La buona figliuola

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LA BUONA FIGLIUOLA

Carlo Goldoni

Dramma Giocoso per Musica da rappresentarsi nel Regio Ducale Teatro di Parma nel Carnovale

dell'Anno .

PERSONAGGI

LA MARCHESA LUCINDA

La Sig. Anna Bastiglia. IL CAVALIERE ARMIDORO

Il Sig. Giuseppe Ceccognani. IL MARCHESE DELLA CONCHIGLIA

Il Sig. Michele Del Zanca. CECCHINA giardiniera.

La Sig. Margherita Parisini. PAOLUCCIA cameriera della Marchesa.

La Sig. Agata Ferretti. SANDRINA lavoratrice rustica.

La Sig. Rosa Puccini. MENGOTTO contadino lavoratore.

Il Sig. Pietro Tibaldi. TAGLIAFERRO soldato tedesco.

Il Sig. Petronio Manelli. Cacciatori

Uominiarmati      }    nonparlano. Servitori

MUTAZIONI DI SCENE

NELL'ATTO PRIMO

Giardino delizioso, adorno di vari fiori, con veduta

del palazzo del Marchese.

Loggie terrene corrispondenti al giardino.

Vasta campagna con colline praticabili.

NELL'ATTO SECONDO

Boschetto delizioso.

Recinto di pergolati e piante fruttifere con veduta

della parte posteriore del suddetto palazzo, da cui

si discende per ampie scale.

NELL'ATTO TERZO

Ritornano le suddette loggie.

Salone magnifico con colonnati, statue e porte laterali.


La Scena si finge nel feudo del Marchese della Conchiglia.

La Poesia è del Sig. Avvocato Carlo Goldoni, Poeta di S. A. R.

La Musica è del Sig. Egidio Duni Napolitano, Maestro di Cappella di S. A. R.

Le Scene sono del Sig. Francesco Grassi Parmigiano, Architetto Teatrale di S. A. R.

Li Balli che verranno eseguiti dalla Compagnia de' Ballerini Francesi all'attuale servigio di S. A. R. saranno d'invenzione di Monsieur Delisle, Direttore della medesima Compagnia.


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Giardino delizioso, adorno di vari fiori, con veduta del Palazzo del Marchese.

Cecchina sola.

Che piacer, che bel diletto È il vedere, in sul mattino, Colla rosa il gelsomino In bellezza gareggiar! E potere all'erbe, ai fiori, Dir son io coi freschi umori, Che vi vengo ad inaffiar.

Ah, non potea la sorte,

In mezzo al caso mio duro e funesto,

Esercizio miglior darmi di questo!

Povera sventurata!

Non so di chi sia nata:

Questo è il tristo pensier che mi tormenta;

Pur, tra le piante e i fiori,

Trovo il solo piacer che mi contenta.

Godo colle mie mani

Un germoglio troncar dall'arboscello,

E mirarlo cresciuto arbor novello.

Godo io stessa innestar sul prun selvaggio,

In dolce primavera,

Or le pesche succose ed or le pera.

SCENA SECONDA

Mengotto e la suddetta.

MEN.

Oh Cecchina, buon giorno.

CEC.

Mengotto, ti saluto.

MEN.

Eccomi, ad aiutarti io son venuto.

CEC.

Tardi venisti, affé;

Ho adacquato da me quanti tu vedi,

Ne' bei recinti erbosi,

Opre delle mie man, fiori odorosi.

MEN.

Manca nel tuo giardino,

Manca, Cecchina bella, il più bel fiore.

CEC.

Qual è il fior che vi manca?

MEN.

Il fior d'amore.


CEC.                      Non so che cosa sia.

MEN.                     Cara Cecchina mia,

Senti che fiore è questo, e dimmi poi Se in beltà, se in piacer, sorpassa i tuoi.

Quel che d'amore

Si chiama il fiore,

È d'un bel core

La fedeltà. D'un'alma fida,

D'un core onesto,

Più bell'innesto

No, non si dà.

CEC.                      Eh Mengotto, Mengotto,

Di questo fior sì bello Che il tuo labbro e il tuo cor vanta così, Intesi a dir questa canzone un dì.

Ogni amatore

Nel proprio core

Il fior d'amore

Vantando va. Ma dove nasca

La bella pianta

Che il labbro vanta,

Nessuno il sa.

MEN.                     Posso farti vedere

Che la pianta felice

Di Mengotto nel seno ha la radice.

Sì, ti sarò fedele, fedelone;

Bastami solo un po' di compassione.
CEC.                      Compassione da me ne avrai da vendere;

Ma di più non so dar, più non pretendere.
MEN.                     Niente, niente d'amor?

CEC.                                                          Sì, se ti basta

Quell'amor con cui s'amano

I fratelli, gli amici,

Nell'innocente amor c'entri ancor tu,

Come amico e fratello, e niente più.
MEN.                     Ah Cecchina, al mio foco

Fratellanza, amicizia, è troppo poco.

Ma piuttosto di niente,

Amami da parente. Un dì, chi sa?

Parentela fra noi cangiar potrà.

Non comoda all'amante

L'affetto di parente;

Però meglio è che niente.

Mi voglio contentar. Se mi ami da fratello,

Un dì, visetto bello,


Potrà la sorellina Sposina - diventar. (parte)

SCENA TERZA Cecchina, poi il Marchese

CEC.                      Per dir la verità,

Sento qualche pietà per lui nel core,

Ma mi fa ingrata un mio segreto amore.

Non ardisco di dirlo:

Mai nessuno il saprà...

Oh ciel! dove m'ascondo? Eccolo qua.
MAR.                    Brava! sei di buon'ora

Questa mane venuta al tuo mestiere.
CEC.                      Signor, fo il mio dovere.

MAR.                                                           Ma non voglio

Che così ti affatichi. Altri ci sono,

E villani e villane,

Fatti per queste cose grossolane.

Tu sei una ragazza tenerina;

Tu sei...
CEC.                                  Cosa, signor?

MAR.                                                      La mia Cecchina.

CEC.                      Certo, son cosa vostra:

Se voi mi date il pane,

Comandar mi potete.
MAR.                                                      Ben, comando,

E voglio, e dico, ed obbedir conviene,

Che tu, Cecchina mia... mi voglia bene.
CEC.                      Signor, con sua licenza. (vuol partire)

MAR.                     Dove vai?

CEC.                                       Ancor non adacquai

Certe piante novelle...
MAR.                     Eh, che c'è tempo.

Senti... ti vuò parlar... vuò confidarti...

(Non posso più; voglio scoprirle il cuore). (da sé)
CEC.                      (Mi batte il seno... Ah non tradirmi, amore). (da sé)

MAR.                     Tu sei una fanciulla

Che merita un tesoro;

Un amante son io che da te brama

Grata corrispondenza.

Cara, non mi negar...
CEC.                                                        Con sua licenza. (parte correndo)

SCENA QUARTA Il Marchese solo. Senti, senti, Cecchi... Va come il vento.


Eh, dal suo turbamento

Capisco che mi adora,

Ma teme a dirlo, ed è innocente ancora.


i cesti dalle spalle, e li

SCENA QUINTA

Sandrina con due canestri di frutti, ed il suddetto.

SAN.

Poverina, tutto il dì

Faticar deggio così!

Lavorare e coltivar,

E le frutta ho da portar.

E son tanto tenerina.

Poverina,

Chi mi viene ad aiutar?

MAR.

(Costei amica è di Cecchina. Io voglio

Confidarmi con lei).

Sandrina, appunto

Ho bisogno di te.

SAN.

Con questo peso,

Trattenermi non vuò.

MAR.

Via, non ci vede alcun; t'aiuterò. (leva a Sandrina

pone in terra)

SAN.

(Oh, credere conviene

Che il padrone davver mi voglia bene). (da sé)

MAR.

Dimmi... ma pria ch'io passi

A confidarti il cuore,

Vorrei saper se mai provasti amore.

SAN.

Dirò... così e così...

MAR.

Dunque sai cosa è amore.

SAN.

Eh, signor sì.

MAR.

Sappi, te lo confido,

Ch'io sono innamorato,

E bisogno ho di te.

SAN.

(Eh, già lo vedo, è innamorato in me). (da sé)

MAR.

Altri che tu, Sandrina,

Non mi puole aiutar.

SAN.

Oh sì, signore,

Comandatemi pur, son di buon cuore.

MAR.

Amo.

SAN.

L'avete detto.

MAR.

Ma sai qual sia l'oggetto?

SAN.

Non so dire:

Ma... quasi il mio cervello
Sel pensa e l'indovina... (mostrandosi consolata)
MAR.                    Senti, te lo confido. Amo Cecchina. (Sandrina si mortifica)

So che amica le sei; fra voi ragazze Confidarvi solete, E a ragionar con te Non avrà quel rossor ch'ella ha con me.


SAN.

Signore, vi dirò...

Contadina son nata,

Ma non mi piace far quest'imbasciata.

MAR.

Oh, che sciocco discorso!

Si tratta d'un'amica,

Si tratta d'un padrone,

E ti regalerò.

SAN.

(Mi voglio vendicar). (da sé) Vi servirò.

MAR.

Poc'anzi le parlai,

Ma dir non terminai.

Tu, Sandrina, per me le parla un poco.

Dille che tutto foco....

Dille che gli occhi suoi...

Dille che se vorrà... Capir mi puoi!

È pur bella la Cecchina!

Mi fa tutto giubilar.

Quando parla modestina,

Mi fa proprio innamorar.

Quel bocchino piccinino...

Quegli occhietti sì furbetti...

Ah, di più non si può far.

Ma tant'altre vanarelle,

Che von far le pazzarelle,

Non le posso sopportar.

Via le belle, via le brutte,

Vadan tutte;

Sol Cecchina voglio amar. (parte)

SCENA SESTA

Sandrina, poi il Cavaliere Armidoro

SAN.

Dille, parlale. Oh certo!

Sì, signore. Affé, non son sì pazza;

Anch'io son tal ragazza

Che può avere l'amor d'un cavaliere,

Né per altri vuò far questo mestiere.

CAV.

Villanella gentil.

SAN.

La riverisco.

CAV.

Siete voi del recinto?

SAN.

Sì, signore.

CAV.

Saper vorrei se la padrona è alzata.

SAN.

Nol so, ché ritornata

Son di lontano or ora

A portar queste frutta alla signora. (accennando i cesti)

CAV.

Si può veder?

SAN.

Chi siete?

CAV.

Il cavaliere

Armidoro son io, cui la Marchesa

Destinata è in isposa, e qui mi sprona


Desio di riverirla.
SAN.                     Mi consolo, signor, vado a servirla.

Oh, che la mia padrona

È tanto, è tanto buona.

Con lei certo sarete fortunato,

Ma... vi tocca un gran pessimo cognato.
CAV.                     Il Marchese?

SAN.                                            Signore...

Io non voglio dir mal... Ma se sapeste...

Basta, non vuò parlare,

Perché il vizio non ho di mormorare.
CAV.                     Ditemi, in cortesia,

Meco parlar potete.
SAN.                     Vel dirò in confidenza; ma tacete.

CAV.                     Levatemi di pena.

SAN.                                                   È innamorato

Di certa simoncina

Nominata Cecchina,

Giovane forastiera,

Che fa la giardiniera. Non si sa

Dove sia nata, né di chi sia figlia.

Ed ei non si vergogna,

Non dico sol d'amarla,

Ma si crede che voglia anche sposarla.
CAV.                     Possibil che ciò sia?

SAN.                                                       Ve l'assicuro.

CAV.                     Ah, se ciò fosse vero,

Pria di porger la mano alla Marchesa

Ci penserei ben bene.
SAN.                                                       È tanto vero,

E con tal fondamento ora vi parlo,

Che anche sull'onor mio posso giurarlo.

Sono una giovane,

Che in vita mia

Tacciar non possono

D'una bugia;

E non so fingere,

Non so mentir. Il mio padrone...

Non vuò parlare.

La giardiniera...

Non vuò ciarlare.

So tutto il resto,

Ma più di questo

Non voglio dir. (parte con i suoi cesti)

SCENA SETTIMA Il Cavaliere Armidoro


Amo, è ver, la Marchesa,

Son contento di lei,

Ma un sì vil parentado io sdegnerei.

E innanzi che mi giunga

Ad acciecare il faretrato arciero,

Scoprir vogl'io se un tal periglio è vero.

Della sposa il bel sembiante Favellar mi sento al core, Ma la gloria, ma l'onore Son costretto a consigliar. Ché l'amor nel seno amante Può languire e venir meno, Ma l'onor nel nostro seno Colla vita ha da durare. (parte)

SCENA OTTAVA

Loggie terreni corrispondenti al giardino.

La Marchesa Lucinda, poi Paoluccia

LUC.                     Caro albergo di pace,

Lungi dal mormorio, lungi dal tedio Di città popolosa,

Sempre dolce mi fosti. A te d'intorno Spira un aere giocondo, un ciel sereno, Ma ora sei al cuor mio piacevol meno. Mancami il bel che adoro, Mancami d'Armidoro il dolce aspetto, A compir fra quest'aure il mio diletto.

PAOL.                   Presto, presto, la mancia; in questo punto,

Sarà contenta, il Cavaliere è giunto.

LUC.                     Va, che impaziente l'amor mio l'aspetta.

PAOL.                   (Capperi! la signora ha una gran fretta!) (parte)

LUC.                     Ah, convien dir che i nostri cuori amanti

S'intendano assai bene. Io pensava allo sposo, ed ei sen viene.

SCENA NONA Il Cavaliere Armidoro, Paoluccia, e la suddetta.

PAOL.                   Via, si va così lento

A riveder la sposa? (al Cavaliere)
LUC.                                                     Ah, che opportuno

Vi ha guidato il destino.
CAV.                     Adorata Marchesa, a voi m'inchino.


LUC.                     Oimè! nel vostro ciglio

Veder non parmi il bel sereno usato.

PAOL.                   Lo diceva ancor io; pare insensato.

CAV.                     Compatite un affanno

Che mi turba la quiete: il mio costume Per lung'uso vi è noto. Allor che in seno Nutro qualche dolor, qualche sospetto, Deggio in viso mostrarlo a mio dispetto.

PAOL.                   Certo, un uomo sincero è un gran portento.

Credo non se ne dian quattro per cento.

CAV.                     Detto mi vien per certo

Che il Marchese invaghito

Sia di femmina vile, e che destina

Sposarla ancor.

LUC.                                              E chi è costei?

CAV.                                                                     Cecchina.

LUC.                     Spero che non sarà. Di mio germano

Conosco il cor. Ma se dal cieco amore Si lasciasse tradir? Se mai cedesse Al desio delle nozze inonorate, Armidoro crudel, voi mi lasciate?

CAV.                     Quel che farei, non so.

So che vi adoro, So che mi costerebbe, Il perdervi, la vita; ma non deggio, Ad onta dell'amor che mi consiglia, Il decoro tradir di mia famiglia. Deh, procurate in tempo Impedir che ciò segua. Idolo mio, Che sarebbe di me, se mai perdessi D'un sì bel core il prezioso acquisto? Ah, il pensarvi m'uccide. Ah, non resisto. (parte)

SCENA DECIMA La Marchesa Lucinda e Paoluccia

LUC.                     Temeraria! Per lei

Perderò chi mi adora?

Chiamami la Cecchina. (a Paoluccia)

PAOL.                                                       Sì, signora,

La chiamerò; sgridatela ben bene Quest'incognita ardita e prosontuosa Ch'esser vorria d'un cavalier la sposa.

Che superbia maladetta, Che si vede a dominar! Ogni misera donnetta Si procura d'innalzar. Non vi è più fra le persone

Quella giusta proporzione,


Che si usava praticar. Ciascuna oggidì Col chichirichì, Lustrissima sì, Bracciere di qua, Bracciere di là, Pomposa, - vezzosa, Brillando sen va. (parte)

SCENA UNDICESIMA La Marchesa Lucinda, poi Cecchina

LUC.

Manderò la sfacciata

A far vita meschina e ritirata.

Ma per sfuggire col german l'impegno,

Finger è forza, e simular lo sdegno.

CEC.

Eccomi a' suoi comandi.

LUC.

Sì, Cecchina,

Fosti sempre bonina, e lo sarai;

E un piacer che ti chiedo, or mi farai.

CEC.

Vuol, parlando così, mortificarmi.

La padrona ha il poter di comandarmi.

LUC.

Aspasia, mia sorella,

Brama una giardiniera. Ella pregommi

Che io ti avessi al suo desir concesso,

E di cederti ad essa ho già promesso.

CEC.

(Povera me!) (da sé)

LUC.

Sollecita

Renditi al cenno mio.

CEC.

Dunque, signora,

Seco non mi vuol più?

Non l'è più cara la mia servitù?

LUC.

Sì, mi sei cara; e se di te mi privo,

Alfin ti mando dai congiunti miei.

CEC.

Ma io... padrona... voglio star con lei.

LUC.

Lo dici per amor?

CEC.

Certo... lo giuro.

LUC.

Dunque se dell'amore

Per la padrona tua vanti sincero,

Mostra coll'obbedir che dici il vero.

CEC.

Signora mia... con vostra permissione...

L'ha saputo il padrone?

LUC.

Colle donne

Ei non ci deve entrare:

Vattene, e non mi far più replicare.

CEC.

Obbedirò; ma se il padrone mio...

LUC.

La padrona son io.

CEC.

Non dico, ma l'andarmene di qua

Senza dirlo al padrone, è inciviltà.

LUC.

Che giovane civile!


Vanne, non replicare:

O, disgraziata, ti farò portare. (Cecchina resta mortificata e piangente)

SCENA DODICESIMA Il Marchese e dette.

MAR.                    Cecchina, di te appunto

Cerco e ricerco, e non ti trovo mai.

Piangi? Perché? Cos'hai?
LUC.                                                              Da mia germana

A me fu ricercata,

Ed io per civiltà gliel'ho accordata.
MAR.                    Oh, signora sorella,

Vi è una difficoltà:

Io non voglio che vada, e non andrà.
LUC.                     Sì, sì, cotal ripulsa,

Amabil cavaliero,

Quel che in dubbio credea, mostra esser vero.

Voi l'amate, l'indegna.
MAR.                                                         E perché no?

LUC.                     La volete sposar?

MAR.                                                  Questo nol so.

LUC.                     Perfida, disgraziata,

Se pentir non ti fo, non son chi sono.
CEC.                      Signor, meco si sdegna,

Ed io colpa non ho.
LUC.                                                     Sei un'indegna.

CEC.                                 Una povera ragazza,

Padre e madre che non ha, Si maltratta, si strapazza... Questa è troppa crudeltà! Sì signora, sì padrone, Che con vostra permissione Voglio andarmene di qua. Partirò, - me ne andrò A cercar la carità. Poverina, - la Cecchina Qualche cosa troverà. Sì padrone, sì padrona, So che il ciel non abbandona L'innocenza e l'onestà. (parte)

SCENA TREDICESIMA Il Marchese e la Marchesa Lucinda


LUC.                     Bell'onor della casa!

Bel rispetto che avete a una germana!
MAR.                    Per voi ho del rispetto,

Per voi ho dell'affetto,

Vi venero, vi stimo,

Siete del sangue mio:

Ma, signora, vuò far quel che vogl'io. (parte)

SCENA QUATTORDICESIMA

La Marchesa Lucinda sola.

No, non gli riuscirà, lo giuro al cielo.

A costo di morire,

No, non la vuò soffrire.

Vanne, perfida, e aspetta,

Che lontana non è la mia vendetta.

Furie di donna irata In mio soccorso invoco. Ah, che mi accresce il foco Un disperato amor.

Resa per un'ingrata Gioco d'avversa sorte, Stragi, vendetta e morte Medita il mio furor. (parte)

SCENA QUINDICESIMA

Campagna vasta.

Paoluccia e Sandrina

PAOL.

Si sa dov'è Cecchina?

SAN.

Io non so certo

Dove se ne sia ita.

PAOL.

Chi sa che per timor non sia fuggita?

SAN.

Vorrei che se ne andasse

Lontan le mille miglia.

Non solo fa all'amor con il padrone,

Ma con tutti i villani; e il mio Mengotto,

Innamorato e cotto

Un dì de' fatti miei,

Ora spasima e muor solo per lei.

PAOL.

E non si sa nemmeno

Chi diavolo ella sia.

SAN.

Fu ritrovata

Sulla strada bambina.

PAOL.

I suoi parenti


SAN.


Assassini saranno,

Che l'hanno abbandonata.

Credo che da una zingara sia nata.


SCENA SEDICESIMA Cecchina e le suddette, poi Mengotto, poi il Marchese


CEC.

SAN.

PAOL.

CEC.

SAN.

PAOL.

MEN.

SAN.

PAOL.

CEC.

SAN.

PAOL.

MEN.

CEC.

SAN. PAOL.

MEN.

SAN.

PAOL.

MEN.

CEC.

MAR.


}

}

} }

} }


a due

a due

a due

a due

a due

a due


Vo cercando e non ritrovo

La mia pace e il mio conforto;

Ché per tutto meco porto

Una spina in mezzo al cor. Che si fa per di qua?

Signorina, dove va? Care amiche, addio per sempre;

Già vi lascio, e m'incammino

A cercar miglior destino,

A cercar sorte miglior. (s'avvia verso la collina) Vada pur, se se ne va,

Mille miglia via di qua. (S'incontra in Cecchina, e la trattiene) Dove vai, Cecchina bella?

Dove vai, mio dolce amor? Sì signore, già si sa,

Coll'amante sen andrà. Donne ingrate, - m'insultate,

Non avete carità. Mi condoni, - mi perdoni

Della mia temerità. (deridendola) Vieni via, che mi contento

Dell'amor di sorellina. D'una povera meschina

Sia Mengotto il difensor. Sia Mengotto il conduttor

Dell'amante del padrone,

Ed il povero babbione

Sia mezzan del protettor. (a Mengotto) Del padrone?

Così è.

Il suo cor non è per te. Resta pur, se d'altri sei. (a Cecchina) Ah, congiura ai danni miei

Tutto il mondo traditor. (sopraggiunge il Marchese) Vuol Cecchina abbandonarmi?

Ah crudel, no, non lasciarmi.

Dove vai, mio bel tesor?



SAN. PAOL.


}


a due


Con Mengotto se ne va, Ch'è l'amato - fortunato, Che il suo cor si goderà.



MAR. SAN. PAOL. MAR.

CEC.

MAR.

MEN.

SAN.

PAOL.

CEC.

MAR.

CEC.

MEN.

CEC.

SAN.

PAOL.

CEC.

a quattro

CEC.


}

}

}


Con Mengotto?

Sì signore. a due

Vanne pure, ingrato core, Più di te non ho pietà.

Sventurata, - sciagurata, Ah, di me cosa sarà?

Vanne pur col tuo amorino.

Vanne pur col padroncino.

Bella, bella in verità! a due

Ah signor... (al Marchese)

Più non ti ascolto. Senti tu... (a Mengotto)

Non son sì stolto. Care amiche, in carità!

Mi perdoni, - mi condoni

a due

Della mia temerità.

Chi m'aiuta per pietà?

No, per te non vi è pietà.

Chi di un sol non si contenta,

Si martelli, se ne penta.

A chi finge, così va.

No, per te non v'è pietà. Chi m'aiuta per pietà?



ATTO SECONDO

SCENA PRIMA Boschetto delizioso. Il Marchese solo

Dov'è Cecchina, o ciel?

Dov'è fuggita, oimè?

Ah, che son io crudel!

Ah, m'ingannai da me! Barbaro fato!

Sorte spietata!

Dove s'è andata?

Dov'è il mio cuor?

La cerco e non la trovo,

Non so dov'ella sia.

Maladetta sia pur la gelosia.

Il mio temperamento

Si scalda in sul momento.

L'ho scacciata da me, pazzo, furente,

E poi dopo trovai ch'ella è innocente.

Ma la ritroverò;

Sì, la ricercherò per mari e monti;

Ai fiumi, ai colli, ai fonti

Di lei domanderò;

Sì, la ritroverò... (parte)

SCENA SECONDA

Il Cavaliere Armidoro e Cecchina, scortata da vari Uomini armati.

CAV.                     Amici, sia condotta

Alla città costei; sia consegnata

Al cavalier cui va diretto il foglio.

Sciocca, ti pentirai del folle orgoglio. (parte)

SCENA TERZA Cecchina e i suddetti Uomini armati.


Dove mi conducete? (Gli Armati mostrano di parlare piano con lei)

SCENA QUARTA

Mengotto dal fondo della scena, poi alcuni Cacciatori che passano, ed i suddetti.

MEN.                     Oh povera Cecchina!

Di lei che vonno far? Pazzo, briccone!

Perché aver gelosia del mio padrone?

Ah, se sapessi almeno

Di liberarla il modo!

Ecco qui i cacciatori. (si vedono venire li Cacciatori)

Vi supplico, signori,

Se avete il cuor clemente,

Di man degli assassini

Venite a liberar quell'innocente.

(I Cacciatori colle loro armi sorprendono i Custodi di Cecchina, ed essi

fuggono inseguiti dai Cacciatori medesimi, e nel fuggire cade ad uno la

spada di mano, e l'abbandona)

SCENA QUINTA Cecchina, Mengotto, poi il Marchese

CEC.

Ah povero Mengotto!

Alfin mi ha liberata;

E il padrone crudel mi ha abbandonata.

MEN.

Obbligato, signori; avete fatto

Un'opra di giustizia e di pietà. (verso la scena)

Ah, mia cara Cecchina, eccomi qua.

CEC.

A te deggio la vita.

MEN.

In ricompensa

Posso sperar amore?

CEC.

Lasciami respirar. Mi manca il cuore.

MEN.

Vieni alla mia capanna,

Là prenderai ristoro. (prendendola per la mano)

MAR.

Vieni meco, Cecchina. Ah, mio tesoro!

(leva Cecchina di mano a Mengotto, e la conduce seco correndo)

SCENA SESTA

Mengotto, poi Tagliaferro

MEN.

Ah, povero Mengotto!

Cosa soffrir mi tocca?

Mi ha levato il boccon quasi di bocca.

Dagli empi liberata


Fu per opera mia,

E il mio padron me la conduce via.

Povero sfortunato!

Sì, mi voglio ammazzar. Son disperato.

Con questa spada, ch'è di man caduta (prende la spada)

A un assassin vinto dal suo timore,

Vuò per disperazion passarmi il cuore.

Ah Cecchina... il tuo Mengotto... Si ferisce... e per te more... Ma mi sento a dir dal core: «Poverino, non lo far». Eh coraggio... s'ha d'andar. Sì, mi voglio sbudellar.

TAG.                     Eh tartaifle, che tu far? (impedisce il colpo)

MEN.                     Caro signor soldato,

Lasciatemi morir; son disperato.
TAG.                     Tu, canaglia, poltrone,

Foler disperazione

Spada per ti passar? Se fol morire

Calantome onorate,

Alla gherra fenir, morir soldate.
MEN.                     Sì signor, alla guerra

Voglio venir con voi.

Così, sorte assassina,

Mi leverò dal cuor la mia Cecchina.
TAG.                     Jò, Cecchina chi star?

MEN.                                                       Star una giovane

Che ho tanto, tanto amato.
TAG.                     E per donna Talian star disperato?

Tatesco niente importa

Per gherra, per onor, perder la pelle,

Ma no morir per queste pacatelle.

Fenir, fenir con me.
MEN.                                                    Ma in cortesia,

Chi è vossignoria?
TAG.                                                   Star bon soldato,

Granatieri, che serfir mio colonello.

Stato Italia altra folta, e star fenuto

Atesso per cercar

Picchla ragazzina dove star.
MEN.                     Basta, se mi volete,

Verrò con voi.
TAG.                                              Sì, sì, paesan, fenir,

Che alla gherra contenti

Star tutte sorte de difertimenti.

Star violone, star violine, Star strumenti in quantità, Belle fraile graziosine Per ballare, vissasà. Se nemigo star lontan,


Trinch vain Lanzman,

Quando in campo defe andar,

Sempre lustiche ti sta,

Salta, balla, vissasà. (partono tutti)

SCENA SETTIMA

Logge terrene corrispondenti al giardino.

La Marchesa Lucinda ed il Cavaliere Armidoro

LUC.                     Dunque, per quel ch'io sento,

Se n'è ita l'indegna.
CAV.                                                    Sì, è passata

A viver ritirata alla città,

E il Marchese mai più non la vedrà.
LUC.                     Ora vivrete quieto.

CAV.                                                    Sì, mia cara,

Or contento son io.
LUC.                     Ma contento però non è il cuor mio.

CAV.                     Perché?

LUC.                                  Perché pavento

Debole il vostro amor. Giusta ragione

Vi sdegnava, lo so, con il germano;

Ma un amante, uno sposo

Tenero ed amoroso,

No, non avea per questo

Di lasciarmi, crudel, giusto pretesto.
CAV.                     Nol dissi ancor, né di lasciarvi in seno

Nutria il pensier.
LUC.                                                Lo minacciaste almeno.

CAV.                     Ah, che distante è troppo

L'opera dal pensier. V'amo, v'adoro,

E so che nel mio petto

Potria l'amor ch'io sento

Vincer ogni passione a mio dispetto.

Cara, s'è ver ch'io v'ami, La mia coscienza il dica; Sorte crudel nemica, No, non mi cambia il cor. Se di piacervi io brami, Se l'idol mio voi siete, Prove sincere avrete, Ve ne offerisco ancor. (parte)

SCENA OTTAVA La Marchesa Lucinda, poi Sandrina e Paoluccia


LUC.

Fuor di ragion non parla;

Lo comprendo, lo so, ma vuò ch'ei sappia

Ch'io voglio essere amata

Senz'alcuna riserva, e rispettata.

SAN.

(Chi l'avesse mai detto!) (piano a Paoluccia)

PAOL.

(Io non so come

Una nuova recarle

Che le sarà importuna). (piano a Sandrina)

SAN.

(Gliela possiamo dire un po' per una). (piano a Paoluccia)

LUC.

Che parlate fra voi?

SAN.

Dirò, signora...

Lo saprà che Cecchina...

LUC.

E già partita.

Questo lo so.

PAOL.

Ma poi...

Ella deve saper... Ditelo voi. (a Sandrina)

LUC.

Vi è qualche novità?

SAN.

Dirò, signora.

Sappia che presto presto...

Ho principiato a dir. Voi dite il resto. (a Paoluccia)

LUC.

Spicciatevi una volta.

SAN.

Ha da sapere...

PAOL.

Che indietro ritornata...

SAN.

È in una stanza...

PAOL.

Dal padron serrata.

LUC.

Come! Chi è che m'inganna?

Il Cavaliere?... ovvero

Un vil german colle violenze sue?

PAOL.

Dubito che vi burlin tutti due.

LUC.

Va tu dal Cavalier. Digli che tosto (a Paoluccia)

A me sen rieda. E tu va dal Marchese. (a Sandrina)

Digli placidamente

Che parlargli desio.

SAN.

Vado, signora, sì. (incamminandosi)

PAOL.

Vado ancor io. (incamminandosi)

LUC.

Aspettate.

SAN.

Son qui.

PAOL.

Dica, signora.

LUC.

Quel che ho da dir, non ho pensato ancora.

PAOL.

Prima si pensa ben.

SAN.

Poi si destina.

LUC.

Voglio prima saper che fa Cecchina.

SAN.

Vado. (in atto di partire)

PAOL.

Glielo dirò. (in atto di partire)

LUC.

Presto. Badate

Che fa colei: andate

Dal Cavalier; tosto da mio fratello.

PAOL.

Una cosa alla volta. (parte, indi ritornando)

SAN.

Andiam bel bello. (parte, indi ritornando)

LUC.

Non so quel che mi faccia;

Non so quel che mi dica;

Tu mi fai delirar, sorte nemica.


PAOL.                              Per il buco della chiave (ritornando)

Ho veduto la ragazza,

Che pareva mezza pazza,

Da sé sola taroccar. (parte)
SAN.                                 Ho veduto dalla porta (ritornando)

La Cecchina giardiniera,

Che passeggia e si dispera,

Ch'è vicina a delirar. (parte)
PAOL.                              Ho veduto che il padrone (ritornando)

Si avvicina a quella stanza;

E mi par, secondo usanza,

Che la voglia consolar. (parte)
SAN.                                 Il padrone vuol aprire, (ritornando)

Vuol parlar colla fanciulla...

Ma non voglio dirgli nulla,

Non mi voglio far gridar.
PAOL.                              La Cecchina è uscita fuori; (ritornando)

SAN.                                   Parleran de' loro amori.

a due                                 O signora, - ve lo dico,

Io per ora - non m'intrico,

Non ci voglio più tornar. (partono da un altro lato)

SCENA NONA

La Marchesa Lucinda sola.

Che risolvo, che fo? Se vado io stessa,

Mi cimento, lo vedo, a un rio periglio;

Penserò, prenderò miglior consiglio.

Il Cavaliere almeno

Venisse a consolarmi! Ragion d'abbandonarmi

Non può avere per ciò. S'ei meco fosse

Sì barbaro e crudele,

Non avria qual si vanta un cuor fedele.

No, non consiste amore In adorar l'amante Nelle felicità. Ma sta la fedeltà Nell'essere costante Fra le sventure ancor. Deh vieni, il rio timor Che mi tormenta il seno Almeno - a consolar. (parte)

SCENA DECIMA Cecchina ed il Marchese


CEC.

Voglio andare, signor. (quasi fuggendo)

MAR.

Dove?

CEC.

A gettarmi

A piè della padrona,

A chiederle perdono

Se degli sdegni suoi la causa io sono.

MAR.

No, non andar. Colei

È una donna furente,

E colla tua bontà non farai niente.

CEC.

Pazienza! proverò;

E se vuole ch'io parta, io partirò.

Finalmente io son serva, ella è padrona.

MAR.

Cara Cecchina mia, tu sei pur buona!

CEC.

Non è ver: son cattiva.

Se buona fossi stata,

Non averei nel core

Dato ricetto a un insolente amore.

MAR.

Come! insolente chiami

Quell'amor ch'hai per me?

CEC.

Sì, signor, così è.

Una povera serva

Che abbia un po' di ragione,

Non si dee innamorar del suo padrone.

Ma io, povera matta,

Ma io, senza pensar... Basta, l'ho fatta.

MAR.

Tutto quel che facesti, hai fatto bene.

Pentirti non conviene,

Anzi dell'amor tuo voglio premiarti;

E a dispetto di tutti io vuò sposarti.

CEC.

Sposarmi? (dolcemente)

MAR.

Sì, carina.

CEC.

Degna non ne son io. Son poverina.

MAR.

Orsù, ti opponi invano.

Presto, dammi la mano. (vuol prenderla)

CEC.

Oh, signor no. (s'allontana)

MAR.

Eh, che ti arriverò. (la seguita)

CEC.

Dove m'ascondo? (va schermendosi per la stanza)

MAR.

Dietro ti correrei per tutto il mondo. (la prende)

CEC.

Via, lasciatemi stare. (si scuote)

MAR.

Sta zitta, non gridare. (la tien salda)

CEC.

Via di qua.

Un po' più di rispetto e di onestà. (si scioglie)

Alla larga, alla larga, signore:

Io non vuò che nessuno mi tocchi.

Ah pur troppo, pur troppo quegli occhi

Mi hanno fatto una piaga nel cor. Ahi misera me!

Amor mi ferì,

Rimedio non c'è:

Vi basti così. (il Marchese s'accosta) No, vi dico, non vuò che l'affetto

Tradisca il rispetto - che vuol l'onestà.


Cessate... - lasciate... - così non si fa. (parte)

SCENA UNDICESIMA Il Marchese, poi Tagliaferro

MAR.

Ah, costei mi ha incantato,

E son più che non era innamorato;

Certo, quand'io ci penso,

Sposar femmina vil non mi conviene:

Ma è sì bella e gentil!... Ma le vuò bene.

TAG.

Chi star casa?

MAR.

Signor.

TAG.

Chi star padrone?

MAR.

Son io, per obbedirla.

TAG.

Je fol parlar.

MAR.

Son qui, sono a sentirla.

TAG.

Star fostra signoria

Della casa patron?

MAR.

La casa è mia.

TAG.

Star molto che patron?

MAR.

Degli anni assai;

Da mio padre, signor, l'ereditai.

TAG.

Je recordar mi stato

In fostro marchesato,

Quando per gherra star Tateschi Italia.

Qua recordar che picchla figliola

Per marcia afer perduta,

E mai più picchlina afer veduta.

MAR.

Una figlia perdeste?

TAG.

Jò, mainher.

Figlia de mio patrone,

Qua restata con madre;

Star fenuto nemico, e so picchetto

Batter de nostra marcia... come dir?

Retroguardia. E paura

Fatto madre morir, persa creatura.

MAR.

Quanti anni saran? (con agitazione)

TAG.

Star finti e più.

MAR.

Ah ditemi, monsieur...

TAG.

Je monsieur? Star Tatesco e non monsieur.

A Tatesco dir: «herr»; non dir mai più

A Tatesco: «monsieur».

MAR.

Ditemi, herr,

La perduta figliuola avea nel seno

Macchia di color blò?

TAG.

Macchia de vain, jò.

MAR.

Cecchina fortunata!

La fanciulla, signor, si è ritrovata.

TAG.

Oh mainssozz! Dove star?

MAR.

In casa mia.


TAG.

Bas ist?

MAR.

È qui con me.

TAG.

Mariandel dof'è?

MAR.

Ah venite, signor. Voi la vedrete.

Non so dove mi sia. Tutto saprete.

Seguitemi, monsieur. (s'incammina)

TAG.

Ah tartaifle, mainher. Nix dir: «monsieur».

MAR.

Ma di grazia, signore, (torna indietro)

Il padre della figlia

Si può saper chi sia?

TAG.

Star colonello de cafalleria.

MAR.

Oh me felice! andiamo. (s'incammina, poi torna indietro)

Dite, il vostro padrone

È cavalier?

TAG.

Tartaifle! star barone.

MAR.

Ah! venite con me.

TAG.

Sì, fol lenir. (s'incammina, poi lo tira indietro)

Calantome, sentir:

Aver bon trinche vain?

MAR.

Sì, venite.

TAG.

Subite fol venir. (come sopra)

Calantome, sentir:

Mariandel star bella?

MAR.

Mariandel?

È il nome vero della figlia?

TAG.

Jò.

MAR.

Allor che il padre mio

La raccolse bambina,

Fu chiamata Cecchina.

Mi chiedete s'è bella? Io vi rispondo

Che più bella di lei non vidi al mondo.

TAG.

Ah, star furbo Talian!

MAR.

Dirovvi poi,

Dirovvi un mio pensier.

TAG.

Ah, star furbo Talian, main libreher!

MAR.

Vederete una figliuola

Che diletta, che consola; I suoi occhi son due stelle, Quel visin due rose belle; Non si può bramar di più. Ah venir, venir, monsieur...

(Tagliaferro mostra sdegnarsi ed impugnare la spada) No, mainher, non v'adirate, Quella spada non toccate: Amicizia voler far; Trinche vain e allegri star. (partono)

SCENA DODICESIMA Recinto di pergolati e piante fruttifere con veduta della parte posteriore del palazzo, da cui si discende per scalinate.


Cecchina sola.

Almen fra queste piante

Avrò un po' di riposo. Ah, son sì stanca

Di sofferir gl'insulti

Della nemica sorte,

Che son costretta a desiar la morte.

Pria di morire almeno,

Povera sfortunata,

Se potessi saper da chi son nata!

Parmi che soffrirei

Ogni pena con pace, ogni dolore,

Se abbracciar mi potesse il genitore.

Ma vano è il sospirar; vano, infelice,

E il desio che m'ingombra.

Vuò sedere a quest'ombra. Almen venisse

A ristorar quest'alma

Di sonno lusinghier la dolce calma. (siede)

Vieni, il mio seno Di duol ripieno, Dolce riposo, A consolar... (s'addormenta)

SCENA TREDICESIMA

Il Marchese e Tagliaferro dall'alto delle scale osservano Cecchina che dorme.

MAR.                     Ecco, dorme Cecchina. (a Tagliaferro, osservandola)

TAG.                      Pofra picchlina!

MAR.                                               Già sapete

Tutto quel che ha passato:

Ogni travaglio suo già vi ho narrato.

Lasciamola dormire.
TAG.                                                       Jò, mainsozz! (amorosamente verso Cecchina)

MAR.                     Quand'ella si risvegli,

Tutto da me saprà. Voglio al fattore

Parlar intanto, perché pronto e lesto

Sia per le nozze mie. Ritorno presto.

Senza di me, vi prego

Non le parlar. Voglio essere presente

Alla sorpresa sua. Ritornerò.

Mi raccomando.
TAG.                                                Jò.

MAR.                     Giubilo di contento. Addio, monsieur.

TAG.                      Tu pist ainor. (in collera)

MAR.                                           Non lo dirò mai più. (parte da un lato della scena)


SCENA QUATTORDICESIMA Tagliaferro, Cecchina che dorme.

TAG.

Quanto star consolato

Mio padron colonello,

Che Mariandel troffato.

CEC.

Padre mio, dove sei tu?

Vieni a me... (sognando)

TAG.

Mariandel mi chiama?

Star dorme ancora. Sì, dormir, picchlina.

CEC.

Al mio sen... (dormendo apre le braccia)

TAG.

Ti voler... Jò venir... Star pur bellina. (s'accosta)

SCENA QUINDICESIMA

Paoluccia e Sandrina sull'alto delle scale, osservando Cecchina e Tagliaferro; poi il

Marchese

CEC.

Il mio cor... puoi consolar. (dormendo)

TAG.

Oh povero Tatesco, mi sentir...

Puh! non saver mi dir.

(Paoluccia e Sandrina si accennano fra di loro di aver veduto, e scendono)

CEC.

Caro padre, per pietà. (dormendo)

TAG.

Poferina, dormir, cercar papà.

SAN.

Bravo, signor soldato!

PAOL.

Qui come siete entrato?

CEC.

Ahi, dove sono? (si desta)

TAG.

Femmine, che foler?

PAOL.

Gli piace il buono. (a Sandrina)

CEC.

Questo signor chi è? come si appella? (a Sandrina)

SAN.

Povera sfacciatella,

È da te sconosciuto?

PAOL.

Eh, non serve mentire. Abbiam veduto.

CEC.

Non intendo che dite.

PAOL.

O brava, in fede mia!

SAN.

Così vossignoria

Bel bello, in questo loco,

Colla ragazza si diverte un poco. (a Tagliaferro)

TAG.

Femmine cosa entrar?

CEC.

Io non so niente.

SAN.

Eh, abbiam veduto.

PAOL.

Povera innocente!

Sì, signora, di lassù

SAN.

} adue           SCioèlsvoeldduattooc-hfeorqtuunagatgoiù

PAOL.

Si badava a divertir.

CEC.

Sventurata, io mi sognai...

Cosa dite? come mai?

Ah, mi fate tramortir!


TAG.

CEC. TAG. SAN. PAOL.

} adue

Questa giovene star mia,

E foi altre passa fia.

Star patron di qua fenir. Ma chi siete? (a Tagliaferro)

Star soldato...

È un amante.

TAG. SAN. PAOL.

} adue

Star mandato... Si è veduto.

TAG.

SAN. PAOL.

} adue

Lasciar dir. Colonello...

Non lo credo.

TAG. SAN. PAOL.

} adue

Mi mandato...

Non è vero.

TAG.

Per trofar...

SAN. PAOL.

} adue

Non sa che dir.

TAG. CEC. SAN. PAOL.

} adue

Maledette, lasciar dir. Io non so...

Sappiamo noi.

CEC.

Io dormia...

SAN. PAOL.

} adue

Celar non puoi.

CEC. SAN. PAOL.

} adue

Non so niente.

A che mentir?

TAG.

SAN. PAOL.

CEC. TAG.

MAR. CEC.

} adue } adue

Maledette, lasciar dir. Oh che ardita!

Che briccone!

Il padrone lo saprà. Non paventa

L'innocenza;

L'insolenza

Finirà. Ah, Cecchina è risvegliata?

Sarà tutta consolata,

Più timor non averà. Ah signor...

SAN. PAOL.

} adue

La sfacciatella...

TAG.

Je star qui...

SAN. PAOL.

} adue

Colla sua bella...

CEC.

Non so niente...

SAN. PAOL.

} adue

È innamorata...

TAG.

Poferina...


SAN. PAOL.

} adue

Era abbracciata...

CEC. TAG.

} adue

Non è vero.

SAN.

} adue

Signor sì.

PAOL.

E l'amico è questo qui.

MAR.

Abbracciata? (a Sandrina)

SAN.

Sì, signore.

MAR.

Coll'amico? (a Paoluccia)

PAOL.

Ella è così.

MAR.

Coll'amico? (a Sandrina)

SAN.

Castigatela.

MAR.

Abbracciata? (a Paoluccia)

PAOL.

Via cacciatela. (Il Marchese resta sospeso)

CEC.

TAG. SAN.

}aquattro

Cosa pensa? Che dirà?

PAOL.

MAR.

Donne mie, non me n'importa, Il soldato so chi è; E se non importa a me, Non vi avete da scaldar. (a Sandrina e Paoluccia)

SAN. PAOL.

} adue

Bravo, bravo!

TAG.

Viva, viva!

CEC.

Il soldato vada via. (al Marchese)

MAR.

Anzi voglio che ci stia, E di qua non ha d'andar. (a Cecchina)

SAN.

Buon pro faccia, padron mio. (al Marchese)

PAOL.

Buon pro faccia al granatier. (a Tagliaferro)

MAR. TAG.

} adue

Insolenti, temerarie.

SAN. PAOL.

} adue

Questa qui la vuò goder.

MAR.

Mano a me. (prende la mano a Cecchina)

CEC.

Signore no.

MAR.

Io comando, e così vuò. (Tagliaferro prende la mano a Cecchina)

SAN. PAOL.

} adue

Bravo, bravo, dividete... (al Marchese)

MAR.

} adue

Via tacete, - disgraziate.

TAG.

Rispettate - questa qui.

SAN. PAOL.

} adue

Bravo, bravo, signor sì.

MAR.

} adue

Consolata, - fortunata,

TAG.

La Cecchina goderà.

SAN.

PAOL.

CEC.

} atre

Oh, che rabbia ch'ho nel petto!

Che dispetto - che mi fa.

(Il Marchese e Tagliaferro conducono via Cecchina)


ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Loggie terrene corrispondenti al giardino.

La Marchesa Lucinda, il Cavaliere Armidoro e Paoluccia

PAOL.                   Sì, signori, vi dico:

È una cosa da ridere. Il padrone

È tanto di Cecchina innamorato,

E poi la lascia andar con un soldato.
CAV.                     Convien dir che non l'ami.

LUC.                                                              O che, pensando

Un po' meglio il Marchese ai casi sui,

Voglia staccarsi e maritarla altrui.
PAOL.                   Vi dirò io, signora,

Quello che convien dir; m'accorderete

Ch'ella è la verità:

Gli uomini non mantengon fedeltà.

Son tanti e tanti

Che innamorati

Son spasimanti

Di una beltà. Ma il caso è questo,

Si cangian presto,

Perché lor piacciono

Le novità; E quelle femmine

Che poi si pentono

Da loro imparano

La crudeltà. (parte)

SCENA SECONDA La Marchesa Lucinda, il Cavaliere Armidoro, poi il Marchese

LUC.                      Armidoro, sentite. È cosa vera

Quella che disse or or la cameriera?
CAV.                     È verissima in molti. In me non già.

LUC.                      Oh, voi siete la stessa fedeltà. (ironicamente)

MAR.                    Orsù, signori miei,

Permettetemi un poco

Che vi parli il cuor mio schietto e sincero,

Da amico, da fratel, da cavaliero.


Voi siete innamorati:

Non so che dir, vi scuso;

Ma l'affare vorrei lesto e concluso.
LUC.                     Ciò dipende da voi.

CAV.                                                     Basta che meglio

Io vi veda pensar, Marchese mio.
MAR.                    Oggi senz'altro mi marito anch'io.

LUC.                     E la sposa chi è?

MAR.                                               Una Baronessa,

Figlia d'un colonello

Tedesco di nazione,

Che distinto si è sempre in ogni azione.
LUC.                     Sarà poi ver?

MAR.                                           Sicuro.

CAV.                     Si può sperar?

MAR.                                             Da cavalier, vel giuro.

LUC.                     E Cecchina?

MAR.                                        Ho trovata

Un'altra giardiniera.
LUC.                                                     E come fu?

MAR.                    Cecchina in casa mia non serve più.

CAV.                     Amico, non vorrei

Che di lei, che di me prendeste gioco.
MAR.                    Mi conoscete poco:

Son cavalier d'onore.

Non facciamo su questo altri contrasti:

Vuò sposare una dama, e ciò vi basti. (parte)

SCENA TERZA

La Marchesa Lucinda ed il Cavaliere

CAV.                     Lode al ciel, son contento.

LUC.                                                              Anch'io son lieta.

Finito è ogni sospetto.
CAV.                     La vostra man per mio ristoro aspetto.

Chi più di me contento Vider le stelle amiche? Termine avrà il tormento; Lieto il cuor mio godrà.

In quelle luci amate, In quel vezzoso ciglio, Dopo le pene andate Il suo riposo avrà. (parte)

SCENA QUARTA La Marchesa Lucinda, poi Sandrina


LUC.

Ah, non credea sì presto

Dover giungere al fin de' miei timori;

Ah, non credea gli amori

Spenti sì presto del germano acceso.

SAN.

Signora, avete inteso?

LUC.

Qual novità, Sandrina?

SAN.

Questa sera il padron sposa Cecchina.

LUC.

Oimè! come lo sai?

SAN.

Or ora penetrai

Che al fattore ha ordinato

Per le nozze un magnifico apparato.

LUC.

Questo sarà per me.

SAN.

No, no, signora;

L'ha ordinato per lui: lo seppi or ora.

LUC.

Ma s'ei sposa una dama?

SAN.

Eh, padroncina,

Sposerà una pedina.

LUC.

Ei l'ha giurato.

SAN.

Giuri pur quanto vuole,

Donne qui non ci sono

Fuor della giardiniera.

Chi sposerà, se vuol sposar stassera?

LUC.

Ah, tu mi poni in cuore

Un novello timore, un nuovo affanno;

Ma non voglio temer sì nero inganno.

Sento che il cor mi dice:

Spera, sarai felice,

Non dubitare ancor.

Non è nemico Amor

Di chi è fedel così.

Spera, verrà quel dì.

Non dubitare ancor. (parte)

SCENA QUINTA

Sandrina, poi Mengotto

SAN.

Rider mi fa; si crede

Che il padron dica il vero.

MEN.

È ver, Sandrina,

Quel che ho sentito a dir?

SAN.

Cosa intendesti?

MEN.

Che il padron da Cecchina

Siasi già distaccato;

Che una dama sposare ha destinato.

SAN.

Quel che ti posso dir,

Mengotto è questo:

Ch'egli sposa Cecchina, e lo fa presto.

MEN.

Ma se...


SAN.

Chi te l'ha detto?

MEN.

Il disse or ora

Il Cavalier che sposa la signora.

SAN.

Non è vero: il padrone innamorato

La sorella deride ed il cognato.

MEN.

Oh, povero Mengotto!

SAN.

Poverino!

Tu resti senza amante: in caso tale,

Non potresti di me far capitale?

MEN.

Mi prenderesti tu?

SAN.

So che nol meriti,

Che sei un traditore,

Ma... si potrebbe dar. Son di buon core.

Son tenera di pasta,

Son docile di cor.

Una parola basta,

Mi basta un po' d'amor.

Oh, povero Mengotto,

Barone, furbacchiotto:

Lo so che non lo meriti,

Ma ti vuò bene ancor. (parte)

SCENA SESTA

Mengotto solo.

Mi spiaceria pur tanto

Perder la mia Cecchina; ma pazienza:

Voglio una sposa, e non ne vuò star senza.

Poco più, poco meno,

Quando intorno non han certe magagne,

Son le femmine poi tutte compagne.

Vedo la bianca, Vedo la bruna, So che ciascuna Sa innamorar. Quelle più docili Fan giubilar, Quelle più perfide Fan sospirar; Ma la consorte Cavasi al lotto, Ed è una sorte L'indovinar. (parte)

SCENA SETTIMA


Il Marchese e Tagliaferro

MAR.                     La povera fanciulla

Ancor non ne sa nulla;

Ci è fuggita di mano a tutti e due,

E si è rinchiusa nelle stanze sue.

TAG.                      Je fol feder, je fol parlar.

MAR.                                                             Adesso.

L'ho mandata a chiamar per una donna

Ch'è di sua confidenza. Questa donna

E quella che trovata

L'ha sulla strada già vent'anni in punto.

Confronta quel che dite,

Confrontano le lettere mostrate,

Anche il segno confronta. Al certo è dessa.

La mia cara Cecchina è baronessa.

TAG.                      Nain Cecchina, Mariandel.

MAR.                                                                Sì, Marianna;

Ho capito benissimo. Oh Marianna, mio ben! son contentissimo.

TAG.                      Fol Feder, fol parlar; poi andar subite

Con patron colonello in Ongaria, Per combatter Turchia. No poder star, Se testa no tagliar. Esser io state... Anz, zoà, trai, campagne bon soldate.

Ah, come tutto je consolar Quando nemigo testa tagliar! Quando fascina porta trinciera, Quando cornetta porta bandiera, Quando cannona sente fa bu, Fatta la breccia, subite su. Spada alla mano sempre menar. Ih, che la gherra me consolar. Ih, che contento sempre mi star. (parte)

SCENA OTTAVA Il Marchese solo, poi Cecchina

MAR.                    Il valor militare

È una bella virtù,

Ma stare a casa mia mi piace più.

Ora poi che Cecchina

Posso sposar senza oltraggiar degli avi

La gloriosa memoria,

Parmi aver riportato una vittoria.
CEC.                      Ah signor, mio malgrado

Son sforzata a venir. Che comandate?
MAR.                    (Voglio prendermi gioco,

E poi darle la nuova a poco a poco). (da sé)


CEC.

Se vi posso obbedir...

MAR.

Bene, vorrei

Che di vari colori

Andaste un mazzo a preparar di fiori.

CEC.

Vi obbedirò.

MAR.

Fermate.

Quel che ne voglio far non domandate?

CEC.

Obbedirvi soltanto è il dover mio.

MAR.

Se nol chiedete voi, vel dirò io.

Han da servir quei fiori

Per la sposa ch'io prendo.

CEC.

(Oh fiero duolo!) (da sé)

MAR.

Vi do pena per ciò?

CEC.

Me ne consolo. (simulando la mestizia, e vuol partire)

MAR.

Piano, Cecchina mia. (la ferma)

Non chiedete la sposa almen chi sia?

CEC.

Io nol deggio saper.

MAR.

Sì, più d'ogni altra

Lo dovete sapere anzi voi stessa.

Ehi! sposo una tedesca baronessa.

CEC.

Con licenza signor... (vuol partire)

MAR.

No no, sentite:

Il suo nome è Marianna. È tanto bella,

E le vuò tanto bene, e le sarò

Tanto, ah, tanto fedele,

Tanto l'adorerò...

CEC.

Basta, crudele.

Più non resiste il cor; schernirmi poi...

MAR.

Baronessa, mio bene, ah, siete voi.

(la prende per la mano, e si getta a' suoi piedi)

La baronessa amabile,

Idolo mio, sei tu.

Sposina mia adorabile,

Cara, non pianger più.

CEC.

Cecchina miserabile,

Gioco si prende ancor?

Almen delle mie lacrime

Senta pietade il cor.

MAR.

Ah, ch'io ti dico il vero.

CEC.

Ah, tanto ben non spero.

a due

Stelle, pietose stelle,

Voi disvelate il ver.

MAR.

Cara, venite qui.

CEC.

Non vuò morir così.

MAR.

Tu sei di sangue nobile,

Tutto ti narrerò.

CEC.

Non m'ingannate, o barbaro.

Ah, non vi credo, no.

MAR.

Vent'anni sono

Foste trovata

Qui abbandonata

Da un colonello,


CEC.

MAR.

CEC.

MAR.

CEC. MAR.

CEC.

MAR.

CEC.

MAR. CEC. MAR. CEC.

MAR.


}


a due


Per il macello Che fé la guerra Su questa terra; E un segno avete, Si sa chi siete. Marianna è il nome: Questo si sa... Piano, signore, Per carità. Con tante cose

    mi confondo,
Son fuor del mondo...
Cosa sarà?

Il genitore, Uom di valore, Ch'è in Ungheria, Manda il soldato Che vi ha lasciato, Per ricercarvi, Per consolarvi, Venuto qua.

Piano, signore, Per carità. Ahi, che mi sento

    cor nel petto
Per il timore,
Per il diletto...
Non so pensare,
Non so parlar.

Allegramente, Cara sposina. Non son Cecchina? Siete Marianna La baronessa. Vi posso credere?

Posso sperar? Vi dico il vero, Son cavaliero, E la mia sposa Non vuò ingannar. Ah, sento il giubilo Che a poco a poco Vuol prender loco Dentro al mio cor. Dammi la mano. Ah, non vorrei... Quella tu sei. Quello sei tu... Ahi, che mi moro, Non posso più. È tal contento Quello ch'io sento, Che gioia simile



CEC.

Mai non vi fu.

Sorte felice

Goder mi lice...

Care catene,

Pene - non più. (partono)

SCENA NONA

Salone magnifico con colonnati, statue e porte laterali.

La Marchesa Lucinda, il Cavaliere Armidoro, Sandrina, Paolucc

LUC.

Possibil che c'inganni

Il Marchese così? (ad Armidoro)

CAV.

Non crederei.

Come ei merta, s'è ver, lo tratterei.

SAN.

Io ci scommetto un occhio

Che nasce questo caso.

PAOL.

Ed io, signora, ci scommetto il naso.

MEN.

Ed io son d'opinione

Che capace di ciò non sia il padrone.

LUC.

Sarebbe un'enormissima viltà.

CAV.

Eccolo ch'egli vien.

LUC.

Si sentirà.

SCENA DECIMA

Il Marchese e detti.

MAR.

Animo, già son pronti i testimoni:

Si concludano i nostri matrimoni.

LUC.

Dov'è la vostra sposa?

MAR.

Signora, non temete,

Non è molto lontan: la vederete.

CAV.

Marchese, se il pensiere

Aveste di scherzar...

MAR.

Son cavaliere.

Aprasi quella porta, venga fuori

La mia sposa alemanna,

Baronessa Marianna. (s'apre la porta)

SCENA ULTIMA

Cecchina, servita di braccio da Tagliaferro, e detti.

SAN.

L'ho detto.

PAOL.

Eccola appunto.


LUC.

Ah mentitore! (al Marchese)

CAV.

Voi cavalier? (al Marchese)

MAR.

Son cavalier d'onore.

Questa è la dama; e ch'io mentir non soglio

Leggerete le prove in questo foglio.

(dà un foglio al Cavaliere, quale in disparte lo legge piano)

TAG.

E chi non star fidato (alla Marchesa)

Je, tartaifle, profar da bon soldato. (toccando la spada)

SAN.

Io lo credo, signor.

PAOL.

Lo credo anch'io.

SAN.

E ben, Mengotto mio,

Cosa mi dici tu?

MEN.

Se in isposo mi vuoi, tocca pur su. (Si danno la mano)

CAV.

Veduto ho quanto basta.

LUC.

Che sia poi tutto vero?

MAR.

Maraviglio di voi. Son cavaliero.

TAG.

Je star T'aice onorato,

E a mio fianco portar spata soldato.

LUC.

Non più, non più, m'accheto.

CAV.

Sì, sposatela pur, che anch'io son lieto.

CEC.

Ah signori, vorrei

Far i doveri miei; ma ho ancora il cuore

Fra la gioia confuso e fra il timore.

MAR.

Porgetemi la destra,

Sposina mia vezzosa.

CEC.

Sarò felice sposa,

Ma umìle ognor sarò.

LUC.

Cognata, a voi m'inchino. (a Cecchina)

CAV.

Madama, non v'incresca... (a Cecchina)

TAG.

No star madama,

Ché star Tatesca.

CEC.

Vi prego perdonarmi,

E amarmi - di buon cor.

SAN. PAOL.

} a due        Perdono a noi, signora. (a Cecchina)

CEC.

Sì, vi vuò bene ancora.

MEN.

Ed io vi ho tanto amata.

Perdon, per carità.

CEC.

A te sono obbligata,

Conosco l'onestà.

TUTTI

Scenda Cupido,

Dio degli amori,

Gli amanti cuori

Venga a legar.

E il bel diletto

Di un vero affetto,

No, non si veda

Mai terminar.

Fine del Dramma