La barca vien dal lago

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LA BARCA VIENE DAL LAGO

LA BARCA VIENE DAL LAGO

Commedia in un atto

di ALESSANDRO DE STEFANI

PERSONAGGI

ATTILIO MARABINI

ANNA MARABINI

ARIELLA GALASSI

IL GIUDICE

IL SEGRETARIO

Commedia formattata da

 La scena rappresenta l'ufficio di un giudice istruttore. A una grande scrivania siede il giudice, uomo sui cinquant’anni. Ha davanti a sé molti fascicoli. A un'altra scrivania, più piccola, siede il segreta.' rio, magro, con occhiali. Sul fondo due porte. Ma solo quella di sinistra servirà per l'azione.

Il Segretario                     - Ha visto il rapporto dei carabi­nieri di Tremezzo? L'ultimo?

Il Giudice                        - L'ho letto. Molto interessante.

Il Segretario                     - Non le pare, cavaliere, che la faccenda sia poco chiara?

Il Giudice                        - La chiariremo.

Il Segretario                     - Ho fatto convocare anche le due donne, come lei ha ordinato.

Il Giudice                        - Hai fatto in modo che non si incon­trassero, spero!

Il Segretario                     - Non dubiti. Sono di là entrambe, in due stanze separate. Tutt'e due vestite di nero, Paiono due vedove.

Il Giudice                        - Con un tipo simile c'è da stupire che le vedove siano soltanto due.

Il Segretario                     - Una è bella. L'altra, vedrà lei.

Il Giudice                        - Fa' entrare la prima.

Il Segretario                     - La bella?

Il Giudice                        - Accordiamo questa precedenza alla bellezza.

Il Segretario                     - (alzandosi e mentre si avvia verso la porta di sinistra) Facciamo stenografare l'in­terrogatorio?

Il Giudice                        - No. Preferisco essere solo, senza te­stimoni. Ho maggiore speranza di cavar fuori la verità.

Il Segretario                     - Giustissimo, signor giudice. Ho sempre visto che la presenza di un terzo che scrive tutto rende mute le persone.

Il Giudice                        - Su, fa' entrare.

Il Segretario                     - (sulla porta) E debbo andarmene anch'io?

Il Giudice                        - Naturale. Se devo restar solo con la teste.

Il Segretario                     - (aprendo la porta e chiamando ver­so l'interno) Galassi Mariella. (Pausa) Avanti, avanti. (Compare Mariella, vestita di nero) Avanti. S'accomodi, signorina. Non abbia paura. (Mariella avanza un po' intimidita. Il segretario le rivolge un'ultima occhiata e poi esce chiudendo la porta).

Il Giudice                        - Venga avanti, signorina.

Mariella                           - (sedendo) Signor giudice, è spaven­toso.

Il Giudice                        - (consultando delle carte) Lo so. E prendo viva parte al suo dolore, mi creda. Dunque lei è Galassi Mariella?

Mariella                           - Di Tito.

Il Giudice                        - Età?

Mariella                           - Ventotto.

Il Giudice                        - Residente?

Mariella                           - A Como, via Garibaldi 8.

Il Giudice                        - E adesso mi dica. In che rapporti era con Alberto Fantelli?

Mariella                           - Ero la sua fidanzata.

Il Giudice                        - Fidanzata come?

Mariella                           - C'è modo e modo di essere fidanzati?

Il Giudice                        - Sì, signorina. C'è il fidanzamento che

Mariella                           - Se lo sa, inutile nasconderlo. Credo facesse un po' di contrabbando. Ma sciocchezze. Niente di importante. E in ogni modo io in questo non ero immischiata.

Il Giudice                        - Nessuno lo contesta. Mi descriva adesso il suo tenore di vita.

Mariella                           - La mia? Se posso, divertirmi.

Il Giudice                        - Volevo dire, la sua, di Fantelli.

Mariella                           - Le ho detto che non si privava di niente. Gli piaceva vestir bene, mangiar bene. Sul capitolo denaro era splendido, sempre. Tutto quel , che c'era di meglio. Per esempio... Ma non so se devo dirlo.

Il Giudice                        - Su, il giudice è come un confessore.

Mariella                           - Mi ha regalato lui tutto il mio guar­daroba intimo, nuovo. E vedesse che pizzi, che batiste.

Il Giudice                        - Immagino.

Mariella                           - Diceva che non poteva sopportare quello che portavo.

Il Giudice                        - Che era dello zio.

Mariella                           - Insomma, capricci da gran signore.

Il Giudice                        - Ed era geloso?

Mariella                           - (con una smorfia) A modo suo.

Il Giudice                        - Cioè?

Mariella                           - Era geloso se gli nascondevo qualche cosa, magari innocente. Capace di picchiarmi per una bugia. Ma se ero sincera, beh, allora con­sentiva.

Il Giudice                        - Consentiva anche lo zio.

Mariella                           - Appunto.

Il Giudice                        - E, perdoni se entro in questi parti­colari, non è mai accaduto che le presentasse qual­che amico pregandola di essere gentile con lui?

Mariella                           - Capisco quel che vuol dire. Conosco il genere. No, mai.

Il Giudice                        - Insomma, a modo suo, ci teneva a lei.

Mariella                           - Molto. Una volta che avevamo bistic­ciato e io ho minacciato di piantarlo, è diventato una belva. Poi quasi si è messo a piangere. Era un « tipo ».

Il Giudice                        - E quando è avvenuto questo bi­sticcio?

Mariella                           - Qualche mese fa. Aspetti. A settembre. Quindi sei mesi fa.

Il Giudice                        - E, mi dica, lei sapeva che si recasse spesso a Tremezzo?

Mariella                           - No. Sapevo che percorreva le due rive del lago e si fermava un po' qua un po' là per i suoi affari, ma di Tremezzo non mi ha mai par­lato in modo particolare.

Il Giudice                        - E adesso veniamo al fatto. Lei come lo ha appreso?

Mariella                           - Dai giornali. Non lo vedevo da due giorni. Ma non ero in pensiero. Capitava spesso che per vari giorni non si facesse vivo e poi telefonava.

Il Giudice                        - Lei sapeva che conoscesse questo Marabini?

Mariella                           - No. Non me l'aveva mai nominato.

Il Giudice                        - Per cui lei non ha nessuna idea del perché il Marabini gli abbia sparato? finisce col matrimonio e quello che comincia in­vece col matrimonio o col suo equivalente.

Mariella                           - Io lo amavo.

Il Giudice                        - Non lo metto in dubbio. Vogliamo cominciare dal principio? Vede, signorina, io non le faccio giurare niente. Non faccio nemmeno pren­dere nota delle sue risposte. Questo non è un interrogatorio vero e proprio. E' un colloquio. Per così dire informativo. Dunque, quando l'ha cono­sciuto questo Alberto Fantelli?

Mariella                           - Un anno e mezzo fa, a Milano. In una festa da ballo. E mi ha riaccompagnata in mac­china a Como.

Il Giudice                        - Quella sera stessa?

Mariella                           - (dopo una breve indecisione) No, l'in­domani al pomeriggio.

Il Giudice                        - Ah!... dalla sera all'indomani...?

Mariella                           - Non mi ha lasciata.

Il Giudice                        - Capisco. Colpo di fulmine.

Mariella                           - Era molto simpatico. Premuroso. Un bel giovane. E poi aveva la macchina.

Il Giudice                        - Allora si corre. Vada avanti.

Mariella                           - Beh, ci siamo fidanzati.

Il Giudice                        - Un anno e mezzo fa? Fidanzamento

lungo.

Mariella                           - Nessuno dei due aveva fretta.

Il Giudice                        - Il matrimonio non avrebbe cam­biato le cose. E vivevate insieme?

Mariella                           - No. Io abito con uno zio e allora...

Il Giudice                        - (consultando le proprie carte) Uno zio che per la verità non è neanche parente...

Mariella                           - Lo chiamo zio fin dall'infanzia. Molto buono ma forse non avrebbe acconsentito...

Il Giudice                        - Naturale.

Mariella                           - Ma, scusi, è per sapere di me o di lui che mi ha fatta venire?

Il Giudice                        - Dati i vostri rapporti, quel che lei mi dice di sé si riflette anche su di lui.

Mariella                           - (con un sospiro di convenienza) Era un bravo ragazzo, poveretto. Lavoratore,

Il Giudice                        - Che mestiere faceva?

Mariella                           - (vaga) Sapeva fare di tutto.

Il Giudice                        - Questo non vuol dire molto.

Mariella                           - Insomma, guadagnava. E' quello che conta.

Il Giudice                        - Quanto?

Mariella                           - Di preciso non lo so. I suoi affari non li confidava neanche a me. Ma non si lasciava mancare niente.

Il Giudice                        - Infatti lei, signorina, ne è una prova.

Mariella                           - (senza raccogliere l'insinuazione) Oh, sentirò molto la sua sparizione. Ero molto legata a lui.

Il Giudice                        - Rimaneva assente spesso?

Mariella                           - Come sarebbe a dire, assente?

Il Giudice                        - Se passavano lunghi periodi senza che lei lo vedesse?

Mariella                           - Lunghi, no. Ma girava spesso con la sua macchina.

Il Giudice                        - Le portava regali dalla Svizzera?

Mariella                           - Come lo sa?

Il Giudice                        - Ci hanno informato che passava con frequenza la frontiera svizzera.

Mariella                           - Ho letto le induzioni dei giornali ma di più non so.

Il Giudice                        - Recentemente, prima del fatto, Al­berto le era parso preoccupato?

Mariella                           - No. Era sempre come il solito. Poco ciarliero per natura. Ma ecco, sì; mi aveva pro­messo una pelliccia. Questa è l'unica cosa nuova e importante.

Il Giudice                        - Che pelliccia?

Mariella                           - Di castoro.

Il Giudice                        - Ma era lui che gliel'aveva promessa o lei che gliel'aveva chiesta?

Mariella                           - Non so con precisione. Eravamo an­dati assieme a Milano e passando davanti a un negozio gli avevo mostrato una pelliccia che mi piaceva. Così, come si fa. Senza molte speranze. Ma lui è voluto entrare e domandare il prezzo. Un pensiero gentile, no?

Il Giudice                        - E quant'era il prezzo?

Mariella                           - Cinquecentomila. Era proprio bella.

Il Giudice                        - Un'occasione.

Mariella                           - Ma Alberto non si è deciso.

Il Giudice                        - Forse non aveva la disponibilità.

Mariella                           - Oh, quando voleva una cosa, i soldi finivano sempre col saltar fuori. E mi ha detto, uscendo: « Fra pochi giorni l'avrai ».

Il Giudice                        - Per cui lei era sicura che gliel'avreb-be comperata.

Mariella                           - Ci contavo. Anzi gli ho fatto un po' di broncio perché non me l'aveva presa subito.

Il Giudice                        - Che specie di broncio?

Mariella                           - Non ho voluto restare a Milano con lui quel giorno. Ho voluto tornare a Como.

Il Giudice                        - Dallo zio.

Mariella                           - Se avessi saputo che due giorni dopo sarebbe successo quel che è successo...

Il Giudice                        - Questo allora è accaduto l'ultima volta che lei lo ha veduto?

Mariella                           - Sì. L'ultima.

Il Giudice                        - Ancora una domanda e poi la lascio andare. Aveva altre amiche, che lei sapesse, il suo Alberto?

Mariella                           - No. Oh Dio, non pretendo che fosse di una fedeltà scrupolosa. Dagli uomini non si può pretendere tanto. Ma bisogna chiudere un occhio sulle cose senza importanza. Io poi, per abitudine, non faccio mai scene di gelosia. Non servono a niente. Anzi.

Il Giudice                        - Se ha letto i giornali, avrà visto che parlano di un'altra donna.

Mariella                           - Io non ne so niente. In genere credo poco a quello che stampano i giornali. Se fosse stata bella, beh... Ma ho letto che non è bella... allora non credo. A lui piacevano solo le donne molto belle. Aveva buon gusto, poveretto.

Il Giudice                        - Lo vedo.

Mariella                           - E poi adesso che non c'è più, che cosa vuole che mi importi la causa del fatto?

Il Giudice                        - A lei, no, ma a me sì. (Alzandosi) Può darsi che abbia ancora bisogno di lei. Nel caso la farò chiamare.

Mariella                           - Se fosse possibile vorrei essere tenuta in disparte il più possibile da questa faccenda. Se lei mi evitasse di comparire al processo gliene sarei tanto grata. Tanto, io non c'entro per niente. C'è un colpevole, arrestato, confesso. Che si vuole di più? A me questa pubblicità non può giovare. E poi anche per lo zio sarebbe spiacevole...

Il Giudice                        - (riaccompagnandola verso la porta di sinistra) Non glielo posso promettere ma ve­drò quel che si può fare.

Mariella                           - Grazie. (Il giudice ha aperto la porta. Mariella esce. Ricompare il segretario che si volge a dare un'ultima occhiata di ammirazione in dire­zione di Mariella).

Il Segretario                     - Ha visto, signor giudice, che donna?!

Il Giudice                        - Ho visto.

Il Segretario                     - E che profumo!

Il Giudice                        - Già.

Il Segretario                     - E poi elegante. II nero le sta a meraviglia.

Il Giudice                        - Se non le stesse bene, non lo por­terebbe. Fa' entrare l'altra.

Il Segretario                     - Subito, signor giudice. (Torna alla porta di sinistra e chiama) Marabini Anna. (Pausa. Poi compare Anna, anch'essa vestita di nero ma molto più modestamente. E' una scialba donna sui trent’anni. Il segretario che evidente­mente non ha per costei l'ammirazione che aveva per Mariella si limita a indicarle con un gesto il giudice. Poi con una smorfia di commiserazione esce e chiude la porta).

Il Giudice                        - Prego, signorina. Si accomodi. Non abbia paura. (Anna siede sulla sedia davanti alla scrivania e si mette a piangere) Si faccia coraggio. Si calmi.

Anna                                - (tra le lagrime) Perché mi ha chiamata? non so niente. Io non ho niente da dire.

Giudice                            - (paziente) Va bene. Ma lei capirà che anche noi dobbiamo fare il nostro dovere.

Anna                                - (piangendo ancora più forte) E' spaven­toso.

Il Giudice                        - Purtroppo c'è un morto.

Anna                                - (facendo per alzarsi) Mi lasci andar via, la prego. Io non resisto più. Il Giudice         - (trattenendola) Abbia pazienza. Mi aiuti. Mi consenta intanto di sbrigare le formalità d'obbligo. Marabini Anna, vero? (Anna fa un lieve cenno del capo) Di anni?

Anna                                - (con un filo di voce) Trentuno.

Il Giudice                        - Residente? A Tremezzo, vero? (Lie­ve cenno di lei) Dov'è anche nata, se non sbaglio... (Altro cenno affermativo. Il giudice allontana da sé il fascicolo) Lei non ha mai chiesto di vedere suo padre da quando egli è detenuto... Non è così? (Essa non risponde) Mi vuole spiegare perché non ha chiesto di vederlo?

Anna                                - (con fatica) Mi hanno detto che non sa­rebbe stato possibile.

Il Giudice                        - In ogni modo lei non ha fatto niente per vederlo. E siccome lei è la sola persona di famiglia che egli abbia, la cosa mi pare strana. Non trova?

Anna                                - Non avrei potuto reggere a un colloquio.

Il Giudice                        - Capisco, è molto penoso. Lei ama molto suo padre?

Anna                                - (a stento, e con un filo di voce) Sì.

Il Giudice                        - Lo dice con poco entusiasmo. Lei non gli perdona quello che ha fatto, vero?

Anna                                - Non sta a me giudicare.

Il Giudice                        - Mi parli, per favore, dei suoi rap­porti con suo padre. Bisogna che io sappia.

Anna                                - I soliti. Una figlia e un padre.

Il Giudice                        - No, signorina, mi scusi. Lei ha per­duto la madre molto presto.

Anna                                - Non la ricordo nemmeno. Avevo pochi mesi quando è mancata.

Il Giudice                        - Quindi lei ha vissuto unicamente con suo padre. Eravate voi due soli.

Anna                                - Sì, soli.

Il Giudice                        - E avete sempre vissuto nella stessa casa? (Cenno affermativo della donna) Una ca­setta di vostra proprietà, vero? (Altro cenno affermativo) In riva al lago... Non faccia dire tutto a me, signorina. Le vostre condizioni finanziarie come sono?

Anna                                - Non lo so. Papà si occupava dì tutto.

Il Giudice                        - Permetta. Lei non è più una bam­bina. Sarà al corrente della situazione. Suo padre che rendite aveva?

Anna                                - Un podere con una fattoria. E una pen­sione governativa, piccola.

Il Giudice                        - Di maestro elementare. Da quanto tempo suo padre aveva lasciato l'insegnamento?

Anna                                - Da sei anni. Per una infermità. Una scia­tica cronica che non gli ha permesso di continuare fino ai limiti di età.

Il Giudice                        - Le consta che in questi ultimi tempi le entrate dì suo padre fossero diminuite?

Anna                                - Non so niente. La nostra vita era sempre la stessa. E i nostri bisogni sono sempre stati modesti.

Il Giudice                        - Come spiega lei il gesto di suo padre?

Anna                                - Non lo so. Non lo so.

Il Giudice                        - Suo padre aveva mai dimostrato dì essere un uomo violento?

Anna                                - No. Mai.

Il Giudice                        - Tutte le informazioni assunte ce lo descrivono anzi dì carattere mansueto. La cosa è quindi tanto più sorprendente. Sa che egli conoscesse questo Fantelli?

Anna                                - No.

Il Giudice                        - E lei lo conosceva?

Anna                                - Io? No, no. Non creda a quello che hanno scritto i giornali.

Il Giudice                        - Non dubiti. Non è dai giornali che attingiamo le nostre informazioni. Lei dunque so­stiene di non aver mai conosciuto il Fantelli?

Anna                                - No.

Il Giudice                        - Perché vuol mentire con me? Oltre tutto dire la verità può attenuare almeno in parte la responsabilità di suo padre. Noi sappiamo.

Anna                                - Che cosa?

Il Giudice                        - Che lei conosceva benissimo il Fan­telli. Almeno da sei mesi.

Anna                                - (disperatamente) Non è vero.

 

Il Giudice                        - Andiamo, signorina. Qui siamo soli... E' inutile fingere. Ho qui un rapporto dei cara­binieri...

Anna                                - (coprendosi il volto con le mani) Dio, Dio.,.

Il Giudice                        - Non si disperi per questo. Oramai la morte ha suggellato ogni peccato. Non abbia falsi pudori. Vuole o non vuole difendere fin dove è possibile suo padre?

Anna                                - Ha un avvocato.

Il Giudice                        - E crede che basti?

Anna                                - (scoppiando nuovamente a piangere) La mia vita è finita, finita per sempre.

Il Giudice                        - (incalzando) Lei ha portato spesso dei fiori sulla tomba di Alberto Fantelli.

Anna                                - Sa anche questo?

Il Giudice                        - Vede? Quindi meglio dir tutto. Oramai.

Anna                                - (disperata, singhiozzante) Lo amavo.

Il Giudice                        - Lo so. Fa bene a decidersi a con­fessare. Lei lo amava. E lui?

Anna                                - Anche lui mi amava.

Il Giudice                        - Ne è sicura?

Anna                                - (ribellandosi) Perché? Cosa crede?

Il Giudice                        - Niente. Mi racconti adesso come e quando l'ha conosciuto.

Anna                                - Non mi faccia dire. Non posso. E poi se sa tutto, perché vuole che io parli? E' crudeltà, la sua.

Il Giudice                        - Devo, signorina. Bisogna che sappia se e fino a che punto è vero quanto mi risulta.

Anna                                - Ma non si rende conto del mio stato? Mio padre in carcere e lui al cimitero! Non ho più niente, nessuno.

Il Giudice                        - Purtroppo devo insistere. Ci sono molte cose che non sono chiare in tutto questo, malgrado quel che mi risulta. Lei sapeva che questo Fantelli era un poco di buono?

Anna                                - (indignata) Non è vero.

Il Giudice                        - Lei forse ignorava, ma...

Anna                                - (tappandosi le orecchie) Non voglio sen­tire.

Il Giudice                        - Sì occupava dì contrabbando con la Svizzera.

Anna                                - E che vuole che me ne importi? E' per questo che lei lo chiama un poco di buono?

Il Giudice                        - Secondo la giustizia anche questo conta.

Anna                                - Non per me.

Il Giudice                        - Allora mi vuol dire come lo ha co­nosciuto? Per caso? Chi glielo ha presentato?

Anna                                - Nessuno.

Il Giudice                        - Come nessuno?

Anna                                - E' stato perché abbiamo la casa in riva al lago. Sette mesi fa. Una notte.

Il Giudice                        - Avanti.

Anna                                - Il lago era in burrasca. Lampi. Tuoni. Io non riuscivo a dormire. Ero alla finestra a guar­dare il lago. Abbiamo una piccola darsena davanti alla casa. Qui è venuta ad approdare una barca che cercava riparo. Ne è disceso un uomo inzup­pato d'acqua. Era lui.

Il Giudice                        - E che faceva a quell'ora sul lago?

Anna                                - Non lo so. Forse si trattava di quel con­trabbando che dice lei.

Il Giudice                        - Può darsi. Ma con una barca in una notte così non si va da Tremezzo al confine svizzero.

Anna                                - (senza badargli) L'ho accolto in casa. Aveva bisogno di ristoro.

Il Giudice                        - E suo padre?

Anna                                - Dormiva,

Il Giudice                        - E voi...?

Anna                                - Non mi faccia dire!

Il Giudice                        - Immagino.

Anna                                - (angosciata) Ma sa lei che cosa sia giun­gere a trenta anni senza aver mai amato nessuno? Mai niente. Neanche un amore infelice. Il vuoto. Niente.

Il Giudice                        - Alberto era giovane, anzi un bel giovane.

Anna                                - E' stata una pazzia. Non so neanch'io come sia accaduto. Dovevamo parlare piano per non svegliare mio padre. La sua bocca vicino alla mia. Sì, l'ho amato. E lui mi ha amata.

Il Giudice                        - Non se ne vergogni. E' umano.

Anna                                - Ma guai se mio padre lo avesse saputo. Così ligio alla morale. E così schiavo dell'opinione della gente. In un paese piccolo tutti hanno gli occhi addosso. E giudicano. E criticano.

Il Giudice                        - Quella notte c'era la tempesta. Ma dopo?

Anna                                - Quella notte se n'è andato, sempre dal lago, con la barca, prima che facesse giorno. Ma mi aveva giurato di tornare di lì a due notti, dalla stessa parte.

Il Giudice                        - E invece non è tornato?

Anna                                - Anch'io credevo che non sarebbe tornato. Non lo speravo. Ma non lo avrei condannato per questo. Pensavo che aveva dovuto farsi una cat­tiva idea di me. Non gli avevo resistito. Era il primo, il solo uomo della mia vita e mi ero abban­donata, così, subito, come se fossi stata una di quelle. Gli ero riconoscente lo stesso. Avevo cono­sciuto, se anche per poche ore, l'amore. L'AMORE. Mi giudichi come vuole ma questa è la verità.

Il Giudice                        - Non sono qui per giudicare queste colpe, signorina.

Anna                                - E invece è tornato. Non di lì a due notti, come aveva promesso, no. Io lo aspettavo alla finestra, con poca speranza, ma sempre lì, pro­tesa a scrutare le acque del lago. Una notte che non finiva mai. E poi la notte successiva. E l'altra ancora. Quando oramai ero convinta che non sa­rebbe tornato mai più, eccolo, ecco la sua barca. Era lui. Era passata una settimana dal primo incontro, una eternità, ma era tornato.

Il Giudice                        - Lei sapeva chi era?

Anna                                - Sì. Mi aveva detto il suo nome, tutto.

Il Giudice                        - Tutto quello che aveva voluto dire.

Anna                                - Tutto, tutto. Nelle ore che passava lì, con me, mi raccontava della sua vita, delle sue spe­ranze. Mi amava.

Il Giudice                        - E lei di questo non ha mai fatto cenno con suo padre?

Anna                                - E come avrei potuto?

 

Il Giudice                        - Se le intenzioni di quel giovane fos­sero state serie mi pare che...

Anna                                - Mio padre mi avrebbe sorvegliata. Non sarebbe più potuto venire la notte, da me. E io non potevo rinunciare. Non era più possibile.

Il Giudice                        - E questo è durato fino a...?

Anna                                - Sì. Qualche volta non si faceva vedere per una o due settimane. Mi diceva sempre, an­dandosene, che non sapeva esattamente quando sarebbe potuto tornare, ma che lo aspettassi. E io lo aspettavo.

Il Giudice                        - Le ha mai inviato delle lettere?

Anna                                - Mai. E adesso mi accorgo che se avessi almeno qualche sua lettera avrei ancora qualcosa.

Il Giudice                        - Le ha mai parlato di matrimonio?

Anna                                - Sì. Lui. Io no. Non volevo niente. Mi sa­rebbe parso di diminuire il mio amore mesco­landolo a delle pretese, a dei calcoli. Ma lui mi ha accennato alla possibilità di matrimonio quan­do certe sue cose fossero andate a posto.

Il Giudice                        - Egli era più giovane di lei.

Anna                                - Lo so. Ma a lui non avevo mai detto la mia età vera.

Il Giudice                        - (commosso suo malgrado) Capisco. Si è mai mostrato di umore mutato durante que­sti convegni? Meno appassionato?

Anna                                - A volte pareva che avesse delle preoccu­pazioni. Io lo interrogavo. Avrei voluto aiutarlo, in tutto, ma si irritava delle mie insistenze. Cre­deva che fosse curiosità quello che era soltanto premura. E io allora non gli domandavo più niente.

Il Giudice                        - Quando è avvenuto il fatto, lei lo aveva visto di recente?

Anna                                - No. Erano quindici giorni che non lo vedevo.

Il Giudice                        - E come si spiega che fosse venuto a casa sua ad incontrarsi con suo padre? Questa volta era venuto di giorno e non dal lago. Era venuto con la sua automobile e lungo la strada.

Anna                                - Mio padre certamente lo aveva fatto chiamare.

Il Giudice                        - E lei non lo sapeva?

Anna                                - No. Anzi quel giorno mio padre mi aveva mandata a Como con un pretesto. Ho capito dopo che era un pretesto.

Il Giudice                        - Quindi suo padre sapeva dell'esi­stenza di questo Fantelli. Come lo aveva saputo?

Anna                                - Non lo so. Qualcuno al paese lo avrà veduto e gliene avrà parlato. Sono tutti così pet­tegoli e maligni.

Il Giudice                        - Mi sembra strano. Non pare strano anche a lei, signorina, che suo padre, se qualcuno gli avesse insinuato qualcosa, sia ricorso diretta­mente a lui anziché parlarne prima con lei, se non altro per sapere se le voci erano fondate o no?

Anna                                - Eppure evidentemente ha fatto così per­ché con me non ha parlato.

Il Giudice                        - E non le sembra strano che, anche se qualcuno gli avesse riferito delle visite nottur­ne di un misterioso individuo a casa sua, suo pa­dre abbia saputo nome e indirizzo di questo visi­tatore, e Io abbia convocato?

 

Anna                                - Avrà fatto delle indagini. Del resto non ha chiesto a lui come ha fatto a individuarlo?

Il Giudice                        - Non ha voluto rispondere.

Anna                                - Io, oltre a quello che le ho detto, non so nulla.

Il Giudice                        - Sa almeno se suo padre avesse in casa da tempo una rivoltella?

Anna                                - No. Non l'aveva.

Il Giudice                        - Badi che quanto lei afferma è molto grave.

Anna                                - E' la verità.

Il Giudice                        - Questo vorrebbe dire che se l'è pro­curata, non sappiamo come, recentemente. E pro­verebbe in suo padre una premeditazione spe­cifica.

Anna                                - Che differenza vuole che ci sia?

Il Giudice                        - Grande. Non si tratterebbe di un im­peto incontrollato di ribellione, ma di un freddo e meditato proposito. La pena sarebbe molto più grave.

Anna                                - (lentamente) Spero che sia grave.

Il Giudice                        - Lei non può dunque perdonare in nessun modo il gesto di suo padre?

Anna                                - No. In nessun modo. Lo odio. Mi ha tolto l'unica ragione della mia vita. Che m'importa che sia mio padre? Alberto era il mio amore. E se un giorno mio padre uscisse, non mi troverebbe più perché non potrei certo vivere accanto a chi mi ha ucciso Alberto.

Il Giudice                        - Signorina, io capisco il suo dolore ma mi permetta di dirle che il suo atteggiamento è comunque inumano.

Anna                                - Non sono capace di fingere. Del resto so che lei non mi può comprendere. Delitto per di­fendere l'onore? Che onore? Che difesa? Oramai il mio nome e la mia colpa sono su tutti i gior­nali.

Il Giudice                        - Le dirò allora che in paese nessuno crede alla sua colpa. Nessuno, a quanto risulta a noi, ha veduto, saputo e parlato con suo padre delle visite di Alberto a lei. E anche dopo quello che hanno stampato i giornali nessuno crede che il motivo possa essere passionale, cioè quello che lei ha detto.

Anna                                - Che lo dicano. Crede che ci tenga oramai alla mia reputazione? Ma se nessuno ha saputo, come ha saputo lei?

Il Giudice                        - I carabinieri. E quelli non chiacchie­rano.

Anna                                - Ma che altri motivi potrebbe aver avuto mio padre per fare quello che ha fatto?

Il Giudice                        - Non sappiamo. Certo quello che lei ha confessato getta una luce diversa sulla cosa. Un rapporto deve esistere. Ma non pianga troppo, signorina. Quell'uomo, se fosse vissuto, non avreb­be certamente potuto renderla felice.

Anna                                - Che può saperne lei? Io ero felice.

Il Giudice                        - (alzandosi) Ora vada. E cerchi, se è possibile, di trovare un po' di pace nella rasse­gnazione. (Egli ha suonato un campanello. Com­pare dalla porta di sinistra il segretario) Accom­pagna la signorina. (Piano al segretario) Di' che la tengano d'occhio. (Anna e il segretario escono dalla porta di sinistra. Il giudice torna a sedere alla sua scrivania. Dopo un istante il segretario riappare dalla porta di sinistra e indica in dire­zione di Anna).

Il Segretario                     - E' pericolosa?

Il Giudice                        - Per sé. Incredibile come i farabutti sappiamo farsi amare. L'imputato?

Il Segretario                     - E' in camera di sicurezza come lei aveva ordinato.

Il Giudice                        - Fallo venire.

Il Segretario                     - Lo faccio entrare con i carabi­nieri?

Il Giudice                        - No. Solo. Senza manette.

Il Segretario                     - Ma, signor giudice...

Il Giudice                        - Fa' come ti ho detto. Lui no, non è pericoloso.

Il Segretario                     - (scotendo la testa) Per me, quan­do uno ammazza... (Esce dalla porta di sinistra. Pausa. Il segretario introduce Attilio Marabini. E' un uomo emaciato, di circa 10 anni. Trascina una gamba).

Il Giudice                        - (ad Attilio) Venite avanti. (Al se­gretario) Tu puoi andare. (Il segretario esce dalla porta di sinistra. Attilio siede. Il giudice gli porge un pacchetto di sigarette) Una sigaretta?

Attilio                              - (circospetto, sempre guardingo a non dire quanto non vuole) Non fumo. Grazie.

Il Giudice                        - (incoraggiante) Avete pensato a quanto vi ho detto?

Attilio                              - Non ho nulla da aggiungere.

Il Giudice                        - Bisogna che vi persuadiate che cer­te cose dobbiamo chiarirle. Alcune le abbiamo già chiarite noi.

Attilio                              - (chiuso) Fate il vostro dovere. Condan­natemi.

Il Giudice                        - Questo non spetta a me. Io devo soltanto istruire la causa.

Attilio                              - Tutto è così semplice.

Il Giudice                        - Non si direbbe. Perché siete così contrario a dirci la verità?

Attilio                              - La conoscete.

Il Giudice                        - Non tutta e non bene.

Attilio                              - Non c'è altro.

Il Giudice                        - (paziente) E allora ripetetemi come è avvenuto il fatto.

Attilio                              - Un'altra volta?

Il Giudice                        - Sì. Un'altra volta.

Attilio                              - (come se recitasse una lezione) Avevo scoperto che quell'uomo insidiava l'onore di mia figlia. Gli ho imposto di smettere. Mi ha risposto con arroganza. Io l'ho insultato. Mi ha minacciato. L'ho ucciso.

Il Giudice                        - Molto semplice. Che cosa avevate scoperto esattamente nei rapporti tra quell'uomo e vostra figlia?

Attilio                              - Ve l'ho detto.

Il Giudice                        - No. Sapevate che la conoscesse...?

Attilio                              - Sì. Veniva in casa di nascosto.

Il Giudice                        - Quando avete scoperto questo?

Attilio                              - Poco tempo prima.

Il Giudice                        - L'avete visto?

Attilio                              - Sì.

Il Giudice                        - Di notte?

Attilio                              - Sì.

Il Giudice                        - E allora lo avete convocato a casa per parlargli?

Attilio                              - Sì.

Il Giudice                        - E come mai sapevate il suo nome e il suo indirizzo?

Attilio                              - Sono riuscito a saperlo.

Il Giudice                        - Da vostra figlia?

Attilio                              - No. Di questo con lei non ho mai par­lato.

Il Giudice                        - Per fissargli un appuntamento gli avevate scritto?

Attilio                              - Sì.

Il Giudice                        - Non si è trovato questo vostro in­vito a casa del Fantelli.

Attilio                              - Lo avrà buttato via.

Il Giudice                        - Era la prima volta che lo vedevate? Voglio dire, faccia a faccia? Che gli parlavate?

Attilio                              - La prima volta.

Il Giudice                        - Mentite.

Attilio                              - (testardo) Era la prima volta.

Il Giudice                        - Vi hanno visto più di una volta, in precedenza, parlare con questo Fantelli in un bar di Como. E' vero o non è vero?

Attilio                              - Non ero io.

Il Giudice                        - Vi metteremo a confronto con chi vi ha visto. Il padrone del bar tra l'altro.

Attilio                              - E che cosa cambia questo?

Il Giudice                        - Molto. Significa intanto che voi co­noscevate, e molto bene, la vittima.

Attilio                              - Posso aver avuto con lui rapporti di altro genere.

Il Giudice                        - D'affari?

Attilio                              - Sì, ecco. Dopo, quando ho scoperto...

Il Giudice                        - Che affari?

Attilio                              - Questo non ha nulla a che vedere col fatto.

Il Giudice                        - La rivoltella con la quale avete spa­rato ve la siete procurata di recente, non sappia­mo come, ma di recente.

Attilio                              - Non l'ho nemmeno pagata. Uno che veniva dalla Svizzera.

Il Giudice                        - Contrabbando?

Attilio                              - Sì, credo.

Il Giudice                        - Per questo non abbiamo trovato nessun dato dagli armaioli. A proposito di con­trabbando, Fantelli si occupava anche di questo. Lo sapevate?

Attilio                              - Sì... No... Cioè...

Il Giudice                        - Sì o no?

Attilio                              - Comunque non mi sorprende. Era ca­pace di peggio. Ma la rivoltella non l'ho avuta j da lui.

Il Giudice                        - Quindi avevate una pessima opinio­ne di Fantelli. Non gli avreste dato certamente vostra figlia in moglie.

Attilio                              - La mia Anna? Mai.

Il Giudice                        - Di che cosa avete discusso allora nel diverbio che si è concluso con un colpo di rivoltella?

Attilio                              - Non so. Non ricordo.

Il Giudice                        - Non è possibile. Perché voi, uomo che ha tutto un passato senza macchia, un passato di ordine, di diligenza, abbiate potuto per­dere la testa fino a questo punto...

Attilio                              - (cupo) Era una canaglia.

Il Giudice                        - Va bene. Ma non si uccide un uomo soltanto perché è una canaglia.

Attilio                              - Voi non potete sapere chi era quell'uomo.

Il Giudice                        - (consultando delle carte) Tre mesi fa, prima del fatto, voi avete acceso una ipoteca sulla vostra casa. E' vero?

Attilio                              - Sì.

Il Giudice                        - Un mese dopo avete venduto la proprietà di campagna dalla quale ricavavate un piccolo reddito. E' vero?

Attilio                              - Sì. L'ho venduta con atto davanti a no­taio. Non è un mistero. L'ho venduta al macellaio di Tremezzo.

Il Giudice                        - Tutto questo all'insaputa di vostra figlia.

Attilio                              - Sì.

Il Giudice                        - E del ricavato cosa avete fatto?

Attilio                              - Avevo degli impegni da assolvere.

Il Giudice                        - Che impegni?

Attilio                              - Vecchi debiti.

Il Giudice                        - Nessuno in paese sa di questi pre­tesi debiti né la ragione per cui avevate tanto urgente bisogno di denaro né dove questo sia andato a finire. Non volete dirlo?

Attilio                              - No.

Il Giudice                        - Lo verremo a sapere egualmente. Avete inoltre fatto altri debiti più recenti, a Co­mo, firmando delle cambiali e garantendo le sca­denze con la vostra pensione di insegnante. In quali pasticci vi eravate ficcato?

Attilio                              - Non vi riguarda.

Il Giudice                        - Credete? Non sarà stato quel Fan­telli a ricattarvi, perché qui c'è sotto puzza di ricatto!

Attilio                              - No, niente di questo.

Il Giudice                        - Allora vi dirò io quel che è accaduto.

Attilio                              - (rassegnato) Dite quel che volete.

Il Giudice                        - Voi siete stato indotto a fare degli affari, affari poco puliti, assieme a quel Fantelli. Affari di contrabbando, mettiamo. Sono andati male e vi siete trovato impelagato. Il vostro socio ha minacciato di rivelare questa vostra parteci­pazione...

Attilio                              - (stanco) Sarà stato così.

Il Giudice                        - (incalzante) E' o non è stato così?

Attilio                              - Va bene. E' stato così.

Il Giudice                        - Allora avete dato al Fantelli il pro­vento dell'ipoteca, della vendita della fattoria e il resto che vi siete fatto prestare? Attilio ~ Sì.

Il Giudice                        - (poco convinto) Mi pare che voi dovreste essere un uomo abbastanza intelligente per non sottostare a ricatti assurdi. Il Fantelli per denunciare voi avrebbe dovuto denunciare se stesso. E vi pare che avrebbe potuto farlo?

Attilio                              - Siete stato voi a dire che subivo dei ricatti.

Il Giudice                        - Perché gli elementi Io provano. Ma forse si tratta di ricatti di altro genere.

 

Attilio                              - No, nessun altro ricatto.

Il Giudice                        - Si direbbe che abbiate paura che io scopra la verità. Forse perché sentite che vi sono molto vicino.

Attilio                              - (tremando) No, non potrete mai saperla.

Il Giudice                        - Credete che al dibattimento, con tutti i testi che sfileranno a deporre, questa non verrà alla luce?

Attilio                              - (spaventato) No, questo no.

Il Giudice                        - (comprendendo che l'uomo è prossi­mo a cedere) Non potrete nasconderla. Alla fine si saprà. Sapete chi è uscito ora di qui? Vostra figlia.

Attilio                              - (ansioso) Che vi ha detto?

Il Giudice                        - Che vi odia per quello che avete fat­to. Vi odia, capite. Questo non vi decide?

Attilio                              - E' giusto che mi odi. Essa lo amava.

Il Giudice                        - Ha confessato tutto.

Attilio                              - Tutto, cosa?

Il Giudice                        - Come lo ha conosciuto, come lo ri­cevesse in casa, la notte. Non vi sorprende?

Attilio                              - No.

Il Giudice                        - Quindi voi sapevate? (Attilio non risponde) Da quando? (Egli continua a non ri­spondere) Essa ignora le cause vere del vostro gesto. Come voi credete che le ignori io. Ma dopo il processo anche lei verrà a conoscere la verità dai giornali.

Attilio                              - (convulso) No, lei no. Questo no.

Il Giudice                        - (certo ora di aver trovato il punto debole) Su, allora. Confessate tutto. Forse io vi potrò comprendere, aiutare.

Attilio                              - (dopo una pausa) Avete figli voi?

Il Giudice                        - Io? Sì. Due maschi.

Attilio                              - (avvilito) Due maschi? Allora non po­tete capire.

Il Giudice                        - Avanti. Coraggio.

Attilio                              - Se mi poteste davvero aiutare... Una cosa sola potreste fare per me.

Il Giudice                        - Dite.

Attilio                              - Far credere che il movente sia stato quello dell'onore. Perché anche lei, la mia Anna, possa continuare a crederlo.

Il Giudice                        - Se parlate, può darsi che possa aiutarvi.

Attilio                              - Nascondendo la verità?

Il Giudice                        - Se non so quale sia non la posso nascondere.

Attilio                              - (decidendosi con sforzo) Allora... Mi giudicherete come vorrete. Non m'importa. Ma, badate a quello che vi dico: se nulla ancora fosse accaduto e tutto fosse da ricominciare, rifarei tutto quello che ho fatto.

Il Giudice                        - Anche il delitto?

Attilio                              - Anche il delitto.

Il Giudice                        - Avanti. Che è accaduto?

Attilio                              - (cominciando lentamente) Dopo la mor­te di mia moglie, mia figlia è stata tutto per me. Forse mi sono troppo attaccato a lei da quando - non ridete - l'ho allattata io. Sì. Sua madre non aveva latte, era inferma, e allora per l'allattamen­to artificiale ho provveduto io conciliando le ore di scuola con le ore dell'allattamento. Ed ero orgoglioso che non avesse mai avuto un malanno, una indigestione, uno dei piccoli guai di tutti i bambini. Poi mia moglie si è aggravata e se n'è andata, lasciandomi solo con la piccola. Figura­tevi che allora pensavo con terrore al giorno che mia figlia, divenuta grande, si sarebbe sposata e mi avrebbe lasciato. Speravo di morire prima di quel distacco.

Il Giudice                        - Egoismo paterno.

Attilio                              - In un certo senso, sì. Ma, dopo, quan­do Anna ha cominciato a crescere... Beh, per me s'intende era sempre bellissima, ma mi rendevo conto che per gli altri, per tutti, essa era brutta. Una brutta bambina. Voi l'avete veduta.

Il Giudice                        - Non trovo.

Attilio                              - Vi prego. Inutile. E che cosa sia per una donna essere brutta l'ho capito quando essa ha avuto sedici, diciassette anni. E' come una malattia, la peggiore delle malattie. Le altre com­pagne tutte guardate, invitate, corteggiate, e lei niente. Ignorata. Come se non esistesse.

Il Giudice                        - Non bisogna esagerare.

Attilio                              - Non esagero. Se prima avevo temuto che un giorno si fosse sposata, ora invece lo de­sideravo per lei. Perché ne pativa. Sempre di più, di questo abbandono. Io la spiavo senza parere. Mi sono accorto che si illudeva con qualche ci­vetteria del vestito, della pettinatura di poter migliorare. Forse non avrà saputo. Nessun uomo la guardava. Vedete, neanche brutta da colpire. Ci sono bruttezze che danno nell'occhio. Lei no; brutta senza tono, senza rilievo. Una creatura indifferente che non avrebbe mai suscitato un desiderio. L'avevo fatta studiare. Anche il piano­forte. Era colta e intelligente, ma non sapeva neanche far valere queste sue doti. Aveva il com­plesso d'inferiorità dei minorati. Restava sempre taciturna. Mai un sorriso. Ho tentato di farla di­vertire. Qualche piccolo viaggio. Una sera, du­rante uno di questi viaggi, l'ho sorpresa che piangeva. Al ritorno l'ho accompagnata a qualche festa da ballo. Rimaneva sempre in disparte a far tap­pezzeria. Come le vecchie. Una pena, signor giu­dice, una pena per lei e anche per me.

Il Giudice                        - Questo non mi spiega...

Attilio                              - Abbiate pazienza. Per capire bisogna che sappiate tutto. Forse non capirete lo stesso, ma vi devo pur dire come si è giunti a quello che sapete.

Il Giudice                        - Io non trovo che vostra figlia...

Attilio                              - Grazie. Siete la sola persona che me lo abbia detto anche se non lo pensa. Figuratevi che una volta essa era andata a un ballo ma­scherato e, così, travestita, aveva trovato un ca­valiere che l'aveva fatta ballare. E' stato una specie di avvenimento. Ma dopo, quando essa si è tolta la maschera, quel cavaliere non l'ha fatta ballare più. Le sue compagne di scuola, le sue coetanee, una alla volta si sono sposate. Lei è stata invitata alle feste di nozze. E al ritorno da una di queste feste mi ha detto in una crisi di disperazione: « Io finirò zitella ». Terribile, sapete, per un padre sentire queste parole. E' come se la figlia vi accusasse di averla fatta nascere così. Allora ho cominciato a spargere la voce che essa avrebbe avuto in dote la fattoria e la casa. Si spo­sano tutte quelle che hanno dei soldi, mi dicevo. I miei non erano molti, ma potevano sempre al­lettare qualcuno.

II Giudice                        - E non sono serviti?

Attilio                              - Una sola persona mi ha accennato alla possibilità di volerla sposare. Era un garzone sa­lumiere che avrebbe voluto, con quei pochi soldi, aprire un negozio per conto suo. Capirete, un garzone incolto, volgare, accanto a lei! Non glie­ne ho nemmeno parlato. Forse ho fatto male. Ma questo è accaduto molti anni fa. Dopo essa si è incupita; non parlava più. Sempre triste, evitava perfino di uscire, di farsi vedere di incontrar gente. Sfogliava sempre le riviste dove ci sono tante fotografie di donne belle. Le fissava. Ca­pivo che aveva vergogna di se stessa. Lo so, ci sono tante donne brutte che non fanno una tra­gedia della loro bruttezza. Mia figlia sì. Deperiva. Dimagriva. E due anni fa si è ammalata. Non mangiava più. Perdeva ogni giorno le forze. L'ho fatta visitare da due medici. Poi l'ho condotta a Milano da una celebrità.

Il Giudice                        - Chi?

Attilio                              - Il professor Galuppi. Potete informarvi. Questo professore mi ha preso in disparte e mi ha detto senza reticenze che mia figlia aveva ne­cessità assoluta di prender marito. Ha detto « prender marito ». Significava che aveva necessità di un uomo, dell'amore. Altrimenti, ha detto il professore, non sarebbe vissuta a lungo. Capite la mia situazione? Che potevo fare? C'era da bat­ter la testa nel muro. E a poco a poco è sorta in me un'idea che giudicherete mostruosa. Ma non trovavo altra via di uscita. Comperarle, dato che non potevo comperarle un marito, comperarle un amante.

Il Giudice                        - Avevo intuito.

Attilio                              - Ho resistito a lungo a questa osses­sione che ogni giorno si faceva più lancinante. Si trattava della sua vita. E mi sono deciso. Chi po­tevo trovare? Un mascalzone, s'intende, che si vendesse, che si prestasse. A Como ho sentito parlare, per caso, di questo Fantelli. Sono riuscito ad avvicinarlo. Era anche un bell'uomo. Ah, la vergogna di quel colloquio.,.

Il Giudice                        - Immagino.

Attilio                              - No, non potete immaginare. Quando ho capito quel che io, un padre, gli chiedevo si è messo a ridere. Ho insistito. Ho fatto le mie of­ferte. Abbiamo trattato. Il mercato, l'orrendo mer­cato. Dopo, egli ha fatto quella romantica appa­rizione. Mia figlia vi avrà detto.

Il Giudice                        - Sì.

Attilio                              - Quella notte di burrasca ero anch'io alla finestra della mia stanza, nel buio, a spiare. Pensavo che forse essa si sarebbe ribellata, avreb­be gridato. No, signor giudice. Niente. Silenzio. E da quel giorno, con tremore, ma anche con una dolorosa gioia, ho veduto mia figlia rifiorire. La salute ritrovata. Un giorno si è messa perfino a cantare. Una primavera rinasceva in lei. Era ama­ta. Credeva di essere amata. Gli occhi le lampeg­giavano. Era diventata un'altra. Credetemi, signor giudice, pareva che fosse divenuta bella.

Il Giudice                        - Ma avreste dovuto pensare che tutto questo sarebbe finito male.

Attilio                              - Mi illudevo. Sapete di che mi illudevo? Che essa potesse avere un figlio.

Il Giudice                        - Uno scandalo.

Attilio                              - E che volete che mi importasse? Essa avrebbe avuto allora una ragione di vita nella maternità. Uno scandalo che sarebbe stata la sua salvezza. Ma non è accaduto niente. E' accaduto invece che quell'uomo ha cominciato ad aumen­tare sempre più le sue pretese. A volere denaro, più di quanto io potessi dargliene.

Il Giudice                        - C'era da aspettarselo.

Attilio                              - Aveva altre donne che gli costavano. E io, fin quando ho potuto, ho pagato. Ho pagato sempre. Ho fatto i debiti che sapete. Mi sono dis­sanguato. Ma quello non mollava. L'ultima volta pretendeva cinquecentomila lire.

Il Giudice                        - La pelliccia.

Attilio                              - Come?

Il Giudice                        - Niente.

Attilio                              - lo non le avevo. Non avevo nessuna possibilità di accontentarlo. Ho pregato. Ho sup­plicato. Niente. O quei soldi o avrebbe rivelato ad Anna la verità, il mercato. Capite? E questo l'avrebbe uccisa, lo so. Bisognava scegliere: o uc­cidere lei, mia figlia. 0 uccidere lui. Quando con un sogghigno mi ha detto che aveva potuto te­nere i suoi impegni con me unicamente perché baciava Anna al buio, senza vederla e che non avrebbe potuto farlo alla luce perché gli faceva schifo... questo di lei, della mia figliola, allora, signor giudice, ho sparato. L'ho ammazzato.

Il Giudice                        - (dopo una pausa) Pover'uomo!

Attilio                              - Non dite che sono un mostro?

Il Giudice                        - Siete un disgraziato.

Attilio                              - Signor giudice, ora che sapete, vi chiedo soltanto una cosa. Per questo mi son deciso a parlare. Che il mio processo si svolga a porte chiuse. Perché Anna non venga mai a conoscere la verità.

Il Giudice                        - Ma continuerà a odiarvi.

Attilio                              - Continuerà a credere di essere stata amata. Non capite che solo questo pensiero può consentirle di vivere? Io non chiedo altro. Mi odi pure ma continui ad illudersi.

Il Giudice                        - (alzandosi) Il processo si farà a porte chiuse.

Attilio                              - Grazie, signor giudice. Per me, mi diano pochi anni o tanti, oramai sono vecchio e comun­que non uscirò più. (Dopo una pausa) Chissà, Anna un figlio può ancora averlo.

Il Giudice                        - Da quell'uomo?

Attilio                              - Sarebbe sempre un figlio.

FINE