La calamita de’ cuori

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LA CALAMITA DE' CUORI

Carlo Goldoni

Dramma Giocoso per Musica da rappresentarsi nel Teatro Nuovo di San Samuele il Carnovale dell'Anno . Dedicato alle Nobilissime Dame Veneziane.

PERSONAGGI

ARMIDORO costante.

Il Sig. Francesco Rolfi. ALBINA amorosa.

La Sig. Clementina Spagnuoli Romana. GIACINTO vezzoso.

Il Sig. Filippo Laschi, Virtuoso di Camera di S. A. R. il

Principe Carlo Duca di Lorena e di Bar ec. ec. ec. BELLAROSA detta Calamita de' Cuori.

La Sig. Serafina Penni. BELINDA stizzosa.

La Sig. Agata Ricci. SARACCA bravaccio.

Il Sig. Giovanni Leonardi. PIGNONE avaro.

Il Sig. Niccola Petri.

BALLERINI
Madama S. Giorgio Andre.              Sig. Anna Ricci.

Monsieur Tavolagio.                         Sig. Maddalena Ricci.

                              

La Sig. Margherita Falchini.             Il Sig. Michele Costa.

La Sig. Laura Verder.                       Il Sig. Giovanni Guidetti.

La Sig. Giuditta Falchini.                 Il Sig. Agostino Bologna.

La Sig. Geltruda Falchini.                Il Sig. Carlo Sabioni.

Il Sig. Pietro Ricci.

Maestro di Balli il Sig. Francesco Sabioni.


MUTAZIONI DI SCENE

NELL'ATTO PRIMO Tempio dedicato ad Amore col simulacro di Cupido, ed ara accesa.

Gabinetto.

NELL'ATTO SECONDO

Giardino.

Notte.

Camera con lumi.

Sala illuminata e magnificamente adornata per Festa di ballo.

NELL'ATTO TERZO

Cortile.

Steccato per la Giostra con scalinate all'intorno per li Spettatori.

La Scena si rappresenta in Palermo.

Le Scene sono del Sig. Gio. Battista Moretti. Il Vestiario è del Sig. N. N.


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Tempio dedicato ad Amore col simulacro di Cupido ed ara accesa. Armidoro, Giacinto, Pignone e Saracca

Bell'idolo d'Amore,

Che m'impiagasti il core,

Dinanzi a te vengh'io

A chiederti pietà. La bella e saporita

De' cuori calamita

Ti chiede la mia fede,

La mia sincerità.

ARM.                     Amor, tu che ricovri

Su queste arene sconosciuta ancora

La bella che innamora,

A me concedi di sua destra il dono,

Ché fra gli amanti il più costante io sono.
PIGN.                    A me fa che si unisca,

Nume accorto e sagace,

Costei che a tutti piace.
SAR.                      Eh, corponon di Bacco,

Caccerò tutti in sacco.

Amor, me la concedi colle buone,

O me la prendo con un cospettone.
GIAC.                    Di rustica progenie

Tralcio mal educato! (a Saracca)

Chi vuol rendersi grato

All'idolo amoroso,

Esser dee, qual son io, bello e vezzoso.
PIGN.                    Vedrem di Bellarosa

Ove l'affetto inclina.
SAR.                      Vedrem se l'indovina,

Stimando il mio valore.
ARM.                     Se apprezza il di lei cuore

La costanza e la fede,

All'amor mio non negherà mercede.
GIAC.                    S'ella fa conto della leggiadria,

Bellarosa senz'altro sarà mia.

a quattro                            Bel nume Cupido,

Di te già mi fido. La donna vezzosa, La mia Bellarosa, D'altrui non sarà.


La dolce gradita Gentil calamita Che attratto ha il mio core, Bel nume d'Amore, Amarmi saprà. (partono tutti)


ALB. BEL. ALB.

BEL.

ALB.

BEL.

ALB. BEL. ALB.

BEL.


SCENA SECONDA

Albina e Belinda

Udiste? (a Belinda)

Sì; pur troppo. Questa ignota straniera È l'idolo de' cuori.

Ella ha saputo Con arte e con lusinghe Accendere, incantar l'isola tutta; Ella sola è la bella, ogn'altra è brutta. E Armidoro che tanto Mi amò fido e costante, Della straniera è divenuto amante. E il traditor Saracca, Ch'era il più fido degli amanti miei, Mi lascia e m'abbandona per colei. Noi soffriremo il torto Senza farne vendetta? Di noi quella fraschetta Riderà impunemente?

Il nostro sdegno Ecciti a vendicarsi

Tant'altre, come noi, femmine offese. Rivoltiam contro lei tutto il paese. Io farò la mia parte; E s'altr'armi non ho, che mi distingua, Posso vantarmi che sto ben di lingua.

Questa del sesso nostro Arma che morde e pugne, Come nel gatto l'ugne, Come nel cane i denti, Pose natura in me.

Con chi levar mi tenta Il bocconcin gustoso, Cane sarò rabbioso, Gatto di furia pieno; E compassion non v'è. (parte)



SCENA TERZA



Albina

Dura cosa è l'amar, quando si prova

In amor crudeltà. Comprendo adesso

Quella felicità che mal conobbi

Corrisposta e servita,

E son del mio rigor quasi pentita.

Armidoro mi amava,

Languiva e sospirava; ed io solea

Delli sospiri suoi prendermi gioco.

Sdegnato a poco a poco

Spense con nuovo foco il primo ardore,

Ed io tardi per lui piango d'amore.

Ma la cagion funesta

Del mio duol, del mio pianto, è quella indegna.

Sdegno ed amor m'insegna

Che solo a me s'aspetta

Procurar de' miei torti aspra vendetta.

Se il foco m'accende

D'amore e di sdegno,

Far strage m'impegno

Di chi mi contende

La pace del cor. Amante, ma irata,

Ho doppio desio.

Affligge il cor mio

La sorte spietata,

Il barbaro amor. (parte)

SCENA QUARTA

Gabinetto.

Bellarosa sola.

Donne belle, che bramate Preda far de' cuori amanti, Ne volete? Io ne ho tanti, Che di lor non so che far.

In verità, quando ci penso, io rido:

Tutti mi corron dietro,

Tutti vogliono me. M'amano tutti;

E pur sicuramente

Non mi servo di studio artificiale:

Tutto quel ch'ho di buono, è naturale.

Procuro con giudizio

Di dar nel genio a chi trattar mi vuole.

Buone grazie e parole,

A tutti ne dispenso.


E sian belli o sian brutti,

O da vero o da scherzo, io lodo tutti.

Questo è quel che mi giova

A far ch'io sia stimata e ben veduta

Dove son forastiera e sconosciuta.

SCENA QUINTA

Pignone e detta.

PIGN.

(Ecco la mia diletta). (da sé)

BELL.

(Ecco l'avaro). (da sé)

PIGN.

(Amo, adoro costei quanto il denaro). (da sé)

BELL.

Serva, signor Pignone.

PIGN.

Son vostro servitore.

BELL.

E mio padrone.

PIGN.

Che fate qui soletta?

BELL.

Un certo conto

Facea col mio cervello,

Per veder quanto danno

Fan le spese minute in capo all'anno.

PIGN.

Oh figlia, la rovina

Del povero paese

Son le superflue spese.

Il tabacco, il caffè, la cioccolata,

E altre picciole spese quotidiane

Di chi non ha giudizio,

Forman a poco a poco il precipizio.

BELL.

Io sempre in vita mia

Studiai la economia.

PIGN.

Brava, bravissima!

BELL.

E son dello scialacquo inimicissima.

PIGN.

(Oh che bella occasione

È questa per Pignone!) (da sé)

BELL.

Ehi, sentite:

Con un capitaletto

Di cinquanta ducati,

Sedici in mesi tre n'ho guadagnati.

PIGN.

Sedici in mesi tre, sopra cinquanta?

Se fosser stati cento,

Sarebber trentadue;

Quattro via trentadue fa cento e otto.

Più del cento per cento? Oh che bel vanto!

Io non son giunto a guadagnar mai tanto.

BELL.

Credetemi che ho testa...

PIGN.

In confidenza,

Prendereste marito?

BELL.

E perché no?

PIGN.

E come lo vorreste?

BELL.

Io non lo so.


PIGN.                               Figlia, badate a me:

Non vi seduca amor. Dell'oro lo splendor Val più della beltà. E un uom di mezza età, Che sia così e così... Voi m'intendete sì, Voi mi ferite il cor. (parte)

SCENA SESTA Bellarosa, poi Saracca

BELL.                    Costui, per dir il vero,

È brutto nel sembiante,

Ma lo fa parer bello il suo contante.
SAR.                      Cospetton! cospettaccio!

BELL.                    (Ecco l'animalaccio).

SAR.                      Ah Bellarosa mia, son arrabbiato.

Oggi non son contento

Se non rompo le braccia a più di cento.
BELL.                    Bravo, signor Saracca!

Fatevi rispettar senza paura;

A me piace il coraggio e la bravura.
SAR.                      Sentite se ho ragione:

Un asino, un buffone,

Ebbe l'ardir (mi fremon le budella)

Di dir che Bellarosa non è bella.
BELL.                    Cospetto, cospettone!

Sanguinin, sanguinone!

Voglio tagliar la faccia a quel briccone.
SAR.                      Brava, così mi piace.

BELL.                    Scellerato, mendace,

A me un'ingiuria tale?

Temerario, animale!

Voglio cavarti il core.
SAR.                      Che fierezza gentil degna d'amore!

BELL.                    Oh, io non son di quelle

Che son dure di pelle.

Chi mi fa qualche torto,

Faccia il suo conto d'esser bello e morto.
SAR.                      Ah, che voi siete degna

D'aver per vostro sposo

Un uomo valoroso.

SCENA SETTIMA Armidoro e detti.


BELL.

E tal lo bramo.

La fierezza m'alletta ed il valore...

Armidoro gentil, mio dolce amore. (vedendo Armidoro si cambia tutta in un

tratto)

ARM.

Voi nemica di pace?

BELL.

No, caro, amor mi piace.

SAR.

La fierezza v'alletta?

BELL.

Alle morti, alle stragi, alla vendetta.

SAR.

Vi piace il valor mio?

BELL.

Accesa ne son io.

ARM.

Gradite la mia fede?

BELL.

In questo petto il vostro cuor risiede.

ARM.

Dunque...

BELL.

Dunque sperate.

SAR.

Sarete mia?

BELL.

Nell'amor mio fidate.

Quel bel valor m'accende; (a Saracca)

Quel viso m'innamora. (ad Armidoro)

Mio caro, il cor v'adora;

Mio ben, v'adora il cor.

Voi siete valoroso; (a Saracca)

Voi siete più vezzoso. (ad Armidoro)

(Ma burlo tutti due;

Van tutti due del par). (da sé, e parte)

SCENA OTTAVA

Armidoro e Saracca

SAR.                      Ma voi che pretendete,

Zerbinotto, da lei?
ARM.                    A voi de' pensier miei

Io non rendo ragione.
SAR.                      Così a me si risponde? Oh cospettone!

Vi ucciderò a drittura.
ARM.                    Non mi fate paura.

SAR.                                                   Poverino!

Vi fo in terra cader, se caccio mano.
ARM.                    Già per prova lo so, siete un baggiano.

SAR.                      Ah, l'ingiuria non soffro!

Mi scaldo in un momento.

Su, fate testamento;

Andiamo sulla strada,

Ch'io vi voglio infilzar con questa spada. (caccia mano alla spada)
ARM.                    Sulla strada m'inviti e poni mano?

D'un traditor villano

Giustamente pavento, e mi difendo.

Punirò l'arroganza... (pone mano, e s'avventa contro lui)
SAR.                      Ehi, portate rispetto a questa stanza. (si ritira timoroso)


SCENA NONA Albina e detti.

ALB.

Olà, perché coll'armi?

ARM.

Ei pretese insultarmi.

SAR.

Rendi grazie

A quella giovinotta,

Che ti ha difeso da una brutta botta.

ARM.

Tu i colpi proverai...

ALB.

Oimè! fermate.

SAR.

Quella vittima dono a tua beltate.

ALB.

Possibile, Armidoro,

Che cangiato nel seno abbiate il core?

Che più per me voi non proviate amore?

ARM.

A voi dell'amor mio

Qual premura, qual pro? Prendeste a gioco

Per tant'anni il mio foco; ed or che sono

D'altra bella invaghito,

Tardi mi fate il generoso invito?

ALB.

Di colei che mi usurpa il vostro core,

Vendicarmi pretendo.

SAR.

Contro voi, contro tutti, io la difendo.

ARM.

Ma se voi non mi amate,

Perché vi riscaldate? (ad Albina)

ALB.

Sì, crudele,

Sì che v'amo e v'amai, ma non vel dissi,

Ma finsi non gradire il vostro affetto,

Per provar se costanza avete in petto.

ARM.

Una sì dura prova

Troppo a lungo durò. Senza il conforto

D'amabile speranza

Langue l'affetto, e scema la costanza.

Serbar fede a un cor fedele

È dover d'onesto amante,

Ma ad un'anima crudele

Non si presta fedeltà.

E chi finge la fierezza

Per provar un cor costante,

Il medesmo cor avvezza

Ad usar la crudeltà. (parte)

SCENA DECIMA

Albina e Saracca

ALB.

Misera me!

SAR.

Colui


Dunque v'ha abbandonata?
ALB.                      Pur troppo è ver.

SAR.                                                 Sarete vendicata.

ALB.                      Come?

SAR.                                  Io son delle donne

Difensor generale; e col mio brando,

Armidoro che a voi mancò di fede,

Getterò con un colpo al vostro piede.
ALB.                      No, no, viva Armidoro;

Viva, m'ami, e si penta;

Che, se torna ad amarmi, io son contenta.
SAR.                      Siete di sì bon cuor?

ALB.                                                       Soffro con pena,

Ma soffro i torti della sorte ingrata.
SAR.                      Un'onta invendicata

Non lascierei per un milion di scudi.

Ho in materia d'onor fatti i miei studi.

Con questo braccio invitto,

Con questa spada forte,

Ho donate alla morte tante teste,

Quante in Levante ne suol dar la peste.

Tagliar braccia? bagattelle. Troncar teste? non è niente. Con un colpo, o sia fendente, Tagliar busti e coratelle, Sono cose che ridendo Le suol far il mio valor. Chi non vede - non lo crede, Son sì forte - che la morte Ha di me qualche timor. (parte)

SCENA UNDICESIMA Albina, poi Bellarosa

ALB.                      È tanto il mio dolor, che non ascolto

Ciò che altrui mi favella.
BELL.                    (Ecco una mia rival). (da sé)

ALB.                                                     (Vien Bellarosa). (da sé)

BELL.                    Amica, qual fortuna

Fa ch'io qui vi ritrovai?
ALB.                      Questo nome d'amica or non vi giova.

Voi mi siete rivale.
BELL.                                                 Oh me meschina!

Ditemi il vero, Albina:

Sapete ch'io v'adoro:

Ditemi il vostro amante.
ALB.                                                          Egli è Armidoro.

BELL.                    Ho piacer di saperlo.

Non voglio più vederlo:


Levarlo ad un'amica non conviene.

(Or mi vien voglia di volergli bene). (da sé)

ALB.

Ah, che voi m'ingannate.

BELL.

Di me non dubitate;

Armidoro vi cedo. Io n'ho degli altri;

Posso star senza quello.

(Armidoro mi par ora il più bello). (da sé)

ALB.

Cara, mi consolate;

La vita voi mi date.

Spero, vostra mercé, con Armidoro

Appagato il desio. (parte)

BELL.

(Se di meglio non trovo, ei sarà mio). (da sé)

SCENA DODICESIMA

Bellarosa, poi Giacinto

BELL.

Queste donne, lo so, m'odiano tutte.

Ed io con le finezze

Di vincerle procuro ed obbligarle;

Fingo talor di amarle;

Ma che s'amin le donne

Tra lor con cor sincero

È difficile assai, per dire il vero.

GIAC.

È permesso, madama,

Poter...

BELL.

Poter che cosa?

GIAC.

Come sarebbe a dir...

BELL.

Dite, parlate.

GIAC.

Avanzar, inoltrar l'ardito piede?

BELL.

Vussignoria m'onora.

Avanzi il piede colla gamba ancora.

GIAC.

Eccomi.

BELL.

Graziosino!

GIAC.

Tutto a' vostri comandi.

BELL.

A lei m'inchino.

GIAC.

Udite... oh bel pensiero!

BELL.

Bellissimo.

GIAC.

Ascoltate.

Io mi chiamo Giacinto,

Voi siete Bellarosa,

E la rosa e il giacinto... oh bella cosa!

BELL.

Che sublime pensar! che bel concetto!

GIAC.

Ho le Muse nel petto;

Ho Apollo nel cervello;

Ho Venere negli occhi,

Minerva nel valore,

E Cupido... Cupido...

BELL.

In mezzo al core.

GIAC.

Bravissima! eccellente!

Che spirito! che mente!


BELL.

Signor, ben obbligata.

GIAC.

Madama... portentosa... e prelibata.

BELL.

Ella ha termini scelti ed eleganti.

GIAC.

Termini tutti quanti

Cavati dalla storia.

BELL.

Che felice memoria!

GIAC.

Io mi ricordo...

Voglio dir mi sovviene...

Sì, signora, il tenor delle mie pene.

BELL.

È forse tormentato?

GIAC.

Sì, dal nume bendato.

BELL.

Cosa gli ha fatto mai?

GIAC.

Domandatelo, o bella, ai vostri rai.

BELL.

Ora vi servirò. Signori occhi,

Che cosa avete fatto

Al cavalier compito?

GIAC.

Abbiamo il di lui cor punto e ferito.

(alterando la voce, come se parlassero gli occhi di Bellarosa)

Ah, ah, li avete intesi?

BELL.

Impertinenti,

Perché far questo male?

GIAC.

Perché Amor... perché accesi... (come sopra)

Si confondono gli occhi.

BELL.

Eh, già li ho intesi.

GIAC.

Amor... Amor tiranno...

Il mio sen... dirò meglio,

Anzi il mio core accende.

Da voi... da voi... la medicina attende.

BELL.

Chi è il medico?

GIAC.

Cupido.

BELL.

Qual rimedio da me Cupido aspetta?

GIAC.

Ecco della pozione la ricetta.

Recipe di quegli occhi

Due sguardi vezzosetti,

Dei tumidi labbretti

Una parola, un sì;

E recipe del core

Un poco di pietà;

Un tantinin d'amore,

Un po' di carità.

Così se ne anderà

Lo stral che mi ferì,

Con il cordial dei sguardi,

Con la pozion del sì. (parte)

SCENA TREDICESIMA

BELLAROSA sola.

Costui, per dir il vero,


È un certo umor curioso

Che si rende piacevole e gustoso.

Lo voglio coltivar... Ma qui sen viene

Un'altra mia nemica;

Ed è seco Saracca,

Da cui per mia cagion fu abbandonata.

So che meco è sdegnata;

So che per rovinarmi userà ogni arte:

Vuò (se posso) ascoltar tutto in disparte. (si ritira)

SCENA QUATTORDICESIMA

Belinda e Saracca

BEL.

Perfido, indegno!

SAR.

(E bada a strapazzar!)

BEL.

Così lasciarmi?

Ingannarmi così?

SAR.

Amor comanda

Degli eroi formidabili nel petto.

BEL.

Che tu sia bastonato e maledetto!

SAR.

A me questo?

BEL.

A te questo.

SAR.

A me, che posso

Stritolarti a drittura?

BEL.

Di te non ho paura.

Provati, se sei buono.

SAR.

Vanne, vil femminuccia, io ti perdono.

BEL.

Ma per chi mi lasciasti?

Per una sconosciuta;

Per una che si spaccia per signora,

E sarà forse una villana ancora.

SAR.

Bellarosa è gentile,

E non puol esser vile.

BEL.

Ed io sostengo,

Ed io me l'ho cacciata nell'idea,

Ch'ella sia di natali una plebea.

SAR.

Olà, porta rispetto

Al nome di colei.

BEL.

Ho in tasca te e lei.

SAR.

Lingua bugiarda.

BEL.

Al certo è una bastarda:

Scommetto dieci scudi, e li deposito.

SAR.

Giuro al cielo, farò qualche sproposito.

SCENA QUINDICESIMA

Giacinto, Pignone e detti.


PIGN.

Che diavol di fracasso!

GIAC.

Che strepito! che chiasso!

PIGN.

Non si puon numerar quattro testoni.

GIAC.

Io non posso finir le mie canzoni.

SAR.

Ecco. Belinda mi fa andar in furia.

BEL.

Ei prende per ingiuria,

Ch'io dica Bellarosa esser plebea.

PIGN.

È una dama.

GIAC.

È una dea.

PIGN.

Economa.

GIAC.

Vezzosa.

PIGN.

Sa di conti.

GIAC.

È graziosa.

SAR.

Dimostra il suo valor coi detti e i fatti.

BEL.

Con voi non parlo più. Siete tre matti. (parte)

SCENA SEDICESIMA Giacinto, Saracca e Pignone

GIAC.

Per invidia favella.

PIGN.

Il di lei merto

È chiaro ed è palese.

SAR.

Manca sol che si sappia il suo paese.

GIAC.

Io giocherei che fosse...

PIGN.

Di dove?

GIAC.

Non lo so.

SAR.

Piuttosto...

GIAC.

Signor no.

Ella è nata, direi...

PIGN.

Eccola; il vero si saprà da lei.

SCENA DICIASSETTESIMA

Bellarosa e detti.

BELL.                   (Intesi quanto basta). (da sé)

SAR.                      Qui per voi si contrasta.

PIGN.                    Si disputa di voi patria e natali.

GIAC.                   Non vi ho trovata scritta negli annali.

BELL.                   Si vuol saper qual sia

Dunque la patria mia?

Non la nascondo:

La mia patria, signori, è in questo mondo.

Chi non vuol ignorarla,

Bisogna indovinarla;

E a quel che la indovina, ora prometto

Far di qualche finezza un regaletto.


PIGN.

SAR.

GIAC.

BELL.

PIGN.

BELL. SAR.

BELL. GIAC.

BELL.

PIGN.

GIAC.

SAR.

PIGN.

BELL.

SAR.

BELL.

GIAC.

BELL.

PIGN.

BELL.

SAR.

BELL.

GIAC.

BELL.

PIGN.

GIAC.

SAR.

BELL.

PIGN. GIAC. SAR.


}

}

}


a tre

a tre

a tre


Conviene pensarvi;

Conviene studiarvi.

L'economa vera

Di dove sarà? Pensiamoci un poco;

Troviamole il loco.

La femmina brava

Qual patria averà? Pensieri a raccolta;

Studiam questa volta

Di donna vezzosa

Qual sia la città. Pensate, studiate,

E se indovinate,

Un premio prometto,

Che a voi piacerà. Economa fina?

Sarà fiorentina. L'avete sbagliata. In Napoli nata

Voi brava sarete. Sbagliata l'avete. Venezia vezzosa

Prodotta vi avrà. Avete sbagliata

Voi pur la città. Mi riprovo...

Già la trovo...

L'ho trovata.

Eccola qua. Genovese.

Signor no. Brescia, Brescia.

Signor no. Parma, Parma.

Oibò, oibò. Turinese.

Non signore. Bolognese.

Non padrone. Milanese di buon core. Non signore, in verità. Nulla giova, Non si trova; Non vuol dir

La verità. Non padroni;

Lei mi scusi,

Che Ragusi

È mia città. Vezzosa Ragusea,

Voi siete la mia dea,

A voi chiedo pietà.



BELL.                             Chi vuol la grazia mia,

Non abbia gelosia, Non tema infedeltà.

a quattro                          Viviamo in compagnia

E stiamo in allegria, Ché non è mai molesta L'onesta società. (partono)


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Giardino.

Armidoro ed un Servo.

ARM.                    Ho inteso, ho inteso; ho letto a chiare note

Di Bellarosa il nobile desio, E di darle piacer l'impegno è mio. Ditele che stassera Armidoro fedel si darà il vanto Di ricrearla con il suono e il canto. (parte il Servo) Bellarosa vezzosa È donna capricciosa. In questa carta Vi si rileva espresso

Un certo non so che maggior del sesso. (legge il viglietto) Colui che più mi ama, Colui che più mi brama, Una prova mi dia d'esser amante Con un divertimento stravagante. Già m'è venuto in mente Un pensier eccellente. Parlerà, spiegherà la pena mia E di canto e di suon dolce armonia.

SCENA SECONDA

Albina e detto.

ALB.

Alfin v'ho ritrovato.

ARM.

Che bramate?

ALB.

Benché nol meritiate,

Benché siate ver me stato incostante,

Assicurarvi che vi sono amante.

ARM.

Non merto il vostro affetto,

Né mi giova sperarlo,

Or che ad altra beltà giurai la fede.

ALB.

Bellarosa non v'ama, e a me vi cede.

ARM.

Chi lo dice?

ALB.

Io son quella

Che lo dico e il sostegno.

ARM.

Malagevol sarà forse l'impegno.

ALB.

A me che non vi cura,

A me che vi rinuncia,


Bellarosa medesma or or lo disse.
ARM.                     A me il contrario in questo foglio scrisse.

ALB.                      Come! che dice il foglio?

ARM.                     Che se piacerle io voglio,

Che se le sono amante,

Le dia un divertimento stravagante. (mostrando il foglio ad Albina)
ALB.                      (Ah, colei m'ingannò!)

ARM.                                                         L'ora s'avanza;

Nella vicina sera

D'armoniose voci,

Di musici concenti,

Il ciel risuonerà.
ALB.                                                Crudo Armidoro,

Lo dite in faccia mia?
ARM.                                                      Cessate, Albina,

Di sperar l'amor mio.

Volgete in mente

I passati disprezzi

Che faceste di me tenero amante,

Tanto meco crudel, quant'io costante.

Eran di quei begli occhi

Tutti gli affetti miei;

Tutto di te sarei,

Bella tiranna, ancor. Ma troppo fiera e cruda,

Mi disprezzasti assai;

Ed il tuo cor cangiai

Con un più fido amor. (parte)

SCENA TERZA

Albina, poi Giacinto

ALB.                      Poss'io soffrir di più? La mia rivale

Di me gioco si prende; L'amante per amor scherni mi rende?

GIAC.                               Evviva Rosabella:

Lo dice in sua favella

Quell'arboscello ancor,

E l'erbe, i frutti, i fior;

E gli augelletti,

E i ruscelletti,

E i cani e i gatti,

E i savi e i matti.

Va tutto il mondo

Dicendo così:

Viva la bella che il cor mi ferì.

ALB.                      Voi pur siete invaghito


Della bella straniera?
GIAC.                    In lei sola il mio cor giubila e spera.

ALB.                      Ma in lei sola sperando,

Vi anderete ingannando.
GIAC.                                                          Oh dei! perché?

ALB.                      Nel suo cor non v'è fé, non v'è costanza.

Voi gettate l'amore e la speranza.
GIAC.                    Non lo credo, non è, non sarà mai;

Son di fé testimonio i suoi bei rai.
ALB.                      Fidatevi, ma intanto

Armidoro di lei mostra un invito,

E si vanta il più caro e il più gradito.
GIAC.                    Armidoro mendace!

Ecco, l'invito è mio:

Il più caro alla bella sono io. (mostra ad Albina un foglio)
ALB.                      Ebbe un foglio simil anco Armidoro,

E stassera destina,

Per superar tutti i rivali amanti,

Offrirle un'armonia di suoni e canti.
GIAC.                    Cantin, suonino pur, ballino ancora,

Bellarosa m'adora;

E il mio spirito grande, e i miei talenti,

Per piacere al mio ben faran portenti.
ALB.                      Possibile che tutti

Siate ciechi così che non vedete

Che il tempo dietro lei, pazzi, perdete?

Ella tutti vi adesca;

Non vi cura nessun, di tutti ride,

E reputa per gloria

Poter coi scaltri simulati amori

Sfidar Cupido, e trionfar de' cuori.

Ma da lei non si prenda

D'oltraggiar argomento il sesso nostro,

Ché più infedele il vostro, e più scortese,

Suol l'affetto pagar con onte e offese.

Si vanta, si dice

Che sia menzognero

Un sesso infelice

Che merta pietà. E allorché l'inganna

L'amante mendace,

Si vede, si tace

La sua crudeltà. Ingiusta è la legge,

Spiacevole a' dei,

Che pari alli rei

La pena non dà. (parte)

SCENA QUARTA


Giacinto, poi Saracca

GIAC.                    Dunque Armidoro... dunque...

E con suoni e con canti... Stassera... sì signore, Egli si farà onore. E tu, Giacinto, Tu ti darai per vinto? Signor no, Qualche cosa di bello anch'io farò.

SAR.                                 Chi ha coraggio, si vedrà.

Chi ha valor, si proverà. Cento scudi ed un cavallo: Questo è il premio che si dà.

GIAC.                    Di qual premio parlate?

SAR.                      Se d'onor vi curate,

Per dimani v'invito ad una giostra

Dove del vostro cor farete mostra.
GIAC.                    Come? dove? per chi?

SAR.                                                          Per Bellarosa,

Che vuol d'amore un segno

Per provare chi sia di lei più degno.
GIAC.                    Allo stesso cimento

Anch'io son provocato.
SAR.                      Verrete allo steccato?

GIAC.                    Vi verrò senza fallo.

Ma questa sera anch'io v'invito al ballo.
SAR.                      Questa sera Armidoro

Fa certa serenata.
GIAC.                    E questa terminata,

Verrete in casa mia,

A vedermi ballar con leggiadria.
SAR.                      Amico, in confidenza,

Fate quel che vi pare;

Ma temo vi facciate corbellare.
GIAC.                    Come! A me questo torto?

Mi avete mai veduto? Non sapete

Quanto son gaio e destro?

Che del canto e del ballo io son maestro?

Se si tratta di cantar, Non la cedo a un canarin. Se parlate di ballar, Salto come un agnellin. Son grazioso, Son vezzoso, Son brillante, Son galante. So cantar do, re, mi, fa; So ballar lara la la. (parte)


SCENA QUINTA

Saracca solo.

Dir a lui si potrebbe: al ballo, al canto,

Caricatura mia, sei tu un incanto.

Certi amanti sguaiati,

Codardi, effeminati,

Non li posso veder. Io colle donne

Io fo l'amor da uom, non da ragazzo;

Spendo, son di buon cor, ma le strapazzo.

Con la femmina faccio così: La regalo, se dice di sì; Ma se meco vuol far l'ostinata, L'atterrisco con una bravata.

Chi d'amore pretende nel gioco Molto vincere, o perdere poco, Giochi a tempo denari e bastoni; I minchioni - non fanno così. (parte)

SCENA SESTA

Notte.

Luogo spazioso, in cui vedesi una macchina illuminata, con suonatori e musici, per eseguire

la serenata ordinata da Armidoro; da un lato la casa di Bellarosa con terrazzino praticabile.

All'apparir della macchina s'ode un'allegra sinfonia, e frattanto sul terrazzino comparisce

BELL.

Questi son d'Armidoro

Segnalati favori;

Vuole al fresco esalar i propri ardori.

PRIMA VOCE

Bell'aure, che liete

D'intorno spirate,

La fiamma svelate,

Che m'arde nel cor.

CORO

Nel seno Armidoro

Conserva il tesoro

Di fede e d'amor.

SECONDA

Narrate alla bella

VOCE

Ch'io sento nel petto

Eguale all'affetto

Geloso timor.

CORO

Nel seno Armidoro

Conserva il tesoro

Di fede e d'amor.

TERZA VOCE

Amante sincero

Che pena e delira,

Soletto sospira

L'acquisto d'un cor.

CORO

Nel seno Armidoro


Conserva il tesoro Di fede e d'amor.

BELL.                   Viva, viva Armidoro.

Aure che favellaste, a lui tornate;

Dite che le sue voci a me son grate;

Ditegli che non sono

Né cruda, né severa,

E dategli per me la buona sera. (si ritira)

CORO

Nel seno Armidoro

Conserva il tesoro

Di fede e d'amor. (Partono e sparisce la macchina)

SCENA SETTIMA

Camera con lumi.

Belinda e Pignone

BEL.

Signor Pignone caro,

Questa volta conviene

O lasciar l'avarizia ovver l'amore;

O cedere la bella o farsi onore.

PIGN.

Perché così parlate?

BEL.

Forse ancora ignorate

Che alla famosa Bellarosa ha fatto

Armidoro gentil la serenata,

E che Giacinto al ballo l'ha invitata?

PIGN.

E Saracca?

BEL.

E Saracca

A questa nuova dea dell'età nostra

Ha preparata una famosa giostra.

PIGN.

Facciano pure; anch'io

Ebbi l'invito mio,

E senza tanto strepito e rumore,

Con la donna gentil mi farò onore.

BEL.

Come?

PIGN.

Non vuò dir nulla.

BEL.

In fatti è una fanciulla,

Questa ragazza d'oro,

Che merita un tesoro.

Ha mille qualità perfette in lei;

Ma fra l'altre n'ha una ch'è un portento:

Che l'amore sa far con più di cento.

PIGN.

Ella finge con gli altri,

E meco fa davvero.

BEL.

Presto veder io spero

Che questa ninfa con i vezzi suoi

Corbellerà con gli altri ancora voi.

PIGN.

Ma voi che cosa avete,


Che nemica le siete?

BEL.

Ella m'ha tolto

Saracca ch'era mio;

E voglio certo vendicarmi anch'io.

PIGN.

Non temete, figliuola;

Bellarosa senz'altro sarà mia,

E dal capo v'andrà la gelosia.

BEL.

Vi lusingate invano;

Dite quel che volete, io vi rispondo:

Vuol Saracca, vuol voi, vuol tutto il mondo.

SCENA OTTAVA

Bellarosa e detti.

BELL.

Chi è che d'innamorati ha tanta sete?

BEL.

Voi quella appunto siete

Che, vezzosetta e bella,

Usurpando li andate a questa e a quella.

BELL.

Voi ne perdeste alcuno?

BEL.

Sì, signora.

BELL.

E chi è questi?

BEL.

Saracca.

BELL.

Di lui non me n'importa una patacca.

Ecco chi nel cor mio

S'ha preso il primo loco:

Ecco qui l'amor mio. (accennando Pignone)

PIGN.

(Son tutto foco).

BEL.

Ora dite così, ma poi direte

A Saracca lo stesso.

PIGN.

Oh che linguaccia!

BELL.

Che volete io ne faccia?

Son pronta il vostro caro

In atto di notaro - a rinunciarvi:

Ma s'egli non vi vuol, non so che farvi.

BEL.

Non mi vorrà, può darsi,

Perché dei vostri vezzi innamorato,

Adorarvi vorrà benché sprezzato.

BELL.

Dunque, se non sapete

Vincerlo con amore e cortesia,

La colpa sarà vostra, e non è mia.

PIGN.

Dice ben, dice bene:

Chi vuol incatenare un cuore amante,

Amorosa esser dee, non arrogante.

BEL.

Cosa sapete voi,

Signor Pignone caro?

Non favelli d'amor chi è nato avaro.

E lei, signora mia,

Che far pretende la dottora a noi,

Farà meglio badare a' fatti suoi.


(Mi pizzica, mi stuzzica

Un certo non so che...)

Non parlo con voi, (or a Pignone, or a Bellarosa)

Discorro fra me.

(Mi fremono le viscere,

Non posso star in fren).

Ma voi che volete,

Che avete con me? (come sopra)

E meglio ch'io vada;

Ch'io taccia, perché...

Non dico... non parlo...

M'intendo da me. (parte)

SCENA NONA

Bellarosa e Pignone

PIGN.

In verità, colei

Mi facea venir caldo.

Se continuava ancor, non stavo saldo.

BELL.

Io rido di costoro, e lor non bado.

Non vo dietro a nessuno;

Amanti non procuro,

Ma se vengono poi...

PIGN.

Che?

BELL.

Non li curo.

PIGN.

Brava, brava; son io

Il solo fortunato.

BELL.

Avete inteso,

Che Armidoro col canto e con il suono

Testé mi fece di letizia un dono?

PIGN.

Ragazzate son queste.

BELL.

E che Giacinto

Questa sera alla festa m'ha invitata?

PIGN.

È quest'ancora un'altra ragazzata.

BELL.

E Saracca alla giostra?

PIGN.

Frascherie,

Debolezze, pazzie.

BELL.

Ma voi, che siete

Savio, prudente e degno,

Qual mi date d'amor verace segno?

PIGN.

Vi darò, mio tesoro,

Dell'amor, della fede,

Il testimon migliore.

BELL.

Forse lo scrigno?

PIGN.

Oibò, la destra, il core.

BELL.

Ma la destra ed il cor me l'offerisce

Facilmente ogni amante.

PIGN.

Ma niun, come son io, sarà costante.

BELL.

Caro signor Pignone,

A parole non credo;


Soglio fede prestar sol quando vedo.

PIGN.

Ma... che mai far dovrei?

BELL.

Quasi, quasi direi...

PIGN.

Dite, parlate.

BELL.

Ma poi non vi sdegnate.

PIGN.

No, mia cara,

Non potete sdegnarmi.

BELL.

Voi avete a mostrarmi...

PIGN.

Che cosa?

BELL.

Ve lo dico? (ridendo un poco)

PIGN.

Cosa vuol dir quel ghigno?

BELL.

Voi m'avete a mostrar il vostro scrigno.

PIGN.

Che scrigno? V'ingannate.

Io denari non ho...

BELL.

Senza denari

Maritarvi volete?

Non vi prendo, se scrigno non avete.

PIGN.

Aspettate... non so...

BELL.

L'avete, o non l'avete?

PIGN.

Vi dirò.

Zitto, che non si senta:

Ho un piccolo tesoro;

Ho tante doppie d'oro,

E argento in quantità.

Zitto per carità.

Ho delle gioje assai,

Ma non lo dite mai.

Quando sarete mia,

La vostra economia

Lo scrigno accrescerà.

Zitto, che non si sappia;

Zitto, per carità. (parte)

SCENA DECIMA

Bellarosa, poi Armidoro

BELL.

Oh sì, che starei fresca

Con questo avaro ai fianchi!

Mi verrebbero presto i crini bianchi.

ARM.

Con rossor mi presento,

Bella, a chieder perdono...

BELL.

Armidoro gentil, grata vi sono.

ARM.

Posso sperar mercé?

BELL.

Sì, sì, sperate;

Che chi vive sperando...

Intendetemi voi.

ARM.

Muore penando.

BELL.

No; chi spera, ed ha merto,

Di conseguir la sua mercede è certo.


ARM.                     Quand'è così, che posso

Senza merto sperar?
BELL.                                                   Caro Armidoro,

Tanto non vi avvilite;

Siete un bel ragazzotto, e mi gradite.

Presto con un'occhiata

Conosco le persone;

Con certe ho simpatia,

Con altre antipatia;

Con chi a genio mi va, son amorosa,

E con altri son io rustica, odiosa.

Vi son certi innamorati Che mi fanno delirar;

I superbi e gli affettati
Non li posso tollerar.

II superbo: «Come state?
Vi saluto. Comandate.
Voglio dire, voglio far».

L'affettato: «Madamina, Mio tesoro, mia regina, Ah, mi sento liquefar». Meno boria e meno inchini; Più quattrini e più bon cor. (parte)

SCENA UNDICESIMA

Armidoro solo.

Motivo ho di sperar, ma non ancora

M'assicura del cor, né della mano.

Ah, temo alfin di lusingarmi invano.

Vorrei, e non ardisco

Chieder di più. Temo che mi discacci,

Se parlo troppo ardito; e mi contento,

Per premio a mia costanza,

Per conforto al mio cor, della speranza.

Sperar il caro porto In mezzo alle procelle È l'unico conforto Che fa men fiero il mar.

E se pel vento infido Cade il nocchiero assorto, Va col pensiero al lido Fra l'onde a naufragar. (parte)

SCENA DODICESIMA


Sala illuminata e magnificamente adornata per Festa di ballo.

Giacinto, Pignone, Saracca, Bellarosa, Belinda.

Uomini e Donne a sedere per il ballo. Aprendosi la Scena, vedonsi due che ballano,

vicini a terminare il loro minuetto. Il Ballerino rimette la Ballerina a suo loco, e

prende Bellarosa, che accetta e s'alza dalla sedia.

BELL.

In verità son stanca...

Ma per non disgustarla,

Accetto le sue grazie.

BEL.

(Sempre in ballo colei?

Nessuna sa ballare altro che lei?

Or or mi fo sentire). (da sé, sdegnata)

BELL.

Se non fo ben, la prego compatire.

(Si suona il minuetto, e lo ballano; e terminato ch'egli è,

il Ballerino rimette Bellarosa al suo posto)

BELL.

Perdonino, signori,

Se non rendo per ora il minuetto;

Ho assai ballato, e riposarmi aspetto.

GIAC.

Prima di riposarvi,

Spero che a me la grazia

Farete di ballar. (s'alza dal suo posto, e va da Bellarosa)

BELL.

Negar nol posso

Al padrone di casa. (s'alza per ballare)

BEL.

Oh cospettaccio! (s'alza infuriata)

Che impertinenza è questa?

Dunque solo per lei si fa la festa?

GIAC.

Ballerete anche voi.

BEL.

Sono due ore

Che per star a seder ho fatto il callo,

E sempre vedo la graziosa in ballo.

BELL.

Piano, piano coi titoli.

PIGN.

Ehi, abbiate giudizio. (a Belinda)

SAR.

Or ora nasce qualche precipizio.

BEL.

Così non si dispone

Una pulita danza.

Non avete creanza. (a Giacinto)

GIAC.

Perdonate... (a Belinda)

BELL.

Se volete ballare, e voi ballate. (a Belinda)

GIAC.

Signora... (a Bellarosa)

BEL.

Che credete,

D'essere sola voi?

Ne sappiam quanto basta ancora noi.

BELL.

Me ne rallegro.

GIAC.

Oh via,

Accomodiam la cosa.

SAR.

Siete troppo stizzosa. (a Belinda)

PIGN.

Siete troppo caldetta. (a Belinda)

BEL.

Ho un veleno, ho una rabbia maledetta.

GIAC.

Lasciate che facciamo

Il nostro minuetto,

E dopo vi prometto... (a Belinda)

BEL.

Signor no;


}

}

} adue } atre } adue

} }

BELL. GIAC.

BEL.

BELL.

GIAC.

BEL.

PIGN.

BELL.

BEL.

BELL.

BEL.

GIAC. PIGN. SAR. BELL.

GIAC.

PIGN.

SAR.

BEL.

BELL.

BEL.

BELL.

PIGN.

GIAC.

SAR.

BEL.

BELL.

BEL.

BELL.

a due

GIAC.

BEL.

BELL.

PIGN.

BEL. BELL.


Quando non ballo adesso, me ne vo.

Anderò io; restate. (a Belinda)

No, madama; fermate.

Maledetto!... Direi... basta... non voglio

Che succeda... che accada... un qualche imbroglio.

Di voi mi meraviglio, (a Giacinto)

Che fate un simil torto a una par mia,

Per una tal che non si sa chi sia.

Sarebbe minor male

Che non fosse di voi noto il natale.

Oimè... qui in casa mia...

Chi pensate ch'io sia? (a Bellarosa)

La cosa mal s'impegna.

Una che starmi a fronte non è degna.

Sarete qualche dama.

Se lei saperlo brama,

Son nobile, lo dico e lo sostegno,

Ed i titoli miei mostrar m'impegno.

Signora marchesa, Signora contessa, Che gran principessa! Che gran nobiltà!

Tacete, o partite,

a tre

Che meglio sarà. (a Belinda)

Signora fraschetta, Ch'io dica permetta, Che mostra coi fatti La propria viltà.

Tacete, ed usate

a tre

La vostra bontà.

A me tal strapazzo? Per me tal schiamazzo? Cospetto! la bile Frenare non so.

Soffrite, tacete. (a tutte due)

Oh, questo poi no.

Saprò vendicarmi. Saprò soddisfarmi. So quel che farò. Signore, in casa mia Tacete in cortesia.

Tacere non si può. a due

Temete la giustizia, Se fate un criminale.

Non vuò pensare a ciò. a due



SAR.

Chetatevi, giudizio; O faccio un precipizio.

BEL. BELL.

} adue

Timor di voi non ho.

GIAC.

SAR.

PIGN.

BEL.

PIGN.

BELL.

SAR.

} atre

Battetevi, ammazzatevi; Io non l'impedirò.

Indegna!

Via, brava! Fraschetta!

Vi godo.

BEL. BELL.

} adue

Son tutta furor.

GIAC. a cinque

Voi siete nell'ira

Bellissime ancor. Di sdegno - l'impegno

Accieca ed accende.

Oimè, come rende

Terribile il cor! (partono)


ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Cortile.

Albina e Belinda

BEL.

V'assicuro che ho detto

Quanto dir si potea. L'ho strapazzata,

L'ho fatta vergognar; mi son sfogata.

ALB.

E dice d'esser dama?

BEL.

Dir potrebbe

D'esser anco regina,

Ma credo che non sia nemmen pedina.

ALB.

Eppur ciascun persiste

A volerla, ad amarla.

BEL.

E dicono di noi

Che ci attacchiamo al peggio.

Lo fan gli uomini ancor, per quel che veggio.

SCENA SECONDA

Saracca e dette.

SAR.

Alla piazza, alla piazza; allo steccato.

BEL.

Oh pazzo spiritato!

SAR.

Oggi, a vostro dispetto,

Bellarosa trionfa.

BEL.

Ed il trionfo

Maggior che a Bellarosa è riservato,

È Saracca veder tristo e burlato.

SAR.

Questa è tutta invidiaccia.

ALB.

Oh via, buon pro vi faccia.

Dite: nello steccato
Che avete voi di bello preparato?
SAR.                      La Giostra s'ha da far. Chi è valoroso,

Al cimento verrà. Per dar piacere All'idol mio diletto, Dar in premio prometto Al guerrier valoroso, Che l'impresa farà più bella e buona, Cento scudi, un cavallo e una corona. (Ma già il più valoroso sarò io, E l'onor ed il premio sarà mio). (da sé)


Vada, vada il trombettiere

A suonar per la città.

Ogni bravo cavaliere

Stimolar si sentirà. Presto, presto, il tamburino

Della pugna tocchi il segno.

Chi di gloria, chi di sdegno,

Un tal suono accenderà.(parte)

SCENA TERZA

Albina e Belinda

BEL.                      Avrei piacere che nello steccato

Rimanesse Saracca almen stroppiato.
ALB.                      E noi vogliam intervenir con l'altre?

BEL.                      Certamente che sì. Dobbiam noi pure

Mostrar indifferenza;

Finger di non pensarvi, e aver pazienza.
ALB.                      Chi sa mai, se Armidoro

Sarà alla giostra armato?
BEL.                      Anch'egli è innamorato

Di quella ch'ha le trentatré bellezze.

Vorrà farle veder le sue prodezze.
ALB.                      Alfin costei dovrebbe

O per questo o per quel determinarsi;

Liberar tutti gli altri e maritarsi.
BEL.                      Dubito ch'a ciò far vi sia l'intoppo,

Perché la libertà le piace troppo.
ALB.                      Basta, per poco ancora

Vuò aspettar che ritorni

Armidoro pentito al primo foco.

E s'ei dura ostinato,

Volgerò il core ad un amor più grato.

Dolce rimedio al core, Quando sospira invano, È con novello ardore L'antico discacciar.

Sembra che sia tormento Spegnere il primo foco; Ma insolito contento Le pene fa scordar.(parte)

SCENA QUARTA
Belinda, poi Armidoro
BEL.                      Io più volte ho provato


Il piacer di cambiar la fiamma in petto,

E l'occasion di riprovarlo aspetto.
ARM.                     Belinda, avete voi

Bellarosa veduta?
BEL.                      Oh, sì signore, è lì...

ARM.                                                      Dove?

BEL.                                                                    Nol dico

Per modestia e rispetto.
ARM.                     Dite se in questo loco sia venuta.

BEL.                      Signor sì; ma è di già ben provveduta.

ARM.                     Non capisco.

BEL.                      Meschino!

Siete pur semplicino!

Per una moglie scaltra

Sareste buono e bello,

S'altro non vi mancasse che il cervello.

Noi altre femmine Che siamo dritte, Vogliamo gli uomini Un poco storti.

Per le consorti Non sono buoni Quei dottoroni Che fan zurlar. (parte)

SCENA QUINTA Armidoro, poi Bellarosa e Pignone

ARM.                     Lo conosco, lo so;

Valor non ho che vaglia

Le donne ad eguagliar di questa taglia.

BELL.                    Bravo! me ne consolo. (a Pignone)

PIGN.                    Voglio mostrar anch'io la mia bravura;

Benché un poco in età, non ho paura.

ARM.                     Bella, io vado al cimento,

E a voi consacro i colpi: A voi, che di quest'alma il nume siete, A voi, che del mio cor l'arbitrio avete.

BELL.                    Vivano i valorosi!

Tornerete gloriosi;

Ed io m'impegno al più valente e prode Ricco premio donar d'applausi e lode.

ARM.                     Ma la destra?

PIGN.                                          Ma il core?

ARM.                                                             Il fortunato

Quale sarà di noi?

BELL.                    Di questa cosa parleremo poi.

ARM.                     Vado dunque al cimento,

Tutt'amor, tutto foco,


E il vostro nome in mio soccorso invoco.

Begli astri lucenti

Dell'idolo amato,

Ferito, piagato

M'avete nel sen. Deh, grati alla fede,

Pietosi al tormento,

In mezzo al cimento

Scortatemi almen! (parte)

SCENA SESTA

Bellarosa e Pignone

BELL.                    E voi, signor Pignone,

Vi porrete cogli altri al paragone?

PIGN.                    Perché no? Non sapete

Che in premio al vincitor oggi si dona Cento scudi, un cavallo e una corona?

BELL.                    Dunque per l'interesse

Andrete a cimentarvi?

PIGN.                    Io voglio confidarvi,

Che per vincer coteste bagattelle, Un po' mi lascierei romper la pelle.

BELL.                    Potrebbe darsi ancora

Vi cavassero un occhio.

PIGN.                    Non lo credo;

Ma quando il mio destino L'avesse scritto nelle carte sue, Mi consolo che gli occhi sono due.

Questo è il duol ch'io sentirei Nell'aver un occhio solo: Nello scrigno proverei Dimezzato il mio piacer.

Ma la vista d'ambidue Forse in un saria raccolta; Godrei tutto in una volta Quel che in due si suol goder. (parte)

SCENA SETTIMA

Bellarosa, poi Giacinto

BELL.                    Oh, questo è pazzo vero;

Quest'è perfetto avaro, Che per poco denaro, Cotanto l'interesse l'innamora,


Un occhio in pace perderebbe ancora.

Costui non fa per me.

Non abbado a Saracca,

Ed Armidoro non mi piace un'acca.

Piuttosto, se volessi maritarmi,

Potrebbe accomodarmi

Giacinto, perch'è semplice e amoroso,

Che lascia fare, e che non è geloso.

Eccolo in verità; l'ho nominato,

E tosto egli è comparso. Ciò vuol dire

Che qualcosa fra noi dovrà seguire.

GIAC.

Alla pugna, alla pugna amorosa,

Se mi scorta la bella vezzosa,

Più timore - nel core - non ho.

BELL.

Siete dunque disposto

Di pugnare anche voi?

GIAC.

Per infallibile

Sarò, col braccio mio, sarò terribile.

BELL.

Pugnate per il premio

Dei scudi e del cavallo?

GIAC.

Pugno per due bei labbri di corallo.

BELL.

Siete amante?

GIAC.

Dirò...

Rispondere vorrei...

Ma parlino in mia vece gli occhi miei.

BELL.

Caro signor Giacinto,

Quando si ha caldo il petto,

Conviene parlar schietto.

Ditemi il vostro sentimento espresso,

E anch'io farò con voi poscia lo stesso.

GIAC.

Sì signora, sappiate...

Che amor coi dardi suoi...

Fatemi grazia di principiar voi.

BELL.

Lo farò. Siate certo

Che il vostro raro merto...

Di cui pari non v'è...

Compatite, signor, non tocca a me.

GIAC.

Bene. Darò principio.

Dirò... che da quel giorno...

Il vostro viso adorno...

Ah, seguitar non posso.

Mi vergogno davvero, e vengo rosso.

BELL.

Dirò io qualche cosa:

Certa fiamma amorosa

Il cor m'incenerì.

Ho parlato, signor; basta così.

GIAC.

A dir seguiterò... che una tal fiamma...

Mantener non si puote...

Fra due cori distanti...

Basta così. Non posso andar avanti.

BELL.

Ho inteso qualche cosa.


GIAC.

Qualche cosa ho capito.

BELL.

Vorrei che il resto continuaste a dire.

GIAC.

Proverommi di farlo.

BELL.

Animo.

GIAC.

Ardire.

Ho nel core... un non so che...

Vorrei dirlo... ma non so...

Certo caldo... provo in me...

Sospirare ognor mi fa.

BELL.

Mi distruggo... e so il perché...

Vorrei dirlo... e non si può...

Tanto amore... tanta fé...

Delirare ognor mi fa.

GIAC.

Non arrivo...

BELL.

Non intendo...

a due

Lo direi... parlerei...

Ma... capite?

Ah? che dite?

Sì, v'intendo;

Sì, comprendo

Da quel muto favellar...

GIAC.

Che voi siete...

BELL.

Che volete...

Ah, non posso più parlar.

GIAC.

Su, coraggio.

BELL.

Via il timore.

GIAC.

Voglio dir... che nel cor...

Vien amor... traditor...

Io m'imbroglio, e dir nol so.

BELL.

Vuò spiegar... che nel sen...

Perché vien... quel velen...

Mi confondo, e dir nol so.

GIAC.

Come far a capir?

BELL.

Vuò provar di finir.

Nel mio sen...

GIAC.

Nel mio cor...

BELL.

Il velen...

GIAC.

Dell'amor.

BELL.

Quando vien...

GIAC.

Come par...

a due

Sempre più.. peggio va...

Più non voglio favellar.

GIAC.

Mi guardate?

BELL.

Sospirate?

a due

Ho capito, che ferito

È d'amore il vostro cor.

Ardo anch'io, idolo mio,

E per voi son tutto amor. (partono)

SCENA ULTIMA


Steccato per la Giostra, con scalinate all'intorno per gli Spettatori.

Albina, Belinda, Armidoro, Pignone, Saracca, tutti ai loro posti. Aprendosi la

scena, si vede incamminata la Giostra, nella quale hanno combattuto fra gli altri

Armidoro e Pignone, e sono rimasti perdenti. Saracca è vittorioso. Frattanto

compariscono sulle scalinate Bellarosa e Giacinto

SAR.

Chi è che resister possa

Al valor del mio braccio?

Alla mia forza, all'arte,

Resister non potria lo stesso Marte.

ARM.

Delle perdite mie

Voi vi gloriate invano.

Per sventura cadei, non per viltade,

Ché a cimenti maggior mia destra è usa.

SAR.

Di chi vinto riman, solita scusa.

PIGN.

Ah, se foste venuto

A combatter con me vent'anni sono,

Io non sarei caduto,

E mio saria de' cento scudi il dono.

SAR.

Povero vecchio avaro,

Non gl'incresce la gloria, ma il denaro.

Altri vi son che in petto

Arda di gloria il bellico desio? (Scende dall'alto Giacinto)

GIAC.

Eccomi; ci son io.

SAR.

Su, venite al cimento,

E i colpi miei provate.

GIAC.

Aiutami, Cupido.

BELL.

Olà, fermate.

Altra giostra, altro premio

Amor destina a voi, caro Giacinto:

Combatteste il mio cor, l'avete vinto.

Ecco il premio che a voi

Concede Amor pietoso:

Io son vostra, Giacinto, e voi mio sposo.

GIAC.

Oh Giostra fortunata!

Oh gloria inaspettata!

SAR.

Come! a me questo torto?

ARM.

Così mi abbandonate?

PIGN.

Mi lasciate così?

BELL.

Di quattro amanti

Essere non poss'io.

Adempio il dover mio,

A Belinda lasciando il suo Saracca,

Ad Albina Armidoro,

E all'avaro Pignone il suo tesoro.

Giacinto non ha impegni ed è amoroso;

Non fo torto a nessun se 'l fo mio sposo.

ALB.

Or conosco e confesso

Che Bellarosa ha nobili pensieri.

BEL.

Ella è nata di dame e cavalieri.

GIAC.

Ecco, ecco, sì, ecco,


PIGN. BELL.

GIAC.

ARM. SAR. PIGN. BELL.

GIAC.

ARM.

SAR.

ALB.

BEL.

ALB.

BEL.

SAR.

ARM.

BELL. GIAC.

PIGN.

BELL. TUTTI


Ecco la sposa mia. Ma non si sa chi sia.

Nacqui in Ragusi, Di nobile son figlia: Partita per piacer dal suol natio... Queste son cose ch'ho da saper io. Bisogno ora non c'è Ch'altri le sappia, e le direte a me. Misero, sventurato!

Oh che veleno! Senza moglie, così spenderò meno. Su via, signori miei, Tornate al primo foco; Più non sperate in me, che preso è il loco. Ecco, ecco, sì, ecco, Ecco la sposa mia. Deh, Albina.

Deh, Belinda. Son pronta a perdonarvi. (ad Armidoro) Son pronta, se volete, anco a sposarvi. (a Saracca)

Torna Amor nel nostro petto }aquattro      Adestarquelprimoaffetto, Che per poco si ammorzò.

E nei nostri amanti cori
} adue   Sianperpetuiquegliardori

Che Cupido in noi destò. Non mi venga più il prurito Di voler esser marito. Mai più donne cercherò.

TUTTI, fuorché Bellarosa.

Una sposa sì compita,

Che dei cuori è Calamita,

Tutti alfin rese contenti,

E se stessa consolò. Goderò giorni felici,

Se mi siete tutti amici. Viva Amor - e la sua face

Che la pace - a noi recò.


Fine del Dramma.