La bon’anima

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di UGO PALMERINI

PERSONAGGI


STEFANO BALESTRI

MARIANNA, la moglie

ELISA, la figlia

FILOMENA, la domestica

CARLO CORRADI, il nipote

ARISTIDE SPERANZI, un amico

ZAIRA, moglie dell’amico

SANTINA, la figlia del fattore

ANGIOLINA,sorella di Santina

LEONIERO BARSOTTI,


MARIO MARINI PAOLA CAMICI OMBRETTA LARGUINI MARINA MESCHINI LUCA CROCIANI MASSIMO MEUCCI CINZIA ALPINI PAOLA NOCENTINI AURORA BUTINI GIANFRANCO MESINA


In una villa nel Mugello nell’autunno del 1922.


ATTO PRIMO

Il salotto da desinare nella villa di Stefano. Nel fondo un’ampia porta a vetri che immette nel giardi-no; una porta a destra, due a sinistra. Mobili semplici da campagna e, su questi, sparse qua e là, numerose fotografie del defunto marito di Elisa. Davanti alle fotografie, piccoli vasi con fiori recisi. Nella parete di fondo, un grande ritratto a olio del marito. Una tavola da pranzo con alcune sedie in-torno, un divano, una credenza; gli altri mobili a piacere.

Scena I

Filomena e Santina

SANTINA       (entra svelta dal fondo con in mano un annaffiatoio, un fascio di fiori freschi e di verdu-ra, chiamando forte) Sora Filomena! (e dopo una breve pausa ancora più forte) O soraFilomena!.

FILOMENA (entrando quasi subito da sinistra) Eccomi eccomi, accidempol’a i bociare! Eppure te l’ho detto mille volte che la signora la s’è rammaricata che tu’ fa troppo buscherio quando tu sé pe’ la casa. Tu lo sa’, benedett’ ì Signore, che l’è venuta appositamente a stabilirsi in campagna, dopo la disgrazia di su’ marito, bon’anima, perché l’ha bisogno di calma e di quiete; e te par che tu lo faccia pe’ dispetto.

SANTINA    Sie… pe’ dispetto! … Intanto, si principia co’ i’ dire che ora la signora la un c’è.

FILOMENA ‘Unne ’mporta; te lo dico, perché tu t’ abitui.

SANTINA       ( con una mezza spallata) Sì, ho capito, mi ci abituerò. (indicando l’innaffiatoio che ha deposto per terra e porgendo il fascio dei fiori alla Filomena) Allora… questa l’è l’acquae questi son i fiori.

FILOMENA (prendendo i fiori) Come?! Codesti pochini?

SANTINA    Pochini? Ma icchè la crede che i giardino qui sia diventato quello di Boboli? Tutte le mattine un mazzo pe’ la casa, un altro me ne fa coglier la signora pe’ portarlo a i’ cam-posanto… Un’ ci rimarrà nemmen le foglie, tra poco…

FILOMENA E vol dir che si compreranno da i’ giardiniere di’ conte, da qui ‘nnanzi.

SANTINA    Pe’ forza! Però, a me, mi pare che un’ ci sarebbe mica bisogno tutti i giorni... La ‘un ve-de, costì, son sempre freschi quelli di ieri?

FILOMENA No, no; la signora la vòl che tutti i giorni gli sian mutati, e la fa bene. E gli piacevan tan-to i fiori, poro padrone…( e così dicendo si pone a spartire i fiori del mazzo che prece-

dentemente avrà deposto sulla tavola)

SANTINA    (Non vista scuotendo la testa) Mah!...(e poi come per andarsene) Allora se la ‘un vol al-tro…

FILOMENA O che ha’ da fare ni’ podere?

SANTINA    Perché?

FILOMENA Perché, se no, tu mi potei dar una mano; per l'appunto, stamani, ho fatto tardi. SANTINA I’ ho da fa’ l’erba pe’ le bestie; ma, se si tratta d’una cosina alla svelta…

FILOMENA Un lampo!( e poi indicando a Santina i vasi dinanzi alle fotografie) Guarda: tu pigli tutti questi vasini, uno pe’ volta – ma attenta a’ nun li rompere, ‘nteso? – tu ci levi di dentro i

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fiori vecchi, e tu li butti ‘n giardino dietro la siepe; poi tu gli muti l’acqua, e io penso a rimetterci dentro que’ freschi.

(Santina prende un vasetto dinanzi a delle fotografie, va un po’ oltre il limite della vetra-ta di fondo, in modo però da essere scorta dal pubblico, getta via i fiori e l’acqua del giorno avanti e poi riempie coll’innaffiatoio il vasetto stesso che quindi viene a deporre sulla tavola. Filomena intanto sceglie nel fascio alcuni fiori e ne fa un piccolo mazzo che poi dispone nel vaso. Santina torna a ripetere con altri vasi, la propria operazione e Filomena fa altrettanto)

SANTINA       (che nel venir a prendere un vasetto è restata colpita da una delle fotografie) O sora Filomena!

FILOMENA Icchè?

SANTINA    O questo che è qui de’ ritratti? … Chi gli è?

FILOMENA Quale? Ahn! Codesto gli è un ingrandimento che l’ha fatto far a questi giorni la signora. Costì, vedi, gli avea quattr’anni, poro padrone; e codesti pantaloncini che gli ha ‘ndosso gliene cucì io. E ‘ furon i primi che si messe quand’e si levò le sottanine. E’ bisognaa vederlo – e’ mi par come fosse ora – i’ giorno che li rinnovò! Come ‘gli era contento! “ Tatina! Tatina!” E’ mi chiamaa “Tatina”. E lì a abbracciarmi e baciarmi!... Perché lui, fin da piccino, e’ m’ha sempre voluto bene com’ a una mamma! Eh! Are’ potuto seguitar a starmene contenta e tranquilla, se un fosse successo icchè gli è successo, e’nvece, e’ mi ritrovo, nella mi’ vecchiaia…

SANTINA    Uhm! La ‘un si pole mica rammaricare; perché anche ‘n questa casa la ‘un ci sta male dicerto!

FILOMENA Sta’ zitta! Già, se ‘un fosse stato pe’ via di nun lasciar la signora, quando, dopo la di-grazia, la si ritirò co’ su’ genitori – perché lei l’è un angiolo e la merita qualunque sacri-fizio – t’un ce l’avresti vista la Filomena tra queste mura; perché me lo figuravo che co’ i’ su’ babbo ‘un si potea andar d’accordo. ‘Un ci va d’accordo la su’ figliola… e ‘un ci andaa d’accordo neanche lui, bon’anima…

SANTINA    Ora però, siam giusti: i’ ‘un so… ma, n’certe cose, ‘un gli si pol mica da’ tutti i torti a i’

mi’ padrone, poer’omo.

FILOMENA Come dire?

SANTINA    O che gli par una bell’idea, com’essere, quella della signora di voler passar un’altra in-

vernata quassù n’ campagna?

FILOMENA Senti, oh! O la ‘un se l’è fatta comprar appositamente la villa pe’ starci sempre e poter esser vicina alla tomba di’ su’ marito?

SANTINA    Bah! Tutti i gusti e’ son gusti. Gli è proprio vero, sa, che, a questo mondo, chi gli’ ha la

sacca ‘unn’ ha i’ grano!

FILOMENA Cioè?

SANTINA    Intendo dire che chi si pol goder la vita la ‘un se la gode.

FILOMENA (con risentimento) O icchè tu vo’ che la goda, disgraziata?!

SANTINA    Oh, po’ alla fine, ‘gli quasi un anno che s’è ammazzato. E ce n’è tante delle vedove che dop’un anno l’hanno bell’e ripreso marito.

FILOMENA Secondo i mariti che s’è avuto. E un marito come l’ha avuto lei ‘un si ritrova a girar tutt’i mondo.


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SANTINA    Oh!... o la senta, veh, che glien’ho a dire? A me, almeno pe’ icchè gli è dato giudicar da’ ritratti, è mi sembra che ‘un fosse né giovane né bello.

FILOMENA (risentita) Icchè le contan le bellezze? … Ma gli era un omo di talento però, un’omo ‘struito come ce n’è pochi, un’omo che gli avea un core così. ‘Unne rinasce più degli omini ‘n quella maniera! Già, ‘gli era un angiolo, quello, gli era un santo, un’era fatto pe’ questa terra, e però… (si asciuga una lacrima).

SANTINA    Gnamo… coraggio, sora Filomena; tanto co’ i piangere un si rimedia nulla.

FILOMENA Eh purtroppo; ma mi ci vole, ogni tanto, un po’ di sfogo. (torna ad asciugarsi gli occhi; e poi giacché Santina ha finito di riempir d’acqua tutti i vasetti) Va’ vai; tu po’ andare; unn’ho bisogno d’altro.

SANTINA       (prendendo l’annaffiatoio) Allora arrivederla.

FILOMENA Addio e grazie.

SANTINA    E, su, allegra! (e poi da sé mentre si avvia per uscire dal fondo) Uh! Che casa, poerini, pe’ fa venir l’uggia! (via dal fondo e poi appena varcata la soglia della stanza intona a piena voce uno stornello) “è primavera…”

FILOMENA (si precipita di corsa verso la porta di fondo, gridandole dietro, sul limitare) Zitta! Se l’arriva la signora e la sente cantare…

SCENA II

Filomena e Stefano

STEFANO     (di dentro chiamando) Filomena!

FILOMENA (che intanto è tornata ad accudire ai  suoi fiori)  Ecco Votacervelli! (non risponde)

STEFANO   Filomena! Elisa! Marianna! (Entra come un bolide dal fondo, vestito in abito molto chia-ro. Ha il cappello a sghimbescio gli abiti scomposti e una mano fasciata con un fazzo-letto, mentre nell’altra reca una grossa pezzuola a colori rigonfia di roba)

FILOMENA Son qua, icchè c’è?

STEFANO   Lesta!..Un po’ di sublimato, una fascia, qualcosa! … Presto, perdio! (depone l’involto

sulla tavola)

FILOMENA (con tutta la calma e senza muoversi) Pe’ farn’icchè?

STEFANO   Un accidente! Smovetevi, mondo birbone! (e poi mostrando la mano fasciata) V’un ve-dete come mi son ridotto? E ringraziare Dio che l’è andata così; chè mi potevo esser tribbiato l’osso di collo, accident’ a questo laido paese e a chi ce l’ha piantato quassù!

FILOMENA (che intanto, con molta flemma, ha preso una sedia e vi è salita per togliere da sopra la credenza la bottiglia di sublimato) E’ mi parea ‘mpossibile che la ‘un se l’avesse a rifà

co’ i posto (scende dalla sedia, porge la bottiglia a Stefano, senza nemmeno curarci di esaminargli la mano, e torna ancora alla sua occupazione)

STEFANO   (mentre sta versandosi il sublimato sulla mano) Co’ i posto sicuro, con questo ‘nfame e ‘ndecente paese; proprio co’ i posto me la rifò; perché ‘n qualunqu’altra parte di mondo fossi stato, unn’avre’ avuto bisogno, per ammazzar la noia, d’andar a cercar funghi, e un sarè andato a finir a capofitto ‘n un burrone! A cercar funghi, già, mondo ciuco! V’un lo capite voi, eh, icchè vol dire quand’un omo di sessant’anni e si riduce a andar pe’ boschi a cercar funghi? E vol dir che quest’omo ‘unne pol più, che gli è all’ultima dispe-


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razione e che s’attacca a’ rasoi per veder d’ unn’ ammattir anche lui come tutti quelli che gli stanno d’intorno: come la moglie, come la figliola, come la serva…

FILOMENA Sie! … s’arebbe a esser noi le pazze!

STEFANO   Pazze! Pazze tutte da legare! Perché chi va contro la natura delle cose unn’è che un pazzo. Un s’è ma’ visto, perdio, l’è una cosa che la unne sta né ‘n cielo né ‘n terra che, perché a uno gli è saltat’i ticchio di levarsi da ì mondo, tutt’una famiglia la s’abbia a re-legar da ì consorzio civile a gemere ‘n eterno ‘n cima a una montagna, anche ammesso che ì morto e’ meriti d’esser pianto! Come se tutti, una volta o l’altra, unn s’avess’ a mo-rire! Se tutta la gente, quando gli more qualcheduno, la dovesse far a questa maniera, i mondo icchè sarebbe? E’ sarebbe tutt’un convento di persone co’ lucciconi agli occhi, e pe’ passeggiar le strade, ‘nvece dell’automobile e ci vorrebb’ ì motoscafo, perché s’andrebb’ a mezza gamba nelle lacrime! (e poi) O la fascia? Su, su; alla svelta, una fascia, un po’ di cotone, qualcosa…

FILOMENA Eh!... La lea di sentimento!  (e così dicendo, va a togliere da una cassetta d’un qualsia-

si dei mobili una fascia e un pacchetto di cotone idrofilo che poi porge a Stefano) Eccoogni cosa!

STEFANO     Ohe!

FILOMENA Icchè?

STEFANO     O che m’ho a fasciar da me?

FILOMENA Auff! (e poiché Stefano le porge la mano perché gliela fasci, scorgendo la ferita) Pheu!

Già più minchiona io a dargli retta!

STEFANO   Come sarebb’a dire?

FILOMENA Ma icchè la vol fasciar costì? Una sbucciatura che la un si vede nemmeno! (e così di-cendo torna e riporre fascia e cotone)

STEFANO     O v’un vedete mi son portato via tutta la pelle?

FILOMENA Sie! E po’ la unn’ ha detto che, tanto, una volta s’ha a morire? (e torna ai propri fiori)

STEFANO   Stiantate voi! Così v’avret’ ì bene d’andar a raggiunger i’ vostro padrone. Io, no, vo’ campar dell’altro, mi vo’ goder la vita più che posso: a dispetto vostro e di tutti e spe-cialmente di chi ( e così dicendo accenna il ritratto a olio appesa alla parete di fondo) e’ s’augurava, quando gli era vivo, di vedermi crepare pe’ pagar i chiodi coll’eredità.

FILOMENA Ma un gli vien ma’ sete?

STEFANO   No; i’ ho fame, ‘nvece. Gli è mezzogiorno tra poco, e ancora, v’unn’avete nemmen prin-cipiato a apparecchiare. Via, via! Alla svelta! Smettete di gingillarvi costì.

FILOMENA Secondo me, l’ha che allungar i’ collo, stamattina! Le signore le son ite a i’ cimitero e l’hanno detto che le un sapevan a che ora le sarebban tornate; perché oggi e’ c’è gli omini a metter a posto i’ busto!

STEFANO   Icchè gli mettono a posto?

FILOMENA (commossa) Il busto.

STEFANO     Portava i busto? Non lo sapevo mica.

FILOMENA Ma no! Lassù a i cimitero.

STEFANO   Ah! A i cimitero gli mettono i busto…Tanto piacere! Mangerò solo! (e poi prendendo l’involto che aveva deposto sulla tavola) Tenete: pigliate questi funghi e friggeteli inquattro balletti.


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FILOMENA Ora i’ ho da finir qui…

STEFANO   Macchè finir un corno! Prima le cose necessarie, mondo ladro! L’è doventata una ver-gogna questa casa. Un c’è più ora di colazione, ora di desinare, ora di nulla… nessun s’occupa più d’un accidente, all’infori de’ morti. Ah, ma l’ha esser finita questa anarchia; perché ne son stufo, pieno fino alla punta de’ capelli! (e poi subito in tono risoluto alla Filomena) Via, via! In cucina! (e così dicendo la prende per un braccio e le mette in mano il fagotto dei funghi). Avanti! Senza ripetere! (e la caccia fuori dalla porta di de-

stra senza che quella abbia nemmeno il tempo di replicare).

SCENA III

Stefano, Elisa, Marianna, Aristide, Zaira

STEFANO      (tornando sui propri passi)              O guardiamo un po’ se comincia no a contar qualcosa

anch’i vivi! (e va presso la credenza, ne toglie tovaglia e tovaglioli e incomincia ad ap-parecchiare la tavola)

Di li a poco, Elisa a Zaira, seguite da Marianna ed Aristide appariscono sulla porta di fondo. Elisa molto accasciata nel lutto più severo; Marianna, Aristide e Zaira in nero; quest’ultima elegantissima. Tutti con aspetto molto triste

ZAIRA               (all’Elisa colla quale entra a braccetto, precedendo gli altri) Coraggio, coraggio cara! (e indi a Stefano salutando) Cavaliere!...

STEFANO (con una mossa di dispetto e seccamente) Bongiorno! (e continua nella sua faccenda) ARISTIDE (che intanto è entrato insieme con Marianna) Cavaliere bongiorno!...

STEFANO     (brusco) Bongiorn’a lei! ( e torna presso la credenza per trarne stoviglie e bicchieri)

Elisa, che intanto si è tolta il cappello con lunghi veli vedovili, gettandolo sopra una sedia, si abbatte accasciatissima sul divano ed emette un profondo sospiro. Marianna che pure si è tolta il cappello e lo ha deposto vicino a quello della figlia, rivolge a questa uno sguardo pietoso e sospira anch’essa fortemente; poi guarda Aristide e Zaira i quali sospirano a loro volta, e, quindi fa loro cenno di ac-comodarsi.

ZAIRA               (rispondendo al tacito invito di Marianna) Grazie… s’è voluto accompagnarle… ma ètardi… e prima d’esser a casa…

MARIANNA Un momento, tanto per riposarsi.

Stefano saetta cogli occhi Marianna la quale, senza curarsene, si siede, dopo che Zaira e Aristide, cedendo alla preghiera, si sono seduti. Segue un lungo silenzio interrotto soltanto da sospiri, duran-te il quale Stefano ha terminato di apparecchiare. Questi si dispone a tavola, distante dal gruppo formato dagli altri, e incomincia a sbocconcellare qualche pezzetto di pane e a centellinare qualche sorso di vino.

ARISTIDE      (alla fine, rompendo il ghiaccio, rivolto a Stefano con voce commossa)Una cerimoniacommoventissima, caro cavaliere, un busto d’una somiglianza straordinaria: proprio un’opera d’arte. (e quindi rivolto a Marianna) vero sora Marianna?

MARIANNA (asserendo mestamente col capo) Ah!

ARISTIDE      (sempre rivolto a Stefano) Sembra, la creda, di rivederlo talquale, poro Orazio; di po-tergli parlare addirittura. S’ha l’impressione, a momenti, che ì bronzo s’abbia a animare e di poter risentir la su’ voce, quella bella voce che l’accarezzava gli orecchi com’una musica… Si ricorda?


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STEFANO     (che ha una fame da lupo e che dallo sbocconcellar pane è passato addirittura a fare

un’abbondante zuppa nel vino, rispondendo con la bocca piena) Uhm, uhm! ( e seguita

a inzuppare)

ARISTIDE  (A Marianna) Io un mi sapevo staccar più di lì, mi ritornava ‘n mente tante cose… Ah,por’Orazio, poer’ amico! (e così dicendo, la voce gli si vela di commozione)

ZAIRA               ( a Aristide accennandogli a Elisa che ha emesso un altro sospiro ancora più profondo,

perché taccia allo scopo di non acuirle il dolore) )Aristide!

ARISTIDE      (che comprende) T’ha’ ragione…

ELISA                Oh, no Zaira, tu lo sai: se per me ci pol esser un conforto è proprio quello di parlar di lui

e di sentirne parlare; specialmente da chi, come voialtri, l’ha conosciuto intimamente e ha avuto modo d’apprezzare tutte le su’ qualità.

ARISTIDE   Ah!   La   un   lo   dica   nemmeno!   Nessuno   più   di   noi   pol   aver   avuto                   occasione

d’apprezzarle, le su’ qualità; e lei la lo sa bene. Nemmeno i’ fratello più affezionato ‘gli

avrebbe potuto far quello che ‘gli ha fatto lui per noialtri. Esser sull’orlo di’ precipizio,

aver i’ possesso su i’ punto d’andar all’asta e trovare un amico che senza un centesimo

di compenso vi salva dalla rovina, piglia lui l’amministrazione de’ beni e in poch’anni ve

li libera di tutti i debiti e n’aumenta di’ doppio la rendita di più di’ doppio, la lo pol dir lei

(a Zaira) che l’ha nelle mani tutti i nostri interessi – le son cose, … le son cose, cara si-

gnora, che le un capitano tutti i giorni e le un si dimenticano.

ZAIRA               Oh, davvero!

STEFANO     Peccato che unn’ abbia saputo amministrare i’ suo, così bene come quello degli altri.

ARISTIDE   Eh, caro cavaliere, chi pol ma’ sapere come le sono andate le cose? Chi ci dice che

qualcheduno un si sia approfittato della su’ fiducia e della su’ bontà… Un si pole spie-

gar diversamente come un’omo di giudizio come lui, che unn’aveva vizi e che guada-

gnava colla professione, quello che guadagnava…

ELISA                Ma si, è stato vittima del su’ troppo cuore.

MARIANNA Poi… si sa come succede: pe’ tappar un buco se ne fa un altro… ARISTIDE Si capisce; e così… La un pol’esser andata che ‘n codesta maniera.

Marianna e Zaira approvano con un cenno della testa; poi segue un nuovo silenzio. Stefano, che, per l’appetito e l’argomento della conversazione, non né può più e ha già dato frequenti segni d’impazienza, consulta il proprio orologio.

ZAIRA               (che ha notato, guardando il proprio orologio da polso) Aristide!...

ARISTIDE   Cosa?

ZAIRA               Bisogna andare. ( e poi alzandosi, all’Elisa) Si torna dopo colazione, sai. (Stefano che

alle prime parole ha avuto un momento di soddisfazione, ora dà un’occhiataccia a Zai-ra)

ELISA                Si, bravi bravi, (e si alza anche lei)

MARIANNA (che pure si è alzata) Le tornino, le tornino; ma le venghin prestino, mi raccomando, Lo-ro lo sanno, le son le sole persone colle quali la gradisce scambiar una parola… (e ac-

cenna all’Elisa).

ARISTIDE      (si alza) Si si; si torna presto, la un dubiti. (e all’Elisa) Prima però bisogna che scrivaquella lettera e che passi dalla posta pe’ fa’ la raccomandata.

ELISA                Si, si giusto! Un se ne dimentichi, sa!


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ARISTIDE   Ma che gli pare?! La si pol figurare se l’è una cosa che la mi sta a core, e se ci metterò

tutto l’impegno per arrivare ‘n fondo! Pe’ poter dir un foss’altro, che se unn’ho potuto

contraccambiar a lui tutt’i bene che m’ha fatto, ha avere almeno, la soddisfazione di po-

ter render un servizio a quella che fu la compagna della su’ vita.

ELISA                Bravo!

MARIANNA O di che si tratta?

STEFANO     (che è rimasto seduto)  Tu lo sapra’ dopo colazione. Auff!

ARISTIDE   E’ si tratta di veder se gli è possibile che la signora l’abbia la su’ tomba accanto a quel-

la di’ su’ poro marito, senza dover ricorrer all’esumazione di lui, visto che ‘ndove gli è sotterrato l’è la meglio località di tutt’i cimitero.

MARIANNA Ma come si fa se’ posti accanto son occupati?

ARISTIDE   I’ ho bell’ e fatto le pratiche, e ho saputo chi son gli eredi di quella signora che l’è sep-

pellita a sinistra di’ por’Orazio; e ho saputo anche che gli stanno a Ginevra, in Svizzera.

Ora io scrivo a i’ Console per saper l’indirizzo preciso e, quando l’ho saputo, si scrive a

loro, mettendoli ai’ corrente delle cose, e pregandoli d’autorizzarci a trasferir la su’

mamma in un’altra tomba, naturalmente assumendosi noi tutte le spese e, magari, dan-

dogli un compenso!

STEFANO   Adagio, adagio, colle spese e co’ compensi! Chi paga? Paga lei?

MARIANNA (risentita a Stefano) Tu capirai, se sarà necessario, di fronte a una fortuna così…

ELISA                Lascia andare mamma; unn’entriamo nelle solite discussioni. Tanto, tu lo sai, col bab-

bo, siamo agli antipodi in certi modi di vedere.

STEFANO   Ma Dio... beato! Bisognerebbe anche capire che un son mica un pescecane, io, e che

ho tirato fori delle brave migliaia di lire per… si, insomma per…

ELISA                (malinconicamente ironica) Per levarmi le gioie di pegno, dillo pure. Lo so, lo so; è tanto

che tu me li rinfacci e li rimpiangi que’ benedetti denari, peggio che se tu li avessi spesi per un estraneo. Oh, ma un ti chiederò più nulla sta sicuro; provvederò a tutto da me.

MARIANNA (piano saettando Stefano con gli occhi) Basta che tu ti faccia sempre scorgere, te! (Ste-

fano fa una spallata).

ZAIRA               (intanto dopo aver detto qualche parola nell’orecchio a Elisa) Dunque addio a poi. (la bacia e poi porgendo la mano a Marianna) A più tardi!

ARISTIDE      (dopo avere esso pure, sussurrato qualcosa all’Elisa, porgendo la mano prima a questa e poi a Marianna)Arrivederle! (e quindi a Stefano) Arrivederlo cavaliere!

STEFANO     (senza alzarsi, brusco, accennando una mossa di saluto con la mano) La si conservi!

ZAIRA               (a Stefano) Oh, mi dimenticavo… (e gli porge la mano)

STEFANO     (brusco anche con lei) Cheh, la un ci badi…Arrivederla!...

Aristide a Zaira escono dal fondo, accompagnati fin sulla porta dall’Elisa e dalla Marianna, mentre Stefano rimane seduto al proprio posto.

SCENA IV

Elisa risale la scena dopo aver congedato gli amici, prende il cappello ed esce dalla prima porta a sinistra guardando sconsolata il ritratto da sinistra senza far parole.


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SCENA V

Stefano e Marianna

MARIANNA                 (risale anch’essa, la scena, prende il proprio cappello a fa per seguire la figlia;

ma, a un tratto, invece, si sofferma, torna indietro d’un passo e investe Stefano) Se sitrattasse di divertimenti, se si trattasse d’andar a gozzovigliar cogli amici, allora t’un ci guarderesti a spendere. Vergognati; tu fa’ ribrezzo! (e prima che Stefano abbia il tempo

di replicare, infila la porta di sinistra ed esce)

SCENA VI

Stefano, Santina, Carlo


STEFANO


(a quell’uscita resta un momento perplesso, e poi alzandosi, agitando i pugni) Uuuh!

Che medicina ci avrè io per tutti!


SANTINA


(irrompendo come un bolide dalla porta di fondo) So’ padrone!


STEFANO


(voltandosi a un tratto) Icchè c’è?


SANTINA


C’è un signore che cerca di lei.


STEFANO


Mandalo a i’ diavolo; ora vo’ mangiare. Digli che un ci sono.


SANTINA


Oramai gli ho detto che l’era ‘n casa…


STEFANO


Malissimo! Chi gli è? Icchè vole?


SANTINA


Io glien’ho domandat’i’ nome; ma un me l’ha vorsuto dire. Però gli ha ‘esser una perso-na dimorto artolocata; gli è venuto co’ un’automobile che la sembra la macchina di tre-no, la vedesse!


STEFANO


Giovane, vecchio? … Come gli è?


SANTINA


Giovane! Ma bello, la m’aiuti a dir bello!


STEFANO


I’ un conosco che brutti! Digli che ripassi più tardi; perché ora vo a colazione.


CARLO


(affacciandosi dalla veranda di fondo) Alla quale avrai un invitato (indossa un elegante


costume sportivo)


STEFANO


(al colmo della meraviglia) Carlo?! Tee?!


CARLO


Io, proprio io, caro zione! (i due si precipitano l’uno incontro all’altro e si abbracciano e


si baciano con molta effusione)


STEFANO


Ma come? Senza scrivere, senza avvisare?


CARLO


T’ho voluto fare una sorpresa. Ecco perché unn’ho detto chi ero a questa bella ragaz-za. (e accenna Santina che sta ora li ferma a guardare con curiosità)


STEFANO


Ah, vieni, vieni… Che bell’improvvisata, che magnifica sorpresa! Ma chi se lo sarebbe ‘mmaginato! (a poi a Santina) Lesta, apparecchia anche per questo signore e avverti in cucina che c’è gente a colazione. (quindi sedendosi insieme con Carlo sul divano) Ma tu sta’ bene, sai; ti trovo ingrossato…


CARLO


E anche te magnificamente, perbacco!


STEFANO


Da poeri vecchi. E dimmi: quando tu s’è arrivato da Parigi?


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CARLO             A Firenze, ierlatro. Sapevo che tu eri quassù e unn’ho messo tempo in mezzo, natu-

ralmente.

STEFANO   Oh bravo, bravo! Dio, quanto tempo che un ci si vedeva, eh?

CARLO             Sett’anni!

STEFANO   Sett’anni, oh!... T’eri quasi un ragazzo quando tu partisti, un cosino mingherlino… e’ ti chiamavano zanzara, ti rammenti? E ora tu ti se’ fatto un giovanottone! E raccontami:

che se’ venuto per trattenerti dimolto in Italia?

CARLO             Ancora unno so preciso; ma un par di mesi dicerto. Ho lavorato parecchio, ho bisogno

d’un po’ di riposo; e Parigi unn’è città fatta per riposare. (Santina, che intanto, ha segui-to quanto Stefano le ha comandato, esce da destra).

SCENA VII

Carlo Stefano

STEFANO   E’ ho sentito, a proposito, de’ tu successi, che tu ti se’ fatto un bel nome. Mi rallegro, ci

ho proprio piacere. Bravo!

CARLO             Ho avuto fortuna, sai. Le prime cose che ho esposto son piaciute, ho cominciato a aver

qualche commissione da personalità note nel gran mondo e nella politica; poi venne il ritratto del Re del Siam…

STEFANO   Già… tu me lo scrivesti…

CARLO             E un po’ di nome…

STEFANO   Eh, no; tu po’ dir di fama. Ma pensa, oh, se fossero stati vivi i tu’ genitori, come sareb-

bero stati contenti, anche loro, di vederti quasi celebre, in una bella posizione… Che è

tua l’automobile in do tu s’è venuto quassù?

CARLO             Si, è mia. Ci ho fatto il viaggio da Parigi.

STEFANO     M’ha detto la figliola d’ì contadino che la sembra una locomotiva.

CARLO             Un’”Isotta Fraschini”… Ma l’ho comprata in combinazione. Ma dimmi: e la zia… e

L’Elisa… cosa fanno?

STEFANO     Stanno bene: ora le s’avvertano.

CARLO             L’Elisa, poveretta, ho sentito… ha avuto la disgrazia…

STEFANO   Già… l’ha avuto la disgrazia…

CARLO             Ma come mai s’è siucidato?

STEFANO     Debiti! Debiti fino alla punta de’ capelli!

CARLO             Per il gioco?...

STEFANO   E chi ne sa nulla? Mistero! Un giorno, per far fronte a degli impegni, s’approfittò della

somma d’un cliente…

CARLO             Perché faceva l’avvocato, vero?

STEFANO   Già, un la potè rifondere, si trovò coll’acqua alla gola… e… punfete, un colpo di rivoltel-

la…

CARLO             Chissà l’Elisa?...


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STEFANO   Oh! Un me ne ragionare! Dopo un anno, quasi, la lo piange peggio dì primo giorno. La

unn’ha pace per sé e la fa marcire chi gli sta dintorno. Credi, una cosa proprio da

‘mpensierire! Aver una figliola sola e vedersela ridotta ‘n quello stato… E tira via se,

almeno, fosse stato un individuo che gli avesse meritato qualcosa. L’è anche questa,

capisci, la mi’ bile!

CARLO                 Sicchè via, unn’era nulla di particolare?

STEFANO         Macchè! Gli era un brigante! Ma per lei, tutto quello che gli ha fatto, e’ l’ha fatto a fin

di bene. Gli era un politicone, sai: uno di quegli individui striscianti, untuosi, ipocriti

che  gli hanno tutte l’arti per insinuarsi nell’anima della gente; di quella, però, che la

un vede più là della punta di’ naso. Della su’ moglie e’ n’aveva fatto        un fantoccio, e

perfin la socera ‘gli aveva ‘ncantato colle moine e colle caramelle ‘gli è tutto dire! E

l’aveva talmente suggestionate, tutt’e due, che quando mi rifiutai di pagagli delle

cambiali, la mi moglie la un mi parlò pe mesi, e la mi figliola la si rivoltava da

quell’altra parte se m’incontrava pe la via.

CARLO               Alla grazia!

STEFANO         Oh, me n’ha fatte di tutti i colori, tu sapessi! E anche da morto un mi dà pace! Figurati

che gli ha lasciato de’ debiti per una somma da far accapponar la pelle. Ora, l’Elisa e

la Marianna le pretenderebbero che pagassi ogni cosa, per un riguardo – dicano – al-

la su’ memoria; e siccome io e unne ‘ntendo di pagar un accidente, tutti i giorni e’ son

musi, lacrime e quistioni. Come? O che m’evre’ a rovinar, pe chi e gli ha agognato

perfino di vedermi crepare per poter rimediare co’ i mio le su’ corbellerie? Ma, grazie

addio, questa, delle soddisfazioni, un l’ha avuta: gli è crepato prima lui!

CARLO                 Ma guarda, poro zio…

STEFANO         Ah, si; credi, son proprio un individuo da compiangere. Te t’un po’ aver nemmen lon-

tanamente un’idea d’icchè l’è la mi’ vita da un anno a questa parte. E I’ ero stanco di

lavorare, sicchè dissi vendo i banco e mi ritiro dagli affari, icchè ho e mi basta. Eh,

l’ho avuta! E so stato scaraventato quassù in questa campagna che l’è la più schifosa

della Terra, indo’ i’ giornali t’arrivano con du’ giorni di ritardo, in do’ t’unn’ha un cane

da barattar una parola, in do’ tu stianti dalla noia e dalla disperazione. T’ha a mettere

in più che ‘n casa, soltanto un argomento di conversazione: cimiteri, tombe, busti! Mi

volto da una parte, la figliola che la piange; da un’altra, la moglie che la sospira; da

quell’altra, la serva che la par un rigagnolo..! E anch’i conoscenti, se un bastasse! E’

c’è du’ cosi, du’ possidenti di qui, marito e moglie, che figli di cani, e’ son tutt’i giorno

tra piedi a far i’ coro alle lamentazioni. Tu credi te, ma doversi succiar dalla mattina al-

la sera l’elogio funebre di qui’ canarino, e un poter dir i’ mi’ pensiero, e unn’ esser pa-

drone di far un passo pe’ la casa senza vederselo lì, davanti, ritratto…! Si perché in

tutte le stanze, e’ ce i su ritratti: piccini, grandi, di tutte le dimensioni e ‘n tutte le pose.

In mancanza d’altro posto ‘n do’ ficcarlo, e’ me n’hanno schiaffato uno anche ‘n came-

ra mia, proprio di faccia a i’ letto! Ah! Qui’ ritratto! Gli è un incubo! Tu sentissi che ef-

fetto, tutte le sere quando vò a dormire, vedermelo là con quegli occhi, che mi fissa, e

con qui risolino che sembra una canzonatura! E’ par che mi dica: “Vedi? Un ti do pace

nemmen da morto!” E son costretto a ficcar i capo sotto le lenzuola, alle volte!                                                                                                                            Ecco

questo gli è i quadro della mi’ vita: ora dimmelo te se un’ce n’è abbastanza pe’ man-

dar uno a San Salvi!

CARLO                 Ma un’ t’affliggere… vedrai che, col tempo, l’Elisa… tutti… si faranno una ragione…

STEFANO         Cheh! Un ci ho più speranza! Eh, ma io torno a Firenze, solo! Mi piglio, due, tre, quat-

tro serve da sedici a vent’anni, della gioventù, della gente allegra che faccia i’ diavolo

a quattro pe’ la casa… I’ un posso seguitar dell’altro questa vita che qui!


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CARLO                 Intanto, ci penserò io a farti distrarre un po’. Ti verrò a prendere spesso colla macchi-

na, si farà delle belle passeggiate, qualche scappata in città… STEFANO Oh! Figurati se te ne sarò grato!

CARLO                 E poi magari, verrò a passar qualche giorno quassù. Si farà una partita a carte,

s’anderà un po’ a caccia, a pescare… Insomma, si troverà il modo d’ammazzar il tempo vedrai.

STEFANO         Che vo’ tu, se quest’ambiente un fosse stato così lacrimogeno, t’avre’ detto che tu

venissi a stabilirti addirittura da noi; ma un ti voglio obbligar a un suicidio, anche te. In

ogni modo, quando ti pare…

CARLO                 Approfitterò, unn’aver paura, e quando parto, lo sai cosa si fa? Tu vien come a passar

un po’ di tempo a Parigi!

STEFANO   Sta zitto, un me lo dire! Che ce l’ha’ un sottoscala pe’ mettermi a dormire?

CARLO             Un sottoscala? Ma per chi m’hai preso! Io ci ho una casa d’ otto stanze, completamente

ammobiliata!

STEFANO   E allora, ti garantisco che per un mese pianto baracca e burattini… Proprio icchè ci vor-

rebbe, vah, pe’ far la reazione! Ubriacarsi di movimento, stordirsi di frastuono… Moulin Rouge, Maxime, Bal Tabarin, sciampagna, cocaina…

SCENA VIII

Detti e Filomena

Filomena entra con un fiasco di vino e scorgendo Carlo gli fa un lieve saluto col capo

CARLO             Buongiorno.

STEFANO     (A Filomena che è andata a deporre il fiasco sulla tavola) Vu’ potete mandare ‘n

tavola, perché le son tornate le signore.

FILOMENA Le son tornate?! (e così dicendo, fa per avviarsi verso la prima porta di sinistra per

dove sono uscite Marianna ed Elisa)

STEFANO     (parando lesi subito contro) Cheh, mondo ladro! Unn’è i’ momento d’andar a farchiacchiere, questo. Si vol mangiar noialtri.

FILOMENA Ma i’ vo’ sentire…

STEFANO   Si; i busto gli è bellissimo, somigliantissimo, parlante; se gli è questo che vu’ volete sa-pere, ve lo dico io! (e la respinge a destra)

FILOMENA (facendo resistenza)  Ma da che parte gli è voltato?

STEFANO     Dalla parte di Anghiari! (e dicendo così la caccia fuori dalla porta di destra).

SCENA IX

Stefano e Carlo

STEFANO     (a Carlo alludendo alla Filomena) Ha’ì tu visto? Anche quella l’è uno de’ mi carnefici.Ma a proposito, ha’ bisogno di nulla?


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CARLO             No grazie. Se mi permetti piuttosto, vo a dar un’occhiata alla macchina: l’ho lasciata

sull’aia del contadino (e va via dal fondo)

STEFANO     Fa’ fai

SCENA X

Stefano, Marianna,Elisa

STEFANO     (va verso la credenza ne trae dei biscotti che accomoda in un portadolci, poi dei bic-

chieri ed una bottiglia, quindi chiama verso la prima porta a sinistra)       Marianna, Elisa!

Qua! Subito! (spolvera i bicchieri con una salvietta, li dispone in tavola, prende il cava-

tappi e si accinge a stappare la bottiglia)

MARIANNA (che entra dalla prima porta di sinistra, insieme coll’Elisa, vedendo i biscotti sulla cre-denza e Stefano che sta stappando una bottiglia) icchè c’è?

STEFANO     Una novità: gli è arrivato Carlo da Parigi.

ELISA                Carlo?

STEFANO   Sì, ci ha voluto fare un’improvvisata. Gli è arrivato un momento da i’ contadino; ma ora

torna; e’ resta a colazione.

ELISA                (alla Marianna) Allora mamma,tu mi fa apparecchiare ‘n camera mia

STEFANO     (cadendo dalle nuvole) Come?! E perché?

ELISA                perché un mi voglio far vedere: la gente m’infastidisce.

STEFANO     Ma si tratta di tu cugino…

ELISA                Un vol dire.

MARIANNA  (all’Elisa) Quand’è così, un mi fò veder neppur io: e’ rimango a tenerti compa-gnia.

STEFANO Ma andiamo… mondo ladro! Che maniere son codeste! Un parente che gli è cresciuto ‘n casa nostra e che un si vede da sett’anni! La sarebbe una cosa inaudita!

MARIANNA                Tu potevi fare a meno d’invitarlo.

STEFANO     Ma un dire sciocchezze, mondo birbone, un dir bestialità!

SCENA XI

Detti, Carlo

CARLO             (In questo mentre, apparisce sulla porta di fondo e, scorgendo le due donne, corre in-contro a loro) Oh zia! Oh Elisa! (e le bacia ambedue sulle guancie) Dopo sett’anni, ve-dete, eccomi qui redivivo (e poi a Marianna) Ma perbacco, come ti trovo bene: tu s’è ringiovanita (e quindi a Elisa)E te? Ma sai che avrei stentato a riconoscerti se t’avessi incontrata per la strada? (e poi tornando a rivolgersi a Marianna) Era una bambinuccia ti rammenti? Portava la treccia sulle spalle quando partii…

MARIANNA (con un sospiro) Eh! Ma quante cose, da allora! Ha’ saputo?...

STEFANO     (pronto per troncare i discorso) Ah, caro il nostro Carlo, t’un po’ aver un’idea di quantoabbia gradito questa visita. Oh e anche loro (e indica le due donne) sai… Quando gli ho detto che tu c’eri, le son restate di sasso: le ti volevan correr incontro… Macchè… lasciate andare, ho detto io, ora vien subito… fra parenti un c’è bisogno di far compli-


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menti (fa cenno a Carlo di sedersi a tavola). Ma vieni, accomodati, mettiti a sedere. Qui, qui; accanto a me. Tu avrà appetito, mi figuro, (chiamando verso destra) Filomena! Ma Filomena, icchè s’aspetta?

SCENA XII

Detti, Filomena

FILOMENA (etrando da destra con un gran piatto di fritto) Eccomi eccomi.

STEFANO     Laus Deo! A tavola, su (tutti si siedono a tavola. Elisa molto svogliatamente)

STEFANO     (a Carlo) Te, forse, t’avresti gradito un po’ di minestra.

CARLO             Macchè… a colazione unn’usa nemmeno a Parigi…

STEFANO     (che ha preso il vassoio di mano alla Filomena, rivolto a Carlo) E allora serviti, su.

CARLO             Eh, prima le signore.

STEFANO     Macchè! Un si fa complimenti.

CARLO             Un po’ di bon ton…

STEFANO   Lascialo a Parigi, quello (e gli vuota nel piatto mezzo vassoio)

CARLO             (vedendosi  riempire il piatto) Ma zio…

STEFANO   Lascia fare: tu sentirai… Polli di mi’ pollaio e funghetti trovati da me stamattina: una

primizia della stagione (Elisa a queste parole si turba e, dopo essere rimasta un mo-

mento come assorta in un pensiero, si alza, prorompe in un pianto a dirotto ed esce per

la prima porta a sinistra. Tutti si guardano in faccia; poi Filomena si precipita subito die-

tro l’Elisa)

CARLO             Che è stato?

STEFANO     (alla Marianna che intanto si è alzata per seguire anch’essa la figlia) Ma icchè gli è suc-

cesso?

MARIANNA (investendo Stefano) Un corno! Che t’ha perso i’ cervello gli è successo, che tu ne fa’ sempre qualcheduna delle tue! (e poiché la guarda trasecolato) I funghi! Ma i giudizio? I funghi l’eran la passione di’ por’ Orazio, bon’amina! (e così dicendo, esce anche lei

dalla prima porta a sinistra)

SCENA ULTIMA

Stefano e Carlo

STEFANO     (mettendosi le mani nei capelli e poi alzandole al cielo in atto d’invocazione) Dio, Dio

santissimo Iddio, datemi la forza Voi di nun commetter qualche sproposito!

CARLO             Ma che è successo, mi dici?

STEFANO   Aah!.. T’un lo vedi, t’un lo vedi fino a che punto di schiavitù son ridotto? Fino a dover mangiare (accenna al ritratto in fondo) come vol lui, come vole i padrone (e poi come parlando al ritratto stesso) Ah, no: ma questa delle soddisfazioni t’un l’hai! (e così di-

cendo riprende dal mezzo della tavola il vassoio e si rovescia nel piatto tutto quanto vi

èancora rimasto) Piglierò l’olio di ricino, domani; ma stasera, quando vo a letto, t’un mipigli pe’ i’ baero, perdio!

CALA LA TELA


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ATTO II

SCENA I

Stefano e Santina poi Carlo

(Al rialzarsi della tela Stefano è seduto presso la tavola apparecchiata per la colazione a caffè latte, e Santina gli sta in piedi davanti)

STEFANO     (dopo aver sorbito l’ultimo sorso di caffè, alzandosi) Si, si… Un dice che l’è matura i tu

babbo? E allora anche se vu’ volete principiar a vendemmiar domani...

SANTINA    Noi, veramente, e’ si sarebbe ideato pe’ venerdì; così sabato si finisce… e la domeni-

ca…

STEFANO     Vu’ vi riposate.

SANTINA    Già… (un po’ titubante) E poi la sera si sarebbe fatto i’ pensiero…La lo sa, nelle cam-

pagne… e’ v’è l’usanza pe’ la vendemmia…

STEFANO     Ahn! Vu’ volete ballare, via?

SANTINA    Già; ma, però dice così la Filomena che pe’ via… La capirà, un po’ di buscherio…

STEFANO   Ma che da retta te, a qui’ senapismo? O sta’ a vedere che tutt’i genere umano unne

smoverà più foglia, perché a qui coso di su’ padrone e’ gli è piaciuto di levarsi da i’ mondo.

SANTINA    Ma la un sa che la doventa tutti i giorni più camorro quella vecchia? Specie da quattro o

cinque settimane, dacché c’è i’ so’ Carlo quassù, ‘n gli si sta più dintorno. Ma la un lo

sa icchè gli è? L’è la bile che li rode, tanto lei che i’ sor Aristide, di veder che dappo’

che c’è i su cugino che fa di tutto pe’ fargli un po’ di coraggio, l’è un momentino più sol-

levata la signora.

STEFANO   Gli è ben pe codesto, figli di cani! O un me ne son avvisto anch’io che ciccano!

SANTINA    E ora la vedrà se mi sbaglio: gli hanno a comprottar quarcosa tra loraltri due, a questo

proposito. E son sempre, a tutte l’ore di giorno, a far pissi-pissi.

STEFANO   Ah, si; e’ fanno pissi-pissi? Oh, ma che gli abbin giudizio! E’ gli ha avvisti anche Carlo

che loro della signora un se n’hanno a occupare; perché se no – vorre’ doventar un ro-

spo, questa volta – a una gli metto ‘n mano un par di ritratti di su’ padrone, pe’ bonusci-

ta, e co’ una pedata, t’ha ‘nteso ‘n dove, e’ gli fo scavalcar i’ cancello; e quell’altro, con

du’ zuppe, e’ va a far compagnia a’ pesci rossi nella vasca.

SANTINA    La sarebbe la meglio medicina.

STEFANO   Intanto, la unn’ ha detto la Filomena che v’unn avet’ a ballare? E io vi do l’ordine di bal-

lare anche se vi dol’ i corpo. Anzi, mandat’ a chiamare i sonatori, pago io; e se c’è la

grancassa pago doppio. E appena cenato, sabato sera, e’ vengo a far baldoria anch’io

con voialtri.

SANTINA    Che dice di pe’ davvero?

STEFANO   E perché no? E i primo valtzer e s’ha a fa’ me e te (e poi). Tu ridi? Oh! E sono stat’un

ballerino, sai. E, benché vecchio, un ti credere… (e così dicendo, canterellando un’aria

di valzer, si mette, prima a marciare il passo sul posto; poi prende la ragazza e, sempre

canticchiando, la conduce in alcuni giri di ballo sempre più accelerati)


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SANTINA

(ridendo e divincolandosi a un tratto) Uh, per carità! Se, Dio ne guardi, le capitan le si-

gnore!.. (e così dicendo fugge verso la porta di fondo, per uscire. Giunta però sulla so-

glia si sofferma ed esclama) Oh!... So’ Carlo!...

CARLO

(comparendo subito con alcuni involti in mano) Oh bellezza!...

SANTINA

Sie … bellezza! Quando mi madre la mi rifarà! (e va via dal fondo)

SCENA II

Stefano e Carlo

CARLO

(entrando ed andando in contro a Stefano per dargli la mano)  Bongiorno caro zione!

STEFANO

(dandogli la mano) Oh!...

Chi un more e’ si rivede!

CARLO

(deponendo gli involti sulla tavola) Come?! O’ un te l’avevo detto che mi sarei trattenuto

a Firenze quattro o cinque giorni?

STEFANO

T’hai ragione; ma tu sapessi!... Le mi son sembrate tanti secoli queste giornate, senza

di te!

CARLO

Va la’ che, in compenso, ci ho una bella proposta da fare, stamattina.

STEFANO

Purché un si tratti di posar pe’ i’ ritratto.

CARLO

Ma no!... (e  quindi  scherzosamente)  Oramai, tu m’ha già fato l’affronto di rifiutare

l’omaggio…

STEFANO

No; tu ti po’ figurare se sarè orgoglioso, anzi – se non altro per aver qualcosa in comu-

ne co’ i’ Re di’ Siamme – ma t’ho detto perché son nemico giurato de ritratti. Mettiti ne’

mi panni, e pensa se, dopo morto, e’ mi scaraventassero ( e accenna il ritratto a olio del

povero Orazio) proprio accanto a lui a far mezzo degli stessi fiori, oppure ‘n quell’altra

parete a guardarsi tutt’i giorno ‘n faccia. A i’ pensiero solamente, e mi s’accappona la

pelle.

CARLO

E io rispetto le tu’ idee e unne parliamo più. Dunque dicevo che ci ho una magnifica

proposta.

STEFANO

Una passeggiata ‘n automobile?

CARLO

Preciso! Una passeggiata, però più lunga e bella di quante se n’è fatte fin a ora.

STEFANO

Benone! Approvo senza discutere.

CARLO

E allora… che son in casa la zia e l’ Elisa?

STEFANO

Si; le saranno sempre ‘n camera.

CARLO

(che si è apprestato alla prima porta di sinistra, chiamando di sul limitare di quella) Eli-

sa! Zia!  (e dopo una breve pausa) Si; son io; son tornato. Venite qua.  (e poi torna ver-

so Stefano) Già; di qui a Bologna c’è circa ottanta kilometri: du’ ore di strada comoda-

mente.

STEFANO

Si si; comodamente. E allora a Bologna, eh? Alla mi’ vecchia Bologna! Bon’idea! Ah,

che giornate da giovanotto! Allora ci capitavo spesso pe’ mi’ affari. La sera con quegli

studenti!... E’ mi chiamavano “ i’ Toscanino” (e poi cantando) “Viva Bologna – viva le

belle donne - noi siamo le colonne – di’ Monte di Pietà”

CARLO

(tossendo) Uhm, uhm!...

(e fa cenno a Stefano che taccia)


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SCENA III

Detti Elisa Marianna

MARIANNA (Che precede la figlia) Oh!... Ben tornato!...

ELISA                Bongiorno Carlo!

CARLO             (andando incontro alle due donne e dando loro la mano) Bongiorno zia, bongiorno Eli-sa.

MARIANNA Che novità ci porti da Firenze?

CARLO             Che fa un tempo magnifico anche là: un caldo come d’estate.

ELISA                E ci se’ stato dal mi’ avvocato?

CARLO             Diamine! Subito il primo giorno.

ELISA                E che t’ha detto?

CARLO             Abbi pazienza un momento. (e così dicendo, va a prendere gli involti che aveva deposti

sulla tavola e tornando presso il gruppo) Prima di tutto… io non mi scordo della mi’ ziet-ta. Ecco qua: (e consegnando alla Marianna uno dei fagotti) le tu’ caramelle preferita.

MARIANNA Oooh! Grazie! (prende l’involto)

CARLO             (presenta alla Marianna un altro involto) E de’ cioccolatini al cognac, ultima invenzionedel Giacosa, che tu sentirai che delizia…

MARIANNA (simulando di esser dispiacente, invece che soddisfatta) Ma, Carlo!... (e prende anche questo)

CARLO             (presentando alla Marianna un terzo involto) E poi… tu mi farai il piacere di assaggiareanche questi canditi che m’hanno decantato come il non plus ultra…

MARIANNA Ma no; troppo! (e prende anche questo terzo involto) Ma te tu mi mortifichi proprio, sempre con questi complimenti.

STEFANO     (ironico) Un ti preoccupare: e’ si sa, nella case, quand’e’ c’è de’ ragazzi…

CARLO             (a Elisa) Ci avrei un gingillino anche per te; ma un so se ho incontrato il tu’ gusto (e le

mostra un involto più grosso degli altri)

ELISA                Ma perché Carlo tu t’incomodi tutte le volte?

CARLO             In ogni modo, l’ho comprata col patto di poterla cambiare, se non fosse piaciuta, e per

conseguenza… (e apre l’involto e ne trae una ricca veste da camera bianca e nera)

MARIANNA Uuuh! Bella!

STEFANO   Corbezzoli! Icchè l’è una veste da camera?

CARLO             Già…

MARIANNA Ah, bellissima, proprio magnifica! (e poi all’Elisa) Ma guarda che guarnizione!

ELISA                (con non molto entusiasmo) Oh si, splendida…

CARLO             (all’Elisa di cui ha notato una certa reticenza) Ti piace proprio? Di’ pure francamente.

ELISA                Ma si, tanto…

CARLO             Lo dici in un certo modo…

ELISA                No, no; bellissima… però… scusa…sai Carlo…

CARLO             Cosa? Unn’aver riguardi.


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ELISA                Se ci fosse stata tutta nera…

CARLO             Tutta nera? E perché? È bianca e nera: mezzo lutto. E dop’ i primi se’ mesi.. si sa, è

consuetudine…

STEFANO     (all’Elisa) Sicchè, tu se’ sempre in ritardo di cinque mesi e mezzo, per lo meno.

CARLO             (Dopo aver lanciato un’occhiata a Stefano, rivolto a Elisa) E poi, un ti confondere, il do-

lore unn’ha nulla a che vedere colle forme esteriori.

ELISA                Ah, certo!... Quello che conta è che il dolore sia qui (accenna al cuore)

CARLO             Hai capito. Tu se’ una donna troppo intelligente… (e quindi passando ad altro argo-

mento, a tagliar corto a eventuali nuove obbiezioni da parte di Elisa) Dunque, si dicevache sono stato dal tu’ avvocato…

ELISA                Sicuro! .. E sicchè?

STEFANO     (a Carlo, intendendo di rammentare la passeggiata in automobile) O Carlo, ma se s’ha

andare… e’ si farà tardi.

CARLO             (a Stefano) Ma no; c’è tempo. (e poi all’Elisa) Sicchè ho fatto la tu’ commissione, e in-

dovina un po’ cosa m’ha fruttato?

ELISA                Cosa?!

CARLO             Una cena! E, quello che m’ha fatto più piacere, l’occasione di passar una serata insie-

me a un carissimo vecchio compagno di scuola. Già; perché per l'appunto, coll’avvocato Bianchi, col tu’ avvocato, siamo andati al ginnasio insieme.

ELISA                (a Carlo) Ma senti!... davvero? E gliel’ha’ detto che eri mi’ cugino?

CARLO             Sicuro! Oh, m’ha fatto un monte d’elogi di te, anzi. M’ha detto che era collega di studio

di tuo marito, che ha frequentato molto casa tua, prima della disgrazia, e che, così, ha

avuto modo di conoscerti intimamente e d’apprezzare tutte le tu’ qualità di donna eco-

noma, semplice, modesta…

ELISA                Oh si,; infatti era come di famiglia in casa nostra. E t’ha detto nulla se ha potuto riscuo-

ter altro?

CARLO             Si; qualche vecchio conticino da qualche cliente; però inezie colle quali ha provveduto

a saldare alcune pendenze minori.

ELISA                Sicchè, in quanto alla liquidazione col “Piccolo Louvre”, nulla?

CARLO             Per ora, nulla.

ELISA                Ma santo Dio, che aspettano a pagare?

MARIANNA (a Carlo) E’ son di bravi fogli da mille, sai, che la dev’avere. Una causa che l’è andata avanti degli anni e che, alla fine, a i’ su marito, bon’anima, e’ gli riescì di fargliene vince-re, alla Società.

ELISA                Si tratta di decine di fogli da mille, fra onorari e rimborso spese, altro che storie!

CARLO             (con evidente impaccio) Già… però… verrebbe in parte assorbito da quanto tuo marito

avrebbe dovuto dare…per valore di merce prelevata dal magazzino durante gli ultimi tempi.

ELISA                Oh si! Ma si pol capire! Qualche taglio d’abito per se, un po’ di biancheria per la casa…

Per me, un ombrello… qualche gingillo..

CARLO             E basta?


17


ELISA                E basta.

MARIANNA Ma lei la unn’aveva bisogno di nulla; gli s’era fatto tanta roba su i’ corredo. E poi la unn’ è ma’ stata ambiziosa.

CARLO             Sicuro, sicuro… (e poi). In ogni modo, vol dir che l’avvocato si farà rimetter una noticina

di tutto, e poi, prima di definire… s’assicurerà bene… STEFANO (a Carlo) O figliolo, ma se unn ci si spiccia, dico…

CARLO             (a Stefano) Ma se ‘un son ancora le nove, zio!

MARIANNA O ‘n do’ v’avete da andare?

CARLO            Be, statemi a sentire (guarda l’orologio e poi) Son le nove, fra poco; alle dieci si sale in

automobile… a mezzogiorno siamo a Bologna a colazione… STEFANO Bona strippata di tortellini!

CARLO             Al sugo, come piaccion tanto alla zia; dopo colazione a prender il caffè; poi quattro pas-

si… si trova le sette per andar a desinare. Dopo desinare… STEFANO A I’ teatro!

CARLO             Macchè teatro! (e poi facendo un cenno rassicurante all’Elisa) Si riprende la macchina

e, al lune di luna, ci se ne ritorna a casa tranquillamente. Vi piace la mi’ idea?

STEFANO     (senza   dar  tempo   agli   altri  di  rispondere)     Magnifica!  La   proposta   l’è                   approvata

all’unanimità.

MARIANNA (titubante ma soddisfatta interrogando con lo sguardo la figlia) Mah!... Per me…

ELISA                (rispondendo alla tacita interrogazione delle madre) No, no; andate voialtri.

CARLO             E perchè?

ELISA                perchè ci son venuta dell’altre volte in automobile…

CARLO             Ragion di più.

ELISA                Già, ma però l’altre volte…

CARLO             Cosa?

ELISA                Si trattava d’una passeggiata qui pe’ dintorni…

MARIANNA E questa, d’una passeggiata più lunga.

ELISA                Si… ma venire in trattoria…

STEFANO   Santo Dio, e’ si va’ pe’ mangiar un boccone; non mica pe’ darsi allo sbaraglio!

CARLO             Magari, si pol cercare un locale appartato… se tu credi…

ELISA                Ah, dicerto, se mai… Ora.. è anche vero che a Bologna un mi conosce nessuno…

MARIANNA ‘Gli era quello che volevo dir io.

STEFANO     E’ mi par anch’a me.

CARLO             (a Elisa) Ma si, ma si; va là… (a Marianna) Via, via zia; conducila di là a vestirsi e nonparliamone più!

MARIANNA (all’Elisa) Andiamo su… (e così dicendo la prende sotto braccio).

ELISA                (lasciandosi condurre dalla madre) Mah! Dal momento che proprio…

CARLO             Oooh! Ora si che va bene!


18


MARIANNA (che intanto, coll’Elisa, si sarà avviata verso sinistra, soffermandosi) A proposito!... STEFANO Ichhè c’è?

MARIANNA No…nulla … I ‘un so… che gli s’ha a dir anche alla sora Zaira?

STEFANO     Icchè?

MARIANNA Se la volesse venir anche lei? STEFANO Mondo birbone, un ti fa’ venir malinconie!

ELISA                Oh!... Lascia andare mamma…

MARIANNA Io dicevo… siccome l’è sempre così premurosa con te…

ELISA                Si; ma s’è invitata du’ volte, e se il babbo un ci ha piacere…

STEFANO     … Brava bambina!...

MARIANNA E allora sia pe’ nun detto (e via, coll’Elisa, dalla prima porta a sinistra).

SCENA IV

Stefano Carlo

CARLO             Dimmi: avevo ragione, si o no, a dir che a pigliarla colle bone, è più facile ottener qual-

cosa dall’Elisa? Ma sicuro! Sempre col contrariarla, sempre con quelle dimostrazioni d’ostilità verso suo marito, tu ‘un facevi che irritarla e provocare una reazione.

STEFANO   Si, si; ma ora quello che bisogna fare –te t’un ti vo’ persuadere – ‘gli è di levagli di tra’

piedi que’ du bubboni; perché tanto, finché l’avrà alle costole qui’ treciolo di sor Aristide

e qui serpente di quella vecchia a ‘nzeppargli la testa…

CARLO             O un gli ho fatto una predica, apposta, a tutt’e due?

STEFANO   E sa’, t’otterrà qualcosa! E’ c’è da saper dimolto icchè traffican, sotto sotto que’ du’

boia.

CARLO             Se un s’otterrà nulla, si vedrà un po’. Allora si potrà escogitar qualche altro mezzo; ma

l’azione, diciamo così, violenta, come tu vorresti te, potrebbe avere l’effetto opposto. STEFANO Eh, io sarè per la spedizione punitiva!

SCENA V

Detti, Filomena

FILOMENA (entra da destra e, scorgendo Carlo, fa un atto di contrarietà. Indi rivolta a Stefano) E’ c’è i ragazzo pe’ la spesa. Icchè vole, dunque da mangiare?

STEFANO Prima di tutto, e v’insegno che quando s’entra ‘n una stanza in do’ c’è delle persone, specie se di fori, e si dà i bongiorno. In do vu’ l’avete ‘mparata l’educazione?

FILOMENA (con rabbia) Sie!... Bongiorno! I’ ho ‘nteso!

STEFANO   In quanto alla spesa, nulla!

FILOMENA (meravigliata) Come nulla?

STEFANO   v’ho detto nulla. Come parlo, turco? Oggi, un si mangia ‘n casa.

FILOMENA O ‘n dove?

STEFANO     (seccamente) A Bologna, a cento chilometri di distanza, se Dio vole!


19


FILOMENA Come?! Tutti?!

STEFANO   Tutti!

FILOMENA Anche la mi’ signora?

STEFANO   V’ho detto tutti! Che lo sapete icchè vol dir tutti?  Noialtri quattro e voi no. Ovvia! (e poi

a Carlo) Oh, ora vo a vestirmi. Vo’ venir a farmi compagnia?

CARLO             E perché no?

STEFANO     Tanto, peno poco, sai. (Stefano a Carlo escono dalla seconda porta a sinistra).

SCENA VI

Filomena, Santina, Angiolina

FILOMENA (Che nel frattempo, s’è apprestata alla tavola, raccogliendo nel vassoio la tazza e i piat-ti che hanno servito per la colazione di Stefano)  Ma sicuro, eh! Giue’! Baldoria! Baldo-ria! (e con mosse di dispetto ripiega tovaglia e salvietta che poi va a riporre nella cre-

denza. Indi, tendendo il pugno verso la seconda porta a sinistra, per la quale è uscito Carlo) Già, i’ un dico altro che accidenti…

SANTINA       (che a quest’ultima parola è comparsa sulla porta di fondo con in mano, alcune lettere e giornali) A chie?

FILOMENA (voltandosi e vedendo Santina) Eh, m’intendo io nelle mi’orazioni.

SANTINA    Oh, la guardi, gliene mette qui la posta. (e depone quanto a in mano sulla credenza).

FILOMENA Sie… mettila ‘n do’ tu voi. (e in così dire, va a riporre la zuccheriera nella credenza di cui, nel richiuderli sbatterà con mal garbo gli sportelli)

SANTINA    Dio, come l’è nera, stamani! O icchè l’ha fatto?

FILOMENA Un corno! E’ ho fatto che vorrè venisse un fulmine e mi pigliasse ni’ mezzo di’ cervello, per un vede’ più nulla e un sape’ più nulla.

SANTINA    E allora arri vederla sa.

FILOMENA No, unn’andà via, senti…

SANTINA    Già!... Sto qui!... pe’ vede’ se i’ fulmine gli sbaglia monte e piglia me!

FILOMENA I’ avrè bisogno di saper una cosa, da te.

SANTINA    Da me? Ichhè la vol sapere?

FILOMENA Già… sai… siccome te tu bazzichi spesso ‘n paese, qualche discorso alle volte, e’ ti potrebb’esser arrivato agli orecchi…

SANTINA       (rabbuiandosi) Icchè la ‘ntende di dire? Cheh, cheh,cheh!... E se ne sente tanti de’ di-scorsi; ma a m, sa, e m’entran da un orecchio e mi risortan da quell’altro.

FILOMENA Allora, qualcosa t’ha sentito.

SANTINA    La un dice di su padrone…

FILOMENA Di lui… e’ lo so…

SANTINA    O allora di chi la ‘ntende ragionare?

FILOMENA Io ‘ntendo della signora.

SANTINA    Ahn, di lei? Ma di lei, tutti un fanno che dirne un monte di bene.


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FILOMENA Si; ma però…

SANTINA    Un c’è però che tenga.

FILOMENA T’un mi lasci finire. E mi diceva a questi giorni una persona – ma bada, eh, le son cose gelose – che gli era parso d’aver sentito in farmacia un certo discorso… Ma unn’è pro-prio sicuro, però.

SANTINA    Che discorso? E’ sarà stato qui ( trattenendosi) mammalucco di sor Aristide che glien’ha detto.

FILOMENA Un ti confonder che gli è stato. Che ha sentito nulla ‘n paese, te, che, ‘nsomma, gli ab-bia dato nell’occhio che la signora, da un po’ di tempo, l’ha fatto – come potrè dire – un certo mutamento?

SANTINA Icchè la ‘ntende? Che la s’è fatta un po’ più di coraggio? FILOMENA Già; che la va ‘n automobile, com’essere… SANTINA Ahn!... Codesto…

FILOMENA Ahn si eh? Dunque ha tu visto se gli è vero? Ma c’era da figurarselo! Icchè credan che sian ceche le gente? E tutta la colpa di chi l’è? Di qui vecchio rimbambito (e accenna alla prima porta a sinistra) e più di tutto di qui dannato venuto dalla Francia, maledettolui e chi ce l’ha portato ‘n Italia!

SANTINA    Oh! Ma icchè la si pensa? Un dican mica che faccia male, però! (meravigliata) Anzi! … E, anch’a proposito di so’ Carlo, vede, che lei la un lo pol soffrire, l’ha da sape’ che, quassù, tutti, da i’ primo all’ultimo, un fanno che farne un buscherio d’elogi. E, difatto, l’ha voglia di discorre’ lei; ma gli è un gran giovane simpatico.

FILOMENA meglio pe lui. Se gli è simpatico, tu l’ha a sposare…

SANTINA       (che ora si diverte a far confondere la Filomena) Io no; perché un mi piglia; ma però, sefossi nella signora, un cugino belloccio ‘n quella maniera… un me lo farè scappa’, ga-rantito.

FILOMENA Va ‘ia, bambina, un mi fare ‘ngrullire…

SANTINA    Un son mica io sola, sa a dirlo. Anche ‘n paese… la sentì io du’ donne a queste sere, mentre e so’ Carlo, colla signora e su’ madre, e’ sortivan di chiesa: “quello si che gli è palo pe’ la vite; ma non mica quell’altro morto”!

FILOMENA Già imbecilli.. te e loro! Ma icchè si son messi, dunque, pe’ la testa?

SANTINA    O che ci sarebbe quarcosa da ridire se mai? E’ ce n’è tanti che si sposan tra cugini.

FILOMENA (dandosi alla disperazione) Ah! I’ unne vo’ sentì più. Oh Maria,che dispiaceri, che scan-dali!

SANTINA    Oh Maria che esagerazioni! Invece d’esser la prima a averlo caro se succedesse dav-vero una cosa così…

FILOMENA Chetati, un mi fa’ dì eresie; falla finita.

ANGIOLINO(comparendo sulla porta di fondo e vedendo Santina) Ah… che se’ qui? Gli è tan-to che ti cerco.

SANTINA    Icchè tu voi?

ANGIOLINA Dice così la mamma che tu venga subit’a casa; perché l’ha da mandarti ‘n un posto. SANTINA Un, me e’n ero scordata! (e poi alla Filomena) Oh! La posta l’è sulla dispensa! (e va via

dal fondo)


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SCENA VII

Filomena, Angiolina, Aristide

FILOMENA (A Angiolino che pure s’era accinto a uscire seguendo la sorella) O Nini aspett’un mo-mento, te. (e poi, dopo aver tratto di tasca il portamonete, mettendo alcune monete di rame nelle mani del ragazzo) Guarda: questi son pe’ comprarti le chicche; ma tu m’haa far un piacere. Che la sa’ la villa di sor Aristide?

ANGIOLINA Si la so.

FILOMENA E allora senti: tu fa’ una corsa laggiù, e tu gli dici che venga subito, subito da me; per-ché ci ho da parlargli d’una cosa dimolto importante. Ma mi raccomando, più presto che pole, tu gli ha’ dire.

ANGIOLINA Ho capito.

FILOMENA Però bada bene, un lo dire a nessuno ‘n do t’ho mandato.

ARISTIDE      (a queste parole appare sulla porta di fondo tutto raggiante agitando in alto una lettera) Filomena! Novità!

FILOMENA (lietamente sorpresa) Oh! Giusto lei, vah! Lo mandavo proprio a chiamare, la guardi. (e poi a Angiolino) Allora, unne ‘mporta più, poerino (e quindi poiché il ragazzo fa per re-stituire i soldi) Macchè! No, no… Va’ via tienili listesso.

ANGIOLINA Grazie… (va via dal fondo contento).

SCENA VIII

Aristide e Filomena

ARISTIDE   Vu’ mi mandavi a chiamare? O icchè c’è di novo?

FILOMENA Ora gliene dirò. La dica ‘nnanzi lei icchè l’ha da dirmi.

ARISTIDE   E’ c’è che ‘i Console gli ha risposto. Ecco la lettera (la mostra). Sicché, come si preve-

deva. Gli eredi della morta sotterrata accant’ a i’ poro Orazio unne stanno più a Gine-

vra; ma son tornati a Milano; motivo per cui, si capisce, a i’0 Consolato gli avranno do-

vuto far delle ricerche; e, per coseguenza, i’ ritardo ni rispondere, vah.

FILOMENA Già, già, sicuro… Ma l’indirizzo di Milano che l’ha avuto?

ARISTIDE   Toh,  senti!...  E  ora   vu  vedrete   icchè  fa  i’  sottoscritto.  Siccome   i  quindici   gli                                è

l’anniversario…

FILOMENA Davvero poerino; e sembra ieri.

ARISTIDE   Sicchè voglio veder se mi riesce, prima d’allora, di fargli una sorpresa alla vostra pa-drona (indi dopo una brevissima pausa). O voi icchè v’avete da raccontarmi?

FILOMENA Uuuh! Cose dimolto brutte!

ARISTIDE      (turbandosi) Eh? Icchè gli è stato?

FILOMENA Gli è stato che lei l’avea ragione, la unn’avea ‘nteso male qui giorno.

ARISTIDE      (che li per li non comprende) Quando?

FILOMENA Qui giorno, vah, che gli parve di sentir qui certo discorso ‘n farmacia.

ARISTIDE   Aaahn!... Sicchè un m’ero sbagliato? Gli è vero che gli ha dato nell’occhio anche ‘n pa-ese qui po’ di cambiamento che l’ha fatto la signora? O come v’avete saputo?


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FILOMENA I’ho tirato su le calze alla Santina. Ma questo un sarebbe nulla.

ARISTIDE   Come?! O che c’è dell’altro?

FILOMENA La stia zitto! Una cosa che se un m’è preso un’accident’a secco, quando la me l’ha det-to, gli è proprio perché si vede che di dispiacere un si stianta.

ARISTIDE   Icchè gli è successo, Dio benedetto?

FILOMENA (dopo esser andata ad assicurarsi che le porte siano ben chiuse, tornando presso Ari-stide) Un di quelli scandali, sor Aristide mio, una di quelle cose così mostruose da fa’rizzar i capelli anche a lei che la un ce l’ha. A me, più che tutto, e mi rincresce pe la su’ memoria, poerino ( e dopo aver accennato il ritratto del fondo, si asciuga due lacrime

che le scendono per la faccia).ARISTIDE (turbatissimo) Ma parlate, santo Ccielo!

FILOMENA Gli è successo, che, quassù, e’ si comincia a fa’ delle chiacchiere. E’ s’è sparso la vo-ce, nientemeno, che la mi signora la ripiglia marito – i’ nu gli dico altro – e che la spo-sa… Accindent’a lui e a chi gli ha venduto la benzina pe’ venire ‘n Italia!

ARISTIDE   Uuuh!... Dio mio, Dio mio, che orrore, Filomena mia, che disastro! Ma la signora la un sa nulla? V’un l’avete informata?

FILOMENA Cheh, la un sa nulla! I’ aveo pensato di mandar a chiamar subito lei… Anzi, stamani, gli

è tornato qui dannato coll’automobile…

ARISTIDE      (con una palese mossa di contrarietà) Come?! Gli è tornato ?! (e si volge verso sinistra

sospettoso)

FILOMENA Già; e vanno, la s’immagini un po’, tutti quanti a Bologna a far bisboccia.

ARISTIDE   A Bologna?! Anche la signora?!

FILOMENA Anche lei, già.

ARISTIDE   Aaaah! Ma che vi pare? E’ bisogna che una cosa simile la un succeda in nessuna ma-

niera. E’ sarebbe lo stesso, capite, che dar dell’altro spago alle chiacchere.

FILOMENA E icchè s’inventa?

ARISTIDE   E’ ve lo dico io: qui bisogna agire, agire intrafinefatta e energicamente, ma dimolto e-

nergicamente.

LA VOCE DI ELISA  (di dentro) Filomena!

FILOMENA L’è lei che la mi cerca.

ARISTIDE   Lasciate fare a me.

LA VOCE DI ELISA      (di dentro) Filomena!

FILOMENA Comandi!

SCENA IX

Detti, Elisa

(Elisa comparisce subito sulla prima porta a sinistra, indossando un abito da passeggio nero; ma meno severo di quello del primo atto, e con i capo, il cappello pure nero ma senza i lunghi veli vedovili)

ARISTIDE   Bongiorno, signora

ELISA                (un po’ contrariata) Oh, bongiorno!


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FILOMENA Che mi voleva?

ELISA                Si.

ARISTIDE   E noi s’aveva appunto bisogno di parlà con lei.

ELISA                Con me?

FILOMENA Però, qui no; e’ potrebb’ arrivà gente….

ARISTIDE   Di là, ‘n camera sua.

ELISA                Ma che è stato, che c’è di novo?

FILOMENA O, se no, nella serra de’limoni, meglio che mai (a Aristide). Lesto, la guardi se c’è nes-suno costì fori, e ‘n tanto, la sgattaioli lei dietro la macchia.

ARISTIDE      (dopo aver guardato fuori dalla porta di fondo) Nessuno! (e se la svigna).

FILOMENA (all’Elisa) E no’ si gira dalla parte di sotto pe’ nun da’ sospetto, se mai (e le fa cenno

che la segua)

ELISA                Ma che c’è, dunque, con tutto questo mistero? ( e segue la Filomena che l’ha presa per

mano e la conduce via dal fondo)

SCENA X

Stefano e Carlo

STEFANO     (di li a poco entra dalla seconda porta a sinistra, insieme con Carlo, con in mano un

berretto e sul braccio un cappotto leggero) T’ha ragione, un m’era venuto ‘n mente: sul-

la sera e fa fresco; qual cosina da mettersi addosso… E sicchè, come tu dicevi? (de-

pone cappotto e berretto sulla spalliera d’una sedia)

CARLO             Dicevo che quest’altra delle gite che si farà bisogna veder di star fori tre o quattro gior-

ni, per lo meno.

STEFANO   Mondo birbone, figurati! Sicuro, eh! Sempre più difficile, come dican ne’ baracconi. Oh,

ma però, buci anch’allora, eh? Noialtri quattro e basta.

CARLO             E’ naturale…

STEFANO     Scusa, anzi, sai se fo da padrone colla tu’automobile.

CARLO             Come dire?

STEFANO   No, vah… anche dianzi, quando la tu’ zia la voleva invitar quell’altra, e ho detto ‘n quel-

la maniera…

CARLO             Ma tu ha fatto benissimo.

STEFANO   Sicchè un te n’è rincresciuto, via?

CARLO             A me?

STEFANO     (con intenzione) No, sai; e credevo… siccome…

CARLO             Cosa?

STEFANO     O che ti pensi che un me ne sia avvisto? Le se ne son accorte anche l’Elisa e la tu’ zia.

CARLO             Di che?

STEFANO     Ma si… che la ti fa l’occhio sdrucciolevole.

CARLO             (un po’ contrariato) Però, si saranno anch’accorte che io unn ho punta disposizione…


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STEFANO   Un ci sarebbe nulla di strano , a tutti i casi; perché levato l’inconveniente che l’è moglie

di su marito, l’è un discreto pezzo di figliola… E poi sempre sgargiante…

CARLO             Proprio lusso sprecato per star tutto l’anno quassù fra questi contadini.

STEFANO   Macchè tutto l’anno! Lei, dopo Ognissanti, la va a Firenze.

CARLO             Ahn, si?

STEFANO   Sicuro! Gli è qui rintro di su’ marito – accident’a lui – che gli è di posto, quassù, com’i

su amico, (accenna il ritratto sul fondo) e un si pole spicciar di quassù. Una settimana

in campagna e una a Firenze. Ma lei, si… l’è minchiona! La se ne sta ma ni’ su’ villino a

i’ Campo di Marte, nell’inverno.

CARLO             Ahn, ecco… Appunto volevo dire…( e poi siccome è capitato presso la credenza e ha

scorto la posta) Oh, guarda c’è posta!

STEFANO   Ahn! ( e poi appressandosi a Carlo che intanto scorre gli indirizzi della corrispondenza)

Ci ho nulla io?

CARLO             (porgendogli tre giornali successivamente) Questo è tuo, tieni. E anche questo. E que-

sto pure. Il resto è tutto per me.

STEFANO   Guarda, oh, tre “Nazioni” insieme(e poi mettendo in tasca i giornali) ! Li leggerò ‘n au-

tomobile; tanto, ormai, le son notizie che le un si ghiaccian più.

CARLO             (dopo aver dato un’occhiata ad alcune cartoline illustrate) Vo veder queste cartoline il-

lustrate? (e gliele porge)

STEFANO     (prendendole) Che le son di Parigi?

CARLO             Si (e poi aprendo una lettera) Oh l’amico Bianchi!

STEFANO   Chie? L’avvocato?

CARLO             Già!

STEFANO   vai! Qualche altro chiodo che gli è sortito fori!

CARLO             Ma no… (e incomincia a leggere, mentalmente; però a un certo punto la sua faccia ha

un’espressione di sorpresa che apparirà sempre più manifesta col procedere nella let-tura)

STEFANO     (cui non è sfuggito il particolare) E n’è venuta qualchedun altra l’ho detto!

CARLO             (dissimulando) Macchè!... (e continuando a leggere)

STEFANO     Uhm!... A me m’importa poco; tanto unn’avrè a pagare!

CARLO             (simulando indifferenza mentre rimette la lettera nella busta e la ripone nel portafogli)

Mi scrive che vuol vedermi per via di certi indirizzi… STEFANO Indirizzi?..

CARLO             Già; per un su’ cliente che dev’andar a Parigi… (e quindi per troncare) Oh, ma che ore

sono? (e intanto trae l’orologio di tasca) Cinque minuti alle dieci! Ora bisogna cominciar a sollecitarle davvero, queste signore.

STEFANO    caspiterina, sicuro! Ma icchè le fanno? (e così’ dicendo si avvia verso sinistra per

chiamarle) E ci si ghiaccia i tortellini se no


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SCENA XI

Detti, Marianna, ELISA

(Marianna in quel mentre apparisce sulla prima porta di sinistra col cappello in testa e vestita da

fuori)

STEFANO     Ahn! Giusto e’ venivo a chiamarvi! O l’Elisa?

MARIANNA                 O la unn’è venuta?

STEFANO   Noialtri la un s’è vista

CARLO             (che l’ha scorta in giardino, mentre si avvicina) Eccola, eccola è qui.

STEFANO     Oooh!

CARLO             (rivolto verso il giardino) Presto , siam pronti! S’aspettava te!

ELISA                (il cui aspetto appare assai turbato, mentre comparisce sulla porta di fondo) Scusatemi

tanto… abbiate tanta pazienza… ma, credete, è impossibile… un posso venir altrimen-ti.

CARLO             Come?

STEFANO   O icchè t’ha fatto?

MARIANNA Icchè gli è successo?

ELISA                Uh!... Un mal di testa, se sentiste, che mi par d’impazzire!.

MARIANNA Perbacco

STEFANO     Tutt’a un tratto?

MARIANNA O come mai?

ELISA                Un lo so neppur io. Mentre mi vestivo, di là… Anzi, era andata un po’ in giardino per

veder se un po’ d’aria…

MARIANNA E la un t’ha fatto nulla?

ELISA                Macché! È inutile, bisogna che mi vada a sdraiar un po’ su i letto.

STEFANO   O accident’a ogni cosa, pe’ davvero!

CARLO             Ma guarda che disdetta!

MARIANNA maledetto i diavolo, ora!

ELISA                Oh, ma voi potete andar lo stesso; un vi preoccupate di me.

CARLO             Ah, no,no,no! Ma ti pare? Sarà per un altro giorno. Oramai s’è detto d’andar tutti insie-

me…

MARIANNA (che mal rinunzia) Perché, proprio via,t’un ti senti, nemmen co’ un po’ di sforzo?

STEFANO     Andiamo, sforzati…

ELISA                E’ Impossibile! Mi sento troppo male…. Anzi, scusatemi, ma un fo’ complimenti vo in

camera mia a mettermi un po’ a  letto a i buio (e va via dalla prima porta a sinistra)

CARLO             (All’Elisa) Ma ; fa, fa i tu comodo (e poi a Marianna)  Non ci ha’ niente zia?

MARIANNA Si, aspetta; ci ho aver una presina di piramidone ni’ comodino (e segue la figlia uscen-do) Accidempoli! Oramai ci s’era fatto la bocca!... (e va via dalla prima porta a sinistra)


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SCENA XII

Stefano, Carlo, Santina

STEFANO     (appena uscite le donne esplodendo) Mondo indemoniato, serpente, ladro, assassino!

Io un lo so’ icchè ho addosso.

CARLO             Un ti confondere…

STEFANO   I’ diavolo ‘n corpo e m’ha esser entrato, la sperpetua… (e quindi accennando al ritratto

in fondo). Già, gli è lui, eccolo li che gli è che prega perché un me ne vada una a palli-

no.

SANTINA       (affacciandosi guardinga dalla porta di fondo) Che si pole?

STEFANO     Icchè c’è?

SANTINA       (entrando e facendosi vicina a Stefano coll’aria di chi ha da rivelare una cosa importan-

te e al tempo stesso gelosa) E c’è che ce gli ho chiappati questa girata..

STEFANO   Chie?

SANTINA    Tutti e tre, cardi cardi, nella serra de limoni: la Filomena, i sor Aristide e la signora.

STEFANO   Come?! Ahn, figli di cani! (e poi a Carlo) Vai! Ecco spiegato l’arcano, mondo vile!

CARLO             Ma quando è stato?

SANTINA    Ora, gli è pochi momenti.

STEFANO     (a Carlo) Ha tu visto? (e poi a Santina) E icchè dicevano; t’unn’ha potuto sentir nulla?

SANTINA    La mi lasci dire. Oh, ma però, mi raccomando, un vorre’ andrà di mezzo.

STEFANO   Unn’ave’ paura. E ti fò un vestito, figurati, quando tu se’ sposa, che t’un te l’ha ne-

anch’a sognare.

SANTINA    Sicchè, io ero li, dinanzi, che facevo un po’ di radicchio nell’orto, quando, a un tratto, e

ti veggo i sor Aristide veni’ chiotto chiotto pe’ i ciottolino rasente la macchia, e gl’infila

nella serra de’ limoni. Lui un mi potea vede’, perché e ci aveo le canne che le mi ripa-

ravano. Ci siamo” ho fatto tra me e me; perché me ne son subito dubitata; e difatti, do-

po un po’, eccoti dalla parte di sotto la Filomena colla signora; e le ‘nfilan nella serra

anche loraltre. Allora e m’è venut’un’idea; carponi, carponi attendendo persin’i fiato, e

mi son ita a nasconde dietr’una stoia; e di li, gli era come se fossi stata nella serra; e

sentio veramente bene.

STEFANO   Brava bambina! (e con una mossa comica la bacia in testa) E icchè t’ha sentito? Di,

di…

SANTINA    Ora, proprio su i principio di discorso un v’ero; ma quand’e son arrivata e ragionavan

che la signora la dovea veni’ con loraltri a far una girata ‘n automobile. E, anzi, lei, a

quanto ho potuto capire, la ci venia volentieri; ma que du’ mammalucchi gli hanno co-

minciato a dirgliene tante, a empirgli i’ cervello con tanti paragoni che l’ha dovuto fini’

per impromettergli di nun venir più.

STEFANO   Brutti vigliacchi, briganti, assassini! (a Carlo) Ha’ visto, dunque chi gli è stato? Ma io ne

n’ero dubitato che gli era un trucco fatto espresso, i mal di testa; e mi parea ‘mpossibile

così a un tratto…

SANTINA    Infatti, gli eran rimasti ‘ntesi così. E si son raccomandati tanto, tutt’e due che, pe’ carità,

la un gli compromettesse.


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STEFANO   Ah sì! Eh?! Ma badin, però, figli di cani, che i capo un gliene faccia doler io a loro, a son

di nocchini! (e poi a Carlo) E te tu ti facevi dell’illusioni, colle prediche! Che se’ persua-

so, ora? Macchè discorsi, mondo cane! Un pedale di querciolo e ci vole… e bombe a

mano!

CARLO             (calmissimo) Un te la pigliare, va là.

STEFANO     (meravigliato per la calma del nipote) Ma come un me l’ho a pigliare?!

CARLO             Ma no…

STEFANO   O t’un mi fa’ bile anche te, mondo birbone, con codesta calma!

SANTINA       (A Stefano) No, no l’ha ragione a stizzirsi.

CARLO             (A Santina) Si, aizzalo anche!

SANTINA    Perché l’è una vera vergogna. Ma poi unn’ho finito… un gli ho mica detto d’icchè si son

‘ntestati.

STEFANO   D’icchè?

SANTINA    Di far andà via i so’ Carlo di quassù, e d’un gli ci fa più rimette’ piede.

CARLO             (sempre calmo) Ahn, senti!

STEFANO (meravigliato per l’assurdità della pretesa) Icchè? Come t’ha detto?! SANTINA Vorrè morire…

CARLO             Vol dire che aspetterò l’usciere collo sfratto.

STEFANO   Ma che son briachi?.

SANTINA    E son briganti! La sentisse icchè gli hanno ‘nventato alla signora, pe persuaderla per-

ché la gli dica che se ne vada.

STEFANO   Come, come come? Sicché dovrebb’esser l’Elisa che la dovrebbe dir a lui?... (accenna

a Carlo)

SANTINA    Già; ma però lei la un gli voleva mica da retta, su i principio. Gli è che poi, con tutta

quella po’ po’ di roba che gli hanno dato a credere, e sfido chissiunque…

STEFANO     O icchè gli hanno dato a credere?

SANTINA    E sa, se le un son tutt’infamie ch’e si son levati appositamente dalla testa, e vorre’ ac-

cidentare. Perché, si, ‘n paese e potranno dire, che la signora e i so’ Carlo… e potreb-

ban essere una bella coppia; ma che ci sia una persona capace di pensar cose di ma-

le, questo no, garantito.

STEFANO     E loro, ‘nvece e gli avrebbero dato da intendere?...

SANTINA    Che quassù.. e ci sarebbe la chiacchera.. Oh, Dio! Unne ‘mporta che mi spieghi tanto;

l’ha capito da sé.

CARLO             (sdegnato) Oh, spudorati davvero, vigliacchi!

STEFANO     (a Carlo) Che se’ persuaso? Ha tu sentito che po’ po’ di feccia l’è quella o vagli a far le

prediche, te! (indi dopo una breve pausa, con un’improvvisa risoluzione) Dammi i’ cap-

pello. (e fa l’atto di cercarlo).

CARLO             (che comprende la di lui intenzione) Per farne che?

STEFANO     (che ha visto il cappello su di una sedia dove lo aveva deposto poco prima) Lasciami

fare (con mosse energiche e comiche va a prenderlo e se lo mette in testa; poi sempre

con identico atteggiamento, toglie da un angolo un nodoso bastone da campagna)


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CARLO             Ma dove vai?

STEFANO   In do’ vo? (e quindi tirandosi sugli occhi la visiera del berretto e agitando il randello) A

noi!

SANTINA    Accident’ a quelle che le vanno di fori!

CARLO             Ma vien qui… ma fammi il piacere…

STEFANO     (facendo l’atto di incamminarsi verso il fondo) Cheh! Questa volta l’è la strage degli in-

nocenti.

CARLO             (trattenendolo) Ma via…

STEFANO     Un mi regge neanche Raicevicche. Lasciami ire.

SANTINA       (a Carlo) Sicuro! E ci vole uno sfogo.

STEFANO     (a Carlo) Lasciami andar, ti dico!

CARLO             (in tono risoluto) Ah! No insomma!

STEFANO   Tanto gli è inutile, e li ritrovo a comodo, se no..

CARLO             Sì, ma ora vieni qui,e sta’ calmo. Ti prometto che penso io a metter a posto ogni cosa.

STEFANO   Con un’altra predica? Cheh!

CARLO             No, con du parole soltanto, vedrai che saranno più che sufficienti. Ti do la mi parola

d’onore: sé  contento?

SANTINA    Oh, mi raccomando: noialtri un ci siam visti, però?!

CARLO             No, no; và pure e unn’aver paura.

SANTINA    Arrivederli, allora (e va via dal fondo)

CARLO             Arrivederci.

STEFANO     (gridandole dietro) Addio, bambina! E sta tranquilla; non soltanto i’ vestito, ma anche

se’ paia di calze t’ha avere.

SCENA XIII

Stefano Carlo

STEFANO     (Appena uscita Santina) Oh, però, t’avverto che, se un mi sfagiola i tu ritrovato, e mi

riattacco a qui santo (e indica il bastone che a Carlo è riuscito di togliergli di mano)

CARLO           D’accordo.

STEFANO     E allora,sentiamo.

CARLO             Però, bada bene di non commetter leggerezze. Mi posso fidare della tu serietà?

STEFANO     Discorsi!..

CARLO             D’accordo.

STEFANO     E allora,sentiamo.

CARLO             No; dico così, perché si stratta d’una cosa delicata che dall’Elisa non dev’esser risapu-

ta. E, anzi, appunto perché dev’esser tenuta nascosta, si farà un piccolo sacrifizio, fra me e te…

STEFANO     Che sacrificio?


29


CARLO             Vol dire che se, un giorno, per non vedersi costretti a delle confessioni, sarà necessario

simulare d’aver riscosso certi denari e metter fuori… dell’argent…

STEFANO   Icchè? Mano alla borsa?! Tu fa bene a dirlo ‘n francese, perché un capisca.

CARLO             Be’, se ne ragionerà di questo. Io, intanto, piglio que’ du’ signori – la Filomena e

quell’altro – e gli fo un discorsino semplice, semplice: o voi confessate all’Elisa che tut-

to quello che gli avete dato a bere unn’è che un sacco di bugie, e la finite una bona vol-

ta d’immischiarvi ne’ fatti suoi; o, se no, noi gli si spiattella pari, pari…

STEFANO     Icchè?

CARLO             (Traendo dal portafogli la lettera dell’avvocato) Ecco qui: tieni: (e porge a Stefano la let-

tera) Questo è quanto mi scrive l’avvocato.

STEFANO     (prendendo la lettera) O icchè c’entra?

CARLO             Leggi.

STEFANO     (Apre la lettera e comincia a leggere) “Caro Carlo, ricevo in questo momento la nota

dettagliata dei prelevamenti     fatti dal defunto marito di tua cugina nei magazzini del

Piccolo Louvre e Dio… che disastro! Immagina che il famoso credito viene ad essere

completamente assorbito, ad eccezione di poche centinaia di lire: e il peggio si è che si

tratta quasi esclusivamente di generi per signora.” (quindi interrompendo la lettura) Ic-

chè vol dire?

CARLO             Va avanti.

STEFANO     (leggendo) “Vedi bene dunque che quel vago sospetto che m’era subito sorto da un

primo sommario esame dei libri contabili e che ti manifestai l’altro giorno è divenuto

purtroppo certezza…”  (interrompendo di nuovo la lettura) Che sospetto? Di qualche al-

tro sbaglio?

CARLO             Seguita fino in fondo.

STEFANO     (leggendo) “In quanto è da escludere nel modo più assoluto che tua cugina, della quale

conosco troppo bene i gusti e le abitudini, possa aver avuto per sé tanta roba e di così

rilevante valore. Conclusione dunque…” (interrompendo ancora)Tanti puntini…

CARLO             Ha capito?

STEFANO   T’avrà capito te; ma i unn’ho capito nulla. (e ricominciando a leggere) “ Ti prego, dun-

que, giacchè sei fra quei fortunati mortali che posseggono un’automobile, di farmi il fa-

vore di passare sabato prossimo dal mio studio, per parlare un po’ fra noi e metterci

d’accordo su come dovrò regolarmi di fronte a immancabili ulteriori premure da parte di

tua cugina, per la liquidazione del suo, purtroppo, ormai, soltanto presunto credito. Sa-

luti”… (interrompendo la lettura) E icchè centra?

CARLO             Un ti par chiaro abbastanza? Se dunque, tutta questa roba per un valore di qualche

decina di migliaia di lire non l’ha avuta l’Elisa – e dianzi tu ha sentito a che cosa si ridu-

ce quello che ha avuto lei – vorrà ben dire che l’avrà avuta qualchedunaltra; e siccome

unn’è da presumersi che si regalino delle decine di migliaia di lire, per puro spirito di li-

bertà, unn’è azzardato trarre la conclusione che questa qualchedunaltra…

STEFANO     (che ora incomincia a comprendere) Icchè? Gli avea qualche strappina? (e poiché Car-

lo fa una mossa per dire” la cosa non si spiega in altra maniera”) Figlio d’un cane! Gli

avea un’amante, ha capito!

CARLO             Ma che urli!!.

STEFANO   Gli è stato pe le donne che s’è rovinato, sicchè?!..


30


CARLO             Ma un gridare ti dico.

STEFANO   Brutto impostore che unn’era altro! E quella ‘mbecille che la lo piange e che la ci tiene ‘n galera da un anno pe’ via di lui! Gli avea una moglie che l’era un fiore, unn’era degno nemmen di baciar in do la camminava – brutt’aborto rachidinoso gobbaccio - e lui si perdea colle sciacquine! E anche di vede’ crepa’ me e s’augurava, capisci, ve via…

CARLO             Ma sì tu me l’ha detto.

STEFANO   E te ora tu mi vorresti leva’ la soddisfazione di smascherarlo, e tu pretenderesti che mettessi fori anche de quattrini perché la su moglie la un sappia che razza di canarino l’ha avuto a che fare? Cheh, mondo ladro, lo vo’ veder demolito! (e poi rivolto verso il ritratto di fondo) Questa l’è la mi vendetta per tutt’icchè tu m’ha fatto patì da vivo e damorto.

CARLO             Un fare sciocchezze…

STEFANO   Intanto mondo serpente… (con mossa fulminea si lancia verso il fondo afferra una se-dia, quella dove prima aveva deposto il cappotto, l’accosta alla parete sotto il ritratto)

CARLO             Che fai? (e intuendo l’intenzione dello zio, si precipita verso di lui)

STEFANO   Un volean butta’ for di casa te? E io butto lui! (monta sulla sedia per togliere il ritrat-

to,nonostante gli sforzi di  Carlo)

SCENA XIV

Detti e Filomena

FILOMENA (che è comparsa sulla porta di fondo, in tempo utile per udire queste parole) Uuuuh! (e fa per slanciarsi verso Stefano nel tentativo di opporsi)

STEFANO     (cui la vista della donna acuisce la rabbia) Levatevi di qui, se no vi sbrano! (e fa l’atto di precipitar lesi addosso; ma Carlo lo trattiene)

FILOMENA (spaventata caccia un grido) Aaaah!

CARLO             Zitta, perdio! (e la respinge a forza fuori dalla porta di fondo)

SCENA XV

Stefano, poi Elisa Marianna e Carlo

STEFANO     (intanto ha afferrato il quadro, tenta di staccarlo; ma è troppo pesante) Ah, no? T’un vo

venire? (e sempre in preda alla più viva agitazione, da una rapèida occhiata intorno) E

allora aspetta. (a un tratto, il suo sguardo di posa sul cappotto che è lì sulla spalliera

della sedia, l’afferra in un lampo, lo distende e lo getta sul quadro, a mo’ di tendina,

mentre esclama) Codesto muso davanti un lo vo’ veder più! (in questo mentre Elisa e

Marianna entrano dalla prima porta a sinistra)

ELISA                Che è successo?

MARIANNA Icchè c’è?

STEFANO   Gli è un santo, questo, che va tenuto coperto; perché fa troppi miracoli, se no! (e cala la

tela mentre Carlo fa un gesto come per dire “ma che ti metti a fare?”)

CALA LA TELA


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ATTO          III

La stessa scena degli atti precedenti: però non più traccia di fotografie del povero Orazio, sui mobili, né del ritratto a olio alla parete di fondo. Questo ritratto trovasi ora, a terra appoggiato ad una della pareti insieme con un altro quadro d’analoghe dimensioni. Le figure d’ambedue i quadri sono, però, rivolte verso il muro.

SCENA I

ELISA, Marianna, Carlo

(All’alzarsi della tela i tre sono seduti presso la tavola; ELISA in mezzo rivolta verso il pubblico, collo stesso vestito dell’atto precedente, ha davanti a sé alcune carte manoscritte coll’intestazione «Al piccolo Louvre». Marianna a destra, ha il cappello in testa, Carlo a sinistra prende appunti col-la matita).

CARLO             (all’Elisa dopo aver preso appunto sul foglio che ha dinanzi)  Seguita pure…

ELISA                (cercando con gli occhi sulla carta) Allora, s’era rimasti..? (e poi leggendo) Tre settem-

bre: Numero dodici paia calze sta, qualità extra, lire dugentottanta.

MARIANNA Tutta extra, un si sbaglia; la un facea mica di noccioli!

ELISA                (dopo che Carlo ha appuntato) Nove settembre…

MARIANNA                 Ma ce n’è dimolte ancora?

CARLO             No, siamo ormai all’ultime partite.

ELISA                (leggendo) Taglio d’abito “ charmeuse” lire centonovantacinque

MARIANNA (mentre Carlo appunta) Dio benedetto, ma la ce ne dovea aver un magazzino, de’ ve-stiti.

ELISA                (continuando a leggere) Diciotto settembre: paracqua in seta finissima, per signora, conimpugnatura d’oro a diciotto, lire quattrocentoventi. (e poi dopo aver dato tempo a Carlo di appuntare) Idem gloria, lire quarantanove e settantacinque (con un riso ironico) que-sto l’è per me.

MARIANNA Figlio… (e poi riprendendosi) d’un bon omo davvero… Senti, oh! Per lei quattrocento

lire, e pe’ te….

ELISA                Quarantanove e settantacinque, ha’ capito? Tiriamo avanti: ultime du’ partite

MARIANNA E’ mi parrebbe l’ora!

ELISA                Ma però vien il bello!

CARLO             Dulcis in fundo

ELISA                (sempre leggendo) Quattro ottobre: numero sei paia di guanti inglesi per signora, lire

dugentodieci. E dieci ottobre:..

CARLO             (a Marianna) Attenta zia, a non cascar dalla seggiola.

ELISA                Mantello lontra con bavero e guarnizioni skoons lire diecimiladugento.

MARIANNA (caccia un grido d’orrore) Uuuh!..

ELISA                (gettando in disparte le carte) E è finito. Sfido a seguitar così!

MARIANNA Ma gli’ era matto!... I’ dodici d’ottobre: proprio tre giorni prima che s’ammazzasse. (e poi a Carlo) O tira un po’ la somma pe’ì vedere…


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ELISA                Oh, c’è poco da tirar le somme! E pensare che qui un si tratta che si spese di puro ve-

stiario, e per un anno soltanto; dalle quali si può arguire che cosa gli costava per il re-sto codesta donna! Ora si spiega tutto!

CARLO             (che ha terminato di sommare) Dunque, i totali sono questi: per sé, 854 e 90; 577 e 20

per biancheria di casa eccetera; 129 per te (accenna all’Elisa); e tutto il resto…

ELISA                Per lei! Oh, si, era l’ora che finisse una bona volta, quest’indecenza! (e poi a Carlo) e

guarda, sai, di’ all’avvocato che io mi disinteresso completamente, da qui in avanti, di

tutto ciò che lo riguarda: de’ su’ debiti, de su’ pasticci… unne voglio neppur sentir parla-

re.

MARIANNA (a Carlo) ma dimmi un po’: che siete proprio sicuri?

CARLO             Di che?

MARIANNA Che un sia successo degli sbagli?

CARLO             Ma ti pare! Ci si fece più delle dieci, ieri sera, allo studio, coll’avvocato e col ragioniere,

per controllare partita per partita

ELISA                Ma si…Altro che sbagli! Unn’aver paura, mi son tornate ‘n mente tante cose in questi

tre o quattro giorni, tanti particolari a’ quali, a suo tempo, unn’avevo prestato attenzione

o unn’avevo dat’importanza, nella mi’ stupida fiducia, e che ora capisco che unn’eran

che sotterfugi e astuzie… per farmi veder la luna nel pozzo. Oh, com’aveva ragione il

babbo a dire che era un’ipocrita! E dir che, pover’omo, gli ho dato tanti dispiaceri e l’ho

fatto tanto martire, per via di lui!

MARIANNA E io lo stesso!

ELISA                Ah, si; anche te! E quello che mi rincresce più è d’un poter, neppur ora, dargli la soddi-

sfazione di far le valigie e di tornar a Firenze.

CARLO             Come dire?

MARIANNA Perché?

ELISA                Perché unn’avre’ il coraggio di farmi veder neppure all’aria, nel dubbio che la gente

sappia che quel modello di marito di cui ha sempre portato a’ sette cieli le virtù, e che

ho  pianto  con  tutte  le  mi’lacrime,  s’è  levato  dal  mondo  perché  s’era  rovinato  per

un’amante. Ah, no, no; seguiterò a starmene quassù, in attesa… in attesa di che un lo

so neppur io.

CARLO             D’eventi!

ELISA                Già.

CARLO             Che potrebbero essere anche in via di maturazione.

ELISA                Come dire?

CARLO             No, no; ancora è troppo presto per potere…

MARIANNA (rivolta all’Elisa) O icchè gl’è sortito fori, ora di novo?

ELISA                Oh, oramai un mi farebbe meraviglia più nulla.

MARIANNA (curiosa di sapere, rivolta a Carlo) O diccelo, tira via; tanto, se si vol sapere, si gratt’ i corpo a i tu’ zio; unn’avrebb’ a regge’ nulla, lui!

CARLO             E appunto per questo mi son guardato bene di dirgli qualcosa – Ah, per la segretezza,

pover’omo. Gli fo legger la lettera dell’avvocato, gli raccomando il silenzio colle mani in croce, e quello mi si mett’a far una cagnara..


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ELISA                Tanto un giorno o l’altro avre’ dovuto saper per forza…

CARLO             Codesto poi…

ELISA                Cosa?

CARLO             Un sarebbe stato necessario.

ELISA                O prima o poi l’avvocato m’avrebbe dovuto render conto di come era fumato il famoso

credito.

CARLO             E, invece, t’avrebbe contato tanti biglietti di banca uno sull’altro…

ELISA                Prendendoli ‘n dove?

MARIANNA Alla “banca de’ monchi”

CARLO             Dal portafogli… dello zio, per esempio.

ELISA                Oh, il babbo un si sarebbe prestato, e avrebbe avuto ragione.

CARLO             E allora mi poteva pigliar a me il gusto di far ricorrere in anticipo il tu’ compleanno…

ELISA                (che incomincia a comprendere) Come?

CARLO             Oh Dio! Un regalo te l’avrè dovuto fare… E’ non pol esser un regalo anche quello

d’evitar a una persona un dispiacere?

MARIANNA Ma come? Tee?

ELISA                Ah, no,no,no! Una ragione di più per preferir mille volte che le cose sian andate così.

MARIANNA ma che ti pare, poerino, una somma ‘n quella maniera?

CARLO             Un sarebbe stato che un contraccambiare in piccola parte di quanto avete fatto voi per

me, mantenendomi fin a vent’anni.

MARIANNA (all’Elisia) Ma che lo senti, eh poro figliolo? E son pensieri che un potean venì che a lui che gli è sempre stato un angiolo, a lui che gli ha avuto sempr’ un core così, fin da pic-cino. E pensa che pe’ via di qui… (e poi trattenendosi) pace all’anima sua, tu bruciasti perfin i su ritratto che tu tenevi su i cassettone.

ELISA                (evidentemente imbarazzata e contrariata) Ma via, mamma, che c’entra ora…

CARLO             (che ha notato l’imbarazzo dell’Elisa, per tagliar corto, dopo aver consultato l’orologio) Oh, oh! Ma son le dieci e mezzo sapete; io la vedo ‘n pericolo questa messa, se un vu vi spicciate.

MARIANNA Uuuh! Le dieci e mezzo? (e poi all’Elisa) Via via gli è meglio avviarsi. Va a metterti i’ cappello. vol dir che se vien la sora Zaira a pigliarci, gliene dice lui (allude a Carlo) che no’ ci siamo avviate, ‘ntanto.

ELISA                (che intanto si sarà alzata e avrà raccolto le carte di sulla tavola, rivolta a Carlo con rammarico) perché, te un tu vieni?

CARLO             Ho da scriver qualche lettera¸ gliel’ho detto alla zia. Vi vengo incontro più tardi, se mai.

(Elisa via dalla prima porta di sinistra, portando seco le carte).

SCENA II

Marianna e Carlo

MARIANNA (alludendo all’Elisa) L’è restata male, ha tu visto, perché m’è scappato detto ‘n qui mo-do di ritratto? Ma la colpa la un fu mica di lei, sai. E’ fu lui, colle gelosie. Gli era meglio se ne facea meno, quando gli era fidanzato. Perché ‘n quant’a politica, e dava de’ punti a Giolitti. Un c’è stato che a i tu’ zio che un gli è ma riuscito di darglien’ a bere.


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CARLO             Un l’ha ma gabellato,via?

MARIANNA Cheh! (e quindi, dopo una pausa) Eh, lui i’ su pensiero un l’ha ma palesato a nessuno; ma se l’era fatto differente; e unn’ avrebbe dato di fori. Eh, per lui e’ fu un gran dispia-cere quando tu partisti.

CARLO             Come?!

MARIANNA Oh, mica che te n’abbia ma fatto un carico, sai; perché gli è troppo giusto che certe co-se, se un c’è l’inclinazione… Ma certo, però, se fosse dipeso da lui…

CARLO             Tu credi dunque?

MARIANNA Uh! Gli avrebbe fatto carte false, figurati!

CARLO             ma se io un mi so’ ma’ accorto di nulla.

MARIANNA Perché l’era una posizione, la sua, che unne stava di farsen’accorgere, vah!

CARLO             (con una certa amarezza) E anche la mia troppo delicata per poter parlare

MARIANNA (meravigliata) Come, come come? (e poi dopo una pausa) Ma allora un po’ di calducci-no, dunque?..

CARLO Quel tanto necessario per consigliarmi a emigrare verso climi più freddi. MARIANNA Sicchè fu pe via di codesto?

CARLO             Sicuro! La mi’ condizioni, allora, eran troppo diverse dalle vostre; e un mi poteva sem-

brar onesto, dopo tutti i benefizi che avevo ricevuti da voialtri, approfittar d’una simpatia fra du’ ragazzi…

MARIANNA Ma senti oh! I grullo…! Scusa se te lo dico…

CARLO             (come se udisse del rumore oltre la prima porta di sinistra) Zitta! Eccola!

SCENA III

Detti, ELISA, poi Stefano

ELISA                (col cappello in testa, quello del secondo atto, sulla prima porta a sinistra) Ecco fatto!

MARIANNA                 (alzandosi imitata da Carlo) Be’ ci si avvia?

ELISA                Andiamo, andiamo…

MARIANNA                 (a Carlo) Allora, gliene dici,se mai, alla sora Zaira...

CARLO             Sì, sì..

ELISA                (a Carlo) Dunque ci vieni incontro, eh?

STEFANO     che compare sulla porta di fondo,, canterellando e tutto raggiante rivolto a Carlo) Oh!Che s’è tornato?

CARLO             Pare.

STEFANO     (rivolto alle donne) E voi dove v’andate, alla messa?

ELISA                Già!

MARIANNA                 (avviandosi per uscire)  ‘Gnamo, ‘gnamo; se no s’arriva a i “Sàntusse”

ELISA                (seguendo la madre)  Arrivederci a poi!

CARLO             A più tardi!

STEFANO     Buona messa.


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ELISA                (facendo una carezza a Stefano) Addio babbo! (Elisa e Marianna via dal fondo)

SCENA IV

Stefano, Carlo

STEFANO     (che nel voltarsi ha scorti i quadri appoggiati alla parete) Toh! O che son sempre qui

quest’impicci? Gli aveo fatto dir che venisse a pigliarli a qui villan fognuto di’ contadino,

pe portarli in soffitta; ma sie!... (indi fregandosi le mani per la contentezza) Dunque sai:

una gran novità!

CARLO             Che c’è? Infatti, già, ti vedo tutto raggiante.

STEFANO   Sta’ zitto! Un affare che, se mi va ‘n fondo, unn’ho ma’ preso sbornie, ma questa volta

ne piglio una da cataletto. Non tanto pe’ i guadagno, quanto pe’ la soddisfazione di

unn’ave’ sacrificato un anno quassù ‘n galera, a ufo pe’ i su be’ muso. (e accenna ai ri-

tratti appoggiati al muro)

CARLO             O di che affare si tratta?

STEFANO   E’ son sull’undici once di vende la villa.

CARLO             la villa?

STEFANO     Sicuro!

CARLO             ma che ha bell’e preso degli impegni?

STEFANO   Quasi. E’ c’è di già quassù i’ compratore. M’ha detto la fattoressa di’ conte che gli è an-

dato co’ i fattore a veder i podere di sotto, ‘ntanto.

CARLO             Ma guarda sai d’unn’impegnarti definitivamente prima d’aver sentito l’Elisa, Stefano.

STEFANO     Perché?

CARLO             perché… dice così che la si vergogna a tornar a Firenze, siccome ha paura che la gen-

te sappia… capisci?...

STEFANO   Come?!... E così s’avrebb’ a patir dell’altro e perder l’occasione? Macchè! Se la un vo’

tornà a Firenze, s’andrà a Roma, a Milano, ‘n America, ni’ Tonchino… ma quassù un ci resto nemmen mezz’ora di più, e a guadagnar quaranta o cinquanta fogli da mille…

CARLO             (a cui la cifra pare esagerata) Eeeh?

STEFANO   Icchè? Ma a di’ poco, via; perché se i posto gli piace, gli è uno che un lesina su i prez-

zo; e un c’è nemmen rimorso a tirargli i collo. Gli è un pescecane, figurati, che ‘n tre o

quattr’anni, da un negoziuccio di mobilia che gli era prima della guerra, gli ha messo

‘nsieme un patrimonio che un lo sa nemmen lui quanto.

SCENA V

Detti e Santina

SANTINA       (comparendo sulla porta di fondo rivolta a Stefano) E v’è un signore che lo manda i fat-

tore di conte.

STEFANO   Vah! Lupus est in camiciola! (e poi a Santina) Va’ vai: corri. Indo’ gli è? Fallo passare.

SANTINA    Gli è qui. (rivolta verso l’esterno) La passi, so’ signore.

STEFANO     (che si è precipitato verso la porta di fondo, pure rivolto verso l’esterno) Oooh! La ven-

ga, la venga… (Santina via dalla seconda porta di sinistra).


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SCENA VI

Stefano, Carlo, Leoniero

LEONIERO (Tipo di recente arricchito, gran catenone d’oro, una quantità d’anelli in dito, spilla mo-numentale alla cravatta, aria grave. Avrebbe la pretesa di parlar con una certa ricerca-

tezza, e infila, invece, uno sproposito più grosso dell’altro. Entra dal fondo) Che sareb-be lei i’ cavalier Balestri?

STEFANO     (tutto complimentoso) Precisamente; proprio io ‘n persona, pe’ servirla. E lei lo manda ilfattore? (indi porgendogli una sedia) Prego, la s’accomodi…

LEONIERO Grazie; un sono stracco (e poi) Già; e’ mi manda Natale; anzi, e’ m’incombenza di rap-presentargli le su’ scuse, perché, quarmente, unn’è potuto venire, pe’ via che l’ha fatto chiamar i’ conticino…

STEFANO     Che?

LEONIERO Si… i figliolo di conte… di’ padrone… STEFANO Ahn… cheh che, un vol dire; e’ fa lo stesso. LEONIERO (presentandosi) a proposito! Barsotti Leoniero.

STEFANO     (porgendogli la mano) Felicissimo tanto piacere..(e poi presentando Carlo) I,’ professo’Corradi, mi’ nipote, pittore di vaglia.

LEONIERO Di Vaglia? Senti! Be’ posto! E allora siamo quasimente coetanei: i son di San Piero a Sieve.

CARLO (dando la mano a Leoniero) No, no, io son di Firenze… lo zio voleva dire… STEFANO (a Leoniero) Già, pittore di fama…

LEONIERO Ahn, ahn? Sicuro! Quand’ e’ c’è l’appetito… STEFANO E’ poderi, sicchè, gli hanno girati?

LEONIERO Si…una visita così a voluvà… Siccome l’è una partita, quella, che n’ho una conoscenza arquanto alimentare; motivo la quale mi rimetto a i fattore. Come situazione di posto, però la un mi disdice.

STEFANO   Aaah! Come posto, bisogna lasciarlo stare: un paradiso terrestre. Lei la venga a stà quassù e po’ la mi rammenta nsin che la campa.

LEONIERO Aria mefitica, eh?

STEFANO     Come dice?

LEONIERO Aria bona, vo’ dire?

STEFANO   Aaah! Uh! Unne ragioniamo nemmeno! Un’aria che la fa risuscitar anch’i morti, gliene garantisco. A quest’aria che qui la pol mangiar i decini; dopo du’ ore la gli ha digeriti, la pole sta sicuro.

LEONIERO Bene, bene! E’ sarebbe proprio quello che combinerebbe a i’ caso. Io, ‘nfatti, se mi so-no addotto a comprare gli è stato appositivamente pe la mi signora il quale l’è di salute arquanto ragionevole, e i medici gli hanno proscritto, più di tutto, aria bona pe’ restau-ragli l’organico.

STEFANO   E allora gli è icchè ci vole. La venga, venga, gli fo veder la villa. Dunque, questo che qui sarebbe i’ salotto da desinare.

LEONIERO Sicuro…


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STEFANO   Una stanzina, vede, che d’estate l’è una ghiacciaia e, d’inverno una primavera. Perché

noi ci siamo stati anche d’inverno, sa. Uh… Meglio che a san Remo! A me mi vien i bri-

vidi, la creda, a pensar a dover ritornare ‘n città tra quelle nebbie(indi incamminandosi

verso sinistra seguito da Leoniero) Di qua c’è dell’altre stanze, sempre esposte a mez-

zogiorno. (e poi mentre sta per passar dalla seconda porta a sinistra)La scusi, eh, gli fo

strada ( e va via seguito da Leoniero)

SCENA VII

Carlo, Zaira

ZAIRA               (elegantissima, comparendo sulla porta di fondo, non appena usciti Stefano e Leoniero)

Si può?...

CARLO             (voltandosi) Oh! Venga, venga… (e poi in tono scherzevole) Dopo tanto! Giusto dicevo:

“ma che diavolo è stato cos’è successo?

ZAIRA               (scherzando anch’essa) Oh, guarda, stava in pensiero? Infatti, la trovo dimagrato in

questi giorni;

CARLO             Ha visto?

ZAIRA               Ne faccio a meno!... Mi dica, piuttosto e le signore?

CARLO             Si son avviate…

ZAIRA               Di già? Che è così tardi? Allora scappo.

CARLO             Ma venga qui; tanto un fa mica più a tempo, sa, alla messa…

ZAIRA               Come?! Dice?

CARLO             Ma certo! Prima che la sia lassù è uscita chissà da quanto.

ZAIRA               E allora è inutile.

CARLO             Perfettamente.

ZAIRA               Mi secca; ma come si fa? Un mi riesciva di levarmi stamani: uno di que’ sonni!...

CARLO             Eh, già! E chi dorme, vede…

ZAIRA               Non piglia messe.

CARLO             S’accomodi…

ZAIRA               (sedendosi)Grazie. (e poi) Ma andai a letto dopo il tocco, sa ierisera.

CARLO             Dopo il tocco?! (e le siede vicino)

ZAIRA               Sicuro. Arrivai col treno di mezzanotte; e prima d’esser quassù colla mi’ brenna…

CARLO             Se l’avessi saputo, perbacco…

ZAIRA               Cosa?

CARLO             Che arrivava a mezzanotte, avrei preso subito la macchina… Era sola?

ZAIRA               Solissima!

CARLO             Ma guarda che peccato! C’era anche il chiaro di luna stanotte!

ZAIRA               Sciocco! (indi girando lo sguardo per la stanza) Ma che è successo qui?

CARLO             Ahn, nulla! S’è tirato giù i quadri, tanto quello (e accenna alla parete di fondo) che l’altro

di camera dello zio; perché gli va reso una mano di vernice.

ZAIRA               O le fotografie?


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CARLO             Le fotografie… sin son messe di là… nel salottino. Qui sta sempre aperto… e col so-

le… si scolorivano (e poi subito per troncare). Ahn, sicchè – senti senti- è stata a Firen-ze? Ecco perché un s’era più vista.

ZAIRA               Già; tre o quattro giorni. Mio marito dove’ partire improvvisamente, l’altra sera; e così

approfittai per andare in giù insieme. Lui poi, proseguì col treno di Bologna…

CARLO             E lei rimase a spassarsela, eh?

ZAIRA               Si! Altro che…! Commissioni dalla mattina alla sera e arrabbiature. Fra la sarta, la pel-

licciaia la modista… m’hanno fatto prender più bili! A arrivar a Ognissanti si fa presto, e ho bisogno d’esser pronta.

CARLO             Sicchè, dopo Ognissanti, proprio deciso?

ZAIRA               Ah si; me ne scappo in città. È da luglio, sa, che son in campagna: mi par che basti.

CARLO             Ammiro anzi la sua resistenza. E tutti gli anni se ne vengon così presto quassù?

ZAIRA               No: è il primo, veramente.

CARLO             Ahn! Volevo ben dire che una signora chic come lei! E dov’andava al mare, gli anni

passati?

ZAIRA               Già; il luglio e l’agosto… Poi il settembre e l’ottobre quassù… e allora passi. Oh, ma

l’estate prossima almeno un mese di bagni, un ci rinunzio.

CARLO             Ha ragione. E io allora a Luglio son in Italia un’altra volta.

ZAIRA               Che c’entra?

CARLO             Perché un voglio perder l’occasione di ammirarla in tricot

ZAIRA               Con lei è inutile, un si pol mai discorrer sul serio.

CARLO             Ma, scusi, o un c’è della gente che si move dall’America per venir a vedere de’ capola-

vori… di marmo?

ZAIRA               Grazie del complimento, ma se è per questo, si pol risparmiare la gita.

CARLO             Perché?

ZAIRA               Perché il tricot non lo porto: la donna a mascolinizzarsi un ci guadagna mai.

CARLO             Sicchè, massima riservatezza?

ZAIRA               Oh, Dio! Un dico un gonnellone fino alla caviglia.

CARLO             Né una di quelle stoffe pesanti che rinfagottano, vero?

ZAIRA               Ah, no… Ma un costumino colla su’ gonnellina fin al ginocchio…

CARLO             Di quella bella maglia di seta…

ZAIRA               Giustappunto! E difatti l’hanno scorso n’avevo due proprio così.

CARLO             Ahn si? Ma guarda combinazione, come ci si trova d’accordo ne’ gusti!

ZAIRA               È lusinghiero, con un artista.

CARLO             No; è naturale, piuttosto, fra artisti. Perché è un’arte anche quella di sapersi abbigliare

come sa lei.

ZAIRA               (lusingata schernendosi) Un po’ di gusto… (indi, avendo notato ch Carlo l fissa, dopo

essersi guardata addosso per accertarsi il motivo) Ma cosa mi guarda?

CARLO             (alludendo alla borsa da passeggio che Zaira tiene in grembo) Splendida cotesta borsa!


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ZAIRA               Questa? La vede ora? Ma se la porto sempre!

CARLO             Un m’aveva ma ‘ dato nell’occhio. Permette?

ZAIRA               Oh! (porge la borsa)

CARLO             (dopo averla presa osservandola)  Magnifica questa cerniera. Oro?

ZAIRA               A diciotto

CARLO             E questa, se unne sbaglio, dev’essere pelle…

ZAIRA               D’antilope.

CARLO             Già, già; d’antilope! E dentro ci sarà il suo necessaire da toilette, naturalmente?

ZAIRA               Oh, apra pure…

CARLO             Un volevo commetter indiscrezioni.

ZAIRA               Per carità!

CARLO             (osservando l’interno della borsa) Molto, molto graziosi questi gingilli! (e poi appres-

sandosela aperta alle narici e aspirando voluttuosamente) Aaaah!

ZAIRA               Cosa?

CARLO             Che eccellente profumo questo… questo… è aspetti.. un me lo dica… “Sultana”!

ZAIRA               Macchè…

CARLO             (contrariato) No? Ma come? Proprio?...

ZAIRA               Unn è che modestissima violetta.

CARLO             Eppure avrè giurato… Ma c’è una certa rassomiglianza, allora.

ZAIRA               Un dica eresie… Quello è un profumo assai più fine.

CARLO             Ahn, sicchè lo conosce, l’ha adoperato, però?

ZAIRA               Oh, tanto tempo; ma ora è doventato così caro!...

CARLO             E quanto sarà che non l’adopera più?

ZAIRA               Perché?

CARLO             Per curiosità.

ZAIRA               Oh, mica dimolto. N’avevo qualche flacone; e l’ultimo sarà tre o quattro mesi che l’ho

finito.

CARLO             Ahn!... Vede, dunque, che un m’ero ingannato? Siccome quello è un profumo molto re-

sistente, la borsa ha conservato ancora la fragranza.

ZAIRA               ma lei, allora, ha un fiuto da can da caccia.

CARLO             (con intenzione) Oh! Ho un naso io, se sapesse!

SCENA VIII

Detti e Stefano

STEFANO     (Comparendo sulla seconda porta di sinistra) Carlo!

ZAIRA               Oh, bongiorno Cavaliere!

STEFANO     (rispondendo al saluto) Bongiorno! (e poi subito a Carlo) Abbi tanta pazienza; i’ ho bi-

sogno di te, pe’ via… (e gli strizza l’occhio)


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CARLO             Si, si… un  momento.. Ora vedi? Poi vengo…

ZAIRA               (a Carlo)  Oh, ma faccia pure, professore; un si preoccupi…

CARLO             Ma no…

ZAIRA               Tanto bisogna che vada… ( e si alza)

CARLO             (pure alzandosi) Proprio? Ma mi dispiace… per l’appunto…

STEFANO     E’ mi dispiace anche a me; ma l’è cosa, la creda, che un n’posso far a meno.

ZAIRA               Ma che discorsi! Meriterebb’il conto di far de’ complimenti fra noialtri! E poi voglio andar

un po’ incontro all’Elisa e alla signora Marianna. (e quindi) Be’ cavaliere…(e così di-cendo porge la mano a Stefano)

STEFANO     (dandole la mano) Arrivederla!

ZAIRA               (porgendo la mano a Carlo) Professore…

CARLO             (dandole la mano e accompagnandola poi fin sulla porta di fondo) Allora, bona passeg-

giata… e bon appetito a su’ tempo.

ZAIRA               Grazie. ( e poi uscendo dal fondo) Di novo… (via)

CARLO             (di sulla porta di fondo, con un inchino) Novamente… e scusi…

SCENA IX

Stefano, Carlo

STEFANO     (appena uscita Zaira) Mondo birbone, o t’un lo sa’ che ci ho Leoniero di là? E te tu ti

metti a trattenerla! I’ un vo’ mica fa’ sape’ le mi brache a tutti.

CARLO             Ma io credevo, siccome questa stanza gliel’avevi bell’ e fatta vedere…

STEFANO   Noe, vah; e’ gli vo’ offrir da rinfrescarsi.

CARLO             O dove tu l’ha lasciato quel “vocabolario della Crusca”?

STEFANO   E l’ho mandato su i’ torrino a veder la visuale (e poi). Dimmi, a proposito che ce n’è più

di qui vin santo che tu portasti da Firenze?

CARLO             Si; du’ bottiglie ci son sempre.

STEFANO   E, allora, fammi i’ piacere, stapppane una, e poi tu tiri fori i biscotti e i’ bicchierini. Io

torno di là. Oh!... A vele gonfie, sai; gli è restato entusiasmato (e fa per avviarsi verso

destra)

SCENA X

Detti, Santina, Leoniero

SANTINA       (in quel mentre, comparisce sulla seconda porta di sinistra, e rivolta verso l’interno) La

passai, la passi… (ed entra seguita immediatamente da Leoniero)

STEFANO     (a Leoniero) Oh! La venga… che ha bell’ e fatto? Ha visto, eh, che panorama, che ma-

gnificenza lassù?

LEONIERO Proprio vistoso!

SANTINA       (Santina via dal fondo)

SCENA XI

Stefano, Carlo, Leoniero


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STEFANO     (a Leoniero)La s’accomodi… (e gli porge una sedia) Che gradisce un bicchierin di vinsanto?

LEONIERO (sedendosi presso la tavola) Grazie, propriamente.

STEFANO   Gli vo’ fa’ sentire che genere di vino e’ si fa coll’uva di possesso. ( e così dicendo, trae

dalla credenza una bottiglia, bicchierini, salviette e biscotti) Un vino vede, che per ri-mette’ le forze alla su’ signora gli è meglio di ferro china. (indi, presentando a Leoniero il porta dolci) Du’ biscottini?

LEONIERO No… proprio…Senza querimonie.

STEFANO   Due soli…

LEONIERO Grazie… davvero… A mezzogiorno e’ si pranza, gli ha detto i’ fattore; e’ mi scomodere’ i desinare.

STEFANO     E allora la beva (e mesce)

LEONIERO Un gocciolino…

STEFANO     (mentre riempie gli altri due bicchieri) Dunque, dunque? … Sicchè, la mi dica un po’: ic-chè gli è parso, come l’è restato soddisfatto della visita?

LEONIERO (che intanto ha bevuto, tutto d’un fiato, il bicchierino) Speciale, questo vinsanto! (e quindi, prendendo la bottiglia e tornando a riempirsi il bicchiere)Uh! A proposito… e’ men’ero dimenticato… (e poi sollevando il bicchiere)Alla salute, eh? (e torna a bere tutto

un fiato).

CARLO             Alla sua!

STEFANO   A quella si so’ Barsotti, perdindirindina!

LEONIERO Si, si: come gli ho rappresentato, la villa, sia come locazione di’ posto, e medesima-mente come ambientazione delle stanze, la mi s’addice plenariamente; ma i’ prezzo, però, e mi sembra arquanto esuberante.

STEFANO     I’ prezzo? Come, gli sembra troppo?!

LEONIERO E’ mi sembra troppo!... Non mica, intendiamoci, che i Barsotti, gli abbia ritenzione a spendere anche dieci vorte di più i doppio; perché la domandi di me ‘n Firenze e gli di-ranno che sono ‘ndividuo che se anche e’ mi pigliasse l’allusione di comprare tutt’icchè si vede da i’ torrino, lassù…

STEFANO   Eh, perbacco, e’ s’avrebb’a sapere e me l’ha detto i’ fattore!

LEONIERO E la pol credere che un son nemmeno uno di quelli stitici a mette’ mano a i’ portafoglio; specie quand’ e’ si tratta della salute di’ focolare domestico, icchè ci và e’ ci vole; i’ un conosco arcani.

STEFANO   E’ lo credo. Brao so’ Barsotti! Ma, noi e s’è sentito subito che l’è un omo che la discorre dimolto bene.

LEONIERO Io ‘ntendevo dir, dunque, che i’ prezzo la quale la ne domanda e’ mi sembra esuberan-te, no per i’ portafoglio, ma pe’ i’ varsente ‘strinseco di possedimento.

STEFANO   La un lo dica,so’ Barsotti, la un lo dica nemmen pe’ chiasso, lei che l’è una persona

‘ntelligente… e istruita. E ci rimetto un sacco di quattrini (e poiché Leoniero ha un at-

teggiamento d’incredulità) Come?!... La un lo crede? Sull’anima… di mi genero. La

guardi che giuramento la mi fa fare.

CARLO             Ma poi il signor Barsotti unn ‘ha detto che si rimette nel fattore? E il fattore gli avrà det-

to…


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LEONIERO Insomma, o le sentino, e’ s’ha a far un discorso spicciolo; perché gli affari, a me, e’ mi piace di trattarli ‘stemporanei. (e poi a Stefano) Se lei la unn’è ributtante a disfalcare lo schiso delle trentamila lire, a’ primi di settimana e si stimola i compromesso e l’è cosa esaudita.

STEFANO   Se ne butta giù quindici; è contento? (e poiché Leoniero accenna di no colla testa) E po’venti, la guardi: ultimissima parola, un vorre’ rivede’ la Filomena. Proprio perchè l’è lei. Un va bene così? (e quindi subito a Carlo) Dagli da bere a i so’ Leoniero.

LEONIERO No, no, grazie; un bevo altrimenti.

CARLO             (torna a mescere a Leoniero, in modo che un po’ di liquido trabocchi dal bicchierino troppo pieno nel piattino sottostante)

LEONIERO (beve e poi) Be’… pe’ diecimila lire l’è una miscela; lasciamolo trascorrere. Però s’intende prezzo a cancello chiuso (e versa nel bicchiere il vino traboccato nel piattino e

lo beve)

STEFANO   Cancello chiuso, si, si, si; che discorsi?... La pole sta’ sicuro che di quello che c’è a i’ presente momento un sarà smosso neanch’un capo di spillo.

CARLO             Eccettuato qualche oggetto d’affezione, naturalmente…

STEFANO   Ah, già,già, già; s’intende bene! Ora com’essere, i’ ritratto della mi’ figliola, que’ pae-saggi di là ni’ salottino… Quelli e son tutti lavori suoi… (e accenna a Carlo) e’ me li por-to via, naturalmente…

LEONIERO Codesta.. l’è cosa spontanea. (indi accennando i quadri appoggiati alla parete, rivolto a Carlo) E anche quelli che lì sarebban lavori di signore?

CARLO             No, no per carità!

STEFANO   Cheh, cheh! Quelli, se la li vole, gliene lascio.

LEONIERO Perbacco! La si figuri!

CARLO             (a Stefano) Ma via, zio!

STEFANO     (a Carlo) Cosa?

CARLO             Ma… un mi sembr’il caso; capirai…

LEONIERO Oh, se l’è roba d’affezione, però la faccia pure i su’ bisogni.

STEFANO   Cheh, cheh! Macchè affezione! Ma gli è che ‘n casa, sa tante volte… e sento prima le mi’ donne.

LEONIERO Si, si, bravo la senta; perché io de’ quadri ne son arquanto passionista (indi alzandosi) Che si contenta?

STEFANO     (alzandosi esso pure) Oooh, altro! La faccia… Ma son ritratti, sa: roba senza valore esenz’interesse, che si trova’ quassù quand’ e comprai (e in così dire, scosta dal muro i

quadri che mostra a Leoniero)

LEONIERO (dopo aver osservato attentamente le figure dei due ritratti) Eppure…

STEFANO     Icchè?

LEONIERO (accennando ai ritratti) Quest’individuo un m’è visuale nova.

STEFANO     (turbandosi) Come?!

LEONIERO Eeeh! Se lo conosco! Gli è un criente che ho servito quand’ave’ i’ magazzino ‘n via Ghi-bellina.


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STEFANO     (a queste parole, intravedendo in Leoniero un creditore del genero) Cheh! Unn’è possi-bile! (e così dicendo, s’affretta a rivoltare verso il muro quello dei due ritratti che ha più

a portata di mano)

LEONIERO Come unn’è possibile?

STEFANO     (facendo l’atto di rivoltare anche l’altro) Unn’è possibile assolutamente, gliene garanti-sco: la un lo po’ conoscere.

LEONIERO (impedendo a Stefano d’eseguire) l’abbia pazienza…

STEFANO   Ma no.. La s’ha a figurare che questo… che questo che qui… gli è… gli è precisamen-

te….

LEONIERO Quell’avvocato…

STEFANO   Macchè avvocato! Gli è… gli è nientedimeno.. (e quindi rivolto a Carlo) Chi gli è? Te tu

te n’ha a rammentare: aiutami a dirlo.

CARLO             Si.. è un antico parente degli antichi proprietari di quest’antica villa…

STEFANO   La guardi come gli è antico! La unn’era nemmeno nato lei! (e rinnova il tentativo di ri-

volgere il ritratto)

LEONIERO (impedendoglielo ancora) Ma ch’è proprio sicuro ermeticamente?

STEFANO     Perbacco! Che discorsi!

LEONIERO Ma, allora, l’è una rassomiglianza addirittura vertiginosa.

STEFANO     (cogliendo l’occasione che Leoniero si è appena allontanato dal ritratto, per voltare, al-fine, anche questo dalla parte del muro) Un c’è da farsene caso. Anzi sa, ora che ci ri-penso, e me li raccomandaron tanto questi ritratti, quand’ e’ partiron que’ signori, sic-come un li portaron via con sé; gli è inutile che senta ‘n casa; un gliene posso lasciare.

CARLO             L’avevo detto io! (e fa a Stefano, non visto da Leoniero, una mossa come per dire” Ma che ti metti a fare”?)

LEONIERO Mah! Pazienza, allora! Però peccato che un sia l’individuo che dico io; perché, differen-temente e’ ci si potea far un interesse ‘nsieme con codesti quadri.

STEFANO   Come? Come la dice?

LEONIERO Già; perché si sarebbe rappresentato i malestro di potercene rallevare una somma non indifferente.

STEFANO     Già? Davvero?! (e dopo aver lanciato un’occhiata a Carlo) O ‘n che maniera?

LEONIERO I’ho conosciuto la su’ sorella; e’ gli si sarebban proferiti a lei… e lei l’avrebbe acquistati tassativamente, trattandosi d’un fratello morto defunto.

STEFANO   Ahn! Perché quello che la dice lei gli avea delle sorelle? (e poi piano a Carlo) Unn’è lui allora.

LEONIERO Ora se n’avea dell’altre un mi compete; i unn’ho conosciuta che una, perché l’è venuta con lui quarche vorta a i’ negozio pe’ via che i’ su fratello e’ gli ammobiliò i villino; e, an-zi, e’ ci sono stato un par di vorte anche ‘n casa; la quale l’è maritata.

CARLO             E era un avvocato ha detto?

LEONIERO Già, i’ fratello si. Gli era quell’avvocato – le se ne rammenteranno forse – che si suicidò da se, sarà un anno. Ora i nome un mi balena; ma viense anche su i giornali.

CARLO             Ho capito, ho capito…


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LEONIERO Che gli stava di studio in via Carzaioli…

CARLO             Sicuro, precisamente.

LEONIERO Che l’ha conosciuto anche lei?

CARLO             Lui no; ma ho conosciuto la su’ sorella, quella che dice lei.

STEFANO (che non sa rendersi conto di questa uscita di Carlo, lo fissa in faccia trasecolato) LEONIERO Ahn, senti! Bella sposa, uun’è vero?

CARLO             Si, alta…

LEONIERO Mora, con du’ occhi neri…

CARLO             Viso pallido… esile…

LEONI ERO Si… esule… elegante…

CARLO             Si, si… come si chiamava? Aspetti…

LEONIEROI’ nome… un mi balugina, ora; ma l’è lei di positivamente. (Stefano, sempre più meravi-gliato, guarda or l’uno or l’altro, senza proferir parola).

CARLO             Ahn, sicchè senti! Affezionato davvero codesto fratello! Perché io un l’ho visto; ma ho

sentito dir che è un villino ammobiliato dimolto bene.

LEONIERO Lussurioso, propriamente!

CARLO             E fu proprio lui, che pensò a tutto?

LEONIERO A tutto, di sana pianta. I un mi rinviengo, ora, di quanto gli ci andiede di preciso; ma pe-rò una cifra dimorto riguardevole. L’ultima rata, anzi – i’ ebbi fortuna – e’ me la saldò du’ mesi ‘nnanzi, prima che s’ammazzasse.

CARLO             E in che via è questo villino?

LEONIERO Ni’ viale de’ Mille. I’ numero, ora, e son degli anni… un potrè rapportare; ma però, gli è un villino novo, rossiccio, colle persiane verde… Propriamente una delle prime case dopo l’urtima contrada a sinistra, vicin’ a i’ Campo di Marte.

STEFANO     (che ora capisce) Perdio!

LEONIERO (dando uno scossone e voltandosi verso Stefano) Icchè?

CARLO             (pronto, dopo aver fatto a Stefano un energico atto, perché taccia, rivolto a Leoniero) No, no.. nulla… (e poi senza perder d’occhio Stefano) Per l'appunto, quello che dice lei

èun villino che doveva comprar lo zio; ma poi, per una cavalletta che gli fece il media-tore… (e poi subito per tagliar corto). Be’, be’… e allora, dunque, signor Barsotti, come si resta intesi per questo compromesso?

LEONIERO Pe’ parte mia, quand’ e s’addice a’ lorartri, son sempre irreperibile io.

CARLO             E allora – l’avvocato ci s’ha noi – domani ci si potrebbe veder a Firenze, andarci insie-

me e stabilire intanto il giorno…

LEONIERO Me, alle cinque, le mi trovano stecchito a i’ Bottegone, a’ tavolini lì fora.

CARLO             (a Stefano che è distratto) Allora, va bene per domani sera? Oh!

STEFANO   Ahn! Si, si,si; benissimo! I’ ero sopra a pensiero, sa!

LEONIERO E allora, pe’ le cinque, resta combinato conclusivamente a i’ caffè (porgendo la mano a Carlo) Col quale, dunque, io gli distolgo lo scomodo; perché le pappardelle le mi re-cramano.


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CARLO             (dando la mano a Leoniero) Arrivederlo a domani, sicchè…

STEFANO     (dando la mano a sua volta) A domani sera, allora. E bon appetito, so’ Barsotti (quindi di sulla porta di fondo fin dove l’ha accompagnato) Alle cinque, noialtri siam puntuali.

LEONIERO E io son lì stecchito. (e via dal fondo).

SCENA XII

Stefano, Carlo

STEFANO   Aaahn! Dunque, mondo birbone, l’era lei la su’amante, l’è stata lei che la l’ha mandat’

alle ballodole? E a me che un’era ma’ passato pe’ la mente; citrullo, bocco e papaero che un son altro!

CARLO             Oh, bada bene; un fare scene, sai.

STEFANO   Eh, ora si che si spiega, mondo ladro, l’ipoteche levate, i possessi che rendano i dop-

pio… E sfido io! E qui’ pezzo di beccaccio e gli porta persin i fiori a i’ camposanto! Ah,

che gusto! Come gli sta bene! E’ m’ha fatto ‘ngozzar tanta bile qui’ boia! E’ mi rincresce

che un lo sappia, però. Eh, ma ‘nnanzi che i gioco resti…

CARLO             Cosa?

STEFANO     Unn’ è di fori che gliene spiattelli su ‘i muso.

CARLO             Ma cosa dici? Un ti pigliasse, sai…

STEFANO   Oh, ma però l’Elisa bisogna la lo sappia, eh!

CARLO             Ahn, be’ lei… è un’altra faccenda.

STEFANO   Perché io domani fo tirar giù i bauli di soffitta; e i’ tempo necessario pe’ farli, e’ me la

batto.

CARLO             Ah, certo… la vostra permanenza quassù unn’è più compatibile ormai; e anche l’Elisa,

di fronte al fatto novo, metterà da parte gli scrupoli…

STEFANO   Pe’ forza! Ma, però, ora si, se la gente l’è a conoscenza di tutto i pasticcio, che c’è da

vergognarsi davvero come ladri a rimmetter i piedi ‘n Firenze!

CARLO             Dio mio… in fondo son disgrazie…

STEFANO   Le son disgrazie… ma pensa, però, mondo birbone, la figura che s’è fatto a essere stati

quassù un anno a far tutt’una combutta di lacrime tra la moglie, la socera, l’amante, i’

marito dell’amante… A me, mi sarebbe venuto un’idea, capisci?

CARLO             Che idea?

SCENA XIII

Detti, ELISA, Marianna

ELISA                (Che comparisce sulla porta di fondo insieme colla Marianna, rivolta a Carlo) Bravo,

bravo davvero!

CARLO             Oh! Già di ritorno?

MARIANNA (che intanto è entrata insieme coll’Elisa) Come tu se’ venuto, eh, a riscontrarci?

CARLO             Abbiate pazienza… Motivi di forza maggiore.

ELISA                Che motivi?! Tu se’ un pigro!

CARLO             (a Stefano) Diglielo te, zio: son scusato o no?

STEFANO     Vu’ v’avet’a ‘mmaginare… gli ha fatto una scoperta…


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CARLO             Peggio di Cristoforo Colombo.

MARIANNA Che scoperta?

ELISA                Che c’è di novo?

CARLO             C’è che gli eventi son maturati.

ELISA                Come dire?

STEFANIO S’è scoperto chi l’era (rivolto a Elisa) la cimbardosa di tu marito.

ELISA                (con meraviglia) Cosa?!..

MARIANNA V’avete scoperto?

ELISA                Chi era…

MARIANNA Chi?

STEFANO   Vu’ un ve lo ‘ndovinate mai.

CARLO             Proprio una carissima vostra amica.

ELISA                Una nostra amica?!

STEFANO   Già; che l’è sempre tra’ piedi, pe’ la casa.

ELISA                (che comincia a capire al colmo della sorpresa) Chi?!

STEFANO     O la unn’è venuta a riscontrarvi?

MARIANNA (che pure ora capisce, meravigliatissima) Icchè?

ELISA                Lei?! (e interroga collo sguardo Stefano e Carlo)

MARIANNA Uuuh!

STEFANO     Ha tu visto come te le facevan sott’i naso?

MARIANNA Gesù Maria, icchè sento!

ELISA                Oooh!... Questo poi un me lo sare’ mai immaginata! Ma siete sicuri? Come avete fatto

a sapere?

MARIANNA Come v’avete scoperto?

STEFANO     (accennando a Carlo) Eccolo qui i’ Marconi della situazione. Come gli ha fatto a arri-varci un lo so’ nemmeno io..

MARIANNA (a Carlo)  O come l’è andata?

ELISA                (a Carlo)  Racconta…

CARLO             E’ andata, care mie, che io un primo sospetto, l’avevo avuto fin da iersera, quando si

fece il riscontro della nota dell’avvocato. La corrispondenza di certi oggetti che le avevo

visto addosso oppure che sapevo che lei possedeva… Però, siccome si poteva trattare

anche di coincidenze casuali, bisognava far delle indagini prima di poter condannare; e

sicchè dianzi mi son trattenuto apposta, e quando è venuta a prendervi l’ho scalzata un

po’ e così ho potuto aver quasi la certezza…

STEFANO     I’ poliziotto dilettante!

CARLO             Poi, è venuto Leoniero; e così s’è avuto la prova provata…

ELISA                Leoniero?!

MARIANNA O chi gli è?


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STEFANO     (all’Elisa) I negoziante, nemmen a farl’apposta, che gli vendè i mobili a i’ tu marito perammobiliargli i’ villino di’ Campo di Marte, a quella cialtrona.

ELISA                Ahn! Come?! Anch’il villino, sicchè!...

STEFANO     Anch’il villino sicuro!

MARIANNA O come vu’ ci avete parlato con quest’omo?

STEFANO   Come ci s’è parlato? (e quindi a Carlo) Digliene te l’affare che ho fatto. (e poi alle don-ne) Gli è quello che compra quassù. I’ ho venduto la villa, e ci guadagno cinquanta bi-gliettoni da mille, alla su’ barba (e accenna ai quadri appoggiati alla parete)

MARIANNA T’ha venduto la villa?

STEFANO   Sicuro! (e poi all’Elisa) Tanto ormai, quassù, anch’a volere, unn’è più possibile rimaner-ci, tu lo capisci.

ELISA (con un cenno di rammarico) Ahn si; certo! Però, anch’ a tornar a Firenze, Dio mio… MARIANNA E d'altronde.. E come si fa diversamente?

STEFANO     (all’Elisa)E’ lo so io. (e quindi a Carlo) Dimm’una cosa, te: quando t’avresti fatt’ i pensie-ro di tornare ‘n Francia?

CARLO             Io? Perché?

STEFANO   Si; quando t’avresti fatt’idea?

CARLO             (con rammarico) Eh, io.. prima della fin di mese, purtroppo…

STEFANO   E, allora, senti: cinquantamila e’ ne guadagno, un’altra decina e’ n’ho risparmiate pe’ forza ‘n un anno quassù. Te a Parigi, t’un ci ha’ una casa d’otto stanze, ta’ detto?

CARLO             (con entusiasmo) Come?! Ma che dici sul serio?

MARIANNA (con gioia) Icchè?

ELISA                (contenta anch’essa) A Parigi?!

STEFANO   Intanto, pe’ un po’ di tempo… Poi, co i’ seguito, qualche santo gli aiuterà.

CARLO             (a Stefano) Ma tu se’ un genio, sai; un vero genio!

STEFANO     Sicchè vi piace la mi’ idea?

CARLO             A me, mi par un sogno, figurati!

MARIANNA O a me?

STEFANO     (A Marianna) Così tu senti come fanno i pasticcini anche lassù. (e poi all’Elisa) O te ic-chè tu ne dici?

ELISA                (scherzando) Che tu se’ proprio un gran babbaccio cattivo! (e fa una carezza a Stefa-

no)

STEFANO     (All’Elisa mentre Carlo farà gruppo con Marianna) Ahn, si eh? Oh, e sai un ci s’ha a fa’patì di nulla. Voglie venite, che a i portafoglio di’ babbo un gli dol’ i corpo. Di qua, di là, mondo birbone… ci s’ha a buttar allo sbaraglio. Un s’è divertito lui? (accenna i quadri alla parete) Ora tocca a noialtri. (e continua a confabulare con la figliola).

MARIANNA (A Carlo) Ma guard’ un po’ a icchè m’avev’a ritrovar da vecchia! A vede’ Parigi!

CARLO             (a Marianna) E chi avrebbe detto che dopo sett’anni e tante vicende, si sarebbe tornatia far tutt’una famiglia?...


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MARIANNA Davvero sai! Gli è proprio vero che sintanto che uno gli ha i denti ‘n bocca… (e poi, do-

po una pausa con intenzione)  Oh, ma però…

CARLO             (A Marianna) Cosa?

MARIANNA (Sempre piano, a Carlo, e con intenzione) E dico, vah!... a tutti i casi, unne scappar a Londra, questa volta.

CARLO             (A Marianna) Ah, no,no,no; questa volta…

STEFANO   O via figlioli, si fa una bella cosa? Si mangia un boccone, e po’ ci si mette tutti sotto a far i bauli?

SCENA XIV

Detti, Aristide

ARISTIDE      (Con un parapolvere in braccio e una piccola valigia in mano, comparisce tutto scalma-nato, sulla porta di fondo, e, scorgendo Elisa) Signora, signora mia, che notizia! (e poi entrando) Oh Dio… ho i core ‘n bocca; ho fatto tutt’una corsa dalla stazione fin qui.

ELISA                (sorpresa, dopo aver guardato Stefano, Marianna e Carlo che, a loro volta, meravigliati, s’interrogano con gli occhi) Che c’è?

MARIANNA Icchè gli è stato?

ARISTIDE   Vittoria, vittoria completa! I’ arrivo ora da Milano… son stat’apposta lassù pe’ parlar con

gli eredi… La tomba accant’a i’ por’ Orazio… (tutti si guardano di nuovo in faccia)

STEFANO     La tomba?

ARISTIDE   Si.. i’ ho potuto ottenere, l’è a piena disposizione.

STEFANO     (facendo le corna contro la iettatura) Tanto piacere! La n’approfitti e bon pro gli faccia!

ARISTIDE   Ma no! L’è per la signora! (accenna all’Elisa)

STEFANO   Cheh, cheh; la gliene cede! Prima di tutto perché noialtri s’ha tutti idea di campar dimol-

to, e poi perché a nessuno la potrebbe star a viso meglio che a lei. La unn’ha diviso

ogni cosa con lui quando gli era vivo? Quello gli è i su’ posto: lì accanto a dividere

‘nsieme, anche l’ultimo letto! (e così dicendo lo spinge fuori dalla porta di fondo)

SCENA XV

Stefano, Carlo, Elisa, Marianna e Filomena

FILOMENA (comparisce sulla porta di destra, attratta dal clamore)

ELISA                (scorgendola) Uh, mamma, a proposito! … Bisognerà pensar’ alla Filomena.

STEFANO   Ma si! La gli si lascia a Leoniero. Unn’ho venduto a cancello chiuso? S’intende com-preso tutti gli straccali!

CALA LA TELA


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