La birba

Stampa questo copione

la_bir_r.rtf

LA BIRBA

di Carlo Goldoni

Intermezzo di due parti per musica rappresentato per la prima volta in Venezia il carnovale dell'anno .

Personaggi

ORAZIO cavalier romano.

CECCHINA sua sorella.

LINDORA veneziana, moglie d'Orazio.

La Scena è in Venezia.


PARTE PRIMA

SCENA PRIMA

Orazio di casa, cacciato da quattro che poi affiggono su la porta un cartello, e partono.

ORAZ.              Piano, piano, signori,

Abbiate compassione D'un pover galantuomo. In camiscia restar sopra la strada Degg'io con questo freddo? Cotanta crudeltade in voi non credo. Andate alla malora. Ecco dove alla fin m'hanno ridotto Il giuoco rio, la crapula, i bagordi. Ma che dirà mia moglie Quando questo saprà? Pur troppo anch'essa Con le sue tante mode e tante gale Fu in gran parte cagion di questo male. Ma non vorrei al certo Ch'ella mi ritrovasse in questo stato; Vuò batter da Cecchina mia sorella. È ver che fuor di casa Per cagion di mia moglie io la cacciai, E che le consumai Quasi tutta la dote, Ma pur trovarla io spero, Per la forza del sangue, Ancor pietosa ad un fratel che langue. Ehi di casa. Cecchina.

SCENA SECONDA

Cecchina al balcone e detto.

CECC.

Siete voi, fratel mio?

ORAZ.

Sì, sorella, son io.

CECC.

In camiscia? perché?

ORAZ.

La mia disgrazia

Mi ridusse così.

CECC.

Come?

ORAZ.

Di casa

Per i debiti miei fui discacciato.

CECC.

Io non saprei che farvi.

ORAZ.

In questo stato


Non vi muovo a pietà?

CECC.

Me ne dispiace.

ORAZ.

Soccorretemi dunque.

CECC.

Andate in pace.

ORAZ.

Come? Sorella ingrata,

Così meco spietata?

Sapete quanto amor che vi portai.

CECC.

Io veramente il vostro amor provai

Quando mi discacciaste

Di casa sì vilmente,

E la mia dote riduceste in niente.

ORAZ.

(Ella ha ragion, ma voglio far il bravo).

Orsù, non tante ciarle;

Datemi da vestire, e se da uomo

Abiti non avete,

Datemi un qualche andrien, che tanto serve.

CECC.

Ma da una miserabile

Che vorreste voi mai?

ORAZ.

Orsù, Cecchina, ho pazientato assai.

O aprite questa porta,

O giù la getterò.

CECC.

Aspettate, fratel, ch'io l'aprirò.

(S'inganna, se m'aspetta;

Vuoto la casa e me ne fuggo in fretta).

ORAZ.

Ma una gondola giunge.

Sarà forse mia moglie. Oh questa è bella,

Che fuor di casa dovrà stare anch'ella.

SCENA TERZA

Lindora e detto.

LIND.

No la se incomoda,

Caro lustrissimo;

No, no certissimo,

Za son a casa,

Resti pur là.

ORAZ.

(Sempre da cavalieri ella è servita,

Ma adesso anco per lei sarà finita).

LIND.

Oe fermè, barcarioli,

Dè una siada indrio.

Sior marchese, l'aspetto

Stamattina a disnar.

ORAZ.

(Venga, venga, che avrà ben da mangiar).

LIND.

Sior Orazio in camisa, e su la strada?

Che? Seu deventà mato?

ORAZ.

Io già pazzo non son, ma disperato.


LIND. ORAZ.

LIND. ORAZ.

Come sarave a dir?

Guardate in alto, Quel cartello leggete. Qua dise: Casa d'affittar.

Ridete? Or sappiate che alfine i creditori M'han cacciato di casa;

LIND.

ORAZ.

LIND.

ORAZ.

LIND.

ORAZ.

LIND.

ORAZ.

LIND.

ORAZ.

} a LIND.

ORAZ.

LIND.

ORAZ. LIND.

I mobili s'han preso,
Colà entrar non si puole.
Oh povera Lindora,
Come songio ridotta?
Le vostre pompe e gale...
Quel ziogo maledetto...

II vostro praticar gran cavalieri...
El vostro morosar con questa e quella...
Vostro poco cervello...
Vostro poco giudizio...

È stata la cagion...

Xe sta el motivo...

due Del nostro precipizio.

Cosa mai si può far? Vi vuol pazienza. Inzegneve pur vu, za mi gh'ò in testa Una resoluzion bizzarra e presta. Mia sorella Cecchina, a cui palese Ho fatto il caso mio, Dovria darci soccorso.

Arecordeve Che senza de culìa mi voggio far, Se da fame credesse anca crepar.

Scuffia bon zorno, Andrien a spasso, Cerchi, ve lasso, No fe più per mi.

ORAZ.              Anch'io penso di farne una assai bella,

Ma non viene e mi burla la sorella. Or è meglio ch'io parta, Che se qualcun mi vede in questa guisa, Creperà certamente dalle risa.

Io sembro di quelli Che a mezzo l'estate Si vedono snelli Giocare al pallon.

Ma tremo dal freddo; Ingrata Cecchina, Non v'è compassion.


LIND.                Alfin son arrivada

A cantar canzonette in sulla strada.

Vaga pur co la sa andar,

Anca cussì se vive e se sbabazza,

Che de zente da ben piena è la piazza.

Orsù, demo prencipio:

Sentì sta canzonetta

Niova de sto paese,

Che una sol volta l'ha cantada Agnese.

Quando vedo in zamberlucco Donna Catte e donna Betta, Me vien squasi el mal mazzucco A pensar che mi nol gh'ò.

Ma se posso mel vôi far, Gh'ò un bon terno, el vôi zogar, Trenta soldi rischierò.

E chi la vuol la costa un soldo solo.

Vago una volta attorno,

E a chi me dà un soldetto,

Darghe la so resposta anca prometto.
ORAZ.              Chi chi chi vuo vuo vuol vevevedere

A bababallallar i cacacani.
LIND.                Varè qua un'altra birba.

ORAZ.              Preprestosto mamangiagia frefredo,

Fa fa fa un saltototo per la vecchia.
LIND.                Oh questo ghe mancava

Per levar dal mio bozzolo la zente.

Che tartaggia insolente!

ORAZ.

Tutto il giorno la lavora, lavora,

Be benedetto sia il lavorare,

Tutto il giorno affafafaticare

E la sera papapan e cipolla.

LIND.

Son za stuffa morbada,

Nol vôi più sopportar. Oe galantomo,

Questa no xe la forma

De vogarme sul remo.

ORAZ.

Che che dite?

LIND.

Digo cussì, che con i vostri cani

Vu me desfè el mio treppo.

ORAZ.

La piapiazza è cocomune.

LIND.

Sior sì, ma el posto è mio.

ORAZ.

Poposso posteteteggiar anch'io.

LIND.

E mi digo che vôi che andè lontan,

Perché se no dopererò le man.

ORAZ.

Non fa fate la matta,

Peperché adopreprerò anchichich'io


Il bababastostone.

LIND.

Vorave veder questa!

SCENA QUARTA

Cecchina e detti.

CECC.

Olà fermev;

Disì, che diavol fev?

LIND.

Sto tartaggia insolente

Con i so cani m'ha levà la zente.

ORAZ.

Ella è una bubugiarda.

CECC.

E no v'avergugnè

In piazza a taccar lit?

Più tost che circulant,

Me parì du birbant.

ORAZ.

Didite bene:

Cocolei è una che che non sa nulla,

Più più ignorante dedella baulla.

LIND.

E vu, siora, chi seu?

CECC.

No vediv? Urtadora;

E sì a son da Bulogna.

LIND.

Steme lontan, no me tacchè la rogna.

CECC.

Se chi son saver volì,

Vel dirò, steme ascultar.

Basta ben che non ridì

Nel sentirm a rasonar.

La mi mama fu Menghina,

Mi papà Bartolamiè;

I vendean la porcelina

Alla Tor di Asiniè.

ORAZ.

(Oh quanto agli occhi miei

Va piacendo costei!)

LIND.

No me despiase

Sta vostra profession.

CECC.

S'av cuntintè

Farem, com se sol dir, tra nu de balla.

LIND.

Come sarave a dir?

ORAZ.

Che cocalona!

CECC.

El zergh non intendì? Farem de balla

Vul dir che s'unirem tutti trì assiem.

Spartirem el vadagn,

E goderem el mond ai spal del gonz.

Za sem de quella razza,

Che per no lavorar batte la piazza.

LIND.

Per mi son contentissima. (In sta forma


Nell'arte del birbar sarò perfetta).
ORAZ.              Anchichichch'io mi contento.

(Già per costei ardere il cor mi sento).
CECC.               (Così costoro mi faran le spese,

Fin che possa tornar al mio paese).
LIND.                Orsù via scomenzemo,

Vôi che tutta la zente a nu tiremo.

Cari signori, vi voglio pregare, Questo sarà per vostra cortesia, Tutti d'accordo volerme ascoltare Se avè voggia de star in allegria.

ORAZ.

Ma l'ora si fa tarda

E qui non viene alcuno;

Meglio è che ce ne andiamo all'osteria

A stabilir la nostra compagnia.

LIND.

Come? No tartaggiè?

ORAZ.

Oibò, pensate!

È questa una finzione, acciò che il popolo

Di me piacer si prenda,

E con più gusto il suo danaro ei spenda.

LIND.

Oh cossa séntio mai?

CECC.

Se voi credete

Che bolognese io sia,

V'ingannate, signori, in fede mia;

Per celarmi qual sono,

In un linguaggio forastier ragiono.

LIND.

Poderavio saver con verità

Chi sè? Za semo tutti d'una lega.

ORAZ.

Io sono Orazio, cavalier romano.

CECC.

Io son Cecchina, giovine romana.

LIND.

E mi che son Lindora veneziana,

Ve mando a far squartar.

Ti ti xe mio mario,

E ti quella pettegola sfazzada

Cecchina mia cugnada.

CECC.

Orazio voi!

ORAZ.

Cecchina tu?

CECC. ORAZ.

} a due                                         Che vedo!

ORAZ.

Ma come in questi panni,

E a far questo mestier ti sei ridotta?

CECC.

Da voi perseguitata,

Deliberai fuggir.

ORAZ.

Or che far pensi?

CECC.

Eh via ch'io questi conti

Non rendo ad un fratello

Che ha nella testa sua poco cervello.

ORAZ.

E voi siete Lindora?


} a due a tre

a tre

LIND.

ORAZ.

LIND.

ORAZ. CECC.

a tre

LIND.

ORAZ.

CECC.

LIND.

ORAZ. } a tre CECC. LIND.

ORAZ. CECC.

LIND.

LIND.

CECC.

ORAZ.

LIND.

ORAZ. } a tre CECC.


Son quella apponto, cara la mia zogia. Volete star con me?

Va pur al bogia.

Sì, furbazzo, son Lindora: No te voggio, va in malora. Basta quel che ti m'ha fatto. No, no, no, non son sì matto. Io non voglio star con voi. Ognun tenda a' fatti suoi. Mi viverò cantando.

10pure tartagliando. Ed io cavando macchie

11mondo goderò.

E viva la birba, E chi l'inventò.

Se mai più ti me trovassi,

No me star gnanca a vardar. Se mai più tu mi incontrassi,

Guarda bene a non parlar.

No sicuro.

Velo zuro.

Ognun tenda al suo mestier.

Chi vuol canzon novelle?

Chi vuol terra per le macchie?

Chichichi vuol vevedere

Babalar i cacacani? Vi protesto

Che sempre dirò:

E viva la birba

E chi l'inventò.


PARTE SECONDA

SCENA PRIMA

Cecchina da orbetta.

Via, con l'orbetta Siè generosi, Mostreve pietosi No me abbandonè.

Chi me dà un soldo?

Chi me dà un bezzo?

Qualcossa buttè.

O poveretta mi, xe più d'un'ora

Che stago a chiappar freddo,

E 'l primo soldo non ho visto ancora.

(M'affatico a parlar in veneziano,

Che un tal mestier non fa perfettamente

Chi la favella ed il vestir non mente.

L'arte di cavamacchie

M'è andata male assai,

Onde quest'imparai

Nuovo mestier da certa vecchiarella

Che con simil finzion vive ancor ella.

In fatti mi contento. In pochi giorni

M'avanzai tal dinaro,

Che alle miserie mie può far riparo.

Oh se mi capitasse

Un qualche buon partito,

Vorrei pigliar marito, e benché fosse

Molto inferiore alli natali miei,

Senza riguardo alcun lo piglierei).

SCENA SECONDA

Orazio e detta.

ORAZ.              Fate la caretate

A chisso pover'ommo

Ch'è tutto sgangherato

Nelle gambe, e le braccia stroppeato.

Datemi no carlino,

Che canteraggio na canzuna bella

Napoletana sopra na citella.


Bella figliama, se bolete, Ve daraggio lo mio core; Songo tutto, già lo sapete, Arso strutto pe' vostr' amore. Lo mio core solo desia Che voi siate consorte mia.

Anemo, via segnuri,

Na lemosena fate. (Oh che bel volto!

Da una cieca gentil lo stroppio è colto).
CECC.               Alla povera orbina

Chi fa la carità?
ORAZ.                                         (In questo stato

Costei rassembra il cieco Dio bendato).
CECC.               (Questo stroppio mi viene

A dimezzar la preda.)
ORAZ.              Bella figliuola mia, dimme no poco,

Sei de chisso paese?
CECC.               Veneziana, sior sì.

ORAZ.                                             (Com'è cortese!)

Sei zita, o maretata?
CECC.               So una povera putta.

ORAZ.              Perché no te marite?

CECC.               Perché per mia desgrazia no ghe vedo.

ORAZ.              Se bè che no ce vide,

Se te vuoi maretà te piglieraggio.
CECC.               Ma vu no seu stroppià?

ORAZ.                                                     Siente, fegliola,

No secreto t'affido, ma sta zitta.

Io non songo stroppeato,

Ma chissa è na fenziune

Pe ingannà le persune.

Se no lo cride, aspetta: in un momento

Io jetto le stampelle, e san deviento.
CECC.               Oh cossa séntio mai!

ORAZ.              E per narrarti il tutto,

Non son napolitano,

Ma son figliuol d'un galantuom romano.
CECC.               Vu sè donca una birba?

ORAZ.                                                     In questo modo

Cento scudi avanzati ho nel taschino;

Se voi vi contentate,

Sarò vostro marito.

Ah se voi mi vedeste,

So certo che di me vi invogliereste.
CECC.               Per dirvela, signore,

Io già cieca non sono,

Ma fingo come voi.
ORAZ.                                               Ciel, ti ringrazio!

Mi vedete voi dunque?


CECC.

Io vi vedo benissimo.

ORAZ.

Volete esser mia sposa?

CECC.

Io son contenta. Ma...

ORAZ.

Che ma?

CECC.

Quel volto

Sì sporco, e quel vestito da birbante...

ORAZ.

Eh, mi vedrete poi bello e galante.

CECC.

Io non voglio più far vita sì trista.

Di già ch'ho la mia vista

E voi stroppio non siete,

Qualche miglior mestier vuò che facciamo,

E che il mondo godiamo.

Anch'io tengo una borsa di denari;

L'impiegheremo assieme.

Voglio che ci vestiam da cortigiani.

ORAZ.

E poi dopo faremo i ciarlatani.

SCENA TERZA

Lindora e detti.

LIND.

(Di dentro) Chi ha drappi vecchi,

Chi ha veste vecchie,

Chi ha coridoro vecchi

Da vender?

ORAZ.

È questi un strazzaruolo:

Uno che compra e vende li vestiti;

Comperarne vorrei, s'egli l'avesse,

Un per voi, un per me.

CECC.

Giove il volesse!

LIND.

Chi ha capei vecchi,

Chi ha rami vecchi

Da vender?

ORAZ.

Caro amico...

LIND.

Andè in pase,

Che mi no gh'ò monea.

ORAZ.

Io già la carità non vi chiedea.

Ditemi, avreste niente

Che m'andasse alla vita?

LIND.

Son strazzariol, ma mi no vendo strazze.

ORAZ.

Ed io straccie non compro.

Un abito vogl'io da cavaliere.

CECC.

Ed io da gentildonna uno ne voglio.

LIND.

Varè che musi! Dove gh'aveu i bezzi?

ORAZ.

Questi qui sono scudi.


CECC.               E questi son zecchini.

LIND.               Quando la xe cussì, gh'avè rason.

Ve mostro un per de cai, ma su la giusta.

Vardè sto abito intiero,

El xe niovo de pezza,

Fatto all'ultima moda,

E su la vostra vita el par tagiao;

Si lo volè, vel dago a bon marcao.
ORAZ.              Questo saria a proposito.

Quanto costa? Non dite uno sproposito.
LIND.               A pian, che vôi che femo un sol contratto.

Sto andrien per sta patrona

Saria giusto una mana,

Ela lo pol portar senza sottana.
CECC.               E questo quanto val?

LIND.                                                  Poche parole

Vôi che femo tra nu:

Cento ducati in tutto.

CECC.

a due                                     Uh uh uh uh!

ORAZ.

LIND.               Via, no ve fe paura,

Me remetto alle cosse del dover.
ORAZ.              Vi do cinquanta scudi.

LIND.                                                    In ogni forma

Voi che restè contento:

Tiolè la roba, e deme i bezzi.
ORAZ.                                                              In questa

Borsa sono, contate.
LIND.                                                 In t'una occhiada

Ve so dir se i xe giusti.
ORAZ.              Andiamo all'osteria

Dove alcun'altra bagattella io tengo

Adattata al bisogno. Indi alla Piazza

Andremo immantinente,

E faremo stupir tutta la gente.
CECC.               Andiamo, che ancor io

Mi voglio porre in buona positura,

E in Piazza voglio far la mia figura. (partono)

SCENA QUARTA

Lindora sola.

Chi l'averave dito

Che do pitochi avesse tanti bezzi?

Cussì anca mi, cantando canzonette,

Ò fatto quattro soldi,

E me son messa a far sto bon mistier,


Con el qual delle volte, in un momento,

Se ghe pol vadagnar cento per cento.

Però sto capital tutto no è mio.

Che no gh'ò tanto al mondo;

E sti abiti stessi

Che in sto ponto ho vendui,

In credenza i ò abui,

Come saver se puol

Da quel mio sior compare strazzariol.

Da omo m'ò vestio

Perché se mio mario

Me cognoscesse, gh'averia paura

Che despoggiada resteria a drettura.

Benché, quando ghe penso.

Me vien da pianzer. Povero mario,

El sarà andà de mal;

El sarà in sepoltura, o all'ospeal.

Questo è el solito fin de chi vol far,

Come che se sol dir, d'ogni erba un fasso:

Perché chi no mesura

El voler col poder, puoco la dura.

Quanti quanti paregini

Tutti gala e tutti mina,

Dopo aver fenio i zecchini,

A magnar la polentina

Xe redotti ai nostri dì! Se sguazza, se gode,

Se osserva le mode,

E zo a tombolon

Co no se pol pì.

Ma cossa védio mai?

L'abito che ho venduo, lo vedo adosso

De Orazio mio mario.

Lu è quel che l'ha comprà, lu xe el pitocco,

E Cecchina sarà forsi culìa.

Me voggio retirar,

E in desparte ascoltar vôi quel che i dise.

Orazio xe alla fin le mie raìse. (si ritira)

SCENA ULTIMA Orazio, Cecchina e detta ritirata.

ORAZ.              Cara Cecchina mia, giacché la sorte

Ci fa trovare assieme, Stiamoci in buona pace.


CECC.               Signor fratello mio, quel che vi piace.

Di venire con voi non mi ritiro,

E vi starò lieta e contenta ognora,

Purché assieme con voi non sia Lindora.
LIND.               (Sentì che petulante!)

ORAZ.                                                  Eh non temete,

Alla moglie scacciata io più non penso:

Vadi pur a cantar le canzonette.
LIND.               (Che razze maledette!)

ORAZ.              Ce la farem tra noi, cara sorella.

LIND.               (Adess'adesso ghe la vôi far bella).

ORAZ.              Orsù, montiamo in banco:

Voi col cantar il popolo attraete;

Ed io, come sapete,

Venderò quel vital contraveleno

Ch'io già composi di farina gialla,

Miele, vitriolo e galla,

Ch'è quel composto che si vende a macca

Dai ciarlatani, in nome di teriaca.
CECC.               Quanto rider io voglio!

ORAZ.                                                    Andiamo al banco;

Se capitasse un qualche fazzoletto

Che fosse buono assai,

Mettetelo in saccoccia,

E a chi ve lo cercasse poi, direte

Ch'egli si è perso, ed altro non sapete.

Su via, signora Olimpia, a sti signori

Diamo divertimento.

Oggi non parlo di medicamento.

CECC.                          Che bella vita è quella dei birbanti:

Si gode il mondo a spalle dei baggiani. Si mangia e beve senza aver contanti, Ed oggi non si pensa per dimani. (canta)

ORAZ.              Adess'adesso canteremo il resto.

Signori, in questo giorno D'interesse non parlo. Questo è l'arcano mio: chi vuol comprarlo? Costa un ducato al vaso, Ma viva lor signori, Più resister non posso; Vi do per dieci soldi il vaso grosso. A che serve? A che vale? Eccovi la ricetta: Vivifica, purifica,

Fa buona pelle, scalda, scaccia e sana Ferite, maccature, Botte, percosse, calci di cavallo. È buon per tutti i mali,


E con celerità guarisce i calli.
Quelli che son vicin, lunghin la mano;
Chi è da lontan, mi getti il fazzoletto.
Signori, io vi prometto
Che sarete contenti.
Oltre l'altre virtudi, io cavo i denti
A suon di campanello,
Meglio che non faceva il Padoanello.
LIND.               Siori, no ghe credè, che 'l xe un furbazzo;

Credeme a mi, son vostro patrioto, Mi son a tutti noto,

Gh'ò posto in Piazza, e gh'ò bottega vecchia, E cavo denti meggio de Scarnecchia. Da tutti i forestieri Ch'el mio valor contrasta, Me defendo col nome, e tanto basta.

El mio balsamo è perfetto, El fa sempre bon effetto: Torototò, tirititì, Purrichinella che dise de sì.

ORAZ.              E chi è quel temerario

Che ardisce tanto?
LIND.                                              Tasi, che debotto

Sbianchisso i petoloni.
CECC.                                                    Che arrogante!

Sfidatelo a pigliar qualche veleno.
ORAZ.              Briccone, ad un mio pari

Si parla in tal maniera?

Ho il privilegio del gran Can de' Tartari,

E il mio saper profondo

Già mi rese famoso a tutto il mondo.
LIND.               Di' pur quel che ti vuol, mi te cognosso.

Siori, saveu chi l'è? L'è un tal Orazio,

Che xe vegnuo da Roma

Dopo aver consumada ogni sostanza,

Dopo aver maltrattada so muggier.

Con culìa, che è Cecchina so sorella,

Va caminando el mondo,

E facendo el mistier del vagabondo.
CECC.               (Oimè, siamo scoperti!)

ORAZ.              È un mendace costui, nessun gli creda.

LIND.               Acciò che tutti veda

Che quel che digo xe la verità,

Mi son Lindora; mi son to muggier.

ORAZ. CECC.

}a due Oh oh, che sento mai!

LIND.                Mi son quella, furbazzo,

Che t'ha vendù quei abiti


CECC.

LIND.

ORAZ. CECC. LIND. ORAZ.

LIND.

CECC.

ORAZ.

LIND.

CECC.

ORAZ.

LIND.

CECC.

ORAZ.

LIND.

CECC.

ORAZ.

LIND.

CECC.

LIND.

CECC.

ORAZ.

LIND.

CECC.

ORAZ.

LIND.

CECC.

ORAZ.

LIND.

CECC.

LIND.

CECC.

ORAZ.

CECC.

LIND.


}a tre

}a due

}a due

}a due

}a due


Co ti finzevi d'esser un pitocco, E quella scagazzera... A me questo? Guidona, Aspettami che vengo. Vien pur, che za t'aspetto. Te vôi maccar el muso. Presto, presto, fermate. Eccomi.

Vien avanti. Vi fate svergognar dagli ascoltanti.

Questo qua xe mio mario. Egli è ancora fratel mio. Tutte due ragione avete.

Che volete? Che ti vegni a star con mi. Che tu resti voglio qui.

La volete

Lavolemio      } maifinir?

La vogliamo Meglio è dunque, donne care,

Che torniamo in compagnia.

Con culìa no voggio

} star. Con colei non voglio

Dunque addio.

Lasciatemi andar. Oe fermève.

Non partite.

Senza vu non voggio

} star. Senza voi non voglio

O aggiustatela fra voi,

O vi lascio tutte due. Mi vôi esser la patrona. Ancor io vuò comandar. Faremo così,

Un giorno per una.

Vi basta?

Sì, sì.

Cara consorte... Marito bello... Dolce fratello... Mi sento tornare La pace nel sen. Andiamo.

Vi sieguo. Son vostra muggier.

TUTTI Così il mondo camminando,


Diremo cantando

Che la Birba è un bel mestier.

Fine dell'Intermezzo.