forse si degnerà di venire a trovarmi... la prima volta che reciterò . Ecco la vostra lettera, signore.

KEAN            Mille grazie, signora contessa. (Inchinandosi) Si­gnor conte... milady... monsignore... (Si avvia per an­darsene).

AMY              (che si è fatta avanti)    Dunque, Elena?

IL PRINCIPE   Dunque, signora?

IL CONTE      Dunque, contessa?

ELENA           (lentamente)  Il signor Kean era accusato a tor­to del rapimento di miss Anna.

KEAN            Grazie, signora contessa.

IL PRINCIPE   (guardandolo mentre si allontana) Ah! signor Kean, ci avete or ora recitato una sciarada, di cui vi dò la mia parola che conoscerò la chiave!

UN DOMESTICO (entrando) Monsignore è servito.

(Il principe offre il braccio alla contessa di Koefeld, men­tre il conte l'offre ad Amy; altri invitati li seguono).


ATTO SECONDO

Un salotto in casa di Kean. Al levarsi della tela, la scena presenta tutte le tracce di un'orgia. Kean dorme su una tavola, tenendo in una mano la canna di una pipa turca, e nell'altra il collo di una bottiglia di rum. Davide è diste­so sotto la tavola. Tom è sdraiato. Bardolfo è a cavallo di una sedia. Bottiglie vuote per terra; una o due mezzo vuote. Uno scialle è appeso ad un gancio. L'oscurità più assoluta regna sulla scena. Salomone appare sulla soglia di una piccola porta insieme con Pistola.

SCENA PRIMA

KEAN, DAVIDE, TOM, BARDOLFO, addormentati; SALOMONE, PISTOLA.

SALOMONE   (a mezza voce) Aspettami qua. Pistola; l'il­lustre Kean, l'onore di Londra, il sole d'Inghilterra, ieri non ha fatto dare spettacolo, per riposare, e io vado a origliare alla porta della sua camera per sapere se è sveglio o se ancora dorme.

PISTOLA        (facendo capolino) Fate con calma, signor Sa­lomone; ho tempo. Se posso presentarmi, suggeritemelo per il buco della serratura, e io farò l'ingresso in due tempi, senza esitazioni.

SALOMONE (chiudendo la porta) Zitto!... Me ne è co­stata, di fatica, ottenere da lui che rincasasse senza pas­sare per quella maledetta taverna. E così ha avuto final­mente una notte di riposo, di tranquillità, di calma! Sono rare... Mi sembra che ora dorma serenamente. Quel fannullone di Newmann non ha ancora aperto le impo­ste, e sono le nove del mattino! (Va verso una finestra, apre le imposte. È giorno fatto; si scorge il Tamigi. Voltandosi e scorgendo il gran disordine della stanza)

Salomone, amico mio, non sei che uno stupido: ti ha di nuovo messo nel sacco... è la sesta volta dall'inizio del mese, e oggi ne abbiamo solo sette! E con chi, poi, or­ganizza simili orge? Con quattro miserabili istrioni che recitano la parte del leone, del muro e del chiaro di luna nel Sogno di una notte d'estate!Parola mia, se li trovassero qui, ne sarei umiliato, per l'illustre Kean... (Chiama) Tom!

TOM              (svegliandosi)    Eh?

SALOMONE   (a mezza voce) Silenzio! non svegliate gli altri... È che nel venire qua ho incontrato John Ritter... lo conoscete, no, l'attor giovane, quello bello?

TOM              Sì, un vanesio.

SALOMONE   Veniva da casa vostra, e non avendovi tro­vato (dato che eravate qui), mi ha chiesto se sapevo dove avrebbe potuto rintracciarvi. Affidandomi al caso, l'ho inviato dalla piccola Betzy... So che ci andate, qual­che volta.

TOM              Sìi, ma non ho affatto piacere che ci vada lui.

SALOMONE   Ma allora, se volete arrivare per primo, non avete tempo da perdere.

TOM              (uscendo)    Grazie, amico mio!

SALOMONE   E il cappello?

TOM              (ritornando)    Giusto... date qua. (Esce).

SALOMONE   E uno! (Recandosi da un altro) Davide... Davide!

DAVIDE         (ruggendo)    Hum!

SALOMONE   Ben ruggito... Sogna di interpretare il leo­ne. Ben ruggito, proprio bene. Bravo!

DAVIDE         Chi è che mi applaude?

SALOMONE   State tranquillo, non si tratta del pubblico.

DAVIDE         Ah!  siete voi, papà Borea?

SALOMONE   Proprio io, lietissimo di incontrarvi.

DAVIDE         E perché?

SALOMONE   Zitto!... Voi abitate in Regent Street, non è vero?

DAVIDE         Al numero 20.

SALOMONE   Proprio così... Ebbene, figuratevi che io volevo passare da voi questa mattina, per dirvi che voi siete stato magnifico, ieri.

DAVIDE         Veramente?

SALOMONE   Parola d'onore!... La pelle di leone vi sta a meraviglia... Ma in cima alla strada, accanto alla fontana, trovo un plotone di scozzesi. «Non si passa», mi dice il caporale.  Per qual motivo?  «A causa del fuo­co». «Non fa niente, vado da un amico all'altro capo della strada, al numero 20», gli rispondo.  «Al nume­ro 20? Allora il vostro amico ha altro da fare che rice­vervi... la sua casa sta bruciando!» ... Bah!

DAVIDE         Come? Il numero 20 è in fiamme... e tu non me lo dici subito, imbecille!

SALOMONE   Avete tutto il tempo... il fuoco è cominciato nella cantina, e voi abitate in soffitta.

DAVIDE         Ah! pezzo di traditore! (Esce di corsa).

SALOMONE   Finalmente siamo soli... (Fa per prendere una sedia e scorge Bardolfo). Ah! mi sbagliavo... ce n'è ancora uno. Ma con questo sarà un lavoro pesante, per­bacco! Quando dorme, non è mai per poco... è come quando beve. (Lo chiama) Bardolfo! Ah! sì... Bardolfo! Bardolfo! un bicchiere di ponce, amico mio!

BARDOLFO    (svegliandosi a metà)    Presente!

SALOMONE   È stata una buona idea... Aspetta, aspetta, che ti risveglio completamente. (Gli dà un bicchier d'acqua).

BARDOLFO    Alla vostra salute! (Beve). Che cosa mi hai dato, avvelenatore? (Fa una smorfia di disgusto). Puah!...

SALOMONE   Acqua del Tamigi...

BARDOLFO    Acqua! che scherzo atroce! Pensate che avrei potuto berla! Lasciatemi svegliare Kean.

SALOMONE   Di già! Ma, mio Dio, avrete tutto il tempo che vorrete, per battervi, voi due.

BARDOLFO    Come! per batterci?

SALOMONE   Eh, sì! Dovevate battervi, questa mattina... lo sapete, no?

BARDOLFO    Noi?

SALOMONE   E siete voi che avete torto... parola d'ono­re! L'avete provocato senza motivo.

BARDOLFO    Io?

SALOMONE   Lo ripeto, avete torto... Ma dal momento che vi siete dichiarato disposto a rendergli ragione... non vi è nulla da dire.

BARDOLFO    Ma è proprio vero, Salomone?

SALOMONE   L'avete dimenticato? Dio, che cosa può fa­re il vino!

BARDOLFO    E dovevamo batterci?

SALOMONE   Alla spada.

BARDOLFO    Alla spada, con lui!... Datemi un bicchier d'acqua.

SALOMONE   È quanto i vostri due testimoni, Tom e Davide, vi hanno detto; ma voi non avete voluto sentir niente. Voi avete il vino litigioso... Sono andati a pren­dere le armi. L'appuntamento è alle dieci a Hyde Park.

BARDOLFO    Dimmi, Salomone... ma non si può cercar di sistemare la cosa?

SALOMONE   Impossibile!  è corso uno schiaffo.

BARDOLFO    E chi è che l'ha ricevuto?

SALOMONE   Ah! di questo non so niente.

BARDOLFO    Devo essere stato io... Ascolta, amico mio, mio bravo Salomone... re del suggeritori... Può darsi che Kean abbia dimenticato questo litigio.

SALOMONE   Come... Voi non lo rammentate, dunque?

BARDOLFO    Sì, sì, esatto: mi ricordo bene di aver ri­cevuto uno schiaffo, perdio! Ma insomma, tu compren­di... Se la sua memoria non fosse così buona come la mia, e egli avesse dimenticato... (prende il cappello) non fargliene ricordare. (Esce).

SCENA SECONDA

KEAN, SALOMONE, e poi PISTOLA.

SALOMONE   (chiudendo la porta) E sono tre! Se non li avessi messi in fuga, si sarebbero rimessi a bere fino a domani, dato che neanche questa sera ci sarà spettacolo. Finalmente, questa volta, credo proprio che siamo soli. (Guarda in tutti i canti, e, scorgendo lo scialle) Benedizione! Eccone un altro, perbacco! (Ispe­ziona ancora, poi va verso la camera da letto, di cui apre la porta.)  Ah! respiro!... E ora facciamo l'ispezione del campo di battaglia. (Esamina le bottiglie vuote, e, tro­vandone due a metà piene, le ripone in un armadio). Diavolo! il combattimento è stato micidiale: quindici contro quattro... Quando penso che ho qui, sotto i miei occhi, coricato come un boxeur crollato, il nobile, l'illu­stre, il sublime Kean, l'amico del principe di Gallesi il re degli attori tragici passati, presenti e futuri... che in questo momento regge lo scettro... (Scorge la botti­glia che Kean tiene per il collo). Quando lo dico scettro, mi sbaglio... Oh!  mio Dio!   (Cerca di sfilargli la bottiglia dalla mano; nel frattempo, Kean si sveglia e lo  guarda fare; gli occhi di Salomone si incontrano con i suoi).

KEAN            Che diavolo stai facendo, Salomone?

SALOMONE   Lo vedete bene, cerco di strappare dalle vostre mani questa povera bottiglia che voi state stroz­zando.

KEAN            Sembra che io abbia dimenticato di coricar­mi, eh?

SALOMONE   Mi avevate tanto promesso di rientrare!

KEAN            E così? Non mi sembra di essere fuori casa. Ho finanche passato la notte in casa, se non mi sbaglio... il che non mi accade tutti i giorni...

SALOMONE   E neanche da solo.

KEAN            Non rimproverarmi, Salomone, vecchio mio. È a causa del chiaro di luna che non aveva voglia di an­dare a letto; del muro che si spaccava dal calore, e del leone che, come sai, è l'animale più orgoglioso dello zodiaco.

SALOMONE   Credete che notti simili vi rimetteranno dalle vostre fatiche?

KEAN            Bah! per qualche bottiglia di vino di Bordeaux...

SALOMONE   (prendendogli la bottiglia di rum che Kean tiene ancora fra le mani)  E da quando in qua le bot­tiglie di vino di Bordeaux hanno il collo nelle spalle come questa? (Leggendo l'etichetta) «Rum della Giamaica». Ah, padrone! finirete per bruciarvi fino al pan­ciotto di flanella che avete sul petto!  (Dà un sospiro).

KEAN            Hai ragione, vecchio amico mio; sento che mi ammazzo con questa vita di orge e di dissipazioni. Ma, che vuoi? non posso mutare. Occorre che un attore conosca tutte le passioni per poterle esprimer bene. Io le studio su me stesso, ed è il mezzo di imprimerle nella memoria.

PISTOLA        (dal di fuori) Signor Salomone! signor Salomone! si può entrare?

KEAN            Chi c'è?

SALOMONE   Giusto, avevo dimenticato. È un povero giovane che voi certamente non ricorderete più... il figlio del vecchio Bob, il piccolo Pistola, il saltimbanco.

KEAN            Io avrei dimenticato i miei vecchi compagni? En­tra, Pistola, entra.

PISTOLA        (socchiudendo la porta)  Con i piedi o con le mani?

KEAN            Con i piedi. Hai bisogno della mano per strin­gere la mia.

PISTOLA        Oh, signor Kean, è troppo onore!

KEAN            Povero ragazzo mio... Ebbene, come va tutta la compagnia?

PISTOLA        Vivacchia.

KEAN            Ketty la bionda?

PISTOLA        Vi ama ancora, povera ragazza! Ma non c'è da meravigliarsi: voi siete stato il suo primo amore, sapete.

KEAN            E il vecchio Bob?

PISTOLA        Suona sempre la tromba come un arrabbia­to... Lo volevano arruolare come prima cornamusa in un reggimento di scozzesi, col grado di caporale, ma non ha accettato... Ah, certo!

KEAN            E i tuoi fratelli?

PISTOLA        I più piccoli fanno i tre primi esercizi di flessione; i più grandi il salto del Niagara; quelli di mezzo danzano sulla corda.

KEAN            E la signora Bob?

PISTOLA        Ha or ora messo alla luce il tredicesimo fi­glio; madre e bambino godono ottima salute. Vi rin­grazio, signor Kean.

KEAN            E tu?

PISTOLA        Io sostituisco voi. Ho ereditato il1 vostro co­stume e il vostro mestolo, e faccio l'arlecchino; ma non sono della vostra forza...

KEAN            E allora sei venuto a chiedermi delle lezioni?

PISTOLA        Oh, no!... no! Sì, vi sarebbe la danza delle uova, sapete, che dovreste mostrarmi: non sono mai riuscito a impararla per bene, e ne rompo sempre due o tre... ma ora le faccio rassodare... e così non vanno perdute: le mangio... Ma non si tratta di questo. Quan­do mio padre ha visto che il buon Dio gli aveva fatto la grazia di inviargli ancora un figlio, e che questo era 11 tredicesimo, ha detto: «Tu porti un cattivo nume­ro, tu». E aggiungete che era venuto al mondo di ve­nerdì... Bisognerebbe scegliergli un padrino a tutta prova. «Ma chi?», ha detto mia madre, «il principe di Galles o il re d'Inghilterra? Meglio di tutti sarebbe il signor Kean!». «Straordinario!  straordinario!», hanno risposto tutti; « ma certamente non vorrà . «E lo Invece sono sicura che vorrà », ha detto Ketty la bion­da. « Sì, se ci vai tu a chiederglielo», ha risposto mio padre. «Oh, io non ardirò mai! è così lontano da noi, ora! è tanto grande! è tanto in alto!». « Ebbene! », ho detto io, «datemi una scala, che io ci andrò, io»; ed eccomi qua. Non è così, che non mi direte di no, signor Kean?

KEAN            No, per l'anima di Shakespeare! che cominciò col fare il giocoliere e il saltimbanco come noi. Non ti dirò affatto no, ragazzo mio, e faremo a tuo fratello un battesimo regale, sta' tranquillo.

PISTOLA        È una sorella, ma fa lo stesso. E quando, si­gnor Kean?

KEAN            Stasera, se va bene.

PISTOLA        D'accordo... Ma fino ad allora avrete il tem­po di trovare una madrina?

KEAN            È già trovata.

PISTOLA        E chi è, se non son troppo curioso?

KEAN            Ketty la bionda... Credi che si rifiuterà?

PISTOLA        Rifiutarsi, lei! Oh, povera ragazza! Ma voi non la conoscete: occorreranno molte precauzioni per dirglielo; sarebbe capace di svenire. Oh, Ketty! pove­ra Ketty! come sarà contenta!  (Fa una capriola).

SALOMONE   Beh. e che fai, ora?

PISTOLA        Non ci pensate, papa Salomone! Io sono co­me i pavoni: quando son contento faccio la ruota. Arrivederci, signor Kean.

KEAN            Già te ne vai?

PISTOLA        E gli altri che laggiù stanno aspettando chie­dendosi: «Vorrà? non vorrà?»? Vuole! vuole!

KEAN            Salomone, accompagna questo giovane fino a ca­sa, e dài dieci ghinee a sua madre per il corredino.

PISTOLA        Non mancherete, eh? signor Kean? Sapete quante lacrime ovunque se ci accadesse una simile di­sgrazia...

KEAN            Stai tranquillo...

PISTOLA        Oh, stavo per dimenticarlo: e dove, il festino?

KEAN            Da Peter Patt, Al buco del carbone... lo conosci?

PISTOLA        Se lo conosco? Sul porto, a dieci passi dal Tamigi; è rinomato fra i marinai... altro che, se lo conosco! Arnvederci, signor Kean. (Esce insieme con Salomone).

SCENA TERZA

KEAN, solo; poi UN DOMESTICO.

KEAN            Brava e rispettabile famiglia, famiglia di patriarchi, figli del buon Dio! Oh! non dimenticherò mai le ore che ho passato insieme con voi! Quante volte sono an­dato a letto senza aver mangiato, e dicendo che non avevo fame, per potervi lasciare la mia parte! A quei tempi, ci sembrava che fosse più difficile a una ghinea di scendere nella nostra borsa che a una stella di ca­der dal cielo. Ho guadagnato davvero, lasciandovi, per­lomeno In felicità? e la povera Ketty non mi amava me­glio delle nobili dame che oggi mi onorano della loro bontà? (Si bussa alla porta). Bussano!

(UN DOMESTICO entra).

Chi c'è?

IL DOMESTICO Una giovane signora che dice di aver scritto ieri al signore.

KEAN            Miss Anna Damby... Fate entrare, e pregatela di attendermi un istante. (Entra nella stanza da letto).

IL DOMESTICO (alla, signora) Miss!

(Ella entra, e il domestico esce).

SCENA QUARTA

MISS ANNA, velata, KEAN; poi SALOMONE.

ANNA            (sola) Eccomi dunque a casa sua! Avrò il co­raggio di dirgli il motivo che mi ha condotto? Oh! mio Dio! mio Dio!... datemi forza, che lo mi sento morire!

KEAN            (rientrando vestito da società) Voi mi avete fat­to l'onore di scrivermi, miss. Posso essere così fortuna­to da potervi aiutare in qualche cosa, tanto favorito dalla sorte da trovarmi nelle condizioni di esservi utile?

ANNA            Oh! è la sua voce!... Scusate il mio turbamento, signore: esso è naturale; e per quanto modesto voi sia­te, comprenderete che la vostra riputazione, il vostro talento, il vostro genio...

KEAN            Signora...

ANNA            Mi spaventano più di quanto la vostra acco­glienza non mi rassicuri. Si dice, tuttavia, che voi sia­te così buono quanto grande... Se foste stato solamen­te grande, io non sarei venuta da voi. (Si toglie il ve­lo. Entrambi si seggono).

KEAN            (facendo un gesto) Mi avete detto che avrei po­tuto rendervi un servigio. Il mio desiderio di rendervelo è grande, miss, eppure esito a farvi premura... Un servigio è presto reso!

ANNA            Sì, avete indovinato giusto, signore, e io mi at­tendo molto da voi: si tratta della mia felicità, del mio avvenire, forse della mia vita.

KEAN            La vostra felicità? Oh! voi avete sulla fronte tutte le linee della felicità, miss. Il vostro avvenire? e quale diabolica profetessa, fosse pure una delle streghe di Macbeth, oserebbe predirvi altro che gioie? La vo­stra vita? ovunque essa splenderà... spunteranno fiori come sotto un raggio di sole.

ANNA            Può darsi che gli anni che mi restano da vivere siano dotati di maggior fortuna degli anni che ho già vissuto, perché ancora un quarto d'ora fa, signor Kean, lo mi chiedevo se dovevo venire a trovarvi, o uccidermi.

KEAN            Voi  mi spaventate, signora...

ANNA            È che fino a un quarto d'ora fa io ero ancora la fidanzata di un uomo che detesto, che disprezzo, e che mi si vuol costringere a sposare; e non mia madre, non mio padre - ahimè, sono orfana - ma un tutore al quale i miei genitori, morendo, hanno conferito ogni lo­ro potere. Ieri mattina avrebbe dovuto compiersi la mia sventura, se io non avessi, sia per follia, sia per ispi­razione, abbandonato la casa del mio tutore. Sono fug­gita, ho chiesto dove abitavate... mi hanno indicato la vostra casa... e io sono venuta.

KEAN            E che cosa mi ha valso l'onore di essere scelto da voi, miss, sia come consigliere che come difensore?

ANNA            Il vostro esempio, che mi ha dimostrato come una persona possa crearsi risorse onorevoli e gloriose.

KEAN            Avete pensato al teatro?

ANNA            Sì; da molto tempo i miei occhi sono fissi arden­temente a questa carriera, sull'esempio di miss Siddons, di miss O'Neill, e su quello ancora più recente di miss Fanny Kemble.

KEAN            Povera ragazza!

ANNA            Voi sembrate compiangermi, e tuttavia non mi rispondete, signore.

KEAN            È in voi tanta giovinezza, tanto candore, che sarebbe un crimine da parte mia, per quanto perverso mi si creda, e forse io sia, non rendervi noto quello che penso. Mi permettete di parlarvi come un padre, miss?

ANNA            Oh!   ve ne supplico!

KEAN            Sedetevi, e non abbiate timore di nulla; da que­sto istante voi mi siete sacra così come se foste mia sorella.

ANNA            (sedendosi)   Quanto siete buono!

KEAN            (in piedi) Voi avete visto il lato dorato della nostra esistenza, e vi ha abbagliato. Spetta a me di mostrarvi il rovescio di questa medaglia lucente che porta due corone, una di fiori, l'altra di spine.

ANNA            Vi ascolto, signore, come se mi parlasse Iddio.

KEAN            II vostro candore, la vostra giovinezza, miss, mi rendono delicato il compito che mi sono imposto. Vi sono cose difficili a dirsi per un uomo della mia età, difficili a comprendersi per una giovane della vostra... Voi mi scuserete, non è vero, se la parola dovesse of­fuscare la castità del mio pensiero?

ANNA            Edmondo Kean non dirà nulla che non possa essere udito da Anna Damby, spero.

KEAN            Kean non dovrebbe dire niente di ciò che sta per dire a miss Damby, giovane della grande società, destinata a restare nella grande società, e che egli solo nella grande società potrà ancora incontrare. Ma Kean dirà tutto, e tutto deve dire, alla giovane artista che gli accorda la sua fiducia, e gli fa l'onore di venire a con­sultarlo a casa: ciò che gli parrebbe sconveniente nel primo caso, nel secondo gli sembra un dovere.

ANNA            Parlate dunque, signore.

KEAN            Voi siete bella. Ve l'ho detto. È qualche cosa, è anche molto, per la carriera che desiderate abbrac­ciare, ma non è tutto, miss... La parte della natura è compiuta, ma quella dell'arte resta ancora da fare.

ANNA            Ma io, diretta da voi, studierò, farò progressi, mi farò un nome.

KEAN            In cinque o sei anni; è possibile... Perché, cre­detelo, niente si fa senza il tempo e senza lo studio. Alcuni privilegiati nascono con il genio... ma, così co­me il blocco di marmo nasce già con la statua, occorre la mano di Prassitele o di Michelangelo, per tirarne fuori una Venere o un Mosè. Sì, certo, io suppongo, credo finanche che voi siate fra le elette, che in quattro o cinque anni il vostro talento, la vostra reputazio­ne non vi lasceranno nulla da invidiare alle vostre ri­vali, perché è solo la gloria ciò che cercate... E la vo­stra sterminata ricchezza?

ANNA            Ho abbandonato tutto, dal momento che sono fuggita dalla casa del mio tutore.

KEAN            Così, non avete più niente?

ANNA            Niente.

KEAN            Supponendo che possediate tutte le disposizio­ni necessarie, occorrono sempre sei mesi di studio pri­ma del debutto.

ANNA            Fortunatamente, io ho appreso nella mia giovi­nezza tutti quei piccoli lavori da donna che possono nutrire coloro che li compiono. D'altronde, io apparten­go a una classe abituata a sentirsi onorata di quello che guadagna. La ricchezza della mia famiglia, per quanto considerevole possa essere, fu prodotta da una attività commerciale. Lavorerò.

KEAN            Bene!  Al termine di questi sei mesi di lavoro, supponendo sempre un esordio brillante, troverete un direttore che vi offrirà cento sterline l'anno...

ANNA            Ma, per i miei gusti semplici e schivi, cento ster­line sono una fortuna.

KEAN            Sono la quarta parte di quello che dovrete spen­dere solo per i costumi. La seta, i velluti e i diamanti costano cari, miss. Siete disposta a vendere il vostro amore per ornarvi la persona?

ANNA            Oh!  signore.

KEAN            Scusate, miss, ma io tacerò all'istante, o voi mi permetterete di dire tutto... Nel momento in cui voi uscirete da questa stanza per rientrare nella società, questa conversazione sarà dimenticata.

ANNA            (abbassando il velo)  Parlate, signore.

KEAN            Può tuttavia verificarsi che voi abbiate la for­tuna di incontrare un uomo ricco, delicato, generoso... che vi ami e che voi amiate... che non vi dia, ma con­divida con voi... In tal caso il primo pericolo è evitato­la prima umiliazione non esiste più. Ma, ve l'ho detto, voi siete bella... Voi non conoscete i giornalisti inglesi, miss... Ve ne sono di quelli che hanno intrapreso la loro missione dal lato onorevole, che sono partigiani di tutto ciò che è nobile, difensori di tutto ciò che è bello, ammiratori di tutto ciò che è grande. Quelli lì sono la gloria della stampa, sono gli angeli del giudi­zio dell'intera nazione... Ma ve ne sono altri, miss, che l'impotenza di produrre ha gettati alla critica... Quelli lì sono invidiosi di tutto, essi infamano tutto ciò che è nobile, offuscano tutto ciò che è bello, avviliscono tut­to ciò che è grande! Uno di questi esseri, per vostra sventura, vi troverà bella, forse, e all'indomani attac­cherà il vostro talento... un altro giorno il vostro ono­re. Allora, nella vostra innocenza del male, voi vorre­te conoscere quale motivo lo spinge. Ingenua e pura, andrete da lui come siete venuta da me. Gli chiederete il motivo del suo odio e quello che potrete fare perché abbia fine. Egli vi dirà, allora, che voi vi siete sbagliata sui suoi propositi, che il vostro talento gli piace, che egli non vi odia per niente, che al contrario vi ama... Voi vi alzerete, come avete fatto in questo momento, ed egli vi dirà: «Sedetevi, miss... o domani...».

ANNA            Orrore!

KEAN            E supponiamo che voi siate sfuggita a queste due prove, una terza vi attende. Le vostre rivali (per­ché a teatro non si hanno amiche, non si hanno emuli, si hanno solo rivali), le vostre rivali faranno quello che Cimmer e altri che non nomino hanno fatto contro di me. Ogni combriccola stenderà le sue mille braccia per impedirvi di salire un gradino di più, aprirà le sue mille bocche per spiattellarvi i suoi frizzi in faccia; farà; udire le sue mille voci per dire bene di altre e male di voi. Esse impiegheranno, per rovinarvi, del mezzi che voi disprezzerete... e con quel mezzi riusci­ranno a rovinarvi. Esse acquisteranno la lode e l'in­giuria a un prezzo che a loro non costa niente, a loro, e che voi non vorrete pagare, voi... Il pubblico, non­curante, ignorante, credulo, che non sa come odiosa­mente si fabbricano queste reputazioni e queste menzo­gne, le prenderà come meriti o come verità, a forza di sentirle affermare o ripetere. E così, un bel giorno, voi vi accorgerete che la bassezza, l'ignoranza e la medio­crità fanno tutt'uno con l'intrigo; che lo studio, il ta­lento, il genio non valgono nulla senza l'intrigo... Voi non vorrete crederlo; avrete dei dubbi ancora per qual­che tempo... Poi, alla fine, con gli occhi pieni di lacrime, il cuore pieno di disgusto, l'anima piena di disperazio­ne, vi ridurrete a maledire il giorno, l'ora e il minuto in cui vi ha presa la fatale idea di ambire a una glo­ria che costa si cara e che rende così poco... E ora, le­vatevi il velo, miss: ho finito con le cose odiose.

ANNA            O Kean! Kean! Bisogna che voi abbiate molto sofferto! Come avete fatto?

KEAN            Sì, io ho molto sofferto! ma molto meno di quan­to debba soffrire una donna, perché io sono un uomo, e posso difendermi... Il mio talento è soggetto alla criti­ca, è vero... Essa lo calpesta coi piedi, lo dilania col suoi artigli, lo morde con i suoi denti... è suo diritto, e ne fa uso... Ma quando uno di questi aristarchi da caffè s'arrischia a guardare nella mia vita privata, oh! allora la scena cambia: sono io che minaccio, ed è lui che trema. Ma questo si verifica raramente... si vede troppo spesso Amleto far uso delle armi... per litigare con Kean.

ANNA            Ma tutti questi dolori non sono compensati solo con quella parola che voi potete dire a voi stesso: «Io sono re!»?

KEAN            Sì, io sono re. è vero... tre volte la settimana presso a poco, re con uno scettro di legno dorato, dia­manti di vetro e una corona di cartone. Ho un regno di trentacinque piedi quadri, ed una regalità che un sol fischio bene azzeccato fa presto svanire. Sì, sì, io sono un re molto rispettato, molto potente e soprattut­to molto felice: non c'è che dire!

ANNA            Così, quando tutto il pubblico vi applaude, vi ammira, vi invidia...

KEAN            È così: alle volte io bestemmio, impreco, invi­dio la sorte del facchino curvo sotto il suo fardello, del contadino sull'aratro e del marinaio coricato sul ponte del vascello.

ANNA            E se una donna, giovane, ricca e che vi amasse, venisse a dirvi: «Kean, la mia fortuna, il mio amore sono per voi... Uscite da questo inferno che vi brucia... da questa esistenza che vi divora... abbandonate il teatro»...

KEAN            Io! io, lasciare il teatro... io! Oh! voi non sape­te dunque che cosa è questa camicia di Nesso che non ci si può strappare dalle spalle, se non dilaniando la nostra stessa carne! Io, abbandonare il teatro, rinun­ciare alle sue emozioni, ai suoi bagliori, ai suoi dolori! Io, cedere il posto a Kemble e a Macready, per essere dimenticato dopo un anno, dopo sei mesi, forse! Ma ricordatevi che l'attore non lascia niente dietro di sé, che egli vive solo durante la sua vita, che il suo ricor­do se ne va con la generazione alla quale appartiene, e che egli precipita dal giorno nella notte, dal trono nel nulla... No! no! Allorché uno ha messo una volta il piede in questa carriera fatale, bisogna che la percorra sino alla fine; deve esaurirne gioie e dolori, vuotarne la coppa e il calice, berne il miele e la feccia... Bisogna finire come si è cominciato, morire come si è vissuto... Morire com'è morto Molière, fra il rumore degli applau­si, dei fischi e delle acclamazioni! Ma quando si è an­cora in tempo a non prendere questa strada, quando non si è ancora superata la barriera... non bisogna en­trarci... credetemi, miss, sul mio onore! credetemi.

ANNA            I vostri consigli sono ordini, signor Kean... Ma che bisogna che io faccia?

KEAN            Dove vi siete recata, lasciando ieri la casa del vostro tutore?

ANNA            Presso una zia... buona... ottima, e che mi ama come sua figlia.

KEAN            Ebbene! bisogna ritornarvi, miss, e chiederle asilo e protezione.

ANNA            Potrà accordarmeli? Lord Mewill è potente, e al­lorché conoscerà il luogo dove mi sono rifugiata...

KEAN            La legge è uguale per tutti, miss, per il debole come per il forte, fatta eccezione per noi altri attori, tuttavia, che siamo fuori legge. Vostra zia risiede lon­tano da qui?

ANNA            In Clary Street.

KEAN            A dieci minuti di cammino da qui? Prendete il mio braccio, miss... vi ci conduco.

SALOMONE   (entrando) Sua Altezza Reale il principe di Galles.

ANNA             Oh!  mio Dio!

KEAN            Direte al principe che non posso riceverlo, che sono massacrato dalla stanchezza e che sto dormendo.

SALOMONE   Aggiungerò che avete passata la notte a studiare, maestro.

KEAN            No... aggiungi che ho passato la notte a bere; vi sono più possibilità che ti creda... Venite, miss...

ANNA            Oh! Kean! Kean! voi siete due volte il mio salvatore.

ATTO TERZO

La taverna di Peter Patt, Al buco del carbone. La scena è divisa nel fondo da due tramezzi che formano dei com­partimenti; i laterali sono separati nella stessa maniera, in modo che ogni avventore si trovi appartato, benché in una sala comune.

SCENA PRIMA

Nel fondo, JOHN COOKS, il pugile, con la sua brigata di bevitori, fra i quali GIORGIO. A destra dello spettato­re, IL CONESTABILE, che legge un giornale.

PRIMO BEVITORE         Sicché l'hanno portato via senza che fosse rinvenuto.

JOHN             (mandando giù un bicchiere di birra) Senza che fosse rinvenuto.

SECONDO BEVITORE E tu gli avevi fracassato sette denti?

JOHN             (tendendo il bicchiere) Sette: tre in alto, quat­tro in basso; due canini, cinque incisivi.

TERZO BEVITORE E così il duca di Sutherland, che scommetteva per te, ha guadagnato.

JOHN             In pieno! E mi ha regalato una ghinea per ogni dente fracassato... Così, io gli ho promesso di bere alla sua salute. (Vuotando il bicchiere) E mantengo la pa­rola.

PRIMO BEVITORE E tu non hai preso altro che un colpo di sole a un occhio...

JOHN             In tutto e per tutto. Cosa di tre giorni: oggi nero, domani violetto, dopodomani giallo, ed è finito.

SCENA SECONDA

Gli stessi e LORD MEWILL, entrando.

LORD MEWILL   Il padrone della taverna?

PETER            Eccomi, Vostro Onore.

LORD MEWILL Ascoltatemi, amico mio, e ricordate bene ciò che vi dirò.

PETER            Ascolto.

LORD MEWILL In serata, verrà una giovane signora, e chiederà: una stanza; voi le darete la migliore di tutta la taverna. Le darete qualunque cosa desidererà... Abbiate per lei le più grandi cure, i maggiori riguardi; perché questa giovane è destinata a diventare una delle maggiori signore d'Inghilterra. Eccovi di che ri­pagarvi di tutti i vostri disturbi.

PETER            Questo è tutto quanto avete da raccomandarmi, milord?

LORD MEWILL Potete farmi conoscere il padrone di un piccolo bastimento, un buon veliero, che lo possa noleggiare per otto giorni?

PETER            Ho quanto vi occorre. (Chiamando) Giorgio! (Questi, che è vestito da marinaio, si alza e viene sul davanti della scena). Questo signore avrebbe biso­gno di un bel battello per otto o dieci giorni.

GIORGIO        Per tutto il tempo che vorrà; non c'è che da mettersi d'accordo.

LORD MEWILL    Un battello che fili.

GIORGIO        La Regina Elisabetta è conosciuta, nel porto; potete informarvi presso chi volete se non fila a più di sei nodi all'ora.

LORD MEWILL   E può risalire fin qui?

GIORGIO        La conduco dove voglio; naviga in tre piedi d'acqua... Fate sfondare una botte di birra, e lo m'Im­pegno di farla arrivare in una camera.

LORD MEWILL    La si può vedere?

GIORGIO        È ancorata a un quarto di miglio da qui, que­sto è tutto.

LORD MEWILL Andiamoci, allora, e parleremo di af­fari per istrada.

GIORGIO        Volentieri, milord. Permettetemi solo di fi­nire la birra. (Beve, e poi esce con lord Mewill).

SCENA TERZA

Gli stessi, meno Giorgio e lord Mewill.

PETER            E l'altro per quanto tempo ne avrà?

JOHN             Per tre buoni mesi... Sei settimane di brodini... sei settimane di pappa... e così imparerà a scontrarsi con John Cooks.

SCENA  QUARTA

Gli stessi, e KEAN, che entra vestito da marinaio.

KEAN            Padron Peter Patt!

PETER            Eccomi! Ah! siete voi. Eccellenza!

KEAN            In persona... Il pranzo?

PETER            Lo stanno preparando nella sala grande.

KEAN            E...?

PETER            Oh! ciò che v'è di meglio, lo sapete, non è mai troppo buono per Vostra Eccellenza.

KEAN            (sedendo a un tavolo dirimpetto a quello del conestabile) Sta bene; dammi qualcosa da bere, nell'attesa.

PETER            Birra? porto?

KEAN            Mi prendi per un fiammingo, stupido! Champa­gne.

(Peter esce).

JOHN             Hai inteso quel marinaio d'acqua dolce che pre­tende che la birra gli disonorerebbe la gola?

KEAN            (a Peter che gli porta il vino) Non è arrivato ancora nessuno?

PETER             Nessuno.

KEAN            Va' a dare un'occhiata al pranzo... Mi pare che stia bruciando.

PETER             Vado subito, Eccellenza.

(Peter esce).

JOHN             Voglio vedere di che cosa è capace quel bel tipo. Lasciami fare un momento, e rideremo.

SECONDO BEVITORE    Che vuoi fare?

JOHN             Stai a sentire: se riesce a bere un solo bicchiere della bottiglia che ha dinanzi, non voglio più chiamar­mi John Cooks. (Avvicinandosi a Kean con aria pro­vocante) Sembra che non vi fosse più troppo ghiaccio, nelle vicinanze del polo, bel baleniere, e che la pesca non sia stata cattiva...

KEAN            (guardandolo)    Che avete su quell'occhio?

JOHN             E che ora convertiamo l'olio di balena in cham­pagne.

KEAN            Bisognerebbe che vi faceste mettere quattro san­guisughe, là sopra, buon uomo... Non è per niente bel­lo. (Versa il vino nel bicchiere).

JOHN             (prendendogli il bicchiere) Avete domandato il migliore, almeno? (Tracanna lo champagne e rimette il bicchiere sul tavolo; Kean lo guarda fare).

KEAN            Purché non abbiate il desiderio di farvi conciare l'altro occhio come quello là, ciò che non è difficile, continuando come state facendo.

JOHN             Ah!  lo credete?

KEAN            (versando una seconda volta nel bicchiere) Ne sono certo.

JOHN             In cambio di che?

KEAN            Gratis.

JOHN             (prendendo il bicchiere e vuotandolo)  Alla salute del mercante!

KEAN            (levandosi la giubba)    Grazie, amico.

JOHN             Ah! sembrerebbe che vogliate consegnarla, la mercanzia.

KEAN            (levandosi il panciotto) Sì, e mi incarico io stes­so della fornitura.

JOHN             (ridendo)    Ah! ah! ah!

TUTTI            Bravo!  bravo!

PETER            (rientrando, a John)    Ma che fai, John?

JOHN             Lo vedi, mi preparo.

PETER            Che fa Vostra Eccellenza?

KEAN            Lo vedi, mi preparo.

PETER            (a John)   Tu non sai con chi hai a che fare.

JOHN             E che me ne importa?

PETER            Signor conestabile!

IL CONESTABILE (salendo su una sedia, per meglio ve­dere)    Lasciami guardare, imbecille!

PETER            Andiamo, andiamo, battetevi, se vi fa piacere. (Esce).

Scena d'insieme, durante la quale Kean e John fanno a boxe, e alla fine della quale John riceve un pu­gno sull'altro occhio. Egli cade fra le braccia degli ami­ci che lo circondano; Kean si rimette la giubba e va a sedersi al suo tavolo.

KEAN            Peter!

PETER            Pronto!

KEAN            Un altro bicchiere.

PETER            Pare che sia finita. (Va a vedere nella stanza a lato). Non è durata tanto.

IL CONESTABILE (scendendo dalla sedia, e recandosi al tavolo di Kean) Volete permettermi di farvi i miei complimenti, signor marinaio?

KEAN            Volete permettermi di offrirvi un bicchiere di questo champagne, signor conestabile?

(Peter porta dei bicchieri, Kean versa da bere).

IL CONESTABILE (prendendo il suo bicchiere) Gli ave­te dato un magnifico pugno, giovanotto.

KEAN            Voi mi lusingate, signore; è stato un pugno di terzo ordine, povero e meschino; se avessi stretto il gomito al corpo e vibrato il braccio dal basso in alto, quell'idiota avrebbe avuto certo la testa spaccata.

IL CONESTABILE (deponendo il bicchiere) Peccato, signor marinaio; speriamo che un'altra volta sarete più fortunato.

KEAN            Ho fatto semplicemente quello che avevo deciso di fare: gli avevo promesso un pugno simile a quello che aveva ricevuto, e gliel'ho dato.

IL CONESTABILE Oh! esattamente, non c'è da discute­re;  ma di una migliore qualità, direi.

KEAN            Mi sembra che ve ne intendiate, signor conestabile.

IL CONESTABILE Sono un appassionato: non si fa un incontro di pugilato, nel mio circondario, o un combat­timento di galli, che non vada ad assistervi: adoro gli artisti.

KEAN            Veramente! Ebbene, signor conestabile, se vole­te essere fra i miei invitati, vi farò conoscere un artista: io.

IL CONESTABILE   Date un pranzo?

KEAN            Faccio da padrino. Ed ecco la madrina, guar­date. Non è graziosa?

(KETTY LA BIONDA entra con tutti gli altri invitati).

IL CONESTABILE Affascinante! Faccio un salto a ca­sa, per avvertire mia moglie che non rientrerò tanto di buon'ora.

KEAN            Avvertitela che non rientrerete affatto, allora: è più prudente.

(Il conestabile esce).

SCENA QUINTA

Gli stessi e KETTY.

KEAN            (accostandosi a Ketty e abbracciandola)    Ketty!

KETTY           Oh! signor Kean, non mi avete completamen­te dimenticato?

KEAN            E tu, Ketty, ti ricordi sempre del povero gio­coliere Davide, quantunque abbia cambiato nome e ora si chiami Edmondo Kean?

KETTY           Oh!  sempre.

KEAN            E che hai fatto, mia cara, da quando non ti ho più vista?

KETTY           Ho pensato al tempo in cui ero felice.

KEAN            Ebbene, mia povera Ketty, voglio che quel tem­po ritorni, per te.

KETTY           (con tristezza)    Impossibile, signor Kean.

KEAN            Amerai certo qualcuno,  no?

KETTY           (abbassando gli occhi)    Non amo nessuno.

KEAN            Ma comunque, se dovesse accadere, un giorno, e qualche centinaio di ghinee ti fossero necessarie per metterti a posto, vieni a trovarmi, cara, e ci penserò io alla tua dote.

KETTY           (piangendo) Io non mi sposerò, mai, signor Kean.

KEAN            Perdonami, Ketty, sono un imbecille. (A Pisto­la che entra) Beh, Pistola, e il vecchio Bob non viene?

SCENA SESTA

Gli stessi e PISTOLA; poi FILIPPO.

PISTOLA   Oh!  il vecchio Bob è a letto.

KETTY    A letto?

KEAN    Come mai?

PISTOLA Una disgrazia... Figuratevi, signor Kean... era sceso in istrada... era magnifico, perché aveva messo il cappello grigio, il pastrano pistacchio e il gran col­lo della camicia che gli sale alle orecchie, sapete... Ci mettiamo in cammino, lui fa appena quattro passi... e «Oh!», dice, «ho dimenticato la trombetta!». «Bah! e che volete farne della trombetta?», gli rispondo io. «Voglio suonare un motivetto alla frutta; li distrar­rà». «Ma che forse non conoscono già tutte le vostre musiche? Risparmiate il fiato per un'altra occasione, andiamo!». «Vai a prendermi la trombetta, e non di­scutere, stupido!». «Ma io non so dove sia, il vostro strumento; andatelo a prendere voi stesso». Voi sa­pete se è pronto, papà Bob... Non avevo terminato, che mi allunga un calcio... Fortuna che io conosco le sue abitudini, e non lo perdo mai di vista quando di­scutiamo.

KEAN            E te lo sei preso, è tutto, no?

PISTOLA        No, ed è questa la disgrazia: ho fatto un salto da un lato.

KEAN            E allora non te lo sei preso; tanto meglio!

PISTOLA        No, non me lo sono preso, ma dato che egli si attendeva di trovare resistenza... qualche cosa con­tro il piede, poveretto... e invece non ha trovato nien­te,  ha perduto l'equilibrio ed è caduto all'indietro.

KETTY           Oh!  mio Dio!

PISTOLA        Non parlarmene; preferirei aver ricevuto venticinque calci dove lui mirava, piuttosto che esse­re stato la causa di una disgrazia come quella che è avvenuta.

KETTY           S'è ferito, mio  Dio?

PISTOLA        (piangendo)    Pare che si sia slogato la spalla.

KEAN            Avete mandato a chiamare un medico?

PISTOLA        Sì... sì...

KEAN            E che ha detto?

PISTOLA        Ha detto che ne avrà almeno per sei setti­mane a letto; e durante tutto questo tempo la compa­gnia dovrà stringersi il ventre, capite, perché la trom­betta di papà Bob è conosciuta come l'insegna del si­gnor Peter: se domani la togliesse, l'insegna, crede­rebbero che ha fatto bancarotta, e nessuno entrerebbe più qui.

KEAN            E non vi è altra disgrazia, al di fuori di questa?

PISTOLA        Eh! mi sembra che non sia tanto da poco dover digiunare per sei settimane, quando non si è in quaresima.

KEAN            Peter!

PETER            Eccellenza.

KEAN            Penna, inchiostro e carta.

KETTY           Che vorrà fare?

PETER            Ecco.

KEAN            (scrivendo) Fai portare questa lettera al diret­tore del teatro di Covent Garden. Gli comunico che domani sera reciterò il secondo atto di Romeo e Giu­lietta e la parte di Falstaff, a beneficio di uno dei miei antichi compagni che si è slogato una spalla.

KETTY           Oh! signor Kean!

PISTOLA        Ecco un amico autentico, nella fortuna come nella disgrazia.

PETER            (chiamando) Filippo! (Il garzone entra).

KEAN            (dandogli la lettera) Tieni; e aspettiamo la ri­sposta. Bene!  tutti pronti?

PISTOLA        Tutti.

KEAN            Andiamo, allora.

PISTOLA        Giusto; non bisogna fare attendere il vicario.

KEAN            Oh! non è tanto per il vicario, che in fondo attenderebbe, ma è per il pranzo: quello non vuole attendere. Peter. te lo raccomando.

PETER            State tranquillo: vado a vedere se lo spiedo gira.

SCENA  SETTIMA

PETER, poi UN DISPENSIERE.

PETER            Ci si pensa, al pranzo, e con tutta l'attenzione. Lo sappiamo bene che voi siete un buongustaio, si­gnor Kean, e ci regoliamo di conseguenza. Dispensiere, dispensiere!

IL DISPENSIERE    Eccomi.

PETER            Fate attenzione che non si metta neanche una goccia d'acqua nelle bottiglie che verranno poste da­vanti al signor Kean.

IL DISPENSIERE    E nelle altre?

PETER            Nelle altre, ci vedo molto meno inconvenienti.

IL DISPENSIERE   Sta bene, padrone.

SCENA OTTAVA

PETER e MISS ANNA, che entra seguita da una fantesca.

ANNA            Signore, vorrei una camera.

PETER            È pronta.

ANNA            Come!

PETER            Sì. Qualcuno mi ha ordinato di preparare la miglior camera dell'albergo per una signora che do­veva venire questa sera; e questa dama siete voi, im­magino.

ANNA            Egli pensa a tutto. Conducetemi subito in que­sta camera, vi prego; temo ogni momento che qual­cuno non entri.

PETER            Dolly! Dolly! (La domestica entra). Ecco, la porta, miss, il numero uno. (Alla domestica) Accompagnate. Signora, desiderate qualcosa?

ANNA            Grazie, non ho bisogno di nulla. (Entra nella camera).

SCENA NONA

PETER, SALOMONE.

SALOMONE   (entrando)    Buongiorno,  signor Peter.

PETER            Ah, signor Salomone, siete voi! Diavolo! ci sa­pete fare, voi, no? Arrivate sempre troppo tardi per la chiesa e troppo presto per il pranzo. Che cosa pos­so offrirvi, mentre attendete?

SALOMONE   Niente, padron Peter, assolutamente nien­te. Sono venuto esclusivamente per parlare al nostro grande e illustre Kean di una questione di teatro, una cosa da niente.

PETER            Bene; ma vi farò egualmente portare un boc­cale di vecchia birra:  parlerete con quella, in attesa.

SALOMONE   Non è una cattiva idea: il tempo mi sem­brerà meno lungo, trascorrendolo con un amico. Ma appena il nostro grande maestro sarà di ritorno, di­tegli che l'attendo qui e che io gli devo subito par­lare da solo.

PETER            (uscendo)    D'accordo.

SCENA DECIMA

SALOMONE, seduto al tavolo dove era il conestabile.

SALOMONE   Ah! vediamo che cosa dicono della nostra ultima rappresentazione del Moro di Venezia. (Prende i gior­nali. Gli viene portato un boccale di birra). Grazie, amico. (Leggendo)  Um, um! Parigi, Pietroburgo, Vien­na... Sono veramente noiosi a riempire i giornali di notizie politiche della Francia, della Russia, dell'Au­stria; chi se ne occupa? a chi interessano? Ah! «Tea­tro di Drury Lane, rappresentazione del Moro di Ve­nezia, signor Kean. Lo spettacolo di ieri sera ha ri­chiamato poco pubblico»... Abbiamo dovuto rifiutare cinquecento richieste: la sala scoppiava! «L'infelice programma della serata»... Grazie: si rappresentava­no Il Moro di Venezia e il Sogno di una notte d'estate, i due capolavori di Shakespeare! «La mediocrità degli interpreti»... Nient'altro che il fiore della compagnia: miss O'Neil, mistress Siddons,  Kean,  l'illustre  Kean! «La recitazione frenetica di Kean, che trasforma Otello in un selvaggio»... E in che vorrebbe che lo trasfor­masse, in un damerino? (Guardando la firma dell'au­tore dell'articolo) Non mi meraviglio più: è Cooksman. Lo conosco. Vergogna! vergogna! son questi gli uomi­ni che giudicano, che condannano, e che qualche vol­ta riescono a strozzare!... (Prende un altro giornale). Ah! questo è differente: qui l'articolo è di un amico, Brixon;  ha preso l'abitudine di farseli lui stesso, nel timore che gli altri non gli rendano giustizia. Il pub­blico non lo sa, ma noi... Vediamo:   «La rappresenta­zione è stata magnifica, ieri sera, a Drury Lane; la sala era colma di pubblico; la metà delle persone che si sono presentate al botteghino non hanno potuto ot­tenere un posto. La grande e tetra figura di Jago», è la parte che interpreta lui, «è stata magnificamente resa dal signor Brixon». Ecco uno che almeno non si fa pregare. Del  resto, niente di male: finché si dice bene di se stessi, ciascuno è libero di farlo. «La fiac­chezza dell'attore a cui era assegnata la parte di Otello...». Lo trova fiacco, questo; l'altro lo trovava ec­cessivo...  è servita a far meglio risaltare la profon­dità dell'interpretazione del nostro celebre...».  (Getta via il giornale). Combriccole! combriccole! Ah! mio Dio! come sono contento di essere solo un povero suggeritore.

SCENA UNDICESIMA

KEAN, entrando, e SALOMONE.

KEAN            Che hai di così urgente da dirmi, Salomone? perché non vieni anche tu a metterti a tavola?

SALOMONE   Non sono venuto per pranzare; non ho fame, credetelo... Sta accadendo qualcosa, a casa vostra.

KEAN            Che cosa?

SALOMONE   È quel brigante dell'ebreo  Samuele, il gioielliere. Ha ottenuto un mandato contro di voi, per il vostro debito di quattrocento sterline, e lo sceriffo e gli sgherri sono già a casa.

KEAN            E che mi importa:   io sono qua, no?

SALOMONE   Hanno dichiarato che vi attenderanno fi­no a quando non rientrerete.

KEAN            Ebbene, Salomone, sai che cosa farò?

SALOMONE   No.

KEAN            Non rincaserò.

SALOMONE   Padrone!

KEAN            Che mi manca, qui? buon vino, buona tavola, credito aperto e inesauribile, degli amici che mi ama­no e che mi fanno dimenticare il mondo intero. La­sciamo lo sceriffo e gli sgherri ad annoiarsi a casa mia, e noi divertiamoci qui. Vedremo chi si stancherà pri­ma, loro o io!

SCENA  DODICESIMA

Gli stessi e ANNA, che entra di corsa.

ANNA            Signor Kean, signor Kean, è la vostra voce; l'ho riconosciuta. Eccomi.

KEAN            Miss Anna! Voi qui, in una taverna, sul porto? Scusate, ma il diritto che mi avete concesso alla vo­stra fiducia mi permette di rivolgervi questa doman­da. In nome del cielo, che cosa venite a fare, qui? chi vi ci ha condotta? Salomone, amico mio... va' a dire che si mettano a tavola,  in attesa.  (Salomone esce).

ANNA            Oh! ora che siamo soli, spiegatevi, signor Kean.

KEAN            Ditemi voi, invece, chi vi ha condotta in un luogo così poco degno.

ANNA            La vostra lettera.

KEAN            La mia lettera? Non ho avuto l'onore di scri­vervi.

ANNA            Voi non mi avete scritto, signore, che la mia li­bertà era in pericolo, e che era necessario abbando­nassi la casa di mia zia, assolutamente necessario?... Oh! ma lo l'ho con me, la vostra lettera. Eccola, ec­cola, guardate!

KEAN            Vi è qualche furfanteria, sotto tutto questo. Per quanto abbiano cercato di imitare la mia scrittura, non è la mia.

ANNA            Lasciamo andare. Leggetela, signore; vi spieghe­rà la mia presenza qui, la mia gioia nel rivedervi. Leg­getela, leggetela, vi prego.

KEAN            (leggendo) «Miss, vi hanno vista entrare da me; vi hanno vista uscire; vi hanno seguita; il vo­stro rifugio è stato scoperto; è stato chiesto, per por-tarvene via, un ordine che certamente verrà concesso. Non vi è che un mezzo per sfuggire al vostri perse­cutori: recatevi stasera al porto; chiedete della taver­na Al buco del carbone. Un uomo mascherato verrà a rilevarvi; seguitelo con fiducia: vi condurrà in un luo­go dove sarete al sicuro da ogni ricerca, e dove mi rivedrete. Non temete nulla, miss, e accordatemi tut­ta la vostra fiducia, perché io ho per voi tanto rispet­to quanto amore. Edmondo Kean... Si vigila su di me come su di voi; ecco perché non vengo io stesso a supplicarvi di prendere questa decisione, che è la so­la che vi possa salvare».

ANNA            Ecco la spiegazione della mia condotta, signor Kean; non ho bisogno di darvene altre. Ho creduto che questa lettera fosse vostra; mi sono fidata di voi; e son venuta da voi.

KEAN            Oh, miss, miss! Come ringrazio il caso, o piut­tosto la Provvidenza che mi ha condotto qui! Ascol­tatemi, miss, vi è in tutta questa faccenda una miste­riosa infamia che io chiarirò, ve lo giuro, e di cui l'au­tore si pentirà. Ma al punto in cui siamo, e per aiutar­mi nella lotta che sto per affrontare, bisogna che mi diciate tutto, miss; occorre che non abbiate più se­greti per me; è necessario che io vi conosca come una sorella; perché lo vi difenderò, lo giuro a Dio, come se voi foste la persona più prossima e più cara della mia famiglia.

ANNA            Oh!  con voi, vicino a voi, non temo nulla.

KEAN            E tuttavia state tremando, miss.

ANNA            Oh! signor Kean, è generoso da parte vostra in­terrogarmi, quando soprattutto a voi io non posso di­re tutta la verità?

KEAN            E che cosa può aver da nascondere un cuore giovane come il vostro, miss? Parlatemi come parle­reste al  vostro migliore amico, a vostro fratello.

ANNA            Ma come oserò, poi, guardarvi di nuovo negli occhi?

KEAN            Ascoltatemi, precederò io stesso le vostre pa­role... Alzerò lo stesso un lembo del velo sotto il qua­le voi nascondete il vostro segreto... Abituati come lo siamo noi, noi attori, a riprodurre tutti i sentimen­ti umani, dobbiamo continuamente sforzarci di an­dare a cercarli nel più profondo dell'animo... Ebbe­ne, io ho creduto di leggere nel vostro... scusatemi, miss, se mi sbaglio... che il vostro odio per lord Mewill... nasce da un sentimento del tutto opposto per qualcun altro.

ANNA            Sì, sì... non vi siete sbagliato... ma non è colpa mia: sono stata trascinata da una fatalità alla quale nessuna donna avrebbe potuto resistere... Oh! perché non m'hanno lasciata morire?

KEAN            Morire... voi, così giovane... così bella! E per­ché volevate morire?

ANNA            Non ero io che volevo lasciare la vita, era Dio che sembrava avermi condannata. Una profonda melanconia, un amaro disgusto dell'esistenza s'erano im­possessati di me... il mio corpo non aveva più forze, il mio petto non aveva più aria, i miei occhi non ave­vano più luce: sentivo l'impossibilità di vivere, mi sen­tivo trasportata verso la morte, senza scosse, senza dolori, senza nemmeno paura, perché non provavo più alcun desiderio di vivere... non desideravo niente... non speravo niente... non amavo niente. Il mio tutore aveva consultato i medici più bravi di Londra, e tut­ti avevano detto che il male era senza rimedio, che ero affetta da quella malattia che proviene dal nostro clima, contro la quale ogni scienza fallisce. Uno solo fra essi mi chiese se, fra le altre distrazioni giova­nili, mi era stato concesso anche di andare a teatro. Il mio tutore rispose che, educata in un severo colle­gio, questo divertimento mi era stato sempre vieta­to... Allora il medico lo indicò come un ultimo tenta­tivo. Il mio tutore volle provarlo lo stesso giorno: fe­ce prenotare un palco, e mi annunzio dopo pranzo che avremmo passato la serata a Drury Lane. Io intesi ap­pena quello che mi disse: gli presi il braccio allor­ché me lo chiese, montai in vettura... e mi lasciai con­durre come sempre, incaricando in certo modo le per­sone che mi accompagnavano di sentire, di pensare, di vivere per conto mio... Entrai nella sala... e la mia prima sensazione fu quasi di dolore... tutte quel­le luci mi abbagliarono, quell'atmosfera calda e olez­zante mi stordì... tutto il sangue mi affluì il cuore, e fui sul punto di svenire... Ma in quell'istante sen­tii un po' di frescura, il sipario si alzava. Istintivamen­te mi voltai, cercando aria da respirare... e fu allora che intesi una voce... oh!... che mi vibrò sino in fon­do al cuore... tutto il mio essere trasalì... Questa voce pronunciava dei versi melodiosi come mai ne avevo Intesi... delle parole d'amore come non avrei mai cre­duto che labbra umane potessero pronunciarne... Tut­ta l'anima mi si concentrò interamente negli occhi e nelle orecchie... e restai muta e immobile come la sta­tua dello stupore... e guardai... Si recitava Romeo.

KEAN            E chi interpretava Romeo?

ANNA            La serata passò in un secondo: io non avevo re­spirato, non avevo parlato... non avevo nemmeno applau­dito... Tornai al palazzo del mio tutore sempre fredda e silenziosa per tutti, ma già rianimata e vivente nel cuore. Due sere dopo fui condotta al Moro di Venezia... Vi andai con tutti i miei ricordi di Romeo... oh! ma questa volta non era più la stessa voce, non era più lo stesso amore, non era più neanche lo stesso uomo... Ma fu egualmente lo stesso incanto... la medesima fe­licità... la stessa estasi... E tuttavia potevo già espri­mermi... potevo dire: «È bello! è grande! è sublime!».

KEAN            E chi interpretava Otello?

ANNA            All'indomani fui io che chiesi se non saremmo andati a Drury Lane. Era la prima volta dopo un an­no, può dirsi, che manifestavo un desiderio; indovi­nerete facilmente che fu subito accolto. E ritornai In quel palazzo di magie e di incanti: andavo a cercarvi il viso melanconico e dolce di Romeo... la fronte bru­ciante e abbronzata del Moro... Vi trovai la testa te­tra e pallida di Amleto... Oh! questa volta tutte le sen­sazioni accumulate da tre giorni scaturirono insieme dal mio cuore troppo pieno per poterle rinchiudere... le mani applaudirono, la bocca acclamò... le lacrime cad­dero.

KEAN            E chi interpretava Amleto, Anna?

ANNA            Romeo mi aveva fatto conoscere l'amore, Otello la gelosia, Amleto la sventura... questa triplice inizia­zione completò il mio essere... Io languivo, senza for­za, senza desiderio, senza speranza... il mio seno era vuoto... la mia anima ne era già fuggita, o non vi era ancora discesa... L'anima dell'attore passò nel mio petto: compresi che cominciavo solamente da quel gior­no a respirare, a sentire, a vivere.

KEAN            Ma voi non mi avete detto, miss, chi era l'uo­mo che aveva prodotto in voi questo mutamento; chi era il Prometeo che aveva riacceso l'anima spenta, chi era il Cristo che aveva risuscitata la giovane già co­ricata nella tomba.

ANNA            Oh! è proprio il nome ciò che io non oso dirvi... per paura di non poter più guardarvi negli occhi.

KEAN            Anna, è vero? è proprio vero?... E sono tanto sfortunato?...

ANNA            (spaventata)    Che dite?

KEAN            Qualcosa che non potete comprendere, Anna... qualcosa che forse vi confesserò, un giorno... più tar­di... Ma in questo momento, miss Anna, non pensiamo che a voi... cara sorella.

ANNA            Kean, fratello... amico mio!

KEAN            Ritorniamo a questa lettera... Perché, ora che conosco tutto, non v'è un minuto da perdere.

ANNA            Ma a vostra volta, ditemi: come è che vi tro­vate qui, e che significa questo travestimento?

KEAN            Richiesto di essere padrino di un bimbo che ap­partiene a della povera gente che ho conosciuto in altri tempi, ho pensato che questo abito avrebbe dato loro maggior libertà nei miei riguardi, rendendomi più simile a loro. L'ho indossato, ed eccomi qui... Ma par­liamo d'altro. L'uomo mascherato non è venuto, poi?

ANNA            Non ancora.

KEAN            Verrà?

ANNA            Senza dubbio.

KEAN            (chiamando)    Peter.

ANNA            Che volete fare?

KEAN            (a Peter che entra)    Il conestabile è arrivato?

PETER            Attende nella grande sala col resto degli invitati.

KEAN            Pregatelo di venire qui.

ANNA            Oh!  Kean, mi spaventate.

KEAN            Che avete da temere?

ANNA            Per me non temo niente... temo per voi.

KEAN            State tranquilla. Ah! venite, signor conestabile, venite... Ecco miss Anna Damby, una delle più ricche ereditiere di Londra, che vogliono costringere ad ac­cettare uno sposo. Vi ho chiamato per affidarvela. vostra missione è grande ed è bella, signor conesta­bile. Stendete le braccia su questa giovane, e salva­tela!

IL CONESTABILE Che mutamento! E chi siete voi. signore, che invocate il mio ministero con tanta con­fidenza e autorità?

KEAN            Poco importa chi è che invochi la protezione della legge, poiché la legge è uguale per tutti... poi­ché la giustizia porta una benda sugli occhi, e solo le sue orecchie sono aperte. In ogni caso, se volete co­noscere chi io sia, io sono l'attore Kean. Mi avete det­to che amate gli artisti, e vi avevo promesso di farvene conoscere uno. Vedete che mantengo la  parola.

IL  CONESTABILE    Ma come non vi ho riconosciuto, io che vi ho visto recitare cento volte, e che sono fra i vostri più caldi ammiratori?... Così, signorina, voi ri­chiedete la mia protezione?

ANNA            In ginocchio.

IL CONESTABILE È vostra, signorina; solamente, di­temi in quale maniera...

KEAN            Anna, entrate col signor conestabile in questa camera; e ditegli, raccontategli tutto. Bisogna che io resti solo, qui... Aspetto qualcuno.

ANNA            Kean, prudenza...

KEAN            Andate, vi prego... Quanto a noi, signor cone­stabile, state tranquillo, questo non cambierà in nes­sun modo il programma della serata... e noi mange­remo ancora più allegramente, ve lo giuro. 

(Anna e il conestabile escono).

SCENA TREDICESIMA

KEAN, solo.

KEAN            Che strana faccenda! Povera Anna! che persecuzio­ne! che intrigo! che complotto! E tutto questo contro una fanciulla così fragile da poter essere spezzata con un soffio, e ancora pallida di quella morte da cui è sta­ta appena salvata! Quando penso che vi erano mille probabilità che non mi trovassi qui, e che in que­sto caso si sarebbe effettuato un rapimento sotto il mio nome! Ah! ecco perché questa diceria si è sparsa così rapidamente e così insolitamente, che io avevo rapito miss Anna... prima ancora che l'avessi veduta... Do­vevo servire da schermo a un lord spiantato che vuol ricostruirsi una ricchezza. Oh! ma sono giunto in tempo, eccomi... Non si può arrivare sino a miss Anna che attraverso questa porta, ed essa è custodita, e ben custodita, in questo momento, lo giuro... Ah! ecco qualcuno... mi sembra... vivaddio, è proprio lui!... Avevo paura che non venisse più.

(Si sente suonare mezzanotte).

SCENA QUATTORDICESIMA

KEAN seduto, LORD MEWILL che entra mascherato.

LORD MEWILL Dev'essere venuta. (A Kean) Scusate, amico mio, vorrei passare.

KEAN            Scusate, milord, ma voi non passerete.

LORD  MEWILL    E  perché, se non vi dispiace?

KEAN            Perché non siamo né in un tempo dell'anno né in un'era del mondo in cui si va in giro con la ma­schera... È una moda scomparsa, in Inghilterra, sin dal regno di Maria la cattolica.

LORD MEWILL Ci possono essere circostanze in cui si ha la necessità di nascondere il proprio volto.

KEAN            Un uomo onesto e un nobile progetto vanno sempre a viso scoperto, milord... Il vostro progetto io lo conosco, ed è un progetto infame. Quanto al vostro viso, lo conoscerò immediatamente, e saprò giudicar­lo, come il vostro progetto, milord; perché se non vi togliete la maschera, giuro a Dio che ve la strapperò, e in questo stesso istante, mi capite?

LORD MEWILL    Signore!

KEAN            Sbrigatevi, sbrigatevi, milord. (Lord Mewill fa un movimento per fuggire, Kean gli afferra il braccio destro con la mano sinistra). Oh! non uscirete, ve lo dico lo... Avete ancora una mano libera, milord... fa­tene uso per togliervi la maschera... e, credetemi, non lasciate avvicinare la mia mano al vostro viso.

LORD MEWILL (cercando di svincolare il braccio) Ma è troppo;  saprò chi è l'insolente che mi ingiuria.

KEAN            E lo chi è il vigliacco che vuole fuggire! (Gli strappa la maschera). Entrate... entrate tutti... e con dei lumi, affinché ci si possa riconoscere, qui!

(Entrano tutti).

LORD MEWILL    Kean!...

KEAN            Lord Mewill! Non mi ero sbagliato, dunque.

LORD MEWILL    È un agguato!

KEAN            No, milord, perché la cosa resterà fra di noi... Ma poiché voi mi avete insultato, e gravemente insultato, servendovi del mio nome per commettere una vi­gliaccheria... voi me ne renderete conto, milord, e tut­to andrà a posto.

LORD MEWILL Non c'è che una sola difficoltà, signo­re; ed è che un lord, un nobile, un pari d'Inghilterra... non può battersi con un giocoliere, un saltimban­co... un istrione.

KEAN            (rimettendo a terra una sedia che aveva solle­vato) Sì, avete ragione, v'è troppa distanza fra noi. Lord Mewill è un uomo d'onore, appartenente a una delle migliori famiglie d'Inghilterra... di una ricca e vecchia nobiltà di conquistatori, se non mi sbaglio. È vero che lord Mewill s'è divorata la ricchezza dei suoi antenati al gioco delle carte e dei dadi, in scom­messe su galli e alle corse di cavalli... È vero che il suo blasone è offuscato dalle ombre della sua vita di dis­solutezze e dalle sue basse azioni... e che invece di salire ancora, è disceso sempre più. Mentre invece il giocoliere Kean è nato su un giaciglio, è stato esposto nella pubblica strada, e, avendo cominciato senza no­me e senza mezzi, si è fatto un nome pari al più no­bile casato, e una fortuna che, il giorno in cui lo vor­rà, potrà rivaleggiare con quella di un principe del sangue... Ciò non toglie che lord Mewill sia un uomo d'onore e Kean un giocoliere. — È vero che lord Me­will ha cercato di ricostituire la sua ricchezza a dan­no di quella di una giovane bella e indifesa... che, sen­za preoccuparsi se ella appartenesse a una classe al disotto della sua, egli l'ha stancata con le sue prof­ferte d'amore... perseguitata con le sue pretese, op­pressa con la sua influenza. Mentre invece il saltim­banco Kean ha offerto la propria protezione alla fug­gitiva che è venuta a chiedergliela; l'ha ricevuta a casa sua come un fratello avrebbe accolto una so­rella, e ha lasciato che ne uscisse pura come era entra­ta... quantunque ella fosse bella, giovane e  indifesa. Ciò non toglie Che Mewill sia un lord, e Kean un sal­timbanco! — È vero che lord Mewill, pari d'Inghilterra, ha un seggio alla camera alta, fa e disfa le leg­gi della nostra vecchia Inghilterra, porta una corona comitale sulla vettura e un mantello di pari sulle spal­le, e non ha che da profferire il proprio nome per ve­dersi spalancato dinanzi il palazzo del nostri re... Ciò non toglie che lord Mewill, quando si degna di scen­dere in mezzo al popolo, cambia nome, sia perché arrossisca di quello del suoi avi. sia perché non voglia farlo arrossire... e allora assume quello di un gioco­liere e di un saltimbanco, e firma una lettera con que­sto falso nome... È una cosa da ergastolano e da ga­lera... né più né meno... Comprendete, milord? — E invece l'istrione Kean cammina a viso scoperto, lui! e proclama a voce alta il proprio nome, perché il suo lustro non gli viene dagli antenati, ma va a loro... e invece l'istrione Kean strappa la maschera da ogni volto, in teatro come in una taverna, e forte della leg­ge che ha ricevuto, la invoca contro colui che l'ha fat­ta... Allorché l'istrione Kean promette a lord Mewill che non rivelerà nulla di tutto ciò, a patto che gli dia sod­disfazione di un insulto per il quale la società potreb­be chiamarlo in giudizio... lord Mewill risponde che non può battersi con un giocoliere, un saltimbanco, un istrione... Oh! parola mia! è proprio così che andava risposto, perché vi è troppa distanza fra i due! — Mi­lord! voi avete dimenticato, in tutto questo, tre cose: la prima, che io potrei denunciare la vostra azione al­la giustizia, e consegnarvi, ora stesso, nelle sue mani. La seconda, che vi sono insulti tali da bollare la fronte di un uomo come il ferro arroventato la spalla del forzato, e che io potrei farvi uno di questi insul­ti. La terza, che voi siete chiuso qui, in mio potere, in mio dominio... e che io potrei spezzarvi, in queste mani... le vedete?... così come potrei frantumare que­sto bicchiere. (Ridendo) Ah! ah! ah! se non preferis­si servirmene per fare un brindisi... Versa, Peter, al­la felicità di miss Anna Damby, alla sua libera scelta di uno sposo... e che possa questo sposo darle tutta la felicità che essa merita e che io le auguro!

TUTTI            Viva il  signor Kean!...

KEAN            E ora siete libero di sgomberare, milord.


ATTO QUARTO

La scena rappresenta il camerino di Kean.

SCENA PRIMA

PISTOLA e SALOMONE. che prepara dei bicchieri con acqua e zucchero.

PISTOLA        Ditemi, papà Salomone, se non sono indiscre­to, che state facendo?

SALOMONE   Preparo un bicchiere d'acqua zuccherata.

PISTOLA        Anche papà Bob è come il signor Kean... ha sempre bisogno di gargarismi negli intervalli. Solo che lui se li fa col rum.

SALOMONE   Oh! se lo non fossi ragionevole per due, neanche qui si farebbero diversamente. Ma su questo io sono di una severità incorruttibile; ammetto qual­che rara volta un grog, ma non più di questo.

PISTOLA        E avete ragione. (Dando uno sguardo nell'armadio) Che cosa sono tutte queste cianfrusaglie?

SALOMONE   Come? stupido! Chiami cianfrusaglie... que­sti magnifici costumi?

PISTOLA        Oro?... Vero oro?... Oh! oh! oh! Scusatemi, allora. Ce ne dev'essere per parecchi scellini...

SALOMONE   (gonfiandosi) Ma noi abbiamo un guarda­roba che vale per lo meno duemila sterline, a dir poco...

PISTOLA        Più ricco di quello del re, allora? Ecco battu­ti i diamanti della corona! Ma ditemi un po', papà Salomone, che è quella porta?

SALOMONE   Stai zitto!

PISTOLA        Oh! ma è una vera porta!

SALOMONE   Zitto!

PISTOLA        Lo sa, il signor Kean? È che qualcuno potrebbe venire a rubare, di là... Per quanto sembri che non debba aprirsi, vedete, si apre...

SALOMONE   Ma, razza di serpente, come ti sei permesso?

PISTOLA        Oh! con la punta del coltello.

SALOMONE   Se il signor Kean lo venisse a sapere!...

PISTOLA        Si arrabbierebbe? Allora non bisogna dir­glielo. Sia come se non avessi visto niente: non c'è nes­suna porta... Che? c'è una porta? Chi dice che c'è una porta? Non lo dico io, l'avete detto voi, papà Salomone! Ah, burlone!

SALOMONE   C'è molta gente, stasera?

PISTOLA        Gente? C'è una coda che fa tre volte il giro del teatro. Ho dovuto camminare un quarto d'ora per percorrerla tutta.

SALOMONE   E a che pensavi?

PISTOLA        Pensavo che in tutte quelle tasche c'erano dei quattrini che sarebbero passati in quelli di papà Bob!... È fortunato, papà Bob! A me non capiterà mai di aver la fortuna che mi succeda una sfortuna come la sua!

SALOMONE   Zitto!  ecco il signor Kean.

PISTOLA        Io me la batto. (Scappa).

SCENA SECONDA

SALOMONE e KEAN,  che entra gettando il cappello.

SALOMONE   (a parte) Oh, Pistola ha fatto bene a scap­pare: c'è uragano in vista.

KEAN            Salomone!

SALOMONE   Padrone.

KEAN            Stendi sul pavimento una pelle di leone... una pelle di tigre... un tappeto... quello che vuoi, non m'im­porta...

SALOMONE   Che dovete fare?

KEAN            Delle capriole.

SALOMONE   (stupefatto)    Delle capriole?

KEAN            È così che ho cominciato, sulle piazze di Du­blino... e vedo che sarò costretto a riprendere il mio antico mestiere. Fai mettere del cartelli per tutta Lon­dra che il pagliaccio Kean farà dei giochi di agilità in  Regent Street e a  Saint James, a  patto che sia compensato con cinque ghinee per ogni finestra, e al­lora otto giorni mi basteranno per accumulare una ric­chezza da re, perché tutti vorranno vedere come Amleto cammina sulle mani, e come Otello fa i salti mor­tali all'indietro... Mentre invece, in questo maledetto teatro, mi saranno necessari, con l'aiuto di Shakespeare, anni e anni; e anzi, con la vita che faccio, più an­ni passeranno, più farò debiti, accumulando si e no quanto mi sarà sufficiente per andare a morire, in un'o­nesta miseria, in fondo a qualche villaggio del Devonshire, tra un pezzo di bue salato e un boccale di bir­ra. Oh! la gloria! il genio! l'arte! l'arte! carcassa stec­chita, vampiro che muore di fame, al quale gettiamo un manto d'oro sulle spalle, e che adoriamo come un dio! Io potrò ancora essere la tua vittima... ma non sarò più il tuo zimbello, sii certo!

SALOMONE   Che succede, padrone?

KEAN            C'è che il mio palazzo è tutto circondato di sgherri, e che ho dovuto passare tutta la giornata nel­la carrozza, dopo aver passato una notte alla taverna... il che mi mette in una magnifica situazione per es­sere fischiato, stasera... e tutto per un miserabile de­bito di quattrocento sterline. Vieni a raccontarmi an­cora che io sono il primo attore d'Inghilterra e che tu non cambieresti il mio posto con quello del prin­cipe di Galles... Adulatore!

SALOMONE   Ma in fondo è colpa vostra... perché se voi voleste essere più accorto...

KEAN            Accorto? Proprio! E il genio, dove andrebbe a finire, mentre io pensassi a essere accorto? Con una vita agitata e piena come la mia, ho forse il tempo di calcolare minuto per minuto e lira per lira il tem­po che posso impiegare e i quattrini che posso spen­dere? Oh! se Dio mi avesse concesso questa encomia­bile facoltà, io sarei a quest'ora mercante di stoffe nel­la City, e non mercante di versi a Covent Garden e a Drury Lane!

SALOMONE   Ma mi sembra, padrone, per ritornare sul­le quattrocento sterline, che voi potreste, sull'incasso di questa sera...

KEAN            È mio, forse, l'incasso? È di quei poveracci; e tu vorresti che lo facessi pagar loro il favore che gli rendo? È un consiglio da servo, signor Salomone.

SALOMONE   Voi non mi avete capito, padrone... In tre o quattro giorni voi glieli rendereste...

KEAN            È così, non è vero? Io chiederei un prestito a del saltimbanchi... io, Kean...  Ma andiamo!

SALOMONE   Scusate, padrone... scusatemi.

KEAN            Bene... bene! andate a ripassarvi la mia parte; leggetela bene, sciocco! e fate attenzione che io non di­mentichi una parola.

SALOMONE   Sì, padrone.

KEAN            In caso contrario, avrai da fare con me... mio buon Salomone... mio vecchio compagno... mio solo amico.

SALOMONE   Andiamo, andiamo, sembra che l'uragano sia passato.

KEAN            Senza dubbio! Non sono Prospero il mago? non posso, con un sol gesto della mia bacchetta, fare il bel tempo o la tempesta... evocare Calibano o Ariel? Vattene, Calibano;  aspetto Ariel.

SALOMONE   Oh! allora è un'altra cosa. Perché non me lo avete detto subito?... Me ne scappo, padrone, me ne scappo. (Ritornando) A proposito, padrone, non di­menticate che questa sera  recitiamo sei atti.  (Esce).

SCENA TERZA

KEAN solo.

KEAN            Buono, ottimo uomo, amico di ogni tempo, fedele di tutte le ore, unica anima per la quale la mia anima non ha alcun segreto; specchio del mio dolore e del­la mia vanità... tu che non ti avvicini a me se non per carezzarmi come fa il cane al padrone e che ri­cevi per ricompensa della tua amicizia solo rimproveri e sgarbi... mi farò scolpire il tuo nome a lettere d'oro sulla tomba, e tutti sapranno che Kean non ha avu­to che due soli amici: il mio leone e te! Povero Ibrahim! tu sì che eri uno che sapeva come ricevere i cre­ditori... Bastava che la sera stendessi un tappeto da­vanti alla porta della camera da letto, e potevo dor­mire tranquillo... Ma ho udito camminare nel corri­doio... non mi sbaglio... che sia lei? (Corre alla porta dalla quale è uscito Salomone, e la chiude).

SCENA QUARTA

KEAN, ELENA.

KEAN            Elena!

ELENA           Kean!

KEAN            Ah!  siete voi!

ELENA           (voltandosi) Attendimi, Gidsa... mi fermerò un attimo.

KEAN            Ma siete ben sicura di questa donna?

ELENA           Come di me stessa; è un'esiliata da Venezia come me.

KEAN            Siete venuta, finalmente... Oh! lo speravo, ma non osavo attendervi.

ELENA           Non avevo da farvi contemporaneamente dei ringraziamenti e dei rimproveri? Che  imprudenza!

KEAN            Come! Vorreste che mi pentissi di averla com­messa?

ELENA           Ma chi vi chiede di pentirvene? Via!

KEAN            E siete venuta... ed eccovi qua! Oh! non posso veramente credere alla mia felicità!

ELENA           Lo credete, ora, che io vi amo?

KEAN            Sì, sì, lo credo.

ELENA           Così siete, voialtri uomini, sempre ingiusti: non vi basta che una donna vi affidi il proprio onore, bisogna anche che rischi di perderlo, per voi.

KEAN            Oh! no, no... Ma mettetevi un momento nei pan­ni di un povero paria... che vede muoversi attorno l'in­tera società, e che, simile a un essere che sogna, si sente incatenato al proprio posto ed è ridotto a lan­ciare solo sguardi avidi in quegli incantati giardini nei quali vede degli esseri privilegiati cogliere 1 frutti di cui egli ha sete. Oh! occorre proprio che si venga da lui, dal momento che egli non può andare dagli altri.

ELENA           E dato che lo non potrò venire così spesso come desidererei... ho voluto che, in mia assenza, al­meno il mio ritratto vi ricordasse di me.

KEAN            Il vostro ritratto!... Vi siete fatta fare un ritrat­to per me? Elena... Sì, eccolo... Oh! ma voi siete più bella!

ELENA           Allora non lo volete, signore?

KEAN            Oh! sì, sì che lo voglio... Qua... qua... sul mio cuore... per sempre!

ELENA           Voi mi amate, dunque?

KEAN            E potete chiedermelo?

ELENA           (prendendogli la mano)    Mio Otello!

KEAN            Hai detto bene, perché io sono geloso come il Moro di Venezia, capisci? Desdemona!

ELENA           Geloso!... e di chi? Buon Dio!

KEAN            Lo sapete bene.

ELENA           No, ve lo giuro.

KEAN            Non giurate, altrimenti lo non crederò più al vostri giuramenti. Le donne hanno un istinto che di­ce loro che un uomo le ama, assai prima che egli stes­so lo dica.

ELENA           Ma molti giovani eleganti mi fanno la corte, signore.

KEAN            Lo so, e tuttavia non vi è che un unico uomo che io tema.

ELENA           Temete qualcuno?

KEAN            Dovrei dire che temo la sua reputazione, il suo rango.

ELENA           Alludete al principe di Galles, ho capito.

KEAN            Sì, ma non temo che voi lo amiate; temo sol­tanto che lo si dica.

ELENA           Ma come volete che faccia? Non è da me che dice di venire, ma da mio marito.

KEAN            Lo so, sul mio onore! ed è questo che mi tor­menta. A casa vostra, alla passeggiata, allo spettacolo, egli vi è sempre al fianco... Come volete che si creda che il più ricco, il più nobile e il più potente principe d'Inghilterra, dopo il re, ami senza speranza... dato poi che si sa perfettamente che questo non è fra le sue abitudini? Oh! quando lo vedo vicino a voi. Elena, divento pazzo!

ELENA           Volete, allora, che questa sera lo non venga allo spettacolo?

KEAN            Al contrario! Venite, ve ne supplico... Se voi non veniste, e per caso non venisse neanche lui... lo penserei che state insieme.

ELENA           Siete proprio pazzo a crearvi tali paure!

KEAN            Non è scritto che si debba essere sempre infe­lici?... Infelici se non siamo amati... infelici se lo sia­mo! Elena! Elena! (Le cade alle ginocchio). Compian­getemi... perdonatemi...

ELENA           E di che cosa volete che vi compianga, sognatore? che vi perdoni, geloso?

KEAN            Perdonatemi d'aver passato questi pochi istanti che mi avete concesso a tormentarvi e a tormentare me stesso. Invece di occuparli a dirvi che io vi amo, e a ripetervelo cento volte.

ELENA           Bussano.

KEAN            La chiave è di fuori!

ELENA           Ah!  mio Dio!

KEAN            Chi è?

IL PRINCIPE   Io.

ELENA           La voce del principe di Galles!

KEAN            Chi, voi?

IL PRINCIPE   Il principe di Galles, perbacco!

IL CONTE      E il conte di Koefeld.

ELENA           Mio marito! Oh!  sono perduta!

KEAN            Silenzio... Copritevi col velo, e uscite, uscite!... Scusatemi, monsignore, ma in questo istante ho la di­sgrazia...  (A Elena) Sbrigatevi!

ELENA           Come s'apre questa porta?

KEAN            ... D'avere alle calcagna certe persone che mi perseguitano per quattrocento miserabili sterline.

IL PRINCIPE   Capisco.

ELENA           Aiutatemi!

KEAN            Aspettate... E che non si farebbero alcuno scru­polo di appropriarsi del nome rispettato di Vostra Al­tezza per giungere fino a me: abbiate dunque la bon­tà di passarmi un biglietto col vostro nome, scritto di vostro pugno, monsignore.

IL PRINCIPE  Che fate, ora?

KEAN            Ritiro la chiave per lasciarvi il passaggio li­bero. Eccomi, addio, Elena, vi amo, amatemi, addio. (Chiude la porta per la quale è uscita Elena, ritorna all'altra, e ritira per il buco della serratura una ban­conota). Una banconota da quattrocento sterline! È veramente un biglietto reale... Entrate, principe, sie­te certamente voi.

(Apre, e IL PRINCIPE e IL CONTE entrano).

SCENA  QUINTA

KEAN, IL PRINCIPE, IL CONTE, SALOMONE.

IL PRINCIPE   (entrando e guardando da tutti i lati) Non vi siete accorto di una cosa, signor conte: che entrando nel camerino di Romeo, ne abbiamo fatto fug­gire Giulietta.

IL CONTE      Vero?

KEAN            Ah! che idea stramba, monsignore! Guardate, cercate.

IL PRINCIPE   Oh, un camerino di attore è complicato come un castello di Anna Radcliffe... vi sono nascon­digli invisibili che dànno in sotterranei, tende che s'a­prono su passaggi insospettati...

KEAN            (al conte) Come sono riconoscente a Vostra Ec­cellenza di essersi degnato di venire nel camerino di un povero attore!

IL PRINCIPE   Oh! non attribuitelo al vostro merito, signor vanesio! ma alla curiosità... Il conte, per quan­to sia un diplomatico, non aveva mai messo piede fra le quinte di un teatro, e ha voluto vedere...

KEAN            Un attore che si trucca. Debbo però avvertire Vostra Signoria: noi abbiamo, signor conte, un'etichet­ta molto più severa da osservare, noialtri cortigiani del pubblico, di quella vostra, signori cortigiani del re. Occorre che noi siamo pronti all'ora precisa, sotto pe­na di essere fischiati; e, scusate, ecco che suonano per la seconda volta. Cosi, permettetemi...

IL CONTE      Mio Dio! fate come se non fossimo qui... a meno che non vi disturbiamo.

KEAN            Per nulla.

SALOMONE   (entrando)    Eccomi,  padrone.

KEAN            Ma innanzi tutto, monsignore, riprendetevi, ve ne prego, questo biglietto.

IL PRINCIPE   Affatto! È il prezzo del palco che mi è piaciuto di versare direttamente a voi, invece di pagar­lo al botteghino.

KEAN            A questo titolo, l'accetto... Andiamo, Salomone, amico mio, tu sai che cosa bisogna fare di questo de­naro. (Passa dietro a una tenda).

IL CONTE      (al principe) E voi credete che fosse con una donna?

IL PRINCIPE   Ne sono certo.

IL CONTE      Miss Anna, forse.

IL PRINCIPE   È molto difficile saperlo...

IL CONTE      (scorgendo il ventaglio dimenticato da sua moglie) Ebbene! Io lo saprò, lo, ve lo garantisco! (Si mette il ventaglio in tasca).

IL PRINCIPE   E come?

IL CONTE      È un segreto diplomatico.

KEAN            (da dietro la tenda) Dunque, Altezza... che no­vità?

IL PRINCIPE   Qualcuna molto importante... Ah! un in­solente che, mi pare, ha insultato lord Mewill ieri se­ra... alla taverna Al buco del carbone.

IL CONTE      E perché mai?

KEAN            Perché lord Mewill ha rifiutato di battersi con lui, adducendo il pretesto che si trattava di un atto­re? Sì, ne ho inteso parlare, mi sembra.

IL PRINCIPE   Che ne pensate di questa scusa, signor conte?

IL CONTE      Io non so quali siano le consuetudini ingle­si, in questi casi, monsignore, ma noialtri tedeschi, quando ci crediamo insultati, ci battiamo con chiun­que, fatta eccezione dei ladri... dei quali le galere si incaricano di renderci giustizia.

KEAN            (tornando in scena col maglione e le scarpe al­la polacca) Molto bene, signor conte, voi avete un nobile cuore, e i tedeschi sono un nobile popolo... Vi prometto che andrò a farmi uccidere a Vienna.

IL CONTE      Vi sarete molto ben ricevuto. In attesa, rin­grazio il principe di avermi introdotto nel sacrario delle arti.

KEAN            E io, signor conte, vi presento le mie scuse, se il gran sacerdote vi ha ricevuto sin dalla prima volta come un iniziato.

IL CONTE      Vogliamo lasciare il signor Kean a comple­tare la sua toilette, monsignore?

KEAN            (a bassa voce) Desidererei molto dire una pa­rola a Vostra Altezza.

IL  PRINCIPE  Andate pure, conte; vi raggiungo.

IL CONTE       Vostra Altezza sa il numero del palco?

IL PRINCIPE   Sì, sul proscenio. (A bassa voce) Mi di­rete tutto, non è così?

IL CONTE      State tranquillo.  (Saluta)  Signor Kean...

KEAN            (inchinandosi)    Eccellenza...  

(Il conte  esce).

SCENA SESTA

KEAN e IL PRINCIPE.

KEAN            Oh! principe, come sono contento di trovarmi solo con voi!

IL PRINCIPE   E perché?

KEAN            Per ringraziarvi di tutte le vostre bontà, anzi­tutto, e poi per presentarvi le mie scuse. Voi siete pas­sato da casa mia, e vi hanno detto che io non c'ero.

IL PRINCIPE   Mentre invece c'eri, eh?

KEAN            Sì... Ma affari della più grande importanza...

IL PRINCIPE   Bah, tra amici... non ci si importuna.

KEAN            Mi fermo su questa parola, monsignore... Fra amici.

IL PRINCIPE   È una parola che ti compromette?

KEAN            No, certo... Ma vorrei sapere se Vostra Altezza si lascia cadere questa parola dalla punta delle lab­bra... o dal fondo del cuore.

IL. PRINCIPE Eh! Che ho fatto per aver meritato che il signor Kean mi metta la domanda in una maniera così netta e precisa? La mia borsa non è sempre a sua disposizione? Il mio palazzo non gli è aperto a tutte le ore? E il popolo come i nobili non lo vedono ogni giorno attraversare le vie di Londra nella mia vettura e al mio fianco?

KEAN            Tutte queste cose, lo so, sono prove di amici­zia per la gente, e certo ciascuno crede che io non abbia che da rivolgermi a Vostra Altezza, per ottene­re tutto quello che mi passa per la testa di deside­rare.

IL PRINCIPE   Ah!  lo credono tutti?

KEAN            Eccetto me, però, monsignore... eccetto me che non m'inganno per queste manifestazioni esteriori... piacevoli per la mia vanità... ma che, per quanto lu-singatrici possano essere, mi lasciano comunque un dubbio in fondo al cuore.

IL PRINCIPE   Che dubbio, se non vi dispiace?

KEAN            Questo, monsignore: che se io avessi da do­mandare a Vostra Altezza non più uno di quel favori che un principe concede al suddito, ma uno di quel sacrifici che si compiono da eguale ad eguale, può dar­si che la benevolenza del protettore non giungerebbe sino alla devozione dell'amico.

IL PRINCIPE   Mettetemi alla prova.

KEAN            Se io dicessi a Vostra Altezza... noialtri artisti, monsignore... abbiamo degli amori bizzarri, e che non somigliano per niente a quelli degli altri uomini, per­ché essi non si affacciano alla ribalta: e, tuttavia, que­sti amori non sono meno degli altri passionali e ge­losi. A volte avviene che tra le donne che assistono assiduamente alle nostre rappresentazioni noi ne sce­gliamo una di cui facciamo l'angelo ispiratore del no­stro genio; e tutto ciò che vi è di tenero e di appas­sionato nelle nostre parti lo rivolgiamo a lei... I due­mila spettatori presenti nella sala spariscono ai nostri occhi che non vedono più che lei; gli applausi di tut­to questo pubblico ci sono indifferenti, perché ambia­mo solo gli applausi di lei... È l'anima sua che la no­stra voce va a cercare fra tutte quelle anime... E non recitiamo più per la reputazione, per la gloria, per l'avvenire: ma per un sospiro... per uno sguardo... per una lacrima di lei.

IL PRINCIPE   Ebbene?

KEAN            Ebbene, monsignore, se questa donna si degna di accorgersi di questo potere che esercita su di noi; se, impietosita dalla distanza che ci separa nella real­tà, ci consente di superarla in sogno; se la gioia che ne sentiamo, per quanto vana e frivola sia, è comun­que una gioia!... Se, infine, quest'amore immaginario ha le sue gelosie come un amore reale, l'uomo che ne è la causa non deve aver pietà per i disgraziati che lo provano?

IL PRINCIPE   Sarebbe a dire che io sono tuo rivale, non è così?

KEAN            Questa parola presuppone un'eguaglianza, mon­signore, e voi sapete che io sono in una posizione trop­po distante dalla vostra.

IL PRINCIPE   Ipocrita!... E che posso fare per la mag­giore tranquillità del vostro amore, signor Kean?

KEAN            Monsignore, voi siete giovane... siete bello... sie­te principe... Non vi è donna in Inghilterra che possa resistere a tutti questi fascini. Per le vostre distrazio­ni, per i vostri capricci, per i vostri amori, voi avete l'intera Londra e le sue province... avete la Scozia e l'Irlanda, avete i tre regni... Ebbene! fate pure la cor­te a tutte le donne... eccetto una...

IL PRINCIPE   Eccetto Elena, non è così?

KEAN            L'avete indovinato, monsignore!

IL PRINCIPE   Ah!... è la bella contessa di Koefeld... la donna dei nostri segreti pensieri... L'ho supposto, briccone... quando sei venuto a casa sua per discol­parti... Sei il suo amante...

KEAN            No, monsignore... Ve l'ho detto, che ho per lei semplicemente quell'amore d'artista, al quale i più grandi attori devono i loro più bei successi... Ma di questo amore io ho fatto la mia vita, vedete! Più del­la vita, la mia gloria! Più della gloria... la mia felicità.

IL PRINCIPE   Ma se io mi ritiro, un altro prenderà il mio posto.

KEAN            Che mi importa di qualsiasi altro, monsignore? Io non temo che voi... perché di chiunque altro io pos­so vendicarmi... mentre di voi, monsignore...

IL PRINCIPE   Tu sei il suo amante...

KEAN            No, Altezza... Ma, vedete, quando ella è in tea­tro, e dalla scena in cui sono incatenato io vi vedo entrare nel suo palco... oh! non potete comprendere tutto quello che allora avviene nel mio animo. Non ci vedo più, non ci sento più... tutto il sangue mi afflui­sce alla testa, e mi sembra che io sia per perdere la ragione.

IL PRINCIPE   Tu sei il suo amante.

KEAN            No, ve lo giuro... Ma se voi avete la minima amicizia per me... e non volete spingermi a fare uno scandalo del quale io stesso mi pentirei... dal fondo del cuore... non andate più nel suo palco, ve ne sup­plico... Vedete, solo parlandone, perdo il controllo di me stesso... Ma ora dànno inizio allo spettacolo, e io non sono ancora pronto.

IL PRINCIPE   Ti lascio.

KEAN            Mi promettete...

IL PRINCIPE   Confessa che sei il suo amante...

KEAN            Ma io non posso confessare ciò che non è.

IL PRINCIPE   Addio, Kean...

KEAN            Monsignore...

IL PRINCIPE   Vado ad applaudirti.

KEAN            Nel vostro palco?

IL PRINCIPE   Per una mezza confidenza, signor Kean, io non faccio che una mezza promessa.

KEAN            (con un inchino)    Io non posso dirvi altro che ciò che è... Agite come meglio crederete, monsignore.

IL PRINCIPE  (uscendo)   Grazie del  permesso, signor Kean.

SCENA  SETTIMA

KEAN e SALOMONE.

SALOMONE   (che tiene la giubba nelle mani) Padrone, padrone... sbrighiamoci...

KEAN            Eccomi!... (Indossa la giubba). Oh! lo avevo ca­pito bene: amico! Lui, mio amico... Non esiste amici­zia che fra gli eguali, monsignore, e vi è tanta vanità da parte vostra ad avermi con voi nella vettura, quan­ta ingenuità da parte mia a salirvi... (Bussano alla por­ta segreta). Bussano a questa porta che non è cono­sciuta che da Elena...

GIDSA           Aprite, signor Kean, sono io, Gidsa...

KEAN            (aprendo)    Gidsa, che volete? che è accaduto?

SCENA  OTTAVA

Gli stessi; GIDSA; poi DARIUS; poi IL DIRETTORE DI SCENA, PISTOLA, e il pubblico dal di fuori.

GIDSA           La padrona ha dimenticato il ventaglio, e son venuta a prenderlo.

KEAN            Il ventaglio? Lo hai visto, Salomone?

SALOMONE   No, padrone...

KEAN            Guardate, Gidsa, cercatelo.

GIDSA           Oh! mio Dio, come si fa? La mia padrona ci teneva molto;  è un regalo del principe di Galles.

KEAN            Ah! è un regalo del principe di Galles... Guar­date nella vettura;  può averlo dimenticato lì...

GIDSA           Avete ragione...

KEAN            (dandole una borsa) Prendete, ragazza mia; se la vostra padrona ha perduto il ventaglio, voi almeno avrete trovato qualcosa.

GIDSA            Grazie, signor Kean. (Esce).

KEAN            Un ventaglio donatole dal principe di Galles!... comprendo che a un dono regale ci si tenga. (Chia­mando) Darius!... Beh? non verrà mai quest'imbecille di parrucchiere?... Darius!

SALOMONE   Risparmiate il  vostro tesoro,  padrone,  e lasciate che lo chiami io. Invece di voi. (Chiamando) Darius!

DARIUS         (entrando con una parrucca in mano) Eccomi! eccomi!

KEAN            (sedendosi)   Che stavi facendo, idiota?

DARIUS         (arricciando la parrucca) Vi chiedo scusa, ma è che...

KEAN             Chiacchieravi, non è vero? Vieni qui, pettinami.

IL DIRETTORE DI SCENA (aprendo la porta) Si può suonare al ridotto del pubblico, signor Kean?

KEAN            Sì, sono pronto.

IL DIRETTORE DI SCENA (andando via)    Grazie.

KEAN            Mentre mi pettinano, Salomone, cerca questo ventaglio...

DARIUS         Che genere di ventaglio?

KEAN            Un ventaglio che è stato perduto qui.

DARIUS         Ve lo chiedo, perché ho visto ilsignore che è venuto a farvi visita insieme col principe che ne aveva uno un po' insolito.

KEAN            Un ventaglio con dei diamanti?

DARIUS         Sì, e che brillavano splendidamente, poiché scorgendolo mi sono detto: «Se io avessi trovato un ventaglio come quello, non farei più parrucche»; e, tuttavia, io le faccio con i fiocchi, le parrucche...

KEAN            (alzandosi) Tu hai visto quel ventaglio nelle mani del conte di Koefeld?

DARIUS         Non so se era il conte di Koefeld; quello che so è che egli non sembrava affatto contento, e che si è messo il ventaglio in tasca con un'aria non poco tur­bata.

KEAN            Oh! E che penserà? Sospetterà che Elena sia venuta qui.

IL DIRETTORE DI SCENA (di sulla porta) Si sta al­zando il sipario, signor Kean.

KEAN            Non sono ancora pronto.

IL DIRETTORE DI SCENA Ma mi avevate detto che si poteva suonare.

KEAN            Andate al diavolo!

IL DIRETTORE DI SCENA (si allontana gridando) Non alzate il sipario! non alzate il sipario!

KEAN            Che fare? come avvertirla?... Non posso andarci io... né posso farla avvertire... Oh! c'è da perdere la testa.

DARIUS         Bene, signor Kean, e la parrucca?

KEAN            Lasciami tranquillo...

(Si sentono dei rumori dal di fuori).

SALOMONE   Padrone, udite?

IL PUBBLICO (gridando e battendo i piedi) Tela! Tela! Sipario!

SALOMONE   Il pubblico si spazientisce.

KEAN            Che vuoi che m'interessi? Oh! mestiere maledet­to... in cui nessuna sensazione ci appartiene, dove non siamo padroni né della nostra gioia né del nostro do­lore... dove col cuore spezzato bisogna recitare Falstaff, o col cuore pieno di gioia bisogna interpretare Amleto! Continuamente una maschera, mai un viso... Sì, sì, il pubblico si spazientisce perché mi aspetta per diver­tirsi, e non sa che in questo istante le lacrime mi sof­focano. Oh! che supplizio! e poi, se entro in scena con tutte le torture dell'inferno nel cuore, se non sorrido quando dovrei sorridere, se il mio pensiero ossessio­nante mi fa cambiare di posto una parola... il pubblico fischia, il pubblico che non sa niente, che non com­prende niente, che non indovina niente di ciò che av­viene dietro il telone... che ci prende per fantocci che non hanno altre passioni di quelle delle nostre par­ti... Non recito.

(Pistola appare sulla porta).

SALOMONE   Padrone, che cosa dite?

KEAN            Dico che non recito: ecco quello che dico.

IL DIRETTORE DI SCENA (giungendo su queste ultime parole)    Signore, vi obbligheranno.

KEAN            E chi, se non vi dispiace?

IL DIRETTORE DI SCENA    Il conestabile.

KEAN            Si faccia avanti!

SALOMONE   Padrone, padrone, in nome del cielo! vi metteranno in prigione.

KEAN            In prigione? Tanto meglio. Non recito.

SALOMONE   Non c'è niente che possa farvi cambiare opinione?

KEAN            Nessuna cosa al mondo. Non recito.

IL DIRETTORE DI SCENA Ma i posti sono stati ven­duti.

KEAN            Restituite il denaro.

IL DIRETTORE DI SCENA Signore, voi mancate al vo­stri doveri.

KEAN            Non recito, non recito, non recito! (Afferra una sedia e la rompe).

IL DIRETTORE DI SCENA Fate come volete; non è a beneficio mio che si fa la rappresentazione. (Esce).

(Kean cade su una poltrona. Rumori prolungati).

PISTOLA        (a un lato della poltrona) Bene, signor Kean; e papà Bob?

SALOMONE   (all'altro lato) Quei poveretti non possono pagare le spese della serata.

PISTOLA        Non è colpa della mia povera famiglia, se vi hanno fatto del male.

SALOMONE   Andiamo, padrone, un po' di pietà per quei disgraziati.

PISTOLA        Ci avete dato la parola.

KEAN            (in uno stato di grande abbattimento) Basta. Ja­mes, prendete qua. (Gli dà la sua veste da camera). Dov'è Darius?

SALOMONE   È scappato.

DARIUS         (uscendo dal ripostiglio degli abiti)    Eccomi.

KEAN            Dov'è il direttore di scena?

SALOMONE   (a Pistola) Vallo a cercare.

(Darius e Pistola s'incrociano).

KEAN            Il manto! (Glielo dànno subito). Che è, questo? È il mio cinturino che v'ho chiesto.

PISTOLA        (ritornando)    Eccolo, signor Kean, eccolo.

IL DIRETTORE DI SCENA (entrando) Mi avete fatto chiamare?

KEAN            Sì, signore. La spada.

SALOMONE      Ecco la spada.

KEAN            Eh, sì! La spada, proprio così. Ti meraviglia?... E con che vuoi che io ammazzi Tebaldo? (Al direttore di scena)  Recito!

IL DIRETTORE DI SCENA Oh! signor Kean; non so come ringraziarvi.

KEAN            Sta bene... Solamente, fate qualche annunzio... fate dire che sono indisposto, che sono malato... Dite quello che volete, insomma! Mi sento soffocare!

IL DIRETTORE DI SCENA  Grazie, signor Kean, gra­zie. (Esce).

SALOMONE   Era tempo. Pare che il pubblico stia co­minciando a rompere le panche.

KEAN            E ha ragione:  vorrei vedere voi, nella sala, se aveste comprato il biglietto alla porta, e vi facessero attendere... Che direste?

SALOMONE   Diavolo, padrone!

KEAN            Che diresti? Diresti che un attore ha anzitutto del doveri verso il pubblico.

SALOMONE   Oh!

KEAN            E avresti ragione. Avanti, cavallo da soma, ora che ti hanno impennacchiato, vatti a lavorare Shakespeare.

IL DIRETTORE DI SCENA Eccomi pronto, signor Kean. Posso dare l'annunzio?

KEAN            Sì. C'è molta gente?

IL DIRETTORE DI SCENA Sala gremita... Fanno anco­ra a pugni, alla porta.

KEAN            Andate.

(Cade la tela. Nel momento in cui essa tocca terra, il direttore di scena vi passa davanti, e s'inoltra fino ai limiti del proscenio).

IL DIRETTORE DI SCENA (al pubblico) Signori e si­gnore, il signor Kean, colto da improvvisa indisposizio­ne, e temendo di non mostrarsi degno del gentile inte­resse che voi gli testimoniate, m'incarica di fare ap­pello a tutta la vostra indulgenza.

IL PUBBLICO Bravo! bravo! bravo!

(Il direttore di scena saluta ancora e si ritira. L'orchestra suona l'inno Dio salvi il re; poi la tela si rialza sulla scena dell'addio di Romeo e Giulietta).

SCENA   NONA

ROMEO alla porta di un torrione gotico che dà su una terrazza; GIULIETTA, sull'ultima scala del torrione. LA CONTESSA DI KOEFELD, IL PRINCIPE DI GALLES, IL CONTE, in un palco di proscenio; LORD MEWILL, in un palco laterale. Poi LA NUTRICE, SALO­MONE.

GIULIETTA1    Te ne vuoi già andare? Non è ancora giorno: era il canto d'un usignolo e non d'un'allodola a ferirti il trepido orecchio. Di notte l'usignolo canta su quel melograno; credi a me, amore, era l'usignolo.

ROMEO          No, era l'allodola, foriera del giorno; non era l'usignolo. Guarda, amore, come quelle strisce laggiù a oriente tagliano invidiose le nuvole. Le faci della notte si sono oramai consumate e in punta di piedi il giocon­do mattino s'è levato sulle cime nebbiose delle monta­gne. Devo andarmene e vivere, o rimanere e morire.

GIULIETTA     Quella luce non è la luce del giorno, lo so; è una meteora irraggiata dal sole perché ti faccia da torcia e ti rischiari la strada che farai fino a Mantova. Rimani dunque, non devi andartene.

ROMEO          Lascia che mi prendano, lascia che m'uccida­no: se tu vuoi che sia così, io ne sono contento. E dico anch'io che quel lucore laggiù non è l'occhio del matti­no, ma un pallido riflesso del volto di Diana, e che quelle note che risuonano tanto alte, sopra noi, nel firmamento, non sono dell'allodola. Ho più desiderio di rimanere che voglia d'andarmene. Vieni, morte, e sii la benvenuta! Giulietta stessa vuole così. Va bene, anima mia? Discorriamo, non è ancora giorno.

GIULIETTA     Sì, sì, è giorno; corri via, vattene subito! È l'allodola a cantare così stonata, sforzando aspre dis­sonanze e sgradevoli acuti. Dicono che l'allodola canti dolci melodie, ma questa è amara perché divide te da me; dicono che l'allodola e il ripugnante rospo si sia­no scambiati gli occhi; adesso mi sembra che si siano scambiate anche le voci, poiché è questa voce a stac­carci, spauriti, l'una dalle braccia dell'altro, allontanan­do te e ridestando 11 giorno. Vattene, vattene! c'è sem­pre più luce.

ROMEO          Più e più luce è nel cielo, più e più buio è den­tro noi.

(Entra la NUTRICE).

NUTRICE       Madonna!

GIULIETTA    Balia!

NUTRICE       Madonna, viene vostra madre: è giorno, sta­te attenta.

GIULIETTA     Allora, finestra mia, fai entrare la luce e uscire la vita.

ROMEO          Addio, addio! Un bacio e scendo.

(In questo mo­mento, Kean, che aveva già scavalcato la balaustra, si accorge che il principe di Galles è nel palco di prosce­nio di Elena e, invece di uscire, risale la scena e guar­da fissamente nel palco, con le braccia incrociate).

GIULIETTA     (seguendolo) Sei andato via così? (A bassa voce)    Kean, Kean, state mancando la battuta.

SALOMONE   (facendo capolino dalla buca del suggerito­ re, con il copione fra le mani)    Maestro!... maestro!...

GIULIETTA     (riprendendo a recitare) Quando rivedrò il mio Romeo!

SALOMONE   (suggerendo) Addio! non perderò un'occa­sione...

KEAN            (ridendo)    Ah! ah! ah!

SALOMONE   (suggerendo di nuovo)    Romeo!

GIULIETTA    Romeo!

KEAN            Chi mi chiama Romeo? chi crede che io stia re­citando la parte di Romeo?

GIULIETTA    Kean, siete impazzito?

KEAN            Io non sono Romeo... sono Falstaff... il compa­gno di dissipazioni del principe ereditario d'Inghilter­ra... A me, miei prodi compagni! a me, Pons! a me, Peto! a me, Bardolfo! a me, signora Quickly! e versate, versate a piene mani, che io beva alla salute del prin­cipe di Galles, il più depravato, il più pettegolo, il più vanitoso di tutti noi! Alla salute del principe di Galles, per il quale tutte le donne sono buone: dalla ragazza di taverna che serve i marinai del porto, fino alla dami­gella d'onore che pone il manto regale sulle spalle di sua madre! Al principe di Galles, che non può fissare una donna, virtuosa o no, senza perderla col suo stesso sguardo! Al principe di Galles di cui ho creduto d'es­sere l'amico, e di cui non sono che lo zimbello e il buffo­ne... Ah! principe ereditario, ti conviene di essere in­toccabile e sacro, te lo giuro... perché altrimenti l'avre­sti da fare con Falstaff.

LORD MEWILL (da un palco) Abbasso Kean! abbasso l'istrione!

KEAN            Falstaff! Ma io non sono Falstaff più di quanto non ero Romeo; io sono Pulcinella, il Falstaff del mar­ciapiedi... Date un bastone a Pulcinella, un bastone per lord Mewill, un bastone per il miserabile rapitore di giovanette, che porta una spada sul fianco e si rifiuta di battersi con quelli di cui ha rubato il nome, e questo sotto il pretesto che lui è nobile, che lui è lord, che lui è pari... Ah! sì! datemi un bastone per lord Mewill... e rideremo... Ah! ah! come soffro... A me! mio Dio! a me! (Cade nelle braccia di Giulietta e di Salomone, che lo trascinano per la porta del torrione).

SCENA   DECIMA

IL DIRETTORE DI SCENA, DARIUS, MERCUZIO, CAPULETO,  SALOMONE,

IL CAPO DELLE COMPARSE. Comparse.

IL DIRETTORE DI SCENA (apparendo dal fondo della scena) Il medico del teatro! il medico del teatro! Dov'è?

DARIUS         (correndo a raccogliere la parrucca che Kean ha gettato a terra)    È accanto al signor Kean.

IL DIRETTORE DI SCENA    Dove?

DARIUS         (mostrando il torrione)    Là.

MERCUZIO     (uscendo in costume)    Che è successo?

CAPULETO     (in costume)    Non so; gli è venuto in scena.

IL CAPO DELLE COMPARSE (guidando i suoi uomini) Andate!  

(Le comparse entrano in scena).

MERCUZIO     Ma non è la vostra entrata...

VOCI DIVERSESì... no... sì...

(Confusione generale).

CAPULETO     (vedendo comparire Salomone)    Silenzio!

SALOMONE   (andando alla ribalta, un fazzoletto in mano) Signori e signore, la rappresentazione non può continuare... Il sole d'Inghilterra si è eclissato; il ce­lebre, l'illustre, il sublime Kean è stato colto da un accesso di follia.

(Si sente un grido doloroso nel palco della contessa di Koefeld. Cala il sipario).


ATTO QUINTO

La scena rappresenta un salotto in casa di Kean.

SCENA  PRIMA

SALOMONE, BARDOLFO, TOM, DAVIDE, DARIUS, PISTOLA;  poi IL MEDICO.

SALOMONE   L'elenco è qua; scrivete il vostro nome anche voi, ragazzi.

BARDOLFO    (dopo aver firmato) E come ha passato la notte?

SALOMONE   In una maniera terribile.

TOM              È dunque veramente pazzo?

SALOMONE   Da legare.

DAVIDE         E in questo momento il medico gli sta facendo un salasso?

SALOMONE   Fino all'ultima goccia.

DARIUS         Fino all'ultima goccia?

BARDOLFO    Ma che genere di pazzia è la sua?

DARIUS         Sì, diteci:  che genere di pazzia?

SALOMONE   Pazzia  frenetica.

DAVIDE         E che fa durante gli accessi?

SALOMONE   Picchia.

DARIUS         Picchia chi?

SALOMONE   Tutti, e in ispecie quelli che conosce.

DARIUS         Come! si rivolta contro gli amici?

SALOMONE   Ah! mio Dio! sì!

DARIUS         Sarà stato morsicato.

SALOMONE   Lo temo.

DARIUS         Deve essere arrabbiato... Io avevo un arrab­biato fra i miei clienti, un uomo di alta posizione, un membro dei Comuni. Ebbene! la sua forma di rabbia era di scrivere tragedie... Non le recitava nessuno, è vero; ma era lo stesso: ne scriveva altre; gliele rifiutavano ancora, ma continuava sempre a scriverne.

SALOMONE   E mordeva?

DARIUS         Sì, sì, ma non faceva male, perché non aveva più denti. E lo lasciavano fare, poveraccio! Divertiva1!

SALOMONE   Attenzione, eccolo...

DARIUS         Il signor Kean!  io scappo!

SALOMONE   No, il medico.

DARIUS         Ah! il medico. (Questi entra). Signor dottore...

TOM              Come va Kean?

DAVIDE         V'è speranza?

IL MEDICO     (consegnando un foglietto a Salomone) Gli farete seguire puntualmente queste prescrizioni; qua­lunque altra cura diversa da quella indicata su questo foglio non potrebbe che far peggiorare il suo stato. (Esce).

SALOMONE   Lo vedete che la situazione è proprio gra­ve? Guardiamo che cosa ordina il dottore... (Volta il fo­glio da tutti i lati: è bianco).    Ah! ah!

DARIUS         E allora? Che cosa ordina il medico?

SALOMONE   Quattro docce, due salassi, un senapismo.

DAVIDE         Vuoi che ti dica il mio pensiero? Mi sembra un asino, questo dottore.

DARIUS         Sì, sì, anche a me fa l'impressione d'un asino.

DAVIDE         E al tuo posto, io mi regolerei a modo mio.

SALOMONE   Vediamo; che cosa gli dareste?

DAVIDE         Io prenderei una bottiglia di ottimo bordeaux, lo metterei in una casseruola con un limone, cannella e zucchero; lo farei scaldare, e ogni dieci minuti gliene darei un bicchiere.

DARIUS         No, no, no, io non farei niente di questo, io.

SALOMONE   Che faresti?

DAVIDE         Ti dico che un bicchiere...

DARIUS         No, ascoltate, Davide, voi interpretate bene il leone, voi siete magnifico sotto la pelle d'animale, ma quando si tratta di medicine è un'altra cosa. Al posto di Salomone io farei del vino caldo.

DAVIDE         Beh?

DARIUS         Aspetta! Gli raderei anzitutto la testa come un ginocchio, il che gli rinfrescherebbe il cervello; in seguito gli ordinerei una parrucca di quanto vi è di me­glio in fatto di capelli: capelli di prima categoria.

SALOMONE   E il vino caldo?

DARIUS         Quello me lo berrei io, allora.

(Suonano di dentro).

Sentite, Salomone, stanno suonando.

SALOMONE   Allora è ancora un accesso che gli viene.

DARIUS         Un accesso? Io me ne fuggo.

(Salomone lo trattiene).

DAVIDE         Filiamo, filiamo!

DARIUS         Salomone, Salomone, niente sciocchezze, via! (Suonano ancora).

TOM e

BARDOLFO    Si salvi chi può.

SALOMONE   Darius, amico mio, tu che sei il più bravo, resta con me, ti prego.

DARIUS         Papà Salomone, se non mi lasciate, vi faccio querela, vi denunzio, non vi impolvero più le parruc­che, vi ficco degli spilli neri nei polpacci e vi mordo il naso. (Salomone lo lascia). Ah! ma... (Esce).

SALOMONE   Eccoli andati via, finalmente. Spero che la voce si diffonda, perché, se si venisse a sapere...

PISTOLA        (alzandosi dall'angolo in cui è rimasto seduto, e avvicinandosi a Salomone)    Signor Salomone...

SALOMONE   Ah! sei ancora qui! Perché non te ne sei andato insieme con gli altri?

PISTOLA        Perché avete detto che vi occorreva qualcuno, signor Salomone.

SALOMONE   Sei un bravo giovane; ma vattene.

PISTOLA        Mai!

SALOMONE   Mi prometti di essere discreto?

PISTOLA        Certo. (Salomone gli parla all'orecchio). Ve­ramente? Oh!...

SALOMONE   Non una parola!

PISTOLA        Mi farei tagliare il collo. Oh! come sono con­tento! come sono contento! (Singhiozza) Oh, signor Kean... signor Salomone... oh! me ne vado subito. (Esce).

SCENA   SECONDA

SALOMONE e KEAN, che entra.

KEAN            Con chi parlavi?

SALOMONE   Con dei compagni del teatro, quell'imbe­cille di Darius e Pistola.

KEAN            E che hai detto loro?

SALOMONE   Che eravate pazzo da legare.

KEAN            Hai fatto male.

SALOMONE   Come! ho fatto male? Ma riflettete un po­co che se si apprende che la vostra follia era una finzione...

KEAN            Ebbene?

SALOMONE   E che voi avete insultato a sangue freddo lord Mewill e il principe di Galles...

KEAN            Continua.

SALOMONE   Vi puniranno terribilmente.

KEAN            E che m'importa? che possono farmi? Mettermi in prigione? E va bene! vi andrò.

SALOMONE   Sì, ma io non ci andrò, io. (A parte) Egoi­sta! (Ad alta voce) Mentre invece, se voleste simularlo solo per otto giorni... Voi siete così bravo in Re Lear!

KEAN            Signor Salomone, io recito le commedie dalle ot­to di sera fino a mezzanotte, mai durante la giornata, però.

SALOMONE    Padrone...

KEAN            E basta su questo argomento. Dammi l'elenco delle persone che sono venute a vedermi.

SALOMONE   Ve ne sono due, di elenchi, uno è questo, l'altro è  dal  portinaio.  Questo è quello degli  intimi.

KEAN            Sta bene, va'!... Lei non avrà osato salire fin su, ma sarà certo venuta in portineria, o avrà mandato qualcuno. Certo, non troverò il suo nome, ma vi sarà una parola, un segno da cui riconoscerò che ha pen­sato a me, a me che soffro tanto per lei, mio Dio!

SALOMONE   Tenete.

KEAN            Dammi.

SALOMONE   Vi sono non pochi nomi che si sono stu­piti di trovarsi insieme.

KEAN            Sì, sì; vi sono nomi di ricchi, di nobili e di po­tenti; e vi sono nomi di artisti, di operai, di facchini: da quello del duca di Sutzerland, primo ministro, fino a quello di William, il cocchiere. Sì, mi pare che ci sono tutti i nomi possibili: eccetto quello che cerco; non avrà osato inviare qualcuno. Oh! non c'è dubbio, sceglierà l'occasione di poter venire ella stessa, il pri­mo momento in cui il marito la lascerà libera. Salomone, va' nella stanza accanto, e non lasciare entrar nes­suno... eccetto...

SALOMONE   Eccetto Ariel, no?

KEAN            Sì, Ariel... Va', mio buon Salomone, va'; e se essa viene, falla entrare immediatamente... senza chie­derle il nome... perché è una gran dama, capisci.

SALOMONE   Ma come posso riconoscerla?

KEAN            Non attendo che lei.

SALOMONE   State tranquillo. (Esce).

SCENA  TERZA

KEAN, solo; poi SALOMONE.

KEAN            Sono le dieci, e neanche una sua parola, un messag­gio, una lettera!... Ah! voi eravate più inquieta per il vostro ventaglio che per me, signora... Non è così che si ama, Elena, ed è doloroso pensare che, se questa disgrazia fosse vera, a quest'ora probabilmente sarei morto... senza avervi vista... senza aver neanche udito parlare di voi... Come sono inquieto!... ho il suo ritrat­to qui sul cuore... e mi lagno... Non sarà piuttosto che il conte, che ha trovato il ventaglio, e al quale la sce­nata scandalosa che ho fatto ieri sera al principe di Galles ha dovuto far aprire gli occhi... Oh! sì, è possi­bile... è probabile... è così! Oh! Quando penso che for­se, a quest'ora, Elena, sospettata... accusata, minac­ciata, invoca il mio aiuto... Oh! non ne posso più. Salomone!  Salomone!

SALOMONE   Padrone!

KEAN            Nessuno ancora?

SALOMONE   Nessuno.

KEAN            Fai attaccare i cavalli alla vettura.

SALOMONE   I  cavalli?

KEAN            Sì, i cavalli. Che c'è di strano? Esco.

SALOMONE   Uscite?

KEAN            Newmann!  Newmann!

SALOMONE   Che volete da lui?

KEAN            Può darsi che lui mi obbedisca.

SALOMONE   Perché, non sapete che tutto quello che vo­lete il vostro povero Salomone ve lo fa?

KEAN            Bene! vai, allora, e non lasciarmi soffrire più a lungo... non vedi che ho la febbre, che la testa mi brucia, che il sangue mi bolle?... D'altronde, tirerò le tendine, mi contenterò di passare sotto le sue finestre... io... (Vedendo che Salomone non è ancora usci­to) Ebbene! non ti sei ancora mosso?

SALOMONE   Vado, Kean, vado... Ah!  bussano.

KEAN            Sì, sì, bussano. Be'? Corri ad aprire.

SALOMONE   E se è lei, voi resterete, no?

KEAN            (ridendo)    Imbecille!

SALOMONE   Corro.  (Esce).

KEAN            (appoggiandosi allo schienale di una sedia) Sono proprio un ragazzo! ma è che, Dio mi perdoni, il cuore mi batte come batteva a vent'anni! Sono veramente pazzo... non ho bisogno di fingere la pazzia...

SALOMONE   (comparendo)    È lei, padrone! è lei!

KEAN            Lei!... Elena!... Elena!... siete voi!

SCENA  QUARTA

KEAN, ANNA, poi SALOMONE.

ANNA            (levandosi il cappuccio del manto) No, signor Kean, sono io.

KEAN            (cadendo su una sedia)    Ah!...

ANNA            Perdonatemi di essere venuta così; ma, capite? stamattina un'orrenda notizia si è sparsa per la città, che ieri, durante la rappresentazione, voi eravate stato colpito da un accesso di follia... Io mi son detta: non ha una madre, non ha una sorella... non ha nessuno ac­canto a lui... Bisogna che ci vada...

KEAN            Anna! Riconosco il vostro cuore affettuoso... Anna, ve lo giuro, voi siete un'anima buona e leale... Ah! voi non avete tremato per la vostra reputazione, per il vostro onore, non è così?... non avete temuto si po­tesse dire che eravate la mia amante... Avete ascolta­to semplicemente il vostro cuore... e siete venuta... Men­tre lei, invece... Bene... Ma parliamo di voi, Anna.

ANNA            Oh! ma la notizia non è vera, no?

KEAN            No. Non ho avuto questa fortuna... un pazzo... dev'essere veramente felice... Ride... canta... non si ri­corda di nulla...

ANNA            Allora potrò partire tranquilla, se non contenta.

KEAN            Voi partite? lasciate Londra?

ANNA            Londra? Non sarebbe sufficiente. Lascio l'Inghilterra.

KEAN            Ma siete libera di farlo? E il vostro tutore?

ANNA            Son diventata maggiorenne proprio stamattina e il primo uso che ne ho fatto è stato di firmare un im­pegno con l'agente del teatro di New York.

KEAN            Così, niente ha potuto cambiare la vostra deci­sione; e il quadro che vi ho fatto di questa carriera...

ANNA            Quel quadro era dipinto per la ragazza povera, non per la ricca ereditiera. Per quanto cari costino i velluti e le sete, signor Kean, credete che ventimila sterline di rendita mi basteranno per pagarmi i co­stumi?

KEAN            E come! Con tanta ricchezza e tanta bellezza!...

ANNA            Né l'una né l'altra sono bastate per farmi ama­re; e io voglio aggiungervi il talento per completarmi la dote.

KEAN            Povera ragazza!

ANNA            In mezzo a tutti i vostri trionfi, i vostri piaceri, i vostri amori, non può darsi che conserviate un ri­cordo per la povera esiliata che avrà abbandonato ogni cosa per un solo scopo, per un'unica speranza?

KEAN            Anna!  Cara Anna!...

ANNA            Non è vero che mi consentirete di scrivervi, di raccontarvi le mie pene, i miei lavori, i miei progres­si?... Perché io ne farò, ve lo giuro... Oh! e soprattutto se voi, lontano da' me, vorrete consigliarmi e soste­nermi.

KEAN            Tutto quello che potrò fare per la mia migliore amica...  lo farò... siatene certa... Ma quando partite?

ANNA            Fra due ore.

KEAN            E come?

ANNA            Ho fissato un posto sulla nave Washington.

SALOMONE   (entrando con circospezione)    Padrone?

KEAN            Che c'è?

SALOMONE   È salita per la scala segreta ed è entrata quando meno me l'aspettavo.

KEAN            Chi?

SALOMONE   Una signora.

KEAN            Come si chiama?

SALOMONE   M'ha detto solo il nome:  Elena.

KEAN            Elena? E dov'è?

SALOMONE   Nella camera accanto. Sembra disperata... Vuole assolutamente vedervi...

KEAN            Oh, mio Dio! Come si fa?

ANNA            È lei, no?

KEAN            Sì.

ANNA            Dicono che sia bellissima. Kean, lasciatemela vedere.

KEAN            Oh!  non si può.

ANNA            Non temete di nulla... Non ho che una sola cosa da chiederle, una sola preghiera da farle... Mi getterò al suoi ginocchi, e le dirò: «Fatelo felice, signora, per­ché lui vi ama molto!...».

KEAN            No, no, Anna, è impossibile, lei non crederebbe mai all'innocenza delle nostre relazioni... come potreb­be pensarlo, vedendovi così giovane e così bella?... Oh! entrate in questo sgabuzzino, vi prego... e perdonatemi, Anna... perdonatemi...

ANNA            (entrando nel camerino) Ho forse il diritto di lagnarmi?

SCENA QUINTA

KEAN, poi ELENA.

KEAN            E ora, Salomone, falla entrare, falla entrare su­bito. (ELENA entra). Siete voi. Elena... siete voi... Oh! siete venuta, dunque, a rischio di tutto quello che po­teva accadervi... Ah!  sapeste come vi attendevo!

ELENA           Ho esitato molto, ve lo confesso, Kean: ma il nostro comune pericolo...

KEAN            Il nostro pericolo?

ELENA           Sì, potevano trovare qualche lettera. Tremavo, pensando che non foste già stato arrestato.

KEAN            Arrestato?... E  perché?

ELENA           Perché ha cominciato a circolare la voce che non è per un accesso di follia, ma di collera, che voi avete insultato il principe di Galles e lord Mewill... Si dà per certo che quest'ultimo ha visto il re, stamattina, col quale si è lagnato, e il ministro, da cui ha ottenuto un mandato di arresto... Un processo terribile vi mi­naccia, Kean; fuggite, non avete un minuto da perde­re... e stanotte stessa lasciate Londra, lasciate l'Inghilterra, se vi è possibile. Sarete al sicuro solo in Fran­cia o in Belgio.

KEAN            Fuggire?... lasciare Londra, l'Inghilterra, come un vile che trema?... Oh! voi non mi conoscete, Ele­na... Lord Mewill vuole un po' di pubblicità, e gliela daremo;  il suo nome non è ancora abbastanza onore­volmente conosciuto:  lo sarà come merita d'esserlo.

ELENA           Dimenticate che anche un altro nome sarà pro­nunciato, in tribunale: si cercheranno le cause di que­sto duplice attacco, contro il principe ereditario e con­tro lord  Mewill, e le troveranno.

KEAN            Avete ragione... ed è una fortuna, forse... Voi mi amate, Elena?

ELENA           E me lo chiedete?

KEAN            Ascoltatemi:  anche voi siete compromessa.

ELENA           Lo so.

KEAN            No, voi non sapete ancora tutto: quel ventaglio che avete dimenticato ieri nel mio camerino...

ELENA           Bene?...

KEAN            È stato ritrovato.

ELENA           Da chi?

KEAN            Dal conte.

ELENA           Mio Dio!

KEAN            Egli lo conosce, non è vero?

ELENA           Senza dubbio.

KEAN            E allora?

ELENA           E allora?

KEAN            Mi avete dato il consiglio di fuggire: sono pron­to. Ma debbo fuggire solo?

ELENA           Oh! siete pazzo, signor Kean. No, no, è una cosa impossibile; no, il nostro amore è stato un attimo di smarrimento, di errore, di follia, al quale non biso­gna più pensare, e che dobbiamo noi stessi dimentica­re, perché gli altri lo dimentichino.

KEAN            Dimenticarlo! non pensateci, Elena! Ma se pure io espatriassi, se cessassi di vedervi, non avrei eterna­mente la vostra immagine sul cuore o davanti agli oc­chi? non ho io il vostro ritratto, il vostro adorato ri­tratto?

ELENA           Son venuta a richiedervelo, Kean.

KEAN            Siete venuta a richiedermi il ritratto! il ritrat­to che mi avete regalato ieri, venite a richiedermelo oggi!

ELENA           Ma riflettete che la ragione lo esige. Kean, voi mi amate, lo credo, lo so; ma credete proprio che, lon­tano da me, quest'amore resisterà? No, col vostro ta­lento, e celebre come siete, le occasioni vi verranno esse stesse davanti, amerete un'altra donna, e il mio ritratto, il ritratto che in questo momento è un ricor­do di amore, non sarà più, allora, che un trofeo di vittoria.

KEAN            Ah! eccovelo, signora! Un simile sospetto non la­scia alcuna possibilità di rifiuto; in amore chi dubita accusa.

ELENA           Kean!

KEAN            Eccovelo, non l'ho tenuto per molto, e nessuno lo ha visto, signora; e così, se ne avete promesso un altro, potete dispensarvi di farlo fare, e potete dar questo al suo posto.

ELENA           Promesso a chi?

KEAN            Che cosa ne so, io? In cambio di qualche ven­taglio, per esempio.

ELENA           Oh, Kean, Kean! dopo ciò che ho fatto per voi, dopo quello che vi ho sacrificato...

KEAN            E che mi avete sacrificato di così grande, voi, se non l'orgoglio? Proprio vero, la signora contessa di Koefeld è scesa fino ad amare un attore, avete ra­gione; questo amore è stato un attimo di errore, di smarrimento, di follia; ma, tranquillizzatevi, signora, l'errore non fu che mio, io solo mi smarrii, lo solo fui folle; oh! sì, folle, e ben folle, per credere alla devozio­ne di una donna; folle di rischiare per lei l'avvenire, la libertà, la vita, e per un sospetto di gelosia, mentre ero ardentemente amato! Oh! ho avuto torto, perdio! ho avuto torto! Ed ecco perché: era per sentir uscire queste cose dalla vostra bocca, che vi attendevo da ie­ri con tanta terribile impazienza! ecco perché il cuore mi batteva fino a rompermi il petto, a ogni colpo che batteva a questa porta! Oh! io il conoscevo purtrop­po bene queste specie di amori; sapevo di quale pro­fondità e di quale durata sono, e vanitoso, vanitoso che sono, mi ci son lasciato prendere! Eccovi il ritrat­to, signora!

ELENA           Oh! Kean, non prendetevela con me, se ho più ragione di voi.

KEAN            Più ragione di me? Non sapete quello che dite; però avete compiuto una guarigione miracolosa. Ave­vo come una commozione, un delirio, come una feb­bre cerebrale; voi mi avete messo una borsa di ghiac­cio sulla testa e sul cuore, ed eccomi guarito. Ma una vostra assenza prolungata potrebbe accrescere i sospetti del conte, ammesso che il ventaglio gliene abbia dati. E, inoltre, il conestabile può venire ad arrestarmi da un momento all'altro...

ELENA           Oh! Kean, Kean, preferisco la vostra collera al­la vostra ironia. Volete lasciarmi così? È così che mi dite addio?

KEAN            La signora contessa di Koefeld vuol concedere all'attore Kean di baciarle la mano? (S'inchina per baciare la mano alla contessa).

IL CONTE      (dall'anticamera) Vi dico che entrerò, si-gnore!

SALOMONE   (c. s.)    E io vi dico che non entrerete!

ELENA           Il conte! il conte!

KEAN            Vostro marito!... Oh! ma è una fatalità che lo conduce qui!... Nascondetevi, Elena, nascondetevi! (El­la va verso il camerino dove è Anna). No, non lì, qua, qua; qua per lo meno non vi vedrà nessuno: le fine­stre dànno sul Tamigi.

ELENA           Un'ultima parola, un'ultima preghiera...

KEAN            Che cosa? dite.

ELENA           Mio marito viene a chiedervi soddisfazione, senza dubbio.

KEAN            State tranquilla, signora, il conte sarà considera­to sacro. Forse ieri avrei dato qualche anno della mia vita per un duello con lui; ma oggi state tranquilla. Non ho più nulla contro di lui.

IL CONTE      Vi ripeto che occorre io lo veda!

KEAN            (apre la porta) Che c'è, Salomone? Perché non lasci entrare il signor conte di Koefeld?

(Il conte entra. Kean chiude la porta, e si mette la chiave in tasca).

SCENA   SESTA

KEAN, IL CONTE DI KOEFELD, SALOMONE.

SALOMONE   Padrone, mi avevate detto...

KEAN            Che non volevo ricevere nessuno; è vero. Ma ero lontano dall'attendermi l'onore che mi fa il signor conte. (Fa segno a Salomone di uscire).

IL CONTE      Al contrario, signore, avrei creduto che ave­vate chiuso la porta proprio perché contavate su una mia visita.

KEAN            E che cosa avrebbe potuto farmelo presumere, signor conte?

IL CONTE      Ciò che ho detto ieri nel vostro cameri­no, a proposito di noi tedeschi: e cioè che quando ci crediamo offesi, ci battiamo con chiunque. Ora, lo so­no stato offeso, signore, e vengo per battermi. Voi co­noscete il motivo, ma è importante che esso resti fra noi; è per questo che, contrariamente alle consuetudini, io non vi ho scritto, non vi ho inviato nessuno, e son venuto da voi solo e fiducioso come un uomo d'o­nore. Passando dinanzi alla prima caserma che trovere­mo sulla strada verso Hyde Park, pregheremo due uffi­ciali di farci da testimoni. Quanto al motivo del duel­lo, potrà essere quello che vorrete: un litigio a propo­sito della morte di lord Castlereag o dell'elezione di O'Connel.

KEAN            Ma voi comprendete, signor conte, che questo motivo, sufficiente per chiunque altro, non lo è per me: non c'è duello senza offesa, e io non credo di esse­re stato così sfortunato...

IL CONTE      Bene, signore, bene! Apprezzo questa deli­catezza, ma questa delicatezza è quasi un nuovo in­sulto. Se non vi battete quando offendete, vi battete quando venite offeso?

KEAN            Secondo i casi, signore... Se vengo offeso senza motivo, attribuisco a pazzia l'insulto che mi viene fat­to, e compiango colui che mi insulta.

IL CONTE      Signor Kean, devo credere che la vostra fa­ma di uomo di coraggio è usurpata?

KEAN            No, signor conte, perché ne ho fornito le prove.

IL CONTE      State in guardia: io dirò dovunque che sie­te un vile.

KEAN            Non sarete creduto.

IL  CONTE    Dirò che ho alzato la mano su di voi.

KEAN            Dovrete aggiungere che io l'ho fermata, per ri­sparmiare a uno di noi una disgrazia mortale.

IL CONTE      Sta bene, voi non volete battervi con me, né io posso costringervi; ma bisogna che la mia col­lera si riversi, pensateci bene, e, se non è su di voi, lo sarà sul vostro complice.

KEAN            (trattenendolo) Io vi giuro, signor conte, che voi siete nel più profondo errore; vi giuro che voi non avete nessun motivo di sospettare né di me né di nessuno.

IL  CONTE     Avrei voluto che tutto si  svolgesse  sotto silenzio, ma voi mi costringete allo scandalo; il vostro sangue sarebbe bastato per il mio furore, né chiede­vo altro. Ma voi avete paura della mia vendetta e la trasmettete su di una donna. Sta bene.

KEAN            Signor conte, c'è qualcosa di più vile di un uo­mo che rifiuta di battersi, ed è un uomo che se la prende con una  donna che non ha come difendersi.

IL CONTE      Ogni vendetta è permessa, se raggiunge il colpevole.

KEAN            E io vi dichiaro, signore, che la contessa è in­nocente; vi dichiaro che ha diritto a ogni riguardo e a tutto il vostro rispetto; vi dichiaro che se pronun­ciate una parola che possa comprometterla, se gual­cite una sola piega del suo abito, se toccate un sol ca­pello della sua testa, vi sono a Londra persone che non lasceranno impunita tale azione. Io primo fra tut­ti, ecco, io che non l'ho vista che una sola volta, io che la conosco appena, io che non la conosco affatto...

IL CONTE      Ah! per quanto buon attore voi siate, si­gnor Kean, vi siete tradito, tuttavia. Ebbene! parlia­moci francamente, ora; guardiamoci bene in viso e non distogliete gli occhi:  conoscete questo ventaglio?

KEAN            Questo ventaglio?

IL CONTE      Appartiene alla contessa.

KEAN            E così?

IL CONTE      E così, signore; questo ventaglio ieri l'ho trovato...

SALOMONE   (entrando) Una lettera urgente del prin­cipe di Galles.

KEAN            Più tardi.

SALOMONE   (a bassa voce)    No, subito.

KEAN            Permettete, signor conte?

IL CONTE      Fate pure, non mi allontano.

KEAN            (dopo aver letto) Conoscete la scrittura del prin­cipe di Galles, signore?

IL CONTE      Senza dubbio; ma che c'entra la scrittura del principe di Galles?...

KEAN            Leggete.

IL CONTE      (leggendo) « Mio caro Kean, vi prego di far cercare con la massima attenzione nel vostro cameri­no, dove credo di aver dimenticato ieri sera il venta­glio della contessa di Koefeld, a cui lo avevo chiesto in prestito per farne uno simile per la duchessa di Northumberland. Oggi verrò a chiedervi conto dell'in­sulsa provocazione fattami da voi ieri sera a teatro, a causa di quella ballerinetta dell'Opera; non avrei mai creduto che un'amicizia come la nostra potesse essere turbata per simili inezie. Il vostro affezionato, Giorgio.

KEAN            Questa lettera risponde meglio di quanto potrei fare io ai sospetti che comincio a intravedere, signor conte, e di cui, comprenderete facilmente, la mia mo­desta persona non mi permetteva di credere di esser la causa.

IL CONTE      Signor Kean, si dice che vogliano arrestar­vi, condurvi in carcere: non dimenticate che le sedi consolari sono inviolabili, e che l'ambasciata di Danimarca è una sede consolare.

KEAN            Grazie,  signor conte.

IL CONTE      Addio, signor Kean.

(Kean lo accompagna fino alla porta).

SCENA  SETTIMA

KEAN solo, poi IL CONESTABILE.

KEAN            È salva! Buono e caro Giorgio, per qual miracolo ha saputo?... E ora bisogna che ella esca, e senza per­dere un minuto, per arrivare a casa prima del marito. Andiamo...

(Entra il conestabile).

Chi altro viene? Ma Salomone lascerà entrare l'universo intero?

IL CONESTABILE  Vi domando mille scuse per lui, si­gnor Kean, ma gli ho forzato io la mano.

KEAN            Voi, signor conestabile!

IL CONESTABILE Sì, e desolato della circostanza che mi conduce: io amo tanto gli artisti! Ma voi compren­dete, signor Kean... il dovere innanzi tutto, e in nome del re e delle due Camere (lo tocca col suo bastone) io vi arresto.

KEAN            E di che cosa mi si accusa?

IL CONESTABILE Di gravi ingiurie pronunciate in un luogo pubblico contro il principe ereditario e contro un membro della Camera.

KEAN            E che cosa devo fare?

IL CONESTABILE Seguire gli agenti che sono nell'an­ticamera.

KEAN            Devo  lasciare il mio palazzo?

IL CONESTABILE   Vi resto io, per far mettere i sigilli: al vostro ritorno troverete tutto come lo avete lasciato.

KEAN            Scusate, signor conestabile, ma vi possono es­sere nel mio alloggio cose che non potrebbero, in co­scienza, restare sotto sigillo tutto il tempo che durerà la mia assenza. Voi siete schiavo della legge, signor conestabile, ma non sarete certo più severo di lei.

IL CONESTABILE No, signor Kean, e se posso fare qualche cosa per un artista che ammiro...

KEAN            Voi avete ricevuto l'ordine di arrestare me, ma non di arrestare le persone che si trovassero con me, non è così?

IL CONESTABILE L'ordine è nominativo, e per voi solo.

KEAN            Bene! vi è in questo camerino una giovane si­gnora (mostra la camera dove è nascosta Anna) una giovane signora che voi conoscete e che desidererebbe uscire...

IL CONESTABILE Prima che i sigilli vengano messi? Capisco.

KEAN            E senza essere sottoposta al controllo dei vo­stri agenti.

IL CONESTABILE    Io conosco questa signora?

KEAN            A meno che non abbiate già dimenticato il no­me di miss Anna Damby.

IL CONESTABILE    Miss Anna Damby?

KEAN            Parte per New York fra un'ora sulla nave Wa­shington.

IL CONESTABILE Lo so bene, sono io che l'ho con­dotta dal rappresentante e che ho fissato il posto.

KEAN            Dovete quindi comprendere che lei ha qualche raccomandazione particolare da farmi prima della par­tenza.

IL CONESTABILE Mi promettete di non cercar di fug­gire, signor Kean?

KEAN            Ve ne dò la mia parola d'onore. (Apre la porta). Anna!

SCENA  OTTAVA

KEAN, ANNA, IL CONESTABILE.

ANNA            Oh!  che ho inteso, mio Dio!  vi vogliono arre­stare? Io non parto più, Kean, resto. Voi in carcere!

KEAN            Anna, ecco il signor conestabile il quale consente che prima della vostra partenza io vi dia un ultimo saluto. Signor conestabile, la signora uscirà su­bito, avvolta in questo mantello e con questo velo; vi ricordo la promessa.

IL CONESTABILE La manterrò, signor Kean. Non è certo a un artista come voi che vorrei mancare di pa­rola. (Esce).

SCENA  NONA

KEAN e ANNA.

KEAN            È uscito, Anna. Oh! sto per farvi una strana domanda, che potreste rifiutarmi, ma che non mi ri­fiuterete; un ultimo sacrificio, un'ultima prova di de­vozione... Una donna è lì dentro, lo sapete, una donna che sarebbe perduta se ne riconoscessero il volto, se il suo nome venisse pronunciato, perché è sposata. Oh! Anna! Anna! In nome di ciò che avete di più caro e di più sacro, abbiate pietà di lei!

ANNA            (togliendosi il velo e il mantello) Prendete. Kean.

KEAN            (cadendo in ginocchio) Anna! Anna, siete un angelo! Elena! (Precipitandosi nel camerino accanto) Elena!  siete salva!   (Dà in un grido) Ah!

ANNA            Che cosa c'è? mio Dio!

KEAN            Elena!... Elena... nessuno... è scomparsa, e la finestra è aperta!... Il Tamigi! Oh! avrà inteso la vo­ce di suo marito, le sue minacce... Oh! sono un assas­sino, sono io che l'ho uccisa! (Lanciandosi verso la porta nel fondo) È perduta! è perduta!

SCENA DECIMA

Gli stessi e IL PRINCIPE DI GALLES.

IL PRINCIPE   (a mezza voce)   È salva!

KEAN            Elena?

IL PRINCIPE   Sì.

KEAN            Come?

IL PRINCIPE   Da un amico che veglia su di voi da ieri, e che, a ogni buon fine e prevedendo qualunque pericolo, aveva una barca sotto le vostre finestre e una vettura davanti alla vostra porta.

KEAN            E lei dov'è?

IL PRINCIPE   A casa sua, dove l'ho fatta ricondurre da un uomo di fiducia, mentre io vi scrivevo. Avete ricevuto la mia lettera?

KEAN            Oh! principe, mi avete salvato due volte. Come potrò espiare tutti i miei torti verso di voi, monsi­gnore? Sì, merito la prigione, e vi andrò con gioia.

IL PRINCIPE   Niente di tutto questo. Perché non vi andrete, signore.

(Anna alza la testa, con meraviglia).

KEAN            Come?

IL PRINCIPE   Ho ottenuto da mio fratello, con grande fatica, ve lo confesso - ed ecco perché una barca era sotto le vostre finestre e la mia vettura davanti alla vostra porta - che i sei mesi di prigione (poiché non si trattava di meno di sei mesi di prigione) fossero mutati in un anno di esilio.

KEAN            Ah! Vostra Altezza mi invia in esilio, mentre la contessa di Koefeld...

IL PRINCIPE   Ritorna in Danimarca, signore, da dove i primi dispacci del re richiameranno l'ambasciatore. Siete tranquillo, ora?

KEAN            Oh! principe! E il luogo del mio esilio è fissato?

IL PRINCIPE   Andrete dove vorrete, purché lasciate l'Inghilterra:   a  Parigi, a Berlino, a New York.

KEAN            Vado a New York.

ANNA            (alzandosi)    Che dice?

KEAN            È fissata la data della partenza?

IL PRINCIPE   Avete otto giorni per sistemare i vostri affari.

KEAN            Parto fra un'ora.

ANNA            (avvicinandosi a Kean)    Ah!  mio Dio!

KEAN            Il bastimento sul quale devo partire mi è sta­to fissato?

IL PRINCIPE   No, potete scegliere quello che più vi piacerà.

KEAN            Scelgo il Washington.

ANNA            (appoggiandosi a Kean)    Kean!

IL PRINCIPE   Spero, signore, che l'aria d'America vi rinfrescherà il cervello e vi renderà più saggio.

KEAN            Ho l'intenzione di ammogliarmi.

ANNA            Ah!

IL PRINCIPE   E chi è la sposa?

KEAN            Miss Anna Damby, scritturata da oggi come pri­ma attrice nel teatro di New York.

IL PRINCIPE   Miss Anna Damby? Capisco. (Facendo un inchino) Miss?...

ANNA            (facendo una riverenza)    Altezza...

SALOMONE   (entrando con uose e un pacchetto fra le mani)    Ecco qua!

KEAN            E allora, mio povero Salomone?

SALOMONE   E  allora,  padrone,  eccomi  pronto.

KEAN            Come?

SALOMONE   Non andate a New York?

KEAN            Sì.

SALOMONE   Bene! dal momento che andate a recitare, vi occorre un suggeritore, no?

KEAN            (a Salomone e ad Anna)  Oh! voi siete i miei due unici, i miei due veri amici!

IL PRINCIPE   Signor Kean, siete un  ingrato.

KEAN            (gettandoglisi nelle braccia)  Perdonatemi, Altezza!

F I N E


1   Romeo e Giulietta, atto III, scena V. Traduzione di Paola Ojetti dall'edizione B.U.R. della tragedia.

1   La censura tagliò le battute In corsivo, credendo di scor­gervi un riferimento a un membro della camera del deputati, Fulchiron (N.d.A).