La campana della tentazione

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LA CAMPANA DELLE TENTAZIONI

Commedia in un prologo e due tempi

di GIOVANNI MOSCA

PERSONAGGI

LISISTRATA – RONDINELLA – MIRRINA

AMBROSIA – LEONTINA – CALLIZIA

MELISSA – ELENA – MELANIA

CORINNA – ASPASIA – LESBIA

RUGIADINA DI LESBO

FILLIDE- TIMANDRO – LOCRI

CALLICRATE – NICIA

CIMONE- NEREO – LICONE

UN UFFICIALE – UN SOLDATO – UN VECCHIO

UN BORGHESE – LE CORTIGIANE – IL PRESENTATORE


Commedia formattata da

PROLOGO

Una piazza di Atene. A sinistra, si vedono sa­lire le inaccessibili mura di Acropoli, fortezza e santuario della città. Di fronte un piccolo tempio mezzo diroccato al quale si accede per mezzo di una gradinata. Poche sono le colonne intere. A destra del tempio, ma più avanzata verso il pubblico una statua di legno in onore di Diana, dea della castità; accanto c'è, di un'al­tra statua, solo il basamento. In terra, qua e là, tronconi di colonne abbattute. Sui tronconi, come su dei sedili, seggono degli uomini. Al levarsi del sipario, il Presentatore avanza dal primo gradino del tempio, sul quale era seduto, verso la ribalta.

Il Presentatore               - La storia che vi racconto è una storia né nuova né vecchia: è una storia di sempre, e se avrete la bontà di ascoltarmi, vi sembrerà la vostra, perché è la storia di un popolo che, stanco di guerre, di stragi, di lutti, anela alla pace. Ecco tutto. (Rivolgendosi al vecchio più vicino) Cimone, da quant'è che sia­mo in guerra?

Cimone                         - Beh, che domande! E' un ricordo che si perde nella notte dei tempi. Io ero un ragazzo quando proprio in questa piazza vidi arrivare il soldato di Maratona, il quale, dopo la gran corsa, fece appena in tempo ad annun­ciare la vittoria sui persiani, e subito stramazzò stecchito. Con tutta l'armatura. Ricordo ancora il tonfo.

Callicrate                       - A chi la dai ad intendere, Cimone?

Cimone                         - Perché? Non mi credi? Il fatto è vero...

Callicrate                       - Che sia vero lo sappiamo tutti. Ma non è vero che ci fossi tu. Sono passati più d'ottant'anni da quel giorno, e per quanti tu possa averne...

Cimone                         - Eppure, vi dico... (Si ride).

Nicia                             -  Via, Cimone, smettila con le tue bugie!  Se ci dici che l'ha visto tuo padre...

Cimone                         - Ebbene, mio padre o io non è la stessa cosa? (Severamente) E poi, ragazzi, ai vecchi bisogna credere.

Callicrate                       - Anche quando dicono bugie?

Cimone                         - Semprs. Specialmente, anzi, quando dicono bugie. Sono le cose più belle, del resto, che essi possano dire. (Orgogliosamente) I vec­chi sono al mondo per questo.

Nicia                             -  Dunque tu sentisti il tonfo...

Cimone                         - Sì che lo sentii. E ben altre cose, poi, nel corso della mia vita vidi e sentii. I Per­siani mettere a ferro e fuoco questa nostra Atene dopo la battaglia delle Termopili, poi la rivincita di Salamina, quando Temistocle distrusse la flotta persiana, e Atene fu liberata, e ancora altre invasioni, e ancora altre nostre riscosse, sino a che, finalmente, tornò a risplen­dere il sole..., ma quanti morti, quante rovine, quanto dolore per la conquista d'una pace... (rivolgendosi al Presentatore) che, poi, quan­to durò?

Il Presentatore               - Quanto può durare una pace, che si spera sempre lunga, ed è breve, al con­trario della guerra, che si spera sempre breve, ed è lunga. Difatti, quando pareva che dopo tanti anni di dura separazione, le famiglie po­tessero finalmente tornare a riunirsi nel cerchio di un'unica lampada, ecco Atene e Sparta, che avevano combattuto unite contro i Persiani per la libertà della Grecia, cominciare a combat­tersi tra loro...

Cimone                         - E così ferocemente, poi. Ma perché?

Il Presentatore               -  Beh, il perché vero delle guerre non si sa mai con precisione. (Rasse­gnato) Bisogna prenderle come vengono, man­date dagli Dei.

Nicia                             -  Questo, certo, è il modo più saggio di prenderle, e anch'io sono della tua opinione. Ma, se per caso, nello scatenarle, c'entrassero un poco anche gli uomini, di chi sarebbe, se­condo te, la colpa: di Sparta o di Atene? O, meglio ancora, chi sta dalla parte del torto? chi da quella della ragione?

Il Presentatore               -  Io penso, Nicia, che tu mi chieda troppo, anche perché è passato tanto tempo. Dopo quasi vent'anni di guerra, come possiamo rammentare di chi sia il torto o la ragione?

Cimone                         - (scuotendo il capo) Io sono dell'opi­nione che nelle guerre ha ragione chi vince.

Nicia                             -  Perciò in questo momento hanno ra­gione gli Spartani.

Cimone                         - Sfido, sono accampati quasi sotto le nostre mura!

Il Presentatore               -  Mentre due anni fa quando Alcibiade fu vittorioso, avevamo ragione noi.

Cimone                         - Naturalmente, Callicrate. Tant'è vero che proprio qui in questa piazza, su quel basa­mento gli innalzammo una statua...

Nicia                             -  ... che poi subito abbattemmo quando venne sconfitto...

Il Presentatore               -  ... e che più tardi, dopo una nuova vittoria, ci affrettammo a rialzare.

Nicia                             -  E adesso dov'è?

Il Presentatore               -  In un magazzino. Si aspetta l'esito della prossima battaglia.

Nicia                             -  Ma insomma, il motivo di questa guer­ra, si può sapere?

Il Presentatore               -  E' passato tanto tempo!  Ma se ben ricordo, deve essere questo: noi siamo un regime democratico, vale a dire che siamo liberi, rispettiamo l'altrui libertà e vogliamo, naturalmente, che sia rispettata la nostra. Spar­ta, invece, è uno stato autoritario, per meglio farmi capire, totalitario.

Nicia                             -  E vorrebbe imporre a" noi la sua schiavitù!

Il Presentatore               -  No, il contrario. Siamo noi che vogliamo imporre a loro la nostra libertà.

Callicrate                       - E perché la rifiutano?

Il Presentatore               -  Perché vogliono essere liberi di non volerla.

Callicrate                       - Cosicché, tutti e due combattia­mo per la libertà: noi per imporla, e loro per conservarla.

Il Presentatore               -  Precisamente.

Cimone                         - E tutti e due, perciò siamo dalla parte della ragione.

Il Presentatore               -  Così sembra anche a me.

Cimone                         - E così stando le cose, non ci si po­trebbe mettere d'accordo?

Il Presentatore               -  Difatti, sarebbe tutt'altro che impossibile, anche perché siamo tutti stanchi, e non c'è casa che non abbia la sua benda nera sulla porta.

Cimone                         - E allora?

Il Presentatore               -  Dimentichi Alcibiade.

Cimone                         - Cosa vuole Alcibiade?

Il Presentatore               -  (indicando il piedestallo) Vuol vedere di nuovo la sua statua là sopra.

Nicia                             -  Ma non muore mai questo Alcibiade?

Il Presentatore               -  (alzando le spalle) Se anche morisse ne verrebbe un altro ugualmente desi­deroso di prendere posto su quel piedestallo. (Rassegnato) E' inutile. Fin che ci saranno scultori, ci saranno guerre.

Cimone                         - Sai che ti dico? Che sono convinto che se comandassero le donne...

Il Presentatore               -  (al pubblico) E' appunto quello che un giorno immaginò Aristofane. Cer­to, sapete tutti l'idea che improvvisamente ven­ne in mente a Lisistrata. Tutte le donne mettersi d'accordo e dire agli uomini: « O voi fate la pace, oppure noi... ». Bisogna dire che con que­sta trovata il nostro commediografo fece molto ridere, ma si attirò anche molte critiche. Ad alcuni parve volgare, ad altri oltraggioso per le donne. Ma a torto, secondo me. Direi anzi che omaggio più grande alla donna non si sarebbe potuto rendere. Sì, perché nella commedia di Aristofane non c'è la donna che entra nella vita politica rubando il mestiere agli uomini e scim­miottandoli, come hanno sempre fatto le donne in Parlamento - e come sempre faranno -ma la donna che, custode della famiglia, inna­morata del proprio marito, gelosa della vita dei propri figli, impone agli uomini la pace; valendosi del mezzo più femminile che si possa immaginare... (Intanto mentre il Presentatore pronuncia le ultime parole, viene avanti e si) ferma presso di lui Rondinella, una donna' ancor giovane, atticciata e piacente, tutta ardore, tutta impeto, non priva della simpatica' volgarità propria delle popolane quando sono vive e intelligenti) Vedete? Questa è Rondinella che io chiamerei, in un certo senso, il sergente' maggiore di Lisistrata. Lisistrata la mente, Ron­dinella il braccio.

Rondinella                    - E quanto ha dovuto faticare questo braccio per radunare tutte le donne e trascinarle qui per il giuramento ai piedi della! statua di Diana...

Il Presentatore               -  (al pubblico) Già, Diana è lai Dea della castità, e quella statua di legno   (la indica) non è opera d'uomo: l'hanno portata £ un giorno, in volo, gli Dei, e deposta qui. (Al Rondinella) Come per ispirare Lisistrata, noni ti pare?

Rondinella                    - Ne sono certa. Solo gli Dei potevano accenderle nella mente un'idea simile. L'importante, ora, è vedere come le donne la prenderanno.

Il Presentatore               -  Non sanno niente?

Rondinella                    -  Sanno solo che Lisistrata ha trovato il modo infallibile di porre fine alla I guerra.

Il Presentatore               -  Ma non quale modo.

Rondinella                    -  Se lo sapessero, credi che sarebbero venute con tanto entusiasmo da tutte lei parti della Grecia: da Corinto, da Delo, da Coreira, da Megara, da Pilo, da Sfacceria, dalla stessa Sparta? (Pausa) Ma Lisistrata, ne sono certa, riuscirà a persuaderle. E' riuscita, pensa, a persuadere me che da tre anni attendo il mio Licone, e, proprio alla vigilia del suo ritorno, io, Rondinella, la sua rondinella innamorata che per tre anni tutte le notti, non una di meno, ha sognato d'essere nelle sue braccia, faccio il giuramento più terribile che una donna, gio­vane o vecchia, bella o brutta, possa fare: ri­nunciare all'amore! (Torcendosi le mani) lo rinuncio a Licone, capisci? Licone domani sarà qui con le truppe in licenza e noi donne saremo lassù (indicando), sull'Acropoli, inaccessibili come le sue mura. Tu lo conosci Licone? E' un I pezzo d'uomo, il doppio, il triplo di te. Quando ti stringe fra le braccia, ti spezza, t'annienta, ti riduce in briciole (pausa) e io sono tre anni che non vengo ridotta in briciole. (Pausa) Ep­pure, purché la guerra finisca, faccio anche questo sacrificio. Licone bisogna vederlo per capire che cos'è. Non c'è uomo che gli possa stare a paragone. I sogni che io faccio di lui tutte le notti durano quanto, nel tempo felice della sua presenza, durava la realtà. E' per questo che cominciano al tramonto e non fini­scono che all'alba... (Pausa)... Lo conoscerete... Ma ecco che arrivano, e io debbo ordinarle e prepararle per il giuramento. Ce n'è una per ogni città, le altre saranno qui più tardi, e tutte in massa occuperemo la cittadella. (Rivolgen­dosi con tono caporalesco alle donne che giun­gono da destra) Tutte in cerchio, voi, e devo­tamente raccolte intorno alla statua di Diana. (A una donna che fa un gesto come per inter­rogarla) ... E che nessuno mi rivolga domande, perché io non so niente, io non faccio che ese­guire gli ordini della mia padrona Lisistrata, la donna che salverà la Grecia restituendole la pace e la felicità. Rendete omaggio di fiori alla statua... E tu, giovane sposa, qual è il tuo nome?

Ambrosia                      - (una bellissima languida giovane le cui forme procaci la tunica stretta alla vita da una cintura d'oro pone in particolare risalto) Ambrosia.

Rondinella                    -  Tu allora, Ambrosia, dolce sposa dal dolcissimo nome, riempi di vino profumato la tazza sulla quale tutte le mani si poseranno per il giuramento. (Ambrosia versa il vino da un orcio in un'ampia tazza di bronzo che due donne sorreggono e poi, piena, depongono ai piedi della statua. Intanto fra le colonne del tempio, al sommo della gradinata, appare Lisistrata. E' donna cui sembra che naturalmente s'addica il comando, senza che la dignità e l'au­torità che traspaiono dal suo volto e dal suo portamento tolgano nulla di morbidezza e d'incanto. Niente in lei che denunci la femminista o la suffragetta. Niente che in lei riveli facile il grave sacrificio cui s'appresta a indurre le altre donne. E' uno scopo superiore che l'anima e la ispira. Le donne, nel vederla, fanno per muoverle incontro. Ella con un gesto lieve im­pone loro di rimanere dove sono e di tacere. Il Presentatore, intanto, discretamente si ap­parta a sinistra mentre i suoi interlocutori escono).

Lisistrata                       - (dolcemente, quasi a bassa voce) Io vi ringrazio, amiche, sorelle di tutta la Gre­cia, d'aver risposto al mio appello. Povere ami­che, povere sorelle, unite nel buio dello stesso dolore e, di tratto in tratto, nella luce della stessa speranza. Ma è una luce, ormai, come quella di un lucignolo cui manchi l'olio: trema, vacilla, sta per spegnersi, e presto la speranza della pace sarà morta dentro di noi. Da quanti anni le nostre città sono in guerra?

Callizia                          - Da troppi!

 Melissa                         - Da sempre!  

Mirrina                          - Da un'eternità!

Lisistrata                       - Avete aperto gli occhi alla vita, e c'era la guerra che teneva lontano vostro pa­dre. Siete spose, siete madri, e c'è la guerra che tiene lontani i vostri mariti e i vostri figli, quando non ve li uccide. La famiglia non è che un nome, la casa non ha più tetto, il tempio non ha più altari, e le sue colonne sono spezzate. E' vivere questo, o non, piuttosto, morire giorno per giorno? Morire a tutte le speranze, alla serenità, agli effetti, all'amore...

Rondinella                    -  Da sì, Lisistrata, che siamo morte all'amore!  Sono tre anni che non vedo Licone!  (Alle donne) Voi lo conoscete, vero, il mio Licone ?

Callizia                          - E tu lo conosci il mio Creonte?

Elena                             - E il mio, Liosippo, voi lo conoscete? Sono quattr'anni, amiche, che ne attendo in­vano il ritorno.

Lisistrata                       - Ed altri quattr'anni, e poi altri quattro ancora, lo aspetterai invano, se non cerchiamo di porre fine alla guerra.

Mirrina                          - Chi, porre fine alla guerra? Noi donne?

Lisistrata                       - Certamente. Noi donne!  

Callizia                          - Mi meraviglio di te, Lisistrata, che pure sei così saggia. Ma che cosa vuoi che si possa fare, noi donne, se non, come dicono i nostri mariti, la calzetta, la minestra e allattare i figli? Ecco a che cosa siamo buone!

Melania                         - Non è vero. Sono appunto i nostri mariti che dicono così, per tenerci in disparte e impedirci di giudicare le loro bestialità. Alla minima osservazione, alla minima critica: « Tu bada al telaio! ».

Mirrina                          - «Tu va' in cucina! ».

Corinna                         - « Tu parla solo delle cose di cui t'intendi ».

Melissa                          - Come se loro s'intendessero di tut­to! Il bello è che non s'intendono di niente.

Melania                         - Sono ingenui come bambini, ecco che cosa sono!

Melissa                          - Bambini presuntuosi nelle mani di pochi furbi che li manovrano come vogliono.

Mirrina                          - Marionette nelle mani dei mercanti di corazze, degli uomini politici, dei generali ambiziosi..., voi non sapete quanti morti ci costi l'ostinazione con cui Alcibiade va alla ricerca d'un successo personale per la sua gloria perso­nale. Basta con le guerre!

Lisistrata                       - Appunto, Mirrina. Noi dobbiamo costringere gli uomini a far la pace, e, se sa­remo tutte unite e d'accordo, e soprattutto se mi ubbidirete, riusciremo nel nostro intento. Solo gli uomini s'intendono di guerra? Sia pure. Però è anche vero che solo noi donne c'inten­diamo di pace, e v'assicuro che purché voi vi facciate guidare da me, la sapremo imporre.

Callizia                          - Ma ragiona, Lisistrata!  Imporre che cosa? Noi povere donne buone solo, se ci si pensa bene, a fare quella faccenda?

Lisistrata                       - E' proprio di quella faccenda, amiche, che volevo parlarvi.

Rondinella                    - (tra sé) Che gli Dei t'aiutino, mia povera Lisistrata!

Lisistrata                       - Amiche, volete davvero la pace?

Tutte                             - Sì che la vogliamo!

Lisistrata                       - Volete, spose, non rimanere più separate dai vostri mariti, madri non più tre­mare per la sorte dei vostri figli, donne tutte avere finalmente il vostro focolare e vivere le ore serene che non avete mai vissuto? E che nessuna volontà al di fuori di quella degli Dei, tolga alla sposa, nel giorno stesso delle nozze, l'uomo lungamente desiderato, ma che neppure ancora l'aveva sfiorata se non con lo sguardo? Avete qui fra voi l'esempio di Leontina, la sposa fanciulla, la sposa intatta (indica una giovane vestita del candido velo da sposa, inghirlandata di fiori) che da oltre un anno attende il ritorno dello sposo rubatole sull'altare, e i fiori della ghirlanda, nell'attesa, le si sono appassiti sul capo... (A Leontina) Racconta, Leontina, vedova del più vivo e del più bello fra i mariti...

Rondinella                    -  Il più bello è il mio!

Lisistrata                       - Rondinella, sono tutti belli i ma­riti lontani. (A Leontina) Racconta che cosa t'avvenne sui gradini dell'altare.

Leontina                        - (con soave, pudica voce) M'avven­ne che io ero inginocchiata, e il rito stava com­piendosi, e Nereo, il mio sposo, non aveva an­cora lasciato, dopo la dolce stretta, la mia mano tremante, che subito i suoi compagni soprag­giunsero e lo trascinarono in guerra senza dar­gli il tempo di suggellare con un bacio il giura­mento che c'eravamo scambiati. Ambrosia - Cosicché tu non conosci l'amore.

Leontina                        - Io no. Ne giunsi solo sulla soglia.

Rondinella                    -  In fondo, allora, nulla ti fu tolto. Te beata, Leontina. Assai, assai peggio è per noi, credi, che lo gustammo. (A tutte le donne) Conoscete il mio Licone?

Lisistrata                       - (in tono di rimprovero) Silenzio, Rondinella. Non sei tu l'unica. Ogni donna ha il suo Licone. O lo aveva. (A tutte le donne) Ebbene, amiche, se volete che mai più nessuna donna debba piangere, che mai più nessuna ghirlanda debba ingiallire sul capo delle giovani spose, ascoltatemi. Il nostro esercito, dopo la vittoriosa sortita che ha costretto gli Spartani a togliere l'assedio, è a Cizico, a due giornate di marcia dalla città. Dall'alto dell'Acropoli quasi si scorge il luccichio delle armi. I vostri amanti sono così vicini...

Corinna                         - Perché non dici « i nostri », Lisistrata?

Lisistrata                       - (mestamente) Perché io non ho nessuno... Sono così vicini che se moveste loro incontro, e loro incontro a voi, già domani, prima di notte, potreste incontrarvi. Già do­mani, prima di notte, Rondinella, potresti essere tra le braccia del tuo Licone.

Rondinella                    - (guerrescamente) E allora sii vada, si marci!

Lisistrata                       - No, noi non muoveremo un passo. Rimarremo in città. Non solo, ma quand'essi arriveranno noi non ci saremo. Troveranno la città deserta. (Momento di stupore) Vengono, voi lo sapete, per il riposo concesso dalla tregua. Poi di nuovo riprenderanno la via verso quella morte sino ad oggi miracolosamente evitata. (Pausa) Vogliamo, amiche, che riprendano la via della morte, o che la tregua si prolunghi, non solo, ma si tramuti in un ritorno definitivo?

Voci                              - Sì, Lisistrata, la pace, la pace!  

Lisistrata                       - E allora, se è vero che volete la pace, è necessario che trovino le case deserte e, quando, colmi dei desideri accumulati du­rante tanti anni di assenza, giungeranno con gli occhi accesi in questa piazza, sapete dove ci troveranno? (Indicando) Lassù, in cima alle mura inaccessibili dell'Acropoli, che noi occuperemo subito dopo il giuramento.

Melissa                          - Dobbiamo giurare che cosa?

Lisistrata                       - Aspetta. (Pausa) Giunti sotto lei mura, chiameranno, grideranno, imploreranno, faranno di tutto perché noi si scenda...

Mirrina                          - E noi scenderemo, non è vero, Lisistrata?

Lisistrata                       - No, noi non scenderemo.

Mirrina                          - E se tenteranno la scalata?

Lisistrata                       - Dovrebbero mutarsi in aquile, Non potranno.

Mirrina                          - E quando chiameranno... perché chiameranno, no?

Rondinella                    - (con entusiasmo) Certo che chia­meranno!

Mirrina                          - (a Lisistrata) Potremo rispondere?

Lisistrata                       - Sì, ma (indicando l'Acropoli) di lassù. E chiaramente diremo loro che niente j potranno sperare da noi fino a che non avranno deposto le armi e restituito la pace alla Grecia martoriata. (Un lungo silenzio segue alle parole di Lisistrata. Ogni entusiasmo si è spento).

Leontina                        - (nel silenzio, soave) E il mio  Nereo?

Lisistrata                       - Faccia la pace e potrà salire.

 

Rondinella                    -  E il mio Licone?

Lisistrata                       - Faccia la pace, e gli sarà aperto.

Corinna                         - E se gli uomini si rifiutano catego­ricamente di deporre le armi, noi dobbiamo perseverare nel nostro atteggiamento?

Lisistrata                       - Certo, Corinna.

Mirrina                          - Anche per mesi?

Lisistrata                       - Anche per mesi.

Mirrina                          - Anche per anni?

Lisistrata                       - Anche per anni. (Lungo doloroso silenzio. Poi tutte, meno Rondinella)

Tutte                             - Viva la guerra!

Lisistrata                       - (sprezzante, ed ogni sua parola è una staffilata) Allora, dunque è vero ciò che di noi dicono gli uomini: che siamo poveri stupidi esseri, buoni solo a stare in cucina e a far quella faccenda. (A Rondinella) E tu, Rondi­nella, che le avevi garantite disposte a tutto: anche tu, adesso, vacilli. Anche per te il sacri­ficio è troppo grave!

Rondinella                    - (eroicamente) No, Lisistrata! Io non ritiro la mia promessa. Io son disposta, t'ho detto, a rinunciare anche per sempre al mio Licone perché sia fatta la pace!  

Lisistrata                       - La pace, sì. Quella pace, amiche, che dobbiamo a tutti i costi ottenere se vo­gliamo garantire un avvenire sereno ai nostri figli... (Tornando sprezzante) Ma, già, i vostri figli, voi per il piacere, li dimenticate... (Indi­candole) Guardatele lì, non una che si muova, non una che parli. Non una tra voi il cui animo si levi alla nobiltà e all'eroismo della rinuncia!  

Lesbia                           - (avanzando verso Lisistrata e tenendo stretta alla vita una sua dolce compagna) Non è vero, Lisistrata. Noi due siamo con te.

Lisistrata                       - Chi siete?

Lesbia                           - Siamo Lesbia e Rugiadina. (Pausa) Su di noi puoi contare.

Melissa                          - (sprezzante) Bell'eroismo!

Rugiadina                     - Siamo pronte a giurare...

Mirrina                          - E' perché non rischiano niente!  Noi, invece, se giuriamo...

Rondinella                    - (avanzando verso Lisistrata) Eb­bene, io che non sono Lesbia, io che non sono Rugiadina, io che ho il mio Licone a una sola giornata di marcia, ebbene io sono disposta a giurare. E voi pure, compagne mie, dovete giu­rare. Né anni né mesi, vedrete, durerà il sacri­ficio, e se è vero che noi non possiamo stare senza gli uomini, neppure gli uomini possono stare senza di noi. Conosco Licone. Giurate, amiche. Pochi giorni, e sarà la pace. E allora ce li godremo per sempre questi nostri cari ometti, che qualche volta, ricordate?, quando li avevamo in casa, li trattavamo male, e c'è tra noi, forse chi faceva loro persino dei torti... se avremo la forza, adesso, di rinunciare, potremo goderceli, cullarceli, coccolarceli per sempre, capite? (Così dicendo si mescola, incitandole, alle donne e le scuote, le infervora) Presto, Li­sistrata, che siamo tutte pronte, tutte disposte a giurare, non è vero, amiche? (Esortandole ad una ad una) Non è vero, Mirrina? Non è vero, Melissa? Callizia, Elena, Corinna, Am­brosia...

Corinna                         - E giuriamo pure se proprio lo vo­lete. Ma riflettiamo un momento. (A Lisistrata) Che importanza avrà il nostro giuramento se gli uomini, respinti da noi, potranno tranquil­lamente andarsene dalle cortigiane? (Tutte tac­ciono colpite dall'osservazione) Non è così?

Lisistrata                       - (sorridendo) Certo, le cortigiane sono pericolose.

Corinna                         - Non aspettano altro!  

Mirrina                          - Sono già pronte nei loro bei letti profumati...

Corinna                         - Già spogliate.

Mirrina                          - E noi sull'Acropoli!  

Corinna                         - (a Lisistrata) Non è così?

Lisistrata                       - (sorridendo) Sarebbe così se... (Le indica mentre sopravvengono) Brava Aspa­sia, puntuale e fedele. (A tutte le donne) Ami­che, anche le cortigiane presteranno il giura­mento! (Giungono due servi con una lettiga dalla quale scende la bellissima Aspasia, volut­tuosamente e riccamente vestita. La seguono altre cortigiane che vorrebbero unirsi alle don­ne, ma queste benché con una certa discrezione si ritraggono per mantenere le distanze).

Corinna                         - Non possiamo fidarci!

Lisistrata                       - (fa cenno alle donne perché ascol­tino quanto dirà) Aspasia, sai tu quale so­lenne impegno io chiedo a tutte le donne?

Aspasia                         - Sì, Lisistrata.

Lisistrata                       - Ne hai misurato tutta l'impor­tanza?

Aspasia                         - Sì, Lisistrata.

Lisistrata                       - E vi sentite di votarvi a tanto sacrificio oppure, incerte, esitanti, mi direte, come c'è chi mi dice: « No, Lisistrata, abbiamo ancora bisogno di riflettere ». Oppure addirit­tura: « No, Lisistrata. La guerra continui. Noi non ci sentiamo capaci di tanta rinuncia »?

Aspasia                         - (nobilmente) Né esitazioni, né rim­pianti. Siamo pronte a giurare, e soprattutto a mantenere ciò che avremo giurato. Le cortigiane non hanno che una parola.

Melissa                          - Chi ce lo garantisce?

Aspasia                         - Il nostro interesse. Noi viviamo su­gli uomini.

Corinna                         - Sui nostri mariti!

Aspasia                         - Soprattutto su quelli. La guerra ce li porta via.

Melissa                          - Li porta via anche a noi privandoci dell'amore!

Aspasia                         - Noi, però, ci priva del pane, ch'è più importante. (A Lisistrata) Fidati più di noi che di loro, Lisistrata!

Lisistrata                       - Mi fiderò di tutte!  Giuriamo!  

Rondinella                    -  Sì, Lisistrata, giuriamo!  Leva in alto la tazza colma di vino!

Lisistrata                       - (lentamente passando fra le donne ormai dominate e avviandosi verso la tazza posta ai piedi della statua) Noi non arrosse­remo il nostro giuramento con sacrifici cruenti. Altro sangue, d'ora in poi, non dovrà essere versato se non quello profumato e dolce della pacifica vite. (Prende la tazza e reggendola con ambo le mani la leva in alto mentre le donne, sollecitate da Rondinella le si dispongono in­torno a cerchio tranne le cortigiane che riman­gono in seconda fila) Toccate tutte con la mano l'orlo della tazza... (le donne eseguiscono) ed una di voi, per tutte, si inginocchi dinanzi alla sacra immagine della Dea della castità... (Ron­dinella si inginocchia) Tu, Rondinella, che, ri­nunciando a Licone, superi nel sacrificio tutte le altre... e ripeta parola per parola, e la sua voce non tremi, ciò che sto per dire: « Non sarà mai, fino a che il sole della pace non ri­splenderà sulle rovine della Grecia...

Rondinella                    -  « Non sarà mai fino a che il sole della pace non risplenderà sulle rovine della Grecia...

Lisistrata                       - ... che io permetta ad un uomo...

Rondinella                    - (con voce molto sommessa) ... ch'io permetta ad un uomo...

Lisistrata                       - Forte!

Rondinella                    - (alzando la voce) ... ch'io per­metta ad un uomo...

Lisistrata                       - ...amante, marito, corteggiatore che sia...

Rondinella                    -  Anche solo corteggiatore?

Lisistrata                       - Anche solo corteggiatore

Rondinella                    -  ... amante, marito, corteggiatore che sia...

Lisistrata                       - ... non dico di prendere piacere del mio corpo...

Rondinella                    - (atterrita) ... non dico di prendere piacere del mio corpo...

Lisistrata                       - ... ma anche solo...

Rondinella                    - (guardando Lisistrata con lo spa­vento di chi si aspetta il colpo di grazia) ... ma anche solo...

Lisistrata                       - ... di rivolgermi una parola...

Rondinella                    -  ... di rivolgermi una parola...

Lisistrata                       - ... o di guardarmi...

 

Rondinella                    -  Anche solo di guardarmi?

Lisistrata                       - (dura come non avesse sentito) ... O di guardarmi...

Rondinella                    - (vinta) ...o di guardarmi...

Lisistrata                       - Ti giuro, Diana...

Rondinella                    - (levando il viso verso la statua) Ti giuro. Diana...

Lisistrata                       - ... che vivrò in assoluta castità...

Rondinella                    -  ... che vivrò in assoluta...

Mirrina                          - (interrompendola) Rondinella, fer­mati!  ( Un lunghissimo silenzio, poi finalmente dopo aver guardato come per prendere consi­glio o coraggio le altre donne, che però non osano ricambiare lo sguardo)

Rondinella                    -  ... che vivrò in assoluta castità... (E subito si accascia ai piedi della statua come svuotata di ogni energia).

Lisistrata                       - ... sino al giorno della firma della pace ».

Rondinella                    - (tutto d'un fiato) ….sino al giorno della firma della pace ».

Lisistrata                       - Lo giurate voi tutte?

Le Cortigiane                - (immediatamente) Lo giuriamo!

Le Donne                      - (lunga pausa, poi debolmente) Lo giuriamo! (Mentre Lisistrata continua ancora per un poco a tener sollevata la tazza, le donne lascian cadere come estenuate il braccio e ri­mangono immobili a capo chino sotto il peso schiacciante della temibile promessa. Solo le cortigiane rimangono col braccio levato, in fer­mo, fiero atteggiamento. Lisistrata, intervenen­do, dopo aver deposto la tazza ai piedi della statua, prontamente ed energicamente)

Lisistrata                       - Ora basta, avete giurato e dovete mantenere. (Intanto Rondinella si è levata, ha ripreso forza e si appresta ad eseguire gli ordini di Lisistrata con aria fra la martire e l'eroina. Guardando Lisistrata come per prenderne coraggio) Tu, Rondinella, inquadrale (Rondi­nella esegue) e con l'aiuto di Diana nostra protettrice, si proceda all'occupazione dell'Acro­poli. (Si va a porre presso la porta che ai piedi delle mura, dà sulla scala che conduce all'Acro­poli) Avanti!  E' incominciata la guerra, amiche. Ma la guerra più nobile, e più santa che ci sia... (Intanto mentre parla, le donne continuano ad esitare. Allora Rondinella fa un cenno alle cortigiane che, con passo deciso, muovono verso la porta: ferite nell'amor proprio le donne si precipitano e, superate le cortigiane proprio a un passo dalla soglia, le scansano e passano per prime. Indi entrano le cortigiane e Rondinella chiude la marcia) La guerra per la pace!  (Dall'alto delle mura si levano squilli dì trombe. Uscita Rondinella, anche Lisistrata varca la soglia, mentre il Presentatore, fino ad ora tenu­tosi in disparte, seduto su un troncone di co­lonna si leva ed avanza verso il pubblico al centro della ribalta. Cessano gli squilli).

ATTO PRIMO

Il Presentatore               -  La guerra, dunque, è inco­minciata. Sarà una guerra dura, difficile, non tanto per la forza del nemico, quanto per la debolezza di chi deve combatterla. Non ci vuol molto, naturalmente, a capire che il problema più grave sarà quello della disciplina, ma Lisistrata, donna avveduta, ha pensato a tutto. Ha trovato un mezzo, anzi, che farà appunto d'ogni donna lo strumento della propria disciplina. Ogni donna, lassù nell'Acropoli, ha nella propria cella una campana. Tutte le volte che si sentirà presa da desideri, da tentazioni, tutte le volte che, incapace di sostenere da sola il peso della troppo grave promessa, sentirà l'irresistibile bi­sogno di passare al nemico, non avrà, per avere aiuto e conforto, che da sonar la campana. Allora subito alcune compagne accorreranno per cal­marla, per distrarla, per richiamarla al senso del dovere, e intanto le altre subito si raduneranno intorno alla statua di Diana - lassù ce n'è un'altra come questa, di bronzo - e preghe­ranno per la poveretta. Se si riuscirà con l'esor­tazione e la preghiera a restituirle la serenità, bene. Se no, la chiuderanno in cella e ve la terranno fino a che la crisi non sarà passata. (Un breve silenzio, poi, alto, a martello, echeg­gia il suono d'una campana) Sentite!  La guerra è incominciata.

QUADRO PRIMO

La sommità dell'Acropoli. Come la terrazza d'una fortezza. In fondo e a destra se ne vede il parapetto rotto, a lunghi intervalli, da vuoti che rammentano i merli delle torri. A metà tra il fondo e la ribalta, verso sinistra, la bocca di una ampia botola quadrata che mette in comu­nicazione la terrazza con i piani inferiori. Sulla stessa linea, verso destra, la statua di Diana. E' una copia di bronzo, di quella che è nella piazza sottostante. Sul parapetto di destra, ap­pesa ad un altro sostegno, una grossa campana da cui pende una fune. Qua e là ricavati dal para­petto in primo piano, sedili di pietra. Notte. Cielo stellato; lanterne illuminano qua e là. Su un sedile, più sdraiata che seduta, Rondinella al cui fianco è una lancia. Presso il sedile un braciere. Ai piedi della statua due donne ingi­nocchiate pregano.

Callizia                          - Noi ti preghiamo, Diana, noi ti scongiuriamo. « Pura come l'aria della più lim­pida notte d'inverno, gelida come la luce della luna... ».

Elena                             - (ripetendo in tono giaculatorio) ... pura come l'aria della più limpida notte d'in­verno, gelida come la luce della luna...

Callizia                          - ... riporta la serenità nella mente sconvolta della nostra povera compagna costret­ta a sonar la campana, modera con la carezza delle tue fredde dita il fuoco dei suoi desideri, placa i suoi sensi, soffoca le sue tentazioni...

Elena                             - (c. s.) ...placa i suoi sensi, soffoca le sue tentazioni...

Callizia                          - ... e proteggi, conforta, aiuta anche noi impegnate come lei nella durissima prova ».

Rondinella                    - (mezza addormentata) Smette­tela, ragazze. Ho sonno. Non vi sembra di aver pregato abbastanza?

Callizia                          - Io ti dico, Rondinella, che per quan­te preghiere potremo rivolgere agli Dei, esse non saranno mai sufficienti. (Tornando a pre­gare) «Pura come l'aria della più limpida notte d'inverno, gelida come la luce... ». (La preghiera le si tronca sulle labbra per l'improvviso erom­pere chiassoso dalla botola di Mirrina e Melissa seguite ciascuna da una cortigiana che cerca d'afferrarla per le braccia e riportarla giù. Tanto Mirrina che Melissa, se pure ancora piacenti, hanno da tempo lasciato dietro le proprie spalle il tempo della giovinezza).

Mirrina                          - (alla cortigiana che la insegue) Lasciami. Non voglio che le tue sporche mani mi tocchino!

Melissa                          - (alla cortigiana che la tiene per la tunica) Scostati! Fra me e te ci deve essere la distanza che separa le donne per bene da quelle senza onore!

La Prima Cortigiana      - Qui siamo tutte uguali. Abbiamo prestato lo stesso giuramento. Io ese­guo gli ordini di Lisistrata!

Rondinella                    - (scattando in piedi, mentre anche le due donne che pregavano si sono levate e si avvicinano alle contendenti) Cos'è questo pandemonio? Perché vi battete? Le cortigiane hanno ragione! Qui siamo tutte uguali: ci bat­tiamo tutte per la causa della pace.

La Prima Cortigiana      - (avventandosi su Mirrina) Hai sentito? Q torni giù con le buone o ti trascino in cella!

Rondinella                    - (separandole. Alla cortigiana) Lasciala!

Melissa                          - Giù le mani!

Mirrina                          - Non voglio che mi si usi violenza!

La Prima Cortigiana      - Vorresti, invece, ma che fosse qualcun altro!

La Seconda Cortigiana - (a Melissa) Ti farò passare i furori, vecchia matta!

Rondinella                    -  Parlate una alla volta! (Alla pri­ma cortigiana) Tu, cos'hai da dire?

La Prima Cortigiana      - (indicando Melissa) L'ho sorpresa mentre tentava di calarsi dalle mura con una corda fatta di lenzuola.

Melissa                          - (abbassando il capo) Ho lasciato a casa i bambini incustoditi. Andavo a vedere che cosa facevano.

La Prima Cortigiana      - E' una scusa! E' la scusa di tutte!  Chi vuole andare a vedere i bam­bini, chi s'è dimenticata di chiudere gli armadi, chi ha lasciato la minestra sul fuoco. Non c'è una finestra dalla quale non penda una corda. Se non ci fossimo noi, cortigiane, l'Acropoli si svuoterebbe tutta in una notte!  

Rondinella                    - (alla seconda cortigiana) E tu?

La Seconda Cortigiana - (indicando Mirrina) La bella donna...

Mirrina                          - (scattando) Non voglio che tu mi dica: « la bella donna » ironicamente!  

La Seconda Cortigiana - Come vuoi che te lo dica?

Mirrina                          - (piangendo) E' una cattiveria pren­dermi in giro così.

Rondinella                    - (facendo segno alla cortigiana di non canzonarla) Che cosa faceva?

La Seconda Cortigiana - Era scesa giù fino alla porta con una grossa pancia. Voleva dare ad intendere alla sentinella d'essere incinta e d'ave­re urgente bisogno d'un medico.

Rondinella                    - (a Mirrina) Incinta? Ma se ieri sera non lo eri.

Mirrina                          - Lo ero stanotte!  

La Seconda Cortigiana - Era incinta d'un cu­scino. Gliel'ho tolto, l'ho riportata indietro, mi si è ribellata... Non è così che si serve la causa della pace.

Rondinella                    - (a Mirrina) E' vero?

Mirrina                          - Vero o no, è una vergogna che noi donne per bene si debba essere trattate a que­sto modo, sorvegliate dalle cortigiane! Noi spose, noi madri!

Elena                             - Si sono sovvertiti tutti i -valori spi­rituali!

Mirrina                          - Non c'è più religione!

Elena                             - Ha ragione Mirrina! Lei può essere in torto, non dico di no e meritare anche il massimo dei castighi, ma a castigarla non de­vono essere le cortigiane.

Melissa                          - Non ne hanno il diritto!  

Mirrina                          - Sappiamo guardarci da noi!  

Rondinella                    -  Ahimé!  I fatti dicono di no, Mir­rina, che non sappiamo guardarci da noi. Ad ogni modo, questo è l'ordine di Lisistrata, e non potete discuterlo.

Callizia                          - Lo dici tu, Rondinella! Possiamo discuterlo invece se è ingiusto, e pretendere che venga cambiato con un altro che contempli la disciplina con la nostra dignità. E' iniquo, è mostruoso che noi donne virtuose siamo prigioniere delle cortigiane!  Dinanzi ad ogni porta, dinanzi ad ogni uscita, ce n'è una per sentinella! Siamo continuamente sorvegliate, spiate, seguite. Venga pure Lisistrata. Avrò il coraggio di spiattellarle in faccia il fatto suo!  

Rondinella                    - (ironica) Sì, brava. E che cosai le dirai, Callizia?

Callizia                          - Che cosa le dirò? Le dirò che se non si fida di noi, bene, non si fidi, ma vogliamo essere sorvegliate dalle pari nostre!

Lisistrata                       - (emergendo dalla botola) E tu! credi, Callizia, ch'io non sia la prima a dolermi? di aver dovuto disporre così? Avrei ben voluto» disporre nel modo che tu dici, ma le pari vostre, purtroppo, s'io le incaricassi della sorveglianza, non tarderebbero a seguire nella fuga le sorvegliate.

Mirrina                          - Tu ti fidi più di loro che di noi.

Lisistrata                       - Mirrina, quanti anni hai?

Mirrina                          - Forse ho passato i trentacinque.

Lisistrata                       - Perciò certamente ti sei da molto tempo lasciata indietro i quaranta. E tu, Melissa, non hai forse la sua stessa età?

Melissa                          - Dicono. (Con voce tremante) Siamo vecchie?

Lisistrata                       - (dolcemente) Oh, non vecchie. Ma è l'età, la vostra, che ha più bisogno di sorve­glianza. Credete che io ve ne faccia una colpa? E' così breve, amiche mie, la giornata di noi donne! La giovinezza, la divina giovinezza,! quanto dura? Non più di quanto duri un po' di neve tenuta stretta fra le dita e subito, quando non ne abbiamo ancora goduta tutta la freschezza, già viene l'età in cui si trema per il terrore che ogni piacere possa essere l'ultimo., Avete insieme sul volto ancora la luce della giovinezza, e già le tenebre della vecchiaia. (Pausa) Posso perciò fare a te, Melissa, una colpa del tuo tentativo di evasione, e a te, Mirrina, del trucco d'essere mamma d'un cuscino? Il ritorno degli uomini è prossimo, e voi corre­vate dietro la vostra ultima speranza. (Pausa) Chi volete che metta a sorvegliarvi? Le vostre coetanee? O le più giovani, quelle cioè che temono di consumare inutilmente nell'Acropoli gli anni che voi, almeno, avete bene spesi? (Pausa) Ecco perché son dovuta ricorrere alle cortigiane. Si battono per la pagnotta, che di tutti gli ideali di questo mondo continua, da secoli, ad essere il più alto. (Pausa) Continuate a sentirvi umiliate?

Mirrina                          - No, ci hai persuase.

Aspasia                         - (accennando a Mirrina) Debbo con­durla in cella?

Lisistrata                       - No, è tornata serena. Possiamo rimanere qui tranquille, confidando nella bontà della nostra causa. (Vedendo Callizia che torna ad inginocchiarsi davanti alla statua di Arte­mide) Preghi sempre, Callizia? (Accanto a Cal­lizia si inginocchiano anche Melania ed Elena) Pregate sempre?

Callizia                          - La causa è buona, Lisistrata... ma il ritorno degli uomini è prossimo. Bisogna pre­gare. (Leva lo sguardo verso Diana e prega insieme ad Elena e Melania) « Pura come l'aria della più limpida notte d'inverno, gelida come la luce della luna... ». (Di nuovo la preghiera s'interrompe di colpo. Improvvisi squilli di tromba vengono dalla città e si ode, pesante e cadenzato, il rimbombo del passo degli armati. Le tre oranti si levano in piedi di scatto e si pongono in ascolto. Così in preda a viva com­mozione fanno le altre, trattenendo il respiro. Impassibili rimangono solo le due cortigiane. Rondinella agitata si precipita verso il para­petto. Dalla botola sbuca, come spiritata, Co­rinna, seguita poi da Leontina, sempre vestita da sposa e da Ambrosia).

Mirrina                          - (correndo verso il parapetto grida) Gli uomini! (Tutte corrono verso il parapetto).

Elena                             - (c. s.) I nostri uomini che tornano! (Continua, ingigantito dal silenzio della notte, il rimbombo del passo militare).

Callizia                          - (come in estasi) Creonte!

Corinna                         - Lisippo!

Elena                             - (a Mirrina) E tu non hai nessuno da chiamare? (Mirrina china la testa).

Melania                         - (a Melissa) E tu neppure? (Melissa china anch'essa il capo).

Ambrosia                      - Timandro!

Lisistrata                       - (alle due cortigiane) Tiratele in­dietro! (Le due cortigiane eseguono, ma tro­vano resistenza) Mettetele in cella! (Le corti­giane mettono in cella tutte le donne. Ancora squilli di tromba, poi, lontana, una grossa, to­nante voce d'uomo)

Licone                           - Rondinella!  Dove sei, Rondinella!  

Rondinella                    -  Licone!  Lo sentite, donne, il mio Licone, il mio grande, il mio enorme Licone? (Chiamando) Licone, amore mio!

Licone                           - Rondinella, anima mia, dove sei?

Rondinella                    - (disperata, grida, rivolgendosi alle cortigiane) Mettetemi ai ferri!

 

Lisistrata                       - Non siete stanche? E' la seconda notte che passiamo vegliando. Non viene mai, per voi, l'ora di dormire?

Ambrosia                      - Dormire vuol dire sognare e i miei sogni, Lisistrata, non si addicono alla resisten­za. (Guardando il cielo) E' l'alba, guarda. L'ora più adatta all'amore e i nostri uomini sono qui giù a un passo da noi. Questa nostra guerra, Lisistrata, sarà continua oppure, come tutte le guerre, avrà delle tregue?

Lisistrata                       - Sarà continua.

Mirrina                          - E se ci assediano e ci prendono per fame?

Lisistrata                       - Abbiamo viveri per un anno.

Melissa                          - Potrebbero prenderci per sete.

Lisistrata                       - Da una roccia dell'Acropoli sgorga una fonte perenne.

Mirrina                          - Avveleniamola.

Ambrosia                      - Io credo che il nostro sacrificio sarà inutile. Sì, perché noi ragioniamo da donne, e per le donne l'amore è tutto. Ma per gli uomini no. Per gli uomini il sentimento più forte è quello dell'ambizione. Guardate Timan­dro, mio marito. Se avesse voluto, con l'autorità che ha, avrebbe potuto benissimo rimanersene a casa... Non so, farsi dare il comando della città... Invece no. (A Leontina che è sempre in piedi mentre tutte le altre, ad una ad una, si sono sedute) Il tuo, almeno, Leontina, è andato in guerra perché ve l'hanno costretto, addirit­tura strappandotelo dalle braccia. Il mio c'è voluto andar lui, e sapeste quel che ha brigato per avere il comando di un reparto di prima linea.

Lisistrata                       - Ti lamenti d'essere la moglie di un eroe?

Ambrosia                      - Non è un eroe. E' un ambizioso. Cerca di mettersi in vista per sostituire Al­cibiade.

Mirrina                          - Anche nella statua?

Ambrosia                      - Anche nella statua. Sapeste quante volte l'ho sorpreso, solo dinanzi allo specchio, a fare il monumento! (A Lisistrata) Credi a me, Lisistrata... Il nostro sacrificio sarà inutile.

Mirrina                          - (violentemente) Dice bene Ambro­sia. Noi stiamo ad ammuffire inutilmente illu­dendoci di piegare gli uomini alla nostra volontà e sperando nella riuscita di quale mezzo? Di un mezzo che finirà col rivolgersi contro noi stesse!  Noi usciremo di qui vecchie.

Rondinella                    -  Come se ci fossi entrata giovane!  

Mirrina                          - (cogli occhi fuori dal capo) Non devi dir così. Sono ancora una donna che piace!  Il tuo Licone, se vuoi saperlo, il tuo enorme Licone, mi faceva ogni tanto gli occhi dolci!  

Rondinella                    -  Svergognata! Bugiarda! (Vor­rebbe scagliarsi contro Mirrina ma Lisistrata la trattiene) Possa la guerra durare ancora dieci anni!

Mirrina                          - Sì, staremmo fresche!  Perché (guar­dandosi attorno) qui, se non sbaglio, tranne Leontina e poche altre, siamo tutte pressapoco dello stesso calibro. (Pausa) Noi usciremo di qui vecchie, vecchie da buttar via e gli uomini quando, fatta la pace, andremo loro incontro a braccia aperte, si faranno le matte risate!  E tutto questo, parliamoci francamente, - (indi­cando Lisistrata) per dare ascolto a lei. Per servire la sua ambizione!  Dicevamo degli uo­mini che per ambizione fanno la guerra. Ebbe­ne, tu, (a Lisistrata) per ambizione, vuoi il merito della pace, e col sacrificio nostro, solo nostro, perché tu sei di pietra, sei di ghiaccio, non hai né cuore né quell'altra cosa che non voglio dire per riguardo all'abito bianco di Leontina... Che differenza c'è fra te e le corti­giane? Come loro, tu non sacrifichi niente. Ma che dico come loro!  Loro, in un momento della vita, un sentimento, un palpito, uno slancio devono pure averlo avuto! Tu niente, mai! Tu né amata mai... né innamorata... una creatura inutile, un ramo secco... (A Rondinella che si è lanciata contro e l'ha piegata sul sedile met­tendole una mano sulla bocca) Lasciami tu! (Cercando di divincolarsi) Voglio dire tutto quello che ho in corpo, e tutte le altre, anche se non ne hanno il coraggio, la pensano come me. Tranne tu che sei la sua schiava, sì, la sua serva... (Tutto il discorso di Mirrina, Lisistrata ha ascoltato pazientemente, umilmente, quieta, tenendo la testa bassa e le mani sulle ginocchia. Rondinella ha invece espresso più. volte pur tacendo e contenendosi il suo sdegno e alla fine si è scagliata contro)

Rondinella                    - (sempre tenendo Mirrina) Ri­spondi, Lisistrata, perché se non parli tu, parlo io.

Lisistrata                       - (quietamente ed intensamente) Lasciala!

Rondinella                    - (ubbidisce e torna ansante al pro­prio posto).

Lisistrata                       - E tu fa Mirrina) ascoltami, e ascoltatemi anche voi, amiche mie. (Pausa) Che cosa sapete di me, voi? Che sono una donna forse un po' fuori del comune, dotata di un fascino che le permette di imporre la propria volontà alle altre, tant'è vero che quan­do vi ho chiamate siete accorse, e quando vi ho incitato a giurare avete giurato. Ma nient'altro. La mia vita vera non la conosciamo che io e (indicando Rondinella) questa, che tu, Mirrina, hai chiamato mia serva, mia schiava. E' mia amica, invece, e quando, un giorno, le ebbi rac­contato di me, divenne mia sorella.

Rondinella                    - (confusa per il grande onore) Lisistrata, non dire più niente!

Lisistrata                       - (con un gesto inducendola al silen­zio) Mia sorella devota e, voi che non sapete, avete scambiato per servilismo una devozione imposta dalla sventura. Via! Se non compren­dere, qualche cosa avreste dovuto pure intuire dall'affettuosa sottomissione di costei, e da que­sta mia veste, che è l'unica scura fra le vostre chiare e colorate, come una sola ombra in)  mezzo a tante luci... (Difatti soltanto Lisistrata, di tutte le donne, è vestita di nero) Ed il vivo contrasto con quella di Leontina, non v'ha mai colpito? Lei candida, io nera. Lei una primavera che aspetta, io un inverno senza speranza. (A Leontina) Leontina, fino a quando indosserai quella veste?

Leontina                        - Fino a che non rivedrò il mio Nereo,

Lisistrata                       - Il suo Nereo, amiche. II mio Nereo non lo rivedrò più. E' morto quasi il giorno stesso in cui Leontina si sposava. L'anno scorso, in Sicilia, contro gli Spartani, nella battaglia di Catania.

Leontina                        - Era bello?

Lisistrata                       - Bello come può essere l'uomo che si ama, cioè il più bello di tutti.

Elena                             - E lo amavi?

Lisistrata                       - Lo amo. (Pausa) Era, pensate, l'uomo che andava incontro alla guerra come al più splendido dei sogni. Ambizioso anche lui, sognava la gloria e la potenza. (Pausa) Aveva travolta anche me nel suo sogno. Anch'io amavo la guerra per la gloria che gli avrebbe dato. (Pausa) E oggi, in vista delle mura di Catania, è uno dei mille morti senza tomba sulla riva del mare.

Elena                             - Ti amava?

Lisistrata                       - Quanto può amare l'uomo che non si vede combattuto, ma assecondato nelle sue aspirazioni. Quanto può amare l'uomo che sente nella donna un essere devoto, obbediente, sot­tomesso, che vive solo per lui.

Ambrosia                      - (quasi non credendo) Tu, Lisi­strata, che così bene sai imporre agli altri la tua volontà!

Lisistrata                       - Ma in lui io m'annullavo. E mi meravigliai, più tardi, di scoprire in me tanta energia. (Amaramente) Ma vorrei non averne, e continuare ad essere nulla in lui., (Rimane a lungo in silenzio)

Leontina                        - Soffri molto, Lisistrata?

 

Mirrina                          - (cattiva) Certo che soffre, non la vedi? E anche se non la vedessi, te ne accorgeresti dal modo con il quale, della sua sofferenza, si vendica su di noi.

Lisistrata                       - (crudelmente colpita) Io vendi­carmi, Mirrina?

Rondinella                    -  Mirrina è pazza.

Mirrina                          - Mirrina non è pazza. Si duole certo del lutto di Lisistrata, ma si duole anche del­l'inganno.

Rondinella                    - (meravigliata e sdegnata) Quale inganno!?

Mirrina                          - (con rabbia) Dell'inganno tesoci da costei che ha saputo ben camuffare di santo desiderio di pace il maligno piacere di togliere anche a noi il bene che aveva perduto! Senza amore lei, senza amore tutte! (A Lisistrata) Non è così? Confessalo, finalmente, e di' alle tue cortigiane di smettere questo giuoco, di aprire queste porte e di lasciarci andare libere a go­derci quello che tu non puoi più godere, ma noi sì ancora. (Rivolgendosi a tutte) Ma dob­biamo far presto perché la giornata di noi donne è breve, ricordatelo, e la notte arriva improvvisa ed io... (la rabbia via via si è mu­tata in disperazione e a questo punto Mirrina rompe in pianto e si getta ai piedi di Lisistrata) ... sono già nella sera, Lisistrata, e voglio uscire, voglio andare incontro all'ultimo mio raggio di luce!  (Tutte le donne come attratte si raccol­gono intorno a Lisistrata e a Mirrina) Fammi uscire, Lisistrata, un giorno solo, ti giuro che tornerò.

Rondinella                    - (impietosita l'accarezza sui capelli) Povera Mirrina, non è cattiva. Io la capisco. E' l'età. Di', Lisistrata, non le si potrebbe dare un permesso straordinario?

Melissa e Callizia          - (scattando) E allora an­che a noi!

Lisistrata                       - (imponendo il silenzio) No. Se io sembro crudele, spietata, è per la salvezza di tutte... (Pausa) E di tutti, anche dei vostri uo­mini. (Accarezzevolmente a Mirrina ed aiutan­dola a rialzarsi) Come accusarmi così ingiu­stamente, Mirrina? Come non capire che vi impongo e (fermamente) continuerò ad imporvi sino alla fine, il sacrificio, non per vendicarmi, ma per risparmiare a voi la sventura che mi ha colpito? Volete che il mio pianto diventi anche il vostro? Volete che ogni moglie non abbia per marito che un mucchio di ossa sulla riva del mare?

Callizia                          - Credo che tu abbia ragione, Lisi­strata. E tu vedrai, Mirrina, che se gli Dei ci assisteranno, la pace sarà conclusa prima che per te sia venuta la notte. Fa' come me: prega.

 

Mirrina                          - (mestamente) Beata te, Callizia, che hai il grande conforto della religione!

Lisistrata                       - Ora scendete e andate a riposarvi. (Le donne si dispongono ad uscire) Auguro a tutte un sonno senza sogni. (Le donne escono. Rimangono Rondinella, Ambrosia, Callizia) Tu (ad Elena che sta calandosi nella botola) chia­mami Fillide. (A Rondinella) Ora converrà sape­re che cosa si dice, che cosa si fa, nel campo de­gli uomini. Se son fermi nel proposito di conti­nuare la guerra o se anima anch'essi il desiderio della pace. Manderemo un'esploratrice.

Mirrina                          - Vado io!  Spetta a me!  (Appare dalla botola Fillidé, una vecchia piccina e curva)

Lisistrata                       - (indicandola) No, mia cara. Andrà Fillide. (A Fillide) Fillide, tu sai ciò che devi fare. Mescolarti agli uomini, ascoltarne i di­scorsi. Entrare, se puoi, in Parlamento e fedel­mente riportare tutto ciò che si dice.

Mirrina                          - (guardando Fillide con invidia) Sa­rai l'unica donna, pensa, in tutta Atene.

Callizia                          - Fa' onore al nostro sesso!  

Fillide                            - (ridacchiando piano piano) Eh, eh... chi sa...

Callizia                          - E tu ti fidi, Lisistrata?

Lisistrata                       - Non sarà lei, semmai, che com­prometterà la pace. (A Fillide) Va' e torna pre­sto. (Mentre Fillide s'avvia verso la botola ne emerge Aspasia preoccupata e agitata)

Aspasia                         - Lisistrata, ho bisogno del tuo con­siglio.

Lisistrata                       - Parla.

Aspasia                         - Giù, sulla piazza, dinanzi alla porta dell'Acropoli, s'è piantato un uomo che fa il diavolo a quattro e dice che non c'è forza uma­na che varrà a rimandarlo indietro.

Lisistrata                       - Le tue sentinelle che stanno a fare?

Aspasia                         - Gli hanno ingiunto di allontanarsi. Ma le sue minacce le hanno impensierite.

Callizia                          - Quali minacce?

Aspasia                         - Dice che ha un'arma segreta con la quale potrebbe far saltare in aria tutta l'Acropoli.

Rondinella                    -  Questa storia delle armi segrete è vecchia quanto il cucco. Sono vent'anni che se ne parla. Io non ci ho mai creduto.

Lisistrata                       - Chi è quest'uomo? Ti ha detto il suo nome?

Aspasia                         - No. Ma so ugualmente chi è: Timandro.

Ambrosia                      - (con un grido) Mio marito! (Poi ad Aspasia) Come lo conosci?

Aspasia                         - (tranquillamente) Noi li conosciamo tutti i vostri mariti.

Ambrosia                      - (a Lisistrata) Che ti dicevo? Porci!

 

Lisistrata                       - (ad Ambrosia) Sta' calma. (Pausa) Ho una idea. Timandro è uno dei capi princi­pali dell'esercito. Se potessimo guadagnarlo alla causa della pace...

Rondinella                    -  In che modo?

Lisistrata                       - (ad Ambrosia) Portandolo, Am­brosia non so se mi capisci, fino al massimo del desiderio...

Ambrosia                      - E poi?

Lisistrata                       - E poi, all'ultimo momento, spa­rendogli davanti. (Dubbiosa) Troverai davvero, Ambrosia, la forza di sparirgli dinanzi? (Grave­mente ) Guarda, la causa della pace, se ti assumi quest'incarico, cade interamente nelle tue mani. Insoddisfatto, impazzito d'amore, tuo marito correrà in Parlamento a perorare la pace im­mediata. Soddisfatto riprenderà a marciare contro gli Spartani. Tutto dipende da te. (A Rondinella e a Callizia) Che ne dite?

Callizia                          - Lei come moglie non può avere una sufficiente resistenza.

Rondinella                    -  Ha ragione. Forse è meglio che vada un'altra. (Tutte tacitamente si offrono fis­sando ansiose Lisistrata)

Callizia                          - Io poi sono religiosa.

Lisistrata                       - No, bisogna che vada la moglie. Dopo tre anni di assenza, è la donna che più si desidera. Più tardi no, tornerebbe a deside­rarne altre, ma per ora è Ambrosia che egli vuole stringere fra le braccia.

Ambrosia                      - (sinceramente) E non mi avrà, te lo giuro, Lisistrata! Se non altro (guardando Aspasia) per quello che ho saputo da Aspasia. Gliela farò pagare! Ti giuro arriverò al punto di farlo impazzire senza che abbia potuto toc­ carmi con un dito.

Lisistrata                       - Giuri davanti a Diana?

Ambrosia                      - (eseguendo) Giuro davanti a Diana.

Mirrina                          - Purché non sia atea.

Lisistrata                       - No, mi fido di Ambrosia. La cono­sco. (Ad Ambrosia). E adesso fatti più bella, più desiderabile che puoi e scendi da tuo marito. (Ad Aspasia) Tu fallo entrare, scortato dalle cortigiane, nel piccolo cortile fiorito che è a destra della porta, subito dopo la prima scala. (Aspasia esce) Ambrosia, non aggiungo più una parola. Ti dico solo che la sorte della Grecia dipende da te. (Ambrosia esce solennemente tutta compresa della suprema importanza della missione affidatale) E tu, Callizia, prega, per­ché davvero ne abbiamo bisogno.

Callizia                          - (gettandosi ai piedi della statua dì Diana con slancio) « Pura come l'aria della più limpida notte d'inverno, gelida come la luce della luna... ».

Il  Presentatore              - Dovreste seguirmi, signori, nelle passeggiate che faccio, in questi giorni, per le strade di Atene. Uno sconforto, una deso­lazione... Benché vi siano gli uomini, la città sembra deserta, abbandonata. Le finestre tutte chiuse. Lunghe file di case cieche e mute. Sì, perché sono le donne, la mattina, che spalan­cano le finestre, le colorano di fiori e di panni, le animano di canti e di discorsi, le illuminano, pettinandosi, delle loro lunghe chiome bionde... (Pausa) Deserte le chiese, le botteghe, silen­zioso il mercato, abbandonati gli orti e i giar­dini. I fiori appassiscono tutti. Il sole, se anche sorge ancora, che cosa fa più risplendere? Tut­to è opaco, tutto è ruggine, e come una grigia neve la polvere discende su ogni cosa. Gli uo­mini sono diventati muti. Quando parlano o ridono, difatti, è per farsi sentire dalle donne, Né più si curano di apparire puliti o giovani, i poeti non cantano più, e i soldati, che non hanno più chi li guarda dalle finestre, marciano con le ginocchia piegate, la testa bassa, la lin­gua fuori, trascinando la lancia. Chi ha più il pudore, ora che non ci sono le donne, delle proprie infermità, delle proprie miserie? Gli spettacoli penosi s'alternano a quelli ripugnanti. E sapete che penso? Che gli uomini finiranno per concludere presto la pace, non tanto per amore delle donne, quanto per amore di se stessi: anche i più accesi per la guerra, anche gli eroi di professione, di chi cercavano l'atten­zione pei racconti delle proprie gesta, di chi l'ammirazione per le splendide divise, di chi la pietà per le ferite, se non delle donne? La pace, secondo me, è assai più prossima di quanto non sembri. Ci sono, sì, ancora, quei quattro, cinque ambiziosi e quei quattro, cin­que grossi mercanti di scudi e di giavellotti che in Parlamento si battono strenuamente per la guerra, e, bisogna dire, con una certa efficacia, perché si valgono di un mezzo irresistibile: il denaro. Ma fino a quando questo mezzo conti­nuerà ad essere irresistibile? Quand'è che il de­naro procura vera gioia, vero piacere? Quando lo si può spendere per le donne. Quando ve­diamo un sacchetto di monete tramutarsi a splendida luce sulla morbidezza di un seno o sul candore di una mano. A questo Lisistrata non aveva pensato e attribuirà, ne son certo, la prossima conclusione della pace solo al mo­tivo che ha in mente, che è certo un grosso ed importante motivo, ma non è il primo. (Pausa) Intanto le strade sono una lunga fila di case cieche e mute, risplende il sole e dentro le stanze sono accese le lanterne, vecchi ed ispidi guerrieri tentano invano di cantare dolci ninne-nanne ai loro bambini luridi e piangenti, i soldati marciano con le ginocchia piegate, non si parla più, non si canta più, i fiori sono tutti appassiti, e sulle case, sulla gente, sugli alberi, sulle statue, scende silenziosa e fitta la grigia neve della polvere. (Pausa) Sì, sono proprio con­vinto che la pace si farà.

QUADRO TERZO

Il sipario si leva su un piccolo cortile. A sini­stra, un muro liscio che si tende in alto con ai piedi una porticina. In fondo e a destra un muricciolo simile a quelli che circondano gli orti e lungo il muricciolo alcuni alberelli fioriti. La scena è vuota per un attimo. Subito entrano Timandro e Aspasia. Timandro è un bell'uomo, robusto, gioviale, di franco portamento. Non ha, di militare, che un leggero elmo che tiene sotto il braccio, e una daga pendente da una cintura che gli stringe alla vita la corta tunica.

Timandro                      - Qui? E' qui, dunque, che devo aspettare mia moglie?

Aspasia                         - (asciutta) Qui.

Timandro                      - E credi che scenderà subito?

Aspasia                         - (c. s.) Il tempo di prepararsi.

Timandro                      - Allora, se le sue abitudini non sono cambiate, dovrò aspettare un bel pezzo. Non le puoi dare una voce? Sono tre anni, sai. (Guardandola attentamente) Ma tu, sbaglio o sei Taide?... No, aspetta... Filma... no, Bacchide... no, ecco, ci sono: Aspasia. La bella Aspasia! La mangiatrice d'uomini!  E io, non mi ricono­sci? Sono Timandro, il tuo bel cagnolino d'oro, così mi chiamavi, ricordi? (Con un certo com­piacimento) Beh, sì, ho fatto carriera: sono generale adesso; ma per te, se vuoi, rimango sempre il tuo bel cagnolino d'oro... Sono cam­biato?

Aspasia                         - (fredda) Sei sempre lo stesso.

Timandro                      - (vedendola fredda e indifferente) Di', Aspasia, ma che ti prende? Sei più solenne della statua di Diana. Le feste che abbiamo fatto in casa tua, rammenti?... Quando mi fa­cevi il solletico con quella lunga penna di pavone... Come le manovravi tu, le penne di pavone... (Fa per abbracciarla e vedendo che essa si sottrae) Dai, dai; non fare la stupida... (Pieno di desiderio) Facciamo in tempo, sai. Tanto, prima che Ambrosia discenda... (Sem­pre cercando di abbracciarla e sempre respinto) E poi, in questi tre anni, ho accumulato tanto di quell'energia, che tu, mia piccola, mia cara Aspasia, mi farai da antipasto. Ti consumo al banco.

Aspasia                         - Scostati! Non mi toccare! (Lo re­spinge rudemente).

 

Timandro                      - (stupito) Come? al tuo bel cagno­lino d'oro!

Aspasia                         - (dignitosa) Qui non ci sono cagno­lini d'oro.

Timandro                      - Aspasia, che hai fatto? Hai cam­biato mestiere? Questa guerra rovina tutti. Aspasia, ti ricordi la pioggia di rose dal soffitto?

Aspasia                         - Torna da me dopo la firma della pace, e mi troverai con tutte le piogge e tutte le penne di pavone che vorrai, ma ora consi­derami nient'altro che un soldato obbediente a Lisistrata.

Timandro                      - Beh! Questa poi! (Preoccupato) Non mi dirai che anche Ambrosia si considera un soldato obbediente a Lisistrata!

Aspasia                         - Tutti soldati, qui! E tutti ci bat­tiamo per la causa della pace!

Timandro                      - Benc. sicché, allora, i soldati de­vono obbedire ai generali, io ti ordino...

Aspasia                         - No. Tu sei un generale nemico. E in questo momento sei nostro prigioniero.

Timandro                      - (scherzosamente piagnucolando con un'ultima speranza, incalzandola fino alla soglia della porta) Andiamo, via, adesso basta, Aspasia... Neppure un bacio, una carezza, una piccola cosa?... (Giunge sulla soglia e, Aspasia essendosi lentamente ritirata, si trova di fronte ad Ambrosia, vestita nella più morbida e sedu­cente delle maniere).

Ambrosia                      - (respingendolo) Scostati! Non toc­carmi!

Timandro                      - (arretrando per lo stupore) Am­brosia! Amor mio! (Riprendendosi) Hai visto? Tanto era il desiderio, tanto era l'empito, che ti correvo incontro su per la scala.

Ambrosia                      - (indicando la scala per la quale Aspa­sia si è allontanata) Tu conosci quella donna!

Timandro                      - (innocente) Quale donna?

Ambrosia                      - Aspasia!

Timandro                      - Mai sentito questo nome.

Ambrosia                      - (implacabile) La conosci, l'ho sa­puto da lei. Andavi a trovarla. Frequentavi la casa delle cortigiane. E quando? Quando eri con me, quando ogni volta che volevi potevi avermi!  (Furiosa) Se facevi così allora, che cosa avrai fatto durante questi tre anni (incalzan­dolo, coi pugni serrati, mentre egli arretra spa­ventato) che sei vissuto solo, lontano, senza di me?...

Timandro                      - Ho combattuto, cara!  Te lo giuro!  Non ho fatto che combattere!

Ambrosia                      - E quando non combattevi?

Timandro                      - Anzitutto, cara, era raro che non combattessi e poi pensavo a te, solo a te, esclu­sivamente a te, cuor mio, amor mio, luce degli occhi miei, respiro dell'anima mia. Ti vedevo nei sogni, ti vedevo anche quando non dor­mivo, solo che chiudessi gli occhi... E mi pia­ceva indugiarmi, sai, nel rivederti tutta punto per punto, e quando giungevo nei punti più belli tornavo indietro, come si fa quando si legge un bel libro, che ogni tanto si torna indietro per assaporarlo meglio... (Ambrosia, ora, s'è placata e ascolta con piacere) ... Un ba­cio, Ambrosia, un bacio su questa bella bocca dolce quanto il tuo nome!  (Fa per baciarla sulla bocca).

Ambrosia                      - (ritraendosi) Non sulla bocca, Timandro. Non ancora. Sulla guancia.

Timandro                      - (tenendola fra le braccia sorridendo) Perché? Io lo so, perché. Perché vuoi che io torni a riconquistarti, lentamente, come nei giorni in cui mi indugiavo a immaginarti... vero, Ambrosia?

Ambrosia                      - (cominciando a illanguidirsi) Sì, Timandro.

Timandro                      - Sulla guancia, ecco. (La bacia sulla guancia) Ora però, finalmente, sulla bocca. (Striscia con la bocca lungo la guancia).

Ambrosia                      - No, non proprio sulla bocca, sull'angolo.

Timandro                      - E' per farmi morire? (La bacia sull'angolo della bocca) E adesso tutt'intorno come quando a primavera si fa il giro di quei laghetti sui monti? (La bacia respirandole in­torno alla bocca) E adesso posso entrare nel laghetto.

Ambrosia                      - (con un grande sforzo su se stessa si ritrae, s'allontana, si siede sul piccolo sedile di pietra) No, Timandro, aspetta, non posso, lasciami respirare, non sono più abituata ai tuoi baci... Qui, siediti vicino, ai miei piedi, e per un po' sta buono, come tanti anni fa, ri­cordi? quando ci vedevamo le prime volte...

Timandro                      - (obbedendo con una certa riluttanza) Sì, va bene. Però, poi...

Ambrosia                      - (come con ì bambini) Ma certo, ma certo... lo so, ma appunto per questo non dobbiamo sciupare... Adesso, tu mettiti qui. (Lo carezza sul capo) E parliamo. Come mi trovi? sciupata, invecchiata?

Timandro                      - (scattando in ginocchio) Invec­chiata! Più giovane, anzi! Più giovane e più bella di quando son partito. (Accarezzandola) Sembri una ragazza. E' come se fossi partito non per la guerra, ma per un viaggio a ritroso nel tempo, e ti ritrovo adesso, non come tre anni, ma come dieci anni fa... Fammi vedere le mani... (Ambrosia gliele mostra dalla parte del dorso) No, il palmo. (Ambrosia le rovescia) Ecco!

Ambrosia                      - Che cosa?

 

Timandro                      - I polpastrelli delle dita, vedi? Sul­la punta sono rosati come i petali delle margherite appena dischiuse. E' un colore che dura. fino ai vent'anni, il segno della giovinezza, poi svanisce. Tu hai ancora vent'anni, Ambrosia, Sei giovane come un fiore appena nato. Io invece sono invecchiato, vero?

Ambrosia                      - Non dire sciocchezze, sembri un giovanotto. Anche a te ha fatto bene la lonta­nanza. T'ha ringiovanito.

Timandro                      - M'hai pensato, tu?

Ambrosia                      - (sinceramente) Sempre.

Timandro                      - M'hai tradito?

Ambrosia                      - (c. s.) Mai. (Pausa) E come avrei potuto del resto? Non c'erano uomini.

Timandro                      - E da noi non c'erano donne.

Ambrosia                      - Perciò non mi hai tradita.

Timandro                      - Mai. (Pausa) Quanto t'ho pensato! (Preso da un subito pensiero) E il piede?

Ambrosia                      - (meravigliata) Il piede?

Timandro                      - Sì, voglio vedere se si piega ancora come un tempo. (Le toglie un calzare) Quell'arco, ricordi?

Ambrosia                      - Oh sì! (Piega il piede ad arco e lo pone in terra).

Timandro                      - (col viso in terra per vedere la luci dell'arco) Sul prato. Lo mettevi così, sul. prato, e sotto ci passavano le formiche rosse e si fermavano, incantate a guardare. Posso baciarti l'arco? (Ambrosia risponde di si sorridendo e Timandro le bacia il piede, poi vorrebbe venir su lungo la gamba e Ambrosia dolcemente lo allontana e abbassa la veste) E lei tue orecchie piccole come conchiglie! Le aveva trovate un Dio sulla spiaggia, e te le aveva r messe a ornamento del viso. Conchiglie. (Fa l'atto di metterle le orecchie. Accosta il proprio orecchio a quello di Ambrosia) Si sente il mare.

Ambrosia                      - (stupita) Timandro!

Timandro                      - Che cosa?

Ambrosia                      - (turbata) E' la prima volta che mi parli così.

Timandro                      - Perché, te l'ho detto, durante questi tre anni non ho fatto che pensarti punto per punto: le mani, il piede, gli orecchi... e i capelli, Ambrosia, li hai ancora così teneri, così» sottili vicino alle tempie? (Le passa la mano sui capelli, guardando con tenerezza) Sì, sono uguali, come allora, qui, nel punto dove nascono, sulla riva delle tempie, sono come le piante presso l'acqua del fiume: morbide, leggere...  (Le bacia i capelli sulle tempie) E adesso, Am­brosia...

Ambrosia                      - (turbata) Timandro...

Timandro                      - Fammi continuare il viaggio. E' un viaggio che so a memoria. L'avrò fatto col pen­siero cento, mille volte... Ora, finalmente, non è più col pensiero: è con gli occhi, con la bocca, con le mani... Oh, Ambrosia, io voglio ar­rivare adesso alla parte che nella donna è più bella, più dolce, più riposta, più intima... (Pausa) ... La nuca. Ferma. Ambrosia... sì, la più intima perché non viene mai scoperta, sempre la difen­dono e la custodiscono i capelli, come nel più folto del bosco, dove l'ombra è perenne, e nulla appassisce, tutto rimane fresco ed eternamente giovane... Quale piacere più grande che com­piere il movimento di tirare su i tuoi capelli,

Ambrosia                      - (esegue) e di scoprire la tua nuca eternamente giovane? La nuca di quand'eri bambina! (Le bacia a lungo, con soave piacere la nuca, poi, cambiando tono, stringendo a sé Ambrosia che cerca di levarsi in piedi e di sot­trarsi) E adesso basta, Ambrosia! Io sono tuo marito, torno dopo tre anni di lontananza, me ne frego altamente del pazzo giuramento che hai fatto a Lisistrata e qui, o in un altro posto, dove ti pare, ma purché sia presto, immediata­mente, tu devi fare il tuo dovere di moglie!  

Ambrosia                      - (riuscendo a divincolarsi) Pazzo! Dove vorresti? Qui sul marmo?

Timandro                      - Cosa vuoi che m'importi? Per uno nelle mie condizioni, il marmo è più morbido di tutti i più morbidi tappeti d'Oriente!

Ambrosia                      - Ma non per me, Timandro. Sai che sono delicata.

Timandro                      - (sciogliendole la cintura e gettandola via) E allora qualche cosa di soffice (Guar­dandosi intorno) Dov'è, qui, che si possa trovare qualche cosa di soffice? Presto, Ambrosia, per­ché ho già le orecchie che mi ronzano come se intorno mi volassero sciami di api. Impazzisco!  

Ambrosia                      - Occorre un tappeto.

Timandro                      - (togliendosi a sua volta la cintura e gettandola via insieme alla daga) Dov'è?

Ambrosia                      - (indicando la porta) Là.

Timandro                      - E allora vallo a prendere, corri.

Ambrosia                      - (esce subito, torna con un tappeto) Aiutami. (Lo distendono insieme. Poi subito Timandro le si fa appresso e cerca di strapparle la tunica) No, non così, Timandro. Me la tolgo io. Così, piano piano... (Si toglie la tunica e rimane con un indumento più leggero e più breve, con le spalle scoperte).

Timandro                      - Ambrosia! (La guarda con de­siderio).

Ambrosia                      - Mi vergogno.

Timandro                      - (guardandosi intorno) Di chi?

Ambrosia                      - Di te.

Timandro                      - (stupito) Di me!

 

Ambrosia                      - Di te, non ti ricordi? (Guardan­dosi intorno) Quando c'è troppa luce.

Timandro                      - E' vero, ricordo. Ti sciolgo i ca­pelli, così sei più vestita. (Le scioglie i capelli che scendono a ricoprirne le spalle) E adesso Ambrosia, ti serve niente?

Ambrosia                      - (inginocchiandosi e toccando il tap­peto) Il tappeto è duro, si sentono i ciottoli. Vado a prendere dei cuscini.

Timandro                      - (sedendosi sul tappeto) Anche i ciottoli!  Va', vola!  (Ambrosia esce e torna con cuscini che sparge sul tappeto. Timandro af­ferrandola per i polsi, e attraendola a sé) Qui, adesso e non ti muovere più.

Ambrosia                      - (svincolandosi e levandosi in piedi) I profumi. Sai che mi piacciono.

Timandro                      - (riafferrandola) Rimani qui, t'ho detto!

Ambrosia                      - O mi lasci andare a prenderli, o grido, e le sentinelle che sono lassù ti scaglieranno addosso una pioggia di frecce.

Timandro                      - (guarda in su, e la lascia) Perfida!  

Ambrosia                      - (uscendo e tornando con un vaso con­tenente sostanze odorose) Perché perfida, Timandro? Non sono forse tornata subito da te? Ancora un attimo di pazienza. (Sparge pro­fumo intorno mentre chiede) Mi desideri dav­vero tanto, Timandro?

Timandro                      - (aprendo le braccia per incitarla a venire sul tappeto) E me lo chiedi? (Vedendo che guarda verso la porta) E adesso che aspetti? Di che hai bisogno ancora?

Ambrosia                      - Dei fiori.

Timandro                      - (quasi urlando) E dove sono?

Ambrosia                      - (indicando verso l'alto) Scendono. (Comincia a scendere una pioggia di rose. Am­brosia suo malgrado attirata da Timandro che continua ad aspettarla a braccia aperte, si avvi­cina) E così, davvero mi vuoi?

Timandro                      - Se ti voglio? Non vedi? Non senti? Sono pazzo di te!  Vieni!  Amore!  

Ambrosia                      - Sotto la pioggia di rose?

Timandro                      - Sotto la pioggia di rose, sotto la neve, sotto la grandine, sotto l'uragano, purché tu finalmente venga e non ti prenda gioco di me, donna che non meriti più d'essere chiamata donna se resisti ancora così a lungo come io non voglio più essere chiamato uomo se sop­porto ancora il tuo gioco infernale.

Ambrosia                      - (carezzandolo avvicinandosi) Eb­bene, chiudi gli occhi.

Timandro                      - Perché?

Ambrosia                      - (dolce) Ma come? Non sai, non ti ricordi più? Cominciavamo sempre a occhi chiusi.

Timandro                      - (sorridendo felice) Ah, se è vero.

 (Si distende, apre le braccia e chiude gli occhi, e così nell'attesa, rimane mentre in punta di piedi dopo averlo contemplato, ed avergli man­dato un bacio, e spinto una mano tremante sin quasi accarezzarlo, contrastata tra l'amore e la fede al giuramento, Ambrosia si allontana, en­tra nella porta, chiude a chiave il cancello, ri­manendo visibile al pubblico: al rumore della chiave Timandro apre gli occhi, vede, si leva, e ruggendo di rabbia corre al cancello, lo scuote, si accascia vinto, tra l'infuriato e lo scorato).

Ambrosia                      - (chinandosi, perfidamente) Se mi vuoi, Timandro, corri laggiù dai tuoi uomini, e valendoti della tua autorità - non sei un gene­rale, forse? - persuadili a far la pace. Allora sarò tua. (Fa per allontanarsi).

Timandro                      - (sollevandosi) Andrò, andrò, Am­brosia. Ma ancora un momento! In nome di tutti gli Dei, ascoltami.

Ambrosia                      - Che cosa?

Timandro                      - Un bacio!

Ambrosia                      - No.

Timandro                      - Una carezza.

Ambrosia                      - No.

Timandro                      - (supplicandola) Guarda, Ambrosia, ti supplico... ch'io possa solo con la mano, con la sola punta delle dita, sfiorarti il seno. Leg­gero in modo che non sentirai. Non più che l'ala d'una farfalla.

Ambrosia                      - No.

Timandro                      - Non più che l'alito d'un vento d'aprile.

Ambrosia                      - No.

Timandro                      - Non più che il posarsi d'una goc­cia di rugiada. (Pausa) Sai le gocce di rugiada che si posano leggermente.

Ambrosia                      - No.

Timandro                      - (disperato) In nome del mio amo­re, in nome di un desiderio lungo di tre anni, io ti prego, io ti scongiuro, Ambrosia, dimmi di sì, una volta.

Ambrosia                      - Non devi toccarmi. Lisistrata non vuole.

Timandro                      - (afferrandosi alle sbarre del cancello e guardando intensamente) Quel tuo seno divino, Ambrosia... Abbi pietà!  

Ambrosia                      - Solo dopo la pace. Puoi solo, se vuoi, ma è una trasgressione al mio impegno, aspirarlo.

Timandro                      - Aspirarne il profumo! E' quasi gustarne il sapore!

Ambrosia                      - Sì.

Timandro                      - E come?

Ambrosia                      - (indicando il tavolo con le bevande) Su quel tavolo.

Timandro                      - Sul tavolo... Che cosa? (Si leva, va al tavolo, guarda, poi comprende) La cannuccia! Una cannuccia da seno!

Ambrosia                      - Sì. (Timandro prende una cannuccia per bibite, corre, ne pone un'estremità nella scollatura e dall'altra aspira) Così. (pausa) Ti piace?

Timandro                      - (staccando per un attimo la bocca) E' squisito! Ancora! (Riprende ad aspirare mentre cala la tela).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

I gradini di una scalinata. Al sommo colonne. Tre o quattro sonnolenti o sfaccendati seggono al primo sole di primavera. In primo piano è il Presentatore.

Il Presentatore               -  (coi gomiti sulle ginocchia e il viso tra le mani, sembra meditare. Breve silenzio. Poi al pubblico) Vedete, certe volte! come anche le persone intelligenti sbagliano?! Lisistrata, per esempio, che con il perfido tiro giocato a Timandro credeva d'aver nelle mani il trattato di pace, ed ha finito, invece, col fare il gioco dei fautori della guerra. Intendiamoci,! l'idea era buona e sembrava, anzi, infallibile,! Appena uscito dall'Acropoli, Timandro, secondo la logica, doveva correre dritto in Parlamento,! irrompervi come un fulmine e parlare in favore della pace con tale eloquenza da persuaderei anche i più accesi tra i guerrafondai. E se noi vi fosse riuscito? Sarebbe ricorso alla forza, pensava Lisistrata, a un colpo di Stato. Invece niente di tutto questo. E' avvenuto precisamente il contrario. (Pausa) Lisistrata ha mancato di psicologia. E' intelligente, avveduta, scaltra, quel che volete, ma non conosce gli uomini. Noi non conosciamo le donne, ma neppure le donne conoscono noi. (Pausa) Uscito dall'Acropoli, Timadro corse, sì, in Parlamento, e, figuratevi, al suo ingresso, la curiosità di tutti, specialmente dei vecchi perché sono appunto i vecchi, ormai esclusi da certe cose, quelli che se ne interessano di più: « Hai visto le donne? E' vero che sono sottoposte a una disciplina terribile? Che nessun uomo può avvicinarle? E questa Lisistrata che tipo è? Insomma, come è andata? ». Il Parlamento era tutt'orecchi,  « Com'è andata? Benissimo », disse Timandro salendo sulla tribuna. Gonfiò il petto, lo fece rimbombare percuotendoselo col pugno, e raccontò che sì, la disciplina cui le donne erano sottoposte era davvero terribile, ma, avendo un bel fisico e sapendoci fare... e sì teneva sempre sulle generali... un po' vago... Allora il Parlamento, ad una voce gli chiese di scendere nei particolari, anche ì più minuti, e lui, fra gli applausi descrisse punto per punto il modo con cui la bellissima Aspasia gli si era abban­donata, e, se sorvolò su sua moglie, fu soltanto per aver più tempo di intrattenere l'uditorio sulle difficoltà che aveva incontrato per uscire, anzi sulla paura che a un certo punto lo aveva preso di non poter più lasciare l'Acropoli, se non morto, dato che tutte le donne invidiose di Aspasia e della moglie avevano preso a conten­derselo ferocemente. (Pausa) Fu insomma, per la causa della pace, un racconto disastroso. Gli uomini ripresero animo, lo spettro dell'assoluta astinenza si dileguò. (Intanto un vecchio gli si è messo seduto accanto, e lo sta ascol­tando) Dunque, queste donne non erano poi così inaccessibili come si voleva far credere. Bastava salvare le apparenze, andarle a trovare bussando con molta discrezione alla porticina di Aspasia...

Il Vecchio                     - (come rispondendo a un discorso rivolto a lui) Sì, ma io credo che non sia vero niente. Quella Lisistrata è una donna in gamba, altro che i ricevimenti, con quel che segue, di cui si parla! Li fa cacciare via a pe­date, ecco che cosa fa.

Il Presentatore               -  Già, ma è tutto inutile se poi quelli vanno in giro a raccontare il contrario. Il Vecchio     - (scaldandosi) Perché ad Atene non ci sono uomini sinceri!  Perché non ci sarà mai nessuno che avrà il coraggio di dire: ebbene, ve lo confesso, non c'è niente da fare, il meglio che vi possa capitare è che vi buttino giù per le scale.

Il Presentatore               -  (alzando le spalle) Ma qual è al mondo, scusa, l'uomo disposto a confes­sare i propri insuccessi sentimentali?

Il Vecchio                     - D'accordo. Ma intanto si alimen­tano delle false speranze. (Si avvicina ad essi un giovane soldato dall'andatura dinoccolata e dall'aria stanca) E il giorno della pace si allon­tana sempre di più. (Tristemente) E sono certo purtroppo che noi vecchi non avremo la for­tuna di vederlo.

Il Soldato                      - (amaramente) E questo sarebbe niente. Il guaio è che forse non lo vedrò nep­pure io che potrei essere il figlio di tuo figlio.

Il Vecchio                     - (levando in su il viso a guardarlo) Quanti anni hai?

Il Soldato                      - Venti.

Il Vecchio                     - E a vent'anni sei già stanco di fare la guerra?

Il Soldato                      - Avrei voluto vederti, nonno, e an­che con le gambe di quand'eri giovane come me, fare la ritirata che abbiamo fatto. Venti giorni di marcia!

Il Vecchio                     - Quali marce? Vuoi dire quelle che fate voi comodamente seduti sui carri? (Infervorandosi) Ma che cosa siano le marce, giovanotto, solo noi possiamo saperlo. (Si batte la mano sul petto) Noi che abbiamo fatto l'ul­tima guerra contro i Persiani! Allora sì, caro mio, che le guerre si facevano sul serio! Altro che seduti sui carri!  Tutto a forza di gambe, e, chi gli si piegavano le ginocchia, peggio per lui. Non c'erano mica come adesso (fa l'atto di chi raccoglie con la pala) i pietosi a raccoglierli con la paletta!

Il Soldato                      - Ad ogni modo, nonno, devi am­mettere che, seduti o in piedi, in guerra si muore ugualmente. E io ti confesso che se po­tessi riportare la pelle a casa, sarei tutt'altro che scontento. (Lentamente s'allontana)

Il Vecchio                     - Giusto. (Al Presentatore) Però so una cosa: che al tempo mio i giovani non parlavano così. C'era più entusiasmo, più...

Il Presentatore               -  (interrompendo) Beh, l'altra guerra era più sentita.

Il Vecchio                     - (mentre un borghese s'avvicina per ascoltare i loro discorsi) I giovani d'oggi non hanno ideali. Non credono a niente...

Il Borghese                   - (intervenendo) Mica soltanto i giovani. (Al vecchio) Tu a che cosa credi, per esempio?

Il Vecchio                     - Beh, che la Patria va difesa...

Il Borghese                   - Certo.

Il Vecchio                     - Se c'è un prepotente...

Il Borghese                   - Certo. Ma se i prepotenti sia­mo noi?

Il Vecchio                     - E chi può dirlo, questo?

Il Borghese                   - La nostra coscienza.

Il Presentatore               -  La nostra coscienza non conta niente se chi sta al potere la pensa in modo diverso. Lo vedi, del resto: siamo tutti della stessa terra, della stessa religione, della stessa civiltà, non abbiamo nessuna ragione di combatterci, eppure ci dilaniamo come se ci odiassimo.

Il Borghese                   - E allora ha fatto bene Lisistrata a imporre l'aut-aut.

Il Vecchio                     - (scotendo il capo) Ma non riu­scirà a nulla. Vedi Timandro con la sua vanità, vedi Alcibiade che a tutti i costi vuole una vit­toria, vedi Locri...

Il Borghese                   - (mentre un ufficiale si avvicina) Già. Chi è questo Locri di cui si parla tanto?

Il Vecchio                     - E' uno che viene su adesso. Ha già soppiantato Timandro, che del resto non è che un buffone, e non è lontano il giorno in cui anche Alcibiade dovrà fare i conti con lui.

L'Ufficiale                    - Dici bene. Locri è l'uomo dell'avvenire. L'uomo che ben presto farà parlare di sé. Non lo muovono né la vanità né l'ambi­zione, né la sete di guadagno...

Il Borghese                   - Già, e allora che cosa lo muove?

L’Ufficiale                    - (esaltato) Il desiderio di fare la grandezza di Atene. Anch'io, fino a ieri, ero per la pace.

Il Presentatore               -  E chi non lo è?

L’Ufficiale                    - Perché non l'hai sentito parlare. se l'avessi sentito, come io l'ho sentito ieri di­nanzi al tempio di Giove...

Il Borghese                   - Che diceva?

L’Ufficiale                    - Era tanta la calca, era tanto il clamore, che non ho sentito una parola.

Il Borghese                   - E allora?

L’Ufficiale                    - E allora cosa? Quel che conta è che a un certo punto mi son trovato con la spada sguainata levata in alto, e con tutti gli altri gridavo: « Verremo tutti con te, Locri, dovunque ci ordinerai di seguirti. Anche a ri­schio di non tornar più nessuno. Comanda e ti ubbidiremo! ».

Il Presentatore               -  E sei disposto a seguirlo anche adesso, a mente fredda?

L’Ufficiale                    - Certo. Dovevate vederlo. Sem­brava un Dio. Accanto alla statua di Giove, non sfigurava. La sua voce pareva il tuono, il suo sguardo il lampo. Quando ha detto: « La guerra continua », sembrava dovesse venir giù il tem­pio. Ha promesso che fra venti giorni saremo sotto le mura di Sparta.

Il Borghese                   - Sono diciannove anni che sento dire queste parole. Viceversa, sono gli Spartani che da un anno in qua continuano a stare sotto le nostre mura.

L’Ufficiale                    - Se non ci fossero troppi disfat­tisti come te!...

Il Vecchio                     - Ognuno è padrone di ragionare come vuole. Tu credi ancora. Bene. (Accennan­do al borghese) Costui invece è stanco di cre­dere ed esprime i suoi dubbi. Le nuove deci­sioni dovrebbero nascere non da una sola delle parti, ma dalla serena discussione tra gli uni e gli altri.

L’Ufficiale                    - Alla discussione non possiamo ammettere chi ha torto.

Il Presentatore               -  E chi è che ha torto?

L’Ufficiale                    - Chi non la pensa come noi.

Il Vecchio                     - Mi sembra però che lo stesso Locri abbia tenuto conto del parere degli oppo­sitori se ha accondisceso a non partire per la guerra prima d'aver parlato con Lisistrata.

L’Ufficiale                    - Ah, così quest'incontro ci sarà!

Il Vecchio                     - E presto, dicono. Ma per quanto la sua voce sia un tuono ed il suo sguardo un lampo, io non credo che Locri riuscirà a persuadere le donne ad uscire dall'Acropoli.

L’Ufficiale                    - Io sono certo del contrario. Non gli hanno resistito ieri trentamila uomini: figuriamoci se potrà resistergli una donna.

Il Vecchio                     - Quella donna, però, si chiama Lisistrata.

L’Ufficiale                    - E quell'uomo, Locri.

Il Vecchio                     - Lei ha preso un troppo gran impegno perché possa recedere.

Il Borghese                   - (pensieroso) Già. Ma lui insegue un sogno troppo grande perché possa rinunciarvi.

Il Presentatore               -  Chi vivrà, vedrà. Certo sarà un duello appassionante. L'uno e l'altra hanno nelle mani la nostra sorte.

L’Ufficiale                    - I migliori dell'esercito sono con Locri.

Il Presentatore               -  Ma con Lisistrata sono tutte le donne e la maggior parte degli uomini.

Il Vecchio                     - Vorrei sentire i discorsi che si faranno lassù sull'Acropoli.

QUADRO SECONDO

La stessa scena del secondo quadro. Da una parte, inginocchiate dinanzi alla statua d'Artemide, Callizia, Elena e Melania. Dall'altra Rondinella, Ambrosia, Mirrina, Melissa. E' giorno ancora ma il giorno tra poco si tingerà dei primi colori del tramonto.

Callizia                          - (pregando) « Pura come l'aria della più limpida notte d'inverno, gelida come la luce della luna ».

Rondinella                    -  Non ti sembra che basti, Callizia; Diventa una ossessione. La stessa Lisistrato che pure, da sola, ha cento volte la responsabilità che abbiamo tutte noi, non prega tanto

Mirrina                          - E' una donna superiore, lei.

Callizia                          - E i giorni intanto passano e la luna piena sta già per ritornare, e la pace non si vede.

Ambrosia                      - E io che cosa dovrei dire, io che ho fatto il sacrificio più stupido, più inutile che si possa immaginare? Resistere tanto, per poi passare per quella che lo implorava, in ginocchio, di continuare.

Melania                         - Ha detto questo?

Ambrosia                      - (amaramente) Questo ed altro (Pausa) Valeva la pena di sacrificarsi?

Melania                         - Gli uomini, però!

Ambrosia                      - Non era meglio se lo facevo davvero?

Rondinella                    -  Meglio non so. Avresti creato un precedente pericolosissimo. Ti avrebbero odiato tutte, e forse, chissà, ti odierei anch'io. Invece, vedi? T'ammiriamo, e l'elogio solenne che ti ha  tributato Lisistrata dinanzi a tutte le donne schierate deve averti pur dato una bella sod­disfazione.

Ambrosia,                     - (poco convinta) Ah, sì, indubbia­mente come soddisfazione morale... (S'affaccia­no Lesbia e Rugiadina, che da qualche tempo sono fuori dalla botola ad ascoltare) E voi che fate?

Lesbia                           - (tenendo Rugiadina stretta alla vita) Stavamo qui a sentirvi. Certo che valgono le soddisfazioni morali... Ma voi ve ne state qui tristi, cupe, come se invece d'essere primavera, aveste sul capo il più pesante cielo d'inverno. Più vispe, più allegre, dovreste essere! (Rivol­gendosi alle compagne) Non è vero, Rugiadina?

Rugiadina                     - (felice) Si sta così bene...

Lesbia                           - Invece d'essere contente d'essere qui tutte riunite insieme.

Rugiadina                     - Abbiamo tutto, non ci manca niente.

Ambrosia                      - (furiosa) All'inferno voi due! (A Rondinella) Di' che tornino giù! Non voglio vederle!

Callizia                          - E neppure noi vogliamo vederle!  

Lesbia                           - (scendendo) E' tutta rabbia!

Rugiadina                     - (c. s.) E' tutta invidia!

Rondinella                    - (facendo l'atto di inseguirle, ma poi subito arrestandosi) Però sono felici...

Ambrosia                      - Ma Lisistrata che aspetta a cac­ciarle via?

Rondinella                    -  Siamo in democrazia. Bisogna rispettare le minoranze. (Pausa) Ma non dob­biamo abbatterci. L'ora della decisione è vicina.

Melania                         - E' un mese che sento questo ri­tornello.

Mirrina                          - Io non credo più a niente.

Rondinella                    -  Pochi giorni ancora di pazienza, ragazze. Forse pochissimi. E passiamoli, se non passano e la luna in allegria, in serenità. Guardate, se c'è una che scoppi, è la parola, sì che scoppi dall'impa­zienza di rivedere suo marito, sono io che mo­destamente ho in Licone l'uomo capace di fare coi fatti il doppio almeno di quel che Timandro ha fatto a parole...

Melissa                          - Andiamo, Rondinella, non esagerare.

Rondinella                    -  Scommettiamo? Scommettiamo che, il giorno della pace io, che pure mi sento donna capace di piegare un toro prendendolo per le corna, scommettiamo che, fra i due, sarò io la prima che dovrà dire: «Basta!  ».

Mirrina                          - Bene, ti prendo in parola. E quello che avanza è per me. (Melissa ride)

Rondinella                    - (a Melissa) Sì, e ce ne sarebbe anche per te, Melissa!  Ma disgraziatamente pei voi due, io non glielo permetterò.

Callizia                          - Beh, ci hai messo tanto in curiosità che questo tuo Licone vorrai almeno farcelo vedere, il giorno della pace.

Rondinella                    -  Certo. Ma non toccare. (Batten­dosi con la mano il petto) Perché è roba mia, proprietà personale.

Melania                         - Vorrà dire che noi ci contenteremo dei nostri uomini...

Rondinella                    - (rabbonita) Dicevo così per dire... Ce ne sarà per tutte, vedrete. (A queste parole Mirrina e Melissa chinano tristemente il capo. Le altre le guardano impietosite).

Callizia                          - E anche per loro, no, Rondinella?

Rondinella                    -  Certo. Se mai, faremo la colletta.

Ambrosia                      - Vi daremo ciascuna un pezzetto dei nostri.

Mirrina                          - Non vogliamo l'elemosina, noi!

Rondinella                    -  Non ne avrete bisogno. Quel giorno sarà festa generale! Gli uomini saranno tanti che, ve lo dico io, ne avanzeranno. E nell'attesa, godiamoci questi ultimi giorni che se hanno i loro inconvenienti pure di qualche pregio non mancano. (Pausa) Facciamo conto che sia una villeggiatura. (Alle campagne che la guardano stupite) Sì, non è forse la prima volta in vita nostra che viviamo tranquille, final­mente senza far niente, nell'ozio più completo, libere dai lavori della casa, senza lavare, senza stirare, senza rigovernare, senza doverci stillare il cervello a pensare che cosa metteremo oggi a tavola? (Da qualche tempo Lisistrata, a metà fuori della botola, sta ascoltando i loro di­scorsi).

Lisistrata                       - Bada, Rondinella, che tu stai par­lando male di quel tranquillo vivere in famiglia che vogliamo appunto vederci restituito dalla pace. (Viene avanti e si unisce alle altre donne).

Rondinella                    - (stupita) Sì, certo, purché però ci fosse comprensione da parte degli uomini. Invece, a sentirli, sono solo loro che lavorano, che sgobbano. Noi no, noi non facciamo niente. Noi parliamo soltanto o giochiamo a carte con le amiche. Non è così? Passiamo le ore ad affu­micarci in cucina e quando aspettandoci degli elogi, portiamo in tavola, ci sentiamo dire che quel piatto, quando lui era ragazzo, lo cucinava molto meglio sua madre e con una spesa infi­nitamente minore, non è così? Ci agghindiamo, ci facciamo belle, ci mettiamo una tunica nuova, e loro neppure se ne accorgono. Non è così?

Callizia                          - Proprio così. E come fanno presto a stancarsi di noi!  Sapete come mi chiama mio marito? (Pausa) La vecchia. Quando torna a casa: «Dove è la vecchia, ragazzi?» Come se anch'essi non invecchiassero insieme a noi!

Melania                         - Peggio! Dopo nemmeno un anno di matrimonio - il mio, poi, addirittura, dopo sei mesi - cominciano a mettere l'occhio sulle altre e fosse l'occhio soltanto, perché l'uomo, dicono, deve variare...

Mirrina                          - Mentre, invece, se ci azzardiamo a variare noi, casca il mondo!  (Tutte tacciono).

Rondinella                    - (troncando l'imbarazzo) Beh, tutto sommato, appunto, questa nostra villeg­giatura ha la sua parte di buono.

Callizia                          - E quando pensi, Lisistrata, che que­sta che Rondinella chiama villeggiatura, debba durare ancora?

Lisistrata                       - La fine potrebbe essere assai prossima. Domani sembra ci sarà l'incontro.

Ambrosia                      - Domani!

Lisistrata                       - Queste, almeno, le ultime notizie.

Ambrosia                      - Verrà qui il rappresentante degli uomini?

Lisistrata                       - Sì.

Callizia                          - Quello che vuole la guerra?

Lisistrata                       - Pare.

Melania                         - Locri, si chiama.

Rondinella                    - (sussultando) Locri?

Lisistrata                       - (con un cenno a Rondinella perché lei si mostri indifferente) Locri, già.

Melania                         - E chi è questo Locri?

Lisistrata                       - Ma, dicono un nuovo capo, non so. Venuto da pochissimi giorni ad Atene e pare si sia guadagnato le simpatie generali persua­dendo a continuare la guerra anche molti che s'erano già dichiarati per la pace.

Callizia                          - Un altro ambizioso, un altro di quelli che fanno dei morti i mattoni per la pro­pria statua. Ma avrà da fare con te, Lisistrata. Sono certa che riuscirai a persuaderlo. E allora sarà la pace, e allora lo faranno a te, il monu­mento, ma d'una pietra leggera come l'aria, bianca come la neve, risplendente come il sole!  

Lisistrata                       - (sorridendo) Ora non disperi più, Callizia? Grazie. (Rivolgendosi a tutte) Ho bi­sogno, sapete, della vostra fiducia, tanto biso­gno, quanto non potete immaginare. E non la deluderò. Non vi tradirò mai, amiche mie.

Rondinella                    -  Tradirci tu, Lisistrata?

Melania                         - Tu che sei riuscita nel miracolo di impedire a noi di tradire. Tu così forte, tu così superiore a tutte? Perché parli così? Come t'è potuto venire questo pensiero?

Lisistrata                       - Perdonatemi. Viene per tutti il momento anche se è un momento solo, della stanchezza, del dubbio. Ma ora è già passato. Sono tornata forte, amiche mie. (Pausa) Vi prego, adesso, di scendere. Devo rimanere sola con Rondinella per darle degli ordini. La notte è vicina. (Intanto le donne escono lentamente) E con la notte i pericoli raddoppiano. Non si deve trascurare niente. (Rimane sola con Rondinella per un poco, tutte e due in silenzio senza il coraggio di guardarsi mentre il cielo si arrossa della luce del tramonto).

Rondinella                    -  Locri. Hai sentito? Non so come non ho gridato nell'udire quel nome!

Lisistrata                       - Ed il mio cuore, per un attimo s'è fermato. (Cercando di scacciare l'assurdo pensiero che però la domina) Lo vedi, Rondinella? Facciamo delle grandi cose, forse passe­remo alla storia per questa impresa che è in­sieme la più seria e la più buffa che si possa immaginare, ma siamo pur sempre delle doni nette che solo per il suono di un nome che! almeno mille ateniesi portano, subito crediamo! al ritorno dei morti, e tremiamo come se una tiepida sera di primavera fosse una gelida notte! d'inverno. (Stringe le mani di Rondinella quasi per cercar conforto) Ma il mio Locri è morto! non può ritornare.

Rondinella                    -  L'hanno veduto cadere, Lisistra­ta. Niente altro.

Lisistrata                       - Sei pazza, Rondinella! Se noni fosse morto m'avrebbe mandato notizie, avreb­be trovato il modo di venirmi a trovare, oppure ch'io andassi da lui... No no, è impossibile. Mi amava troppo per lasciarmi così, in un dolore,)  in un lutto che non gli era difficile immaginare,) Il mio Locri non c'è più, Rondinella. Questo è un altro che per avventura porta il suo stesso)  nome ed è bene, forse, che sia così, perché dal, suo nome io trarrò meglio la forza per indurlo)  a rinunciare alla guerra...

Rondinella                    -  Forse è così come dici, Lisistrata,! E' quasi certo, anzi, che sia così. Ma...

Lisistrata                       - Di'?

Rondinella                    - (fissandola negli occhi) Se fosse lui?

Lisistrata                       - (per un poco rimane in silenzio) Se fosse lui?...

Rondinella                    - (non cessando di guardarla negli occhi) Troveresti la forza di respingerlo? Oh non potrebbe avvenire che anziché tu persuaderlo, riuscisse lui, Lisistrata, a persuadere te?

Lisistrata                       - Credi che questo sarebbe possibile?

Rondinella                    -  L'amore, Lisistrata...

Lisistrata                       - E io non sono una donna forte! più forte di tutte, anche dell'amore?

Rondinella                    -  Guai se non lo fossi. Io rivedi! I mio marito e sarebbe, da una parte, la felicità ma non potrei più credere in te, Lisistrata, non potrei più stimare te che reputo più che una donna... una Dea, (Indicando la statua di Diana Cadesse questa statua, giungo a dire che non me ne importerebbe. Cadessi tu, per me crollerebbe il mondo. (Pausa) Preferisco non rivedere mio marito. (Pausa) Non so dirti altro, Lisistrata. (Le si inginocchia ai piedi. Scende piano piano l'ombra della sera. Le due donne rimangono così per un poco, Rondinella ingi­nocchiata, Lisistrata meditando. Quando, im­provvisamente le scuote l'incalzante squillare d'una campana. Immediatamente esce dalla bo­tola e attraversa la scena Callizia che va a ingi­nocchiarsi dinanzi alla statua di Diana, mentre Lisistrata e Rondinella appaiono in attesa dì sapere che cosa sia avvenuto).

Callizia                          - (rapidamente, nel tono delle litanie) « Pura come l'aria della più limpida notte d'inverno, gelida come la luce della luna... (Con­tinua in un lungo, rapido borbottio e intanto escono dalla botola agitatissime Mirrina, Me­lissa, Ambrosia, Elena, Melania).

Rondinella                    - (alle sopravvenienti) Ma chi è questa disperata che s'aggrappa alla fune con tanta forza? (Non ottenendo risposta dalle agi­tate, si rivolge a Callizia) Tu, che la stai osses­sionando, quella poveretta         - (indicando Diana) e un giorno o l'altro finirà col vendicarsi precipitandoti addosso, si può sapere, per chi è che preghi? (La campana cessa di suonare).

Callizia                          - (smettendo) Per la povera Leontina.

Lisistrata                       - (stupita) Per Leontina?

Ambrosia                      - Sì, per Leontina. Improvvisamente, mentre stavamo parlando insieme, così come parliamo adesso noi, improvvisamente, dico, è come impazzita e alla prima campana che ha trovato s'è aggrappata alla fune e, giù, pian­gendo e gridando, come per i ladri o per un incendio.

Rondinella                    -  Leontina! Sembrava così tran­quilla, così rassegnata...

Ambrosia                      - Un ossesso, ti dico, mai nessuna di noi, guarda, anche la più tentata, ha suonato in modo simile.

Melania                         - Da strappare la corda!  

Rondinella                    -  E dov'è adesso? (Fa per andarla , a cercare).

Lisistrata                       - (trattenendola) Fermati, sarà qui tra poco. La condurranno qui le cortigiane. (Alle altre che si agitano e fanno confusione) Calmatevi voi, ve ne prego, o anch'io qui finirò per perdere la testa. (Vedendo Leontina che seguita da due cortigiane esce dalla botola) Leontina, bambina mia, ma cosa t'ha preso? (Le donne si fanno intorno alla ragazza impe­dendole di avvicinarsi a Lisistrata) Lasciatela passare, lasciatela passare!  (Aprendo le braccia nelle quali Leontina piangendo si rifugia) Pian­gi, sì, piangi, povera bambina mia, povera sposetta piccola piccola, che noi cattive teniamo qui prigioniera. Piangi... (Alle altre che si accalcano intorno) E voi fate largo, scostatevi per tutti gli Dei, non toglietele quel poco d'aria, quel poco di cielo che le son rimasti.

Callizia                          - « Pura come l'aria della più lim­pida... ».

Lisistrata                       - E tu taci, pazza, maniaca! (Cal­lizia tace. Le donne fanno largo) Leontina, puoi parlare.

Leontina                        - (tra i singhiozzi) Perdonami, Lisi­strata. Non so, non so come abbia fatto, credi, che non finirò mai di vergognarmi. Come tutte le altre!  Sono caduta come tutte le altre.

Lisistrata                       - (dolcemente tentando di sollevarle il viso che si ostina a tener basso) Ebbene, non sei forse una donna anche tu, Leontina? (Fa cenno alle altre di allontanarsi ancora ed esse eseguono) Non c'è da vergognarsi... (Por­tandola verso il sedile, facendola sedere) Ma che pensiero t'è venuto? Di'?

Leontina                        - (trasognata) Che pensiero?

Lisistrata                       - Sì, non so, t'è venuto desiderio...

Leontina                        - (c. s.) Desiderio?

Lisistrata                       - Parla, cara. Se vuoi parla a me sola. (Alle altre) Voi, ragazze, non l'ascoltate. Vero che non l'ascoltate?

Rondinella                    - (smentendo ciò che dice con l'at­teggiamento simile a quello dì tutte le altre, di chi non vuol perdere una parola) No, Leontina, ti giuro che noi non sentiamo niente.

Lisistrata                       - (accarezzandola sui capelli) E la ghirlanda di fiori, povera Leontina, che tieni sempre intorno al capo, l'hai perduta? (Vede in terra qualcosa) No, eccola qui caduta ai tuoi piedi. (La raccoglie) Ma è nuova, fresca, fatta di fiori colti oggi! (L'annusa) E odorano.

Leontina                        - (sorridendo fra le lacrime) Sì, da qualche giorno, Lisistrata, tutte le mattine me ne faccio una nuova e getto via l'appassita. Forse non mi dite sempre, voi tutte, che il giorno della pace è vicino?

Lisistrata                       - Sì, è vicino. (Le pone sul capo la ghirlanda) Ecco, così, per essere pronta, vero, a ricevere il tuo Nereo e apparirgli con questa veste candida, con questi fiori freschi così com'eri quel giorno...

Leontina                        - Sì, Lisistrata. (Sorride).

Lisistrata                       - Vedi che sei tornata serena? (In­dicando il cielo che comincia a punteggiarsi di stelle, mentre le due cortigiane, rimaste in di­sparte, accendono le lampade e il fuoco e poi escono) Sei proprio come una di queste gior­nate di primavera, un momento nuvolo, un mo­mento celeste, e il pianto che ti scende lungo le gote serve a illuminarti di lacrime il sorriso. E' così, Leontina? Ti senti di parlare?

Leontina                        - (candida) Ecco, io vorrei tanto rivedere Nereo.

Callizia                          - Sì, eh! O povera animuccia! (Iro­nica) Vorrebbe rivedere il suo Nereo!  Come se ci fosse qui, anche solo una che non volesse rivedere suo marito.

Leontina                        - (soavemente) Ma Nereo non è mio marito!

Mirrina                          - Come non è suo marito?

Lisistrata                       - Lo sai, Mirrina: è suo marito per modo di dire.

Mirrina                          - E che significa? E' un uomo e poiché qui la legge è uguale per tutte, ecco che, come tutte le altre, non può rivederlo. (Pausa) E' un discorso finito. Non c'è da aggiungere niente.

Lisistrata                       - (felice d'averlo lasciato dire a Mir­rina) Capisci, Leontina? C'è una legge, non si può. Il tuo caso, è vero, è un po' diverso ma non si può mandare te da Nereo, e costringere le altre a rimanere. (Pausa) Ma come mai, all'improvviso t'ha preso così forte questo desiderio?

Leontina                        - (candida) Perché Nereo è qui, sotto le mura.

Mirrina                          - Come lo sai?

Leontina                        - (c. s. mostrando un foglietto a Lisi­strata) M'ha mandato questo biglietto.

Lisistrata                       - Per mezzo di chi, scusa?

Leontina                        - D'Aspasia. (Un po' di silenzio).

Mirrina                          - (con dispetto) Queste cortigiane! A me, alle altre, mettono le mani addosso, e ci buttano in cella di rigore. A costei fanno da...

Melissa                          - (brevemente) Da intermediarie. (In­tanto Aspasia è apparsa).

Aspasia                         - Sono venuta perché tu mi punisca, Lisistrata, ma non c'è fedele sentinella che, un giorno, non rompa la consegna e non faccia ciò che il regolamento le vieta ma il cuore le impone di fare.

Lisistrata                       - (colpita) Il cuore?

Aspasia                         - Ogni altr'uomo che m'avesse pregato, scongiurato, non gli avrei dato ascolto, ma Nereo non lo avevo mai visto. E' l'unico dei mariti di quante son qui che non sia stato mai ospite della mia casa. L'unico che ignori le penne di pavone. L'unico che ami veramente e soltanto sua moglie. E Leontina è l'unica che ami veramente suo marito.

Callizia                          - Perché non l'ha ancora avuto! (Ad Aspasia) E ti sei lasciata impietosire?

Aspasia                         - Come ti saresti impietosita tu. Ma ho trasgredito, e aspetto il castigo, Lisistrata.

Lisistrata                       - Volevi andar giù da Nereo?

Leontina                        - Sì, volevo andare da Nereo. (Pausa) Volevo andare a sapere, Lisistrata, che cosa sia questa felicità che ho giurato di sacrificare, ma che non conosco. Io non ho provato mai, ca­pisci?, le dolcezze del piacere cui m'avete fatto rinunciare. Vi ho rinunciato prima d'assapo­rarle. (Pausa) Ne sento parlare continuamente e vedo che gli occhi s'accendono, che le labbra I tremano, che i visi impallidiscono tanto grande,! tanto vivo questo piacere dev'essere. (Pausa)\ E io non so niente.

Mirrina                          - (astiosa) Come se ormai ne sapessi più qualche cosa anch'io.

Leontina                        - Se mi domandano: « Ma che! cos'è, dimmi, ciò di cui hai giurato di privar-! ti? », debbo rispondere: « Non so ». (Alle altre)Voi invece lo sapete, voi lo conoscete, e ne soffrite, e appunto per questo è ammirevole ili vostro sacrificio. Voi le avete provate le gioie! che ora così dolorosamente rimpiangete... Mal io che cosa desidero? che cosa rimpiango?! quale sacrificio ho fatto? a che bene ho rinunciato? Voglio rinunciarvi anch'io, ma dopo averlo provato. (Pausa) Il giuramento che ho fatto non vale, Lisistrata. Come dire a una rondine che sia ancora nel nido: « Giura che noni volerai più!  ». E non ha ancora volato. « Giurai che non vedrai più il mare, i fiumi, le foreste  e non li ha ancora veduti. (Pausa) Il mio giuramento varrà, e ne avrò tutto il merito, mal soltanto dopo, capisci? Mi comprendi, vere» Lisistrata? Mi comprendete, amiche? (Con art dente implorazione) Ch'io solo una volta assapori la felicità cui ho giurato di rinunciare, che solo una volta mi tremino le labbra e mi sii schiudano gli occhi per il piacere che non ho! mai provato e poi           (stendendo il braccio versoi la statua di Diana) ve lo giuro su quell'imma­gine, tornerò qui, pari a voi nel sacrificio, pari a voi nella grandezza della rinuncia. (Cade in ginocchio, serena, sorridente, fiduciosa, dinanzi a Lisistrata mentre tutte le donne tacciono)

Lisistrata                       - Dove t'aspetta, Nereo?

Leontina                        - (levandosi di scatto e avvicinandosi al parapetto) Proprio qui sotto. Se non fossi buio, affacciandosi lo si vedrebbe. (Sì sporm e accenna a chiamarlo).

Lisistrata                       - (mettendole prontamente una mm no sulla bocca) Taci, sei pazza? (Guardando verso Aspasia sempre rimasta immobili) Aspasia!

Aspasia                         - Una corda, vero? Ne ho sequestrata centinaia. (Esce completamente dalla botola e va verso il parapetto tenendo una scala di corda che lascia cadere nel vuoto fissandone poi l’estremità al parapetto. Tutte le donne, immobili, tacciono. La notte è chiara. Brilla di stelle» Aiutata da Aspasia e Lisistrata, Leontina scavalca agilmente il parapetto e si accinge a discendere.

Lisistrata                       - (in un soffio di voce accomodandole sul capo la ghirlanda) I fiori, aspetta. Ch'egli ti veda con la ghirlanda. (Lentamente Leontina discende meravigliosamente bianca nella notte. Sparisce. Le donne sempre mute, immobili; tutto a un tratto Callìzia va verso la statua d'Artemide e sì inginocchia).

Callìzia                          - « Pura come l'aria, più limpida della più limpida... ».

Lisistrata                       - (immediatamente, afferrandola alle spalle e costringendola a rialzarsi) Ah! No, questa volta no, sarebbe il colmo pregare la Dea della castità. Ti sembra il caso? (Mentre cala la tela).

QUADRO TERZO

Buio. Poi appare un angolino con nient'altro che una colonna spezzata per terra. Da una parte, una porticina. Su una colonna è seduto il Presentatore che regge sulle ginocchia Leontina addormentata. La ghirlanda è in terra.

Il Presentatore               -  La riconoscete? Povera ra­gazza! Ai piedi della scala ha trovato me invece di Nereo. (Pausa) Nereo, poveretto, è vera­mente disgraziato. L'anno passato aveva ap­pena fatto scorrere l'anello lungo il dito della sposa, che se lo portarono via. Stanotte aspet­tava tremante, ai piedi della scala, e già vedeva, levando il viso, discendere l'ombra bianca di Leontina, quando via un'altra volta! (Pausa) Ordine di Locri. Tutti i militari consegnati nelle caserme. si parte per la guerra, o, finalmente, si rimane per la pace? Non si sa. Tutto dipende dall'incontro di domattina. (Guardando il cielo ormai chiaro) Anzi, no, di stamattina perché è già l'alba, l'alba di una notte passata con questa sposina leggera leggera fra le braccia. (Guar­dandola con tenerezza) Ha avuto paura, da prin­cipio, poi ha pianto disperata, poi, come sempre avviene alla sua età, che non c'è dolore che resista al sonno, s'è addormentata come una bambina e solo adesso torna ad aprire gli occhi... (Dolcemente sorridendole) Leontina! (Leontina si stropiccia gli occhi, si leva a se­dere, si guarda intorno, riconosce il Presenta­tore, gli si appoggia col capo sulla spalla) Oh, brava. E' giorno, sai. Ed è tempo che tu rientri. Nereo? Eh, Nereo lo vedrai, ma non subito. (Leontina lo guarda fiduciosa) Presto, presto, certamente. Forse oggi stesso. (Guardando in alto) Tutto è nelle mani di Lisistrata. Adesso, ad ogni modo, è bene che tu ti metta al sicuro. Se i soldati escono dalle caserme, bambina, di questa veste nuziale non rimane un granellino. Vieni con me. (La prende per mano, va verso la porticina e picchia. Appare Aspasia) Ripren­dila, è sana e salva. Poi lei stessa ti racconterà. (A Leontina, che è sulla soglia) Addio, ragaz­zina. (Vedendo in terra presso la colonna la ghirlanda) Aspetta. (La raccoglie) No, è appas­sita. (C'è presso la colonna un alberello fiorito) Te ne faccio una nuova con un ramoscello. (Getta via l'appassita, le pone sul capo la nuo­va) E con l'augurio, Leontina, che questi fiori, che pure non durano che poche ore, il tuo Nereo li colga non ancora appassiti. (Leontina, sorridendo, rientra. La porta si chiude e sul Presentatore, fermo nell'atto dell'augurio, si fa buio. Poi percorre da sinistra a destra la lìnea della ribalta, e giunge nell'angolo opposto nel momento in cui questo s'illumina ed entra cor­rendo Nereo. Si urtano).

Il Presentatore               -  Giovanotto!  

Nereo                            - Perdonami!

Il Presentatore               -  Chi sei?

Nereo                            - Nereo.

Il Presentatore               -  L'avrei giurato. Scappato dalla caserma?

Nereo                            - Sì.

Il Presentatore               -  Troppo tardi. Leontina è rientrata. (Vedendo il suo dolore, gli si avvicina e gli mette una mano sulla spalla) Sei poco fortunato, ragazzo mio.

Nereo                            - (sedendosi) Non faccio che perderla.

Il Presentatore               -  Sei giovane. Hai dinanzi a te tanto tempo... E chi sa, poi, se sei davvero sfortunato... (Guardando in alto) Potrebbe es­sere, al contrario, un segno della protezione degli Dei... Ti salvano sempre all'ultimo mo­mento, Nereo.

Nereo                            - (stupito) Salvarmi da chi? dalla mia Leontina?

Il Presentatore               -  Ma l'ami tanto?

Nereo                            - Solo che io chiuda gli occhi... Guarda. (Chiude gli occhi e appare, illuminata, Leontina seduta sullo stesso suo sedile. I due si guardano ma senza potersi avvicinare e rimangono in estasi fino a che, toccandolo sulle spalle).

Il Presentatore               -  Giovanotto...

Nereo                            - (trasalendo e ridestandosi mentre Leon­tina sparisce) Perché mi strappi al mio sogno?

Il Presentatore               -  Primo, perché voglio evitarti il pericolo, avendo troppo amato in sogno la realtà di domani, di rimanere deluso... secondo (accennando ai tre uomini che entrano) perché vorrei sapere i nomi di quei tre là, che s'av­vicinano.

Nereo                            - Quello che sembra faccia la ruota, tanto è tronfio e sicuro di sé...

 

Il Presentatore               -  ... E' Timandro, scommetto.

Nereo                            - Precisamente.

Il Presentatore               -  E l'altro?

Nereo                            - (preso da paura) L'altro, Santi Numi, è Locri, il mio comandante, e s'egli mi vede qui... mettiti dinanzi a me.

Il Presentatore               -  Non temere. E' troppo preso dalla conversazione... Un bellissimo uomo, mi sembra.

Nereo                            - E ti pare che sia gran virtù per un guerriero?

Il Presentatore               -  Quando ci si debba battere con le donne, sì. Ma sta' zitto, Nereo, voglio ascoltarlo. (I tre vengono avanti)

Timandro                      - Guarda, Locri, io se fossi in te, non avrei il minimo dubbio.

Locri                             - No, dici?

Timandro                      - Ma col tuo fisico, hai la guerra nelle mani, te lo dico io!

Locri                             - Credi?

Timandro                      - Modestamente, sai, di donne m'in­tendo. E poiché quanto ad aspetto, benché tu sia un poco più alto, siamo lì... (Confidenzial­mente) ... Noi due, Locri, siamo di quelli che piacciono alle donne... Quanto, poi, a modo di fare, credo che anche tu... E con le donne, sai, i complimenti sono un errore... Io non mi sdilinquo, io non perdo tempo a corteggiare... io prendo! Perché non andiamo insieme? Mentre tu t'intrattieni con Lisistrata, io potrei svolgere un lavoro altrettanto utile...

Il Presentatore               -  Dunque, Locri, se posso per­mettermi di rivolgerti una domanda, avremo la guerra o la pace, stamattina?

L’Ufficiale                    - (esaltato) La guerra, certamente. Le truppe sono già pronte a partire.

Il Presentatore               -  Ma se Lisistrata non cede? Le truppe sono pronte, sì, ma non partiranno se non dopo il ritorno a casa di tutte le donne. I patti sono stati stabiliti chiaramente.

L’Ufficiale                    - (tranquillamente, con grande sicu­rezza) Lisistrata cederà.

Timandro                      - (al Presentatore accennando a Locri) Con quel fisico!

Locri                             - No, Timandro, tu non conosci Lisi­strata.

Timandro                      - Conosco le donne, Locri.

Locri                             - Non puoi parlare di lei come di una donna qualsiasi.

Timandro                      - Sei furbo, tu. Vuoi, se riesci, accre­scere il tuo merito, e, preparati, se non riesci, una giustificazione. Dubiti, non sei certo del buon esito... Avrebbero fatto mille volte meglio a mandar me!

Locri                             - (gravemente) Lisitrata non è una donna che si conquisti come tu credi. E' superiore ad ogni debolezza, ad ogni tentazione.

Il Presentatore               -  E perché allora, Locri, ti sei con tanta sicurezza offerto di affrontarla! Se non cede, e non permette alle donne di fari ritorno a casa, tu perdi di colpo tutto il tuo prestigio.

Locri                             - C'è solo un uomo al mondo capace di imporre la propria volontà a Lisistrata, e quell'uomo sono io.

Il Presentatore               -  Mi sembri troppo sicuro di te.

Locri                             - Un anno fa chi mi conosceva? Oggi dopo Alcibiade, sono il primo degli ateniesi Domani, e non dopo Alcibiade, sarò il primi di tutti i Greci. E tu vuoi che una donna, una donna che ho già nelle mani, possa arrestarmi nel mio cammino?

L’Ufficiale                    - (esaltato) Tra venti giorni saremo a Sparta!  (Lontano squilli di tromba) Andiamo, Locri. Sono le trombe che annunciano! a Lisistrata la tua visita! (I tre escono).

Il Presentatore               -  Ahimé, ho paura davvero che questo Locri riuscirà a persuadere Lisistrata! (Battendo la mano sulla spalla di Nereo) Povero Nereo. Addio speranze di pace.

Nereo                            - (disperato) E Leontina, quando la rivedrò se non nei sogni? (Supplichevole al Presentatore) Dimmi tu, aiutami tu, che posso fare?

Il Presentatore               -  Niente, appunto, povero amico mio, se non chiudere gli occhi e contentarti del sogno. (Nereo chiude gli occhi, e mentre l'angolo si oscura il Presentatore esca Nereo diviene invisibile, appare illuminati Leontina, sempre seduta all'altra estremità sedile. Poi piano piano comincia ad appanni la scena del quarto quadro, e mentre la luce su Leontina, che diviene creatura reale, si attenua, viene invece illuminandosi quella di Nereo che è lui, adesso, a divenire immagine il sogno).

QUADRO QUARTO

Rondinella                    - (a Leontina che continua a fissare Nereo) Non fai che sognarlo.

Leontina                        - Credo che per tutta la vita noni potrò far altro, se è vero, come si dice, che la guerra verrà ripresa.

Rondinella                    -  Chi è che lo dice?

Leontina                        - Tutte.

Rondinella                    -  Dubitiamo di Lisistrata?

Leontina                        - Locri è troppo un bell'uomo, nessuna donna potrà resistergli. (Vedendo Rondinella turbata) Nemmeno tu hai fiducia. (Pausa) Di', se Lisistrata cedesse...

 

Rondinella                    -  Impossibile.

Leontina                        - (insistendo) Se Lisistrata cedesse, si tornerebbe tutte a casa, vero?

Rondinella                    -  Certo.

Leontina                        - E gli uomini?

Rondinella                    -  La mattina dopo, partenza per

la guerra.

Leontina                        - (guarda l'immagine) Perciò potrei stare con te, Nereo. Tutta una notte. (Pausa) Forse è meglio che venga la guerra, Rondinella. Moriremo tutti, ma avrò una notte d'amore. La prima e l'ultima. L'unica. E gli Dei, ne sono certa, ritarderanno il sorgere del sole. L'hanno già fatto altre volte, vero?

Rondinella                    -  Sì, ma non t'illudere. L'hanno fatto per personaggi importanti. (Suoni di trom­ba dall'esterno. Leontina trasale, viene strap­pata al sogno. Nereo comincia a svanire).

Leontina                        - Nereo! Amor mio! (Nereo svani­sce. Tutte le donne, tranne Lisistrata e Callizia, irrompono in scena agitatissime).

Rondinella                    - (preoccupata) Ragazze, calme! Ragazze, ferme! Ragazze non perdete la testa! Siamo a un passo dalla pace. Un'imprudenza potrebbe guastare tutto. Perciò calma, indiffe­renza... guardate me. (E' agitatissima) ... sono tranquilla, fredda, un pezzo di ghiaccio... (Tutte agitate) Anche voi, mi raccomando... oppure in un attimo salta in aria tutta una fatica di mesi. Conoscete gli ordini di Lisistrata. Quando sa­ranno qui...

Mirrina                          - Quanti sono?

Rondinella                    -  Due.

Melissa                          - Locri...

Rondinella                    -  E il suo aiutante.

Mirrina                          - Licone.

Rondinella                    - (mesta) L'aiutante di Locri non può essere che un alto ufficiale.

Ambrosia                      - Timandro?

Rondinella                    -  Può anche darsi.

Ambrosia                      - Questa volta gli volo fra le braccia.

Rondinella                    -  Se fai un passo, in cella.

Ambrosia                      - Volerà lui da me.

Rondinella                    -  Ha promesso solennemente che neppure ti guarderà.

Ambrosia                      - Ma è crudele!  

Rondinella                    -  E' necessario.

Mirrina                          - (a Rondinella) Dunque, dicevi quando entreranno...

Rondinella                    -  ...voi, come se il loro apparire non vi facesse né caldo né freddo, dovete, dopo un saluto cortese ma freddo, tranquillamente allontanarvi e lasciarli soli.

Melissa                          - Andiamocene adesso, allora. E' più prudente. Non garantisco.

Rondinella                    -  Dovete rimanere. E' un'idea di Lisistrata. La vostra indifferenza deve dar loro l'impressione che di loro non c'importa più niente. (A Lesbia e Rugiadina) Voi venite qua, in prima fila.

Lesbia                           - Guardandoci negli occhi? (Eseguono).

Rondinella                    -  Guardandovi negli occhi.

Mirrina                          - E' stomachevole!

Rondinella                    -  Ma ferirà il loro amor proprio. Più ancora che sul desiderio dobbiamo giocare sull'orgoglio.

Mirrina                          - Giusto! Ma se ce ne andiamo, chi farà gli onori di casa?

Rondinella                    -  Lisistrata ha avuto una trovata. Gli onori di casa li farà la Pace?

Elena                             - La Pace?!

Rondinella                    -  Sì, la Pace in persona, o, più precisamente, Callizia vestita da Pace. Farà molto effetto, vedrete. (Incredulità) Come no! I simboli hanno sempre la loro grande impor­tanza. Locri e Timandro vedranno nella casti­gata veste e nell'austero portamento di Callizia l'espressione della nostra ferma volontà di im­pedire la guerra.

Ambrosia                      - E potremo fidarci di Callizia?

Rondinella                    -  Ha pregato tutta la notte. (Si rinnovano, più vicini gli squilli di tromba. Le donne entrano in maggiore agitazione. A un segno di Rondinella entrano Aspasia e le corti­giane) Ferme, tranquille! (Le allinea. Entrano Locri e Timandro) Frigide! (Locri è indiffe­rente. Timandro si volge dall'altra parte per non vedere Ambrosia che sta per gridare; Aspasia le chiude la bocca con la mano. Lesbia e Rugiadina passano davanti a Locri e Timan­dro tenendosi strettamente abbracciate e guar­dandosi negli occhi. Dopo di esse, tutte le altre sfilano davanti ai due uomini, al cui saluto non rispondono se non con un piccolo cenno del capo. Chiudono la marcia Aspasia e corti­giane. I due uomini non credono ai propri oc­chi. Le campane suonano. Entra Callizia vestita da Pace).

Callizia                          - « Pura come l'aria della più limpida notte d'inverno, gelida come la luce della luna... ». (Giunge dinanzi ai due uomini e gravemente) Siate i benvenuti nell'Acropoli, illustri guerrieri, e il ramoscello d'olivo colto stanotte mentre il raggio della luna lo inargentava dia a te,

Locri                             - (gli offre un ramoscello) e a te,

Timandro                      - (lo offre anche a lui) il nostro paci­fico saluto.

Timandro                      - (galante) Chi sei tu, dolce creatu­ra? (Le gira attorno guardandola con desiderio).

Callizia                          - (turbata) La Pace.

Timandro                      - Voglio dire da borghese.

Callizia                          - La Pace. Nient'altro che la Pace.

Timandro                      - (prendendola per i polsi e sedendo) Bene, carissima e simpaticissima Pace, vuoi metterti a sedere sulle mie ginocchia?

Callizia                          - (esita, sta per cedere, poi si svincola, corre ai piedi della statua dì Diana, s'inginoc­chia) « Pura come la più limpida delle notti... ».

Timandro                      - (inseguendola) Come hai detto? Pura come la più limpida...

Callizia                          - Piantala.

Timandro                      - (si siede e l'attira sulle proprie gi­nocchia) Siediti. (Callizia esegue, respingen­do sempre più debolmente i suoi tentativi di abbracciarla, mentre Locri rimane in disparte) Basta, adesso, con le smorfie. Togli le ali. (Cal­lizia si ribella, cerca di sottrarsi).

Callizia                          - Timandro, lasciami, te ne scongiuro!  

Timandro                      - (riattirandola a sé) Le ali soltanto. (Comincia a spiumarla. Una gran nube di piu­me) Guarda che bella gallina, Locri! (Locri guarda sorridendo, ma col distacco di chi at­tende ben altra preda).

Callizia                          - (difendendosi sempre più debolmente) Diana, perdonami! (A Timandro che le sta togliendo il manto) Credi che mi perdonerà?

Timandro                      - Diana è cacciatrice, mia cara. (Dopo averle tolto il manto, le toglie la sotto­ veste, le gira intorno compiaciuto) L'uomo è cacciatore. C'intendiamo, io e Diana. (Carezzando Callizia e guardando Locri) Guarda che bella fagiana spiumata! Non c'è bisogno di aspettare tre giorni per mangiarla... E' già frollata!

Callizia                          - (illanguidita) Timandro, mangiami.

Rondinella                    - (entrando) Callizia!

Callizia                          - (getta un grido e fugge tirandosi die­tro, per un lembo, il mantello raccattato in fretta e furia. Timandro la insegue. Entrano Aspasia e le cortigiane che prendono Callizia e la tengono ferma).

Rondinella                    - (a una cortigiana che sta raccattan­do quanto Callizia ha lasciato) Il manto, la sottoveste, i ramoscelli d'olivo, le ali... (Ve­dendo che sono disperse sul pavimento, piuma per piuma) Le ali lasciatele lì, non c'è più niente da fare... Datele tutto. (La cortigiana ed un'altra che le si è unita nel raccattare restituiscono tut­to a Callizia) ...e portatela via! (Si avviano per uscire. Passando dinanzi alla statua, sembra che stia per inginocchiarsi. Rondinella ironica­mente) « Pura come la più limpida fra le più limpide... ».

Callizia                          - (con un ruggito scaglia il tutto sulla faccia di Diana, poi s'allontana correndo seguita da Aspasia e dalle cortigiane).

Rondinella                    - (con le mani nei capelli) Se la Pace si comporta così, figuriamoci le altre, - (Esce).

Timandro                      - (ridendo, a Locri) Hai visto? Ho fatto cadere la Pace in persona. Figurati, tuse non fai cadere Lisistrata.

Locri                             - Dici?

Timandro                      - Ma non le vedi che sono pere mature in attesa del filo di vento che le faccia cadere?

Locri                             - Lisistrata è un'altra cosa.

Timandro                      - E' donna anche lei!

Locri                             - (pavoneggiandosi) Come ti sembro?

Timandro                      - Splendido. T'avvicini al Timandro delle giornate migliori. Cadrà al primo colpo.

Rondinella                    - (entrando con Aspasia) Ti prego di seguire Aspasia, Timandro. Nessuno dovrà ascoltare il colloquio di Lisistrata con Locri.

Timandro                      - In bocca al lupo, Locri. (Guar­dando la statua di Diana) Che la Cacciatrice ti protegga!

Locri                             - (sicuro di sé, ringrazia con l'aria di eh non ha bisogno di nessuna protezione).

Timandro                      - (a Rondinella) Devo seguire Aspasia? Volentierissimo. (Fa per prendere sotto braccio la cortigiana, ma questa lo respinge.  Timandro ad Aspasia, rievocando) Il tuo bel cagnolino d'oro!

Aspasia                         - (spingendolo verso l'uscita) Cammina!

Timandro                      - (fa un gran gesto di rassegnazione poi, voltandosi verso Locri) Non ti scoraggiare, Locri. Non tutte le donne sono cortigiane» (Esce seguendo Aspasia).

Rondinella                    - (si getta ai piedi di Locri) Ti scoi» giuro, Locri, non far cadere Lisistrata!  Sarebbe la rovina di tutto, ma soprattutto, per lei, la vergogna. Se l'ami ancora, se vuoi che le donne greche continuino a stimarla e a rispettarla…. (Locri la guarda divertito) Non farla cadere...

Locri                             - (alzandosi in piedi, con impeto eroico)fa' cadere me, piuttosto!

Lisistrata                       - (apparendo) Chi è che vuol cadere?

Rondinella                    - (confusa) Perdonami, Lisistrata.

Locri                             - (ironico) Si voleva sacrificare.

Lisistrata                       - (a Rondinella) Vai.

Rondinella                    - (a Locri) Conosci Licone?

Locri                             - Non conosco nessun Licone.

Rondinella                    -  Ecco, i generali, come conoscono i loro migliori soldati! (Uscendo, a Lisistrata) Da te dipende la nostra sorte, Lisistrata!

Lisistrata                       - Vai. (Rondinella esce) Ha paura per me.

Locri                             - Paura di che?

Lisistrata                       - Che rivedendoti...

Locri                             - Bene?... (Cerca di prenderle le mani, ma Lisistrata si sottrae).

Lisistrata                       - ... io possa cedere.

Locri                             - (avanzando; Lisistrata arretra) E in­vece tu?

Lisistrata                       - (con un leggero tremito nella voce, ma decisa) Io non cederò mai. (Si siede) Non ti siedi?

Locri                             - (rimane in piedi) Lisistrata.

Lisistrata                       - Dimmi, Locri. Era tanto tempo che non sentivo la tua voce.

Locri                             - Ti piace ancora?

Lisistrata                       - (c. s.) Credo di sì.

Locri                             - (inginocchiandosi vicino a lei e cercando di accarezzarle i capelli) Tutto credevo...

Lisistrata                       - (sottraendosi alle carezza e alzandosi in piedi, così che anche Locri debba alzarsi in piedi) Tutto credevi?...

Locri                             - Tutto credevo, tranne che m'avresti accolto così...

Lisistrata                       - (sempre cercando con grande sforzo di apparire distaccata) Come?

Locri                             - Freddamente. (Con uno slancio, in cui però si avverte l'uomo che recita) Ed io non torno, come tanti altri, da nient'altro che da una lunga assenza! (Pausa) Io torno dalla morte, Lisistrata! E vedo dalla tua veste che m'hai pianto!

Lisistrata                       - (con slancio sincero) Sì, t'ho pianto, Locri! (Ricomponendosi e cercando di tornare al distacco di prima) Ma forse più di quanto non meritassi.

Locri                             - E' vero, avrei dovuto farti sapere...

Lisistrata                       - Non una notizia, invece! Anni e anni come fossi morto davvero.

Locri                             - Subito non avrei potuto. Rimasi più di tre mesi fra la vita e la morte.

Lisistrata                       - (guardandolo) Ma poi, guarito, e sempre più avvicinandoti ad Atene...

Locri                             - Volevo farti un'improvvisata.

Lisistrata                       - A rischio di farmi morire.

Locri                             - (scherzosamente, cercando di abbrac­ciarla) Non sei morta.

Lisistrata                       - (sottraendosi) Perché ho saputo prima.

Locri                             - Cos'hai provato?

Lisistrata                       - (con passione) Quel che può provare chi credendosi condannato alla notte eterna, vede improvvisamente rinascere il sole!

Locri                             - Mi ami sempre!  Come allora!

Lisistrata                       - Più di allora! Però...

Locri                             - (con irruenza) Non c'è però! Anch'io ti amo più di allora?

Lisistrata                       - Più della guerra?

Locri                             - Cosa c'entra la guerra con l'amore?

Lisistrata                       - (mestamente) Sempre la tua am­bizione, Locri. Sempre questa tua ambizione più forte di ogni altro sentimento.

Locri                             - Un tempo non mi dicevi così. Un tempo non t'accorgevi neppure ch'io fossi ambizioso. Mi seguivi in tutti i miei sogni, e te ne esaltavi più di quanto non me ne esaltassi io.

Lisistrata                       - Perché, immersa com'ero nel no­stro amore, non sapevo niente di quel che avve­nisse fuori di me e di te. Ma dopo la notizia della tua morte, Locri, vidi per la prima volta la realtà, ed il bello, eroico sogno di quella guerra che sembrava fosse stata inventata dagli Dei solo per dar gloria a te, m'apparve in tutta la sua miseria, in tutta la sua crudeltà, in tutto il suo orrore. Gli Dei l'avevano inventata per farti morire, per toglierti a me, per toglierne mille altri a mille altre donne che come me, Locri, soffrivano, che come me, piangevano e maledicevano, cadute com'erano da spose del cuore più rosso e vivo che mai battesse al mondo, della voce più cara che potesse riso­nare, delle braccia più forti che potessero strin­gere, a spose d'un'ombra, a spose d'un fantasma, a spose d'un mucchio d'ossa. (Decisa) Io non la voglio più la guerra, Locri. (Pausa) E l'ambi­zione, i sogni per cui ieri t'ammiravo, oggi li condanno e li disprezzo!

Locri                             - Ma questo è un comizio.

Lisistrata                       - (amara) Non capisci niente.

Locri                             - Ti sei messa in politica.

Lisistrata                       - (lo guarda con dolore).

Locri                             - (sentendo che s'allontana) Ed io ch'ero venuto qui pieno d'amore, di desiderio...

Lisistrata                       - Sii sincero. Mi ami ancora, Locri? (Pausa) Non che tu mi abbia mai amata tanto...

Locri                             - Non è vero, Lisistrata! T'ho amata e t'amo con tutta l'anima!

Lisistrata                       - (correggendo) Con tutto quello che puoi darmi della tua anima.

Locri                             - Tu non mi conosci... Tu non senti... (Le si avvicina).

Lisistrata                       - (sottraendosi) Con tutto quello che un uomo può dare della sua anima...

Locri                             - Mi stimi poco.

Lisistrata                       - (con passione) Ma t'amo tanto!

Locri                             - (con entusiasmo) E allora dammi la tua mano e seguimi!

Lisistrata                       - (facendosi prendere la mano) Dove?

Locri                             - (c. s.) Lontano!

Lisistrata                       - E fino a quando?

Locri                             - Per sempre!

Lisistrata                       - Allora andiamo!  Hai detto: per sempre!

Locri                             - Voglio dire, però, che domani dob­biamo tornare un momento ad Atene perché c'è consiglio di guerra... (vedendo lo sguardo di Lisistrata) ... o di pace, non so, ma c'è con­siglio... e se manco io...

Lisistrata                       - Se manchi tu vuol dire pace!

Locri                             - Lisistrata, senti. (Prendendola fra le braccia e fissandola) Guardami bene in faccia!

Lisistrata                       - Ti guardo!  

Locri                             - Ancora.

Lisistrata                       - (distogliendo lo sguardo, turbata) Non approfittare. (Con gli occhi bassi e chiusi) Di' cosa vuoi dire.

Locri                             - Sii sincera. Per quale motivo, ormai, continui a costringere al sacrificio queste po­vere donne? (Prevenendo un suo gesto) Non dire per odio contro la guerra. L'hai odiata fino a ieri, ma da quando mi hai saputo salvo... guardami! (La costringe a guardarlo) ...t'im­porta tanto che la vecchiotta, che prima era qui vestita da Pace, rimanga vedova, quanto a me, in battaglia, importa che l'ultimo dei miei soldati muoia o sopravviva... guardami... E' vero o no?

Lisistrata                       - (annegando nello sguardo di Locri, eppure resistendo ancora) Non è vero, Locri.

Locri                             - (continuando) Solo d'una cosa t'im­porta: del ridicolo nel quale cadresti se fossi la prima a mostrarti incapace del sacrificio che sino ad ora, così comodamente, sei riuscita a imporre alle altre.

Lisistrata                       - Se mi amassi davvero, anche questo dovrebbe essere sufficiente. Salvarmi dal ridicolo.

Locri                             - (respingendola) Sacrificare la mia car­riera per un puntiglio!

Lisistrata                       - Non è un puntiglio. Ho promesso. Ho promesso a tutte le donne della Grecia.

Locri                             - (alzando le spalle) Quante promesse si fanno al popolo, e poi non si mantengono!

Lisistrata                       - Ma finora le hanno fatte gli uo­mini! E' la prima volta che le fa una donna!

Locri                             - Mancherà anche lei, niente di grave.

Lisistrata                       - Non posso. Poverette, hanno cieca fiducia in me. Se le abbandono è un tradimento.

Locri                             - Sei decisa?

Lisistrata                       - Decisa.

Locri                             - (buttandosi nel patetico) E va bene. Credevo mi amassi, mi desiderassi. (Prevenendo la protesta di Lisistrata) Sbagliavo. (Pausa) Dici di me!  Ma anche in te l'ambizione e il puntiglio sono più forti dell'amore e del desiderio... Non mi rimane che tornarmene... Hai vinto, Lisistrata. Sei veramente quello che si dice di te la donna più forte di tutta la Grecia... (Cammina avanti e indietro, lisciandosi, pavoneggiandosi, se avesse uno specchio vi si rimire­rebbe) ... E così sarò io che avendo fatto bale­nare agli uomini la grandezza di Atene, e fatto loro ogni sorta di promesse, sarò io, Locri, che cadrò in quel ridicolo dal quale era doveroso ch'io ti salvassi, vero?

Lisistrata                       - (mortificata) Oh, Locri!

Locri                             - (fingendo di non accorgersi della mortificazione) Mentre invece non è doveroso peri te salvarne me che dovrò presentarmi in Parlai mento e dire al popolo, senza il coraggio di guardarlo in faccia: « Signori, ho perduto ».

Lisistrata                       - Ma t'applaudiranno come mai sei stato applaudito.

Locri                             - Saranno applausi rivolti a te. Io dovrò andarmene in esilio... (Con finta rassegnazione, E va bene. Ci vado. (Spalanca le braccia per esprimere ampiamente questa rassegnazione, Addio, Lisistrata. Vado in esilio.

Lisistrata                       - (piangendo) Addio, Locri.

Locri                             - (sempre con le braccia spalancate avvicinandosi a Lisistrata che gli si avvicina) -Vado in esilio. Addio per sempre.

Lisistrata                       - (piangendo ed entrando fra le sii braccia, che si chiudono) Addio per sempre, Locri.

Locri                             - (fingendo anche lui di piangere) -so, non t'ho amata abbastanza.

Lisistrata                       - Non dire questo, Locri.

Locri                             - E poi siamo due volontà. (Pausa.)  Non è vero?

Lisistrata                       - (c. s.) Sì, siamo due volontà.

Locri                             - Delle due, la più forte è stata la tu!

Lisistrata                       - (abbandonandoglisi sempre di più) Sì, Locri.

Locri                             - (sempre più patetico) E io, vinto, mi ne vado in esilio.

Lisistrata                       - Sì, Locri.

Locri                             - Addio, Lisistrata.

Lisistrata                       - Addio, Locri.

Locri                             - Umiliato, ridicolo...

Lisistrata                       - Ma sempre con me, nella sereni) della pace.

Locri                             - Vorrai dire, cara, nella disoccupazioni della pace. Tu lo sai, cara, che fine fanno ufficiali quando vanno in pensione... Guardi notturni.

Lisistrata                       - Ti voglio bene.

Locri                             - Anche guardiano notturno?

Lisistrata                       - Anche guardiano notturno.

Locri                             - (prendendole le mani) Queste tue belle mani dovranno lavorare.

Lisistrata                       - Non importa.

Locri                             - Queste tue belle mani così lunghe, così affilate, così leggere... I polpastrelli, fammi vedere i polpastrelli... Rosa! Come i petali delle margherite appena dischiuse! Sai che riman­gono così solo fino a vent'anni?... Tu sei rima­sta a quell'età.

Lisistrata                       - Oh, Locri!

Locri                             - E le orecchie? Fammi rivedere queste orecchie. Dopo tanto tempo. (Le scosta i ca­pelli) Come conchiglie. Gli Dei le hanno raccolte sulle rive del mare, e te le hanno messe qui per adornartene il capo. (Accostando l'orecchio a un orecchio di Lisistrata) Fammi sentire se si sente il rumore del mare.

Lisistrata                       - Si sente?

Locri                             - (con un ampio gesto) Eh! (Pausa) E l'arco?

Lisistrata                       - Quale arco?

Locri                             - Non ti ricordi? L'arco del piede?

Lisistrata                       - (gioiosamente stupita) Ti ricordi ancora?

Locri                             - E poi dici che non t'amo!... E ricordo l'arco! (La fa sedere, le toglie il sandalo).

Lisistrata                       - (arcua il piede).

Locri                             - (inginocchiato) Eccolo! Posso baciar­telo? Solo l'arco! (Lisistrata fa cenno di sì; Locri le bacia il piede).

Lisistrata                       - Ma Locri! Queste sono cose da giovinette!

Locri                             - E tu cosa sei?

Lisistrata                       - Oh, io da tanto tempo non sono più una giovinetta.

Locri                             - Taci, amor mio, che tale sei rimasta. (Baciandola dal piede in su) Qui nell'arco, qui nella mano dai polpastrelli rosa, qui sul polso dove scorrono        - (le tocca col dito le vene) questi sottili ruscelletti azzurrini, qui sulle tempie I dove i capelli sono più morbidi, qui su queste . labbra simili alle rive d'un laghetto incantato. (La bacia a lungo intorno alle labbra) ... qui nel laghetto... (La bacia sulla bocca, interrompe il bacio per dire) Oh, Lisistrata, amor mio! (Poi le suggella la bocca con un bacio appas­sionato, quando irrompe sulla scena Rondinella che si aggrappa alla fune della campana che suona a distesa. I due rimangono ancora per un poco uniti nel bacio, poi si distaccano, men­tre entrano Timandro ed Aspasia e dopo tutte le donne. Gli sguardi cominciano a fissarsi su Lisistrata ancora turbata. Un lungo silenzio pieno d'imbarazzo. Quel che si dice « una pe­nosa situazione »).

Rondinella                    - (a voce alta, avanzando d'un passo) Ho suonato io la campana.

Mirrina                          - (incredula) Tu, Rondinella?

Melissa                          - (c. s.) E per chi?

Rondinella                    - (pensa un po', poi, puntando l'in­dice contro Timandro) Per lui!

Ambrosia                      - Mio marito!

Timandro                      - (resta un poco in forse, combattuto fra la vanità e il timore della moglie. Poi, ad Ambrosia) Perdonami, cara. (Indicando Ron­dinella) E perdonala, anche. (Spalancando le braccia) Quando un uomo piace...

Rondinella                    -  Attendo la tua punizione, Lisi­strata. (Vedendola confusa e indecisa, incalza) Devi punirmi, Lisistrata, altrimenti perdiamo quella pace che siamo a un passo dal cogliere... (Fissandola) Tu lo sai.

Ambrosia                      - Ma che cosa ti ha fatto, Ron­dinella?

Rondinella                    -  Lui? Niente. Ero io. (Avvicinan­dosi a Timandro e fissandolo) Dillo tu.

Timandro                      - E' vero. Fedele ai patti, cercavo di mantenermi nei limiti d'una fredda corret­tezza. M'ero imposto la pace dei sensi. Costei, (guardando Rondinella) dopo avermi fissato a lungo dilatando le nari e mandando gemiti, improvvisamente mi prese tra le braccia, mi rovesciò il capo all'indietro, e cercando la mia bocca con la sua bocca ardente...

Ambrosia                      - Puniscila, Lisistrata!  

Mirrina                          - Ladra di mariti!

Melissa                          - In cella di rigore!

Timandro                      - Perdonatele. Non è colpa sua!

Lisistrata                       - (fa cenno che tacciano) Sì, Ron­dinella, in cella di rigore. Hai mancato, devi pagare. (Fa un cenno alle cortigiane che pren­dono in mezzo Rondinella e la portano via) Ma non per questo, amiche, anche se una delle nostre migliori, anzi forse la migliore, ha avuto un momento di debolezza, non per questo ci batteremo con meno impegno per la causa della pace. (Guardando fissamente Locri, e tornando forte ed energica come un tempo) Locri lo sa. Locri ora tornerà dai suoi uomini e dirà loro che le donne sono decise a resistere. (Locri fa un gesto) No, Locri, ogni altro colloquio sareb­be inutile. (Alle donne) Locri tornerà fra poco, amiche, con la pace firmata. Arrivederci, Locri. (Imponendogli con lo sguardo di andare) Ti aspettiamo qui.

Locri                             - (la guarda ancora, pieno d'amore e d'am­mirazione, poi s'allontana con Timandro).

Timandro                      - (a Locri) Questo è stato lo sbaglio. Modestamente, dovevo essere io a ricevere l'in­carico di parlare con Lisistrata. Le cose avreb­bero preso tutt'altra piega.

Locri                             - (non lo sente neppure. Guarda ancora Lisistrata che gli fa un cordiale cenno d'ar-rivederci, poi esce con Timandro).

Leontina                        - (brilla di speranza) Credi davvero che torneranno presto, Lisistrata?

Lisistrata                       - Ne sono certa.

Mirrina                          - E quell'incosciente di Rondinella che ha rischiato di rovinar tutto!

Melissa                          - Prima di Licone voleva l'antipasto.

Ambrosia                      - Non ci sei che tu, Lisistrata, ad essere veramente forte.

Aspasia                         - (rientrando) Rondinella è stata chiusa a doppia chiave.

Lisistrata                       - Che fa?

Aspasia                         - Ha chiesto di lavorare a maglia.

Lisistrata                       - Dille che presto sarà libera.

Aspasia                         - La pace è firmata?

Rondinella                    -  Da un momento all'altro.

Aspasia                         - Gli uomini, perciò, arriveranno in massa. Per evitare una confusione indecorosa, propongo di chiudere tutte le donne in cella, e scrivere il nome sulla porta di ciascuna. Così ogni uomo potrà ritrovare tranquillamente la sua.

Lisistrata                       - Amiche, è l'ultimo sacrificio che vi chiedo. La proposta di Aspasia è molto saggia.

Mirrina                          - Lei, però, rimarrà libera.

Aspasia                         - Ma potete stare tranquille. I primi giorni sono per le mogli. (Invita le donne a seguirla).

Lisistrata                       - Leontina, rimani con me. (Le donne escono con Aspasia. Escono anche Lisi­strata e Leontina. Mirrina e Melissa sfuggono, si nascondono dietro la statua di Diana, poi, rimaste sole, si inginocchiano dinanzi in atto di intensa, muta preghiera. Improvvisamente, squilli di trombe).

Melissa                          - (turbata, sottovoce) La Pace!

Mirrina                          - (c. s.) Gli uomini! (Ancora squilli di trombe, rombo di passi militari, lo scampanìo di tutte le campane. Voci maschili e femminili, clamore, ogni uomo, evidentemente, è alla ri­cerca della propria donna. Poi, silenzio. Segue un pesante rumore di passi, entra un gigantesco guerriero che guarda intorno da tutte le parti. Fermandosi presso Mirrina, la prende per i capelli e la tira su).

Licone                           - Si può sapere chi è questa belli ragazza?

Melissa                          - (invidiosa) Non è una ragazza una zitella.

Licone                           - (lascia Mirrina, prende per i capelli Melissa, la solleva) E tu chi sei?

Mirrina                          - (velenosa) Una zitella anche lei

Melissa                          - (graziosa) Mi chiamo Melissa.

Mirrina                          - (c. s.) Mi chiamo Mirrina. E tu si Licone, non è vero?

Licone                           - (ridendo) E come lo sai?

Mirrina                          - E' due mesi che non si parla chi di te. (Prendendolo per una mano e tirandoli da una parte) Vieni!

Melissa                          - (facendo altrettanto dall'altra parte)  Vieni!  (Vedendo che, per quanto tiri, Licone rimane immobile) Non vuoi venire? Le voi resti più giovani?

Licone                           - Dopo tre anni, mia cara, non si fa distinzione d'età. Ma cercavo mia moglie. (Chiamando) Rondinella!

Melissa                          - (riprende a tirare, poi a Mirrina) E tu non stare a tirare dall'altra parte. Aiuta. (Lo tirano tutte e due verso una parte).

Licone                           - Rondinella!

Mirrina                          - Ti portiamo da lei, vieni!  (Escono)

Rondinella                    - (irrompe in scena dall'altra parte) Licone!  Licone!  (Attraversa la scena ed esci, mentre ormai lontano si sente la voce di Licone che chiama «Rondinella! »).

Locri                             - (entra insieme a Timandro recando pergamena in cui è firmata la pace).

Lisistrata                       - (entra anch'essa, con Leontina. Ha abbandonato la veste nera e indossa una luminosa veste bianca. Segue Ambrosia. Locri apre le braccia. Lisistrata vi si getta e vi si abbandona. Così fa Ambrosia con Timandro. Leontida  rimasta sola, si guarda intorno disperata).

Leontina                        - Nereo! Nereo! (Rivolgendosi Lisistrata) Tutti i mariti, tutti gli amanti, tuttij fidanzati sono tornati, tranne il mio, Lisistrata

Lisistrata                       - (a Locri) Ne sai nulla?

Locri                             - (a Leontina) Si chiama Nereo  ha detto.

Leontina                        - Sì.

Locri                             - Di', Timandro, abbiamo uno con che si chiama Nereo? (Riabbraccia Lisistrata

Timandro                      - (rimanendo abbracciato ad Ambra sia e staccando appena un poco la bocca sue labbra) Mi pare di sì. Ma ci sono tanti Nerei. Quello basso, grasso, biondo?

Leontina                        - No, quello alto, magro, bruno

Timandro                      - L'abbiamo mandato a Sparta ad annunciare l'avvenuta firma della pace. (Torna a baciare Ambrosia).

Leontina                        - (facendoglisi vicina) E quando tornerà?

Timandro                      - (non sente, non risponde).

Leontina                        - (correndo verso Locri e picchiandogli sulla spalla) E quando tornerà?

Locri                             - (volgendosi un poco) Chi?

Leontina                        - (singhiozzando) Nereo!

Locri                             - Se tutto va bene, tra una ventina di giorni.

Leontina                        - (si strappa dal capo la ghirlanda, s'in­ginocchia, s'abbandona a un pianto disperato).

Timandro                      - (staccandosi finalmente da Ambrosia e rivolgendosi a Leontina) Se nel frattempo...

Ambrosia                      - (lo schiaffeggia).

Timandro                      - (ridendo s'inginocchia ai piedi della moglie) Fammi vedere l'arco!

Rondinella                    - (irrompendo) Licone! Licone! Dov'è Licone? Me l'hanno rubato! Me l'hanno portato via!

Lisistrata                       - Non l'hai aspettato in cella?

Rondinella                    - (disperata) Aspasia, impietosita, mi ha liberato prima delle altre. Ho trovato la cella vuota. (Chiama) Licone!  Licone!  

Leontina                        - (sempre in disparte piange).

Il Presentatore               -  (entra tirandosi dietro Licone afflosciato e barcollante. S'avvicina a Rondi­nella) Eccolo qui il tuo Licone, povera Ron­dinella che lo aspettavi tanto! (Rondinella piange. Il Presentatore rivolgendosi agli spet­tatori) Ecco la prima vittima della pace. Il suo Licone, nel migliore dei casi, non sarà buono che tra un paio di giorni!

(Entrano gioiosamente le donne, ciascuna delle quali ha il suo uomo. Fra tutte spicca la Pace che lancia agli spettatori ramoscelli d'olivo).

FINE