La casa di prima

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LA CASA DI PRIMA

Commedia in quattro atti

di GUIDO CANTINI

PERSONAGGI

NANNI MEME e NINNA figli di

LORENZO e

IRENE ASTOLFI

GIGI RONZI

ADEMARO MELNÀ detto il « Maggiore», segretario comunale.

RENATO

COLOMBI  EVARISTO

CAROLINA, serva giovane

GINEVRA, serva vecchia

I TRE CIECHI

UNA NUTRICE

I primi tre atti in una città d'Italia: il quarto a Parigi. Fra il terzo e il quarto atto passano 18 anni (Destra e sinistra dello spettatore).

ATTO PRIMO

 Giardino limitato al di fondo dalla casa in mezzo alla quale è aperta una gran porta vetrata che dà nel salotto, abbastanza visibile. Finestre a destra ,e a sinistra dell'uscio: si scorgono tra i rami anche le finestre del primo piano: una praticabile. Sul davanti della scema: a destra un fico verdeggiante, a sini­stra due melograni fioriti. Sotto al fico una tavola quadrata con poltrone e sedie di vimini.

 

SCENA I.

Lorenzo - Irene - Carolina

Lorenzo                         - (coglie dell'insalata piantata tra i fiori nelle amale a sinistra).

Irene                              - (rassetta un paio di calze e n'ha un mucchio di­nanzi).

Carolina                        - (bella, fresca, grassa, apparecchia la tavola e canta uno stornello).

Lorenzo                         - Quest'insalata comincia a tallire.... (alla moglie) Non c'è mai verso che ti venga in mente di farmene un piatto: bisogna che la colga da me, se la voglio.

Irene                              - Col tifo che c'è in giro...

Lorenzo                         - Trova la scusa del tifo, via. La verità è che tu eviti tutte le occasioni di farmi contento.

[rene                              - (non risponde e continua a lavorare).

Carolina                        - (va e viene con le stoviglie seguitando a can­tare).

Irene                              - Smettila di cantare, Carolina. Tutto il santo gior­no non fai altro. Ci levi di sentimento.

Lorenzo                         - (alla moglie) Si può sapere che noia ti dà? È giovane e fa bene a cantare, (a Carolina) Canta, cauta, Carolina; non darle retta.

Irene                              - (abbassa il capo e continua a lavorare).

Carolina                        - (ride e si mette a cantare più forte).

Lorenzo                         - (alzandosi e andando verso la serva) Tieni (Le porge l'insalata). Lavala per bene e condiscimela.

Carolina                        - (esce dal fondo coi cestì d'insalata).

SCENA II.

Lorenzo e Irene

Irene                              - (posando il lavoro e rivolgendosi al marito) Senti, Lorenzo. Te l'ho già detto, ma te lo ripeto: non voglio che tu mi faccia scomparire e che tu mi dia contro in presenza della donna, come dianzi.

Lorenzo                         - (la guarda ed ha un sorriso beffardo) Vorresti che tutti fossero fegatosi come te? Ti dà noia anche sen­tirla cantare? È la sua età.

Irene                              - Non la difendere così sfacciatamente.

Lorenzo                         - Vuoi finirla?

Irene                              - Tu lo sai come per tante ragioni io sopporti... tutto, ma voglio almeno che tu salvi le apparenze, specialmente da stasera che arriva Meme.

Lorenzo                         - Oh, Meme si guarderà bene dall'avere i tuoi sospetti senza fondamento. Meme non avrà le tue stu­pide gelosie. .

Irene                              - Gelosie?

Lorenzo                         - Stupide, gelosie, sì.

Irene                              - Ma come, dopo quello che so! Dopo quello che so!

Lorenzo                         - Insomma, vuoi farla finita, sì o no? Ti ho già detto che scene non ne voglio.

Irene                              - Ed io esigo che almeno in faccia a me ed agli e-stranei tu non prenda confidenze con la serva.

Lorenzo                         - (andandole contro) Oh! Oh! Oh! Cos'è tutto questo gallo? (le è quasi con le mani sul viso).

Irene                              - Avanti, picchiami anche! (silenzio).

Lorenzo                         - Ma guarda un po', tutti i giorni deve essere questa veglia!

Irene                              - Non lo puoi dire in coscienza. Queste cose acca­ dono quando tu mi ci trascini pei capelli. Che cosa ti ho chiesto? Di non farmi almeno perdere ogni autorità con la donna.... e tu

Lorenzo                         - Ed io,, è vero, mi metto a darle i pizzicotti in presenza tua...

 Irene                             - Non dico questo...

Lorenzo                         - E allora?

Irene                              - I figlioli sono grandi: potrebbero vedere, capire...

Lorenzo                         - Per fortuna, loro hanno più buon senso di te e non si montano la testa per nulla... Tu invece devi lamentarti sempre e non lasciare in pace nessuno.

SCENA III.

Lorenzo – Irene - Carolina

Carolina                        - (rientra con l'insalata lavata e condita in un piatto che posa su la tavola) Debbo mettere la pasta, op pure aspettano la signorina Meme?

Irene                              - Aspettiamo la signorina.

Lorenzo                         - Se il treno non ritarda troppo.

Irene                              - Dopo cinque anni che non la vediamo, non vuoi nemmeno aspettarla a cena?

Lorenzo                         - E chi dice che non voglio aspettarla? Dico che se tarda molto, può darsi che abbia già mangiato qual­cosa in treno. Pare impossibile che tu debba capir tutte a rovescio.

Irene                              - Mi sembra che si dovrebbe aspettare ad ogni modo... dopo quello che ha fatto e fa per noi!

Lorenzo                         - Il suo dovere di figlia, nient'altro che il suo dovere... Chi l'ha mantenuta agli studi? Chi le ha fatto prendere la laurea? Io, col mio sudore; ed oggi non fa che restituirci in minima parte qualcuno dei nostri sa­crifici.

Irene                              - E sia pure. Io non nego che tu abbia fatto sacri­fici per farle prendere la laurea in matematiche; però non è stata ingrata.

Lorenzo                         - Avrei voluto vedere anche questa! Gliel'avrei insegnata io la gratitudine, per amore o per forza.

Irene                              - Quando i figlioli sono ingrati...

Lorenzo                         - Cos'è? Le dobbian fare un monumento per quei quattro soldi che ci manda alla fin del mese?... Del re­sto lei è stata all'estero, ha girato il mondo, s'è diver­tita: noi non ci siamo divertiti.

Irene                              - S'è divertita! Meme! Ma se ha lavorato sempre, come una bestia da soma! Dopo la scuola, lezioni par­ticolari a un capo e all'altro della città, e, come se non bastasse, la sera tiene il giornale di contabilità e la cor­rispondenza di sette od otto aziende... Lo chiami divertirsi questo?

Lorenzo                         - Ma sì, a sentir te, ci mantiene tutti Meme... A che punto è il cappone, Carolina?... Fammi vedere a che punto è il cappone (spinge per le spalle la donna in sa­lotto e scompare con lei).

SCENA IV.

Irene sola, poi Nanni

Irene                              - (abbandona il lavoro in grembo e si inette a guar­dar fissa dinanzi a sé).

Nanni                            - (entra da destra. È un ragazzo di 17 anni, ma­lato d'adolescenza. Tiene sotto il braccio un pacco d: libri stretti da una cinghia. Scivola contro il muro e fa per entrare in salotto. La madre al rumore dei passi si volge).

Irene                              - Nanni!

Nanni                            - Buona sera, mamma.

Irene                              - Dammi un bacio.

Nanni                            - (le va a dare un bacio).

Irene                              - Di dove vieni?

Nanni                            - Ho fatto una passeggiata dopo scuola, fuor delle mura.

Irene                              - Solo?

Nanni                            - Sì.

Irene                              - E Orlandi?

Nanni                            - Non so: è andato a fare la solita partita a foot­ball.

Irene                              - E perché tu non sei andato?

Nanni                            - Non ne avevo voglia.

Irene                              - Che hai da un pezzo in qua, Nanni? Che hai? Diglielo a mamma tua.

Nanni                            - Niente. Cosa vuoi che abbia?

Irene                              - No, sei cambiato da qualche mese.

Nanni                            - T'inganni.

Irene                              - (gli carezza i capelli e lo obbliga a guardarla ne­gli occhi).

Nanni                            - (si svincola per andar via).

Irene                              - (lo lascia con un sospiro poi:) Non hai avuto nemmeno il pensiero d'andar a prendere tua sorella alla stazione?

Nanni                            - Al contrario: ci sono andato.

Irene                              - E così?

Nanni                            - Il treno ha ottantacinque minuti di ritardo.

Irene                              - Ah, tuo padre non vorrà aspettare. Vorrà cenare. Non aspettarla dopo cinque anni! Va tu, va tu alla sta­zione... Se mi sentissi meglio ci andrei io, ma non posso. Va tu a prendere la tua sorellina.

Nanni                            - Sì, vado io.

Irene                              - E Ninna?

Nanni                            - L'ho incontrata per istrada. Era con la solita compagnia. Tornavano dal tennis.

Irene                              - Bisognerebbe che venisse anche lei alla stazione.

Nanni                            - È qui, mi pare. (Si sente infatti un rumore con­fuso di voci che si avvicinano. Si percepisce qualche -« Arrivederci », « A domani », «Buona sera », qualche risata, poi le voci si allontanano).

Irene                              - Va a dire a Ninna di venir con te alla stazione.

Nanni                            - No, aspettiamo che Ninna sia qui, tanto facciamo a tempo. (Le voci di Ninna e di Gigi Ronzi si avvicinano).

SCENA V.

Irene – Nanni – Ninna - Ronzi poi Carolina

Ninna                            - (poco prima d'entrare) Venga a dar la buona sera a mammà. Le offrirò il vermouth.

Gigi                               - Con piacere.... Accetto.

(Entrano. Ninna, elegantissima, porta la racchetta del tennis. Ronzi è il tipo classico del bel giovane di pro­fessione: energico, sicuro).

Ninna                            - Buona sera, mamma. Ti porto una visita: lì conte Ronzi.

Gigi                               - Signora...

Irene                              - Buona sera. Come sta?

Gigi                               - Benissimo, grazie. È un po' tardi per una visita....

 Irene                             - Siamo ormai in confidenza, non è vero?

Nanni                            - (è rimasto nel fondo, estraneo).

Ninna                            - Partita formidabile, ma ho vinto, come sempre, (a Gigi). E il suo bicchierino di vermouth? (chiamando) Carolina.

Irene                              - (a Ninna). Sei scalmanata; sudi ancora. Mettiti il golf. (A Gigi). Questa benedetta ragazza non ha un pen­siero per sé.

Gigi                               - Creda, non si è scalmanata: slam venuti in qua passo passo.

Carolina                        - (compare dal fondo).

Ninna                            - (a Carolina) Dei bicchierini, presto; e la botti­glia del vermouth.

Carolina                        - (scompare dal fondo).

Ninna                            - (tornando verso sua madre e Gigi, a Gigi:) Re­sta in piedi?

Gigi                               - Ma... (accenna la tavola apparecchiata) vedo che loro stanno per andare a tavola.

Irene                              - C'è tempo. S'accomodi... Ed è probabile che si vada a cena più tardi, stasera. Aspettiamo da un mo­mento all'altro la mia figliola maggiore.

Gigi                               - La signorina Meme?

Irene                              - Già, viene da Parigi ha finalmente ottenuto un posto qui all'istituto superiore... per titoli.

Gigi                               - Lo so, lo so che si è fatta molto onore.

Irene                              - Ah, sì: quella figliola non mi ha dato che conso­lazioni da che è nata.

Ninna                            - Ed io, mamma?

Irene                              - Ma certo. Però Meme ha un altro carattere. lì suo unico pensiero è sempre stato la famiglia... E per sua sorella, che adorazione! Non passa mese senza che le faccia qualche regalo. Tutti i vestiti che Ninna porta glie li ha mandati Meme da Parigi. Le primizie della moda.

Ninna                            - (è seccata di quel che dice sua madre) Ma sì, mamma, il signor Ronzi lo sa, lo sanno tutti ormai in città.... (a Gigi) È un discorso che fa sempre.

Irene                              - Non risponde forse alla verità?

Ninna                            - Sì, ma a Ronzi interessa mediocremente che i miei vestiti vengano da Parigi e che siano un regalo di Meme.... Questo vermouth non viene? Ah, eccolo.

Carolina                        - (entra con una bottiglia e dei bicchierini su un vassoio).

Ninna                            - (toltole di mano il vassoio, versa il vermouth a Gigi e glielo offre).

Gigi                               - (prendendo il bicchierino) Grazie.

Carolina                        - (esce).

Irene                              - (a Ninna) Non vai alla Stazione a prendere tua sorella?

Ninna                            - Ho un mal di testa, un mal di testa... (vedendo Nanni) Perché non vai tu, Nanni?

Nanni                            - Infatti io vado.

Ninna                            - E scusami con Meme, dille che ho questo gran mal di testa. (A Gigi) Lei non conosce mio fratello, il mio fratellino? Il conte Ronzi.

Gigi                               - (stringendo la mano a Nanni) Tanto piacere.

Ninna                            - Il mio fedele alleato a tennis.

Gigi                               - (a Nanni) Lei non giuoca?

Nanni                            - No.

Ninna                            - Ha passione al foot-ball, lui. (lo bacia forte).

Nanni                            - Che fai? (si schermisce).

Ninna                            - Ed è innamorato. Io conosco la sua bella.

Nanni                            - Finiscila, Ninna, finiscila.

Irene                              - Andiamo, Ninna, gli fai dispiacere, non vedi?

Ninna                            - (al fratello) Vai tu alla stazione, vero?

Nanni                            - Sì. sì, vado io: buona sera. (esce).

SCENA VI.

Irene Nanni e Gigi

Ninna                            - (a Gigi) Vuol vedere il mio album di fotografie? Quelle che ho fatto l'anno scorso su le Dolomiti?

Gigi                               - Me lo aveva promesso.

Ninna                            - Soisi. (esce).

Irene                              - E lei si tratterrà molto nella nostra città?

Gigi                               - Credo. Mi ci trovo molto bene. Vi ho fatto molte amicizie.

Irene                              - Non sente la nostalgia di casa sua?

Gigi                               - Io non ho mai provato nostalgie. La patria è dove si sta bene. Sono orfano e giro il mondo.

Irene                              - Ma a lungo una vita così deve stancare! Pensi che da trent'anni io non mi muovo, si può dire, da questo giardino,

Gigi                               - Per una signora è un'altra cosa. Ma un uomo, un giovane... Io, per esempio non potrei stare in un luogo più di un mese.

Irene                              - Ha fatto tuttavia un'eccezione per la nostra città.

Gigi                               - Infatti mi ci trovo da sei mesi e non ne sono an­cora stanco.

Irene                              - Lei abita all'albergo, mi pare.

Gigi                               - Sì, al Grand Hotel.

Irene                              - Quello nuovo, accanto al Casino?

Gigi                               - Appunto.

Irene                              - È molto frequentato il Casino?

Gigi                               - Moltissimo; dagli stranieri specialmente.

Irene                              - Lei ci va?

Gigi                               - (con un sorriso) Qualche volta, non nego...

Irene                              - (con una specie di spavento) E giuoca?

Gigi                               - Oh... poco: per uccidere la noia.

Irene                              - Ho sentito che c'è un lusso, là dentro.

Gigi                               - Non saprei.... Come a Montecarlo.

Irene.                             - Certo, la nostra città è molto cambiata, da che hanno aperto quello stabilimento. Si vede certa gente in giro!

Gigi                               - (con uno sbadiglio mal represso) Che giardino tran­quillo!

Irene                              - Ah sì: è il nostro amore. Vede quei lecci, là in fondo? Li piantò il mio povero nonno.

Gigi                               - (Ironico) Belli!

Irene                              - Quel pesco lì è nato da un nocciolo gettato per caso nell'aiuola da Meme, la mia maggiore.

Gigi                               - (non ne può più) Ah! E fa delle pesche?

Irene                              - Bellissime. L'anno scorso ce ne ha date una quan­tità.

Gigi                               - Oh, guarda! Chi lo direbbe?

Irene                              - L'apparenza inganna….

(Silenzio).

Gigi                               - La signorina s'è perduta su le Dolomiti.

Irene                              - Già, che fa Ninna?

(Silenzio).

Irene                              - (piano) Mi dica... Il Casino è frequentato molto da certe donne... Ho una paura per il mio ragazzo!

Gigi                               - Stia tranquilla, signora... Il Casino è frequentato.... quasi esclusivamente da gente per bene.

Ninna                            - (alla finestra del primo piano) Mamma! Mamma!

Irene                              - (alzando la testa) Che vuoi?

Ninna                            - Il mio album. Dove hai messo il mio album?

Irene                              - È là, nel cassetto del tavolino.

Ninna                            - Non lo trovo. Vieni a cercarlo tu. Scusi, Ronzi.

Irene                              - Perdoni. Questi benedetti ragazzi... (esce)

SCENA VII.

Ninna e Gigi

Ninna                            - Eccomi.

Gigi                               - Hai fatto come t'ho detto io?

Ninna                            - Per forza! Ho nascosto l'album e mia madre starà un pezzo a cercarlo.

Gigi                               - Potevi servirti anche di un'altra scusa.... È strano, per una ragazza, sei a corto di fantasia... Oggi non sia mo restati un momento soli.

Ninna                            - Ti ho promesso che mi troverò stasera in fondo al giardino, ma è l'ultima volta: l'ultima.

Gigi                               - Meno male che ogni volta dovrebbe essere l'ulti­ma e invece....

Ninna                            - Mi stordisci....

Gigi                               - Che squisita, incantevole innocenza!

Ninna                            - La mia innocenza! Non esiste più!

Gigi                               - Esiste ancora; in un modo diverso, ma esiste an­cora. Rimpiangi il tempo che non eri nulla? Prima di conoscer me, che cosa sapevi della vita? Eri una bambina che si trastullava ancora col suo primo amore.

Ninna                            - Non nominarlo!

Gigi                               - No, ma l'hai dimenticato.

Ninna                            - Chi te lo dice?

Gigi                               - La mia presenza qui, in questo momento.

Ninna                            - E pensare che ci eravamo fidanzati, a dodici anni...

Gigi                               - I fidanzamenti fatti a quell'età finiscono tutti così...

Ninna                            - Ormai io sono indegna di Enrico Fiordi.

Gigi                               - Indegna! Che parolona!... Tu non sai quello che vali... Tenta, tenta pur d'andar via, tenta di dimenticar­mi.... Sarai tu, da sola che salirai le scale della mia ca­sa, come quel giorno...

Ninna                            - Sta zitto! (si copre il viso con le mari) Mi avevi stregata.

Gigi                               - Altra frase. Non esistono più i filtri d'amore... Sol­tanto i desideri, soltanto quelli, sono i padroni dei no­stri atti! (le prende le mani e la obbliga a guardarlo fisso in viso) Hai capito? Ogni rinuncia è un peccato che si commette verso chi ci ha fatto l'incomparabile dono dell'esistenza.

Ninna                            - Come sei diverso dagli altri... Non somigli a nes­suno... Enrico Fiordi...

Gigi                               - È un ragazzo.

Ninna                            - Tu sei un uomo. Ho capito subito che era impos­sibile difendersi con te. Guardi come un padrone.

Gigi                               - E allora, stasera in fondo al giardino?

Ninna                            - Sì.

Gigi                               - A che ora?

Ninna                            - Dieci mezzo - undici. Ecco mia madre.

Gigi                               - È inteso.

SCENA VIII.

Gigi – Ninna - la signora Irene

Irene                              - Cara mia, il tuo album non lo so trovare.

Gigi                               - Non si disturbi, signora; lo vedrò un'altra volta.

(si alza).

Ninna                            - Ci lascia?

Gigi                               - Sono atteso. Buona sera, signora.

Irene                              - Buona sera. E ci favorisca qualche volta.

Gigi                               - Grazie. Signorina....

Ninna                            - Good by (gli stringe forte la mano).

Gigi                               - (esce).

SCENA IX.

Irene e Ninna

Irene                              - Ti fa la corte quel Ronzi?

Ninna                            - Macché! È un buon compagnone. Il mio alleato al tennis, te l'ho detto.

Irene                              - Però non farlo veder sola per via.

Ninna                            - Prima di tutto la con lui non ci sono mai an­data, eppoi che male ci sarebbe? Oggi non è mica più come ai tuoi tempi che una ragazza non poteva farsi veder sola con un giovanotto, senza che....

Irene                              - Lo so, ma è una cosa brutta lo stesso.

SCENA X.

Irene – Ninna – Lorenzo - Carolina

Lorenzo                         - A tavola!

Carolina                        - (lo segue con la zuppiera fumante).

Irene                              - Dunque non aspettiamo Meme?

Lorenzo                         - Il treno ha un ritardo di ottantacinque minuti. Me lo ha detto dianzi Nanni.

Irene                              - Si è vero, ma....

Lorenzo                         - Inutile aspettare: la minestra diventa stracotta.

(Tutti si mettono a tavola. Durante il pranzo Carolina va e viene con le pietanze e i piatti sporchi. Intanto la sera cala dolcemente).

Lorenzo           - Questa minestra è eccellente. Brava Carolina.

Ninna                            - A me poca, mamma.

Irene                              - Così?

Ninna                            - (prende la sua scodella e comincia a mangiare; d'improvviso s'alza ed esce).

Lorenzo                         - Dove vai?

Ninna                            - Torno subito.

Irene                              - (a Carolina) Hai levato lo sformato?

Carolina                        - Sì.

 

Ninna                            - (torna con un libro; lo apre e si mette a leggere fra una cucchiaiata e l'altra).

Lorenzo                         - (a Ninna) Non hai avuto tempo di leggere du­rante il giorno? Sempre stravaganze, pare impossibile!

Ninna                            - Che noia ti do?

Lorenzo                         - Mi dai noia, proprio. Accidenti ai romanzi!

Ninna                            - (alza le spalle).

Lorenzo                         - (porgendo la sua scodella a Carolina) È così buona questa minestra che ne vorrei mangiare ancora un po'. Ma penso che quel cappone deve essere anche meglio...

Carolina                        - (leva le scodelle ed esce).

Lorenzo                         - (a Irene) Anche tu potevi far a meno di man­dare quel ragazzo alla stazione.

Irene                              - Qualcuno bisognava che ci andasse.

Lorenzo                         - Sentimentalismi stupidi (silenzio. Chiamando) Carolina! Carolina!

Carolina                        - (d. d.) Vengo subito.

Lorenzo                         - (a Irene) Che fa? Va a dare un'occhiata.

Irene                              - (s'alza con fatica) Vado (esce).

Lorenzo                         - (a Ninna) La vuoi finire con quel romanzo?

Ninna                            - Lasciami in pace (silenzio).

Lorenzo                         - Ma che fanno quelle donne? (forte) Lo porta­te, si o no, il cappone? (a Ninna) Vai a vedere tu...

Ninna                            - Ti dico di lasciarmi in pace. Vacciti, se vuoi.

Lorenzo                         - Oh! Oh! Si risponde così?

Ninna                            - (alza le spalle di nuovo).

Lorenzo                         - Alzi anche le spalle?

Ninna                            - Non c'è mica verso di poter leggere!

Lorenzo                         - E allora leggi... (con bonarietà) Questo macacco! Vuole aver sempre ragione lei. Non si può stuz­zicare, perché morde... Ma che fanno quelle donne?

Carolina                        - (seguita da Irene, torna col cappone e lo sfor­mato).

Lorenzo                         - Finalmente! (Si mette a tagliare il cappone e fa le parti, dopo essersi servito abbondantemente).

Irene                              - Ricordati che c'è Meme e Nanni.

Lorenzo                         - Si... si....

Ninna                            - (mangia e legge)

Irene                              - (tocca appena la pietanza).

Lorenzo                         - Ma che desinari allegri in casa mia! Quella legge, quell'altra tiene il muso! Meno male che c'è il cappone e questo tiene compagnia. ( Si sente sonare al cancello) Chi sarà? Carolina, va ad aprire. Irene   - Che sia Meme?

Carolina                        - (d. d.) La signorina Meme! La signorina Me­me!

SCENA XI.

Irene - Ninna - Lorenzo - Meme - Ademaro e Carolina

Meme                            - (entra vivacemente. È una ragazza semplice, dal­lo sguardo dolce e tranquillo. Ha una voce umile,, di­messa. Non è affatto ricercata nel vestire. Ademaro Melnà l'accompagna portando valigie, pacchi, cappel­liere. Questo Ademaro è un uomo oltre i trent’anni. Ha un po' il fare di Meme; le somiglia nella dolcezza, co­me un maschio può somigliare a una femmina) Mam­ma! Babbo! Ninna! (Meme bacia tutti con effusione) E Nanni?

Irene                              - È venuto alla stazione. Non l'ha incontrato?

Meme                            - No.

IrEne                             - Ma il treno non aveva ottantacinque minuti di ri­tardo?

Meme                            - No. Mezz'ora soltanto. Abbiamo riacquistato nell'ultimo tratto (a Ninna) Come ti sei fatta grande e bel­la! E tu mamma stai bene?

Irene                              - Sì, sì: bene.

Meme                            - E tu, babbo?

Lorenzo                         - Come vedi.

Meme                            - Ah. mi pare un sogno! In casa mia! In casa mia, finalmente! Dopo cinque anni di lontananza continua!

Irene                              - (s'asciuga gli occhi).

Meme                            - Che fai, piangi, mamma? Hai ragione. Anch'io vedi non so resistere... (Vincendosi, dopo uno poco) Ma bisogna stare allegri, (alla sorella) Ninna, Ninna cara!

Irene                              - Sai, noi s'era cominciato a mangiare, perché si credeva...

Meme                            - Avete fatto bene, (ricordandosi di Ademaro che è rimasto nel fondo) Ma... Melnà che fa laggiù?

Ademaro                       - Non volevo essere di più... in simili momenti...

MEME                          - Ma niente affatto. Mamma, babbo, vi ricordate del mio compagno d'Istituto, Ademaro Melnà, quello che si chiamava il « Maggiore »?

Irene                              - Certo. Si accomodi.

Meme                            - È segretario comunale, ora. Ha saputo del mio arrivo ed è venuto a prendermi alla stazione. Andiamo, Melnà si metta un po' a sedere.

Ademaro                       - No, no, non voglio disturbare.

Meme                            - Non disturba affatto... Ma ora... (a Ninna) Tu vedessi che regali t'ho portato!

Ninna                            - Davvero? Fammi vedere.

Lorenzo                         - ( che s'è rimesso a tavola) Li vedrai dopo. Ora venite a mangiare.

Caroeina                        - (ha messo un altro coperto per Meme).

Ninna                            - (a suo padre) Aspetta.

Meme                            - (ha aperto una valigia) Prima di tutto questo ve­stitino. Un modello.

Ninna                            - (golosamente) Che delizia!

(Tutti, meno Lorenzo che continua a mangiare, si sono assiepati intorno a Meme).

Meme                            - E poi questo cappellino.

Irene                              - (prendendo il vestitino dalle mani dì Ninna) Un amore! Un amore!

Ninna                            - (vedendo il cappello) Ah! (se lo prova) Così?

Meme                            - Un poco più in avanti. Ecco. Il mio gusto non mi ha ingannata (ad Ademaro) Che gliene pare, a lei?

Ademaro                       - lo veramente non me ne intendo, ma certo...

Meme                            - E per te, mamma? Questa borsetta. Ne avevi bi­sogno, vero? Ho indovinato? Cara la mia mamma! Ed ora al babbo...

Lorenzo                         - Anche a me?

Meme                            - Una pipa. Ah! Che ne dice?

Lorenzo                         - Ti ringrazio. È bella. È troppo bella per me, Io sono abituato a questa mia di radica...

Meme                            - C'è anche un regalino per Nanni: un orologio da polso: glielo daremo poi.

Ademaro                       - Ed ora io..

Meme                            - Mia non gli avete offerto nulla!

Ademaro                       - Grazie, non occorre.

Lorenzo                         - (a Melnà) Ha mangiato? (a Carolina) Porta un bicchiere e la bottiglia...

Ademaro                       - Grazie, grazie davvero: non ho ancora pran­zato. Debbo andare.

Meme                            - Ci vediamo domani? Viene a trovarmi?

Ademaro                       - Con piacere. Buona sera. Buona sera a tutti (esce).

Irene                              - Vieni di sopra, in camera tua.

Meme                            - In camera mia! Mi pare un sogno....

IrEne                             - Avrai bisogno dì lavarti.

Meme                            - Ho fatto un po' di toilette in treno, prima di scendere, per non privarmi di voi appena arrivata, e poi per non far ritardare la vostra cena.... Ma voglio darmi una lavata al viso e alle mani, almeno. (Esce accompagnata da Irene e da Ninna che non ha fatto altro che ammirare i regali dì Meme).

SCENA XII.

Lorenzo e Carolina

Caroeina                        - (fa per portare le valige in camera di Meme).

Lorenzo                         - Le porterai dopo le valige. Dammi la frutta.

Carolina                        - Eccola.

Lorenzo                         - Benone. (Prende per la vita la serva)

Carolina                        - Qui fuori, no.

Lorenzo                         - Non me ne importa un fico secco che la gente veda.

Carolina                        - Me ne importa a me.... Già si comincia a mor­morare.

Lorenzo                         - Idee!

Carolina                        - Si comincia a mormorare, e se le chiacchiere seguitano, io me ne vo.

Lorenzo                         - Scherzi?

Carolina                        - Dico davvero.

Lorenzo                         - E dove vai?

Carolina                        - A un altro servizio.

Lorenzo                         - Cosa?

Carolina                        - Sicuro. Giusto m'hanno offerto un posto fuori.

Lorenzo                         - Fuori di città?

Carolina                        - A Milano.

Lorenzo                         - E tu?

Carolina                        - Vuole che per cento lire al mese io resti qua? E il mio avvenire?

Lorenzo                         - Ma io non ti lascerò andare.

Carolina                        - (si mette a ridere) Che avvenire mi assicura lei?

Lorenzo                         - Te l'ho detto, se sarai buona ti farò un altro regalo per Natale!

Carolina                        - A Natale, caro lei, io non ci sarò più qua.

Lorenzo                         - Carolina!

Carolina                        - Domani mi licenzio.

Lorenzo                         - (alzandosi col tovagliolo al collo) No! No!

Carolina                        - E come!

Lorenzo                         - (piagnucolando) Ti faccio un regalo.

Carolina                        - Quand'è così...

Lorenzo                         - Vedi, in questo momento ho molti conti da pagare, ma fra qualche giorno, te lo assicuro... (si siede di nuovo).

(Meme, Irene, Ninna tornano).

SCENA XIII

Meme - Ninna - Irene - Lorenzo e Carolina

Irene                              - Mettiti a tavola, Meme.

Meme                            - (vedendo Carolina) Questa è la nuova ragazza? Carina.

Carolina                        - Oh, signorina, io ho sentito parlare tanto di lei che le voglio già bene.

Meme                            - Ed anch'io m'affezionerò a te.

Lorenzo                         - Di cappone ce n'è rimasto poco. A Meme bi­sognerà cuocerle due uova.

Irene                              - Due uova a Meme?

Meme                            - Ma sì; non ti preoccupare di me. Non ho appe­tito.

Irene                              - Te le vado a cuocere io. (esce con Carolina).

SCENA XIV.

Meme – Ninna - Lorenzo - Nanni

Nanni                            - (entra) Meme! (l'abbraccia).

Meme                            - Nanni, non sei arrivato in tempo alla stazione, eh?

Nanni                            - Mi scuserai...

Meme                            - Diciassette anni! Sei un giovanotto, già!

Lorenzo                         - Un giovanotto scapestrato.

Meme                            - Davvero?

Ninna                            - Non dar retta a papà. Nanni è buono e studia.

Meme                            - (sema saziarsi di rimirarlo) E che bel giovinotto! Sai che ti ho portato un regalo?

Nanni                            - Un regalo?

Meme                            - Si, guarda.

Nanni                            - Bello, ma...

Meme                            - Che c'è?

Nanni                            - Penso che i regali li dovrei fare io a te.... Sono un uomo! E invece sei tu, sempre, che li fai a noi!

Meme                            - (tappandogli la bocca con ima mano) Zitto! Zit­to! Altro che uomo! M'accorgo che sei ancora un bam­bino!

Lorenzo                         - (a Nanni) Mangia la minestra prima che sia completamente fredda.

Nanni                            - (a Meme) E tu hai mangiato?

Meme                            - Io ho poca fame. Mamma mi cuoce due uova.

Nanni                            - Prendi la mia minestra.

Meme                            - No. Mangiala pure tu.

Nanni                            - Ti prego.

Meme                            - No, no, assolutamente.

SCENA XV.

Detti e Irene

Irene.                             - (portando le uova) Ecco le uova.

(Meme e, Nanni si mettono a tavola).

Lorenzo                         - Mia cara figliuola, io esco un momento. Non digerisco se non faccio la mia passeggiatina dopo pran­zo. Tanto, compagnia ce n'hai abbastanza, e poi avre­mo tempo di vederci. Buona notte.

Meme                            - Buona notte, babbo.

Lorenzo                         - (esce).

SCENA XVI.

Meme - Ninna - Nanni - Irene

Meme                            - Lo trovo bene il babbo.

Irene                              - Sì, grazie a Dio.

Ninna                            - Sta bene: anche troppo.

Meme                            - Perché... anche troppo.

Irene                              - Dice così per dire... Sai, a volte è un po' violento, ma d'altronde è stato sempre così.

Meme                            - Fa delle scene?

Irene                              - No, le evito, sai.... Le so evitare.

Meme                            - Se no, per che cosa Se la prenderebbe?

Irene                              - Ma... per tutto. Sai come sono gli uomini: non bisogna farci caso.

Meme                            - E a volte ti fa soffrire? Dimmelo mamma... Ti fa soffrire?

Irene                              - (cercando d'ingoiar le proprie lagrime) No! No!

Meme                            - Ma pure, mamma....

Irene                              - No, te lo direi.

Meme                            - Sento che ti viene da piangere.

Irene                              - È la gioia di riaverti con me.

Nanni                            - Mamma, perché vuoi amareggiare questo mo­mento a Meme?

Meme                            - Tutt'altro. Sento che non siete felici, qui, come dovreste essere, come volevo che foste. Perché? (di­screta-esitante) Forse quel che vi mandavo ogni mese non vi bastava?

Nanni                            - (arrossendo) Che dici, Meme?

Irene                              - Anzi, tu hai sempre fatto anche troppo.

Meme                            - Non vi bastava?

Irene                              - Ma sì, ti dico di sì.

Meme                            - Ed era il massimo, sai? Il massimo che potevo mandarvi. Non mi son messa da parte un centesimo.... Di là ci son cinquemila lire pel corredo di Ninna, quan­do ne avrà bisogno.... Credevo proprio che poteste vivere bene con quello che vi mandavo.

Nanni                            - (alzandosi) Meme! Meme! Non affliggerti: i tuoi denari bastavano, bastavano: non dubitare. E poi... (Ma egli non può continuare ed esce di corsa soffocan­do le lacrime che lo strozzano).

Meme                            - Nanni, dove vai? (fa per alzarsi e seguirlo, ma sua madre la trattiene).

SCENA XVII.

Irene – Ninna - Meme

Irene                              - Non ci far caso; è un ragazzo pieno di stranezze. (Silenzio. Meme è rimasta pensierosa) Non mangi più?

Meme                            - No grazie, non ho più fame. (S'alza. Guardan­dosi intorno) Il nostro giardino come al solito, come prima­. Il fico, i melograni... (S'ode un suono di campana, un po' lontano). San Biagio, la campana di San Biagio, come allora. (La sera è dolce, ma già scura).

Irene                              - Accendo?

Meme                            - No, mamma, è più bello così. (Abbracciando la madre e la sorella) Mamma... Ninna... sono tanti anni che sogno questo momento: ritornare qui tra voi... nel­la mia casa: tanti anni di peregrinazioni... Ed eccomi qua. (Ella è commossa).

Irene                              - Ora piangi tu.

Meme                            - Di gioia, di gioia, te lo giuro.

IRENE                          - Sarai stanca, Meme. Vuoi ritirarti?

Meme                            - Sì. Voi non fate complimenti per me.

Ninna                            - E allora ci rivedremo domani eh? Buona notte.

;Meme                           - Tanto sonno? Buona notte, sorellina mia (la ba­stia e Ninna scompare).

SCENA XVIII.

Meme e Irene - Carolina che intanto sparecchia

Meme                            - Va anche tu, mamma.

Irene                              - Ora.

Meme                            - Babbo va a fare la partita?

Irene                              - Si, ma rientra presto.

Meme                            - E voi non andate mai al teatro?

Irene                              - Mai.

Meme                            - Tenete sempre Ninna in casa? Dobbiamo pen­sare ad accasarla ormai.

Irene                              - A volte la conducono con loro gli amici accanto, i Fiordi, sai... Enrico Fiordi le fa una la corte. A volte vai con Nanni.

Meme                            - E tu?

IrEnE                            - A me non me ne importa del teatro, purché si di­vertano loro. (S'incamminano verso la casa. Le ultime frasi le diranno volgendo h spalle al pubblico).

Meme                            - Va a letto, mamma.

Irene                              - Prima t'accompagno fino alla tua camera (esco­no) — (Un pianoforte lontano intona la « Danza d'A­nitra » del Grieg. Carolina che durante la scena prece­dente avrà sparecchiato in fretta entra in casa e chiude la porta del salotto).

SCENA XIX

Meme e Ninna

(Dopo un poco la porta si riapre e compare Meme in vestaglia, con una sciarpa su le spalle. Ascolta un po' la musica, odora qualche fiore: è felice del suo giardino. Un orologio tormenta la sera col suo rintocco triste. Im­provvisamente un'ombra esce dalla casa).

Meme                            - Ninna!

Ninna                            - (sorpresa) Sei qui? M'era parso di vedere il lu­me in camera tua.

Meme                            - Difatti l'ho lasciato acceso. Ma tu dove andavi?

Ninna                            - Sono uscita per prendere un po' di fresco. Come te.

Meme                            - Sì, è un'altra aria quella che si respira qui... Mi sono ritirata per lasciar libere voi, ma mi sento così felice che non voglio, dormendo, abbreviare la mia felicità.

Ninna                            - Pure sarai stanca dopo un viaggio così lungo.

Meme                            - Sono stanca? Non so. La felicità di trovarmi qui, fra voi, nella mia casa, non mi fa sentire la stanchezza.

Ninna                            - Se tu sapessi invece quante volte io ti ho invi­diata!

Meme                            - M'invidiavi?

Ninna                            - Invidiavo la, tua libertà... in una città lontana, in una grande città come Parigi.

Meme                            - Sento che parli per bocca dei romanzieri. Tu non conosci quella città!

Ninna                            - Eppure ti sarai divertita, avrai visto molte cose

nuove.

Meme                            - Ah, i romanzi! No, cara, non ho conosciuto altro che la miseria!

(Silenzio. Effetto di luna che rischiara sensibilmente il giardino).

Ninna                            - (come concludendo un ragionamento interno) Come, la miseria? La miseria tu che mandavi a noi quanto ci occorreva?

Meme                            - Perché non te lo dovrei dire? È bene che tu lo sappia; è bene che tu ti prepari alla vita vera.. La miseria, non la fame, ma la miseria che è peggio.

Ninna                            - Non capisco.

Meme                            - Dopo il fallimento del babbo, quando si trattò di salvare la nostra casa, questa casa; quando io dovetti pensare da sola a voi, piccoli; quando insomma dovetti accettare quel posto a Parigi.... Non crederai mica che abbia potuto provvedere a tutto senza.... qual­ che rinuncia.

Ninna                            - Certo, ma non ci hai lasciato mai intravedere...

Meme                            - Ah, no! Eppure tu sapessi, Ninna, le piccole pen­sioni, le latterie le latterie, Ninna! Dieci anni per le latterie. Quando entri in uno di quei locali un tanfo di miseria ti s'avventa contro... Là nessuno cerca di fingere.... A che prò? Là tutti sono eguali.

Ninna                            - Tu allora, per inviare a noi quel denaro, ti pri­vavi anche del necessario.

Meme                            - No, del superfluo... Ma non era un sacrificio, te lo giuro... Si trattava di tenere in piedi la nostra casa che, se no, si sarebbe sfasciata. E poi lo facevo sopra tutto per te che eri una bambina... Non volevo che tu subissi il contatto dei maschi come me -, nelle scuole, negli uffici.... Volevo che tu fossi quello che io non avevo mai potuto essere: una fanciulla. Ah, io ho do­vuto troppo presto rinunciare a quelli che erano i miei veri istinti: la casa, l'ago, la maternità. Io non sono una donna! Non sono mai stata una donna!

Ninna                            - Non ti capisco.

Meme                            - Non mi puoi capire. Le altre, le ragazze del nostro ceto, del mio tempo specialmente, qua in pro­vincia aspettavano l'uomo, il marito, ricamando, so­nando il pianoforte tra le cure gelose della mamma e del babbo; io no: l'Istituto tecnico, l'Università, gli uffici....

Ninna                            - Povera Meme! E l'amore?

Meme                            - Ah, non ci ho mai pensato! Chi vuoi che si oc­cupasse di me? No: gli uomini non avevano torto di passarmi accanto senza avvedersi che esistevo. Ho sempre avuto troppo da fare per pensare all’amore.

Ninna                            - Ed hai rinunciato a tutto?

Meme                            - Te l’ho detto, non ci ho mai pensato…. Forse l’amore vero non è possibile tra i registri e le macchine da scrivere... Gli uomini si sono contentati do! mio lavoro... Non m'hanno mai chiesto altro. (Silen­zio) Ma ho voluto che almeno tu fossi donna... Tu sotto gli occhi di tuo padre e di tua madre potrai aspet­tare quello che ti verrà a prendere, per portarti via con se. (Silenzio) Dimmi, c'è già qualcuno?

Ninna                            - No.

Meme                            - Davvero?

Ninna                            - Davvero.

Meme                            - Non importa, te lo troveremo un bel maritino, te lo troveremo, (tiene stretta a sé la sorella) Non mi pen­to, sai, d'aver lavorato tanto, se ho potuto salvare la nostra casa... Pensa che qui stasera ci sarebbero degli estranei. Questi vecchi muri a loro non saprebbero dir nulla... Invece, per noi, quanti ricordi! Ecco, qui, un tempo, c'era un'altalena ed io sono caduta: ci ho an­cora il segno su la guancia: su questa. E qui, sotto il fico, ci no studiato tante volte la mia lezione... Sedia­moci un poco su lo scalino... Sono stanca, stanca: gli occhi mi si chiudono, eppure non ho voglia d'andare a letto; vorrei restar qui tutta la notte... Una volti, da bimba, mi sono addormentata proprio qui, su questo scalino e ci sono restata tutta la notte. M'hanno sve­gliata le rondini. C'erano tanti nidi sotto il cornicione. Ci sono ancora?

Ninna                            - Sì, sì, ci sono ancora. Se tu provassi a dormire un poco....

Meme                            - (ridendo, ma vinta dal sonno) Che dici?

Ninna                            - Prova. Fa caldo... Domattina ti sveglieranno le rondini, come quella volta.

Meme                            - No, no.... (pausa) Mi viene a mente un verso: « Naitre, vivre et mourir dans la mème maison! » Chi l'ha scritto? Théophile Gautier, mi pare... Tu non la puoi capire la bellezza di questo verso... No, non è Théophile Gautier... . « Naitre, vivre et mourir dans la mème maison! » (Mila, s'addormenta così, tenendo fra le braccia la so­rella. Silenzio).

Ninna                            - (la chiama, piano) Meme! Meme! (57 svincola dall'abbraccio; poi s'allontana di corsa. Silenzio).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

 Lo studio di Meme: lo studio di un uomo d'affari. Ampie tavole da disegno, una lavagna coperta di cifre su un caval­letto, da un Iato; una macchina da scrivere presso uno scrittoio tutto ingombro di registri. Appoggiato alla parete di destra tino di quegli scaffali dal piano superiore inclinato che adoprano i ragionieri pei « mastri ». In un angelo v'è tuttavia un piano­forte. Un pianoforte che stona con l'insieme dei mobili e che ha l'aria di un intruso timido. Nella parete del fondo una porta ampia guarnita di tende greggie dà nella veranda che scende per una scala esterna nel giardino. E nella veranda vi son fiori e piante a profusione.

L'azione di questo atto si svolge di mattina. Il sole macchia a pennellate d'oro le pareti e si va a posare gaiamente su la la­vagna, sui banchi, sugli scaffali.

SCENA I.

Meme e i tre ciechi .

(7 tre ciechi, tre girovaghi, son seduti al sole, nella ve­randa e suonano sui loro strumenti, due violini e un violoncello, un'aria vecchia come loro, un'aria fioca e lontana, « Chanson triste » di Tchaikowski; poi, come la canzone si spegne:)

i°oeco                            - Ancora, signorina bella?

Meme                            - (si scuote) Bella? Non sono bella.

i" cieco                          - Bella, sì: chi è buono è bello.

2° CIECO                     - Dalla voce, signorina, dalla voce si capisce che siete bella. (Silenzio).

3" cieco                         - - Signorina, vi vogliamo sonare un'altra cosa, (ai compagni) Avanti: « Fenesta ca' lucive ».

 

Meme                            - Sì, questa. Mi ricordo che tutte le volte quando uscivo da scuola vi trovavo sull'angolo di Via della Rondinella e volevo che sonaste quella canzone... (Ella accenna piano, con la voce, « Fenesta ca' lucive »).

2" CIECO                     - Cantate bene, signorina.

Una voce                       - (d. d.) Si può?

Meme                            - Avanti, Ademaro.

Ademaro                       - (viene avanti per la veranda).

SCENA II

Meme - i tre ciechi - Ademaro Meenà

Ademaro                       - Vedete, prima di andarmi a chiudere in uffi­cio ho preso l'abitudine di venirvi a salutare. Non vi disturbo?

Meme                            - Oggi meno che mai. Non mi son messa ancora al lavoro.

Ademaro                       - Avete infatti ricevimento.

Meme                            - Li ho visti dianzi dalla finestra, per la prima volta, da che son ritornata, e li ho fatti salire qui da me. State a sentire anche voi un poco. Suonano così bene!

l° cieco                          - (ai compagni) Avanti, ragazzi. (Intonano su gli strumenti) « Fenesta ca' lucive ».

Meme                            - (resta un poco in ascolto, quindi piano ad Ade­maro) Quando gli ho rivisti ho provato una gioia, una gioia.... Credevo che fossero morti, dopo tanti anni.... Invece, no: tutti e tre vivi, ancora. La mia giovinezza, Ademaro, non era morta. È stato come quando s'apre una vecchia scatola e ci si trovano dentro delle vecchie cose che non sanno dir nulla agli altri, ma dicono in­vece tanto a noi!

Ademaro                       - Così vero, che io li ho incontrati mille volte e non ci ho fatto mai caso.

Meme                            - Pensate che allora... ai tempi della scuola, io sottraevo un soldo alla mia colazione per darlo a loro e farmi sonare tutta per me, come ora, « Fenesta ca' lueive ». Una volta che non avevo soldi, diedi loro un mazzetto di violette, un mazzolino che mi avevate re­galato voi, Melnà. (La canzone s'interruppe)

3° cieco                         - Ah, la ragazzina dei fiori! (Meme e Ademaro si volgono).

2° cieco                         - La ragazzina dei fiori, questa?

3° cieco                         - Non avete sentito?

Meme                            - Come, ve ne ricordate?

i" cieco                          - Ecco i vostri fiori, (cava da una vecchia borsa di cuoio un mazzolino secco).

MEME                          - Li conservate?

1° cieco                         - Come una reliquia.

Meme                            - Quel giorno non avevo soldi.

i° cieco                          - Mi sentii cadere a un tratto su le mani queste violette.... (Silenzio).

Meme                            - Quanti anni avete? Eravate già così vecchi, al­lora?

i° cieco                          - Ci siamo dimenticati la nostra età.

Meme                            - Andate, riprendete il vostro giro. Vi ho trattenuti abbastanza. (/ tre ciechi s'alzano).

i° ciEco                         - Grazie, signorina bella.

Meme                            - Siete napoletano?

i° cieco                          - Calabrese, signorina bella. Questo (indica il compagno di destra) è siciliano. Quest'altro (indica il compagno di sinistra) è nato per la strada, signorina, per la strada, nelle Puglie.

2° cieco                         - Addio, signorina bella. Che il Signore benedica te e quello che ami...

Meme                            - (facendo strada ai tre ciechi che escano) Per di qua, per di qua. Attenti: ci sono tre scalini. Ecco. ( di dentro ringraziamenti confusi dei tre ciechi. Meme torna).

SCENA III.

Meme e Ademaro

Meme                            - Ebbene, Ademaro?... Pensate che sarebbe meglio metter da parte queste stramberie, queste puerilità?

Ademaro                       - No, io non lo penso, lo sapete bene. (Silenzio).

Meme                            - Erano vostre quelle violette. Me ne portavate tutte le mattine un mazzolino.

Ademaro                       - Le coltivava mio padre, da buon militare a riposo...

Meme                            - Sicché è capace che io sia stata la causa anche di qualche scapaccione?

Ademaro                       - Può darsi di sì.

 

Meme                            - Povero Ademaro! (parlando, va da un registro all'altro, prende appunti, segna cifre) Ed oggi eccoci qua, di nuovo, come quando facevamo il compito insie­me ed io v'insegnavo certi teoremi difficili... Poi voi mi parlavate dei vostri sogni: le spalline, le decora­zioni... Ed io....

Ademaro                       - Voi non sognavate: eravate una ragazza po­sitiva....

Meme                            - Confessate però che vi ascoltavo, che vi davo dei consigli.... E le spalline? Come andò che rinunciaste alla vita militare?

Ademaro                       - Non mi vollero: mi riformarono. La passione non mi valse.

Meme                            - Ah, l'esistenza! ... Eravate talmente infatuato della vita militare che vi si chiamò «il maggiore» in classe... « Mi basta di diventare maggiore », dicevate. Perché poi proprio maggiore?

Ademaro                       - Era un grado che mi piaceva, un grado che si ottiene quando non siamo troppo giovani né troppo vecchi.

Meme                            - E non avete mai pensato ad accasarvi?

Ademaro                       - No.

Meme                            - Perché?

Ademaro                       - (arrossendo) Mah! Non guadagnavo abba­stanza, e la famiglia costa...

Meme                            - Ah, se costa.. Io, vedete, in tempo di vacanze impianto nel mio studio un ufficio di contabilità e com­putisteria che manderò avanti di notte quando non po­trò più di giorno... Mia sorella ora è fidanzata: biso­gna pensare al corredo, alle spese del matrimonio; mio fratello fa il Liceo e bisogna che si laurei.

Ademaro                       - In fondo sono obblighi che vi create da voi...

Meme                            - No, tutti gli obblighi ce li impone la vita: vuol dire che alcuni li schivano ed altri gli accolgono.

Ademaro                       - Ma siete sicura che il vostro sacrificio non sia inutile?... Tutte le famiglie sono destinate a sfa­sciarsi....

Meme                            - Non lo dite.... Io lavorerò molti anni ancora, di­venterò una vecchia zitella; diventerò, voglio dire, una zitella anche più vecchia di come sono: ma non avrò rancori, odi, disperazioni aride. Sarò felice di cullare i miei nipotini e di amarli come figli miei. (Mila intanto, s'è voltata tre o quattro volte impazientemente verso la veranda).

Ademaro                       - Ma che avete? Aspettate qualcuno?

Meme                            - Aspetto i fidanzati. Sono andati via a cavallo stamani; ma a quest'orsi avrebbero dovuto esser già di ritorno.

Ademaro                       - Dunque il matrimonio avverrà presto?

Meme                            - Al più presto.

Ademaro                       - Che fretta avete di accasare vostra sorella!

Meme                            - La sua felicità non è forse uno dei miei scopi?

Ademaro                       - Un conte! Che ambizioni aristocratiche!

Meme                            - Debbo confessarvi la mia debolezza? Mi farà piacere sentir chiamare Ninna: signora contessa! ' Co­me trovate il fidanzato?

Ademaro                       - Uh! ...

Meme                            - Non è una risposta... È bello, distinto, elegante.,.. S'eran già fidanzati di nascosto quei ragazzi. Pensate che si davano degli appuntamenti in fondo al giardino... Qualcosa come Giulietta e Romeo...

Ademaro                       - Romeo è di Rumini, mi pare?

Meme                            - Sì, una gran famiglia. Ho avuto delle informa­zioni eccellenti. Egli è orfano e maggiorenne.

Ademaro                       - Anche senza suocera! Vostra sorella è proprio fortunata.

Meme                            - State zitto! Se sentiste come Ronzi parla della sua povera mamma!

Ademaro                       - Insomma, l'ideale.

Meme                            - L'ideale. Allegro, spensierato... Quand'entra lui ci si sente meglio...

Ademaro                       - Basta, l'ufficio m'aspetta: son già le nove e mezza.... È vero che il sindaco non vien mai prima delle undici...

Meme                            - Sempre così i sindaci.

(S'ode in questo momento, giù in giardino, il focoso scalpitare di due cavalli).

La voce di Ninna          - Olà!

La voce di

Gigi                               - Olà!

Meme                            - Eccoli! (corre alla veranda e s'affaccia) Ben tor­nati! (volgendosi ad Ademaro che è rimasto nella stan­za) Venite a vedere, Melnà, che bella coppia!

Ademaro                       - (s'affaccia. Risponde al buon giorno allegro di Ninna e di Gigi in un tono che non sa essere cordiale).

Meme                            - Guardate come sta bene Ninna a cavallo! Ma tu sei accaldata, Ninna; ed anche voi, Ronzi. Venite su.

La voce di Gigi             - Non vi disturbiamo, lavoratrice infati­cabile?

Meme                            - No, venite su. Vi manderò via presto.

(Ademaro e Meme rientrano nella stanza).

Ademaro                       - Io vado. È tardi.

Meme                            - Se il vostro sindaco viene alle undici, avete un ora e mezzo di tempo.

Ademaro                       - Eh, ma...

(Ninna e Gigi entrano rumorosamente).

SCENA IV.

Meme - Ademaro - Ninna - Gigi

Ninna                            - Ah che corsa! Pensa, Meme, che abbiamo attra­versato la città al galoppo come due pazzi.

Gigi                               - Ma già! A un tratto Ninna s'è lanciata per le vie a galoppo a rischio di mettere sotto qualcuno... (a Nin­na) Ma che avevi?

Ninna                            - (accaldata, eccitata) Non lo so... Ho la febbre, senti, Meme, debbo avere la febbre.

Meme                            - Non far così, Ninna; non devi far così.

Ninna                            - Ecco Meme con la sua posatezza: «Non far così Ninna ». Invece oggi avrei voglia di far mille pazzie.

Ademaro                       - (scrolla il capo) Arrivederci, amici. Il mio uf­ficio m'aspetta (saluta ed esce).

Meme                            -

Ninna                            - Gigi

Ninna                            - Che cattivo gusto, hai, Meme!

Meme                            - Perché?

Ninna                            - Flirtrare con quel coso!

Gigi                               - Veramente Ninna non ha torto.

Meme                            - Ma io non flirto. È un mio antico compagno di scuola. Io non so flirtare.

Gigi                               - Nessuna donna sa sfuggire del tutto all'amore.

Meme                            - Badate, ragazzi, che io non tollero scherzi. (Un po' sul serio e un po' ridendo) Se continuate vi metto alla porta.

Ninna                            - Guarda Gigi, come sta bene Meme, se le scar-ruffo un po' i capelli...

Meme                            - Finiscila con le bambinate, Ninna.

Ninna                            - Senti, Gigi, che capelli morbidi: sembrano di seta... Eppoi tu vedessi la sera, quando si pettina per la notte, che manto!

Gigi                               - È inutile che tu faccia tanti elogi: io vedo (con galanteria equivoca) indovino.

Meme                            - Ma via, che dite?

Ninna                            - (improvvisamente) Meme, Gigi, datevi un ba­cio.... Non ve ne siete mai dati; datevi un bacio.

Gigi                               - Io... sono pronto.

Ninna                            - (spingendo Meme) E tu, Meme?

MEME                          - Ho capito, volete essere scacciati, ragazzi che non siete altro!

Ninna                            - Su, via, datevi questo bacio fraterno!

Meme                            - Del resto, che c'è di male? Starai zitta, poi? (Ella tende la fronte verso Gigi che, al gesto inaspet­tato della ragazza tradisce un lampo di desiderio. Si direbbe che egli è sul plinto di piegarle la testa e di baciarla su la bocca).

Ninna                            - (all'improvviso si getta tra i due, e avvinghiando con le braccia il collo del fidanzato) No, non voglio più. Non vi dovete baciare. Tu sei mio, mio soltanto! Bacia me invece!

Meme                            - (è rimasta sbigottita) Ma Ninna!

Ninna                            - Non ci badare. Te l'ho detto che oggi sono paz­za. Ti volevo far del male.

Meme                            - A me?

Ninna                            - (scoppiando in lacrime senza ragione) Sì, sì; a te!

Meme                            - Ah, il tuo cervellino, il tuo cervellino! (come cercando una scusa per lasciarli soli) C'è bisogno dei miei sali miracolosi (esce).

SCENA VI.

Ninna – Gigi

Ninna                            - (Alza la testa).

Gigi                               - (passeggia in su e in giù nervosamente).

Ninna                            - Gigi...

Gigi                               - (fermandosi dinanzi a lei, con. le mani in tasca). Sono pazzie di bimba viziata. Ci vorrebbe altro che sali miracolosi.

Ninna                            - (fa cenno di no con la testa).

Gigi                               - Ti sembra allora assennato quello che hai fatto?

Ninna                            - Non parlarmi tu d'assennatezza, fa' il piacere.

Gigi                               - Ora non si tratta di me.

Ninna                            - Si tratta della tua futura consorte, è vero, (scop­piando in una risata stridula) Cominci a fare il marito, di già?... E dire che la causa della mia follia sei tu' Già, tu! Ci sono dei momenti che vorrei tu sparissi, che tu non fossi mai esistito... Dianzi quando ti sei as­sopito su quelle foglie nel bosco, ho dovuto trattenermi per non...

Gigi                               - Per non?... Mi fai ridere!

Ninna                            - Ti ridi di tutto. Il tuo motto? « Quel che mi serve »; il resto per te non conta. Io sento che mi vuoi meno bene di prima, di quando ci siamo conosciuti. Me lo dicono mille piccole cose... E tuttavia, dinanzi agli altri, fingi, ostenti una tenerezza che non è sincera. Perché? Questo pensiero mi tortura.

Gigi                               - Vaneggi.

Ninna                            - Spiegami allora perché con mia madre, con mia sorella, esprimi certe opinioni, di cui ti ridi, lo so, den­tro di te?

Gigi                               - Ma perché io so vivere. L'insincerità è il metodo dei forti.

Ninna                            - Almeno in casa, tra i parenti, si potrebbe mo­strare quel che siamo davvero!

Gigi                               - Imparerai anche tu.

Ninna                            - Ci ripenso alle tue parole, la notte: sono come tanti tarli: rodono, consumano. Prima di conoscerti cre­devo a tante cose belle, anche se non erano vere...

Gigi                               - E allora, se corrompo, se faccio tutti quegli effettacci che dici, rinuncia a legarti a me per la vita.

Ninna                            - (afferrandogli le inani, spaventata, guardandolo fisso) Sai bene che ora non è più possibile (un tempo) Ah, non è possibile!

Gigi                               - Vorresti tornare indietro, non è vero?

Ninna                            - Vorrei essere come mia sorella. Essa non ha niente da nascondere. Io invidio la sua serenità e nel tempo stesso quella sua. purezza m'offende.

Gigi                               - Una donna non vive invano tanti anni tra gli uo­mini.

Ninna                            - Ma lei...

Gigi                               - Lei è una donna...

Ninna                            - Che supponi?

Gigi                               - Nulla, santa ingenuità: non suppongo nulla, (egli l'attira a sé).

Ninna                            - Mi fai dubitare di tutto, tu!

SCENA VII.

Ninna – Gigi - Nanni

Nanni                            - (entra dal fondo) Non c'è Meme?

Gigi                               - (lascia Ninna)

Ninna                            - Ah, m'hai fatto paura Nanni!

Gigi                               - Buon giorno, cognatine.

Nanni                            - (secco) Buon giorno. Non c'è Meme?

Ninna                            - È uscita un momento. Torna subito.

Gigi                               - Non sei stato a fare la tua solita partita a foot­ball?

Nanni                            - (finge d'essere distratto e di non sentire. Ninna e Gigi si guardano).

 Ninna                           - Bada, Nanni, che Gigi ti ha chiesto se sei stato a fare la tua solita partita a foot-ball.

Nanni                            - (risale la scena. Dal fondo, senza volgersi) No.

Ninna                            - Ma che hai, Nanni? Sembra che tu l'abbia con noi!

Nanni                            - Io?... Siete presuntuosi.

SCENA VIII

Ninna – Gigi – Nanni - Lorenzo

Lorenzo                         - (in cacciatora, stivali, fucile a tracolla) È pro­prio vero?

Ninna                            - Che c'è? Buon giorno babbo. (Anche gli altri augurano il buon giorno).

Lorenzo                         - Buon giorno, piccina (la bacia in fronte) Buon giorno, genero meo, futuro e nobile (tende la mano a Gigi) Buon giorno, ragazzo scapestrato, (a Nanni) È proprio vero che quell'originale di tua sorella ha fatto entrare in casa tre mendicanti, tre straccioni?

Ninna                            - Non so.

Lorenzo                         - E li ha fatti mangiare, bere... poi se li è por­tati di qua e li ha tenuti un'ora a sonar le canzonette?

Nanni                            - È vero.

Lorenzo                         - Roba da matti! Ha preso la casa per l'asilo dei poveri? .

Nanni                            - Meme ha diritto di far quello che vuole.

Lorenzo                         - Ti sto a sentire per incanto. Bene! Bravo! Bis Ora si mette a far l'avvocato difensore questo moc­cioso....

Nanni                            - Ti prego, babbo, di non dar mortificazioni a Meme che non se le merita.

Lorenzo                         - Sentitelo!

Gigi                               - (intervenendo) Via, signor Lorenzo, il nostro Nanni ha parlato così per amor fraterno...

Ninna                            - Anch'io ti prego di non mortificare Meme.

Lorenzo                         - (bonariamente) Che c'entra lei?

Ninna                            - Babbino, vuoi far piacere a me?

Lorenzo                         - Beh, beh! Ma che Meme non faccia più dì quelle sciocchezze e che tu... (Minaccia Nanni)

Nanni                            - (gli volta le spalle).

Gigi                               - Com'è andata la caccia?

Lorenzo                         - Poca roba: qualche pernice, (tira fuori dal car­niere degli uccelli).

Gigi                               - Non mi ha mai proposto, signor Lorenzo, di anda­re un po' insieme.

Lorenzo                         - A caccia? Ma con tutto il piacere... Domani, se vuole (dopo aver guardato maliziosamente Ninna e Gigi). Ma già voi avete da fare all'amore! (a Ninna) No, non te lo rubo nemmeno un momento non dubitare (a Gigi) E lei , signorino, me la tenga a modo, altri­menti.... (lo minaccia scherzosamente) Le voglio bene come al mio occhio destro, se lo ricordi.... Guai a chi me la facesse soffrire. (Prende il carniere e il fucile e s'avvia) Vado a dare ordini per questi, (accenna agli uccelli. A Gigi) Verrà domani sera a mangiarli con noi.

Gigi                               - Volentieri.

Lorenzo                         - (a Ninna) Come stai bene vestita a quel modo! A rivederla, signora contessa... Addio conte!... E atten­to... (esce).

SCENA IX.

Gigi – Ninna - Nanni poi Meme

Meme                            - Babbo è buono; basta non contrariarlo.

Nanni                            - Ci riesci tu sola. Ecco Meme.

Meme                            - (porgendo a Ninna una boccetta di sali) Non mi ricordavo più dove li avevo messi. Tieni.

Gigi                               - Vado a mutarmi d'abito e poi a colazione. A rive­derci.... (a Ninna) Che faremo oggi?

Ninna                            - Ti telefonerò. T'accompagno fino al cancello. Poi vado a cambiarmi anch'io.

Meme                            - Bravi, lasciatemi lavorare. (Siede dinanzi alla macchina da scrivere). (Ninna e Gigi escono).

SCENA X.

Meme e Nanni

Nanni                            - (è rimasto nella veranda).

Meme                            - (s'è messa a scrivere rapidamente).

Nanni                            - (a un tratto, fra i denti) Sarebbe meglio morire.

Meme                            - (si volge e vedendo il fratello) Con chi l'hai?

Nanni                            - (corre vicino a Meme e s'inginocchia ai suoi piedi) Perché sei tornata, Meme? Perché sei tornata?

Meme                            - Ma che c'è? Che avete stamattina fra tutti?

Nanni                            - (monotono) Perché sei tornata, Meme?

Meme                            - (carezzando gli la testa) M'avresti voluta lontana, per tutta la vita?

Nanni                            - Come puoi dir questo? Ma... io t'ho capita. Tu credevi di ritrovare la tua casa di prima, ma...

Meme                            - Non è la casa d'allora?

Nanni                            - (scrolla il capo).

Meme                            - E che cosa è mutato?

Nanni                            - Tu non hai ancora potuto veder tutto... Vorrei andar via, vorrei andar via...

Meme                            - Non hai provato la lontananza, tu!

Nanni                            - Per quanto la lontananza dalla propria casa sia triste, viverci in mezzo, a volte, è anche più triste.

Meme                            - Ma che vuoi dire?

Nanni                            - Di' Meme, non ti pesa a te la vita?

Meme                            - Ah, no! Non ho il tempo di sentirne il peso.

Nanni                            - A me, tanto!... Perché non so ridere come gli altri, io?

Meme                            - Che sciocco! Dir questo a diciassette anni! Non pensare, fa come le formiche e le api, che lavorano senza sapere il perché: obbediscono a chi le ha create.

Nanni                            - A Dio!

Meme                            - Lavora; non sentirai il peso dell'esistenza... La­scia a me la cura della tua anima; lasciami la tutela della nostra, non dico felicità, ma pace.... Io son0 tor­nata per riportare qua dentro quello che non c'è più : la serenità e l'affetto tra i nostri genitori.

Nanni                            - Oh, Meme!

Meme                            - Abolite le tenerezze inutili: fanno male. Vattene. vattene. Debbo lavorare.

Irene                              - (entra dal fondo con cappello, veletta ecc.)

Nanni                            - (esce).

SCENA XI.

Meme - Irene.

Irene                              - Buon giorno, bimba mia. Torno in questo mo­mento.

Meme                            - Di dove?

Irene                              - Lo sai, dalla messa.

Meme                            - Ah, è vero.

IrEnE                            - Oh, sì, tutte le mattine. È un gran conforto per me! (si leva il cappello e lo posa su un mobile).

Meme                            - (Dopo aver preso da un cassetto una lettera) Mamma....

IrEnE                            - Eh?

Meme                            - Conosci un certo Colombi Evaristo?

IrEné                             - Sì, è il padrone della macelleria dove ci serviamo noi.

Meme                            - Ah, ho capito.

Irene                              - Perché me lo domandi?

Meme                            - Per niente. (La madre ha intanto osservato la busta lasciata da Meme sul tavolino).

Irene                              - T'ha scritto?

Meme                            - Sì.

Irene                              - La ragione?

Meme                            - Nulla. Un'informazione.

Irene                              - (timidamente) Non è stato sempre pagato forse?

Meme                            - (non risponde).

Irene                              - Lo sospettavo... Tuo padre! Tuo padre! Ed ora chiede a te quei denari?

Meme                            - Cosa da poco.

Irene                              - (togliendole dalle mani la lettera e scorrendola rapidamente) Ha firmato delle cambiali! Rinnovate già molte volte! Il Colombi vuole che tu le avalli altrimen­ti le protesterà! Che miseria! È uno strozzino, quel Co­lombi! Lo sanno tutti in città! Tutti lo sanno! E tuo padre è caduto nelle mani di quell'uomo!

Meme                            - Ma perché ha fatto questi debiti?

Irene                              - Non hai capito perché?

Meme                            - Ho capito. Non importa... Non ne farà più, te lo prometto: ritornerà l'uomo di. prima.

Irene                              - Ma come si potrà pagare?

Meme                            - Ci sono cinquemila lire, pel corredo di Ninna. Ci serviremo intanto di quelle. Però il babbo non deve sapere che abbiamo pagato.... Guarda preparo subito lo chèque (si mefite ed, banco da lavoro).

Una voce                       - È permesso?

Meme                            - Avanti (continua a scrivere).

SCENA XIII.

Meme – Irene - Ademaro

Ademaro                       - (entra e saluta Irene).

Meme                            - Ma come mai a quest'ora. Melnà? E il vostro uf­ficio?

 

Ademaro                       - Sono uscito un po' prima: avevo bisogno di parlarvi.

Meme                            - Sono subito da voi. Cosa tanto urgente? Non me ne avete fatto cenno dianzi.

Ademaro                       - Ho ricevuto or ora, con l'ultima posta, una notizia...

Meme                            - Ditemi... Come siete pallido! Che vi è successo?

Ademaro                       - Dirò...

IrEnE                            - Dovete parlar d'affari. Me ne vado (esce).

SCENA XIV.

Meme E Ademaro

Ademaro                       - A voi, Meme, non si parla come a tutte le altre donne...

Meme                            - Mi spaventate....

Ademaro                       - La vostra fiducia su quel signor Ronzi io non la condividevo...

Meme                            - Di fatti, mi pareva...

Ademaro                       - E allora mi som permesso di assumere delle in­formazioni, a Rimini per conto mio.

Meme                            - Che avete saputo?

Ademaro                       - Esiste a Rimini un altro Luigi Ronzi, conte davvero e ricco a milioni.

Meme                            - Vorreste dire che Gigi sfrutta questo singolare caso di omonimia?

Ademaro                       - (Fa cenno di sì col capo).

Meme                            - Ma e le informazioni che sono state date a me?

Ademaro                       - Ce banche hanno creduto che si trattasse dell'altro.

Meme                            - (È allibita. A un tratto vieti presa da una specie di capogiro. Ademaro la sorregge).

Ademaro                       - Meme!

Meme                            - Non è nulla! La sorpresa (cercando di riprender­si) Si diceva...

Ademaro                       - Siete state ingannate da un avventuriero della peggiore specie... che vive sul giuoco... e peggio. Ora è l'amante del cuore di una certa Lhouba, danzatrice in­diana...

Meme                            - (con un gran dolore nella voce) Povera Ninna!

Ademaro                       - Bisogna che vi liberiate subito da quell'indivi­duo: io vi aiuterò.

Meme                            - (come fra sé) E pensare che ho affrettato io il fi­danzamento! Per la prima volta in vita mia mi sono contentata delle apparenze: avevo paura che ci fuggis­se.... Povera Ninna! Come faremo a dirglielo? Come potrò trovare tanto coraggio?

Ademaro                       - Sarà necessario trovarlo... Ad ogni modo quel signore si merita una lezione ed io gliela darò.

Meme                            - Bisogna evitare ogni scandalo, ogni motivo di pettegolezzi. Voi parlerete col Ronzi.

Ademaro                       - Gli ho già scritto d'aspettarmi all'albergo, av­vertendolo che si guardasse bene dal mettere i piedi in casa vostra prima del nostro colloquio.

Meme                            - Grazie, Ademaro... E perché avete fatto tutto questo?

Ademaro                       - (dolcemente) Sono un amico, di quelli veri, Meme.

 SCENA XV

Meme – Ademaro - Ninna

Ninna                            - (entra. Vestita di chiaro. Ilare) Meme! Meme! Non vedi che bel sole? Lascia stare cotesti registri!

Meme                            - (non risponde, confusa).

Ninna                            - (va al telefono).

Meme                            - Che fai?

Ninna                            - Telefono a Gigi: glie l'ho promesso.

Meme                            - Non telefonare!

Ninna                            - Perché?

Meme                            - Perché... (decisamente, dopo una certa esitazione) Tu non devi più vedere il Ronzi.

Ninna                            - Dici?

Meme                            - («o» sapendo più, ora, trovare il coraggio) Come dirti? ... Non so... Spiegatele voi, Melnà. Voi siete coinè un fratello....

Ninna                            - Ma che c'è? Che cosa è successo? Avanti, mi dica Melnà: che cosa è successo?

Ademaro                       - Ecco... Guardi, ho ricevuto sul conto del Ronzi delle informazioni

Ninna                            - (gli strappa di mano la lettera e la scorre rapida­mente) Ma non è vero! Non è possibile!

Meme                            - Credi che se Ademaro non fosse sicuro ci darebbe questo dolore?

Ninna                            - (con uno scatto) Ma sì, ma sì che è vero! Non poteva essere diversamente. Dovevo prevederlo!

Meme                            - Ninna, bisogna lasciarlo, non pensarci più.

Ninna                            - (con una risata stridula) Ti par possibile?

Meme                            - Bisogna.

Ninna                            - La volontà non può nulla contro il nostro cuore. Eppoi eppoi io non lo voglio lasciare, capisci? Non lo voglio lasciare.... Come a volte.... Ci sono certi mali fi­sici... Sì, ci sentiamo rodere le ossa, ci sentiamo divorare le carni e quel tormento., quel tormento vorremmo quasi acuirlo per soffrire di più.

Meme                            - E che vuoi fare?

Ninna                            - Che voglio fare? E che ne so io? Oscuramente sentivo che qualche cosa di terribile doveva avvenire. Ed è avvenuto... Ora non c'è più da scegliere. Bisogna che accetti tutto, fino in fondo.

Meme                            - Fino in fondo che? No, Melnà parlerà con quell'uomo. Lo obbligherà a lasciare subito questa città....

Ninna                            - (con un grido) No!

Meme                            - No! Non ostante tutto quello che sai?

Ninna                            - No, non deve partire, non mi deve lasciare (si avvia).

Ninna                            - (trattenendola) Dove vai?

Ninna                            - Con lui.

Meme                            - È un disonesto.

Ninna                            - Lo so. Ebbene? Non puoi capire che certe volte si possono amare anche più degli altri gli uomini come quello?

Meme                            - Vive sul giuoco Come lo puoi sposare?

Ninna                            - (amaramente) Sposare! Già, è vero, io dovevo... (ride).

Meme                            - Abbi coraggio.... È una disillusione che bisogna sopportare.... Anch'io soffro tanto.... Non so perché deb­ba soffrire tanto!... Tutta colpa mia che non sono stata abbastanza prudente.

Ninna                            - Ti sei lasciata affascinare subito, anche tu... Af­fascinare, proprio.

Meme                            - Mi pareva... che ti avrebbe fatto felice... Questa casa sembrava un'altra quando c'era lui.

Ninna                            - E perché non potrebbe rendermi felice ancora? Ci sono tante specie di felicità. Lasciami andare.

Meme                            - Bimba mia.

Ninna                            - (cupamente, fermandosi dinanzi a lei, con gli oc­chi chiusi, fissi dentro di sé) Non sono più una bimba, sono una donna.... Hai capito? sono una donna!

Meme                            - (lascia le mani di Ninna che ricadono pesanti e fredde).

Ninna                            - Ma sì, a che scopo seguirlo? A che prò? Se non mi lasciasse oggi, mi lascerebbe domani.

Meme                            - (scuotendosi) Andate, Melnà, parlategli.... tratte­netelo.

Ademaro                       - (esce).

SCENA XVI

Meme e Ninna

Ninna                            - È inutile, troverà sempre il modo d'andarsene, di lasciarmi, se vorrà....

Meme                            - Ho capito, sai Ninna? È un grande dolore per me, ma questo segreto resterà fra noi, ed io ti aiuterò a sopportare la tua pena.

Ninna                            - Non ho il coraggio d'andarmene... Sono vile!

Meme                            - Resteremo qua, strette, come ora...

Ninna                            - (guardandola fissamente come se per la prima volta vedesse la sorella) Ma tu soffri, davvero!

 

Meme                            - Si ma io saprò aver coraggio per tutte e due, vedrai.

Ninna                            - Non basteremo l'una all'altra, te lo dico io.... Eppoi, che cosa credi? Che valga la nostra, che valga la volontà di una donna come te a impedire che tutte tutte le cose ci crollino, come fanno, intorno?

Meme                            - Sì.

Ninna                            - No. Tutto qui rovina. Tu ti aggrappi a questi muri, a queste povere anime nostre per cercare d'impedir lo sfacelo... Follia! Anche i cimiteri a primavera s'em­piono di fiori e sfolgorano come giardini. Ma nei cimi­teri la primavera è una menzogna. Che cosa può mai nascondere e farci dimenticare il marcio delle anime nostre?

Meme                            - Che dici? Dici così perché ora tu soffri, ma io credo, credo ancora, nonostante tutto. Io, vedi, voglio avere una ragione di vita. Nessuno l'ha conosciuta co­me me, la vita... E io ti dico che essa non è un cimitero come affermavi tu dianzi, ma un prato di speranze e più ne cadono più son pronte a nascere.

Ninna                            - Ah, come vorrei credere, anch'io!

Meme                            - Bisogna. Si vive soltanto di fede.

Ninna                            - (volgendosi intorno, come rabbrividendo di una solitudine della quale soltanto ora essa si accorga). La vita, qui sempre uguale....

Meme                            - Mi starai vicina, sorella, mia, mentre lavorerò (essa la prende, per la vita e la obbliga a guardarla negli occhi. Con una dolce monotonia). Lavorerò, lavorerò, la­vorerò

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Lo studio di Meme, ancora. È un pomeriggio caldo.

SCENA I.

Meme- Ninna- Irene- Carolina- Lorenzo- Ademaro Nanni e Colombi

(Lorenzo, Ademaro, Colombi, Irene, Meme sono seduti intorno ad una tavola, a destra. Nanni solo, a sinistra, con sul volto la sua impenetrabile maschera guarda un punto nel vuoto. Ninna è appoggiata allo scrittoio gran­de, nel messo della stanza, ne triste né lieta).

Lorenzo                         - Sicuro, tutta una mangiatoria nelle amministra­zioni pubbliche.

Colombi                        - Un momento, signor Astolfi, un momento. Ab­biamo qua il segretario del nostro comune il quale...

Lorenzo                         - Ce ne potrebbe raccontar forse di carine... Ma si, anche gli uomini più onesti debbono subire spesso la volontà dei loro superiori. Non è vero, signor segre­tario?

Ademaro                       - Può accadere a volte quello che dice lei, ma è un'eccezione.

Colombi                        - Un'eccezione, appunto, benissimo, un'eccezio­ne. E certamente al nostro egregio segretario non si è mai osato domandare qualche cosa che fosse men che corretto.... Si conoscon gli uomini, perbacco! Io sfido qualunque altra città ad avere un segretario come il no­stro: egli è vanto e gloria...

Ademaro                       - (con un sorriso) Non esageriamo!

Colombi                        - (infatuato) Vanto e gloria, signori, della no­stra città, la quale....

Ademaro                       - Ecco il caffè.

(Carolina infatti entra col vassoio del caffè. Meme lo distribuisce intorno).

Lorenzo                         - Lei, signor Colombi, ambisce a diventar con­sigliere?

Colombi                        - Oh, Dio, non nego che questa sia stata sempre la mia più laita ambizione, ma fino ad oggi gli affari mi hanno impedito di dedicarmi alla cosa pubblica, la quale....

Meme                            - Zucchero, signor Colombi?

Colombi                        - Grazie, sì: tre quadretti.

Meme                            - Uno, due, tre.

Colombi                        - Molto gentile, signorina. Ah, che squisita cola­zione! Ed io scommetto che quei deliziosi manicaretti eran dovuti alle arti sapienti della signora (indica Irene).

Lorenzo                         - Una donna non può essere una buona moglie se non è anche una buona cuoca!

Colombi                        - Che moglie è la signora Irene! Ah! Ah! Ah! L'arte culinaria è un'arte, la quale...

Ademaro                       - Fa crepare d'indigestione, a volte.

Colombi                        - Il suo inaspettato invito a colazione stamattina, signor Astolfi, mi è stato tanto caro che non so come essergliene grato... Io ho una viva simpatia per lei e la sua famiglia...

Lorenzo                         - Voglio sperare che ci favorirà spesso.

Colombi                        - Con tutto il cuore \ L'ospitalità! Ah che cosa

l'ospitatila'!....

Ademaro                       - (piano a Meme) Degli altri.

Colombi                        - Invitare a pranzo degli amici, conversare...

Ademaro                       - (in piedi andando verso Nanni) Sicché lei ri­ceve spesso.

Colombi                        - La mia casa non si presta, ma i signori Astolfi hanno una così bella casa!

Ademaro                       - (mettendo le mani su le spalle di Nanni) Eb­bene?

Nanni                            - Faccia il favore di portar via quell'individuo, al­trimenti io....

Ademaro                       - Calma,, ragazzo, calma...

Nanni                            - Nostro padre ce l'ha condotto in casa stamani, improvvisamente.

Ademaro                       - Puoi controllare gli atti di tuo padre? (un tempo) Sei un ragazzo.

Nanni                            - Anche per lei io sono un ragazzo!

Ademaro                       - Certamente. (Sedendosi accanto a lui) Uomo è colui che ragiona; ora tu ti lasci trasportare dagli impulsi della tua età. (continua a parlare piano).

Una voce                       - Si può? (Una balia entra).

SCENA II

Detti - La balia

Meme                            - Ah, la balia di Maria Fiordi. Hai portato a farci vedere il bambino?

La balia                         - Sì, signorina.

Meme                            - Guarda, mamma; guarda, Ninna, che magnifico bebé!

(Le quattro donne formano un gruppo presso la veran­da. Lorenzo e Colombi seduti a destra; Nanni e Ade­maro a sinistra).

Lorenzo                         - Un bicchierino di Chartreuse?

Colombi                        - Come crede.

Lorenzo                         - (versando il liquore) Ci ha pensato a quell'af­fare?

Colombi                        - Impossibile.

Lorenzo                         - Quei denari mi occorrono ad ogni costo.

Colombi                        - Li trovi da qualche d'un altro: io non ce l’ ho.

Lorenzo                         - Lei scherza!

Colombi                        - E se anche ce li avessi non glieli darei. Sono stato' già buono a mettere a dormire quelle tali cam­biali per aspettare che lei avesse a disposizione del de­naro liquido... Di più non posso.

Lorenzo                         - Sono disposto a qualunque interesse...

Colombi                        - C'è un interesse il quale... (parlano a bassa voce).

Nanni                            - Ho cercato di ragionare: non sono riuscito a spiegarmi nulla. La mia mente ci si smarrisce in questo garbuglio di cose...

Ademaro                       - Ed è così semplice!

 

Nanni                            - Semplice, già. Ninna che sembrava pazzia, d'amo­re improvvisamente non ne vuol più sapere di costui e manda all'aria tutto.

Ademaro                       - L'anima femminile è un meccanismo assai complicato.

Nanni                            - E un uomo che si adorava, si può ad un tratto trovar detestabile?

Ademaro                       - Pare, se così è avvenuto. Del resto tu che detestavi il conte, dovresti esser contento...

Nanni                            - Vorrei che il signor conte non sì fosse compor­tato come si deve

Ademaro                       - Idee che ti metti in testa tu!

Meme                            - (ha preso il bambino in braccio e lo culla) Guar­date, ride nel sonno, ride...

La balia                         - Si sogna.

Irene                              - Nanni dormiva con gli occhi socchiusi, e anche ora a volte.

Meme                            - Prendilo un poco tu, Ninna...

Ninna                            - No. Tienlo. Non posso: debbo uscire, (esce bru­scamente).

 La balia                        - Me lo dia a me, signorina... (restano a par­lare un poco ancora, poi escono per la veranda).

SCENA III.

Ademaro - Nanni - Lorenzo - Colombi

Lorenzo                         - Non mi metta nella condizione d'insistere: è la prima volta.

Colombi                        - Se potessi, creda....

Lorenzo                         - Ci pensi anche stanotte, passerò domattina da lei.

Colombi                        - Passi, mi farà piacere, ma....

(S'alzano parlando).

Nanni                            - Ho fiducia in lei.

Ademaro                       - Alla buon'ora!

Colombi                        - (forte ad Ademaro) Ah, signor segretario, che piacere è stato per me conoscerla personalmente!

Ademaro                       - Troppo gentile.

Colombi                        - E di questa fortuna debbo esser grato all'a­mico Astolfi....

Lorenzo                         - Mio caro Colombi, sai bene... pardon...

Colombi                        - Ma dammi del tu, caro Astolfi; dammi pure del tu....

Nanni                            - (sta. sempre un po' in disparte).

Colombi                        - Caro segretario, lei esce?

Ademaro                       - Tua poco.

Lorenzo                         - Passate dal giardino...

Colombi                        - Vede, caro segretario, ho da diverso tempo in comune una pratica, la quale...

(Tutti, meno Nanni, escono).

SCENA IV.

Nanni e Ninna

Nanni                            - (S'appoggia alla veranda).

Ninna                            - (s'affaccia dalla sinistra e guarda nella stanza. Poiché Nanni è nascosto dalle piante, Ninna non lo vede e s'inoltra decisamente. È pronta per uscire).

Nanni                            - Esci, Ninna?


Ninna                            - (sorpresa) Sì.

Nanni                            - Vuoi che t'accompagni? Andiamo a fare una bella passeggiata insieme, come un tempo?

Ninna                            - No, debbo uscire.

Nanni                            - Dove vai?

Ninna                            - Da Maria Fiordi.

Nanni                            - Eravate in collera....

Ninna                            - Abbiam fatto la pace.

Nanni                            - E ad Enrico Fiordi non ci pensi più? Vi eravate voluti bene fin da ragazzi, poi, tu, a un tratto, l'avevi lasciato per l'altro... Io non ho altri amici, lo sai... Du­rante il tuo fidanzamento sano stato testimone del suo dolore.... Ha sofferto tanto.

Ninna                            - Lo so.

Nanni                            - E non hai avuto ancora una parola per lui!

Ninna                            - Che dovrei dirgli?

Nanni                            - È vero. (Silenzio).

Ninna                            - (a un tratto) Ascoltami. Quell'altro è stato nella mia vita una parentesi... In realtà io non ho mai ces­sato di voler bene ad Enrico....

Nanni                            - Così, se egli volesse dimenticare?

Ninna                            - Sì. Ti fa tanto piacere?

Nanni                            - Tanto. Io solo so che cosa ha sofferto Enrico!

Ninna                            - Credi che mi perdonerebbe?

Nanni                            - Ti perdonerà.

Ninna                            - (resta un momento soprappensiero) Lasciami an­dare.

Nanni                            - T'accompagno?

Ninna                            - No. (esce).

Nanni                            - (fa per seguirla, ma Meme entra con Ademaro)

SCENA V.

Meme - Ademaro - Nanni

Ademaro                       - Questo ragazzo ha bisogno di svagarsi.

Meme                            - Ti faremo svagare, Nanni.... Ma che fai, esci?

Nanni                            - Sì.

Meme                            - Perché tanta fretta?

Nanni                            - Debbo uscire subito, (esce).

SCENA VI.

Ademaro                       - Dovete sorvegliarlo, Meme.

Meme                            - Perché? Che cosa vi diceva dianzi?

Ademaro                       - Nulla. Ma ha la testa calda... Ha voluto che io gli assicurassi che non gli si nascondeva nulla dell'affare, sapete, di Ninna, del Ronzi....

Meme                            - E voi?

Ademaro                       - Naturalmente, l'ho rassicurato.

SCENA VII.

Meme – Ademaro – Colombi - Lorenzo

Colombi                        - Caro segretario, lei è sparito a un tratto. Vo­levo finirle 'la storia di quella tal pratica e volevo sa­lutare la signorina.

Lorenzo                         - Non è amante della caccia, signor segretario?

Ademaro                       - Un tempo sì, oggi l'ufficio

Colombi                        - (a Meme) Arrivederla, signorina.

Meme                            - (piano) Le ha chiesto del denaro?

Colombi                        - (c. s.) Sì, ma ho tenuto duro. E, secondo il suo desiderio, non ho detto che le altre cambiali le ha pagate lei. Ho fatto finta d'averle messe a dormire.

Meme                            - Va bene (forte). Arrivederla, signor Colombi.

Colombi                        - Lei esce, vero, segretario?

Ademaro                       - Si.

Colombi                        - Ecco, le dirò che quella tal pratica, la quale...

( s'incamminano ).

Meme                            - Babbo.

Lorenzo                         - Che vuoi?

Meme                            - Resta, per favore.

Lorenzo                         - Ma volevo accompagnare....

Meme                            - Melma fa gii onori di casa. Non è vero?

Ademaro                       - Certo.

Lorenzo                         - (saluta).

(Ademaro e Colombi escono).

SCENA VIII

Meme                            - Lorenzo .

Lorenzo                         - Che vuoi dirmi?

Meme                            - (gaia) Voglio sgridarti, caro papà.

Lorenzo                         - Sono invertite le parti?

Meme                            - Sicuro, una volta tanto.

Lorenzo                         - T'avverto che sono di pessimo umore.

Meme                            - Dio! Dio! Che t'è accaduto?

Lorenzo                         - È accaduto.... è accaduto... Ma quel che è ac­caduto non ti riguarda.

Meme                            - Non mi riguarda? Sono un'estranea, papà?

Lorenzo                         - Chi dice questo?

Meme                            - E allora tutto ciò che può angustiarti mi riguarda. (breve silenzio) Babbo, io sono Meme.... La mia lunga lontananza ti ha un po' disabituato a me, ma io sono Meme, la tua figliola, che ti ha voluto sempre tanto bene.

Lorenzo                         - Chi dice il contrario?

Meme                            - È vero che tu ne hai sempre voluto a me un po' meno che agli altri...

Lorenzo                         - Non ho mai fatto parzialità.

Meme                            - ....ed io ne ho sofferto, senza che tu te ne ac­corgessi.

Lorenzo                         - Io voler meno bene a te che a Ninna!...

Meme                            - Interroga bene te stesso... È giusto, del resto. Ninna è così affettuosa, così vivace, e poi è l'ultima.... Si concedono sempre più vizi a quelli che nascono tardi.

Lorenzo                         - Qualche vizio di più, non nego...

Meme                            - Oh. io non te ne faccio una colpa, sai? La colpa, è piuttosto mia....

Lorenzo                         - Tua? !

Meme                            - Certo, mia. Ho speso tutto il mio tempo a stu­diare, e tu non hai mai potuto conoscere la fondo il mio carattere...

Lorenzo                         - Ma se hai studiato, non ce ne slam trovati male nessuno.

Meme                            - Ho fatto il mio dovere... Tu ti sei sacrificato tanto per mantenermi alle scuole!

Lorenzo                         - Non nego d'aver fatto qualche sacrificio, tu però...

Meme                            - Io ho avuto il torto di non conquistare mai la tua confidenza... Io sono un po' maschio e i babbi hanno invece un tenero per le femmine; non ho finezze, non mi esprimo bene..

Lorenzo                         - Tutto il contrario.

Meme                            - Ah, se mi sapessi esprimere, ti avrei fatto già capire... quanto soffra delle tue preoccupazioni.

Lorenzo                         - Che ne siati?

Meme                            - Diavolo, sono un uomo d'affari, ho indovinato.

Lorenzo                         - Non c'era nulla da indovinare.

Meme                            - Ah, babbo, le bugie!... Ho indovinato e pensato anche a por rimedio.

Lorenzo                         - E tu credi che io accetterò il tuo denaro?

Meme                            - Preferirai quello del signor Colombi, commer­ciante e strozzino?

Lorenzo                         - Come lo sai che fa quel mestiere?

Meme                            - È stata una combinazione: una volta per doveri

d'ufficio.

Lorenzo                         - Se avessi saputo..

Meme                            - Non lo avresti invitato a collazione.

Lorenzo                         - Non so. Insomma....

Meme                            - Non andare in collera. Il mestiere di quel signore è noto a me sola. Mamma non suppone nulla.

Lorenzo                         - Quanto a tua madre io sono padrone di fare il comodo mio.

Meme                            - No, babbo. Quando una donna è stata la nostra compagna fedele, buona, di tonti anni....

Lorenzo                         - Non le voglio forse bene?

Meme                            - Si, ma a modo tuo.

Lorenzo                         - Non abbiamo più l'età di farci le carezze dalla mattina alla sera.

Meme                            - Senza arrivare a questo tu potresti risparmiarle la presenza in casa di certe persone.

Lorenzo                         - (risentito) Di chi intendi parlare?

Meme                            - Ma... del signor Colombi, per esempio.

Lorenzo                         - Ah, già.

Meme                            - Tu non le dai un bacio, mai... È così bello pei figli grandi vederli baciare tra loro i genitori vecchi... Invece tra voi c'è un astio.. Di chi la colpa?... Forse di mamma. Lei lo so, è trascurata, non guarda alla casa, passa le sue giornate in chiesa.

Lorenzo                         - Non devi dir questo di tua madre: non è vero.

Meme                            - Ah, lo vedi? È bastato che io ne dicessi un po' male di mamma, perché tu ti risentissi subito.

Lorenzo                         - Ma da questo a non aver difetti ci corre.

Meme                            - E chi non ne h'a? Il suo difetto maggiore è quello d'avere i capelli bianchi, povera mamma... Invece tu sei ancora così forte....

Lorenzo                         - Per cotesto, sì... Come se avessi diciott'anni.

Meme                            - (scherzosa) Facciamo venticinque là. ,

Lorenzo                         - Ti burli di me?

Meme                            - Un uomo di venticinque anni che ha una figlia di trentadue e coi capelli grigi. Guarda qui.

Lorenzo                         - Già, è vero (Le spartisce i capelli su la fronte)

Meme                            - (Ha gettato un cuscino per terra e vi si è seduta sopra come una bambina) Continua a carezzarmi... Da quanto tempo non lo fiati!

Lorenzo                         - Mi ricordo la notte che sei nata...

Meme                            - Raccontami, raccontami...

Lorenzo                         - Era d'inverino pioveva forte... ti ho tenuta in braccio fino alla; mattina. Strillavi che non c'era verso di farti chetare... Ed io su e giù a cantarti tutte le can­zoni che sapevo.

Meme                            - Oh, bella: non mi ricordo!

Lorenzo                         - (ridendo) Ma io me ne ricordo.. E ne è pas­sato del tempo... (con diverso tono). Eppoi tutte le di­sgrazie; il fallimento..

Meme                            - Sta zitto, non rammentare quei brutti giorni.

Lorenzo                         - E... se... già... se non ci fossi stata tu, col tuo lavoro, si poteva morir di fame.

Meme                            - Zitto, zitto, babbo. Io non ho fatto nulla al con­fronto di quel che hai fatto tu per noi.

Lorenzo                         - Ah, no, in quanto a cotesto sei stata una fi­gliuola modello. Anche l'altra, veh, anche l'altra... Ha un carattere diverso, mia è così affettuosa! Com'ero fe­lice di poterla accasare! Quel giovane mi piaceva,

Meme                            - E pensare..

Lorenzo                         - Che cosa?

Meme                            - Perché non dirteli»? Ormai... Egli ha ritirato la sua parola perché il disordine di casa nostra...

Lorenzo                         - Il disordine?

Meme                            - Insomma, si sapeva di certe cambiali tue in giro...

Lorenzo                         - Oh, sciocchezze!

Meme                            - Ma la sua famiglia, sai, così aristocratica, così ordinata...

Lorenzo                         - Perché non parlarmene? A qualunque costo io avrei pagato... La felicità della mia bimba prima di tutto.

Meme                            - Tu avresti cercato di pagare quelle cambiali, ma la passione rende ciechi.... Egli ha preferito troncare ogni relazione.

Lorenzo                         - Dunque la ragione che io non riuscivo a spie­garmi...

Meme                            - Questa soltanto.

Lorenzo                         - E la mia povera Ninna?

Meme                            - Ha sofferto, ma per risparmiarti una mortifica­zione ha voluto che non ti dicessi nulla.

Lorenzo                         - Ed io... ed io...

Meme                            - E tu senza sapere del suo dolore continui a inde­bitarti.

Lorenzo                         - Ti assicuro...

Meme                            - Ma se hai invitato a colazione il Colombi solo per questo! Ti umili fino a dargli del tu....

Lorenzo                         - Si, ma...

Meme                            - E luì è stato sordo alle tue richieste...

Lorenzo                         - È così; sono un senza cuore, sono un....

Meme                            - (rialzandogli la testa) No, babbo, sei a tempo... per un'altra volta, se vuoi...

Lorenzo                         - Tutto potrei perdonarmi, ma l'infelicità della mia' bimba.

Meme                            - Guardati a questo specchio: i tuoi capelli sono bianchi, i tuoi figliuoli soffrono a vederti prigioniero di una passione...

Lorenzo                         - Che sarebbe appena degna di Nanni, avete ra­gione.

Meme                            - E vorrebbero vederti in pace con la mamma, co­me prima, (piano) come quando costei non era in casa nostra... Fa un po' di violenza al tuo cuore: anche tu ti sentirai più tranquillo, credi.

Lorenzo                         - Mi parli come a un ragazzo.

Meme                            - Mio Dio, ti parlo come a un amico ecco.... 11 Co­lombi non ti ha più rammentato certe tue cambiali...

Lorenzo                         - No.

Meme                            - Sono lì, in quel cassetto.

Lorenzo                         - Hai pagato tu!

Meme                            - Sì, coi denari del corredo di Ninna... Se avesse sposato non si sarebbe saputo come vestirla... Occorre­va fare un debito, se pure si fosse trovato chi ci avrebbe fatto l'imprestito.

Lorenzo                         - Va, va, fa tu: manda via quella donna, subito.... Via, via subito di qui.

Meme                            - Davvero? Non avrai pentimenti?

Lorenzo                         - No.

Meme                            - Vado (esce).

Lorenzo                         - (resta seduto col capo fra le mani).

SCENA IX.

Lorenzo - Irene

Irene                              - (entrando) Lorenzo!

Lorenzo                         - Non mi dir nulla. Capisco soltanto oggi come devi aver sofferto... Uno dei nostri figliuoli mi doveva aprire gli occhi.

Irene                              - Ho sofferto, è vero, ma, se ora è finita... Se ora potremo viver qui, tutti in pace...

Lorenzo                         - Vieni qua, vecchia mia, mi perdoni?

Irene                              - Me lo domandi?

Lorenzo                         - Vieni qui, allora.

Irene                              - Sono qua.

Lorenzo                         - Irene! (s'abbracciano).

SCENA X.

Lorenzo - Irene – Meme - Nanni

Nanni                            - (entra da destra).

Meme                            - (li sta a guardare un poco dal fondo, soddisfatta) Un quadretto di genere...

Lorenzo                         - Ci stavi a guardare?

Meme                            - Sì, vi stavo a guardare... Stringetemi un poco tra voi; non vi chiedo altro (si rifugia tra le loro braccia).

Irene                              - Come sei rimasta bambina.

Meme                            - Una bambina che ha bisogno delle vostre carezze. Noi vivremo qua, tutti riuniti, d'ora innanzi, in pace, non è vero, babbo?

Lorenzo                         - Per conto mio...

Meme                            - Accaseremo Ninna, faremo una posizione a Nan­ni, e poi...

Irene                              - E tu vuoi rimanere così?

Meme                            - Chi mi può volere, me? Io sono vecchia, ormai.

Lorenzo                         - (a Irene) Andiamo, lasciamo Meme al suo lavoro.

Irene                              - (esce con Lorenzo).

SCENA XI.

Meme                            - Nanni

Meme                            - Hai visto Nanni? ... Il babbo e la mamma riappacificati, Carolina sul punto di lasciare la casa.... Be', non sei allegro? È la pace, la tranquillità d'ora innanzi... per tutti... Ma che hai? Che hai sempre?

Nanni                            - Che cos'ho? Vuoi sapere che cos'ho?

Meme                            - Andiamo, parla una buona volta.

Nanni                            - Dianzi, quando sono uscito così bruscamente, sai dove andavo?

Meme                            - Non sono indovina.

Nanni                            - Ho seguito Ninna come una spia.

Meme                            - Ebbene?

Nanni                            - Ninna è andata in via Quieta a trovare la Luigia Campi.

Meme                            - (ha un sussulto, ma riprendendosi subito) E con questo?

Nanni                            - Come? Non capisci? Che andava a fare in quella casa? Una ragazza ha bisogno d'interrogare donne di quel genere senza ragione?

Meme                            - (dando in una risata) Lasciami ridere! Ti giuro che sei comico.

Nanni                            - Meme, ma io mi ci perdo; non capisco più.

Meme                            - Me ne accorgo. Dianzi qui hai visto la balia dei Fiordi col bambino... Ebbene, simili cose non te le do­vrei dire, ma mi metti al punto... Miairia Fiordi sta poco bene e c'è stato bisogno di mandare a chiamare quella signora che tu hai nominata con tanto mistero... Ninna s'è offerta... L'avrei fatto io, se avessi potuto.

Nanni                            - Una signorina non si prende certi incarichi.

Meme                            - Si vive nel secolo XX, caro mio.... Certi pregiu­dizi non si hanno più.

Nanni                            - È vero. Mi levi un peso dal cuore.

Meme                            - Ti proibisco d'aver simili pensieri.... La tua età è di aver delle piccole amiche, non di stare dalla matti­na alla sera con cotesto muso.

Nanni                            - Perdonami!

Meme                            - Il mio perdono quando scoprirò nella tuia cartella di scolare la fotografia di una donna, quando mi verrai a chiedere il primo imprestito, quando farai le prime pazzie: quelle della tua età. Fino a quel giorno ostra­cismo. Via di qua!

Nanni                            - L'ultima crisi; è passata: te lo giuro. Chiederò anzi perdono a Ninna.

Meme                            - Guardatene bene. Se ne potrebbe offendere ed avrebbe ragione.

Nanni                            - È vero, sono uno stupido, non so vivere.

Meme                            - Bisogna imparare... E stasera, proibito di torna­re a casa prima delle undici, ma è proibito anche tornare dopo le undici. Via, via di qua... (lo insegue ri­dendo intorno alla tavola; sta per raggiungerlo, ma Nanni infila la porta e scompare. Uscito il fratello, il suo viso muta a un tratto; diventa disperato).

SCENA XII.

MEME - Ninna

Ninna                            - (entra).

Meme                            - Finalmente, Ninna!

Ninna                            - M'aspettavi?

Meme                            - Certo, per dare anche a te la notizia: i nostri genitori riconciliati.

Ninna                            - Ah! (si leva il cappello)

Meme                            - Non sei contenta?

Ninna                            - Al contrario.

Meme                            - Hai un certo modo di esprimer la gioia!

Ninna                            - Sono contenta: non posso mica mettermi a sal­tare.

Meme                            - Non ti chiedo tanto, ma non cotesta freddezza.

Ninna                            - Ti sembro fredda. Invece, mai come oggi mi sano sentita tanto felice.

Meme                            - Che ti è accaduto?

Ninna                            - Nulla. È come se improvvisamente il mondo si fosse messo a girare per un altro verso.

Meme                            - Ah, raccontami.

Ninna                            - Non c'è niente da raccontare... Sento il bisogno di vivere, di vivere, ecco: niente di più....

Meme                            - Non hai più fiducia in me?

Ninna                            - Che idea!

Meme                            - È un mese, è giusto un mese, da quel giorno, che mi sfuggi.

Ninna                            - Sfuggirti, io!

Meme                            - Sono dei nonnulla... Sai, sono di quelle cose che si sentono, che si avvertono nostro malgrado.

Ninna                            - Ti ripeto che t'inganni.

Meme                            - Vorrei ingannarmi, ma tu sai bene che non m'in­ganno; è così (breve silenzio). In altri tempi tu non m'avresti nascosto il tuo segreto.

Ninna                            - (vivamente) Che ne sai?

Meme                            - Io sola lo conosco e... la donna alla quale l'hai confidato poco fa.

Ninna                            - Mi segui? Mi spii? Non son più padrona di fare un passo.

Meme                            - Non indagare come io l'abbia saputo: ti basti che lo so, perché io non t'abbandono nel dolore, Ninna, soltanto tu avresti dovuto confidarti con me e non con un'estranea.

Ninna                            - Quali consigli potevi darmi tu?

Meme                            - Potevo aiutarti a sopportare la tua pena.

Ninna                            - Se sapevi che io soffrivo tanto, perché non hai parlato? Avrei avuto bisogno di te... Ho pensato mille volte di farla finita, ma son giovane, son giovane, e non voglio morire così presto. D'altra parte come sop­portare quella vergogna? Come dare al babbo quel do­lore! ... Ah, la maternità! La gioia e l'orgoglio di aver un figlio dall'uomo che si ama!... Se m'avesse sposata, pensa alla felicità di questo momento! Invece...

Meme                            - È lo stesso!

Ninna                            - La gente m'allontanerà da sé e mi lascerà sola col mio povero fardello.

Meme                            - Non sarai sola... Ci sarò io!

Ninna                            - Tu, mia povera sorella! Tu!

 

Meme                            - Io non ti posso bastare, è vero, ma quello che

verrà....

Ninna                            - Ah, la vita! Mi pareva che mi dovesse promet­tere tante cose belle!... Che cosa sono ora? Un oggetto di lusso; il lavoro mi stanca, mi distraggo anche senza volere... Sarò sempre una mendicante.

Meme                            - Mi fai provare dei rimorsi! Ninna   - Son cattiva, sono nata cattiva... Perdonami... Ma dimmi che cosa mi riserba l'avvenire? Non so dire addio alla mia famiglia, sono una ragazza che non sa dimenticare gl'insegnamenti dei suoi genitori, e non posso avere dinanzi a me che anni pieni di vergogna... E il dolore di nostro padre, la nostra mamma? Non ostante tutto, io sono una ragazza onesta che darebbe la sua vita, te lo giuro, per essere come tu, Meme, m'a­vresti voluta... Ti assicuro che vai meglio tentare tutto per tutto...

Meme                            - Non lo dire!

Ninna                            - Eppoi io voglio bene ora a Enrico Eiordi, gli voglio bene, capisci?

Meme                            - Confèssagli ogni cosa... Chissà!

Ninna                            - Ingenua! Mi ama, e non saprebbe scusarmi. Ep­poi, come indurre la sua famiglia ad acconsentire?

Meme                            - È vero! è vero!

Ninna                            - Lo vedi bene che così la vita non è più possibile? Che debbo fare?

Meme                            - Che devi fare? Se io fossi al tuo posto saprei sopportare senza disperarmi... Non me ne importerebbe nulla della gente... Saprei vivere per la mia creatura.... Tu dici che sarai una mendicante, e io non sono una mendicante? Non vado dall'uno all'altro per avere un po' d'affetto? Se invece avessi un figlio mio!... Oggi l'interesse vi tiene stretti a me, ma domani ciascuno prenderà la propria via, i vecchi se n'andranno, ed io sa­rò sola, di nuovo... Tu non sarai mai sola, perché avrai davvero una ragione di vivere, di lavorare, di soffrire, sia pure, di soffrire. Eppure non lo vuoi questo figlio che sconvolge il tuo avvenire e devia le tue aspirazioni.. Hai paura che la gente non ti rispetti più, ma il ri­spetto l'avrai da lui, quando conoscerà la bellezza del tuo sacrificio e la grandezza del tuo amore!

Ninna                            - Tu sei libera, hai un mestiere, una professione: tu avresti la possibilità di allevare la tua creatura senza chiedere nulla a nessuno, ma io...

Meme                            - Non lo dire.... Quando lo vedrai, quando lo sen­tirai, quando ti chiamerà mamma, nulla ti parrà diffi­cile... Ti giuro che la vita non ha niente di più bello del sacrificio... Lo so che oggi è di moda ridersi di questi sentimenti, ma io ti giuro che la vita vale qualche cosa soltanto quando si sa dedicare a qualcuno o a qual­che cosa disinteressatamente....

Ninna                            - Come uscire da questa rete? Ci vuole un atto di

coraggio.

Meme                            - E tu mi vorresti complice di un simile delitto?

Ninna                            - Io voglio che tu mi lasci libera nella mia strada che in qualunque modo non può portare che al dolore. (Silenzio. La luce s'è intanto abbassata rapidamente. Nell'oscurità fitta del fondo appare in questo momento un'ombra; è Nanni. Egli resta in ascolto). ,

Meme                            - (improvvisamente) Ascolta, Ninna... È un pen­siero che m'è venuto a un tratto. Ah, se tu volessi, po­tremmo essere felici tutte e due!

Ninna                            - Che vuoi dire? Non ti capisco.

Meme                            - È molto difficile esprimersi, ma se tu accettassi! ... Pensa, egli non saprebbe mai nulla, mi chiamerebbe mamma.

Ninna                            - No, ho capito! No, questo!

Meme                            - Ma poiché egli dovrà nascere? Di un fallo mio tutti soffrirebbero rneno noi. Andremmo lontane, staresti con me tutto il tempo necessario, poi ritorneresti.... e potresti ricostruire la tua via... Avresti altri figli dall'uomo che non chiede che di farsi amare... Ah, Ninna, come sarebbe bello, come gli vorrei bene a quell'esserino, come lavorerei per crescerlo buono, affettuoso, one­sto....

Ninna                            - Come puoi supporre che io accetterei?

Meme                            - Si, tu non vorrai, di certo... Eppure sarebbe la felicità per me... Tante cose potremmo salvare insieme! Quante vergogne e quanti dolori di meno! Io sono vis­suta tanto tempo fuori di casa che nessuno ci crede più alla mia onestà... Forse anche in casa si suppone qualche mia leggerezza... Invece, no; te lo giuro.... Non ho osato, non oserò mai, per uno scrupolo sciocco, per un orgoglio irragionevole... Ma l'idea di aver questo figlio, nato dal nostro comune dolore! Fammi un dono della tua maternità. Ho paura del mio avvenire senza conforti. Dammi almeno un'illusione, sorella mila. Un'illusione basta a volte per non morire.

(L'ombra s'avvicina un poco, come per udire meglio poi scompare).

Ninna                            - (sobbalzando) Hai sentito?

Meme                            - Sì.

Ninna                            - C'era qualcuno nella stanza.

Meme                            - Chi vuoi che ci fosse?

Ninna                            - Ho paura... Guarda.

Meme                            - (frugando cogli occhi nel buio) Non c'è nessuno. Siamo sole. Vieni, parliamo ancora.... di lui, di nostro figlio.

Ninna                            - Lasciami andare... Ho paura...

Meme                            - Io non sarò mai la tua complice, mai!

Ninna                            - Lasciami andare!

Meme                            - Ti dico che non passerai... Mi metto su la porta di camera tua. Non passerai di qui.

Fine del terzo atto

ATTO QUARTO

 Un modesto salotto da pranzo. Sulla tavola pende il lume.

Al muro due ritratti, somigliantissimi, di Nanni e di Renato; è visibile però che sono stati eseguiti a distanza grande di tempo. Tutti i mobili hanno un'aria direi quasi volutamente borghese che li fa gai, affettuosi. Si sente che la casa è abitata da gente che l'ama, che ci vive e la riscalda. Una mano a colpo d'occhio femminile ha messo molti fiori nei vasi e sui mobili dei «centri» di pizzo. Su la credenza, in una zuppiera, della frutta avanzata; una cestina con qualche pezzo di pane. Questa gente vede ri­comparire spesso a cena gli avanzi della mattina. Sulla consolle vi sono delle fotografie un po' ingiallite; da una parte della consolle, al muro, un vistoso gruppo di collegiali, dall'altra una « menzione onorevole » incorniciata con amore.

SCENA I.

Ninna - Ademaro - Ginevra

Ninna                            - (è vestita di nero; un fitto velo la rende irricono­scibile).

Ademaro                       - (è invecchiato, incalvito, imbiancato).

Ginevra                         - (grossa serva di cinquant’anni li accompagna) Se vogliono aspettare la signora....

Ademaro                       - Non può tardare molto?

Ginevra                         - Per solito a quest'ora è già ritornata.

Ademaro                       - Sono un vecchio amico di famiglia: Ademaro Meltià.

Ginevra                         - Detto il « Maggiore ».

Ademaro                       - Come, lo sapete?

Ginevra                         - La signora ne parla spesso al signorino (movimento di Ninna che è rimasta incantata dinanzi al ri­tratto di Renato). Chissà com'è sarà contenta di rive­derla!

Ademaro                       - Povera Meme! E il signorino? Sarà ormai un giovinotto.

Ginevra                         - Diciassette anni il nostro ragazzo, compiuti martedì scorso. Guardi il suo ritratto.

Ademaro                       - (alzando gli occhi ai due ritratti appesi al mu­ro) Io vedo là il ritratto di Nanni.

Ginevra                         - Lo zio, eh?, quello che s'ammazzò. Un0 'è lo zio e l'altro il nipote.

Ademaro                       - Che somiglianza!

Ginevra                         - Perfetta.

Ademaro                       - Ma è impressionante!

Ginevra                         - Perfino la stessa voce — dice la signora... Eppure così diversi di carattere! L'uno era sempre triste, pare, questo invece! — E lei come mai da queste parti? In un paese così lontano?

Ademaro                       - Un viaggio di piacere... e ricordandomi della signora....

Ginevra                         - Si tratterrà?

Ademaro                       - Qualche giorno.

Ginevra                         - Scusi la mia curiosità, ma la signora mi onora della sua confidenza, così... S'accomodino. La signora potrà tardare poco. Con permesso (esce).

SCENA II.

Ademaro - Ninna

Ninna                            - (solleva il velo e porta il fazzoletto agli occhi. Ora, ecco, si vede che i suoi capelli son diventati bian­chi).

Ademaro                       - Coraggio.

Ninna                            - Vive qui, lui. Guardate, è da per tutto. Qui in un gruppo di collegiali: il più bello. Una menzione onorevole: studia bene... Qui: « Renato a sei anni », ci ha scritto Meme. In questo salotto si può seguire tutta la sua vita, a passo a passo. E mentre lui cresce­va, dov'ero io?.... Avevo rinunciato a lui per un falso sentimento d'onore; in realtà per un egoistico amore al benessere, a una vita agiata e tranquilla. E come pu­nizione, Iddio non ha voluto darmi altri figli. Nell'affetto degli altri avrei potuto, se non dimenticare questo, al­meno pensare a lui con un tormento minore... Invece, sola. E fingere sempre per non dare sospetti a mio ma­rito che la passione aveva reso cieco al punto di cre­dermi pura. Bisognava che egli fosse inchiodato su una poltrona perché io potessi venire fin qui.

Ademaro                       - Perché vi torturate così?

Ninna                            - Ho bisogno di giustificare la mia presenza qui dinanzi a me stessa. Che voglia ho di stringermelo fra le braccia il mio figliuolo. L'avevo regalato, come un oggetto! Ma appena la legge lo ebbe riconosciuto come figlio d'un'altra, la mia coscienza mi si rivoltò contro...

Ademaro                       - E che sperate?

Ninna                            - Non lo so. Non ho che un desiderio: tenermelo stretto per tutti questi anni che ho rinunciato a lui. Mi metterò in ginocchio dinanzi a lui e dovrà ben perdo­nare la cosa mostruosa che ho fatto.

Ademaro                       - Non sognate troppo.

Ninna                            - Infine, se io non avessi dovuto risparmiare a mio marito un dolore simile, Renato sarebbe già con me da molti anni.... E mia sorella non me lo avrebbe potuto rifiutare... Forse saremmo vissute insieme, egli ci avreb­be avute tutte e due vicine: avrebbe voluto bene a tutte e due...

Ademaro                       - Povera donna! Come la vostra follia vi ac­ceca.

Ninna                            - Che volete dire?

Ademaro                       - Sentite, lasciate che ci parli prima io, con Me­me. Vedervi così, all'improvviso, dopo tanti anni, le po­trebbe far male.

Ninna                            - Debbo andar via?

Ademaro                       - No. Basterà che restiate qualche momento.... in quella stanza, per esempio.

Ninna                            - E voi che cosa le direte?

Ademaro                       - Niente che possa nuocervi. Cercherò di prepa­rarla alla vostra visita, diciamo così. E le sue parole che voi potrete udire facilmente, vi suggeriranno anche il contegno da tenere.

Ninna                            - Va bene; facciamo così.

 SCENA III.

Ninna – Ademaro - Ginevra

Ginevra                         - Eccola. Sale le scale.

Ademaro                       - La signora (accenna Ninna) vorrebbe fare una sorpresa alla vostra padrona.... Potrebbe entrare momentaneamente in quella stanza?

Ginevra                         - Nello studio del signorino? Sì, certo... Entri, signora.

Ninna                            - (entra).

Ginevra                         - (richiusa la porta) Vado ad aprire.

Ademaro                       - E... zitta. Dite soltanto che ci sono io.

Ginevra                         - Sarà servito (esce).

SCENA IV.

Ademaro - Meme

Meme                            - (d. d.) Ma come! Davvero? (entrando) Melnà! Voi qui.

Ademaro                       - Meme! (si prendono le mani e si guardano in silenzio come per riconoscersi).

(Meme è ancora fresca. Il suo viso è rimasto sereno e dolce nella cornice, dei capelli bianchì).

Meme                            - (dopo un poco) Non m'avreste riconosciuta, dite la verità.

Ademaro                       - Come voi forse non avreste riconosciuto me, incontrandomi per istrada! Ne è passato del tempo!

Meme                            - Diciotto anni! Però vai non siete mutato: avete perduto qualche capello, soltanto... Ah, non potete figu­rarvi come questa vostra visita inaspettata mi faccia piacere! ... Ma sediamoci (si seggono). Come mai da queste parti?

Ademaro                       - Così, en touriste.

Meme                            - E... ditemi.

Ademaro                       - Chiedete.

Meme                            - Laggiù?

Ademaro                       - Io lasciai la città poco dopo... Ereditai da un mio zio prete e mi ritirai in campagna.

Meme                            - Sicché non avete più saputo niente della mia famiglia?

Ademaro                       - Così... vagamente.

Meme                            - Nanni... il nostro Nanni....

Ademaro                       - Lo so, ma perché?

Meme                            - Non se ne conobbe mai il motivo. Fu poco dopo la mia partenza.

Ademaro                       - Lo so. Lo so.

Meme                            - Doveva essere così! Povero Nanni! Il babbo e la mamma lo seguirono a poca distanza. La casa venduta... Ninna andò sposa a Enrico Fiordi.

Ademaro                       - So anche questo.

Meme                            - Io la condussi qua con me.... Il piccolo nacque Essa tornò via... Si maritò qualche tempo dopo.

Ademaro                       - E il marito?

Meme                            - Mio Dio, no: non sospettò di nulla; soltanto le proibì di veder me e di scrivermi; insomma la obbligò a troncare ogni relazione con me... per il fallo che avevo commesso....

Ademaro                       - E non vi siete più viste?

Meme                            - No, non ci siamo più viste... La so felice, mi scrive di nascosto, io le rispondo... Suo marito l'adora.

Ademaro                       - Non ha figli vero?

Meme                            - No... Anch'io però sono felice... Oggi ho una ragione per vivere: il mio figliuolo mi vuol bene come non potete figurarvi: studia,, è così bravo, così bello! E poi e poi... no, non voglio dirvi la singolarità che me lo rende anche più caro... La capirete, appena lo vedrete entrare... Fra poco sarà qui... Quando luì rientra la ca­sa si anima, s'empie dì lui, della sua vivacità, della sua gioventù. È forte: un giovine atleta. M'abbraccia a vol­te sino a farmi male... Che importa s'io non l'ho par­torito? Egli non suppone nulla, e per me non c'è dif­ferenza fra un figlio ver0 e lui. Non la deve forse a me la vita?... Ma io continuo a parlarvi della mia felicità e non mi occupo affatto di voi... Che egoista! Ditemi... qualche cosa di voi.

Ademaro                       - Che volete sapere?

Meme                            - Mi avete detto che abitate in campagna, poi... nient'altro. Siete... solo?

Ademaro                       - No.

Meme                            - Avete preso moglie? Sono tanto contenta! E siete felice?

Ademaro                       - Sì.

Meme                            - Vedete, anche voi che non avevate più speranze...

Ademaro                       - È vero, la vita ha sempre qualche conforto ina­spettato pei disperati.

Meme                            - E...

Ademaro                       - Se ho figli? Sei, Meme. Guardate (cava dal portafogli una fotografia). Cinque maschi e, l'ultima, una femmina: Meme.

Meme                            - Questa bella bambina si chiama come me?

Ademaro                       - Sì come voi. Mi è caro chiamarla per nome, quella bambina.

MEME                          - (resta un poco con la fotografia tra le mani, in silenzio) E vostra moglie?

Ademaro                       - È molto buona; tutta casa....

Meme                            - Mi fa piacere sapervi contento, Ademaro (silen­zio).

Ademaro                       - Vedete? Non sappiamo dirci più nulla... Poche parole sono bastate a riempire questi lunghi anni di lon­tananza... Forse voi desiderate già che io me ne vada.

MEME                          - Che dite?

Ademaro                       - Ahimè, sì: i nostri cuori sono invecchiati come i nostri volti, hanno preso le loro abitudini, si son fatti due brontoloni, che non voglion essere disturbati.

Meme                            - È un po' vero quello che dite.... tuttavia io non de­sidero affatto che voi mi lasciate; voglio che restiate a pranzo qui, stasera, che vediate il mio figliuolo, che partecipiate un poco alla mia felicità... Che ne dite del­ la mia casa? Non ci sono lussi: il necessario soltanto Eppure! ... A questa tavola, egli ha fatto tutte le sue lezioni... Io lavoravo là e vedevo nelle lunghe serate d'inverno la sua manina macchiata d'inchiostro correre su la carta... Da qualche tempo gli ho fatto un piccolo studio di là... Venite a vedere (s'alza e s'avvia verso la stanza dove si trova Ninna).

Ademaro                       - (vivamente) No.

Meme                            - Perché?

Ademaro                       - ...Me lo farete veder dopo il suo studio...

Meme                            - Come volete (siede di nuovo).

Ademaro                       - Ditemi,. Meme, rivedreste volentieri vostra so­rella?

Meme                            - Me lo domandate?

Ademaro                       - Ebbene, io ho mentito dianzi, dicendovi di non aver più avuto notizie dei vostri.

Meme                            - E perché?

Ademaro                       - Perché non sapev0 se il vostro cuore fosse mutato a riguardo della signora Ninna.

Meme                            - Ma no.

Ademaro                       - Dal momento che essa ha obbedito così stret­tamente all'ingiunzione del marito.

Meme                            - Avete potuto convincervi del contrario!

Ademaro                       - Sicché, se ella venisse a farvi una visita...

Meme                            - Ma suo marito?

Ademaro                       - Ha una paralisi, non capisce più nulla.

Meme                            - (impallidendo) E Ninna?

Ademaro                       - (precipitosamente) La signora Ninna mi ha accompagnato in questo viaggio, o meglio io ho accom­pagnato lei.

Meme                            - Si trova in città?

Ademaro                       - Più vicina ancora. È di là (egli s'alza e apre la porta dello studia. Entra Ninna).

SCENA V.

Ninna – Meme - Ademaro

(Le due sorelle si guardano un poco, ma invece dì cor­rere incontro a Ninna, Meme si mette a tremare con­vulsamente).

Meme                            - (con, un grido soffocato) Non dir nulla... Ho in­dovinato. Sei venuta a riprenderlo.

Ninna                            - (fa un gesto).

Meme                            - Che cosa potresti dirmi? Lo so già quello che mi vorresti dire... È tuo figlio: basta, questa ragione.... Me lo sarei dovuto aspettare del resto, prima o poi do­veva accadere. Invece io non ci ho mai pensato. Che stupida! M'ero investita della parte fino a credere di a-verlo fatto io!

Ninna                            - Ascoltami: io non voglio mettermi contro di te...

Meme                            - T'ascolto... Ma che importa se io non l'ho parto­rito? L'ho allevato, l'ho educato, sono stata malata delle sue malattie, gli ho insegnato a balbettare le prime pa­role. Quando ha detto per la prima volta mamma, i suoi braccini si son tesi verso di me... L'illusione era naturale.... E avevo tanto bisogno di questa illusione!

Ninna                            - È vero, io non merito nulla; egli anzi mi dovreb­be odiare... Ma ti giuro che tutti questi anni di matri­monio sono stati per me un martirio... Come darti una idea dei miei rimorsi?

Meme                            - Rimorsi di che? Mai figlio al mondo è stato ido­latrato come... (indica il ritratto) come lui.

Ninna                            - Lo so; non credere che io sia un'ingrata e non provi per te un infinito affetto, ma....

Meme                            - Ma non esiti a togliermi il mio tutto... Ora sei sola, ricca, libera.... Ora ti puoi permettere il tardo lus­so di un figlio... Lo vieni a prendere come si toglie a una nutrice, come si leva da un Istituto... Ma facciamo l'ipotesi che io te lo lasci: tu sei una sconosciuta per lui.

Ninna                            - Conquisterò il suo cuore a poco a poco.

Meme                            - Sogni! In tutti i ricordi della sua puerizia egli ritroverà me. La sua fede sono io: la bellezza, la bon­tà del mondo il perdono, il sacrificio: io! Quando sarà uomo e soffrirà e il suo pensiero ritornerà verso la sua fanciullezza felice e le sue labbra mormoreranno come quand'era piccolo: Mamma, dimmi tu chi ritroverà?

Ninna                            - Te! (Mila scoppia in singhiozzi. Silenzio).

Meme                            - Tu non hai pensato a tutto questo... Improvvisa­mente hai detto: — Perché non lo andrei a riprendere? In fine, è mio figlio. Essa era un tempo così pronta a! sacrificio! — È vero. Ma allora ero giovane, allora potevo lavorare per voi, rinunciare alla mia casa che ado­ravo. Oggi non ne posso più: sono una povera vecchia, sono tanto stanca...

Ninna                            - Perché non potrebbe dividere il suo affetto tra tutte e due?

Meme                            - Un uomo può amare molte donne, ma di mamme ne può amane una sala. Bisognerebbe dunque metterlo nella condizione di scegliere... e poiché anche di fronte alla legge è mio figlio, bisognerebbe rivelargli tutto.... tutto il tuo passato. Quello che ha perdonato a me, quello che si è abituato a scusare in me, potrebbe con­dannarlo in te, che non conosce. Come si può destare questa tempesta nel suo cuore?... Io gli ho sempre ri­sparmiato, te lo giuro, il menomo turbamento. Tu sa­pessi che purezza, che ingenuità, che giovinezza! Ah, io avevo paura che l'aria me lo sciupasse. Avresti il coraggio di dirgli che la vita è brutta, che è fatta di vil­tà, di egoismi, di tristi necessità? Se ti senti il corag­gio, fallo. In questo momento io non difendo tanto la mia felicità quanto la sua innocenza (silenzio). Hai visto il suo ritratto, Ninna? È il nostro Nanni tor­nato al mondo, ma come diverso! Uniamo i nostri due amori e le nostre due angosce: non facciamo che que­sto debba a un tratto diventare come l'altro! Non ab­biamo il diritto di togliergli la fede nella vita. La deve credere bella e pura la vita, almeno lui!

La voce di Renato        - Mamma! Mamma! (Tutti tre si scuotono).

Meme                            - La sua voce (affacciandosi alla finestra). Che vuoi?

Renato                          - (d. d.) Posso salire? È pronto? Ho fame!

Meme                            - Sì, fra poco... ( a Ninna) Sta per salire: tra un momento sarà qui... Io non ti posso proibire di vederlo, ma il tuo dolore ti potrebbe tradire. Ritorna di là, nel­lo studio: ascoltalo un poco e se il tuo cuore ti dirà di restare, resta; se no, va via... Pensa che da questo tuo sacrificio dipende la sua pace (squillo di campanello). Andate, andate (fa entrare Ninna e Melnà nello stu­dio).

SCENA VI.

Meme – Renato - Ginevra

Renato                          - (entra facendo roteare rumorosamente su se stessa la grassa persona di Ginevra. Egli è tutto il ritratto di Nanni, ma il suo perfetto contrapposto spiri­tuale).

Ginevra                         - (con comica ira) Me ne andrò, se non la finisce, signorino; mi compromette.

Renato                          - Ve ne andrete, Ginevra? E allora per farvi re­stare eccovi un bacio.

Ginevra                         - Sbarazzino! (esce).

SCENA VII.

Meme e Renato; poi un istante Ninna

Renato                          - Mamma!

Meme                            - (prendendolo fra le braccia) Ebbene, discolaccio, dove siamo stati fino a tardi?

Renato                          - La signora è curiosa. Si permette di controllare gli atti di un figlio quasi maggiorenne?

Meme                            - Si son fatte cose che non si possono dire?

Renato                          - Sì, signora: siamo stati in barca, ecco, e ci sia­mo molto divertiti... Vuoi sapere altro? Ma che ha que­sta mamma cattiva, cattiva... Piange?

Meme                            - Non è niente: comincio ad essere vecchia.

Renato                          - Ma no, tu sei giovane e bella; nessuno dei miei compagni ha una mamma come te... Perché piangi?

Meme                            - Per nulla, per nulla.

Renato                          - È la prima volta che ti vedo piangere; io non voglio; devi essere allegra, come sempre. Infine, che è successo?

Meme                            - Nulla!

Renato                          - Ah, vedi che ridi? Ridi e piangi: piove e c'è il sole!

Meme                            - Sei contento, ora?

Renato                          - Si, sono contento.

Meme                            - Baciami Renato, mio piccolo: baciami e tienmi stretta. Non ho altro che te, sai? Non ho altro che te.

Renato                          - Mia che hai, mamma?

Meme                            - Stanotte mi son sognata che ti volevano portar via ed io restavo sola, qui, sola, senza il mio ragazzo (ella s'è seduta e Renato s'è messo ai suoi piedi e le tiene la testa su le ginocchia).

Renato                          - Sono sogni da farsi? Questi sogni stupidi si scacciano. Ci si sveglia, si sveglia Renato, e gli si dice: è vero che vuoi lasciare la tua mamma? E lui rispon­derà che nessuno lo potrà strappare da lei. nessuno (la porta s'è aperta e Ninna è comparsa).

Meme                            - Eppure un giorno mi lascerai per una donna che ti farà dimenticare tutto il bene che io ti ho voluto!

Renato                          - La donna che mi volesse dividere da te divente­rebbe la mia nemica.

(Ninna, a queste parole ha un sussulto. A capo basso, sgusciando contro il muro, attraversa la stanza e scom­pare dal fondo).

Renato                          - Ma... mammà, chi ha singhiozzato?

Meme                            - Niente, niente. Non alzarti. Ero io; non vedi che sono io?...

 

FINE