La Carlina

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LA CARLINA

di Ciro di Pers

Personaggi:

PANTALONE, mercante veneziano

MADONNA PRUDENZA, sua moglie

FLAMINIO, suo figlio

CARLINA, serva di Pantalone

CAPITANO TAGLIAFERRO            

MADONNA ONESTA, sua moglie

BATTELLO, servo di Flaminio, bergamasco

TRUFFA, servo di Tagliaferro

FRANCESCHINA, serva di Prudenza

TOMAT, contadino friulano, servo di Pantalone

Scene:

La scena è costituita da una piazza con due case a destra e a sinistra. Le une e le altre vengono designate con le lettere D e S.

PROLOGO

Malagevole impresa, e per mio credere sovra ogni altra difficoltosa, intrapresero coloro che, consigliati da l’interesse, s’arrischiarono di, consigliati, dico, da l’interesse… s’arrischiarono di… di… eh, orsù! M’è scappato da la memoria e non è possibile che lo possa ripigliare. Insomma questi miei compagni havevan dato l’impaccio a me di farvi quella cosa che va davanti alla Commedia. Il… il… il…? Il Prologo! Oh sì, sì: il Prologo. Ma io aveva trovato un mio amico, non so se dottore o poeta, egli s’intendeva di queste faccende, e me ne haveva composto uno come si va fatto, nel quale v’erano molte belle cose per quanto vi dicevo; ma io non l’intendevo troppo. Ma dopo essermi affaticato tre giorni continui per mandarlo a la memoria, e che l’haveva più a mente che non ho la Bella Margherita, quando son stato per recitarvelo, m’è uscito di mente come avete veduto. Io ho piccola testa, poca memoria e manco cervello. Non so che mi fare. Mi consolo con la speranza che qualcuno di questi miei compagni habbino a far peggio di me, che non sono ne manco essi troppo addottrinati. Ma, in sostanza, mi ricordo qualche particolare ch’io haveva da dirvi e questo era uno: che doveste scusare questi recitanti come inesperti che mai più non recitarono alcuna commedia a’ suoi giorni, e ora per compiacervi si son tratti non solo a recitarla, ma a comporla anco da lor medesimi, e che hanno havuto poco tempo d’esercitarsi e altre scuse magre, a le quali potete rispondere brevemente con dire che nessuno gli ha consigliati a ciò, non che forzati, e che se non si conoscevano atti, potevan far altro mestiere e che ne meno alcun li ha impediti che non si preparassero due mesi avanti. In fine, poi, io doveva pregarvi di una graziosa audienza con silenzio. Ma ciò pure era soverchio, perché tengo per fermo, che siate venuti qui a posta per ascoltare, che quando foste venuti per parlar voi e far voi la Comedia, noi di buona voglia taciti ci mettiamo ad ascoltare. Ma vedo colà il Pantalone che vuol uscire a dar principio. Son certo che, se mi trova qui, la prima cosa ch’ei ti fa, ci mi dà un rabuffo de l’essermi portato così bene nel prologo, onde è meglio ch’io mi ritiri. Addio.

ATTO PRIMO

MUSICA: Carlina con voce 2° parte

SCENA PRIMA

PANTALONE - Mi, Pantalon, omo agiato con una certa possission economica per poter permeterse qualche caprisseto. Danari e femene, xe sempre stà le mie più grandi passioni; me piase le donzelle zovine, fresche, accondiscendenti…e che le tase! Non come quella petulante de me mojèr, che me fa imbestialir ogni volta che la verze boca, e la me controla, la me tien d’ocio in tuto quel che fazo. Eh, eh,eh,eh….ghò messo gli oci su una premisia che per mia grande fortuna no la xe lontana…..la xe cussì carina, cussì ninina con quei so ocieti, quela pele bianca e lissa, la par veluto, la me fa girar la testa, e mi vorave darghe una passadina apena che gò l’ocasion. Ghò in mente un pian strategico che no pol falir, per rivar a brincarla una note intera. Ma eco, eco… (TOMAT entra fischiettando) quel burbero del mio contadin. Tomat, Tomat vien qua un momento che devo parlarte!

Simulazione TOMAT percussioni

SCENA SECONDA

TOMAT - Ce isal, sior paron? O’ varès un pocje di premure: ài di sborgià lis vergis e dài di ledàn a lis patatis.

PANTALONE - Lassa star patate e verze, che ghò da dirte cose più importanti.

TOMAT - Ce isal, sior Paron?

PANTALONE - Senti Tomat, xè tanti anni che te xè a mio servissio, vorave darte mojer, so che te piaserà aver una femena tutta par ti, che la te vardi, la te assista, la te scaldi…

TOMAT - Orpo se mi plasarès! Ma cui veso pensat di dami?

PANTALONE - Vorìa darte una bela puta, con do bei ocieti….

TOMAT - Orpo se mi plas, a mi che lì… mi va juste. Ma je lu sàe?

PANTALONE - Nissun ancora sa niente, lassa far a mi; ti intanto non far parola con nissun, e tanto meno con me mujèr. Atento! Che quela la ghà sento oci e sento recie!! Muto te ghà da èsser. La vede tuto… la sente tuto…

TOMAT - Sì sito, muto. (vanno via uno a destra e uno a sinistra)

Simulazione TOMAT percussioni

Mus. 3 FLAMINIO CLAVICEMBALO

TERZA SCENA

FLAMINIO - (Flaminio e Battello escono per strada sinistra) Povero e sventurato Flaminio, a cui l’abbondanza porta difetto, la comodità impedimento e la stessa felicità maggior miseria. Io amo, e ciò che gli altri amanti più bramano, m’ha concesso la fortuna favorevolmente nemica, cioè d’esser presso a la donna amata, di poter a mio piacere senza intoppo vagheggiarla; eppure tutto ciò non mi serve se non a maggior brucio, a maggior tormento! Deh, amata e adorata Carlina! La Fortuna ti ha fatta mia serva, Amore mia padrona. Tu mi servi, et mi tiranneggi, io ti comando e t’adoro. Deh, come tanti miei sguardi infocati; tanti miei cocenti sospiri non han possanza di sciogliere il gelo del tuo cuore indurato! Anzi ne pur di fare che tu mostri d’avvederti de le mie fiamme, le quali o non avvertite o mai gradite, o forse anco disprezzate, si riflettono con maggiori incendi nel mio cuore. Deh, Battello caro, aiutami o col consiglio o con l’opera!

BATTELLO - Padron mio car, col consei mi ve pos aiutar facilment, se ’l volì accettar, ma con l’opera negosta. Il mio consei sarat, che vu lassassi star de far l’amor con le serve, e faressi l’amor con qualche zentildonna vostra par, la qual podessi tior per moier. Che in quant a Carlina la sarave più al mio proposit che al voster. Essa è serva e mi son servitor, essa è poveretta, e son poverett anche mi. Il mio natural s’azustaria miei col so. In conclusion a ve dich liberament, la me va per fantasia anch’a mi.

FLAMINIO - Se piace anco a te, hai ragione; chè il bello piace a tutti quelli che non sono o ciechi per non vederlo, o stupidi per non conoscerlo. Ma che tu ardisca di volgere i tuoi desideri e le tue pretensioni dove le volgo io, è temerità inescusabile.

BATTELLO - Eh, signore! Paribus cum paribus, dice il proverbi: i padron co le padrone, e i servitor con le serve.

FLAMINIO - Carlina non è serva, anzi è padrona del tuo padrone; non è povera, anzi ha tutte le ricchezze d’amore nel suo bel volto, dove fiammeggian rubini, ridon perle, risplendono zaffiri, scintillano ori, bastanti a comperar tutti gli affetti più ritrosi e gelati.

BATTELLO - Questa è una mercanzia che farave fallir i più ricchi mercadanti di Venezia. Mah! Siu po’ talment cot de farvi suo? Che no ve cavè la bizzarria? Spesso va fora vostro pader e vostra mader, e la resta sola. La dirà de no, la farà de sì. È tanta cosa cavarne un caprici?

FLAMINIO - Tu t’inganni, s’ella è padrona della mia volontà, come potrei io mai volere ciò che ella non volesse? Come potrei io mai usar atto scortese e villano con quella che io tengo per dea. Ma ciò ch’ha bisogno di presentaneo rimedio si è che mia madre, essendo entrata in gelosia, che mio padre non sia innamorato di Carlina, tratta di volerla maritare, e mio padre ha mostrato di contentarsene. Mia madre ha comandato a me che cerchi qualcun altro, e io ho pensato di proponer la tua persona.

BATTELLO - O caro il mio padroncin bel!! Mò ades sì, ch’avè zudici. Ma avertì che mi la vorave menar in bergamasco, al mio paes. Vidì! Che no me fiderav miga de mi a star qua, che non me mettessi in testa il cimier del marì de la cavre.

FLAMINIO - E questo non ha da servir per altro che per sturbare i presenti loro disegni.

BATTELLO - Donca mi haverò da esser un marì da burla? Pur che non diventi un bech da vera!

FLAMINIO - Ma quando anco ciò havesse effetto, che tu la sposassi, io ti vorrei donar tanti scudi, che ti chiameresti più che contento… quando restassi contento ancor io.

BATTELLO - Ved mi dove che la bat. Im som a considerar che a un pover buom come son mi poch’onor ghe basta; quand al manca il pan, se ben l’onor va per sora la testa, nissun ne stima nagosta… patron fè vu, rimet in vù la me reputazion, fazendove saver che tutti i mie’ son sta semper fachin onorà. Pur che vù restè satisfat fè de Batel quel che ve par.

FLAMINIO - Tu non haverai mai di pentirti di haver servito un padron amorevole. Entriamo in casa.

Simulazione TOMAT percussioni

SCENA QUARTA

TOMAT - (esce di strada Destra, resta in scena. Torna dall’orto col sacco di patate) Se mi va drete ancje jo o’ varài une femine par… par… juste, juste…! Ma il paròn al varà ancje di dami alc par mantignile. Ah! No mi par vere. Orpo une femine a mi, sperìn ch’al vadi dut ben. (entra il Capitano, Tomat si nasconde dietro il pozzo)

Mus. 4 TAGLIAFERRO 1

SCENA QUINTA

CAPITANO - (Tomat e Capitano Tagliaferro escono di casa Sinistra; l’uno va per strada Destra, l’altro per strada Sinistra) Sarà mai credibile ne’ secoli avvenire, quando racconteranno le istorie, che il Capitano Tagliaferro cinga una spada oziosa in tempo che tutto il mondo è travolto da’ turbini de le guerre? Che io ch’a miei giorni ho sconfitti più eserciti, espugnate più città, che non ho mangiati articiocchi, me ne stia di presente in riposo? La causa viene, che sono tanti i principi che a gara l’uno de l’altro mi ricercano ch’io li vada a servir per generale, che io acciò gli altri non restino mal satisfatti, dico di no a ciascuno. Pur hieri capitò qui in incognito un ambasciator de la China a pregarmi, ch’io volessi accettar il baston general di quel regno, che fa guerra ai Tartari, offerendomi in ricompensa la signoria di settecentocinquantaquattro isole nell’Oceano Orientale, ognuna delle quali è maggiore della Sicilia.

Mus. 5 TAGLIAFERRO

Ma io l’ho licenziato con buone parole, come fanno i grandi, senza conchiuder niente. Ben è vero che io mi sento un tanto di prurito alle mani, che non è un bene di me, se almen con qualche privata questione non maneggio un poco la spada. Deh, perché non incontro qualche bell’umore, che mi porga un tantin d’occasione? Solo che l’ombra sua s’abbattesse ad urtar ne l’ombra mia, mi basterebbe per attaccarlo. Ma costui colà, che è vestito da contadino, certo deve essere qualche spia che qualche principe haverà mandato ad osservare i miei andamenti. Chi sei tu…?

Mus. 6 PRUDENZA 1

SCENA SESTA

PRUDENZA - (Prudenza e Franceschina escono di casa Destra, vanno in casa Sinistra) Non vieni, Franceschina? Tu non la finisci mai.

FRANCESCHINA - Vengo adesso, signora!

PRUDENZA - Serra bene la porta de la corticella, che non escano le galline.

FRANCESCHINA - Signora sì. Ma le galline non escono, quando trovano da beccolare in casa.

PRUDENZA - Di’ a Carlina, che serri ben l’uscio di dentro de la camera e che attenda a fornir quel lavoro, e che se torna il vecchio, che non si lasci neppur sentire.

FRANCESCHINA - Se l’havete voi detto una volta, signora!

PRUDENZA - Io voglio andar a render visita a Madonna Onesta, moglie del capitano nostro vicino, e così, discorrendo seco, sfogar un poco i travagli dell’animo, che certo io non so come io son viva, tanto mi cruccio con quella buona lana di mio marito. Egli è tanto vecchio, che puzza di sepoltura, e tuttavia vuol fare il galante e il moroso, che gli venghino tanti malanni, quant’egli fa provar a me meschina, che non so pregargli di peggio.

FRANCESCHINA - Signora, la cuffia vi pende troppo da questo lato. Lasciate ch’io ve la acconci.

PRUDENZA - Eh, ciò poco importa.

FRANCESCHINA - Anzi sì, che sta bene l’attilatura anco a le attempate.

PRUDENZA - Questo vecchio bavoso s’è posto, d’un tempo in qua, a vagheggiar la Carlina.

FRANCESCHINA - Me ne son ben avveduta ancor io che la guata sott’occhio.

PRUDENZA - E lo fa con sì bel garbo, che se io non havessi occasione di arrabbiar di collera, l’havrei di scoppiar da le risa.

FRANCESCHINA - E fareste anco bene piuttosto a ridere, che a corrucciarvi, che vi havreste almeno spasso, dove voi ve ne prendete cruccio.

PRUDENZA - Ho pensato di provedermi ben tosto col dar marito a Carlina.

FRANCESCHINA - Ne dovreste dar uno anco a me, che è tanto che aspetto e che è più tempo, ch’io vi servo.

PRUDENZA - Non ti impedisco, che te ne trovi uno da tua posta.

FRANCESCHINA - È gran tempo ch’io li vo cercando, e non li trovo; ma chi vorreste voi dar a Carlina?

PRUDENZA - Ne ho parlato con Flaminio, mio figliolo, ed esso m’ha ricordato Battello.

FRANCESCHINA - Volete ch’io vi dica, padrona? A me pare che sarebbe più a proposito per me che per essa.

PRUDENZA - E perché?

FRANCESCHINA - Perché ella è troppo altera e troppo tenerina per lui. Insomma egli è un battello, che verrebbe meglio in concio per la mia porta, che per la sua.

PRUDENZA - Orsù, taci, che carne di vacca non restò mai in beccaria. Verrà ancor per te la ventura un giorno. Frattanto io voglio dar Carlina a Battello che se la menerà in bergamasco, al suo paese; e io mi leverò questa spina da gli occhi. Ma vedi se la porta di Madonna Onesta è aperta; se no, batti.

Mus. 7 PRUDENZA 2°

FRANCESCHINA - È aperta, signora.

PRUDENZA - Entriamo dunque.

           

SCENA SETTIMA

PANTALONE - (Pantalone e Flaminio. Pantalone viene dalla strada Destra e Flaminio esce dalla casa Destra e poi vi rientra) Caro figliolo, te informo che g’ho maridada la Carlina e al più presto faremo le nosse…

FLAMINIO - Oh, cielo, cielo! Santi numi, a chi mai l’avreste data in moglie, padre mio?

PANTALONE - A Tomat, il nostro contadin, cussì i continuerà a stare a nostro servizio e noialtri no varemo fastidi a trovar altri servi. Impara fio, impara a far affari…

FLAMINIO - Ma perché mai questa sì affrettata decisione prima di consultar la signora madre?

PANTALONE - Mi gho deciso cussì e cussì faremo, la tua signora madre la ghà sempre de dir la sua, contraddicendo e buttando per aria tutte le mie volontà!

FLAMINIO - Ma… ma…  pare che… la signora madre... abbia promesso Carlina a…

PANTALONE - Te ghò dito che comando mì e la Carlina la xè novissa di Tomat.

FLAMINIO - Oh, mè sventurato, mè sfortunato, mè sfigato e tapino! (Corro ad avvertire Battello della disgrazia) Riverito, signor padre. (entra in casa)

PANTALONE - Anca mio fio adesso el ghà de mèter lingua nelle mie decisioni, ma ghe farò vedér mi chi che comanda in casa mia. E chi che se ghà da rispetar. (va verso il pozzo)

SCENA OTTAVA

PRUDENZA - (Prudenza esce di casa S e va in casa D. Pantalone parla avanti che esca Prudenza) Restate in pace, Madonna Onesta, e che il Ciel vi dia ogni consolazione. Ma ecco qui quel furbo di mio marito. Una volta non si vedeva mai in casa, adesso non sa star fuori un’hora.

PANTALONE - Mujer mia, xe novità! Go maridà la Carlina.

PRUDENZA - Si vede bene che quanto più invecchiate, più impazzite. Voi vi andate pigliando quegli impacci, che non vi toccano, e altri forse, a cui dovreste applicarvi non vi pensate.

PANTALONE - Go pensà de darghe Tomat, el nostro contadin.

PRUDENZA - A me pare che dovreste lasciar ch’io pensassi e provvedessi a le mie serve, che non istà bene che gl’uomini se n’impaccino d’esse.

PANTALONE - Fin che la magna del mio, decido mi!

PRUDENZA - Così vi caschino que’ quattro denti che vi son rimasti, come vorreste impicciarvene. Ma, affè affè, che questa volta non v’anderà fatta.

PANTALONE - Decido mi!

PRUDENZA - Bel giudizio, bella discrezione volerla dar a un villano! E che sapete voi che la grama non sia nata nobilmente? Forse che non ne havete degli indizi? Ma certo non può essere, se non di sangue civile, che la sua ciera e i suoi costumi lo dicono.

PANTALONE - Serva la xè e al servo la marido!

PRUDENZA - Ma va bene che non siete stato a tempo; che io di già l’ho promessa…

SCENA NONA

PANTALONE - E a chi la gh’avè promessa senza prima consultarme?

PRUDENZA - Al nostro servo Battello, che mi sembra un uomo di garbo, proprio giusto per lei: anche il nostro figliuolo è d’accordo.

PANTALONE - Ma che più giusto e giusto?! El xè Tomat che va ben per Carlina. (Tomat esce con la carriola, Battello si fa davanti alla carriola)

TOMAT - Aio, ce quae!

Simulazione percussioni TOMAT

BATTELLO - Riveriti siori padroni.

TOMAT - Bondì a duçj.

PRUDENZA - Eccoli qua.

PANTALONE - Giusto a proposito xè rivai. Vardélo, mujèr mia, vardè se nol xè giusto per la Carlina.

TOMAT - O’ voi a pinèl, siore parone, e il paron mi à prometut…

PRUDENZA - Che promesso e promesso, il vero promesso è lui, Battello, che la sposerà e la porterà nel Bergamasco.

BATTELLO - Sì, son mi.

PANTALONE - Ve digo che va mejo Tomat.

PRUDENZA - Facciamo così: tiriamo le sorti e vediamo a chi tocca.

PANTALONE - Che sorti…?

Effetto acqua tutta la battuta seguente

PRUDENZA - Franceschina… Franceschina! Porta fuori un secchio d’acqua, dentro al secchio mettiamo due cocci, ad un coccio disegneremo una croce. Voi, uno alla volta, con gli occhi bendati, entrerete con una mano nel secchio e ne prenderete uno; quando li avrete in mano tutti e due, toglierete la benda e chi avrà il coccio con la croce… (sfida gestuale tra Tomat e Battello) …sposerà Carlina.

PANTALONE - Stè quieti! Me par ben anca a mi, vincerà Tomat.

BATTELLO - Vincerò io.

TOMAT - Tâs, basoâl!!

PRUDENZA - Fate silenzio e preparatevi a lanciare una moneta per sapere chi deve pescare prima nel secchio. Franceschina, le bende! (entra in casa)

BATTELLO - Io testa!

PANTALONE - Tasè, adesso, che tiro la moneta. Se Battello ha scelto testa, a ti Tomat resta crose; silenzio! (esegue)

TOMAT - Boh!…

PRUDENZA - Testa! Ha vinto Battello, sarà lui a pescare per primo nel secchio. (eseguono la sfida gestuale. Franceschina benda i due, poi guiderà la mano di Battello e poi di Tomat nel secchio, ognuno prenderà un coccio e staranno fermi con il coccio ben serrato nella mano, Franceschina toglierà la benda)

PRUDENZA - Aprite le mani e vediamo chi è lo sposo. (aprono la mano, con un urlo disumano Tomat dirà che ha vinto, gioia di Pantalone)

Simulazione percussioni TOMAT

TOMAT - Jo, o’ ài la crôs, rît rît cumò. Basoalàt.

Mus. 8 FRANCESCHINA

PANTALONE - Son proprio contento.

PRUDENZA - Le cose si devono fare per bene: ma!… Ma… (va via) Però… però…

FRANCESCHINA - Non ti preoccupare Battello, che per te ci sarà qualcosa di meglio! (lo accompagna felice, Battello piange) Aiutami a portare il secchio.

PANTALONE - Ti Tomat va ai toi mestieri, a suo tempo te disarò cossa gh’avemo da far. (resta in scena un po’ a Sinistra. Tomat va via, ringraziando)

SIPARIO

ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

PANTALONE - (Pantalone esce di casa D, Capitano viene di strada S. Pantalone poi va per strada S e Capitano entra in casa S) Insomma, mi cominzo a sperar di dover condur la mia gondola a la riva bramada, stante che la va a seconda de vento e d’acqua. Voio andar a trovar il signor Capitano mio amico e vizino; azò se contenti d’imprestarmene per questa note un mezo ne la sua casa dove farò che Tomat conduca la sposa, fazendo fenta de condurla a la possession, e po mì… mì fortunà Pantalon, ecc. ecc. Ma ecco il Capitano che viene.

Mus. 9 marcia trionfale TAGLIAFERRO

CAPITANO - Sono stato in piazza, dove tutti si turbano e sbigottiscono per gli avvisi di tante guerre per il mondo. Et io di ciò ne giubilo e mi consolo. O signor Pantalone mio caro, ben trovato.

PANTALONE - Ben tornado el magazen de la fama, el fondaco de le vitorie. L’arsenale de’ trionfi, il signor Capitano Tagliaferro.

CAPITANO - Servitor de l’archivio della giustizia, del ricettacolo del consiglio, de lo scrigno de la prudenza, del signor Pantalone.

PANTALONE - Signor Capitano, io andavo a punto cercandove, perché vorave un favor de vù.

Simulazione Capitano su parole chiave battuta seguente

CAPITANO - Vuol forse che per suo gusto io sconfigga qualche nemico, espugni qualche fortezza, desoli qualche provincia, discoroni qualche re, con un cenno solo e tanto basta?

PANTALONE - No, tanto male no, Dio varda. Io non…

CAPITANO - Vuol ch’io mandi a fil di spada qualche migliaio di persone, ch’altrettanti n’incateni?

PANTALONE - Ne manco.

Simulazione Capitano sulle due battute seguenti

CAPITANO - Vuol ch’io mandi in prigione legato il Sofi’, il Mogol, il Gran Kan, il Prete Janni o qualch’altro monarca? Se mi comanda cosa di manco importanza, fa torto a l’autorità che tiene a comandarmi.

PANTALONE - Signor no, signor no. Mi vorave che…

CAPITANO - Che vi faccia haver la carica di primo Consigliere del Re di Francia, del re di Spagna, dell’Imperatore o di qualch’altro potentato?

PANTALONE - Mi vorave che vu me fazzi…

CAPITANO - Ch’io vi facci ottener l’amorosa grazia di qualche regina o di qualche principessa? Anco a tanto m’addurrò per amor vostro.

PANTALONE - Ascolteme, ascolteme. Mi no voio nessuna di quelle cose che vù savè dir, né imaginar; ascolteme di grazia!

CAPITANO - Io son pronto a darvi udienza, ancor che io sia solito negarla a le volte a gran principi, che me la chiedono. Dica il signor Pantalone.

Simulazione percussione tutta battuta seguente

PANTALONE - O sia lodà il Ciel da bon! Bisogna che i spessichi ora a dir, a ciò non m’interrompa un’altra volta. Mi vorave che mi fazzesse el favor d’imprestarmi per questa notte la vostra casa. Mi son innamorà. La mia morosa xè una serva che sta in casa mia; per goderla senza che mia moier se n’accorga, mi l’ho maridada a un mio contadin, col qual son d’accordo che senza menarla a casa soa e la mena questa sera dove voio mi. E mi vorave, che la menasse in casa vostra, se ve contentè. Mi farò che mia moier, che ghe l’ho zà ditto, inviti vostra moier a star questa notte da mi con l’occasion di queste nozze, e così mi haverò el mio intento. Quest’è quanto mi desidero, mi bramo dal signor Capitano.

CAPITANO - Se più non brama, se più non desidera, il mio palagio sarà sempre apparecchiato a servizi del signor Pantalone.

PANTALONE - Rendo mille milioni di grazie.

CAPITANO - E farò che sia sgombrato non solo da mia moglie, ma da tutta la mia corte, perché resti libero a’ suoi piaceri. Che in ogni modo ho occasione di trattenermi questa notte con la regina di Fiandra che, innamorata per fama di me, se n’è venuta incognita in questa città, disperata de la vita, s’io non la contento ne’ suoi amori.

PANTALONE - Oh poveretta! La me fa compassion, a esser venuda cossì da lonzi. Addio signor Capitano.

CAPITANO - Signor Pantalone, addio.

Mus. 10 FLANINIO clavicembalo

SCENA SECONDA

FLAMINIO - (Flaminio e Battello escono di casa D. Flaminio va per strada S, Battello resta in scena) Insomma, il Cielo, Amore e la Fortuna han congiurato a’ miei danni. Se con essi entra in lega anco Carlina, io mi dò per ispedito.

BATTELLO - La Carlina, per quant a cred mi, si colegherà più tost con vù che con altri. Se i noster nemic fan lega contro de vù, fè anca vù lega difensiva al manc, per oviar a i disgust che ve podessin far.

FLAMINIO - E con chi vuoi tu ch’io mi colleghi?

BATTELLO - Con l’astuzia, con l’ingan, con la fraude. E mi ve servirò d’ambasciator appres a questi personaz, che gh’ho una intratura mirabil.

FLAMINIO - A me basta dunque collegarmi con te, Battello, che questi poi sono tutti del tuo partito.

BATTELLO - No dubitè, ch’anderò tant strologant col me cervel, che troverò qualche partit.

FLAMINIO - Proponi qualche cosa di presente per consolarmi.

BATTELLO - Mi no son bon così a l’improvisa. Bisogna che ghe pensi un poc.

FLAMINIO - Pure…

BATTELLO - Trovè de amis, e andem a tor per forza la Carlina fora de là, e menemla dove adì vù.

FLAMINIO - Oibò!

BATTELLO - Andem a spetar il villan che la meni a cà, e tolemola.

FLAMINIO - Trovemo un farinel e demoghe ben dei zecchin, perché amazzi Tomat prima che sia sera.

BATTELLO - Aspetè donca, che il contadin habbi menà Carlina a ca so, e che la sia stada con lui set, ott mes, che la venirà nera come un cul de caldera, fiacca come una vesiga sbusada, garbata come un porchett; e allora vi sarà passada o la noia o la difficultà.

FLAMINIO - O Battello, non mi stimar d’animo così vil, che io pensi a comprar le mie soddisfazioni o i miei gusti a prezzodi scelleraggini e ingiustizie. Io mi contento più tosto di morir penando.

BATTELLO - Orsù lassè far a mi che penserò qualche cosa a proposit.

FLAMINIO - Mi raccomando dunque! E vado a trovar Lelio, mio amico, dal quale avrò e consiglio e conforto.

BATTELLO - E mi vad a pensar a qualche furbaria.

SCENA TERZA

Simulazione lotta percussioni tutta la scena

(Tomat esce di casa D, resta in scena.)

1° simulazione

TOMAT - Battel! Son chi! Ah, tu volevis la Carline tu, pivel, pover merlot! Va mai, chiol une svualdrine in Carampane; ma mioi, o tu sposas une galee, une berline.

2° simulazione

BATTELLO - Brut villan, arlevà col pan de sorch, che puza di ledan che il morba. Ti no ha vist a tuo dì nessun bo’ c’habbia i cuars… più lung di que’ c’ha d’haver ti; e se non poi nessun alter che te li fazes, te li vorave far mi.

1° simulazione

TOMAT - O la biele fame dai faz tiè, garbaat moros di fa l’amor une forchie…

Fermo simulazione

Ma al ven culì il paron. Hai di fa cun lui, e no hai timp di burlà cun te.

BATTELLO - Resta pur col malan, che ci ho da andar per i miei negozi… (a parte) Vo fermarme un tantin a chi in drio a sto canton a sentir ciò che disen sti merlot, che se no li chiap croz, no vo più esser Battel.

SCENA QUARTA

PANTALONE - (Pantalone viene per strada S, entra in D; Tomat per strada S, Battello resta in scena) Vien qua mo Tomat, che se metemo d’acordo per questa sera, che gh’avemo festeggiar per le tue nosse.

TOMAT- Sì, sior paron, ma però jo i dîs che dôs cjavris e podè doprà la cjasute e l’ort al è masse pôc par chel ch’a mi domande, sae! E… orco boe, al vôl vè la nuvice dute le prime gnot e doprale dopo simpri quant ch’a i comude!

PANTALONE - Come no xè tanto, bestia, vustu tirarte indrio proprio adesso che te gha dà parola.

TOMAT - No. No. Ma vorès vè un caratel di vin ogni vendeme.

PANTALONE - Va ben, va ben! Te darò anca il vin, ma adesso stame a sentir, animale! Questa notte, quando che ti gh’à la novissa, saluda tutti per ritirarve. Te passi par de drio e te la meni nella casa del mio vicin, il Capitan Tagliaferro, e dopo via! A nasconderte a casa; te ga da star nascosto al scuro fin doman matina quando che spunta el sol, alora te vien a casa del Capitan a cjotela e te la meni finalmente a casa tua per godertela. Mi te la farò trovar sul portoncin dell’orto, capìo, capìo ben tutto?

TOMAT - Sì, sì, o’ ài capît dut, ma jo o’ volares vignî a cjoile a miezegnot e no a matine buinore.

PANTALONE - Tasi che nessun ne senta, fa come te gh’ò dito. E non parlar cun nissun al mondo della nostra tresca, e tanto meno con me mujer, altrimenti vien a cader tutti i accordi che gh’avemo fatto, e ti niente Carlina. Vado, vado che nessun ne veda, va ben?

TOMAT - Va ben, va ben. Ce varessio di fâ jo, puar contadin cence un franc, lontan a sarvì. Intant la prime gnot mi tocje gloti, ma dopo la puarti vie la Carline, nol à di tocjale plui, chel bavôs di paron. Tomat puar ma onorât!

SCENA QUINTA

BATTELLO - (Battello entra in casa D) Mo cancher, ho intes il tut. Orsù, v’ho chiapà. Lassè far a Battel. Vado a dir tut a Madona Prudenza, e so po mi cosa ho da far.

SCENA SESTA

FLAMINIO - (Flaminio entra da strada S e parte per strada D; Capitano esce di casa S e resta in scena) Veramente io non credo che si possa trovar in questa vita possession più cara d’un buon amico. Lelio m’ha consolato molto nelle mie afflizioni; con tutto che non habbia saputo mostrarmi la strada di uscirne; ma ecco il signor Capitano nostro vicino.

CAPITANO - Ben tornato il signor Flaminio mio signore. Come mi ralegra quella sua buona ciera! Dio gliela mantenga.

FLAMINIO - E conservi insieme in prosperità il signor Capitano mio padrone e gli dia sempre vittorie ne le sue gloriose imprese.

CAPITANO - Pure che io habbia occasione di combattere, la Vittoria non si scosta mai da la mia persona, poiché, sia detto senza iattanza, è un gran pezzo ch'ella s'è sposata meco.

FLAMINIO - Veramente non si parla d'altro che del suo invitto valore.

CAPITANO - Ma perché non m'è data occasione di adoperarla per il signor Flaminio?

FLAMINIO - Eh signore, io sono uomo di pace.

CAPITANO - Veramente è peccato che un cavaliere così disposto non si sia dato al mestiere delle armi, che farebbe grande passato, massime sotto il mio indirizzo, e 'l farei volentieri per amor suo.

FLAMINIO - Rendo grazie de le cortesi disposizioni verso di me, che non ho alcun merito seco.

CAPITANO - V.S. merita per la sua gentilezza, e giuro a Marte che se io havessi quella mia figliola che mi tolsero i corsari, ch'io non vorrei darla in moglie ad altri che al signor Flaminio.

FLAMINIO - Eh signore, sarebbe grazia troppo grande.

Mus. 11 TAGLIAFERRO

CAPITANO - Mentre io era governatore de la fortezza di S. Remo per la Repubblica di Genova mi fu rubata da un brigantino barbaresco, insieme con la balia e altri de la mia famiglia, e non aveva ancora quattr'anni.

FLAMINIO - Eh, sarebbe partito per altri soggetti che non sono io.

CAPITANO - Ben è vero che potrei maritarla con ogni gran principe; tutti ambirebbero di parentarsi meco. Ma io stimo più la persona che i titoli.

FLAMINIO - Io sarò sempre obbligato a la sua buona volontà. Ma mi scusi se io non resto di presenza con V. S., chè un mio negozio mi chiama altrove.

CAPITANO - Faccia liberamente.

TRUFFA SIMULAZIONE NAPOLETANA

SCENA SETTIMA

CAPITANO - O quel vigliacco di Truffa, mio servitore, non si lascia vedere; deve essere ancora in casa il poltrone: Truffa, o Truffa!

TRUFFA - (Truffa esce di casa S) Me ne vengo mò, mò, signure, me ne vengo.

CAPITANO - Finiscila una volta…

TRUFFA - Mo, mò, signure. Che mi comandate, padrone? Io haveva no poco di negozio corporale.

CAPITANO - Che fa Madonna Onesta?

TRUFFA - Che saccio io, ca no me impaccio co fatti soi?

CAPITANO - È a l'ordine per quello che ho detto?

TRUFFA - Io credo che sia sempre a l'ordine issa; il fatto mo sta che la Vu Signoria sia a l'ordene.

CAPITANO - Dico s'ella è apparecchiata per andar da la signora Prudenza.

TRUFFA - Chisto mo no saccio. No conosco ditta Prudencia.

CAPITANO - La moglie del signor Pantalone nostro vicino.

TRUFFA - Buono, buono! La s'aviva misse le pianelle nuove, e la serva le portava alcuni buosoli di chianco e di ruosso per fregarse lo mostaccio.

CAPITANO - Hai tu nettata quella armatura come t'ho detto?

TRUFFA - L'armatura sta buono. La risplende come no specchio. (Truffa dietro il pozzo)

SCENA OTTAVA

CAPITANO - (Prudenza, sulla porta di casa D) Oh, Madonna Prudenza esce di casa; deve voler venire ad invitar mia moglie a le nozze. Voglio salutarla. (a parte)

PRUDENZA - Questa volta quel babione di mio marito resterà con le beffe. (ferma) Ma ecco il capitano suo confidente. (a parte)

CAPITANO - Fo' riverenza a la signora Prudenza in quella maniera appunto che io soleva fare a la signora Isabella, mentre io guerreggiavo in Fiandra.

PRUDENZA - Oh, questo è troppo onore, signor Capitano. Non merito tanto.

CAPITANO - È stato sempre mio costume onorar le dame, che questo è proprio termine da cavaliere.

PRUDENZA - Questa è tutta sua cortesia.

CAPITANO - Mia moglie l'aspetta, se le vuol comandare qualche cosa. Che verrà a servirla a le nozze e dove le imporrà, come mi ha detto il signor Pantalone suo marito.

PRUDENZA - Rendo ben grazie a V. S., ma io non so nessuna cosa di nozze, né ho pensiero d'incomodare la signora Onesta.

CAPITANO - Pure ciò poco fa m'havea detto il suo signor marito.

PRUDENZA - Mio marito haverà detta qualche sua baia a V. S., io non so nulla.

CAPITANO - Dunque mi scusi, o mia Padrona. (grugnito) Le son servitore.

PRUDENZA - Servitrice di V. S.

SCENA NONA

CAPITANO - (Pantalone esce di casa D. Capitano e Truffa entrano poi in casa S) Ma non si beffano i pari miei. Vuò risentirmene con Pantalone, che non si beffano i pari miei.

TRUFFA - Che c'è, che c'è, signor padrune? C'è annata no puoco in collera.

CAPITANO - M'è passata una mosca traverso il naso.

TRUFFA - La volimo schiantare sta mosca e farla in mille pezzi? Già mò metto mano a la spada.

CAPITANO - Non occorre no. Cosa è praticar con bravi! Che anco la gente vile apprende coraggio.

TRUFFA - A', songio bravo, ca no haggio paura né d'una, né de tante mosche che sono in Moscovia. (scappa a destra)

CAPITANO - Ah, ah, ah! Ma ecco qui Pantalone.

PANTALONE - Servitor, signor Capitano.

CAPITANO - Vecchio ballone, che mi fareste dire, così si burla con me? Mi venite a dire che io mi contenti che mia moglie venga questa notte da voi, e che vostra moglie verrebbe ad invitarla. Ed essa non sa cosa alcuna!

PANTALONE - Varda, varda mo sto stronzo d'Orlando, che vol far bravate, ma no voio per questo scontrar i fatti miei. Vò andar co le bone.

TRUFFA - Signur Pantalone, a no se burlano li pari nuostri: dice lo signur padrone, vediti.

PANTALONE - Signor capitano, mia moier la xe una dona così fata: perché ghe l'ho detto ieri, e no ghe l'ho tornà a dir anchuo, la fenze no saver niente. M'havè promesso el favor; fè de grazia che la venga.

CAPITANO - Mia moglie non deve uscir di casa, se la vostra non viene a levarla. La dignità nol comporta.

PANTALONE - E sì, caro el mio zentilomo, bravo bravissimo. No andemo co sti rispeti fra nù amici. De grazia fè che la vegna per la porta del zardin.

CAPITANO - Orsù, non tengo collera coi pari vostri che da l'uso son fatti esenti da l'armeggiare. Vi voglio compiacer in ogni modo.

PANTALONE - Vi resto obbligatissimo.

TRUFFA - Cancaro, signur padrune, havimo fatto na pace onorata ca vale cento vittorie. A' dubitava ca chillo vecchiaccio no bolisse menar le mani, e annava pensando a una ritirata strateggica.

CAPITANO - Andiamo a casa.

Musica 12 CARLINA semplice

SCENA DECIMA

FRANCESCHINA - (Esce di casa) O signor Pantalone, o sig. Pantalone! Dove lo troverò io per dargli una nuova così importante?

PANTALONE - (fa il giro della casa e si ripresenta) Oh, Franceschina, la nostra massera, esce di casa molto conturbata. Che sarà mai intravignudo?

FRANCESCHINA - Mai più s'è inteso un accidente così stupendo? Misera me che tremo di paura.

PANTALONE - O Cieli, e che sarà mai questo?

FRANCESCHINA - Io non so dove andarlo a cercare, per darli così infelice avviso.

PANTALONE - La sarave bella che fusse crepada mia moier, che me consolarave presto.

FRANCESCHINA - Cosa dirà egli intendendo un caso di questa sorte?

PANTALONE - Franceschina, dove vastu?

FRANCESCHINA - Durerà fatica a crederlo, che veramente è incredibile.

PANTALONE - Franceschina, digo, no me vedistu?

FRANCESCHINA - O perdonatemi, signor padrone. Ero tanto confusa, che non vi vedeva.

PANTALONE - Che hastu? Che xe intravegnù? Dì su, presto.

FRANCESCHINA - Havreste mai creduto una cosa tale?

PANTALONE - Che cosa?

FRANCESCHINA - Se l'haverebbe mai immaginato homo al mondo, che potesse intervenire?

PANTALONE - Dillo su una volta!

FRANCESCHINA - E Dio sa che male ne può succedere?

PANTALONE - Mò dillo in tanta malora una volta!

FRANCESCHINA - Oh, non ve l'ho detto?

PANTALONE - Ti ha detto la forca che t'appicchi. Finiscila mò.

FRANCESCHINA - Perdonatemi, credeva havervelo detto. E che vi pare! Non è una cosa stravagante!

PANTALONE - Di' che cosa, che 'l malan che Dio te dia!

FRANCESCHINA - Di Carlina.

PANTALONE - Che Carlina?

FRANCESCHINA - Del pugnale.

PANTALONE - Che pugnale?

FRANCESCHINA - Del pugnale che ha preso, dopo che è diventata furiosa, per haver inteso d'esser maritata al villano. Ohimè, che tremo a pensarlo. (si gira)

PANTALONE - Come passa sta faccenda?

FRANCESCHINA - Ella ha il pugnale nudo in mano, e nessuno ardisce accostarlese, che vuol sbudellar tutti. Oh guardate di grazia, ch'ella non esca fuora, che… grami noi!

PANTALONE - O gramo mi solo! Di' su presto: e che ne vuol fare?

FRANCESCHINA - Giura che vuol ammazzar questa notte quello che dormirà con essa.

PANTALONE - Vuol ammazzarmi. O me meschino!

FRANCESCHINA - Voi? Signor no! Quello che dormirà con essa.

PANTALONE - Oh, io haveva fallato. Volea dir Tomat.

FRANCESCHINA - Lo vuol ammazzar sicuramente. Poveretto, mi fa compassione.

PANTALONE - O infelice Pantalone, che pericolo che ho corso!

FRANCESCHINA - Che pericolo, signor padrone?

PANTALONE - Eh, volea dir di Tomat.

FRANCESCHINA - Oh, voi errate facilmente. Bisogna che vi sia entrata la paura addosso a voi, come a me, che vi fa vacillare.

PANTALONE - Ohè, Franceschina cara, vedi con bella maniera andarle arente e torle il pugnale.

FRANCESCHINA - (scappa) In disgrazia! Non le andrei appresso, che me lo caccerebbe tutto ne la panza.

PANTALONE - Vedi che mia moier ghe vada. In somma tròveghe rimedio.

FRANCESCHINA - Vedremo di far ogni possibile di placarla.

PANTALONE - Varda che stravagante. Vo' sperando che la s'habbia a quietar. Sarà stada una furia. La ghe passerà.

SCENA UNDICESIMA

TOMAT - (ha sentito la cosa del pugnale) Sior paron, o' âi sintut dal pugnal, eh no che jò no voi fami spalancâ la panse di chê lì: e jê biele, e jê ninine, ma no mi va propite di fami sbudielâ…

PANTALONE - Ma come sbudelar? Vastu drio a le stupidade de quela frascona de Franceschina? E se la fosse una punta di verità, pensistu che no la se calmi? Quando che la me vede, la molarà il pugnal e te maridarà.

TOMAT - Se no si calme, jo no la maridi e no la puarti nancje a durmì.

PANTALONE - Chissà per quale diavoleria la Franceschina la xè vignuda a contarme ste robe. Le se sarà messe su tra de lore, magari anca me mojer. Ti no te sa de cossa che xè bone de inventar le femene. Le se cariga, le parla, le baba, le se basa su ciacole e petegolessi, fantasie che no ga senso. (si gira) Eh, Tomat, ti ancora no te le conossi ste babe. Fidate del to paron, che'l gh'a grande esperienza in materia, e aggiusterò tuti i sussurri che xè nati e tutto anderà per il verso giusto. La se calmerà. (esce in 1° e resta)

TOMAT - Ma se no si calme jo… no… no… le maridi e al va a mont dut. Eh no, orco boe.

SIPARIO

ATTO TERZO

Mus. 13 FLAMINIO ostinato

SCENA PRIMA

FLAMINIO - (Flaminio viene di strada S, Battello esce di casa D, poi vanno per la strada S) Mal può fermarsi il piede, dove inquieta è la mente. È un pezzo fà, che vò girando, e non so dove; mentre non so dove habbino a terminare le mie amorose faccende. Tornasse almen Battello, per intendere se ha operato qualche cosa. Ma eccolo!

BATTELLO - O patron, a v'ho pur trovà finalment. A vi son sta' cercand in piazza e no v'ho trovà. Son andà a la cavallerizza, e no v'eri. V'ho domandà a la scola de scherma: m'ha dett che non se stà. Son stà al ridot, al magazin, al bordel, e non ho havù nove de vù. In fin quando manch i pensava, vù se qui.

FLAMINIO - E ben, che mi porti? Vita o morte? Mi consoli o mi disperi? Che sarà di Carlina? Anzi, che sarà di me?

BATTELLO - Carlina sarà de vù, e vù sarè de Carlina, se haverì pazienza.

FLAMINIO - Deh, dicessi questa sola verità in tua vita, e tutto il resto bugia!

BATTELLO - A ve dirò de queste e dell'alter verità, se me vorì ascoltar, e se me vorì creder. Vostro pader l'haviva pensada ben per lu, ma no per vù.

FLAMINIO - E che cosa?

BATTELLO - Voleva maridar la Carlina a Tomat, per goderla lù, e 'l vilan cornù lo consentiva.

FLAMINIO - E che rimedio hai trovato?

BATTELLO - Una furberia de le me solit col consenso di vostra mader.

FLAMINIO - Purché la riesca.

BATTELLO - La riuscirà cert, purché di zà la no sia bel riuscida. Stet a sentì: mi ho trovà un me amich da Berghem, un zovenaz fort e furb. E l'havem vestì da dona. E lo volem dar al vilan, in pe' de Carlina.

FLAMINIO - E non vuoi che 'l villan se n'avveda?

BATTELLO - Signor no, perché sto ballon non cognos appena Carlina, che no l'ha vista se no do o tri bot a la possession. La ghe sarà dada così a l'oscuro: chel'è com lui cerca. Perché l'ha mis orden col signor Pantalon de infinzer de menarla a la possession e in quel pè menarla a casa del Capitan nostro vizin. Di mod che non dubit, che non habbi a riuscir.

FLAMINIO - La burla è bella, ma non so veder poi come io habbia a restar consolato.

BATTELLO - Pensem al present rimedi, che del rest po' haverà cura il Ciel, e mi anh gho pensà qualche cosa. Andem in cà del lunganegher mio amich qui vicino, che stasera osserverem il tutt.

FLAMINIO - Andiamo, dunque!

SCENA SECONDA

PANTALONE - (dalla 1° quinta) Mojer cara, (a destra della porta) mi vado da quel mio amigo a combinar quella cena de affari; allora per non andar a torno de notte, me fermo a dormir a casa soa. Se vedemo doman de matina, me raccomando: fasè tutto pulito.

Musica 13 fino a fine battuta

(al pubblico) Adesso vado a sconderme in te la casa del Capitano e speto che Tomat conduca la sposa e mi andarò a goderla eh, eh, eh… (entra in casa del Capitano)

SCENA TERZA

Mus. 14 FRANCESCHINA

FRANCESCHINA - (alla finta sposa) Orsù Carlina, sorella cara, andate felicemente col vostro sposo, che prego il Cielo ch'habbiate più contento che non havete havuto in questa casa, dove non v'è però mancato il pane e il vino, ma solo qualche poco di companatico che vi bisognava.

TOMAT - Ti darai ben jo un companadi che no tu âs mai vût.

FRANCESCHINA - Avvertite di trattar con vostro marito in modo che esso habbia piuttosto di far al vostro modo che voi al suo.

TOMAT - No viôt l'ore di doprale.

FRANCESCHINA - Da bel principio bisogna cominciar a succhiarlo, a pestarlo, a morsicarlo più che potete, e tirar tutto a vostro pro'; perché se lasciate passar questa prima affezione, non farete poi niente.

TOMAT - Tâs, lengate, che jè e sâ ce che a di fâ!

FRANCESCHINA - O quel tristo è qui! Non me n'era avveduta. M'ha interrotta in su il più bello. Ma un'altra volta vi darò gli insegnamenti che bisognano.

TOMAT - Damile cà… po! Tu ti sês taponade parcè che jò……

FRANCESCHINA - Orsù. Pigliati la tua sposa, e vatti con la buona ventura, che possa diventar quello che ti farei io, se stesse a me, come sta a Carlina.

TOMAT - (solo, parla con la finta sposa che non gli risponde) Ven, ven! 'O vuei tocjati dute, poleciute!

SCENA QUARTA

BATTELLO - Ho vist che ghan consignà la finta sposa.

TOMAT - Sestu vignût a saludâ i nuviçs. Ma va in malore, bergamasc!

BATTELLO - In soma chi no ha fortuna in sto mond, può andarsene a impicà, come mi, gram Battel.

TOMAT - Brao, brao! Va picjiti prime di murî di rabie.

BATTELLO - Ti può dir quel che ti vuò che ades è la toa. Ma se la fortuna se voltas un poch col cul in su…! Pazienza.

TOMAT - Ma va vie, scalognât, pitoc, macaco!

BATTELLO - Per disperazion a me voi andà a sofogà con un piat de rafiò, o appiccarme con tanta corda fatta de luganega; o più prest andarmene ad annegà in una bott de garganech e mostadel. Va pur, va pur, merlot, che ti me l'ha cazzada. (esce a destra e si nasconde)

SCENA QUINTA

Mus. 15 ONESTA

ONESTA - Carlina, cara, non potrei ditte quanto volentieri io me sia adoperata per liberatte dai presenti pericoli, e quanto io sia a fa ndove che posso, per amor tuo.

CARLINA - Mia signora, io non so trovar parole per ringraziarvi di tanta cortesia, e molto meno spero di poter già mai haver opere per contraccambiarvi.

ONESTA - I tu geniali costumi e le tu belle maniere me t'hanno affezionata in un modo, che io t'amo da fijia. E me fai sovvenì una fijia che a punto io haveva, che se el Ciel havesse voluto conservarmela avrebbe circa la tua età, ed havrebbe a punto anche lei un segno come ce l'hai tu dietro l'orecchio, che quando l'ho visto non ho potuto trattenè le lacrime, in raccordarmi di quella poveretta. Ih, ih, ih…

CARLINA - Mi spiace havervi portata occasione di piangere. Dovette morire la vostra figliola? Beata lei! Così fossi morta anch'io (al proscenio) che non mi troverei fra questi miserabili impacci.

ONESTA - Magaro fusse morta! Che sarebbe el male minore. Me la rapirno, meschina, i corsari di Barberia.

CARLINA - Ancor io fui rapita da corsari, da quali fui venduta ad un mercante pisano, da cui mi comprò poscia il Signor Pantalone.

ONESTA - E che tempo havevi quanno venisti nelle mano di que' cani? Te ricordi?

CARLINA - Non già perché io non havevo ancor quattr'anni, ma ben l'udii dire da la mia balia, che fu presa meco. La quale sopravvisse quattro o cinque anni a la mia cattura.

ONESTA - Ohimè, che te diceva ella?

CARLINA - Che fussimo prese ne la riviera di Genova, non lungi da un castello, che si chiama, se ben ricordo, San Remo.

ONESTA - O Cielo! Sogno, o son sveja? Che ve ricordate el nome della balia?

CARLINA - Ella si chiamava Clemenza.

ONESTA - Clemenza a punto. Ma tu te chiamavi con artro nome che Carlina?

CARLINA - Il mio nome era Ardelia, ma il mercante, che mi comprò, lo mutò in Carlina.

ONESTA - Oh, che sto sempre più sulle spine: certo è mia fija! Ma la balia nun te disse mai el nome de tu padre e de tu madre?

CARLINA - Si bene, e mi diceva che mio padre havea nome Polidoro, e mia madre Tiresa.

ONESTA - O Dio, che non capisco quanto so contenta! O cara e tanto pianta e sospirata fija mia! Tu sei Ardelia, mia figliola, e io so Tiresa tu madre.

CARLINA - Sia ringraziato il Cielo. E come può essere questo?

ONESTA - Tornamo a casa che mo capirai tutto. Annamo subbito a dillo a Madonna Prudenza.

BATTELLO - (in disparte) Poh, poh, poh! Mò quest'e l'è un bel cas! Al me par zust un di que' accidenti, che se pensen ne le comedie. Varda, varda come costie l'ha trovà so pader e so mader, e da una povera serva la sarà diventà, in un attem, gentildonna! L'haveva ben anch'umor da gentildonna sì; se mi la vardava, se la toccava un tantin, el pareva, ch'avis fat un sacriles, tant ella stava in su la so! Almanch incontras anch'mi una tal ventura de trovar un pader, che fus gentilom e rich, che sarave po' ben anch'mi star in su 'l sod, sì. Ma questa è la ventura del me paron. Voio andarlo a consolar con questa buona nova.

Simulazione botte TOMAT

SCENA SESTA

Simulazione percosse tutta la battuta

TOMAT - (esce di casa) Ohi, ohi, ce quatri quais ch'o ai cjapadis. Ma nuie chel! Ma ce che al è piês, in cjase dal Cjapitani o' âi scomencjât a tocjâ par chi e par li, e mi soi inacuart che al jere un omp, che al a scomencjât a pacami; jo o soi scjampâte le ai lassade a Pantalon cussì: and'à cjapadis ancje lui, une buine rate di legnadis, cussì al impare a cjoi pal cûl Tomat.

Botte su PANTALONE

SCENA SETTIMA

        

PANTALONE - (Pantalone esce di casa S, viene di strada S) Oimè, oimè, sta spala…! Oimè la schena! Canchero, me l'han pestada! Diceva ben el vero Franceschina che la novizza haveva el pugnal. La gha un pugnal ch'illa vorave farghe il fodero. In fa el me sta ben el mal e le beffe. Go de andarmene a inamorar mi, ca son vizin a setanttanta ani e col piè co se pol dir ne la fossa, e andar a fa ste trame per goder la morosa. L'haveva il pugnal, ma quel che l'è pezo, l'haveva el baston, e me n'ha sonae quattro e l'ho meritae. E m dispiase più de la vergogna che del mal…

CAPITANO - O signor Pantalone, e che fate a quest'ora così in strada senza veste?

PANTALONE - Servitor, signor Capitano! A son vegnudo così a pigliar un poco di fresco. Ma vù come l'havè passada con la regina di Fiandra? Havevela il pugnal anch'essa?

CAPITANO - Io l'ho passata felicemente, ma perché mi domandate di pugnale?

PANTALONE - Perché s'usa ados de le done portar il pugnal.

CAPITANO - Eh, questa non è una cosa nuova! In ogni secolo vi sono state donne guerriere, e son mentovate ne le istorie le Pentesilee, le Camille, le Tomiri, le Marfise, le Bradamanti, le Clorinde, con molte altre ch'eran valenti ne l'armi. E in questo proposito io vi potrei raccontar un bel caso successo a me.

PANTALONE - Eccesso di grazia. A ogni modo haveva bisogno di sentir qualche istoria da ridere per lenire l'umore. (si siede sul pozzo)

Mus. 16 AMAZZONI

CAPITANO - Mentre io mi trovava Generale del Gran Duca di Moscovia, in tempo ch'egli guerreggiava con i Tartari, in una rotta ch'io diedi loro, m'occorse seguire, solo, una squadra di trenta mille cavalli, che fuggivano uniti. E li seguitai sin che giunsi in su un fiume, il quale, traversando la loro fuga, mi diede comodo di raggiungerli e tagliarli tutti a fil di spada, come feci.

         Una principessa delle Amazzoni, che abitava quelle riviere, hebbe occasione, parte di vedere, parte d'intendere la mia prodezza e la robusta e gagliarda disposizione della mia persona, per il che innamorata ardentemente di me, non cessò con i vezzi, con ambasciate e con doni sin tanto non m'indusse a le sue voglie. Andai a trovarla e mi ricevè in camera e in letto, senza mai spogliarsi una armatura intera di pietre grosse di ferro, ch'essa haveva indosso, come pure havevo ancor io. Ella rimase gravida, ed io, fatta la pace, partii di quei paesi, di dove non molto dopo il re dei Tartari per un suo gentiluomo mandato a posta, m'avvisò che l'Amazzone havea partorito un fanciullo coperto di ferro da capo a piedi, ma perché haveva anco la spada nuda in mano, a la madre convenne morire di parto.

PANTALONE - Ah, ah, ah! Mò questa sì che la xe … (va verso il Capitano)

SCENA OTTAVA

FLAMINIO - (viene con gli altri di strada S) Strana cosa tu mi narri; ma tale che null'altra poteva maggiormente consolarmi.

BATTELLO - A v'ho dett pe a punt tutt quel che ho intes.

FLAMINIO - Ma è qui a punto il signor Capitano con il signor padre. Con licenza, signor padre! Servitore, signor Capitano mio padrone!

CAPITANO - Servitore, signor Flaminio. Che mi comanda V.S?

FLAMINIO - Io vorrei supplicarla della grazia. (va vicino al Capitano)

CAPITANO - Comandi pure.

FLAMINIO - Io bramo che se V.S. per sorte venisse mai a trovar quella sua figliola, che mi disse hoggi, che le fu tolta da' corsari, che si contentasse concedermela in moglie.

CAPITANO - Io non so perché mi fa questa richiesta, mentre son fuori d'ogni speranza di mai più ritrovarla. Pure io le prometto quanto mi chiede.

FLAMINIO - Mi promette su parola d'onore?

CAPITANO - Su parola d'onore, da quel cavaliere e da quel capitano ch'io sono.

FLAMINIO - A me tanto basta, signore. Rendo mille grazie a V.S. (esce con Battello)

SCENA NONA

PANTALONE - Toh, toh, che stravaganza xè questa? Vù dunque havè avudo una figliola, signor Capitano?

CAPITANO - N'hebbi una e me la tolsero i corsari di Barberia, che non havea ancor quattr'anni, mentre io era governatore per la Repubblica di Genova nella fortezza di San Remo, dove io comandavo a tremille fanti!

TRUFFA - Uh, uh, i no erammo chiù, en tutti, ca quince o sedice!

CAPITANO - Che dice, Truffa?

TRUFFA - Dico, signure, ca denno essere de gli anni quince o sedice ca fu chistu.

CAPITANO - Dice il vero Truffa; che ciò successe a punto ne l'anno che io sconfissi l'armata del re di Narsinga, numerosa di trecentosessanta galere bastarde.

PANTALONE - No dovevan esser nate de legitimo matrimonio.

CAPITANO - Dico galere bastarde, che così si chiamano quelle che sono maggiori de l'ordinario.

PANTALONE - Vi intendo bene. Ma come fulla de grazia?

CAPITANO - Havendo inteso il re di Narsinga de la bellezza e ricchezza d'Italia, hebbe volontà d'impadronirsene con una sorpresa e perciò, allestita l'armata ch'ho detto, con centoventimille huomini da sbarco sopravia, la spinse con grandissima celerità e segretezza in questo nostro mare Mediterraneo, e pervenne quasi a l'improvviso sin presso a le spiagge del Tirreno, dove scoperta una mattina da me, nel repentino caso presi questo partito. Trovai una feluca e le feci attaccar a la prua un ferro grosso, ma ben aguzzo e tagliente, ed io solo entrando in essa con due forti remi e vogando all'indietro, come si costuma in quella sorte di barche, la spingevo con tanta velocità e con tanto impeto che urtando ne le galere nemiche le tagliavo per mezzo e le facevo affondar di subito, sì che in meno di cinque ore tutta l'armata di Narsinga si somerse, senza restar ne pur un che portasse la novella.

PANTALONE - Ah, ah, mò chi no riderave?

TRUFFA - Se avrà pazienza, ne sentirà delle chiù belle.

SCENA DECIMA

ONESTA - Annamo sora Prudenza, e tu vieni fija mia, a consolà tu padre.

PRUDENZA - Eccolo a punto, signora, che parla con mio marito.

ONESTA - Sor Pantalone, serva di V.S., conoscete questa giovane qui?

PANTALONE - No la xe za quella del pugnal, no. La me par Carlina mia serva.

ONESTA - Non è più né Carlina, né vostra serva, né donna d'esser data in moglie ad un villan, come volevate far voi.

PANTALONE - Signora Onesta, no parlemo più, di grazia, di quello che è sta fatto. Fè conto che no sia stà niente, e mettemolo de banda.

ONESTA - Marito mio, questa è la nostra fija, la nostra Ardelia, che già ce fu torta. Ella è sicuramente lei, io so sicurissima. Io n'ho ogni certezza maggiore. Ardelia riverisci a tu padre.

CAPITANO - O cara la mia figliola, or sì che ti riconosco. Io son Polidoro Billardi, tuo padre. Oh, come giubilo di contento!

ONESTA - Lei m'ha dato tutti i particolari der nome der padre, de la madre, de la ballia e di tant'artre cose che sarebbe na' coccciutaggine avè de' dubbi. Oltre chè, vedete sto segno dietro a l'orecchia, che ci haveva puro nostra fija.

PANTALONE - Carlina, come può star questo? Ti m'ha pur detto che la tua balia diseva, che tuo padre haveva nome Polidoro Billardi da Rimini, e mi ho mandà a Rimini per intender, e m'han detto che quel Polidoro vendè tutto il suo e andò via, che mai più si seppe niente de' fatti suoi. Come può esser che adesso sie figliola del Capitano Tagliaferro?

CAPITANO - Signor Pantalone mio caro, così è la verità. Rallegratevene meco delle mie consolazioni, e sappiate che il mio vero nome è Polidoro Billardi, e Tagliaferro è un soprannome che m'ho acquistato a la guerra.

PANTALONE - Prima, signore, mi me ralegro con voi e poi ascolto volentieri quello che la xe per dirme del suo mutamento di nome.

CAPITANO - Mentre io mi trovava a la presa di Budapest m'occorse tagliar in un colpo un rastrello di ferro fatto di bastoni grossi come il mio braccio, l'esercito presea dirmi Tagliaferro, e da indi in poi io mi sono sempre chiamato così. Ma e Polidoro e Tagliaferro son servitore del signor Pantalone. (esce Flaminio)

FLAMINIO - Signor capitano, mi rallegro con V.S. Più che ogn'altro de la ritrovata figliola, e dimando l'osservanza de la promessa fattami poco fa.

CAPITANO - Io non ho mai mancato di parola a' miei giorni. Nemmeno voglio mancar questa volta. Per quanto s'aspetta a me, io mi contento che mia figliola sia vostra moglie.

FLAMINIO - Mi rallegro parimenti con voi, signora Onesta, e la supplico contentarsi ancor essa di quanto il signor vostro marito, e mio signore.

ONESTA - Anch'io so' più che contenta.

FLAMINIO - Io prego e supplico la signora madre e il signor padre a contentarmi ancor essi.

PANTALONE - Mi che doverave esser stà il primo a dar il consenso, sarò l'ultimo. Orsù, me contento.

FLAMINIO - Non siete l'ultimo, che l'ultimo deve essere la signorina Ardelia. Deh…

CORO - Deeh!!

Mus. 17 Tema CARLINA Finale EDITA fino in fondo

FLAMINIO - Signorina Ardelia, da me tanto tempo amata e riverita, se bene non havete mai voluto dar segno di gradire il mio amore e affetto, quantunque in fortuna tanto inferior de la presente, date voi compimento con un cortese consenso a la mia felicità, se non v'è discara la mia vita.

CARLINA - Io mi contento di quanto piace al signor mio padre e madre.

ONESTA - Dunque datevi la mano.

BATTELLO - Nozze, nozze! Allegrezze, allegrezze! Viva, viva! Signori, la commedia è finita, andate a cena, chè gli sposi ceneran da per loro, co' loro congiunti. (con tutto il prologo esce)

SIPARIO