La cascina

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LA CASCINA

Carlo Goldoni

Dramma Giocoso di Polisseno Fegejo P. A., da rappresentarsi nel Teatro di S. Samuele il Carnevale dell’Anno .

PERSONAGGI

LAVINIA signora della villa e della cascina.

La Sig. Antonia Zamperini. COSTANZO in abito di pastore.

Il Sig. Giuseppe Celesti. LA LENA custode della mandra.

La Signora Serafina Penni. PIPPO lavoratore della cascina.

Il Sig. Giovanni Leonardi. LA CECCA contadina.

La Signora Rosa Puccini. IL CONTE RIPOLI affettato.

Il Sig. Michele del Zanca. BERTO famiglio.

Il Sig. Giovanni Lovatini.

La Musica è del Sig. Giuseppe Scolari.

Le Scene sono del Sig. Andrea Urbani.

I Balli sono invenzioni del Sig. Gio. Antonio Terrade.

Il Vestiario è del Sig. Natale Canziani.

MUTAZIONI DI SCENE

NELL’ATTO PRIMO

Campagna parte in collina, parte in pianura,

con animali bovini che vanno qua e là pasturando.

Camera nobile.

Cascina interna dove si lavora il cacio ed il burro.

Castello nel giardino d’Amore, per il Ballo.

NELL’ATTO SECONDO

Cortile.

Camera con tavola apparecchiata per dar la merenda ai Pastori.

Campagna con casa rustica e cortile per i lavoratori della Cascina.

NELL’ATTO TERZO Camera. Sala.


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Campagna parte in collina, parte in pianura, con animali bovini che vanno qua e là

pasturando.

La Lena e la Cecca, sedendo sopra alcuni sassi al piano, colle loro rocche filando. Pippo e Berto in collina, tagliando il fieno.

La LENA e la CECCA, cantando insieme.

Io non conosco amore,

E pur lo provo al cor.

Ditemi voi, pastore,

Che cosa sia l’amor.

PIPPO e BERTO rispondono dall’alto:

Amore è un bambinello;

È un bambinello amor.

Amor è un ladroncello

Che mi ha rubato il cor.

LENA

Hai sentito?

CECCA

Ho sentito.

Seguitiamo a cantare.

LENA

Io non vorrei

Dicessero costoro

Che si canta per loro.

CECCA

Oh, per l’appunto!

È una vecchia canzon che noi sappiamo:

Seguitiamo a cantar.

LENA

Sì, seguitiamo.

Vorrei saper, pastore,

Dove si trova amor:

Dove si trova amore

Che v’ha rubato il cor.

PIPPO e

Colui che mi dà pena,

BERTO

Quel che si chiama amor,

Sta in seno della Lena,

E della Cecca ancor.

LENA

Oh meschina di me! li avete intesi?

CECCA

Li ho intesi i bricconcelli.

LENA

Affé, vengono abbasso.

CECCA

Non ci stiamo a partir dal nostro sasso.


PIPPO

Berto, va dalla Lena;

Falla un poco cantar.

BERTO

Va tu da lei,

Ch’io dalla Cecca andrò.

PIPPO

A parlar colla Lena io non ci vo.

BERTO

Perché? So pur che sei,

Pippo, amante di lei.

PIPPO

Nol vuò negare,

Ma vicino di lei non posso stare.

BERTO

E perché?

PIPPO

Mi vergogno.

BERTO

Eh via, sciocco che sei!

Parla, scherza con lei.

Fa quel che farò io colla mia Cecca.

Esse son da marito,

Noi non abbiamo moglie.

Siamo tutti a servire

In un istesso loco;

Possiamo bene divertirci un poco.

Vien qui; se non sai fare,

Fa come farò io.

PIPPO

Mi vuò provare.

BERTO

Buon giorno, Cecca bella. (accostandosi alla Cecca)

PIPPO

Lena, buon giorno.

LENA

Non rispondo certo. (da sé, filando)

BERTO

Vi ho sentito cantar. (alla Cecca)

CECCA

Sì, ci spassiamo

Colla compagna mia.

PIPPO

Vi ho sentito cantare. (alla Lena)

LENA

Andiamo via. (piano alla Cecca)

CECCA

Perché?

PIPPO

(Non mi risponde). (a Berto)

BERTO

(Segui, risponderà). (a Pippo)

LENA

Cecca. (s’alza, e chiama Cecca)

CECCA

Che vuoi? (alzandosi)

LENA

Andiamo via di qua.

CECCA

Guarda il povero Pippo.

So pur che gli vuoi bene.

LENA

Caldo e freddo mi viene.

Andiamo via, Cecchina.

CECCA

Eh, lo vedo. Sei cotta, poverina.

Con cento pastorelli

Ti veggo ragionar:

Non hai timor di quelli,

Costui ti fa tremar.

Cosa vuol dire, eh?

Ci conosciam, sorella:

Questo si chiama amor.

Amor è il ladroncello,

Che ti ha rubato il cor. (parte)


SCENA SECONDA

Pippo, Berto e la Lena

LENA

Aspettami, ch’io vengo. (vuol seguire la Cecca)

BERTO

Non partire,

Graziosa pastorella;

Sii cortese e gentil quanto sei bella.

LENA

Lasciami andare.

BERTO

Osserva.

Va la mandria dispersa al prato intorno;

Tu l’abbandonerai?

LENA

Farò ritorno.

BERTO

Ma chi, ma chi frattanto

Custodirla potrà?

LENA

Non so... vorrei...

Fatemi voi il piacere

Custodirla per me. Torno fra poco.

BERTO

Andar deggio diviato in altro loco.

Ma quel che far non posso,

Altri farà per te, visetto bello.

LENA

Dimmi: chi lo farà?

BERTO

Quel pastorello. (accenna Pippo)

PIPPO

Io lo farò... se vuoi... (alla Lena)

LENA

Come c’entrate voi? (a Pippo)

PIPPO

Non parlo più.

BERTO

Lena gentil, troppo crudel sei tu.

LENA

Io crudele perché?

Che ha da fare con me, quello ch’è lì?

Io me ne vado via, s’ei resta qui.

PIPPO

Pazienza.

BERTO

Pippo, intendi?

Vattene, poverino;

Cerca miglior destino.

Non mancan pastorelle

Grate, gentili e belle.

Chi non ti ama, seguir non ti conviene.

Vanne da Elisa tua, che ti vuoi bene.

LENA

(Tristo Berto, briccone,

Vuol farmi disperare). (da sé)

PIPPO

Sentimi... non potrò. (piano a Berto)

BERTO

Fingi d’andare. (piano a Pippo)

PIPPO

Berto, addio. (in atto di partire)

BERTO

Dove vai?

LENA

(Dove anderà?) (da sé)

PIPPO

Vado... sì; vado là...

BERTO

Già t’ho arrivato. (a Pippo)

Dalla Lisa sen va. (alla Lena)

LENA

(Disgrazïato). (da sé)

BERTO

Ti dispiace ch’ei vada? (alla Lena)

LENA

A me? perché?

Vada pur dove vuole.


BERTO

Egli anderà.

LENA

(Ah, non vorrei). (da sé)

PIPPO

(Non so partir di qua). (da sé)

BERTO

(Non lasciar ch’egli vada; è un buon ragazzo

Che ti vuol bene assai). (piano alla Lena)

(Pippo, se forte stai,

La Lena sarà tua, non dubitare). (piano a Pippo)

(Fa a modo mio, non tel lasciar scappare). (piano alla Lena)

Pippo, Pippo, una parola. (a Pippo)

Vieni qui, ti vuò parlar.

Vieni qui, buona figliuola, (alla Lena)

Che ti voglio astrologar.

Quell’occhio mi dice

Che Pippo felice

Vuol esser per te.

Cagion dell’amore (a Pippo)

Che senti nel core

L’Elisa non è.

Se un dì parlerete, (a Lena e a Pippo)

Contenti sarete;

Credetelo a me. (parte)

SCENA TERZA

Pippo e la Lena

PIPPO

Lena...

LENA

Elisa ti aspetta.

PIPPO

Io non ci penso.

Voglio restar con te.

LENA

Che vorresti da me?

Va dalla tua graziosa pastorella.

PIPPO

Tu sei quella, ben mio...

LENA

No, non son quella. (parte)

SCENA QUARTA

Pippo, poi Costanzo col nome di Silvio, in abito di pastore.

PIPPO                   Senti, senti, crudel! Da me s’invola.

COST.                   Pippo.

PIPPO                              Che cosa vuoi?

COST.                                                     Una parola.

PIPPO                   Spicciati.

COST.                                   La padrona

Sai tu dove si trovi?
PIPPO                                                   Io l’ho veduta

Sul margine del fonte


Starsi sedendo in compagnia del Conte.
COST.                    (Misero me!) (da sé)

PIPPO                                          Vuoi altro?

COST.                    Erano soli?

PIPPO                                     Soli.

COST.                    (Fremo di gelosia). (da sé)

PIPPO                    Addio.

COST.                                Non mi lasciar.

PIPPO                                                        Voglio andar via.

COST.                    Dimmi: nulla intendesti

Di ciò che ragionava

La padrona con lui?
PIPPO                    Abbadar io non soglio ai fatti altrui.

Lascio che ogni uno faccia,

Lascio che ogni uno goda. Oh, Silvio mio,

Così fosse di me con chi dich’io.
COST.                    Ma la padrona nostra

Vedova, sola e vaga,

Parmi che poco sappia il suo dovere,

Confidenza donando a un forastiere.
PIPPO                    Che importa a te?

COST.                    Son del suo onor geloso.

PIPPO                                                          Io non ci penso

Né di lei, né di te.

Ho da pensar per me, misero e gramo,

Che non mi vuole amar quella ch’io amo.
COST.                    Chi è colei che tu adori?

PIPPO                                                          È la più bella

Graziosa pastorella

Che mirare si possa al prato, al bosco.

Non la conosci ancor?
COST.                                                        Non la conosco.

PIPPO                    Ah, s’io ti dico il nome

Della ninfa che adoro,

In tua presenza io moro.

Senti: m’ingegnerò

Di descriverla almen come potrò.

Ha la mia ninfa Due luci belle, Che paion stelle... Altro che stelle! Paion due soli, E di più ancora, Se dar sì può. Fronte serena Di grazie piena, Più bel visino, Più bel nasino, Più belle rose, Tant’altre cose, Che dir non so. Un giorno spero


Che lo saprò. Per or ti dico Quel che si può. (parte)

SCENA QUINTA

Costanzo solo.

Pippo, ti compatisco.

So quanto può nel petto

Di ogni misero amante un dolce affetto.

Giunse l’amor crudele,

Giunse a far, non so come,

Ch’io cambiassi, infelice, e spoglie, e nome.

Soffro la servitù, soffro la vita

Rustica, vile, abietta,

Per Lavinia diletta, — e per vederla,

E per esser vicino al bel che adoro,

Scordo la patria ed il natio decoro.

Care selve, piagge amate, Deh svelate — all’idol mio Quell’amor, — quel duolo rio, Che celato ho nel mio cor.

No, tacete ancor per poco Il mio foco, — i desir miei. Destar pria si vegga in lei La pietà, se non l’amor. (parte)

SCENA SESTA

Camera nobile nel palazzo di Lavinia.

Lavinia ed il Conte Ripoli

LAV.

Troppo onor.

CON.

È mio dovere.

LAV.

Grazie a lei.

CON.

Son cavaliere:

Colle dame so trattar.

LAV.

Obbligata, mio signor.

CON.

Mi potete comandar.

LAV.

Son tenuta davvero

Alla di lei bontà,
Che m’ha voluto accompagnar fin qua.
CON.                     Vi servirei, madama,

Con vostra permissione,

Negli antipodi ancora e nel Giappone.


LAV.                     Obbligata, signor.

CON.                                                  Fo il mio dovere.

LAV.                     Ella è troppo gentil.

CON.                                                     Son cavaliere.

LAV.                     Finezza è ch’io non merto,

L’onor che mi comparte,

Di venire a graziarmi in questa parte.
CON.                     Senza di voi, madama,

Era la città nostra

Senza sol, senza luna e senza stelle.

Le vostre luci belle

Son venute a illustrare il bosco, il prato,

Ed io qual girasol vi ho seguitato.
LAV.                     Queste, qualunque sieno,

Povere luci mie, tutta han perduta

La primiera possanza

Per il mesto pallor di vedovanza.
CON.                     Ah, peccato, peccato!

Viva il nume bendato.

Mio l’impegno sarà, se nol sdegnate,

Di ravvivar quelle pupille amate.
LAV.                     Ah, come mai?

CON.                                             Come dal fosco cielo

Suol le nubi scacciar Febo ridente,

Sparirà immantinente

Il pallido pallore

Che vi copre il bel viso e ingombra il cuore,

Se qual vite feconda, e fecondata,

Voi sarete a quest’olmo avviticchiata.
LAV.                     Se diceste davver...

CON.                                                     Giuro, mia bella;

Giuro ai dei tutelari

Della mia nobiltà,

Di sì bella beltà sono invaghito;

Sarò, qual mi vorrai... servo e marito.
LAV.                     Accetto per finezza

D’un cavalier sì degno

L’amor, la grazia ed il più forte impegno.
CON.                     Giove, tu che presiedi

All’opere più conte; Amor, che accendi

Fiamme nel nostro petto;

Venere, che sei madre del diletto;

E voi, pianeti, e voi, minute stelle,

Onor del firmamento,

Fate applauso di luce al mio contento.
LAV.                     Bella madre d’Amore,

Venere, anch’io t’invoco

Pronuba generosa al nostro foco.

Resti l’amante amato

Meco vicino in quest’albergo fido,

Qual Enea ricovrato alla sua Dido.
CON.                     Non vi darò, mia bella,

L’ingrato guiderdone


Ch’Enea diede a Didone.

Non vuò che il mondo veda

Che a un amante rival vi lasci in preda.

Ah, se voi foste Dido,

S’io fossi Enea, se Jarba fosse qui,

A quel moro crudel direi così:

Vieni, superbo re, L’avrai da far con me. (Non dubitar, mia vita, Ch’io ti difenderò). (a Lavinia) Vibra la spada ardita, Ch’io mi riparerò. Vuoi atterrar Cartagine, La vuoi ridur in cenere; Sento le fiamme stridere, Odo le genti gemere. (Non ti abbandonerò). (a Lavinia) Va tra le selve ircane, Barbaro, mostro, cane; No, che timor non ho. (parte)

SCENA SETTIMA Lavinia, poi la Lena

LAV.                     Stanca son di soffrire

Lo stato vedovil per me noioso;

Parmi il Conte amoroso,

Parmi di cuor sincero;

E da lui la mia pace io bramo e spero.
LENA                    Riverisco, signora.

LAV.                                                  Ti saluto.

Come stai, Lena mia?
LENA                    Bene, ai comandi di vossignoria.

Porto alla mia padrona,

In un vaso che ho dentro al mio cestino,

Fior di latte raccolto in sul mattino.
LAV.                     Obbligata davvero.

LENA                                                   Oh, cosa dite!

Faccio quel che conviene;

E so che la padrona mi vuol bene.
LAV.                     Certo; perché lo merti:

Tu sei una buonissima figliuola.

Senti, non voglio più vederti sola.
LENA                    Sola non istò mai.

La mamma mia

Sta meco in compagnia;

E quand’ella non c’è,

Viene la Cecca a lavorar con me.
LAV.                     Eh Lena mia, cotesta


Non è la compagnia che ti destino.

LENA

E chi dunque?

LAV.

Vuò darti uno sposino.

LENA

Eh via!

LAV.

Sei nell’età;

Conosco il tuo bisogno.

Lena, lo prenderesti?

LENA

Io mi vergogno.

LAV.

Vergognarti non dei, ché le fanciulle

Devono accompagnarsi,

Ed è cosa ben fatta il maritarsi.

Lo prenderai marito?

LENA

Non so dire.

LAV.

Rispondimi di sì; sei tanto buona.

LENA

Farò quel che comanda la padrona.

LAV.

Ti voglio regalar.

LENA

Grazie, signora.

LAV.

Vado a prendere un nastro, e torno or ora. (parte)

SCENA OTTAVA

La Lena, poi il Conte

LENA                    Se mi desse un marito,

Io me lo piglierei;

E il mio Pippo vorrei.

Quando lo vedo,

Lo sfuggo il poverino,

Ma però lo vorrei sempre vicino.
CON.                     (Chi è questo sol sì bello,

Ch’empie la stanza di novel splendore?) (da sé)
LENA                    (Chi è mai questo signore?

Se non vien la padrona, io vado via). (da sé)
CON.                     Non so dir s’ella sia

Cintia, Venere, o Clizia, o Luna, o Stella:

So che piace a’ miei lumi, e so ch’è bella.
LENA                    Meglio è ch’io me ne vada. (in atto di partire)

CON.                                                                Ah no, fermate.

Ninfa, non mi private

Della gioia che in voi lieto respiro.

Vaglia per trattenervi un mio sospiro.
LENA                    Avete qualche mal?

CON.                                                     Sì, nel mio cuore

Amoroso veleno infonde amore.
LENA                    Se siete avvelenato,

Lontan col vostro fiato

State dal labbro mio,

Ché non vorrei avvelenarmi anch’io.
CON.                     Ah, volessero i numi

Ché fuor da questi lumi

Escir potesse avvelenato strale...


LENA

Ah, non vorrei che mi faceste male.

CON.

Anzi, ben vorrei farvi;

Amarvi, venerarvi,

Adorarvi, e il cuor mio tutto donarvi.

LENA

Signor, con tanti arvi

Non so s’abbia a dolermi, o ringraziarvi.

CON.

In voi la crudeltà

Possibil che s’asconda,

Come l’aspide rio tra fronda e fronda?

LENA

(Non intendo parola). (da sé)

CON.

Idolo mio,

Dite di sì o di no.

LENA

Che volete che dica? io non lo so.

CON.

Bellissima innocenza!

Cara semplicità, quanto mi piaci!

Fortuna, degli audaci protettrice,

Fammi in questo momento esser felice. (s’accosta per abbracciarla)

LENA

Ehi, lasciatemi stare.

CON.

Non gridate.

Meco non vi sdegnate,

Labbra gentili, pupillette ladre.

LENA

Andate via, che lo dirò a mia madre.

CON.

(Per vincer la ritrosa

Vi vorrà qualche cosa. Un regaletto.

Per esempio... sì, bene: un anelletto). (da sé)

Bella, se non credessi

Che aveste ad isdegnare...

LENA

Vi torno a dir che mi lasciate stare.

A mia madre lo dirò;

La padrona lo saprà;

E nessuno mi ha toccata,

E nessun mi toccherà.

Via di qua.

Griderò, — piangerò.

Che bell’anellino! (Il Conte le mostra un anello)

Gli è pur galantino!

Ma quello non è

Regalo per me.

Me l’offrite? me lo date?

Via di qua, non mi toccate,

Che mia madre chiamerò.

Me l’ha dato, me l’ha dato.

Io l’ho preso, e me ne vo. (parte)

SCENA NONA

Il Conte Ripoli, poi Lavinia

CON.

Bella, bella, fermate...

Ma la raggiungerò.


LAV.

Ehi, dove andate?

CON.

Dove mi porta il cuore...

A rintracciar di voi...

LAV.

No, mentitore.

Tutto so, intesi;

Di voi mi maraviglio.

Da me lungi partire io vi consiglio.

CON.

Eccomi a’ vostri piedi. (s’inginocchia)

LAV.

Itene, indegno.

CON.

Placate il vostro sdegno.

Non intesi oltraggiarvi.

Giuro al nume d’amor, giuro d’amarvi.

LAV.

Lo crederò?

CON.

Credetelo,

Bella tiranna mia.

LAV.

Di darmi gelosia deh tralasciate.

CON.

Sì sì, non dubitate;

Fido amante, costante a voi sarò,

Fino... fino a quel dì... fin che potrò. (parte)

SCENA DECIMA

Lavinia sola.

Il carattere intendo

Volubile e leggiero

Del suo debole cor; ma pure io l’amo,

Ed unirmi con lui sospiro e bramo.

Sia ambizione o amore,

Sia noia del mio stato,

Se del Conte la man sperar mi lice,

Son contenta, son lieta e son felice.

L’amante tortorella Si lagna di star sola, Il suo dolor consola Sperando il caro ben.

L’afflitta vedovella Non trova il suo riposo, Se il cuor novello sposo A consolar non vien. (parte)

SCENA UNDICESIMA
Cascina interna dove si lavora il cacio ed il burro.
Pippo, Berto, poi la Lena e la Cecca, poi il Conte
BERTO                 Animo, alla cascina.


Dove siete, ragazze?

CECCA

Eccoci qui.

LENA

Che abbiam da lavorare?

BERTO

Il burro questa mane si ha da fare.

Tu qui lavorerai. (assegna il loco alla Lena)

Tu qui, bella Cecchina.

Noi porteremo il latte alla cascina.

CECCA

Stamane sono in voglia

Di faticar davvero.

LENA

Anch’io mi sento

Proprio il mio cor contento.

PIPPO

Anch’io vorrei...

LENA

Che cosa?

PIPPO

Non so dirlo.

BERTO

Tu potresti capirlo.

LENA

Andate via di qua.

PIPPO

Berto, andiamo. Crudel!

BERTO

Si cangierà. (parte con Pippo)

CECCA

Hai molto duro il cor. (alla Lena)

LENA

Lasciami fare.

Cecca, ti vuò mostrare

Un cosuccio bellino.

CECCA

Cosa mi vuoi mostrare?

LENA

Un anellino.

CECCA

Bello! chi te l’ha dato?

LENA

Un signor me l’ha dato.

CECCA

E perché mai?

LENA

Mi voleva toccare, ed io gridai.

CECCA

Dunque te l’ha donato

Acciocché non gridassi.

LENA

Così fu.

CECCA

E poi?

LENA

E poi non ho gridato più.

CECCA

Guardati, Lena mia...

LENA

Zitto, Cecchina,

Vengono con il latte. Non lo stare

A ridir a nessun.

CECCA

Non dubitare.

BERTO

(Con un vaso di latte si accosta alla Cecca)

Com’è candido questo mio latte,

Candidetto è il mio core nel petto,

E vorrei che tal fosse l’affetto,

Che tu nutri nel seno per me.

CECCA

Com’è dolce quel latte che rechi,

È dolcissimo in seno il mio core;

E vorrei che tal fosse l’amore

Che può Cecca sperare da te.

PIPPO

Lena bella, l’amor che ti porto,

È più puro del latte ch’è qui:

E tu, ingrata, mi lasci così,

Poverino, per te sospirar!

LENA

Questo latte ch’è tanto bellino,


PIPPO

BERTO

BERTO

PIPPO       } a due

a quattro

} adue } adue } adue

BERTO

PIPPO

LENA

CECCA

BERTO

PIPPO

CECCA

LENA

CECCA

LENA

}

a due

LENA

CECCA

CON.

CECCA

LENA

CON.

}

a due

LENA

CECCA

CON.

} }

a due

LENA

CECCA

CON.

a due

LENA

CECCA


Io lo voglio qua dentro gettar; Se tu sei, come il latte, bonino, Ti vorrei con il maglio pistar.

Bel favor!

Carità,

Se ce n’è.

Senti tu,

Bell’amor

Che ha per me! (a Berto) Lascia dir,

Lascia far:

Cangierà. D’una bella — pastorella

Questa è troppa crudeltà. Sento amore — che nel core

Pizzicando ognor mi va. A prendere il latte,

Carine, si va. Andate, — tornate,

Che il burro si fa. Amore — nel core

Tormento mi dà. (partono) Lena mia, lascia vedere

L’anellin che ti han donato. Ecco qui.

Chi te l’ha dato? Un signore — forastiere

Cavaliere — che così...

Eccolo, Cecca, eccolo qui. (Vedendo venire il Conte, corrono a lavorare) Di vederlo non mostriamo;

Seguitiamo a lavorar. (lavorano) Chi mi dona un pochino di latte,

Chi mi vende di voi la ricotta?

Pastorella graziosa, grassotta,

Voi potete il mio genio appagar. (alla Cecca) Chi ne vuole, l’ha ben da pagar. Chi vuol latte, ci porga dell’oro. Siete voi, mio gradito tesoro,

Siete voi, che m’invita a comprar. (alla Lena)

Chi ne vuole, l’ha ben da pagar.

Quante volete

Gioje e monete,

Tutto potete,

Belle, sperar. (Se ci burla vogliamo provar).

Che cosa vuole? (s’accostano al Conte) Quel che si puole.

Chieda, signore.



CON.

Vi chiedo il core; Chiedo pietà.

LENA CECCA

} adue

Ecco, i pastori tornano qua. (vanno al lavoro)

CON.

Mi lasciate, — mi piantate?

BERTO PIPPO

} adue

Qui costui che cosa fa? (in disparte, veggendo il Conte)

CON.

Deh, tornate: — non usate Meco tanta crudeltà.

BERTO PIPPO

} adue

Stiamo attenti, come va. (si ritirano)

CECCA

Son partiti.

LENA

Sono andati.

a due

Ritornare si potrà.

CON.

Le pastorelle tornano qua.

LENA CECCA

} adue

Che cosa vuole?

CON.

Quel che si puole.

LENA CECCA

} adue

Chieda, signore.

CON.

Vi chiedo il core; Chiedo pietà.

BERTO

} adue

Alto là.

PIPPO

Via di qua. (armati con schioppo contro il Conte)

CON.

Per pietà. (si raccomanda)

BERTO

} adue

Morirà,

PIPPO

Schiatterà.

LENA CECCA

} adue

Per pietà. (si raccomandano per il Conte)

BERTO

} adue

In grazia delle belle

Graziose pastorelle,

La vita vi si dà.

CON.

Vi son ben obbligato, Pietose pastorelle.

BERTO PIPPO

} adue

Andate via di qua. (al Conte)

CON.

Oimè, che timore! Mi palpita il core; Mai più torno qua.

LENA

} adue

Noi non lo conosciamo,

CECCA

Non vi credete già.

BERTO

} adue

Ben bene, c’intendiamo,

PIPPO

Col tempo si saprà.

LENA

} adue

Siete sdegnati

CECCA

Con noi ancora?

BERTO

} adue

Pace per ora,

PIPPO

Poi si vedrà.

CON.

Pace, signori, Per carità.

TUTTI

Viva la pace, Pera lo sdegno.


Splenda la face

Dell’amistà.

Regni l’amore,

Nel nostro core,

Vada il timore

Lungi di qua. (partono)

Castello nel giardino d’Amore, per il Ballo.


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Cortile.

La Lena, la Cecca, Pippo e Berto

ciascheduno portando de’ cesti sul capo e sulle spalle, con cacio, burro e ricotte.

Cantando, camminando e riponendo i cesti.

Oh bella la campagna,

Oh cara libertà!

Al bosco, alla montagna,

Quando si vuol, si va.

Chi gira di qua,

Chi gira di là.

Oh bella la campagna,

Oh cara libertà! E quando alla cascina

A lavorar si va,

La sera e la mattina

In allegria si sta.

Chi gira di qua,

Chi gira di là.

Oh bella la campagna,

Oh cara libertà!

SCENA SECONDA Lavinia con Servi, e detti.

LAV.                     Bravi! così mi piace:

Star in buona armonia,

Ed il tempo passar con allegria.
CECCA                 Eccovi, padroncina,

Quel che nella cascina abbiamo fatto:

Dieci libbre di burro,

Quattro forme di cacio e sei ricotte,

Fatte da queste belle giovanotte.
BERTO                  Le mie saran più buone.

LENA                    Le mie saran migliori.

CECCA                                                     Ho buona mano

Nel far le ricottine.
LENA                    Tutto fo bene colle mie manine.


PIPPO

Certo, signora sì,

La Lena è una ragazza che consola;

Tutto fa ben fuor d’una cosa sola.

LENA

Taci tu, che non c’entri.

LAV.

E che ti pare

Ch’ella bene non faccia?

PIPPO

Domandatelo a lei, la crudelaccia.

LAV.

Ho capito: tu l’ami;

Ella non corrisponde.

E ver?

PIPPO

Signora sì.

LAV.

Lena, perché?

LENA

Perché vuò far quel che mi par a me.

LAV.

Si risponde così? Sai tu chi sono?

LENA

Vi domando perdono. (mortificata)

PIPPO

Così colla padrona non si parla. (alla Lena)

BERTO

Via; non bisogna poi mortificarla. (a Pippo)

LAV.

Ragazze mie, gli è tempo

Che prendiate marito.

Un qualche buon partito

Ritrovare convien, che vi sia grato.

CECCA

Per me, signora, me l’ho ritrovato.

LAV.

Voglio saperlo anch’io.

CECCA

Sarebbe il genio mio,

Se voi vi contentate,

Questo giovine qui che voi mirate. (accenna Berto)

BERTO

Ed io, se la padrona

Seconda i desir miei,

Questa giovine qui mi prenderei. (accenna la Cecca)

LAV.

Non ha niente in contrario il genio mio.

Siete contenti voi? lo sono anch’io.

PIPPO

Ed io, se la padrona

Mi dicesse di sì,

Mi prenderei questa ragazza qui. (accenna la Lena)

LAV.

Che risponde la Lena?

LENA

Io non lo so.

LAV.

No devi dire, o sì.

LENA

Dirò di no.

LAV.

Ragazzaccia, lo so perché ricusi:

Qualche amante miglior ti avrà ferita.

(Sarà del conte Ripoli invaghita). (da sé)

LENA

Io ferita non sono in nessun loco.

LAV.

Perché a Pippo meschin non doni il cuore?

LENA

Perché senza del cuor so che si more.

BERTO

(Pippo mi fa pietà). (da sé)

(Guarda che dall’Elisa ei tornerà). (piano alla Lena)

LENA

(Taci tu, menzognero.

Già so che dell’Elisa non è vero). (piano a Berto)

BERTO

(Quanto è furba costei!

Ma se Pippo foss’io, gliela farei). (da sé)

LAV.

Andate, buona gente,

Tuto a ripor nella dispensa mia.

Ma con quell’allegria


Con cui veniste cantuzzando or ora,

Vuò che partite. e che cantiate ancora.

(La Lena, la Cecca, Pippo e Berto riprendendo le robe loro e cantando una

delle suddette strofe, partono)

SCENA TERZA

Lavinia, poi Costanzo

LAV.

Veramente è un piacere

Lieti mirar questi pastori miei.

Certo un soggiorno tal non cambierei.

COST.

Ecco, se a me pur lice

Offrirvi un segno del rispetto mio,

Frutti dell’opra mia vi reco anch’io.

LAV.

Perché cogli altri unito

Non venisti tu ancor, gentil pastore?

COST.

Perché lieto non ho com’essi il cuore.

LAV.

Che ti affligge?

COST.

Non so.

LAV.

Parla.

COST.

Direi...

Ma già de’ mali miei pietà non spero.

LAV.

Sei amante, meschino. È vero?

COST.

È vero.

LAV.

Amar non è gran male.

Hai svelato l’amor?

COST.

Temo un rivale.

LAV.

Questo rival chi è?

COST.

Un che può più di me.

LAV.

Se innamorato sei,

Posso saper di chi?

COST.

La mia bella non è lontan di qui.

LAV.

Sa che l’ami?

COST.

Nol dissi.

LAV.

Il nome suo

Svelami, Silvio.

COST.

Ah no:

Che se invano lo svelo, io morirò.

LAV.

(Ama! Teme un rival! Sì, l’ho capito.

Della Lena è invaghito;

Teme un rival nel Conte,

Non vuol parlar, ritroso.

Ma di Lena sarà Silvio lo sposo). (da sé)

COST.

(Volessero gli dei

Ch’ella gli affetti miei

Giungesse a penetrar).

LAV.

Senti, pastore,

Già ti leggo nel cuore;

E l’amore e il timor già penetrai;

Fidati pur di me, lieto sarai.


Sarò, più che non credi, Pietosa al tuo dolore; So che tormenta il core, So ch’è tiranno amor.

In me, Silvio, tu vedi Amante che delira; Un’alma che sospira D’amore e di timor. (parte)

SCENA QUARTA

Costanzo e Pippo

COST.                   Grazie, superni dei! senza parlare

M’ha capito Lavinia, e se speranza

Hanno gli affetti miei,

Voglio scoprirmi a lei,

Chieder la man, chiedere il cuore in dono:

Che, se povero i’ son, vile non sono.
PIPPO                   Silvio, perché non vieni?

Non far che più alla lunga

La compagnia ti attenda.

Ci hanno qui preparato una merenda.
COST.                   Vengo; tornar mi preme

Dalla signora mia...

Ma il conte Ripoli

Ora sen vien.

(Codesto mio rivale

Non lo posso soffrir). Senti: colui

Vuol far con tutte il bello;

Non lo lasciar entrar. Di già lo sai,

Che con la Lena tua fece il grazioso.

(Non lo lascierà entrar Pippo geloso). (da sé)

Se amor ti scalda il petto, Se ti tormenta amor, Di gelosia il sospetto Fa che t’infiammi il cor.

Non tollerar vicino L’aspetto di un rivale, Che il tuo fatal destino Può peggiorare ancor. (parte)

SCENA QUINTA
Pippo, poi il Conte Ripoli
PIPPO                   Finché ci siamo noi, non passerà.


Con la Lena il grazioso oggi non fa.

CON.

La padrona dov’è?

PIPPO

Nol so. (con disprezzo)

CON.

Non era

Ella poc’anzi qui?

Non si risponde a un cavalier così.

PIPPO

Ho detto ch’io non so dov’ella sia,

Né per questo vi dissi una bugia.

CON.

A rintracciarla andrò! (in atto di partire)

PIPPO

Per ora non si può. (l’arresta)

CON.

Come! perché?

PIPPO

Chi vuol vederla, ha da parlar con me.

CON.

Suo custode sei tu?

PIPPO

Io son chi sono.

CON.

Così parli con me?

PIPPO

Così ragiono.

CON.

Vattene, temerario. (vuol passare)

PIPPO

Eh, non andate. (l’arresta)

CON.

A me un vile pastor?

PIPPO

Qui non passate.

CON.

V’anderò tuo malgrado.

PIPPO

Sì, domani.

CON.

Questa spada...

PIPPO

Badate; ho anch’io le mani. (lo minaccia col bastone)

CON.

(Dice davver costui). (da sé)

Ha forse comandato

Che non vada nessun ne’ quarti suoi?

PIPPO

Tutti ci ponno andar, fuori che voi.

CON.

Perché?

PIPPO

Perché l’è noto

Che le villane anch’esse

Hanno dal Cavalier le grazie istesse.

CON.

(Se gelosa è di me, dunque m’adora).

Voglio scolparmi. (in atto di andare)

PIPPO

Non si va per ora.

CON.

Tu impedirlo potrai?

PIPPO

L’impedirò.

CON.

Tal coraggio con me? (vuol avanzarsi)

PIPPO

Coraggio avrò. (si mette in difesa)

CON.

(Vi va con un villano

La mia riputazione;

Mi fa un po’ di paura il suo bastone). (da sé)

D’un cavalier mio pari

Non provocar lo sdegno.

Sai tu chi sono, indegno?

Sì, ti farò tremar.

Trema del conte Ripoli,

Che ha trentasette titoli,

Che ha un marchesato in Bergamo,

Che ha un principato in Napoli,

Che sino negli antipodi

Sentesi nominar.


Sì, ti farò tremar. (Maledetto quel bastone! Non mi vuò precipitar). (parte)

SCENA SESTA

Pippo solo.

Manco mal, se n’è andato.

Ora che m’ho spicciato

Da questa graziosissima faccenda,

Voglio andare a merenda. — Oh se potessi,

Volentier mangerei.

Della Lena gentil quegli occhi bei. (parte)

SCENA SETTIMA

Camera in casa di Lavinia, con tavola apparecchiata per dar la merenda ai Pastori.

Lena, Cecca, Berto, e due Servitori.

BERTO

Pippo ancora non viene?

Che vuol dir la tardanza?

CECCA

S’egli non ha creanza,

Suo danno: mangeremo

Noi altri in compagnia.

LENA

(Mi dispiace davver che non ci sia!) (da sé)

BERTO

Facciam quel che volete;

Di mangiar, d’aspettar, padrone siete.

CECCA

Lena, che dici? vuoi che l’aspettiamo?

LENA

Che m’importa di lui?

CECCA

Dunque mangiamo.

BERTO

A tavola, ragazze;

Godiam della padrona

L’amor, la cortesia:

Principiamo a mangiar con allegria. (s’accosta alla tavola)

CECCA

Andiamo. (alla Lena) D’appetito anch’io sto bene. (s’accosta alla tavola)

LENA

Eccomi. (Quel briccone ancor non viene). (da sé, s’accosta alla tavola)

BERTO

In questa stanza oscura

Non ci si vede niente.

Ehi, fateci il piacere,

Portate un lume; ci vogliam vedere.

(ad un Servitore da cui vengono recati i lumi)

Abbiamo camminato,

Abbiamo faticato,

E, prima di mangiare,

Un po’ la gola ci convien bagnare.

Tenete, ragazzotte;

Bevere ci conviene


Alla salute di chi ci vuol bene. (versa a ciascheduno un bicchier di vino)


a tre


Viva Bacco, autor del vino. Viva Amor, che è un bel bambino. Viva Bacco, viva Amor, Che consola il nostro cor.



PIPPO

CECCA

LENA

PIPPO

BERTO

PIPPO

BERTO

PIPPO

BERTO

PIPPO

BERTO

LENA

BERTO

PIPPO

BERTO PIPPO

CECCA LENA

a quattro

PIPPO LENA PIPPO BERTO


} }


SCENA OTTAVA

Pippo e detti.

Bravi! buon pro vi faccia.

E Pippo non si aspetta?

Son due ore che siamo in questa stanza.

E Pippo non ha niente di creanza.

Le solite finezze della Lena.

Hai sete? Vuoi tu bere?

(Ingrata!) Sì. (a Berto) Ecco un bicchier di vin.

Portalo qui. Eh, qua vieni ancor tu.

Non vuò sedere. È in collera con te, Lena.

Ho piacere. Ecco, se così vuoi,

Ti voglio soddisfare, (s’alza e presenta il bicchiere a Pippo) Ma bever non si dee senza cantare. Sì, sì, cantiamo pure: Sono allegro e contento. (Voglio nasconder il dolor ch’io sento). (da sé)

Caro Bacco, il cuor consola,

Dal mio sen le pene invola.

a due

Viva Bacco, viva Amor,

Che consola il nostro cor.

Bel piacere, bel contento,

Che nel seno entrar mi sento

a due

Viva Bacco, viva Amor,

Che consola il nostro cor. Tutti quanti in compagnia

Su, cantiam con allegria.

Viva Bacco, viva Amor,

Che consola il nostro cor. (Berto e Pippo cantando s’accostano alla tavola. Berto presso Cecca, Pippo presso Lena)

Lena crudele, abbi di me pietà. E chi t’ha detto che tu venghi qua? Non mi vuoi? vado via.

Eh ragazzate! Resta, Pippo, ove sei; e voi mangiate.



(dà a ciascheduna qualche cosa da mangiare)

CECCA

Io certo mangerò.

BERTO

Farò lo stesso.

CECCA

Con il mio Berto.

BERTO

Alla mia Cecca appresso.

PIPPO

Ah, dov’è andato l’appetito mio?

LENA

Se non mangerai tu, mangerò io.

PIPPO

Pazienza! (piangendo)

LENA

Sempre piange,

Il caro bernardone.

PIPPO

Piango per tua cagione,

Per la tua crudeltà.

LENA

(Povero Pippo mio, mi fa pietà). (quasi piangendo)

CECCA

Che hai, Lena, che pare...

BERTO

Vogliano lacrimare gli occhi tuoi?

LENA

Pianger? pensate voi!

Rider mi fa costui, pazzo ch’egli è.

PIPPO

Ora mi scannerei.

LENA

(Meschina me!)

SCENA NONA

Il Conte Ripoli e detti.

CON.

Bella conversazione!

PIPPO

Che vuol vossignoria?

CON.

La padrona m’invia

Ad avvisar la Lena

Che andar debba da lei.

LENA

(Affé, che questa volta il manderei). (da sé)

PIPPO

Ci siete poi venuto a mio dispetto.

CON.

Ehi, portami rispetto,

O ti discaccerò da queste porte

Quando Lavinia sarà mia consorte.

PIPPO

La volete sposar?

CON.

Sì, temerario.

PIPPO

Non ho niente in contrario.

Lasciate star le pastorelle in pace,

E poi sposate chi vi pare e piace.
CON.                     Non intendo oltraggiarle,

Non intendo levarle ai lor pastori;

Ma giust’è la beltà s’ami e s’onori.
PIPPO                   Come c’entrate voi?

Vogliamo amarle ed onorarle noi.
LENA                    (Questi è quel dell’anello). (alla Cecca)

CECCA                 (Uno anch’io ne vorrei). (alla Lena)

LENA                    (Se me ne desse un altro, il piglierei). (alla Cecca)

CECCA                 Serva del signor Conte:

Bevo alla sua salute.
CON.                                                       Entro a quel vino

Scenda il cieco bambino;


Scenda dal terzo cielo il dio d’Amore

Ad infiammarvi, pastorella, il core.
BERTO                  Anch’io vuò fare un brindisi.

Viva, signor, la sua caricatura. (al Conte)
PIPPO                    E viva il suo valor, la sua bravura.

CON.                     Grazie rendo ad entrambi. Il ciel vi guardi

Da ogni mal, dai nemici e dall’inopia,

E doni a tutti due la cornucopia.
LENA                    Amici, con licenza.

Restate, io vado via. (s’alza)
PIPPO                    Dove si va? (alla Lena)

LENA                                       Dalla padrona mia. (rusticamente)

PIPPO                    (Ah! non mi può veder). (da sé)

LENA                                                          Prima ch’io vada,

Vuò far col signor

Conte il dover mio;

Ed un brindisi a lui vuò far anch’io.
CON.                     L’averò per onore.

PIPPO                                                 Eh, lascia stare... (alla Lena)

LENA                    Tu non c’entri. (Lo voglio tormentare). (da sé)

Dammi da bere. (a Berto)
BERTO                                          Prendi. Ma il tuo Pippo

Non lo trattar sì male, poveraccio.
LENA                    Eh! signor Conte, un brindisi gli faccio.

Con questo buon bicchiere Di vin che piace a me, M’inchino al Cavaliere, E so ben io perché. Di Berto alla salute Ancor io beverò; E di Cecchina ancora, Ma di quell’altro no. Io bevo alla salute Di chi vuol bene a me. Chi mi vuol bene evviva, Se qui nessun ce n’è. (parte)

CON.                     Viva viva. A dispetto

Di chi non vuole, il suo bel cor son io; E quel brindisi caro è tutto mio. (parte)

SCENA DECIMA Pippo, Berto e Cecchina

PIPPO                    Addio, Berto; Cecchina, addio anche tu.

Sì, vado via; non ci vedremo più.
CECCA                 Dove vai, poverin?

BERTO                                                 Povero Pippo!

Per cagion della Lena


So che dici così;

Ma via non anderai, resterai qui.
PIPPO                    No, non ci vuò restare;

Via di qua voglio andare.

Per il mondo anderò da pellegrino.
CECCA                 Poverin!

BERTO                                Poverino!

Lascia questa bestial malinconia.
CECCA                 Non disperar così.

PIPPO                                                 Voglio andar via.

BERTO                  Tu credi che la Lena

Non ti voglia, t’abborra e ti abbia in ira,

Ed io so che per te tace e sospira.
PIPPO                    No, che non v’è speranza;

La Lena è una cagnaccia;

La Lena è un’assassina.

Addio, Berto mio caro, addio, Cecchina.
CECCA                 Fermati. Caro Berto,

Non lo lasciar andar.
BERTO                                                   Fermati, Pippo.

Sentimi, e ad un amico

Credi; so quel ch’io dico.

La Lena ti vuol ben; lo so di certo.

Quando parlai d’Elisa,

La vidi a venir rossa;

Se la vuoi guadagnar, quest’è la via:

Diamole un pocolin di gelosia.
PIPPO                    Io non so far.

CECCA                                       T’insegneremo noi.

BERTO                  Non dubitar.

PIPPO                                       Mi raccomando a voi.

BERTO                  Or m’è venuta in mente

Una burla graziosa

Per rendere gelosa la tua bella,

E farla divenir come un’agnella.
CECCA                 Dimmela, Berto.

BERTO                                            Non l’hai da sapere;

Ché le donne non possono tacere.
PIPPO                    Dilla a me.

BERTO                                   No, nemmeno.

Voglio che la vi giunga all’improvviso:

Una burla sarà degna di riso.

Consolati, sta lieto.

Tu colla Lena, ed io colla mia Cecca,

Staremo dolcemente in compagnia;

Le feste in allegria

A ballare, a cantare andremo al fonte;

Saltare al piano e sdrucciolar dal monte.

Con le belle pastorelle Ci potremo consolar. Ce n’andremo, — ci uniremo Per cantare e per ballar.


E poi senti che bel gioco

Che fra noi s’avrà da far.

Con il ghiaccio saliremo

Sopra un monte in compagnia;

Su due tavole sedremo

Colla Lena e Cecca mia.

Taratàpete, tàpete, tu;

Come il vento si tombola giù. (parte)

SCENA UNDICESIMA Pippo e la Cecca

CECCA                 Oh Pippo, che bel gioco!

PIPPO                                                            È un bel piacere

Godere il fresco e rompersi il sedere.

CECCA                 Per dir la verità,

Anche a me questo gioco Credo piacerà poco. — Sarà meglio, Se a te la compagnia noia non reca, Giocare al gioco della gatta cieca.

PIPPO                    Io non so cosa sia.

CECCA                                              Non hai veduto

Tante volte nel prato Un pastorel bendato Correre qua e là, pigliar, fuggire?

PIPPO                    Non l’ho veduto mai.

CECCA                                                   Stammi a sentire.

Si lascia da una bella Un pastorel bendar; E poi la pastorella Procura di pigliar. Si lascia circondar, Si lascia beffeggiar; Attento se ne va Bendato, qua e là: Se alcuna s’avvicina, Procura di pigliar; E quando l’indovina, La bella fa bendar. (parte)

SCENA DODICESIMA

Pippo, poi il Conte Ripoli

PIPPO                    Oh, questo è un giocolino,

Che volentier farei; Se potessi, la Lena io piglierei.


CON.

(Ancora qui costui?) (da sé)

PIPPO

(Eccolo qui.

Io gli rompo la testa un qualche dì). (da sé)

CON.

Tu che ami la Lena,

Sai cosa c’è di nuovo?

PIPPO

E cosa mai?

CON.

C’è che tu non l’avrai.

PIPPO

Se non l’avrò, chi ne sarà cagione

Proverà che sa fare il mio bastone.

CON.

Amico, io non vuò farmi

Odioso teco, e vuò giustificarmi.

Sappi, e vado via subito,

Sappi che la padrona ha comandato

Che la Lena si sposi

Senza pensarvi più;

E lo sposo esser deve, o Silvio, o tu.

PIPPO

O Silvio, o io? Seguite:

Che ha risposto colei?

CON.

Eccola. Il resto lo saprai da lei. (parte)

SCENA TREDICESIMA

Pippo e la Lena

PIPPO

Lena mia, Lena mia, parla: è egli vero

Che dei tra Silvio e me

Sceglier oggi lo sposo?

LENA

Così è.

PIPPO

Silvio tu sceglierai?

LENA

Silvio, per dirla,

Non mi piace gran cosa;

E poi, per quel che sento dalla gente,

È un povero pastor che non ha niente.

PIPPO

Posso dunque sperare

Che tu, cara, sii mia?

LENA

Lasciami stare.

PIPPO

Che ha detto la padrona?

LENA

Ha comandato

Ch’io dica di voi due chi prenderò.

PIPPO

E la Lena che dice?

LENA

Io non lo so.

PIPPO

Bene, quando è così, men vado io stesso

Dalla padrona adesso

A dir che non mi vuoi;

Che di Silvio sarai sposa diletta.

Ti vado a rinunziar.

LENA

No, Pippo, aspetta.

PIPPO

Cagna, mi vuoi lasciar?

LENA

Pippo... non so.

PIPPO

Cara, mi prenderai?

LENA

Ti prenderò. (fugge via vergognandosi)


SCENA QUATTORDICESIMA

Pippo solo.

Mi prenderà? L’ha detto: evviva, evviva.

Chi di me più contento

Al mondo si può dare?

Chi mi può pareggiare in questo dì?

La mia Lena alla fin detto ha di sì.

Quando Berto il saprà,

Contento anch’ei sarà.

Non v’è bisogno

Di darle gelosia.

Sono contento alfin: la Lena è mia.

Lenina — bellina — m’ha detto di sì. Amore — nel core — mi sbalza così. Son come l’agnello Che vede l’agnella; Son come il rondone Con la rondinella. Mi par di sentirla Nel prato belar; Mi par di vederla, Mi par di volar. Saltando, — volando, La voglio pigliar. (parte)

SCENA QUINDICESIMA

Campagna con casa rustica e cortile per i lavoratori della Cascina.

La Cecca, poi Pippo, poi la Lena

CECCA                 Berto mio non si vede. Io non so mai

Dove lo disgraziato

Possa essere andato. In questo giorno,

In cui le nostre nozze

Ci dovrebbero dar letizia tanta,

Non si vede venir? così mi pianta?

Or sento che la Lena

Siasi già accomodata

Di prendere il suo Pippo, e non vorrei

Ch’io mi avessi a sposar dopo di lei.
PIPPO                   Cecca, mia bella Cecca,

L’hai saputa la nuova?
CECCA                                                     L’ho saputa,

Me l’ha detta la Lena


Giusto in questo momento.

PIPPO

Non ti posso spiegare il mio contento.

La ragazza dov’è?

CECCA

Nella capanna,

Che di nastri s’adorna il cappellino.

Eccola, Pippo, col suo chitarrino.

PIPPO

Sa suonar, sa cantar; fa tutto bene.

CECCA

Si sposeranno, e Berto mio non viene.

LENA

(Accompagnandosi col mandolino)

Bella figlia che sei da marito,

Bada bene che il tempo sen va:

Se la sorte ti manda l’invito,

Non sprezzare quel ben che ti fa.

Si suol coll’età

Smarrir la beltà;

Bada bene che il tempo sen va.

PIPPO

Brava la Lena mia!

CECCA

Brava davvero!

PIPPO

Ma Berto ove si trova?

Perché non viene a parte

Dell’allegrezza mia?

CECCA

Non so dir dove sia.

Da quella volta in qua non l’ho veduto.

PIPPO

Mi maraviglio che non sia venuto.

SCENA SEDICESIMA

Il Conte Ripoli e detti, indi Berto in abito di Pastorella.

CON.

Animo, buona gente;

Che si stia allegramente.

Vuol la signora vostra

Che segua della Lena il matrimonio.

Son venuto ancor io per testimonio.

PIPPO

Via, spicciamoci dunque;

E diamoci la mano.

CON.

Amico, mi consolo

Di voi; della consorte

Essere mi esibisco il protettore. (a Pippo)

PIPPO

Obbligato, signor, del suo favore.

A voi domando scusa:

La protezione fra di noi non si usa.

CON.

Dite, ragazza bella:

Se vi servo, sarò da voi gradito? (alla Lena)

LENA

Io mi farò servir da mio marito.

CON.

E voi sarete, o bella,

Grata, se vuò servirvi, un poco più? (a Cecca)

CECCA

Tenetevi la vostra servitù.

CON.

Se nessuna mi vuole,


Non me n’importa niente;

Tant’è tanto staremo allegramente.

Io son così: procuro,

Tento, provo, m’avanzo, e parlo, e dico;

Ma alfine poi non me n’importa un fico.

Maritatevi presto;

Fatelo in faccia mia,

Che ho piacere di stare in allegria.

PIPPO

Lena mia, dammi la mano; Non mi far più sospirar.

LENA

Signor no, che la mia mano Non l’avete da toccar.

CON.

} adue

Tal riguardo sarà vano,

CECCA

Se vi avete da sposar.

CECCA

Porgi qui la mano a me. (alla Lena)

CON.

Porgi a me la mano qui. (a Pippo)

CECCA CON.

} adue

E così

S’unirà.

CECCA CON.

} adue

Pippo a te.

Lena a te.

PIPPO

} adue

Fuor di me

LENA

Son io già.

CECCA CON.

} adue

Che si fa?

Come va?

a quattro

Viva l’amore, Viva l’ardore, Vera del core Felicità.

BERTO

(In abito di Pastorella, affettando voce di donna) Pippo caro, Pippo bello,

Del mio core ladroncello,

Dell’Elisa abbi pietà.

LENA

Ah disgraziata! (a Pippo)

PIPPO

Non la conosco.

LENA

Sono ingannata.

CECCA CON.

} adue

Cosa sarà?

BERTO

Tu mi fuggi, tu mi sprezzi; Ma saprò con i miei vezzi Superar la crudeltà.

LENA

Oh che sfacciata!

PIPPO

Non so chi sia.

LENA

Son sassinata.

CECCA CON.

} adue

Cosa sarà?

LENA

Va via; più non ti voglio. Briccon, va via di qua.

BERTO

Se non lo vuoi la Lena, L’Elisa il prenderà.

PIPPO

Va via, che non ti voglio. (a Berto) Mia cara. (alla Lena)


LENA

Via di qua.

a cinque

Oh, che sorpresa è questa! Che brutta novità!

LENA

Maledetta! (a Berto)

BERTO

(Se lo crede). (da sé, nella sua voce)

PIPPO

Disgraziata! (a Berto)

BERTO

(Non s’avvede). (come sopra) Al mio Pippo voglio certo Mantener la fedeltà.

LENA

} adue

Che tormento — che mi sento,

PIPPO

Che martire — che mi dà!

CECCA

} adue

È una cosa — portentosa,

CON.

Che capire — non si sa.

BERTO

Bel contento — che mi dà! (partono)


ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Camera in casa di Lavinia.

La Cecca e Berto con la chitarra.

CECCA                 Tu sei davver davvero

Peggio assai d’un ragazzo;

Tu fai per l’allegria cose da pazzo.
BERTO                  Quand’ho ben lavorato,

Quando mi son spicciato

Dalle faccende mie,

Per la testa non vuò malinconie.
CECCA                 Ora pensar dovresti

Al nostro matrimonio.
BERTO                                                      E non ci penso?

Eccomi qui dalla padrona apposta

Per concluder le nozze adesso adesso.
CECCA                 E vieni qui colla chitarra appresso?

BERTO                  Saputo ho che la Lena

Ha cantato testé col chitarrino.

Voglio cantar anch’io.
CECCA                                                     Eh malandrino,

Alla povera Lena

L’hai fatta brutta.
BERTO                                            Si sa che ho burlato,

E con Pippo di già mi son scolpato.
CECCA                 La Lena non sa niente;

Poverina, è furente e disperata.
BERTO                  Or or da Pippo sarà consolata.

Essi e noi questa sera

Ci abbiamo da sposare;

Intanto i’ vuò cantare,

E fino che s’aspetta la padrona,

Voglio dirti, Cecchina, una canzona.

È tanto tempo che ti voglio bene, Ed ora te lo dico, vita mia; E il cor che Cecca nello petto tiene, Amor comanda che di Berto sia.

Cecca bella, fammi un vezzetto, Cecca bella, guardami un po’. Se nascondi a me quel visetto, Più la luce del sol non vedrò. Cecca bella, fammi un vezzetto, Cecca bella, guardami un po’. (parte)


SCENA SECONDA

Cecca sola.

Egli è pazzo davvero.

Ma alfine l’allegria

È una dolce pazzia che non dispiace.

Berto mio non è audace,

Fastidioso non è, non è vizioso:

Spero che abbia a riuscir buono e amoroso.

Benché da tante e tante

Sentito ho a dir ch’erano i loro amanti

Gioie, oracoli, stelle; e maritati,

Diavoli in pochi dì son diventati.

Di rose porporine

Rosseggia il bel giardino;

Ma celansi le spine

E qualche serpe ancor.

Talor così l’affetto

Appar nel dolce viso,

Ma covasi nel petto

L’inganno traditor. (parte)

SCENA TERZA

Lavinia e Costanzo

LAV.

Amabile Costanzo,

Il tenervi sinora

Per amor mio fra quelle spoglie occulto,

È alla mia tenerezza un grave insulto.

COST.

Temei la mia sfortuna.

LAV.

Il vostro grado

Vi dovea lusingar.

COST.

Ma ai beni vostri

Non rispondono i miei.

LAV.

Val più dell’oro

L’amor: la fedeltà vale un tesoro.

COST.

Posso dunque sperar?

LAV.

Sperar potete.

COST.

Vostro sposo sarò?

LAV.

Sì, lo sarete.

COST.

Temerò sempre fin che giunga al segno...

LAV.

Ecco la destra, del mio cuore in pegno.


SCENA QUARTA

Il Conte Ripoli e detti.

CON.

Eccovi, amabil dea,

Eccovi di ritorno il vostro Enea.

LAV.

Voi serbate nel cor la bella immagine;

Ma il ritorno d’Enea tardo è a Cartagine.

CON.

Perché?

LAV.

Perché venuto

È Jarba sconosciuto.

Mi trovò abbandonata,

Onde mi ha...

CON.

Incenerita?

LAV.

No, sposata.

CON.

Furie del cieco Averno,

Mostri del nero abisso,

Orsi, tigri, leoni,

Della barbarità crudel deposito,

Su, venite, vuò fare uno sproposito.

Dov’è quel moro infido?

Vuò svenarlo sugli occhi alla mia Dido.

COST.

(È un bel pazzo costui). (da sé)

CON.

L’empio dov’è?

Fatelo venir qui.

Dov’è il moro rivale?

LAV.

Eccolo lì. (accenna Costanzo)

CON.

Questi! (a Lavinia)

LAV.

Quello.

CON.

Egli è il moro!

LAV.

Quegli è il vostro rivale.

CON.

Questi è un vile bifolco, è uno stivale.

COST.

Con rispetto parlate.

LAV.

In lui vedete

Un cavalier che mi ama,

Che si è finto pastor per la sua dama.

CON.

Oh valoroso eroe,

Che rinnovar sapeste

La bella un dì peripezia d’Alceste!

Rendavi il ciel felice,

Qual Demetrio scoperto a Cleonice.

A un sì tenero amor chi può star saldo?

Tutto a sì bella azion mi passa il caldo.

SCENA QUINTA

La Lena e detti.

LENA

Oh signora...

LAV.

Che hai? Sei adirata?

LENA

Certo, son disperata.


LAV.

Perché?

LENA

Perché il briccone

Di Pippo disgraziato

Coll’Elisa è impegnato; ei mi ha promesso,

E poi, meschina, mi abbandona adesso.

LAV.

Mi dispiace davver.

LENA

Son sassinata.

CON.

Ecco un’altra Didone abbandonata.

LENA

Se potessi di lui

Vendicarmi, il farei.

Quasi quasi direi...

LAV.

Parla.

LENA

La mano...

Se la volesse... e il core...

Io darei... sì davvero... a quel pastore. (accenna Silvio)

CON.

Veggo che vi dispiace il restar sola:

Ma questo qui non fa per voi, figliuola.

LAV.

Sotto di quelle spoglie

Vi è un cavalier compito:

Costanzo ha nome, e sarà mio marito.

CON.

Sarà? Dunque non è.

S’egli non è, signora,

Posso i miei torti vendicare ancora.

COST.

Vendicateli pure,

Se avete core in petto.

Fuori di queste stanze andiam, vi aspetto. (parte)

SCENA SESTA

Lavinia, il Conte e la Lena

LAV.

Sentite? Ei vi ha sfidato.

CON.

Eh ditegli, signora, che ho burlato...

LAV.

Sì, sì, già ve lo credo.

CON.

Io per amore

Guerra non voglio far. Ho cento belle
Che mi corrono dietro; e posso scegliere
La ricchezza, il decoro e la beltà,
E son sicuro della fedeltà.
LAV.                     Sì, le ricche, le belle

Facili a ritrovare io vi concedo; Ma le fedeli poi tanto non credo.

Fra tante e tante Vaghe donzelle Che v’innamorano, Poche son quelle Che a un solo amante In petto serbano Fedele il cor. Con dolce vezzo


Pria vi lusingano, Poscia al disprezzo Sovente passano; E più non curano Del vostro amor. (parte)

SCENA SETTIMA Il Conte e la Lena

CON.                     Di questo io me ne rido:

E so essere anch’io fido e non fido.

Ma voi, ragazza mia,

Siete dolente molto.
LENA                                                   Signor sì,

Son mezza morta.
CON.                                                Via, venite qui;

Farò quel che potrò.

Se afflitta siete, io vi consolerò.
LENA                    Certo, se voi voleste,

Consolarmi potreste.
CON.                                                       Comandatemi.

LENA                    Ma lo farete poi?

CON.                                                Certo.

LENA                                                        Sposatemi.

CON.                     Sposarvi? Egli è un imbroglio.

(Ecco l’usato scoglio

Che troviam noi nelle ragazze belle:

Parlano di sposar, le tristarelle). (da sé)
LENA                    E così?

CON.                                  Pronto sono

A darvi del mio amore

Ogni altro testimonio,

Fuori di questo sol del matrimonio.
LENA                    (Oh meschina di me!

Tutti finora mi han desiderata,

Ed ora son da tutti disprezzata). (da sé)
CON.                     Protezion ne averete

Quanta, quanta volete;

Sarò di voi modestamente amico.
LENA                    Andate via; non me n’importa un fico.

CON.                     Non mi sprezzate, o bella;

Tutto per voi farò.

Per cavalier son qui! marito no.

Donne care, se il volete, Questo cor lo dono a tutte; Siate belle, siate brutte, Se mi amate, io vi amerò.

Sol d’amor chiedo in mercede Libertà d’amar chi voglio.


Serbar fede — mi è un imbroglio; Una sola amar non so. (parte)

SCENA OTTAVA La Lena, poi Pippo

LENA

Pazienza! Me la merito, lo so;

Pippo briccone, mi vendicherò.

PIPPO

Grazie a lei dell’avviso. (verso la scena di dove entrò il Conte)

Già ho inteso qualche cosa.

(Così, senza volermi almen sentire,

Andarsi per vendetta ad esibire?) (da sé)

LENA

(Eccolo il disgraziato.

Oh, non lo voglio più). (da sé)

PIPPO

(La traditora,

Sì, me la pagherà). (da sé)

LENA

(Se lo vedo morir, non v’è pietà). (da sé)

PIPPO

(Ma! l’ha fatto, può darsi,

Solo per ricattarsi). (da sé)

LENA

(Ei finalmente

All’Elisa non disse: io ti vuò bene). (da sé)

PIPPO

(No, soffrir non conviene

Il torto che mi fa). (da sé)

LENA

(Basta, se non è reo, si scolperà). (da sé)

PIPPO

(Vuò mostrar non pensarvi). (da sé)

LENA

(Finger voglio

Di non curarlo niente). (da sé)

PIPPO

(Ah, se la miro...) (da sé)

LENA

(Ah, se parlar l’ascolto...

Starò lontan). (da sé)

PIPPO

(Non vuò guardarla in volto). (da sé)

LENA

Pastorelli, io son da vendere;

Chi di voi mi vuol comprar?

A chi n’ha pochi da spendere,

L’amor mio saprò donar.

PIPPO

Pastorelle ancor da vendere,

Son qua io, vi vuò comprar.

Quel ch’io posso, voglio spendere,

Tutto il cuor vi vuò donar.

LENA

Chi mi compra?

PIPPO

Chi si vende?

Chi mi viene a consolar?

a due

Ah, che in seno, dal veleno

Io mi sento a divorar.

PIPPO

Lena ingrata.

LENA

Pippo indegno.

a due

Tu m’hai fatto disperar.

Ah, che il core — dal livore

Io mi sento a tormentar.


LENA

Disgraziato, — sciagurato,

Dall’Elisa non si va?

PIPPO

Era Berto travestito,

Te lo giuro in verità.

LENA

Era Berto?

PIPPO

Te lo giuro.

LENA

Travestito?

PIPPO

In verità.

LENA

Pippo mio... s’ell’è così...

Lena a te si venderà.

PIPPO

Ah cagnaccia, — crudelaccia,

Silvio, il Conte, ti averà.

LENA

Non ci penso, li ho burlati;

Te lo giuro in verità.

PIPPO

Non ci pensi?

LENA

Te lo giuro.

PIPPO

Li hai burlati?

LENA

In verità.

a due

S’è così... s’è per me...

La tua fé... vieni qua...

Che il mio cor ti comprerà.

PIPPO

Quanto vuoi di quegli occhietti?

LENA

Un tantin del tuo bel cor.

Quanto vuoi di quei labbretti?

PIPPO

Un pochin di buon amor.

PIPPO LENA       } a

Quanto val quella manina?

due

Questa man si può cambiar.

Dammela a me, Prendila tu; Più bel contratto Mai fatto — non fu. Saltami il core, Balzami il petto: Viva il diletto, Viva l’amor. Ninfe e pastori, Via, giubilate, Meco cantate: Viva l’amor. (partono)

SCENA ULTIMA

Tutti

LAV.

Venite, o mio Costanzo:

Fra di noi si confermi il matrimonio.

CON.

Ecco, vi vuò servir di testimonio.

BERTO

Farà grazia anche a noi? (al Conte)

CON.

Sì, volentieri.

BERTO

Tu sei mia. (a Cecca)

CECCA

Tu sei mio. (a Berto)


CON.                                                         Nume bendato,

Scendi, vieni, invocato, a questa soglia. (Me ne han fatto venire una gran voglia). (da sé)

PIPPO                             Sposi già siamo

LENA       } adueLietiecontenti.

Belli i portenti

Sono d’Amor. Ha superato

Nume bendato

Tutta la tema,

Tutto il rossor.

TUTTI

Viva Amore, ogni uno dica, Viva Amore, in sì bel giorno; E si senta d’ogni intorno A cantare: evviva Amor. (partono)

Fine del Dramma Giocoso.