La buona figliuola maritata

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LA BUONA FIGLIUOLA MARITATA

Carlo Goldoni

Dramma giocoso per Musica di Polisseno Fegejo P. A. da rappresentarsi nel Teatro Formagliari la Primavera dell'Anno . Dedicato alle Nobilissime e Gentilissime Dame e Cavalieri di Bologna.

PERSONAGGI PARTI SERIE

LA MARCHESA LUCINDA

Signora Teresa Zaccarini
IL CAVALIERE ARMIDORO suo marito

Signor Gioacchino Caribaldi

PARTI BUFFE

IL MARCHESE DELLA CONCHIGLIA

Signor Giovanni Lovatini. LA MARCHESA MARIANNA sua sposa.

Signora Lavinia Guadagni. TAGLIAFERRO corazziere tedesco.

Signor Francesco Carattoli, Virtuoso di S. A. Serenissima il Sig Duca di

Modena. SANDRINA contadina, moglie di Mengotto.

Signora Margarita Parisini. PAOLUCCIA cameriera.

Signora Isabella Beni. MENGOTTO contadino.

Signor Giovanni Dalpini.
IL COLONNELLO

Signor Francesco Carattoli suddetto.

La Scena si rappresenta nel Feudo del Marchese della Conchiglia.

La Musica è del celebre Sig. Nicolò Piccinni

Maestro di Cappella Napolitano.

Lì Balli sono d'invenzione e direzione di Monsieur Francesco Sowter, eseguiti dalli seguenti:

Signora Anna Nadi, detta di Sales.       Monsieur Francesco Sowter suddetto.
Signora Elisabetta Morelli.                     Signor Domenico Morelli.

Signora Elisabetta Lolli.                         Signor Angelo Lolli.

Signora Barbara Perini.                         Signor Francesco Marinelli.

Ballano fuori de' concerti
Signora Margarita Morelli.                     Signor Vincenzo Galeotti.


E per il corpo de' Concerti sei altri Ballarini. Il Vestiario sarà proprio e decoroso del Sig. Bortolo Ganassetti.


MUTAZIONI DI SCENE

NELL'ATTO PRIMO

Camera.

Sala, o Appartamenti.

Camera con porta.

NELL'ATTO SECONDO

Camera con tavolino e sedie.

Giardino delizioso, che corrisponde alla strada pubblica villareccia.

Camera.

NELL'ATTO TERZO

Notte.

Camera con tavolino e sedie, e sopra il tavolino una bottiglia

di rosolio, e bicchieri, e lumi.

Sala preparata per il ballo.


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Camera.

Marianna, il Cavaliere e Mengotto

CAV.                             Della bella Marchesina

Son cognato e ammirator.

MENG.                          Della cara padroncina

Son vassallo e servitor.

MAR.                            Obbligata al Cavaliere; (al Cavaliere)

Aggradisco il buon amor. (a Mengotto)

a tre                               O felice amico fato,

Che di giubilo ha colmato Quest'albergo e il nostro cor!

CAV.                     Deh, cara Marchesina,

Se allor che la Cecchina Eravate creduta,

Dispiacer vi recai, vi chiedo in dono Della vostra bontà grazia e perdono.

MENG.                  Ed io, quando ciascuno

Vi credea giardiniera, Se parlarvi d'amor ebbi ardimento, Vi domando un gentil compatimento.

MAR.                     Non parliam del passato;

Tutto mi ho già scordato.

In voi l'onor del sangue io compatisco; (al Cavaliere) Di te so l'innocenza, e l'aggradisco. (a Mengotto)

CAV.                     Or che siete signora e maritata,

Vuol la moderna usanza Che vi troviate un cavalier servente, E può aver tal onore anche un parente.

MAR.                     Obbligata, signore; io non mi curo

Di seguitar l'usanza: Di piacere al marito io n'ho abbastanza.

MENG.                  Oh cara padroncina,

Di voi cosa direbbon le persone,

Se alla conversazione

Andaste sempre col consorte al fianco?

Un cavaliere almanco

Vi vuol, signora mia,

Che d'appoggio vi serva e compagnia.

Per il fresco la mattina Dee venir il cavalier


A trovar la signorina, E a servirla da braccier. Se di ridere ha piacere, Deve ridere e scherzar. S'ella ha voglia di tacere, Il silenzio dee osservar. Quando vuole, dir di sì; Quando vuole, dir di no. Son villano, ma lo so; Quest'è l'uso d'oggidì. (parte)

SCENA SECONDA Marianna e il Cavaliere, poi la Marchesa Lucindae Sandrina

MAR.                     Oh, io non ne so nulla.

Qual vissi da fanciulla,

Vivrò da maritata:

Bastami dal marito essere amata.
CAV.                     Felice il Marchesino,

Cui concesse il destino

Una sì cara e sì gentil consorte;

Ma io, che dalla sorte

N'ebbi una indiscreta, aspra e cattiva,

Infelice sarò sino che io viva.
LUC.                     (In disparte, che ascolta e parla con Sandrina)

(Senti?) (a Sandrina, piano)
SAN.                                  (Abbiate pazienza). (piano alla Marchesa)

MAR.                                                                E come mai,

In così pochi giorni

Che siete maritato,

Avete in sdegno il vostro amor cangiato?
CAV.                     Eh, Marianna carissima,

Quando si fa all'amore,

Abbiamo un vel dinanzi agli occhi, e poi,

Passati i giorni dei primier diletti,

Ragion si desta e scopronsi i difetti.
LUC.                      (Tollerar più non posso...) (in atto di avanzarsi)

SAN.                                                                 (Ah no, non fate). (trattenendola)

MAR.                     Ma di che vi lagnate?

Che disgusti vi dié la vostra sposa?
CAV.                     Non la posso soffrir così gelosa.

MAR.                     Non so che qui vi sia

Ragion di gelosia. Fin che qui siamo,

In armonia viviamo

E in pace fra di noi.
CAV.                     È gelosa mia moglie anche di voi.

MAR.                     Di me?

LUC.                                  No, non è vero. (avanzandosi)

Non soffre una mia pari


L'ingiurioso confronto. Io son chi sono.
In voi la giardiniera ancor io vedo,
E a un amante e a un soldato ancor non credo.
MAR.                     Chiunque io mi sia, signora,

Son del vostro german legata al laccio;

Mi difenda lo sposo, io parto e taccio. (parte)

SCENA TERZA

La Marchesa Lucinda, il Cavaliere e Sandrina

LUC.                      Certo di nobiltade è un grande indizio

Quel sputar le sentenze a precipizio. (ironica)
CAV.                     Fate torto a voi stessa

Signora mia garbata,

Favellando in tal guisa a una cognata. (alla Marchesa)
LUC.                      Eh, signor protettore,

Si vede che l'amore in voi favella:

Nasce la compassion dall'esser bella.
CAV.                     Di voi mi maraviglio;

Son cavaliere onesto,

Stimo, apprezzo il suo merto, e lo protesto.

È troppo raro al mondo Della virtude il dono; Chi lo possiede io sono Costretto a venerar.

Il ver non vi nascondo: V'adoro e mi piacete, Ma ancor non possedete L'arte di farvi amar. (parte)

SCENA QUARTA

La Marchesa Lucindae Sandrina

LUC.                      Senti? Per sua cagione

M'insulta e mi tormenta:

Se vendetta non fo, non son contenta.
SAN.                      Cotesta simoncina

Sa far la gatta morta,

Ma è silenziosa e accorta, e il mio Mengotto,

Dopo ch'io lo sposai,

Impazzito per essa è più che mai.
LUC.                      Crediam sia veramente

Baronessa tedesca?
SAN.                                                     Eh, per l'appunto!

Il padre di costei,


Io scommetto un zecchino

Che un barone non è, ma un birichino.

LUC.                      Ma il foglio che il germano

Da legger diede al Cavaliere in mano?

SAN.                      Da ridere mi fate;

Queste son baronate, Questi li frutti son, signora mia, Della sua baronia, che vale a dire L'arte dell'impostura e del mentire.

Non ho tanti crini in capo, Quanti al mondo ne ho veduti, Che credevansi venuti Dallo stipite d'un re. E poi dopo, che cos'è?

Si è scoperto - che il suo merto Sta nel gioco di bassetta, O in qualch'altra faccendetta Che svelar non tocca a me. Sì, signora, così è. (parte)

SCENA QUINTA

La Marchesa Lucinda, poi il Marchese


LUC.                      Costei è un bravo mantice,

Per attizzare il foco,

Ed io mi soglio accendere per poco.

M'accende e mi tormenta

Vedere a mio dispetto

Padrona in questo tetto una che vanta

Giovinezza, bellezza e virtù tanta.

Ma pur sarei costretta

Soffrir la pena mia,

Senza il duolo fatal di gelosia.
MARC.                  La mia sposa dov'è? (alla Marchesa)

LUC.                                                       La riverisco.

MARC.                  Servo suo. La mia sposa

Si sa dove sia andata?

La cerco e non la trovo;

Chiamo, chiamo, e non m'ode.
LUC.                      Io sua serva non son, né sua custode.

MARC.                  Oh, signora germana,

Or che è sposa ancor essa, e cavaliera,

Non la vorrei veder sì brutta in ciera.
LUC.                      Anzi sono allegrissima,

Or che il signor germano

All'incognita sua data ha la mano.
MARC.                  Incognita voi dite

Alla mia Baronessa?


LUC.                      Duchessa e principessa

Degnissima d'impero:

Ma voi lo dite, ed io non credo un zero.
MARC.                  Spropositi, pazzie. Donne e poi donne,

E quando dico donne,

So io quel che vo' dire.
LUC.                      Spiegatevi, signor...

MARC.                                                    Non vo' impazzire.

LUC.                      Donne, donne! Le donne

Sono di varie sorte.

La sua gentil consorte

Dell'altre è più pregiata,

Poich'ella è corteggiata

Da un cavalier compito.
MARC.                  Come! Come! Da chi?

LUC.                                                          Da mio marito.

MARC.                  Puh! che diavolo dite?

Tacete in cortesia...

Non mi fate venire... andate via.
LUC.                      Sì, andrò da questa casa,

Ma già son persuasa

Che a servirla verrà lo sposo ingrato,

Buon amico e fedel di suo cognato. (con ironia)

Se cieco d'amore

Vi rese la benda,

L'onore - vi renda

La luce smarrita;

L'ingrata, l'ardita

Staccate dal sen. Il primo non siete

Tradito, ingannato,

Ma il primo sarete

SCENA SESTA

Il Marchese solo.

Diavolo! Precipizio!

Che impertinenza è questa?

Venirmi a metter delle pulci in testa?

Sì, sì, la Baronessa

So che Marianna è dessa... Ah, se non fosse,

E se mentisse il foglio?

Cospettone! sarebbe il bell'imbroglio.

Ma no, non sarà mai:

È troppo virtuosa,

È semplice e amorosa.

Tutti le voglion ben... Tutti, sì, tutti.


Gustare il velen. (parte)


E mio cognato ancor? Sì, mio cognato,

Del merito incantato,

L'ama semplicemente... E mia germana

Che ha di lei gelosia?

Eh, sarà una pazzia. È donna, è donna,

E come tal la scuso...

Per altro io sono un pocolin confuso.

Se mentisse il corazziere... Se non fosse vero il foglio... Via di qua, brutto pensiere, Via di qua, che non ti voglio. E se fosse mio cognato Il servente appassionato... Non è vero, non può stare. Io lo so con chi ho da fare; Sorellina - chiacchierina... Ma se avesse... - se mostrasse... Se fingesse... - se bramasse... Oh che rabbia, oh che dispetto! Maledetto - il mormorar. (parte)

SCENA SETTIMA

Sala o appartamenti.

Marianna e Paoluccia

MAR.                            Io non so che voglia dire,

Che mi batte in seno il cor. Ah, mi fanno intimorire! Sconsolata sono ancor. (siede)

Oh, davver cambierei,

Per godere del cor la pace intera,

La signora che or sono in giardiniera!

Ma se cambiassi stato,

Non avrei più in isposo

Quel che tanto mi piace e mi diletta.

No, no, soffransi pure

Sdegni, insulti e sciagure:

Se mi ama il mio consorte,

Rido de' miei nemici e della sorte.
PAOL.                   (Tant'è, non vi è rimedio,

Adattar non mi posso

A servire costei con buon affetto.

Tutto quello ch'io fo, fo per dispetto).
MAR.                     Ehi! Paoluccia.

PAOL.                                           Comandi. (stando dove si trova, lontana e rustica)

MAR.                     Venite qui.


PAOL.                                    Favelli.

Grazie al ciel, non son sorda.
MAR.                     Se sdegnate accostarvi al fianco mio,

Ecco, m'alzerò io. (s'alza)
PAOL.                                                Oh no, signora,

Eccomi; son da lei. (La gran dottora!)
MAR.                     Dov'è il padron?

PAOL.                                              Che vuole

Ch'io sappia i fatti suoi?
MAR.                     Gran sfortuna davver che ho io con voi.

PAOL.                   Oh certo, una mia pari

Ch'è a servir destinata,

La sarà fortunata, o sfortunata! (ironica)
MAR.                    Mia cara Paoluccia,

Nel mio felice stato

Non scordomi il passato. Il ciel ringrazio

Del conseguito onore,

E tratto con buon core

Con voi, con tutti quanti, e mal mi viene

Se veggo che qualcun non mi vuol bene.
PAOL.                   (E pur dovrei lodarla, e pur in petto

Mi macera l'invidia a mio dispetto). (da sé)
MAR.                     Vorrei mi compiaceste

Di cercar il padrone...
PAOL.                                                       Sì signora. (ruvidamente)

MAR.                     E a dirgli ch'io lo bramo.

PAOL.                                                            L'ho capita. (come sopra)

MAR.                    Fatelo di buon cor.

PAOL.                                                   Sarà servita. (come sopra)

MAR.                     E pur voi non mi amate.

PAOL.                                                          Oh, cosa dice? (con affettazione)

MAR.                     Parlatemi sincera:

Ditemi il vostro cor libero e schietto,

E un sicuro perdono io vi prometto.
PAOL.                   E poi si sdegnerà.

MAR.                                                  Giuro che no.

PAOL.                   Se comanda così, la servirò.

Mia signora, ha da sapere... Ma la prego a perdonar, Ch'è durissimo il vedere Chi ha servito a comandar. Io non so se mi capisca. Fra me dico: «Poverina, Sarò sempre una meschina». E vorrei poter anch'io Migliorar lo stato mio, Ma comanda vossustrissima, E a me tocca faticar. Gliel'ho detta - netta e schietta, E la prego a perdonar. (parte)


SCENA OTTAVA Marianna, poi il Marchese

MAR.                     Ah, pur troppo l'invidia

È un vizietto comune, e non è poco

Che l'abbia confessato...

Ecco lo sposo mio. Mi par turbato.

MARC.                  (Ah, pur troppo egli è vero:

Presto si crede il male, E a smentir le bugie poco non vale). (da sé)

MAR.                     Cosa vuol dir, signore?

Mi parete davver di mal umore.

MARC.                  No, no, gioietta bella,

Voi siete la mia stella - e a voi d'appresso

Ogni malinconia

Si dilegua, sparisce e fugge via.

MAR.                     Non vorrei che qualcuno,

O garrulo o mendace, L'amor vostro turbasse e la mia pace.

MARC.                  (Questo suo dubitar mi dà sospetto). (da sé)

MAR.                     Sicuro del mio affetto

Credo ch'esser possiate, e che il mio core Esser non può del vostro ben mai sazio.

MARC.                  (Non petita excusatio est accusatio). (da sé)

MAR.                     Ma voi non mi parete

Al solito con me tenero amante.

MARC.                  Ho per la testa delle cose tante.

MAR.                     Fate alla vostra sposa,

Fate la confidenza. Via, carino,

Dite che cosa avete. Vita mia, lo sapete

Quanto bene vi voglio; ah propriamente,

Se vi veggo turbato, se vi temo sdegnato,

Tremo, piango, m'uccide un fier dolore! (piange)

MARC.                  (Ah, resister non so, mi crepa il core). (piange)

MAR.                     Gioia mia.

MARC.                                   Mio tesoro.

MAR.                     Mi volete voi bene?

MARC.                                                    Ah sì, vi adoro.

MAR.                     Ed io son tutta vostra.

MARC.                                                    Tutta, tutta?

MAR.                     Ma che dimanda è questa?

D'una consorte onesta, D'una donna d'onor, che s'ha a temere?

MARC.                  Ditemi, che v'ha detto il Cavaliere?

MAR.                     Nulla.

MARC.                            Nulla? Vedete,

Se il ver mi nascondete?

Se celate così quel che vi ha detto,

A ragione ho di voi qualche sospetto.


MAR.                     È un torto che mi fate.

MARC.                                                      O torto, o dritto,

Vo' saper fra di voi quel ch'è passato.
MAR.                     Ma non è il Cavalier vostro cognato?

MARC.                  Eh no, la parentela

Non mi mette a coperto a sufficienza;

Anzi ho più da temer la confidenza.
MAR.                     Non vi credea capace

Di formare di me sì vil concetto.

Oltre al tenero affetto

Che sol per voi nutrisco,

Il sangue non tradisco.

È la nascita mia dal ciel scoperta...
MARC.                  Eh, la nascita vostra è ancora incerta.

MAR.                     Come? Non è approvata

Da un autentico foglio?
MARC.                  Essere vi potrebbe un qualche imbroglio.

MAR.                     E il corazzier tedesco

Non è un uomo d'onore?
MARC.                  Esser può Tagliaferro un impostore.

SCENA NONA Tagliaferro e detti.

TAG.                     Was ist? Cosa affer detto?

Impostor che fol dir?

Nix italian capir. Presto parlar:

Se strapazzo mi dir, testa tagliar. (a Marianna accennando il Marchese)
MARC.                  (Povero me! ci sono).

MAR.                                                      Oh, non temete.

Tra di noi gl'impostori

Han fortune, ricchezze e i primi onori. (a Tagliaferro)
TAG.                      Jò, jò, mainlibreher. Per mio falore,

A la gherra mi star braffo impostore. (al Marchese)
MARC.                  Non ci ho difficoltà. Lo credo anch'io. (a Tagliaferro)

(Riparato ha Marianna al caso mio).
TAG.                      Mariandel, afer nova

Che ti far consolata.
MAR.                                                      E qual novella

Mi recate felice?
TAG.                                                Herr Barone

Colonnel mi patrone,

Star viaggio per fenir. No star lontan;

Cara figlia abbracciar forse timan.
MAR.                     Oh, lo volesse il ciel!

MARC.                                                      (Se questo è vero,

Di far tacer le male lingue io spero). (da sé)
MAR.                     Voi ne avrete piacer. (al Marchese)

MARC.                                                    Sì, gioia mia.


MAR.                     Mi direte che sia

Il foglio mentitore?

Ed il buon Tagliaferro un impostore?
MARC.                  No, non lo dirò più.

TAG.                                                     Corpo di Bacco!

Perché più non lo dir? Perché negar

Che impostore mi star per mia brafura?
MARC.                  Sì signor, ve l'accordo, è un'impostura.

TAG.                                 Colonnello fenirà,

Mia brafura conterà. (al Marchese)

Che contento proferà,

Quando ti feder papà! (a Marianna)

Ti sentir e ti profar,

Che mia spata fa tremar. (al Marchese)

Ti no star più la Cecchina,

Star la pella Marchesina.

Mariannina, - poferina,

To papà ti consolar. (a Marianna)

E consorte con marito

Per cavallo farà invito

Per Germania a galoppar. (parte)

SCENA DECIMA Marianna ed il Marchese

MAR.                     Sposo, che cosa dite?

Parvi che ancora incerta

Sia la mia condizione ed il mio stato?
MARC.                  Sono mortificato,

Son delirante e sono...

Non so quel che mi sia; chiedo perdono.
MAR.                     No, no, non vi umiliate a cotal segno.

Basta che non indegno

Sia di vostra bontà l'affetto mio.
MARC.                  Sì, a dispetto d'ognun, vostro son io.

MAR.                     Crederete ai maligni?

MARC.                                                      Oh, questo no.

MAR.                     Mi vorrete voi ben?

MARC.                                                    Ve ne vorrò.

MAR.                     Sempre?

MARC.                                 Sempre, in eterno.

MAR.                                                                  E se verranno

A dir male di me?
MARC.                  Non vi è pericolo:

So chi siete, mio ben, v'amo e vi credo.
MAR.                     Se lo dite di cor, di più non chiedo.

Fin da quel primo dì


Che in me svegliaste amor,

Sempre fedel così

Per voi serbato ho il cor.

Per carità, credetemi, Caro il mio bene, amatemi, Barbaro a me non siate, Piangere non mi fate.

Ah, che quell'occhio amabile Sì che vuol farmi ridere, Sì, mi consola ancor! (parte)

SCENA UNDICESIMA

Il Marchese solo.

Sarei, s'io non l'amassi,

Sarei una bestiaccia,

Un leone, una tigre, una pantera,

E più crudel d'ogni qualunque fiera.

Venga pur mia germana,

E provisi di farmi il suo sermone,

Che io le risponderò colla canzone:

O donne, donne (parlo colle triste, Ché meritan le buone ogni rispetto), Il sesso vostro saria assai più bello Se aveste meno lingua e più cervello. (parte)

SCENA DODICESIMA

Camera con porta.

MARIANNA sola con foglio in mano, poi TAGLIAFERRO

MAR.                     Or son tutta contenta;

Lo sposo mi vuol bene,

Mio padre a me sen viene, - e questo foglio

Piucché mai mi assicura

Della mia felicissima avventura.
TAG.                      Bondì fossignoria:

Comandar, se foler che mi andar fia.
MAR.                     Dove volete andar?

TAG.                                                     Foler pel pello

Andar incontro de mi colonnello.
MAR.                     Lo incontrerete poi?

TAG.                                                       Sì, star sicuro

Che fenir per la posta;

E foler aspettar per notte e giorno


A osteria dove star piccolo corno.
MAR.                     Andate ed abbracciate

Il caro genitor. Dite ch'io sono

Di vederlo bramosa. Alle mie stanze

Mi ritiro frattanto, e questo foglio

Legger di nuovo e ribaciare io voglio. (entra in una camera)


SCENA TREDICESIMA Tagliaferro, poi il Cavaliere

TAG.                      Pofera Marchesina!

Ah, star tanto bonina!
CAV.                                                       Galantuomo! (a Tagliaferro)

TAG.                      Che foler?

CAV.                                      È egli vero

Quello che intesi a dir? Che il genitore

Di Marianna sen venga?
TAG.                                                            Jò, mainherr.

CAV.                     E pur v'è chi non crede, e chi sostenta

Che siate un impostore.
TAG.                                                            Jò, star vero.

Impostore mi star.
CAV.                                                  Dunque star falso

Che il Barone venir; dunque di fatto

Egli non venirà.
TAG.                                                Dunque star matto.

CAV.                     Più rispetto a un par mio.

TAG.                                                              Star di sua mano

Lettera a me mandata.
CAV.                                                       E dove è il foglio?

TAG.                      Star in man de Marianna.

CAV.                                                              Son curioso

Di leggerlo e sentire...
TAG.                                                          Andar in camera

Dove star Marïanna. (accenna la camera)
CAV.                                                       Io non ardisco...

TAG.                      Se foi non ardiscar,

Fenir, fenir con mi, non dubitar.

SCENA QUATTORDICESIMA

La Marchesa Lucinda, Sandrina e Paoluccia

LUC.                      Ehi, avete veduto?

SAN.                      Che bravo corazziere!

PAOL.                   Ha servito assai bene il Cavaliere.

(lo prende per un braccio, e lo conduce in camera di Marianna)


LUC.                      E il stolido germano

Tace, confida e crede.
SAN.                      È un uom di buona fede.

LUC.                      Amor l'ha affatturato.

PAOL.                   Ei non sospetterà di suo cognato.

SCENA QUINDICESIMA Il Marchese e detti.

MARC.                  Ora avrete finito

Di parlare sì mal di mia consorte.

Or ora a queste porte,

Sì, per vostro rossore,

Di Marianna vedrete il genitore.
LUC.                      E voi per gloria vostra,

Non so se con isdegno o con piacere,

Con Marianna vedrete il Cavaliere.
MARC.                  Dove?

LUC.                                  Là in quella camera.

SAN.                                                                   E il soldato

È quel che l'ha guidato.
PAOL.                                                          E non bisogna

Sopportare una simile vergogna.
MARC.                  (Son fuor di me).

LUC.                                                A seppellirvi andate,

Se i vostri e i torti miei non vendicate. (parte)

SCENA SEDICESIMA Il Marchese, Sandrina e Paoluccia

MARC.                  Non so quel che mi faccia,

S'io parli o pur s'io taccia;

S'io simuli anche un poco,

O cominci d'adesso a prender foco.
SAN.                      Signor, non lo credete?

PAOL.                   Entrate, e lo vedrete.

MARC.                  Si, sì, vado a drittura...

(Ma se v'è il corazzier, mi fa paura). (da sé)
SAN.                      Eh, fatevi coraggio.

PAOL.                                                   Zitto, zitto;

Aprono la portiera.
SAN.                                                     È il Cavaliere.

MARC.                  (Non vorrei che venisse il corazziere). (da sé)


CAV. MARC.

CAV.

MARC.

CAV.

MARC.

CAV.

MARC.

CAV.

MARC.

SAN. PAOL.

MARC.

SAN.

PAOL.

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MARC.

SAN.

PAOL.

MARC.

TAG.

MARC.

a cinque

MAR.

MARC.

MAR. TAG. MAR. TAG.


a due

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a due

a due

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SCENA DICIASSETTESIMA

Il Cavaliere e i suddetti, poi Tagliaferro, e dopo Marianna

Mi rallegro con voi... (al Marchese)

Fuori, signore, Fuori di casa mia.

Con chi parlate? Con voi.

Con un cognato? Fuori di casa mia.

Siete impazzato? Andate, o cospettone... A me un simile affronto? Fuori v'aspetto a rendermi buon conto. (parte) Sì, verrò colla spada, Nel cortile, in un prato, o sulla strada.

Sono insatanassato,

L'animo ho furibondo;

Voglio con tutto il mondo

Battermi e contrastar. Viva il padron garbato,

Viva la sua bravura!

No, che non ha paura:

No, che non sa tremar. Per carità, tenetemi,

O che farò un spettacolo. Senza verun ostacolo,

Noi vi lasciamo andar. Cosa star questo strepito? Nulla. (Maledettissimo!) (con timore) Presto, padron carissimo,

Tempo è di principiar. (piano al Marchese) Dov'è Marianna andata? Star camera serrata. Presto, che venga subito,

Che le ho da favellar. Oh che tempesta orribile!

Veggo nell'aria un fulmine,

E della casa al culmine

L'odo precipitar. Caro sposo, vi veggo turbato.

Deh, non siate più meco sdegnato;

Per pietà, non mi fate tremar! Di una donna e d'un uom in presenza,

Ascoltate la vostra sentenza:

Il divorzio vi vengo a intimar. Poverina! che cosa v'ho fatto? Non capir. Che fol dire diforzio? (a Marianna) Nulla, nulla. (a Tagliaferro, dissimulando) Che cosa fol dir? (al Marchese)



MARC. MAR.

TAG. SAN. TAG.

SPAANO.L.      } adue TAG.

MARC.

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TAG.

MARC.

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MARC.

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MAR.

TAG.

MARC.

TAG.

MARC.

SAN.

MARC.

MAR.

MARC.

SPAANO.L.      } adue MAR.


Non importa l'abbiate a capir. (a Tagliaferro) Un divorzio alla fida consorte? Ah, piuttosto vi chiedo la morte. Che fol dir maledetto diforzio? (a Sandrina) Vorrà dir separare il consorzio. (a Tagliaferro) Che fol dire diforzio e consorzio? (a Sandrina) Ei vuol dire, il mio bel torlurù, Che la sposa il padron non vuol più. Ah tartaifle! Nix diforzio. Star marito, Star consorzio. Se giudizio Non parlar, Precipizio Foler far. Star tua sposa, Star onesta, E a ti testa Mi tagliar. Non vi state a incomodar. Ha trovato un protettore, Che la gente fa tremar. Dar la mano.

Eccola qui. (dà la mano a Tagliaferro) Dar Marianna.

Signor sì. (dà la mano a Marianna) Perdonanza domandar. Io vi prego a perdonar. (a Marianna) (Il padrone è un bel poltrone,

Che di più non si può dar) Star contenta? (a Marianna)

Contentissima. Dar parola? (al Marchese, prendendolo per la mano)

Sicurissima. Anch'io contento star, E Barone, - mio patrone, Fol andar per incontrar. Ah mainsozz, allegra star. (a Marianna) Ah mainherr, non mi purlar: (al Marchese) Che, cospette, - jè promette Che quel giorne - quando torne, Testa, brazzi mi tagliar. (parte) È partito? (a Sandrina)

Se n'è ito. (al Marchese) (Or mi voglio vendicar). Sposo mio, che mai v'ho fatto? Non son cieco, non son matto, E il divorzio s'ha da far. (a Sandrina)

E di qua se n'ha d'andar. (a Marianna)

Per pietà...


a tre

MAR.

a tre

MAR.

a tre

MAR.

a tre

MARC.

SAN.

PAOL.

LUC.


}


a tre


Non v'è pietà. La ragione...

Già si sa. L'innocenza...

Non c'è più. E l'amore...

Se ne va. È già data la sentenza. E conviene aver pazienza, E il divorzio si farà. Oh, che fiera crudeltà!



ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Camera con tavolino e sedile.

Marianna sola.

Chi mai l'avesse detto,

Che avesse il mio diletto

A cambiare per me l'amore in sdegno,

E tal mi usasse trattamento indegno?

Tutt'opera è cotesta,

Lo conosco, lo so, de' miei nemici.

M'insulta e mi tradisce

L'invidia della gente,

E il mio sposo m'adora ed è innocente.

Ma no, s'egli m'amasse,

Crederebbe più a me che a chi mi accusa.

No, il crudel non ha scusa;

È un perfido ancor esso, è un menzognero.

Ah, perfido il mio ben? No, non è vero.

SCENA SECONDA

Sandrina e Paoluccia, ambe recando gli abiti che soleva portare Marianna, quando passava

per Giardiniera, e la suddetta.


SAN.                      Umilissima serva. (con inchini affettati)

PAOL.                                                A lei m'inchino. (come sopra)

MAR.                     Non tante affettazioni,

Non tante riverenze:

A me piace il buon cor, non le apparenze.
SAN.                      Faccio l'obbligo mio. (come sopra)

PAOL.                                                     Fo il mio dovere. (come sopra)

MAR.                     O donne, donne ingrate:

Vi conosco, lo so, voi mi burlate.
SAN.                      Oh, signora, che dice?

Venero la padrona, (inchinandosi, come sopra)

E son qui per servirla.
PAOL.                   Pronta son, se comanda, ad obbedirla. (come sopra)

MAR.                     Via, sincere parlate:

Che volete da me? Che mi recate?
SAN.                      Il mio signor padrone,

Il suo signor consorte,

Ci ha detto e comandato

Che alla nostra padrona, innanzi sera,


Questi abiti portiam di giardiniera.
PAOL.                   E ha detto ed ha ordinato

Che da noi sia spogliata e sia servita,

E come un dì solea, sia rivestita.
MAR.                     A me cotal ingiuria?

A me un simile affronto?
SAN.                      Del voler del padron non rendo conto.

PAOL.                   Siccome la stagione

Principia a riscaldarsi,

Coll'abito legger può rinfrescarsi.
SAN.                      E parerà più bella

Col guarnello e il cappel da ortolanella.
MAR.                     Basta così, ho capito;

Il barbaro marito

Mi vuol mortificata.

Soddisfarlo saprò. Nelle mie stanze

Quegli abiti portate.
SAN.                      Si vuol spogliar?

PAOL.                                                Vuol ch'io la serva?

MAR.                                                                                   Andate.

SAN.                      Subito.

PAOL.                                L'obbedisco.

SAN.                      Serva, signora mia. (parte cogli abiti)

PAOL.                   Riverente m'inchino, e vado via.

Questo mondo è pien di scale, Già lo sa la sua virtù; V'è chi scende, v'è chi sale, Chi va suso, e chi va giù. Ma tutti dicono, Padrona amabile, Che chi si rampica Con passo celere, Fino alle nuvole Volendo andar, A capitombolo Giù si precipita, Si fa deridere, Si fa burlar. (parte)

SCENA TERZA Marianna e il Cavaliere

MAR.                     Capisco che m'insulta;

Ma a che pro l'irritarmi?

Merito sol può farmi la costanza.

Fin che vita riman, vi è ancor speranza.
CAV.                     Signora, in vostro aiuto

Disponete di me. Son cavaliere,


Né soffrirò che l'innocenza vostra

Tradisca, insulti, il vostro sposo ardito.
MAR.                     Non parlate così di mio marito.

CAV.                     Del vostro amor quel disumano è indegno.

MAR.                     Io l'amo ancor col più verace impegno.

CAV.                     Ei vi ama di fé.

MAR.                                             Fedele io sono.

CAV.                     Vi dispregia, vi offende.

MAR.                                                           Io gliel perdono.

CAV.                     Non lo merta.

MAR.                                           Non tocca

Il giudicarne a voi.
CAV.                                                     M'offese a torto.

Lo sfidai, non lo vidi.
MAR.                                                         Il ciel non voglia

Ch'ei si esponga al cimento.
CAV.                                                                   Il di lui sangue

Mi ha da pagar l'offesa.
MAR.                     Gli farò col mio sen scudo e difesa.

CAV.                     Tanto amor per chi v'odia?

MAR.                                                                Il ciel mel diede;

Vo' di vita mancar, pria che di fede.

SCENA QUARTA La Marchesa Lucindae detti.

LUC.                      Ma voi, signor consorte,

Desister non volete?
CAV.                     Olà! con chi l'avete?

LUC.                      L'ho con voi, l'ho con questa

Ardita, sfacciatella,

Per cui volete ancora

Mostrar tanta passione a mio dispetto.
MAR.                     Deh vi prego, signora,

Di usarmi carità, se non rispetto.
LUC.                      Non la meriti, audace.

CAV.                                                         Eh, in lei specchiatevi,

E la virtù apprendete

Che sì mal conoscete.
LUC.                                                       Io non mi curo

D'apprender la virtù da un'alma indegna,

Che ad involar gli altrui mariti insegna.
CAV.                     Mentite.

LUC.                                     A una mia pari

L'ingiuriosa mentita?
MAR.                     Deh, non tanto livor...

LUC.                                                          Chetati, ardita.

MAR.                     Non so che dire. Il cielo

Moderi il vostro affanno,


E vi faccia capir, come conviene,

Che chi altrui fa del mal, non può aver bene. (parte)

SCENA QUINTA

La Marchesa Lucindae il Cavaliere

CAV.                     Pentomi di quel nodo

Che a voi mi ha legato.

LUC.                                                          Ed io mi pento

Dell'ingrata catena.

CAV.                                                     E ben, fra noi

L'odio trionfi, e si divida il letto.

LUC.                      Sì, traditor, la libertade accetto.

CAV.                     No, traditor non sono:

Ma il ciel, per vendicare Un'innocente dal livore oppressa, Vuol che abbiate a provar la pena istessa.

LUC.                      L'onta d'una rival soffrir non voglio.

CAV.                     Né soffrire degg'io sì folle orgoglio.

Sì rovinosi e fieri A sterminar gli armenti Non corrono i torrenti Dalle pendici al mar;

Come i costumi alteri Delle superbe audaci Son del dover capaci Gli argini a superar. (parte)

SCENA SESTA

La Marchesa Lucinda, poi Sandrina

LUC.                      Ah sì, pur troppo il veggo,

Per gelosia soverchiamente irata, Sono dal mio livor precipitata.

SAN.                      Una nuova, signora: or mi fu detto

Che il padre di Marianna, o sia Cecchina, A questo marchesato si avvicina.

LUC.                      Non vorrei che recasse

Nuovi spaventi al cor di mio germano, E scacciata colei sperassi invano.

SAN.                      Certo per voi sarebbe

Un danno, una vergogna. Dunque pensar bisogna, Pria che giunga il Tedesco E che nascan dell'altre novità,


Far che vada costei lontan di qua.

LUC.                      Ah, le macchine i' vedo

Cader sopra di me! M'odia il germano, M'abborrisce il consorte, ognun mi chiama Barbara, disumana, E la rovina mia non è lontana.

SAN.                      Una donna di spirto

Non si deve avvilir sì facilmente. Fate che immantinente Vada lungi di qua la prosontuosa: Il tempo poi aggiusterà ogni cosa.

LUC.                      Quel che mi dà più pena,

È l'ira dello sposo. Ei mi ha perduto

E l'amore e la stima,

E il core e il letto separar m'intima.

SAN.                      Eh, di ciò non temete.

Gli uomini, lo sapete, Mostrano qualche volta del rigore, Ma se provato amore Hanno per la consorte, vi vuol poco A far che torni a riscaldarsi il foco.

Sono i mariti

Qual gli ammalati:

D'ogni sostanza

Sono svogliati.

Ma poi guariti,

Sono affamati,

E la piatanza

Soglion bramar. Quando sdegnosi

Sono gli sposi,

Le tenerezze

Sanno sprezzar.

Ma dello sdegno

Sciolto l'impegno,

Senza carezze

Non sanno star. (parte)

SCENA SETTIMA

La Marchesa sola.

Sì, sì, confido e spero

Che anche il consorte mio,

Cessata la cagion ch'ora l'irrita,

Mi vorrà seco dolcemente unita.

Ora son nell'impegno:

Nasca quel che sa nascere,

Pria che qualch'altro impedimento accada,


Vo' che tosto colei da noi sen vada.

Ah, mi sento oppresso il core Dallo sdegno e dall'amore, E non so se più m'alletta La vendetta - o il dolce amor.

Son del pari violenti Due passioni in me possenti: Un affetto tenerissimo, E un fierissimo - rigor. (parte)

SCENA OTTAVA

Giardino delizioso, che corrisponde alla strada pubblica villareccia.

Marianna in abito di Giardiniera.

Oh memorie ancor gradite Della prima età fugace, Il mio core e la mia pace In voi torno a ricercar!

Ah, rispondermi già sento, Il tuo cuore altrui cedesti, E la pace che perdesti Speri invan di rintracciar!


A che dunque riprendere

Queste, sì care un tempo, amiche spoglie,

Spoglie di libertà semplici e pure,

Se m'ingombrano il sen sdegni e paure?

A che venir, meschina,

Fra l'erbe e i fiori a ricercar riposo,

Se d'amore nel petto ho il serpe ascoso?

Ah, s'altro ben non spero,

Dall'atto d'umiltà con cui discendo,

Con cui soffro costante il duro affanno,

Muover spero a pietade il mio tiranno!

Vieni e mira, o crudele,

S'era degna di te colei che amasti.

Vedi se grata io sono

Al tuo amore, al tuo dono.

Quando il merito men, m'oltraggi a torto:

Non vi chiedo, amiche stelle, Ricche spoglie e ricco tetto; Basta sol che il mio diletto Di me senta almen pietà.

Se peggiora il mio destino, Aprir bocca al ciel non oso:

Io t'obbedisco, e i sdegni tuoi sopporto.


Ma rapirmi il caro sposo, Quest'è troppa crudeltà.

SCENA NONA Mengotto e la suddetta.

MENG.                  Ah, che vuol dir, signora,

Quell'abito indecente al vostro stato?

MAR.                     Queste sono del fato

Dolorose vicende, e da me impara Che al mondo non v'è alcuna Vera stabilità nella fortuna.

MENG.                  E ritornar potete

Così tranquilla in ciera,

Da signora che foste, a giardiniera?

MAR.                     Vuoi tu ch'io mi lamenti?

Vuoi ch'io accresca il mio mal coi miei trasporti?

È meglio ch'io sopporti:

Ché, se perdo ogni bene, ogni speranza,

La virtude mi resta e la costanza.

MENG.                  Ah, piangere mi fate!

Più resister non posso a un tal dolore; (piange) Proprio il vostro parlar mi piomba al core.

SCENA DECIMA Sandrina e detti.

SAN.                      Tu piangi, bernardone?

Eh sì, sì, la cagione

Mi è nota del tuo pianto:

Quella rara bellezza è un grande incanto.
MAR.                     (Ecco un'altra insolenza.

Oh, vi vuole una grande sofferenza!) (da sé)
MENG.                  Va via. (a Sandrina)

SAN.                                  Voglio star qui.

MENG.                                                        Va via, ti dico.

SAN.                      Di restare e d'andar padrona io sono.

MENG.                  Vattene, impertinente, o ti bastono.

SAN.                      A me baston? bastone

A una donna mia pari?... Ecco il padrone. (con allegrezza, minacciandolo)

SCENA UNDICESIMA Il Marchese e detti.


MARC.                  Ah povera Marianna!

Non ho cor di soffrire

Di vedervi patire.
MAR.                                                  Oh me felice!

Se davvero lo dice il mio tesoro,

Dalla consolazion sento ch'io moro.
SAN.                      (Un'altra novità).

MARC.                                               Sol per far prova

Della vostra costanza

Vi ho dato un tal tormento.

Siete buona, vi credo, e son contento.
MAR.                     Ah, resister non posso a tal dolcezza. (piange)

MENG.                  Ah, che piango ancor io per tenerezza. (piange)

SAN.                      Ecco, signor padrone, ecco le prove

Della bella onestà della signora.

Ella Mengotto adora;

Ei conserva nel sen le fiamme sue.

Piangono tutti e due per puro amore,

E vi fanno, signor, sì bell'onore.
MARC.                  Ah perfida! (a Marianna) Ah! briccone! (a Mengotto)

Io ti farò morir sotto un bastone. (al suddetto)
SAN.                      (Ci ho gusto).

MAR.                                           Caro sposo,

Non crediate a colei...
MARC.                  Credo a quel che vid'io cogli occhi miei.

MENG.                  Piango perché son tenero ed umano. (al Marchese)

MARC.                  Vattene via di qua, brutto villano.

SAN.                      Sì, vattene. Tu parti;

Io resto a tuo dispetto. (a Mengotto)
MENG.                  Quel dì ch'io ti mirai sia maledetto. (a Sandrina)

(Era pur meglio

Ch'io m'affogassi,

Pria che sposassi

Femmina tal). (da sé) Signor padrone,

Non le credete;

Voi lo sapete

Ch'io son leal. (al Marchese) Povera figlia,

Siete tradita. (a Marianna)

Femmina ardita,

SCENA DODICESIMA
Il Marchese, Marianna e Sandrina
SAN.                      Signor, L'avete inteso?

Donna bestial. (a Sandrina, e parte)


Parla così perché d'amore è acceso.
MARC.                  Sì, sì, pur troppo è vero

Quel che mi dicon tanti:

Voi serbate nel cor gli antichi amanti.
MAR.                     Oimè, soffrir non posso

All'innocenza mia sì orribil torto.
MARC.                  Né io veder sopporto

Un villano rival dell'amor mio.
MAR.                     Innocente son io.

SAN.                                                (Non vi fidate). (piano al Marchese)

MARC.                  Siete infedel: più non vi voglio, andate. (a Marianna)

MAR.                     (Come creder ciò possa, io non capisco). (da sé)

MARC.                  (Deggio usare il rigor, ma ci patisco). (da sé)

SCENA TREDICESIMA Il Cavaliere e detti.

CAV.                     Ma voi, per quel ch'io sento,

Sempre più delirate:

Poc'anzi vi mostrate

Persuaso di me. L'inganno vostro

Vi fo toccar con mano;

Or temete di lei con un villano?
SAN.                      (Ci mancava costui). (da sé)

MARC.                                                    Li vidi io stesso

Piangere tutti e due, sol per amore.
CAV.                     Questo è un massiccio errore.

Pianger chi non farebbe

D'una donna infelice il crudo stato?

Voi solo avete un cuor barbaro, ingrato.
MARC.                  (Credo che dica il ver). (da sé)

MAR.                                                           Sposo diletto,

D'un vergognoso affetto

Mi credete capace?
CAV.                                                     È un pensier rio (al Marchese)

Che vi macera il cor.
MARC.                                                    (Lo temo anch'io). (da sé)

SCENA QUATTORDICESIMA

La Marchesa Lucindae detti.

LUC.                      Come! Soffrite ancora

Alla moglie vicino un che l'adora? (al Marchese)
MARC.                  (Ritorniamo da capo). (da sé)

SAN.                                                          (A tempo è giunta).(da sé)

CAV.                     Son cavalier d'onore.


MAR.                     Son femmina onorata.

LUC.                      Ma io son oltraggiata

Sol per cagion di lei,

E fin sugli occhi miei

Le parlò con affetto,

E m'intimò la division del letto. (al Marchese)
MARC.                  Anche questo di più? Corpo di Bacco!

Me ne faceste un sacco! (a Marianna)

Voi portate rispetto a mia germana. (al Cavaliere)

Voi andate di qua, presto, lontana. (a Marianna)
CAV.                     Che leggerezza è questa? (al Marchese)

MAR.                     (Omai son stanca

Di tollerar l'oltraggio). (da sé)
MARC.                  Via di qua. (a Marianna)

MAR.                                      Me n'andrò. (in atto di partire)

SAN.                                                          Vada a buon viaggio. (a Marianna)

SCENA QUINDICESIMA

Mengotto e detti.

MENG.                  Perdoni. (al Marchese)

MAR.                                   E che pretendi?... (a Mengotto)

MENG.                                                             In questo punto

È arrivato alla Posta

Il Barone tedesco,

Padre della signora.
MARC.                                                    (Ora sto fresco!) (da sé)

MAR.                     (Ti ringrazio, fortuna). (da sé)

SAN.                                                          (Affé, pavento). (da sé)

LUC.                      (Temo di nuovi imbrogli). (da sé)

MARC.                  (Non so quel che mi faccia;

Se taccio è mal, peggio sarà s'io parlo). (da sé)

Anderò per rispetto ad incontrarlo. (in atto di partire)
LUC.                      Non usate viltà. (al Marchese)

MAR.                                             Non l'irritate. (al Marchese)

SAN.                      Statevi in casa. (al Marchese)

CAV.                                             Ad incontrarlo andate.

MARC.                  Vado? Resto? Che fo? Taccio o favello?

Che risolver non so. Perdo il cervello.

Ho una testa che vola, che gira, Che mi pare un mulino da vento: Una ruota nel cranio mi sento Che il cervello mi fa stritolar.

La paura mi par che m'arresti, Il dovere mi par che mi sproni, E all'orecchio diversi mosconi Sussurrando mi fan disperar. (parte)


SCENA SEDICESIMA Marianna e la Marchesa Lucinda, il Cavaliere, Sandrina e Mengotto

LUC.                      Potria, quel che si spaccia

Per vostro genitore,

Essere un impostore; ma quand'anche

Foss'egli tal, lo dico e lo prometto,

Lungi dovrete andar da questo tetto. (parte)
CAV.                     Non temete di lei, siate sicura

Che padrona sarete in queste mura. (parte)
SAN.                      Il padron non vi vuol, già lo sapete. (parte)

MENG.                  Qui dovrete restare, e ci starete. (parte)

SCENA DICIASSETTESIMA Marianna, poi il Marchese

MAR.                     Parla in altri l'invidia, in altri il zelo:

Io confido nel cielo, ed ho speranza Che premiata sarà la mia costanza.

MARC.                  Ecco, vien vostro padre.

MAR.                                                             Oh caro sposo,

Non ci vegga nemici.

MARC.                                                    A lui non dite

Tutto quel che passato è fra di noi.

MAR.                     Ben volentieri, e poi?

MARC.                  E poi, quel che sarà, voi lo vedrete.

Eccolo. (Non vorrei...) Per or tacete.

SCENA DICIOTTESIMA

Dal fondo della Scena si vede venire il Colonnello tedesco, vestito da Uffiziale,

accompagnato da vari Soldati, fra' quali vedesi Tagliaferro Corazziere,

che per rispetto sta indietro e non parla; e detti.

COL.                      Untertenigher diener. (saluta il Marchese)

MARC.                  Servo, signor Barone.

MAR.                                                         (Ah, non ardisco...

E pure il cor mi sento

Giubilare nel sen per il contento). (da sé)
COL.                      Dofe star figlia mia? (al Marchese)

MARC.                                                    Quella è, signore.

MAR.                     Eccomi a' vostri piedi, o genitore. (s'inginocchia)

COL.                      Was ist? Mariandel,

Edel fraul frai fraule,

Che affer patre barone e colonnello,


Contatina festir, portar cappello?
MARC.                  Dirò... per verità...

Sin dalla prima età ci ha preso affetto;

Si è vestita così per suo diletto. (al Colonnello)

Non è vero? (a Marianna)
MAR.                                        È verissimo.

MARC.                  Star contento, signor? (al Colonnello)

COL.                      Star contentissimo.

Ah Mariandel, mainsozz.

Es erfreiet mich dessen

Herrn gute ghesundait.
MARC.                  (Non so che diavol dica). (da sé)

MAR.                     Signor, sono allevata

Fra gente italiana:

La tedesca favella ancor mi è strana.
COL.                      Jò taliano parlar,

Benché Italia mancar zovanzich anni.
MARC.                  Zovanzich che vuol dir?

COL.                      Zovanzich non capir? Star anni... aspetta:

Come dir quando soffia v' v' v'? (colla bocca fa come il vento)
MARC.                  Davver non vi capisco.

COL.                                                            Come dir

Quando star nave in mar,

E soffia per andar? (impazientandosi)
MARC.                                                 Vuol dire il vento?

COL.                      Jò, plural come dir?

MARC.                                                 Diconsi i venti.

COL.                      Jò da Italia mancar star anni venti.

MARC.                  Bravo, bravo, signore!

MAR.                     (Ho piacer ch'egli sia di buon umore). (da sé)

COL.                      Je star poche malate;

Per fiaggie faticate,

Che nix letto dormir star notte train.

Afer tu brandevain? (al Marchese)
MARC.                                                    Che cosa vuole?

COL.                      Brandevain non afer?

MARC.                                                      Niente capir.

COL.                      Tartae, come dir?

No safer mi spiegar...

Aspettar, aspettar.

Quel che pozzo impenir, come chiamar?
MARC.                  Acqua.

COL.                                  Jò.

MARC.                                   Vuol dell'acqua? (al Colonnello)

COL.                      Nix, nix; come tu dir

Albero che far vin?
MARC.                                                 Si chiama vite.

COL.                      Jò. Beffere mi fol dell'acquavite.

MARC.                  (Si ha da far ad intenderlo

Una bella fatica). Sì, signore,

Voi sarete servito;

Ho in genere di ciò cose perfette.


MAR.                     Andrò, se lo permette

Il mio caro marito, anderò io

Prontamente a servire il padre mio.
MARC.                  Sì, andate pur. (Marianna volendo partire, passa nel mezzo per di dietro al

Colonnello.)
COL.                                              Mariandel. (a Marianna, che trattiene)

Mi dir: Herr tuo marito

Per ti star amoroso?
MAR.                     Ah sì, il mio caro sposo

Arde per me d'amore,

E contenta son io del suo bel cuore.

Sono allegra, son contenta

Dello sposo che mi adora;

Ma più lieta sono ancora

Che venuto è il genitor. Oh marito mio bellino!

Padre mio tanto carino!

Ah, mi brilla il cor nel petto.

Che piacere, che diletto!

Benedetto chi dispone.

Viva, viva la ragione

Della pace del mio cor. (parte)

SCENA DICIANNOVESIMA Il Marchese ed il Colonnello

COL.                      Jò, star anch'je contente

Per ghenero Margraf gut, onorato. (al Marchese)
MARC.                  (Non ardisco di dir quel ch'è passato). (da sé)

COL.                      In tutta mia famiglia,

Non affer che mia figlia,

E foler ti donar per testamente

Germania baronia,

E reggimento de caffaleria.
MARC.                  (Ah, sì, sì, con Marianna

Voglio pacificarmi;

Non vo' per gelosia precipitarmi). (da sé)
COL.                      Herr Landsmann. (chiamando il Marchese)

MARC.                                               Signore.

COL.                      Per fiaggio cavalcato

Star poco rofinato,

con stiffalli non poter più star.
MARC.                  Andiamo. In casa mia può comandar.

COL.                      E affer anche appetito.

MARC.                  Venga, venga con me. Sarà servito.

COL.                                 Flauden pastet non foler.

Rindflaisch mi piacer.


Rindflaisch non capir?

Ah tartaifle, come dir? (con ira)

Carne star de bestia grossa, (placido)

Che affer corni, e non portar.

Rind tatesco, rind chiamar. (con forza)

Maledetto, non saffer? (con ira)

Quando terra seminar,

Chi star bestia, che tirar?

Non saffer mi spiegar.

Jò, star manze, jò trofato, (con allegria)

Carne manze pone star.

Lesse, roste fol mangiar. (partono tutti due)

SCENA VENTESIMA

Camera.

Il Cavaliere e Mengotto

MENG.                  Oh cospetto di bacco! Avran finito

Queste femmine ingrate

D'insultar la padrona.
CAV.                                                         Se il Tedesco

Sapesse tutto quel che a lei fu fatto,

Vendicarsi vorrebbe ad ogni patto.
MENG.                  Egli tutto saprà.

CAV.                                                Come?

MENG.                                                        Il soldato,

Tagliaferro chiamato,

Ora, in questo momento,

Informa il suo padron.
CAV.                                                         Ma il corazziere

Tutto dir non saprà.
MENG.                                                 Tutto, tuttissimo.

Ei di quanto è passato è informatissimo.
CAV.                     Da chi?

MENG.                              Vel dirò io:

Tutto il merito è mio.

Io fui che il corazzier di queste donne

Ho informato dall'A per sino al Ronne.
CAV.                     Anche di mia consorte?

MENG.                                                        Anche di lei.

CAV.                     Oh cieli! non vorrei...

Sciocco, senza giudizio:

Nascerà, lo prevedo, un precipizio. (parte)

SCENA VENTUNESIMA


Mengotto, poi Marianna, poi Sandrina e Paoluccia, poi il Marchese, poi il Colonnello


MENG.

MAR.

MENG.

SAN.

PAOL.

MAR.

MARC.

MAR. a cinque

COL.

MAR. COL.

MAR.

MARC.

MENG.

SAN.

PAOL.

COL.

MAR.

COL.

SAN. MAR.

COL.

MAR.

COL.


Nasca quel che sa nascere, L'ho fatto, e son contento; E di quello che ho fatto io non mi pento.

Ah Mengotto, io son felice;

Il mio sposo mi vuol bene,

Ed a rendere mi viene

Più felice il genitor. Sono anch'io per voi contento.

(Non sa nulla, a quel ch'io sento,

}

a due

Dello sdegno e del furor). (da sé) Mi consolo, mia signora,

E vi prego a perdonarmi. Tutto, tutto vo' scordarmi,

Voglio amarvi di buon cor. Accettate, o cara sposa,

Il mio giusto pentimento,

E le scuse vi presento

Della mia germana ancor. Tutto, tutto mi ho scordato,

Sol mi è grato - il vostro amor. Più di sdegno non s'accenda

La spietata e cruda face:

Fra noi regni amor e pace

E viviam felici ognor. Ah tartaifle, cospettone,

Star tatesco, star barone,

Star soldato, colonnello,

E flagello - foler far. Padre mio, che cosa è stato? Chi Mariandel strapazzato,

Per mia spata fol mazzar. Ah, vi prego di non far.

} aquattro(PeErtliemgoarmeb-esetnratobailllacro)r.e

Chi star questa? (accennando Sandrina)

Star Sandrina. Ti star razza malandrina, Che Mariandel strapazzar. (minaccia Sandrina) Ahi, aiuto!

Per pietà. (trattenendo il Colonnello) Non mi ha fatto alcun dispetto, E le porto tanto affetto Che un bacino le vo' dar. (bacia Sandrina) Chi star questo? (accennando Mengotto)

Star Mengotto. Tu mia figlia maltrattar. (minaccia Mengotto) Fol Mariandel fendicar.



MENG.                                                                    Chi m'aiuta?

MAR.                              No, papà. (trattenendo il Colonnello)

M'ha voluto sempre bene,
Né mi posso lamentar.
COL.                               No star questo? no star quella?

De marito star sorella,

E con lui foler sfogar. (minaccia il Marchese)
MARC.                              Ah signore... (con paura)

MAR.                                                      No, non fate. (trattenendoli)

Vel protesto, v'ingannate;
Non mi posso lamentar.
COL.                               Non star vero? (a Marianna)

MAR.                                                         No, signore.

COL.                               Se fillano m'ingannar,

Foler testa a ti tagliar. (minaccia Mengotto)
MENG.                           Ah soccorso!

MAR.                                                    Per pietà. (trattenendolo, come sopra)

No, papà,

No, non fate, - perdonate.
Mariannina, - poverina,
Vel domanda in carità.
COL.                               Pichilina, - star bonina,

Foler grazia ti donar, Foler tutti perdonar.

TUTTI

Viva, viva, pace, pace,

Non più in guerra si ha da star.

Quel ch'è stato, stato sia,

Ed invidia o gelosia

Non ci venga a disturbar.

Viva, viva, pace, pace,

Non più in guerra si ha da star.


ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Notte. Camera con tavolino e sedie, e sopra il tavolino una bottiglia di rosolio, e bicchieri, e lumi.

Il Marchese ed il Colonnello con pipa, fumando, a sedere presso il tavolino.

MARC.             Così è, signore.

Vi è stato del rumore;

Ma alla vostra venuta

Tutto si è dissipato,

E confesso che a torto ho sospettato.
COL.                 O cospette di bacche!

Tu affer pone tabacche,

E affer pon brandevain. (versa il rosolio nel bicchiere)
MARC.             Certo che il rosolino

Di Bologna è perfetto, e so che piace

Ai signori Alemanni.
COL.                 Viva, mio general. (beve)

MARC.                                          Viva mill'anni.

Vo', se vi contentate,

Alla vostra presenza

Stassera radunar diversa gente,

E i sponsai confermare solennemente.
COL.                 Jò. (fumando)

MARC.                   Con questa occasione

Di preparar destino

Un piccolo festino, e spererò

Che voi, signor, l'aggradirete.
COL.                                                                 Jo.

MARC.             Vo dunque a prepararlo.

Con licenza, signor. (Vo' coltivarlo). (parte)

SCENA SECONDA

Il Colonnello, poi il Cavaliere e la Marchesa Lucinda Il Colonnello seguita a fumare, e versa del rosolio nel bicchiere.

CAV.                Signore, io vi presento

Mia moglie e vostra serva,

Che del genero vostro è la germana. (al Colonnello)
LUC.                 Per servirla, signor. (Ma alla lontana).

COL.                 Untertienigher diener. (cavandosi il cappello, saluta la Marchesa)

CAV.                Se mai a vostra figlia


Avesse dato dispiacere anch'essa,

Amica or si professa

E di voi e di lei sinceramente.
LUC.                 Si signor, così è. (Forzatamente).

COL.                 Gute nachte, mein herren. (saluta come sopra)

Brandevain foler?(offerisce il rosolio alla Marchesa)
LUC.                                              Bene obbligata.

Mi permetta, signor, ch'io lo rifiute.
COL.                 Tartaifle, beffer je. Per tua salute. (beve)

LUC.                 Viva vossignoria.

Mi permetta, signor, deggio andar via.
COL.                 Foler bene a tuo sposo?

LUC.                                                       Oh, signor sì.

CAV.                No, gli potreste dir: così e così.

LUC.                            S'io v'amo, vel dica

La pena ch'io sento: Geloso tormento Sol nasce d'amor. (parte)

SCENA TERZA Il Cavaliere ed il Colonnello

CAV.                Per dir la verità, so che mi adora,

Ma è gelosa un po' troppo, e mi martora. (al Colonnello)
COL.                 In Italia mi stato,

E sempre affer trovato

Che star matto Italian per gelosia.
CAV.                Ah, pur troppo è comun sì gran pazzia.

Di pace nemica La patria condanno, Che il barbaro affanno Produce nel cor. (parte)

SCENA QUARTA

Il Colonnello seguitando a fumare, e riaccendendo al lume la pipa; poi Sandrina e Paoluccia

SAN.                 (Andiamo, e al colonnello

Facciamo un complimento). (piano a Paoluccia)
PAOL.              (Per dir il vero, ho un poco di spavento). (piano a Sandrina)

COL.                 Ah, ah, brauchet nur eire

Ghelegenheit. (s'alza con piacere)
PAOL.                                    (Che dice?) (piano a Sandrina)

SAN.                 Non capisco niente. (piano a Paoluccia)


COL.

SAN.

PAOL.

COL.

SAN.

PAOL.

COL. SAN. PAOL. a due COL.

SPAANO.L.} adue COL.

SAN.

PAOL.

COL.

Jò, iungfrauen, fenite. Serva. (s'inchina)

La riverisco. (s'inchina)

Star compite. Mi consolo con lei.

Che sia arrivato, Me ne consolo anch'io.

Pene oblicato. Io son la cameriera. Io son la giardiniera. Se mi comanderà, mi farà grazia. Star fostra pona crazia. Ed io, dove potrò, La servirò se mi comanda.

Jò. Foler tu brandevain? (esibisce loro il rosolio) Ne prenderò un pochetto. Se mi vuol favorire, anch'io l'accetto. Supite, pichline. (empie due bicchieri e li presenta ad esse) Uh, star tante carine! Peffer, ragazze mie; Quando pipa finir, peffer anch'je. (egli seguita a fumare, ed esse bevono a sorsi)

Che guste mi affer! (a Sandrina, e le fa sentire il fumo)

Bellina piacer.

SAN. COL.

PAOL. COL.

SPAANO.L.} adue COL.

Oibò; mi fa mal. (schivando il fumo)

Contento proffar. (a Paoluccia, insolentandola col fumo)

Carina tu par.

Oibò; che animal! (schivando il fumo)

Fol star compagnia,

Fol star allegria.

La pipa, signore,

Vi prego lasciar. Sì, presto finir. Che gusto proffar! Contento mi star.

SPAANO.L.} adue COL.

SPAANO.L.} adue COL.

SPAANO.L.} adue

COL. a tre

Il fumo, l'odore

Non posso soffrir.

Vi prego, signore,

La pipa lasciar.

Belline, carine,

Foler contentar. (getta via la pipa)

Che buon rosolino!

Che caro piacer!

Per fostra salute

Je beffer foler. (prende anch'egli del rosolio)

Gli sono obbligata

Di tanto favor. Che dolce diletto! Che caro liquor! Che viva l'affetto,


Che viva il buon cor! (partono)

SCENA QUINTA

Sala.

Il Marchese e Mengotto


MARC.             Già sai quel che ti ho detto;

Vattene immantinente

Tu pur coll'altra gente, e fa che tutto

Sia lesto pel festino,

E che le cose vadano appuntino.
MENG.             Farò, non dubitate,

Quanto mi comandate. Ah sì, padrone,

Sono anch'io consolato,

Che alfin pacificato

Siate colla padrona,

Ch'è per voi sì amorosa e così buona.
MARC.             Basta così, va via;

Va a far quel che ti ho detto.
MENG.             Sì signore,

Farò l'obbligo mio,

Allegramente!

La pace è fatta.

Oh, quanta gente

S'ha da invitar! Che bel piacere

S'ha da godere!

S'ha da ballare,

S'ha da saltar. (parte)

E vo' ballare, e vo' saltare anch'io.

SCENA SESTA


Il Marchese e poi Marianna

MARC.             Fui veramente un pazzo

Il cor con i sospetti

A tormentar finora.

Ma chi sa poi, s'io sia guarito ancora?
MAR.                (Ecco lo sposo mio. Chi mai sa dirmi

Se scacciata ha davver la gelosia?

Dubito che vi sia nel core il tarlo;

Con un po' d'artifizio or vo' provarlo). (da sé, non veduta)
MARC.             (Sì, sì, mi son chiarito.

Più non voglio impazzir come ho impazzito). (da sé)


a due

MAR.

MARC.

MAR.

MARC. MAR.

MARC.

MAR.

a due

MAR.

MARC.

MAR.

MARC.

MAR.

MARC. MMAARR.C.} MAR.

MARC.

MAR.

MARC.

MARC.

MAR.


Marchese. (chiamandolo) Oh! siete qui?

Son qui da voi, Perché vo' che fra noi parliamo un poco. Gioia mia, a tempo e loco Ci potremo parlar segretamente; Ora a stare pensiamo allegramente. Lo so che il mio sposino Preparato ha un banchetto, Ma in mezzo all'allegria Non vorrei che tornasse in gelosia. Oh no, non vi è pericolo. La gelosia detesto; Più geloso non son, ve lo protesto.

Se mai più di voi sospetto,

Se più sento gelosia,

Prego Amor che in vita mia

Non mi doni alcun piacer. Se per voi non serbo in petto

Quell'affetto che conviene,

Prego Amor che un dì di bene

Non mi faccia mai goder. Oda Amore i nostri voti,

Ed i figli ed i nipoti

Ci dia grazie di veder. Al festin poss'io ballare

Con chi vien? con chi mi pare? Sì, ballate allegramente,

Ch'io già sono indifferente. Il mio primo minuetto

Vo' ballar col Cavalier. Ah, lo fate per dispetto,

Per recarmi dispiacer. Che graziosa indifferenza!

Che amorosa compiacenza! (con ironia) Non con lui; non ho piacer. Oh feroce gelosia,

È pur grande il tuo poter. (ognuno da sé) Per contentarsi,

Per soddisfarsi,

No, con nessuno

Non ballerò. Non mi irritate;

Vo' che balliate. Col Cavalier? Questo poi no. Se mai più di voi sospetto,

Prego Amor che in vita mia

Non mi doni alcun piacer. Se per voi non serbo in petto

Quell'affetto che conviene,


Ch'io non possa mai goder. (rimproverandosi a vicenda)
a due                           Giuramento sconsigliato,

Se non viene accompagnato

Dal desio di mantener.
MAR.                         Ma caro sposo,

Perché geloso

Di chi v'adora?

Vedo che ancora

Non mi credete.

Ah, non avete

Di me pietà! (piangendo)
MARC.                      Deh, se mi amate,

Deh, perdonate:

Sì v'amo tanto,

Che questo pianto

Mi vien dal core.

Non più rigore,

Per carità. (piangendo)
a due                           Ah, che mi sento

Che a un tal tormento

L'alma resistere,

No, più non sa. (tutti due piangendo)
MAR.                         Via, vel prometto,

Sposo diletto:

Col Cavaliere

Non ballerò.
MARC.                      No, non temete.

Con chi volete

Ballate pure;

Non parlerò.
a due                           In tali accenti

L'amor io vedo.

Sì sì, vi credo:

Timor non ho. Di fiamme ardenti

M'accendo il petto;

Sì dolce affetto

SCENA ULTIMA

Sala preparata per il Ballo.

Soffrir non so. (partono)

Tutti

CORO

La Cecchina fortunata Buona figlia un tempo fu; Or Marianna maritata


È bonina ancora più. Imparate, voi zitelle, Esser buone in gioventù; Che non basta l'esser belle, Necessaria è la virtù.

Fine del Dramma.