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La cena

La cena

PERSONAGGI:

Padre

Figlia   (Giovanna)

Ragazzo  (Francesco)

Fangio

Una tavola apparecchiata con una tovaglia e alcuni piatti.
Due sedie accostate e una terza, più discosta, sulla quale è seduto il Padre. Entra Fangio portando alcuni piatti.

PADRE: Sarà una cena tranquilla, Fangio. Mio buon Fangio. Non devi preoccuparti. Normale. Normalissima. Un ritorno a casa. Nulla di strano. Un boccone insieme. Due chiacchiere. Un saluto. Ti agiti troppo. Sì. Ma che vita mi vorresti far fare per non metterti in questa agitazione? Da eremita. Dillo: da eremita. Sì, sì, altro che no. Ti preoccupi troppo. E di tutto. A me non piace il modo che hai di trasformare il tuo lavoro in dedizione. In passione. Si perdono le distanze. Distanze a cui, personalmente, tengo molto. - Non questi piatti. I suoi. Apparecchia con i suoi. Anche la tovaglia: non questa. (E la tira via facendo franare quel che vi stava sopra)  La sua. Tira fuori la sua. Non l’ha mai usata. Diamogliela questa soddisfazione una volta almeno. E non chiedere a me dove si trovi. Sei tu, qui, che metti via e nascondi. Un mago. Ecco chi ho preso al mio servizio. Non so nulla, io, di questa casa. Solo le mura so dove stanno. E i mattoni e gli spigoli. Ma tutto ciò che può essere spostato, manomesso, è affare tuo. Scompare e riappare. Le mura succhiano e ridanno. Al tuo comando, vero, Fangio?

FANGIO: (Raccogliendo con le mani nude i cocci da terra)  Faccio le mie cose, io.

PADRE: Non più del dovuto.

FANGIO: Ma tutto.

PADRE: Bene, discutiamone. Non sarebbe l’ora, ma ne vale la pena. - Non voglio parenti poveri nella mia casa. E non voglio sguardi da parente povero. Ora tu... che non mi sei, sangue alla mano, nulla, e che non sei povero - perché non lo sei, Fangio: affatto! - guadagnati il tuo benessere e guarda in me ciò che ti riguarda. E basta. La fonte del tuo benessere. La fonte del tuo guadagno.

FANGIO: Se mi dicesse quel che vuole...

PADRE: E se tu quando parlo non mi ascoltassi...

FANGIO: Chiaramente.

PADRE: Il tuo mutismo, vecchio, ti sembra chiaro?

FANGIO: Le provo tutte per parlare con lei.

PADRE: Perché ti lasci dire “vecchio”, Fangio? Mica sei vecchio.

FANGIO: Per pietà, abbia un po’ di rispetto.

PADRE: Di che?

FANGIO: Di due orecchie che devono starsene per forza aperte ad ascoltarla.

PADRE: Che digrigni?

FANGIO: Io cerco di comprenderla, ma più di tanto non si può.

PADRE: Tovaglia e piatti, sù.

FANGIO: Ne è proprio sicuro?

PADRE: A te non sembra una gentilezza?

FANGIO: No. Davvero no.

PADRE: Da quale punto di vista viene fuori, adesso, questo “no, davvero no”? - Dal mio? Dal tuo? Dal suo? O, magari, da quello dell’idiota che si porterà appresso?

FANGIO: (Dopo una lunga pausa)  Dal suo.

PADRE: Dal suo di lei? Di lui? Di me?

FANGIO: Di lei.

PADRE: Di lei me?

FANGIO: No. Di lei, lei.

PADRE: Allora va’ a prendere tovaglia e piatti. La conoscerò mia figlia, no? Credo che le farà piacere. (Fangio va)  Anzi, ne sono sicuro. Pour bonnheur . Un modo carino per inaugurare una nuova fase della nostra vita. Può essere il segno della resurrezione. Anche se, sgradevolmente, avverto nell’aria un’altra parola offensiva e per niente solenne: ri-con-ci-lia-zio-ne. Che orrore! La si respira sin giù dal marciapiede, e già lungo il vialetto del giardino punge più del puzzo che viene dal cantiere e dall’asfalto fradicio. Che orrore! Ributtare in campo un niente che si è voluto montare a dismisura trasformandolo in un tutto. E, su questo zero, farmi la grazia di tirare un frego e dirmi: “come se nulla fosse stato”. Ahi, come gli esseri umani vivono senza capire un’unghia di ciò che li muove, li avvicina e li allontana. Un’unghia. Fangio. (Chiamando)  Fangio!... (Nessuna risposta)  Ho capito cosa mi serve di te: il tuo nome. Non potrei più farmele queste belle chiacchierate che faccio con me stesso mutilando le mie frasi del tuo nome. Perché mi ispira. Anche quando ci sei: mi rivolgo al tuo nome, Fangio, ecco la verità. (Fangio ritorna con la tovaglia richiesta)  No, non è vero, piccolo diseredato: un qualche peso continui a mantenerlo.

FANGIO: Che?

PADRE: Discettavo sul tuo nome. E sul tuo peso.

FANGIO: La tovaglia. E lì stanno i piatti.

PADRE: Il tuo peso si chiama Fangio.

FANGIO: La mia famiglia si chiama Fangio.

PADRE: Anche Fangio si chiamava Fangio.

PADRE: Difatti.

PADRE: Ti piacerebbe.

FANGIO: Per cortesia, non ricominci.

(Una pausa.)

PADRE: Ne soffri, Fangio? Davvero?

FANGIO: (Che, dopo aver sistemato la tovaglia, sta mettendo i piatti)  Ho poche cose care. Non me le tocchi.

PADRE: Fisime.

FANGIO: Non per me.

PADRE: Ti sei troppo affezionato alle tue balle.

FANGIO: Comunque ne soffro. E non sono balle.

PADRE: Le difendi con la furia di un bambino. E i bambini sanno difendere così solo le loro balle. Come un’ideologia. Ma era della serata che dicevo. Se ne soffri. Pare di sì. Curioso.

FANGIO: Me ne ha già fatto parlare a sufficienza.

PADRE: Ma ora che siamo a un passo?

FANGIO: Non ne ho motivo. No.

PADRE: Meglio. Ne ho sin troppi io. - Ma tu mi aiuterai. Vero, Fangio? Sai che bisogna. (Pausa)  Sai che bisogna!

FANGIO: Questa tovaglia non la riconoscerà nemmeno. Non l’ha mai vista.

PADRE: (Prendendo un piatto e guardandone il fondo)  I piatti sì. Neanche questi ha mai visto, ma c’è il suo disegno. Sa che era stato fatto stampare il suo disegno. Galli. Non disegnava che galli. A che punto siamo in cucina?

FANGIO: Pronti. (Il padre alza una mano a coprire il volto)  Cos’è che non va?

PADRE: E’ a me che debbo regalare chiarezza, Fangio. Parlo per schivarla. Per non produrre suoni nemmeno nel silenzio del pensiero. Va’ via, disgraziato! Lasciami il tuo nome e vattene.

FANGIO: Purché non scuocia. La pasta, nella minestra, più di tanto non regge. L’avevo detto io che conveniva aspettare. (Va)

PADRE: (Guarda l’ora)  Ora che conto i minuti, conto pure gli anni. I minuti sono pochi e gli anni troppi. Cinque, Fangio. Cinque. Una misura. Una giusta misura. Non esistono misure ingiuste. Ogni misura ha una sua spiegazione. E si fanno a me delle colpe? ma se tutto è sepolto nei numeri! No. Non ci sono colpe. Impossibile averne, se pure le colpe non sono che misure. Il loro durare. E il loro smettere di durare. Tutto lì sta sepolto. - Anche il tuo viso. Le tue mani. I tuoi capelli. Le vibrazioni della tua voce. Conoscerò, di te, nuove misure. E non voglio far finta di non stupirmene. Perché ne stupirò, sino a lacerarmi il cuore. Tu  farai finta con me. Già lo so. Come se tutto si fosse semplicemente interrotto. E non allontanato. Paurosamente allontanato. Oh, sarà orribile. Non l’ho voluto io. Ecco cosa costa svezzare figli ben educati. La cortesia di queste belle visite.

(Si affaccia sulla soglia Fangio)  Allora?

FANGIO: Sta salendo.

PADRE: Hai aperto tu?

FANGIO: No, l’ho vista.

PADRE: L’hai?... Ma è sola?

FANGIO: No. C’è uno.

PADRE: Ah.

FANGIO: Che faccio? Vado?

PADRE: Sì. - No.

(Una pausa.)

FANGIO: Mi dica.

PADRE: Prima porta in tavola la zuppiera.

FANGIO: Ora?

PADRE: Sì, ora. Dicevi che è pronto.

(Fangio va)  Non lo faccio contro di te. Niente faccio contro di te. E magari tu non ritornassi con quello stesso orribile pensiero... mio tesoro. Piccolo mio tesoro. - (Chiamando)  Fangio! Vuoi sbrigarti o no?...

(Fangio rientra. Poggia la zuppiera al centro del tavolo)  Va’ a fare gli onori. Te la lascio per il primo saluto.

(Fangio va. Il Padre, di nuovo solo, riempie di minestra i tre piatti fondi preparati in tavola. Si versa del vino. Si siede al suo posto. Beve. Si volta spalle alla tavola. Beve ancora. Non vista, e senza poterlo vedere in viso, entra Giovanna. Un passo dietro di lei, Francesco.)

PADRE: Sarà meglio dirlo subito: la cucina non si rivelerà un granché.

FIGLIA: Non siamo qui per questo, papà.

PADRE: Se avevi messo in conto un abbraccio, ti prego no. Dammi tempo. Non è facile. Non è davvero facile. E buonasera al tuo ospite.

RAGAZZO: Oh... salve, piacere. Io non so, che io...

PADRE: Scch! Bene così.

FIGLIA: Se non ti va, non ti girare.

PADRE: Tranquilla, lo farò.

FIGLIA: Quando vuoi.

PADRE: Sedetevi.

FIGLIA: Se t’avessero detto che sono diventata cieca?

PADRE: Oh, non c’entra.

FIGLIA: E se tu  fossi diventato cieco?

PADRE: Troppo complicato, non ci arrivo.

FIGLIA: Dovremmo essere ciechi tutti e due, papà. E’ così?

PADRE: Volevo riscoprirti poco per volta ma è inutile. Mi stai franando addosso come una slavina. E sia. Mi girerò e vedrò una donna. Ma ormai è fatta. Come quando si entra passo passo nell’acqua fredda. Un’onda ti prende sul petto e tu continui ad avanzare con le braccia alzate mentre già tremi bagnato sino al collo. E sia! Quantomeno perché ho fame. (Si volta. Un silenzio)  Ancora in piedi? Sedetevi.

(Si siedono. Una pausa)  Che dire? Buon appetito, miei cari.

(Il Ragazzo comincia a mangiare. Non il Padre e la Figlia. Poche cucchiaiate e anche il Ragazzo smette.)

RAGAZZO: Beh... io la ringrazio molto di questo... cioè intendo che, data la circostanza, ho insistito con Giovanna perché forse insomma, dicevo, non so se sarà il caso. Per quanto poterla incontrare era una cosa che certo comunque mi ero ripromessa, per cui, dicevo, oggi o domani, insomma, che può cambiare? Stasera può essere che lui preferisca, (a lei)  e che tu pure preferisca, in considerazione di tutto quello che insomma dopo tanto tempo... appunto mi diceva, sì, Giovanna... un po’ di anni, ecco.

PADRE: (A lei)  Quanti?

FIGLIA: Eh, un po’.

RAGAZZO: Già, comunque. Beh, insomma, eccoci qui.

PADRE: Per carità, si fredda.

(I tre mangiano.)

RAGAZZO: Ottima.

FIGLIA: Come mai già in tavola? Eravamo in ritardo?

PADRE: Si era detta un’ora? Non mi pare.

FIGLIA: No?

PADRE: Solo per la cena. Più che sufficiente.

FIGLIA: Come puoi sapere quello che ancora mi ricordo e quello che mi sono dimenticata?

PADRE: Istinto.

RAGAZZO: Davvero ottima. (Tossisce. I due lo guardano)

PADRE: Un goccio d’acqua? (Il ragazzo fa segno di no con la mano)  Mastica qualcosa. Pane?... (Il ragazzo fa ancora segno di no pur continuando a tossire)  Tu divori, figlio mio. Così non va. A tavola ci si siede per soddisfare un vizio e non una funzione primaria. Come va? Meglio? (Il ragazzo ancora rosso in viso annuisce)  Cosicché ti chiami? Tu o lei, cosa preferisci?

RAGAZZO: Francesco.

PADRE: Tu o lei, Francesco?

RAGAZZO: Oh, per carità, il tu per me va benissimo.

PADRE: E ti occupi, Francesco?...

RAGAZZO: Agraria. Insomma, mi occupo nel senso che ancora con gli studi mi manca un po’ per terminare ma già con mio zio, in collina, sto cominciando a fare un po’ di pratica. Perché ha una tenuta lui... sì, cioè, sarebbe tipo un caseificio che era in funzione fino a qualche anno fa, poi non so perché è rimasto come in panne e insomma l’hanno lasciato abbandonato e lui, mio zio, che già di suo un’azienda ce l’aveva, ha rilevato le strutture per rimetterle in attività; allora, visto che tanto con gli esami grossi problemi non esistono, m’ha detto vieni che ti metto in amministrazione. Sì, perché io prima facevo Economia e Commercio e insomma un poco ci capisco. Però, come mi sono laureato, quello che mi piacerebbe di fare è di occuparmi proprio della parte legale, a me.

PADRE: Con una laurea in Agraria?

RAGAZZO: Oh, no: in Legge. Mi occupo di agraria come campo in generale, ma la mia laurea è in Legge.

PADRE: Latticini, codici e ritenute d’acconto: un enciclopedico. (E ride costringendo anche Francesco a ridere. Poi alla figlia)  E tu?

FIGLIA: Io che?

PADRE: Quale la parte che ti ha rapito in questo coacervo di dottrine? - Oh, non t’offenderai, Francesco, vero? Si scherza. Che me l’hai raccontata in un modo!...

RAGAZZO: No, no, insomma, sì, ammetto, forse, in effetti, di averla fatta un po’ confusa. Comunque, insomma...

PADRE: Eh, insomma insomma. - Mi domando cosa farebbero, certuni, se venisse vietato loro, pena la vita, l’uso di questa smorta espressione. Diverreste balbuzienti: d’un colpo. Si aprirebbero delle voragini nei vostri discorsi da far paura. (Il Ragazzo lo fissa stordito)  Non mi capisci? Oppure, insomma, così e così?

RAGAZZO: No, è ... che mi scappa. Un’abitudine. Mi dispiace.

FIGLIA: Papà, contavo su qualcosa di più serio per il nostro incontro.

PADRE: Introducimi al tuo concetto di serietà e vedremo di accontentarti. Vero, Francesco, che vedremo di accontentarla?...

RAGAZZO: Oh, beh, certamente.

PADRE: (A lei)  O tu non credi che vi sia già una sovrabbondanza di serietà nelle circostanze nude e crude, e mute, che ci hanno riportati, oggi, seduti allo stesso tavolo non a immaginarci, a rievocarci con stupidissime parole, stupidissime, ma qui: alla prodigiosa possibilità di alzare lo sguardo e usare le vive retine per averti e dirmi “c’è” - e farti dire: eccolo qui, davanti a me. Di nuovo. A un passo. A una frazione di secondo di distanza. E siamo stati separati da vastità che un gesto come questo... (Allunga un braccio e la ghermisce con la mano dietro la nuca)  non ne avrebbe colmato la milionesima parte. E io ora posso, Giovanna, riportare serenamente la mia mano al suo posto con la coscienza che, volendo, di nuovo in un attimo potrei toccarti ancora. (Lo fa)  Poi giù di nuovo... e ancora! E ancora! E ancora! E ancora!  - Ecco, per un padre, la più seria delle cose. La felicità, addirittura. Ma si tratta di piccolezze che tu, evidentemente, non hai imparato a cogliere. E ora, manina mia, stattene al tuo posto. Sai cosa puoi fare. Non hai bisogno d’altro. Se il tuo cibo sono queste carezze, riposa serena. Non rischi il digiuno.

FIGLIA: Capiamoci: se ti sei messo in testa di farmi paura t’avverto che m’alzo e me ne vado.

PADRE: Dio me ne scampi! Io cerco solo di comporre in parole il serissimo miracolo della tua vicinanza.

FIGLIA: Nessun miracolo. Semplicemente è che sono tornata.

PADRE: Non mi importa la spiegazione logica, ma il fatto: la tua vicinanza. (Al ragazzo)  Parlo astruso?

RAGAZZO: Inso... (Si morde la lingua e tace)

PADRE: Un gioco! (Tira fuori da una tasca uno smilzo fascio di banconote. Le conta)  No, troppo pochi, non c’è gusto. (Chiamando)  Fangio, hai soldi con te?... Silenzio di tomba. Si vede che ne ha. Lasciamo andare. (Mette di nuovo una mano in tasca per tirarne fuori, stavolta, un libretto degli assegni. Lascia il libretto sul tavolo e si alza per andare a recuperare una penna. Torna a sedere. Di nuovo al Ragazzo)  Ti va di giocare o no?

RAGAZZO: Francamente non so. D’abitudine gioco poco. Anzi. Poi, comunque, mai... mai seriamente.

PADRE: (Mentre comincia a compilare un assegno. Ne riempirà cinque)  E chi dice di farlo seriamente!... Vorremo mica guastarci la serata. Io dico gioco gioco: proprio da bambini. Che lo si fa, ma che poi si sa che tanto non vale. Ti va?... E non ci badare a lei, lasciale stare le donne. Tra me e te, d’accordo? (A Giovanna)  Sì, ti escludiamo. O ti dà fastidio ch’io provi ad entrare in confidenza con il tuo amico? (A lui)  Capito, Francesco, cos’è che le dà fastidio? - Ma tu non è che, per caso, ti trovi a disagio con me... vero?

RAGAZZO: Affatto, perché?

PADRE: Ti aspettavi che fossi come? Antipatico? Più o meno di così? Come?

RAGAZZO: Io, detta sinceramente, non è che avessi un’idea. Qualcosa sì, ovvio, ma niente di preciso.

PADRE: E adesso?

RAGAZZO: Beh, ancora come faccio? No, cioè, un attimo. Se dicessi chissacché avrebbe tutto il diritto di pensare che io sia, insomma, beh, un ipocrita.

PADRE: Che significa ‘chissacché’?

FIGLIA: Chissacché di positivo.

PADRE: Ah, canaglia, perché invece pensi il contrario?

RAGAZZO: Ma no, no... cosa mi fa dire?

FIGLIA: Attento! Sta’ attento!

RAGAZZO: Ma attento a che?

PADRE: Già, attento a che?

FIGLIA: Lo sai a che.

PADRE: No, spiegacelo.

FIGLIA: Quando parli così... lo sai, lo sai.

PADRE: Che ricordi hai di me che parlo così?

FIGLIA: Ne ho.

PADRE: Quali? Quando?

FIGLIA: Di te che ragioni così: ne ho.

PADRE: Che memoria!

FIGLIA: Non c’è bisogno di una gran memoria.

PADRE: E allora racconta al tuo amico.

FIGLIA: Papà, non ci provare.

PADRE: Già dice di pensare di me le cose più atroci.

RAGAZZO: Ma non è vero, me lo fa dire lei!

FIGLIA: Sono tornata per parlare d’altro.

PADRE: Banalità. Sei tornata, questo è tutto.

FIGLIA: Non è un tutto e non è un poco. E’ solo un fatto. Quello che speravo era di usarlo nel migliore dei modi.

PADRE: Io, magari, lo sto facendo.

FIGLIA: Non mi sembra.

PADRE: A me sì. E che ne sai tu se per me è sì?

FIGLIA: E se il tuo sì per me è uno sputo in faccia, eh? Prova a pensarci.

PADRE: (Allunga la mano e la stringe alla nuca)  E se a me quello che basta è questo? Che sia pure per l’ultima volta, ma se a me non basta che questo? E potrebbe, sai perché? Perché non contavo nemmeno più su una sola, ultima volta! Ma tu me l’hai data e io me la prendo.(Ritrae la mano. Parla con tono più quieto)  Poi cosa vuoi? Stavo parlando d’altro. (Accennando al ragazzo)  Affari nostri, va bene? (A Francesco)  E tu!... Qui sì che dovevi dire “insomma”. Non mi guardare strano, dico davvero.

RAGAZZO: Cioè?

PADRE: Ma, Domineddio, qualcuno brutalizza la tua bella e tu cosa fai? Taci? Ti rannicchi? Ti fai piccolo piccolo? No, così non va. Devi intervenire. Battere i pugni sul tavolo, e alzarti sù tuonando la tua esclamazione prediletta. (Esegue con buffonesco vigore e grida)  Insomma!! - (Tornando a sedere calmissimo)  Così si fa. O no?

RAGAZZO: Mi dispiace, ma non mi sarei mai azzardato. Anche se ricominciasse adesso.

PADRE: Perché sono suo padre?

RAGAZZO: Direi di sì. Credo.

PADRE: Bravo. Molta dignità in un concetto piatto. E se la schiaffeggiassi? (Silenzio)  Sù, rispondi.

RAGAZZO: Non lo so.

FIGLIA: (Al padre)  Fallo, così vediamo.

PADRE: O Santo Cielo, Giovanna, ma io sto scherzando. Perdono perdono. Sono un vecchio solitario, e perciò, come fu detto, maligno suo magrado. (A lui)  Ma poi tanto antipatico? Sinceramente: tanto antipatico?

RAGAZZO: Nemmeno un po’. Figurarsi!

(Il Padre stacca gli assegni e li spinge al centro della tavola. Mette via il libretto. Riprende a mangiare.)

PADRE: Sono sproporzionato. Questo il mio difetto. (E mangia)

(Anche la Figlia e il Ragazzo, con gesti lenti, riprendono a tirar sù delle cucchiaiate. Ma Francesco si capisce che sta pensando ad altro. Il suo sguardo è fisso su quei cinque foglietti lasciati lì, proprio davanti a lui. Infine, con imbarazzo, si decide a rompere il silenzio.)

RAGAZZO: Scusi, ma... quei soldi, lì, cosa ci fanno?

PADRE: Per giocare, appunto. Sempre che ti vada.

FIGLIA: Fa’ il piacere: strappali.

PADRE: Nient’affatto. M’andava e mi va. Se pure a lui va...

FIGLIA: Non gli va per niente.

PADRE: (A lui)  Ti va? - Ma devi accettare a scatola chiusa. Se dici “sì” poi si gioca comunque.

RAGAZZO: Ma a cosa?

PADRE: Tu dì “sì” e lo saprai. Ti va?

(Un silenzio.)

RAGAZZO: Beh... sì.

PADRE: (Alla Figlia)  E tu non mangi? Noi abbiamo già finito. (A lui)  Allora?

RAGAZZO: Ho detto sì.

PADRE: Perfetto. Sono tuoi. - Sì, tuoi, tuoi. Una bella cifra. Te li potrai portare via. Tutti e cinque. Ma dopo. Ora restano lì, e a ogni ‘insomma’ che ti lasci sfuggire me ne ridai uno. Onesto da parte mia, non ti faccio rischiare nulla. Anzi, puoi solo vincere.

RAGAZZO: E se poi finisce che li finisco?

PADRE: Tempo al tempo, per adesso gioca. Mica son pochi. Così metto anche alla prova le tue capacità di amministratore. Pensa: come niente puoi portarmi via un capitale. E per di più impari a parlare. Manie di vecchio educatore. Ti garba?

RAGAZZO: (Guardando con una certa cupidigia gli assegni e facendo dei calcoli mentali)  Sì. Sì, ci sto.

PADRE: Si comincia?

RAGAZZO: Occhèi.

PADRE: Oh, però chiacchiera. Non fare che adesso te ne stai zitto. Sarebbe come barare.

RAGAZZO: No no, chiacchiero chiacchiero. Magari che, insomma, adesso così non è che mi venga niente di particolare da... (Il Padre, silenziosamente, gli sfila via di sotto il naso un assegno) Perché?

PADRE: “Magari che, insomma, adesso così non è...” (Accende un fiammigero, brucia l’assegno)  Continua, stavi dicendo?

RAGAZZO: (Leggermente traumatizzato)  Niente, niente... appunto che non avevo niente di particolarmente interessante... sì, ecco... da dire.

(La Figlia, che da alcuni secondi appariva misteriosamente attratta dalla sua pietanza, con gesto improvviso e quasi inconsulto tira sù il piatto con le mani e trangugia dal bordo il liquido che restava. Poi fissa il fondo del piatto e ha un singulto d’orrore.)

PADRE: Giovanna, che c’è?

FIGLIA: Perché l’hai fatto?... Come hai potuto farlo? Come hai potuto volerlo? Sei un mostro, papà, sei un mostro! (Si alza. Va in un angolo col volto tra le mani)

RAGAZZO: (Al Ragazzo)  Tu la capisci, figlio? Mi insulta e piange indovina perché? Per un pensiero gentile. Tutto ciò che concerne questi piatti ha origine in un pensiero gentile.

FIGLIA: Allora vuoi che me ne vada! Ma perché cacciarmi così? Dimmelo! Dimmi “vattene”! Abbi il coraggio! No: dalla tua bocca solo insulti!

PADRE: Dalla tua, non dalla mia. E stavo spiegando al nostro amico...

FIGLIA: Ma magari insulti! Magari! Non mi farebbero diventare pazza e almeno mi sarebbe facile dirtelo in faccia credendoci sino in fondo: sei quello che eri, addio! - Una buona volta dammela questa convinzione che non mi sono mai sbagliata: che tu sei fino in fondo come mi sei apparso allora, anni fa, cacciandomi di casa. Ti scongiuro, dammela!

PADRE: Non t’ho mai scacciata, il Cielo m’è testimone.

FIGLIA: (Andandogli addosso)  Papà, non te lo scordare: ci sono cose nella nostra vita, dure come pietre, che ero tornata capace di tenermi dentro ma che, se tu mi costringi, io ti posso ributtare sul tavolo, tutte, o addosso se vuoi! E quella sarebbe, davvero, l’ultima scena della nostra vita. Perché hai messo questi piatti? Perché?

PADRE: Te lo giuro: per farti piacere. Pensavo potessero. In compenso di una mediocre zuppa. Io so accontentarmi della cucina di Fangio, ma con degli ospiti non posso non sentirmi un poco in colpa.

FIGLIA: T’ho chiesto perché!

RAGAZZO: Giovanna, per cortesia... ti prego, non fare così. Non che non mi rendessi conto di potermi trovare in una situazione... ecco, di imbarazzo, ma, dài, non sino a questo punto.

(Al Padre)  Già incontrarla, sapendo, immagino, che lei sappia, sì, che insomma io e Giovanna avremmo dei progetti e non è da poco che io e lei, ecco... (Il padre, come prima, prende un assegno e lo brucia. Il Ragazzo assiste nuovamente impotente alla scena. Deglutisce e riprende a parlare)  Sì, abbiamo questi progetti... dal momento che, appunto, abbiamo avuto la fortuna, se mi consente, di incontrarci in un modo, e di trovarci in un modo, che mica spesso capita a due persone. Ma poi non è tanto questo. Si tratta, piuttosto, che essere venuto qui in un momento simile... beh, io le dicevo: non so se è il caso. Ora, perciò, se volete che io sì, insomma, che io... (Tace confuso. Il Padre brucia un altro assegno)  Lo dico per... rispetto, ecco. Rispetto. E anche per me.

FIGLIA: (Al Ragazzo)  Senza di te non sarei qui.

PADRE: (Come sopra)  Te ne rimangono due. Attento, ragazzo.

FIGLIA: (C.S.)  E anche lui non credere: senza di te non so nemmeno se mi avrebbe voluto.

PADRE: (A lei)  Esageri. La mia volontà non ha voce in questo incontro.

RAGAZZO: Comunque insisto. Se volete.

FIGLIA: Usciremo insieme da questa casa.

PADRE: (A lei)  Se tu t’aspettavi più serietà, io, francamente, più serenità. Per conto mio ne posso dispensare a piene mani.

RAGAZZO: Ve ne supplico, non vi capisco.

PADRE: Francesco ha ragione. Tu parli per allusioni. Insisti con argomenti e misteri ai quali, immagino, questo bravo giovine non sarà stato ancora introdotto.

FIGLIA: Papà!

PADRE: Oh, niente di che. I misteri di qualsiasi catacomba. Ogni famiglia ha la propria. Pure tu, Francesco, avrai esperienza di analoghe oscurità tra le quali gli adepti sanno muoversi con la destrezza di pipistrelli, come in pieno giorno. Ma, cielo, questa è la normalità. E tu, povero, sei stato subito precipitato, e senza una buona guida, nei nostri meandri. - Giovanna, avresti dovuto sprecare qualche parola in più con il nostro gentile ospite prima di portarcelo in casa. (A lui)  Io, ad esempio, se mi trovassi a tavola con tuo zio - sì, quel simpatico contadino - quand’egli dovesse, per un accenno da nulla, risentirsi con la moglie o con te, beh... farei tale e quale la parte del cieco nella vostre, per voi trasparenti, oscurità. Dice che son io ad averti voluto. Ovvio. Giovanna mi fa sapere che ha deciso - e stavolta sul serio: parole sue - di spartire la sua vita con qualcuno... io le dico: vieni. Cogliamo l’occasione. Era evidente che lei, chiamandomi, me la passava proprio come un’occasione. Sarei stato davvero di una bella scortesia a risponderle: questo non mi interessa. Se ti va di rivedermi non metterci in mezzo dell’altro. Ti aspetto, ma il resto non m’interessa. (Sempre a lui)  Dimmi tu se ho ragione o no? Cosa dovevo dirle? Portalo. Portalo senz’altro. Poi, invece, chi è che mi si presenta? Una nemica convinta di incontrarsi col nemico. Già infastidita sin dalla soglia di casa. Dalla mia emozione nel guardarla, nel riscoprirla. Trovando segni di guerra in tutto. In tutto.

FIGLIA: E tu davvero vorresti farmi credere che questi piatti me li hai imbanditi per gentilezza?...

PADRE: Ma cos’hanno questi piatti? Sono i tuoi. (A lui)  Vedi, caro... galli. Copiati da un suo disegno di bambina. Un regalo mio. Fatti per lei. - Guarda, guarda.

RAGAZZO: (Costretto a guardare)  In effetti... belli son belli. Però io non posso dire. Può essere, forse, che sia per qualche altra cosa, ecco.

FIGLIA: (A Francesco)  Sai cosa sarebbe “qualche altra cosa”? Che dovevano essere un regalo di nozze. Ma non lo sono mai stati, perché il signore, qui, la pensava diversamente.

PADRE: Nemmeno per sogno.

FIGLIA: Papà, evitiamo.

PADRE: Sei tu che hai fatto e disfatto.

FIGLIA: Papà, basta!

PADRE: Io mi limitai a dire la mia.

FIGLIA: Queste le parole che mi hanno fatto scappare all’altro capo del mondo.

PADRE: E anche tu, poi, ti sei convinta che conveniva pensarla diversamente.

FIGLIA: M’hai stritolato l’anima e dici che io mi sono convinta! Io!

PADRE: Venisti in lacrime a giurarmelo.

FIGLIA: Regali tuoi: giuramenti e lacrime.

PADRE: Non era forse un idiota?

FIGLIA: Smettila!

PADRE: (A lui)  Figurati, già più vecchio non so di quanto.

FIGLIA: Sì, più vecchio. Ora smettila!

PADRE: Anzi, ci vuol nulla a saperlo.

FIGLIA: Non interessa a nessuno. Né a me né a lui.

PADRE: Forse a lui sì. Se s’interessa a te.

RAGAZZO: No, non m’interessa. Per niente, guardi.

PADRE: Cos’è? Gelosie retrospettive?

RAGAZZO: Quel che sia. Preferisco evitare.

PADRE: Meglio sapere contro chi dovrai combattere... se quello, a quanto pare, è lo stampo di maschio che le è rimasto in cuore.

FIGLIA: Amo Francesco e la mia vita è questa.

RAGAZZO: Le garantisco, credo di sapere come debbo comportarmi.

PADRE: Facciamo gli struzzi?

RAGAZZO: Sinceramente: non mi interessa.

PADRE: Se tu fossi stato più possibilista t’avrei creduto.

RAGAZZO: Nel senso?

PADRE: Certe chiusure, spesso, nascondono pericolose brecce.

RAGAZZO: In me?

PADRE: In te, in te.

FIGLIA: (Al Ragazzo)  Non starlo a sentire, se vuoi ce ne andiamo.

RAGAZZO: Attento, figliolo: ciò che la disgustò, nell’altro, fu la viltà. Innanzitutto questo.

RAGAZZO: Eh?

FIGLIA: Dài, vieni via.

PADRE: (A lui)  Hai capito cos’è che ho detto? La viltà le fa schifo. Te ne vuoi andare?

FIGLIA: Ce ne vuole di più per restare. Andiamo.

PADRE: Domani la penserà diversamente, e si vergognerà di te.

RAGAZZO: Perché?

PADRE: Perché sei scappato dinanzi a suo padre.

FIGLIA: Ma che t’inventi?

PADRE: E già successo, di’ di no.

RAGAZZO: Ma successo come?

PADRE: Oh, questo t’interessa!

FIGLIA: Sì, è successo. E sono scappata anch’io.

PADRE: Difatti sei scappata e ritornata, e ora grondi ancora di vergogna.

FIGLIA: Perché ho anima e cervello. La mia vergogna dovrebbe essere la tua.

PADRE: Ah, l’acqua che sale al cielo: gli errori dei figli ricadono sui padri.

FIGLIA: L’hai costruito tu quell’errore. Solo tu.

PADRE: (Al Ragazzo)  Che hai deciso? Te ne vuoi andare o no?

RAGAZZO: (Dopo una breve pausa)  No.

PADRE: (Sempre a lui, quasi in confidenza)  Era stupido e volgare. Capace delle azioni più infami.

FIGLIA: Sei tu che l’hai fatto diventare così.

PADRE: Non ho di questi poteri.

FIGLIA: Ce li hai, eccome.

PADRE: (Di nuovo a Francesco)  Ma a lei piacevano le sue mani. E questo glielo faceva sembrare un buon partito. Solo questo.

RAGAZZO: Come le sue mani?

PADRE: Non te l’ha mai detto? O forse non la pensa più così. Diceva che le mani sono lo specchio del corpo. Bambinate. Le piaceva il suo corpo perché le piacevano le sue mani. Le sue grosse mani, che per me erano lo specchio di tutta la sua miseria e volgarità. Sei cambiata, Giovanna, o t’è rimasta questa buffa idea?

FIGLIA: Lo dicevo per dire, non c’entra niente.

PADRE: (A lui)  A te le guarda le mani? Te le palpa? Te le stringe?

RAGAZZO: Beh, sì. A me sembra che le vanno bene.

PADRE: Fammele vedere. (Il Ragazzo indugia)  Che è? Ti vergogni?

RAGAZZO: Insomma, messa così.

PADRE: (Bruciando il quarto assegno)  E quattro.

(Infine il Ragazzo, deciso, stende le mani sul tavolo. Il Padre prima le guarda, poi le sfiora.)

FIGLIA: (Quasi per sfida)  Sono belle. Mi piacciono molto.

PADRE: Convinta, sì?

FIGLIA: Assolutamente sì.

RAGAZZO: (Timidamente)  Cioè... potrei capire dov’è... cos’è che fa vedere la differenza?

PADRE: Questa indagine era un’arte sua. Comunque capisco che tu abbia delle chances . Non sono punto volgari. Niente affatto aggressive.
Chiare. Tornite. Probabilmente svelte. Un po’ piccole ma non sotto misura. Mani per un’età adulta. Con cui convivere. (A lei)  Vado bene? (A lui)  Immagino che non sfuggano mai al tuo controllo. E qui ti metto in guardia. Lei ama le forze istintive. Poi le ripudia, ma le vuol conoscere.

FIGLIA: Papà, tu non sai quello che mi è successo. Non descrivermi come fossi un’immaginetta che ti tieni nel portafoglio.

RAGAZZO: (Al Padre)  Dunque cosa debbo fare?

PADRE: (Riempiendogli il bicchiere)  Al momento usale per bere.

RAGAZZO: No, sul serio: che debbo fare?

PADRE: A che proposito?

RAGAZZO: Lei sa qualcosa.

FIGLIA: (Al Padre)  Contento? Ci sei riuscito a rigirartelo come ti pare e piace.

PADRE: Sccch! Vuoi farlo parlare!?

RAGAZZO: Mi dica se è vero!

PADRE: Cos’è che dovrei sapere?

RAGAZZO: Su di me. E su di lei.

FIGLIA: Ma non lo capisci che ti sta prendendo in giro?

RAGAZZO: No, non lo capisco! E comunque sono in grado di vedermela da solo. Si sta parlando. Voglio sentire, posso? Prima sento, poi giudico. Ma voglio sentire!

PADRE: Bravo, lupacchiotto.

FIGLIA: Va bene, sentiamo.

RAGAZZO: (Al Padre)  Sa qualcosa o no?

PADRE: Se me lo domandi come a un amico di maggiore esperienza, queste due chiacchiere sarebbe il caso di farle in privato. Vuoi bere o no? (I due bevono)

FIGLIA: E’ un invito ad andarmene di là? Basta dirlo.

PADRE: Non domandarlo a me. Son due chiacchiere che, se rimane la voglia, si potranno sempre fare in un secondo tempo. (A lui)  O ne hai urgenza subito?

RAGAZZO: Allora sì che c’è qualcosa che vuole dirmi!

PADRE: Chiacchiere. Entri in famiglia, ne faremo molte comunque.

RAGAZZO: Giovanna, cos’è?

FIGLIA: Se ti dicessi “niente” mi crederesti? Ma va’. Figurarsi il peso che possono avere le mie parole contro le sue, di ferro! (Sempre al Ragazzo)  Beh... soddisfatto dell’incontro? Eri tu che ci tenevi: “Dobbiamo. Dobbiamo assolutamente.”

RAGAZZO: Non ti saresti data pace se non fossimo venuti.

FIGLIA: Certo, come no. Eccoci qui. Goditelo. - Va bene: tu mi domandi cosa c’è, e io ti rispondo: niente. L’assoluto niente. Ti basta? Possiamo passare al secondo e parlare d’altro?

(Un silenzio.)

PADRE: Mia figlia ha ragione. Io ti offro solo la mia amicizia. Puoi usarla quando vuoi. (A lei)  Certo che se tu ragionassi con più semplicità... Mi fai conoscere il tuo fidanzato, ti ripresenti dopo anni di assenza... qualcosa dovrà pure averti spinto. Ora mi fai capire che è stato lui a consigliartelo. Questo è sgarbato, ma io non voglio crederci. Qualcosa vi sarete prefissi, no, sedendo a questa tavola!... E io, che non posso far altro che ragionare a mia misura, suppongo si tratti della stessa trepidazione di quando mi presentai ai genitori di tua madre. - Mi accetteranno? Non mi accetteranno? - Ebbene, più che dirvi: siete a un passo dal vostro scopo, che posso fare?... Francesco mi è simpatico. Molto simpatico. Perciò allegri. (A lei)  Tu alteri tutto. Anche per me ci fu il momento del vis-à-vis . E tua madre davvero non si offese lasciandoci soli. Certo, altri tempi. Ma la sostanza non cambia. (Beve. Poi, a lui)  Quando vuoi. Senza fretta. (Beve ancora)

RAGAZZO: Vorrei adesso.

PADRE: Subito?

RAGAZZO: Sì, subito.

PADRE: Con lei qui?

RAGAZZO: No.

PADRE: Senza?

RAGAZZO: Senza.

PADRE: Suvvia, Giovanna... spiegami tu cosa ti costa, mentre aspettiamo l’arrosto, andare a rivedere la tua stanzetta o, se preferisci, fare una visitina a Fangio.

FIGLIA: (Alzandosi)  Niente mi costa. Però, così, sarà bene che tu sappia subito quello che contavo di dirti con più calma e meglio. Francesco è già entrato nella nostra famiglia. Ci siamo già sposati, papà. Perché tu lo sappia. Regolati tu.

PADRE: Meglio. Una formalità di meno. Comunque, grazie per l’informazione. Ma la sostanza non cambia lo stesso. (Giovanna si allontana)  Giovanna!... Auguri. (Giovanna va)  E anche a te, figliolo. Auguri.

RAGAZZO: Io non avrei voluto. Cioè, mi capisca, non avrei voluto farlo così. Ma il fatto è che sua figlia mi parlava di questa... rottura che c’era stata fra voi, mentre io, invece, ne avrei avuto infinitamente piacere... come dire? di informarla, ecco. Di averla con noi.

PADRE: Bella cerimonia?

RAGAZZO: Insomma. Diciamo semplice.

PADRE: (Bruciando l’ultimo assegno)  In campagna?

(Il Ragazzo assiste al minuscolo falò con evidente scoramento.)

PADRE: In campagna?

RAGAZZO: Eh?

PADRE: In campagna, immagino.

RAGAZZO: Ah, sì.

PADRE: Dallo zio?

RAGAZZO: Più o meno, vicino.

PADRE: E spiegami un po’, Francesco: i tuoi come l’hanno presa questa mia assenza? Una cosa poco simpatica, suppongo.

RAGAZZO: Oh, i miei... è gente così, un po’ semplice. A me non hanno detto niente, però, forse...

PADRE: E con chi è andata peggio? Con lo zio?

RAGAZZO: Eh, quasi, alla fin fine. Lui è così...

PADRE: Come?

RAGAZZO: Meno semplice, ecco.

PADRE: Meno semplice e più ricco?

RAGAZZO: Oh, lui sì che lo è.

PADRE: (Accennando al portacenere colmo)  E se venisse a sapere che pessimo amministratore sei stato dei tuoi beni?

RAGAZZO: Dio, non mi ci faccia pensare a tutto quello che ho perso.

PADRE: Fa rabbia, eh!

RAGAZZO: E’ che non me ne accorgo, accidenti! Soprattutto quando sono un po’ emozionato.

PADRE: E ora lo sei?

RAGAZZO: In...

PADRE: (Spezzandogli la parola in bocca)  Fermo là che ti riscappa!... Sono sportivo, ammettilo. Ora sei a rischio. All’erta. - I tuoi dipendono dallo zio?

RAGAZZO: Beh, questo no.

PADRE: Da te?

RAGAZZO: Non esattamente. Un po’.

PADRE: Dunque dallo zio.

RAGAZZO: Ma sono soldi che mi guadagno da me.

PADRE: Insomma, cinque ‘insomma’ di meno ti avrebbero fatto comodo.

RAGAZZO: Beh, con quella cifra... a chiunque avrebbero fatto comodo.

PADRE: Anche a me che non li ho persi. (Ride. Pure il ragazzo è costretto a ridere)  Bevi, bevi.

(Il Padre versa. I due bevono.)

RAGAZZO: Allora me lo dice cosa c’è?

PADRE: Tu ami tua moglie, vero Francesco?

RAGAZZO: Oh, moltissimo. Moltissimo.

PADRE: E hai tanta paura di perderla, vero?

RAGAZZO: Ma io non penso di doverla perdere.

PADRE: Certo che no. Ma l’idea che possa accadere: quella ogni tanto ti viene.

RAGAZZO: Mai come stasera. E’ un incubo, guardi, un incubo.

PADRE: Sia chiaro: fa’ conto che io ti parli come se non si trattasse di mia figlia. Da uomo a uomo, d’accordo?

RAGAZZO: D’accordo.

PADRE: Tu pensi davvero di potertela permettere? Ne sei certo, sì?

RAGAZZO: Giovanna?

PADRE: Tua moglie. Una moglie qualsiasi. Una donna. Una donna per sempre.

RAGAZZO: Perché no? Lavoro, ce la metto tutta.

PADRE: Oh, Francesco Francesco... non sarà mai per questo che potrai perderla.

RAGAZZO: E allora?

PADRE: Il corpo di una donna. E’ gigantesco il corpo di una donna, non lo sai? Gigantesco. Il corpo di una donna per sempre. E il corpo di una donna non è solo il corpo. Ma tutta la sua realtà. I suoi mille bisogni. Le sue fantasie. - Lei stessa, anche volesse, non potrebbe mai dirtelo a parole. - Voi fate l’amore, sì? L’avrete già fatto, naturalmente.

RAGAZZO: Beh...

PADRE: Siete sposati, l’avrete già fatto.

RAGAZZO: Sì. Un po’.

PADRE: Risposta degna delle tue mani. Oh, bada: ottime mani. A me piacciono molto. Però mi dicono una cosa. E non la prendere come una sentenza ma solo come un avvertimento, altrimenti me ne resto zitto e non se ne parla più.

RAGAZZO: Cosa?

PADRE: Di quella rottura tra noi... tu sai tutto, solo un po’ o proprio niente?

RAGAZZO: Insomma.

PADRE: Ahi ahi ahi ahi, ci sei cascato. Giuro, non volevo tenderti un tranello.

RAGAZZO: O Madonna, io però non è che ho molti soldi con me...

PADRE: Ma ti pare che potrei sottrarre dei soldi a mio genero? Ne va del benessere di mia figlia. Nuove regole. (Tira fuori il libretto degli assegni. Compila una cedola. La stacca e la mostra al ragazzo che rimane con un’espressione strabiliata)  Non sarà per una sistemazione definitiva, ma un po’ di autonomia, se Dio vuole! Anche per i tuoi, che mi piacerebbe conoscere al più presto. - La metto qui. Però almeno quel viziaccio te lo voglio togliere. Ora decidi tu. I soldi sono tuoi. O brucio l’assegno, o mi dai, che so... a tua scelta: qualcosa di tuo, quello che ti pare. Che facciamo? Brucio?

RAGAZZO: Ma di mio che?

PADRE: Qualcosa che mi puoi dare subito. Via, ragazzo, è un gioco. Cinque secondi per decidere o lo brucio.

RAGAZZO: No, no - un attimo! Un attimo!

PADRE: Quattro, tre...

RAGAZZO: Le scarpe! Le scarpe! Vanno bene le scarpe?

PADRE: Perché no? E te ne potrai comprare certo di migliori.

(Il Ragazzo si leva le scarpe e gliele dà.)

PADRE: Vogliamo finirlo il nostro discorsetto?

RAGAZZO: Sì, la prego.

PADRE: Io non dico che tu, con tua moglie, sia in pericolo. Solo che devi stare in guardia. Giovanna si arrabbiò con me perché convinta che sia stato io a mandarle a monte quell’altro matrimonio. E’ vero. Si era scelto uno che come genero, a me, non piaceva proprio per niente. Tanto che poi ha dovuto convincersi anche lei. E proprio il fatto di essersi convinta, misteri del cuore umano, l’ha fatta scappare via. Assurdo, vero?... “Voglio pensare con la mia testa... farmela da me la mia vita, anche dovessi sprofondare all’inferno!” - L’ho offesa convincendola. Dice che è sempre stato così. Beh, quello aveva mani che mi disgustavano, mentre in lei scatenavano la passione. Tu, invece, hai dita pallide e gentili con le quali mi sento di poter andare d’accordo. Nient’altro. La vita futura è tua, e non posso che augurarti - che augurarvi - buona fortuna. Capisco, comunque, che tu abbia potuto interessarla.

RAGAZZO: Ma mi ama! Non ne ho mai dubitato. Ora non so chi quest’altro, o cos’altro, insomma, potesse...

PADRE: Fermo lì!... “Insomma potesse” - che ti giochi?...

RAGAZZO: O Dio mio, non lo so!

PADRE: Le regole sono regole. Uno, due...

RAGAZZO: Le calze, le calze... aspetti, le do le calze!

PADRE: Sei proprio un testone. Possibile che non ti riesca di stare un poco attento?...

(Il Ragazzo si sfila le calze e gliele dà. Entra Fangio con un piatto d’arrosto e lo va a poggiare in mezzo alla tavola.)

PADRE: E’ con te Giovanna?

FANGIO: Sì, con me.

PADRE: (Al Ragazzo)  Forse vale la pena di farla tornare, tu che dici? Vi siete già presentati voi due?

FANGIO: Sì, prima.

PADRE: (A Fangio)  Tu non sai la notizia. E’ il marito della signorina Giovanna, ormai non più signorina.

FANGIO: Ho sentito.

PADRE: (Dandogli scarpe e calzini)  Vuoi portare via queste, per cortesia? Vincite al gioco. E se la fai venire... (Fangio esce)  Personaggio molto meno misterioso di quanto non sembri. Un discendente del famoso pilota. Così dice. Pochi ci credono, ma tanto è bastato a trasformare il suo cognome in soprannome. (Una pausa)  Eccolo: è lui quello dalle mani troppo volgari. Ottimo lavoratore, ma di qui a ritrovarselo dentro casa come parente... - No, il suo ruolo era un altro. Cercava una sistemazione, senonché, cieco come una talpa, sbagliava ad ogni passo. E’ andato a piatire presso Giovanna facendo la parte di quello che le avrebbe cambiato la vita mentre, in realtà, cercava qualcuno che cambiasse la sua. E Giovanna più che se stessa cosa poteva dargli? Se stessa e ancora se stessa, poi finito. Senz’altro più confacenti, a lui, erano i panni dell’orfano. E come un orfano io l’ho accolto. - Oh, forse troverai di cattivo gusto... di’ tu: t’infastidisce?

RAGAZZO: Sì, ma ormai ci sono.

PADRE: Smetto?

RAGAZZO: Spero, a questo punto, che il peggio sia già passato.

PADRE: Nessun peggio. Cogli, piuttosto, il senso dei tuoi meriti - Tant’è... una settimana prima del gran giorno lo prendo da parte e gli dico: come la farai vivere? Come la manterrai? Solo di te? - E cosa s’aspettava, lui, se non quello che gli ho offerto? Una fonte di sussistenza, un buon lavoro. L’unico che potessi dargli. E l’unico che, ancora oggi, può permettersi di avere. Ma lei no. S’infuria. Le sembrava di rientrare come una sguattera nella casa dalla quale usciva come una padroncina. E per viaggio di nozze, un bel girotondo nel cortile. (Ride)

RAGAZZO: Ma è orribile!

PADRE: Certo! E’ orribile che lui... abbia detto di sì. E che l’abbia detto in faccia a tua moglie. Ma mio caro, vivere è decidere. Lei aveva deciso. Io ho proposto. Lui ha deciso. Dinnanzi a tua moglie che gli urlava come una pazza: “Fallo e sparisco”, e a me, calmissimo, che gli ripetevo: “Sta a te decidere”... ha deciso. Eccolo qui. Dal suo punto di vista, un’eccellente decisione. Chi potrebbe immaginare una vita più tranquilla della sua! Dal punto di vista di tua moglie, che è lo stesso tuo di adesso, ne convengo che appaia orribile. E Giovanna, sino a stasera, io non l’ho più rivista. Grazie per avermela riportata.

(Una lunga pausa. Il Ragazzo si alza, con passi incerti si muove verso la porta della cucina. Tende l’orecchio per ascoltare cosa accada di là.)

PADRE: Silenzio?...

RAGAZZO: Perché non torna?

PADRE: Si staranno raccontando un po’ di cose. Il tempo è un gran signore. Poi ora ha te: le riuscirà finalmente di guardarlo con quella pietà che non ha mai osato avere per lui. - Chiamala, va’.

RAGAZZO: Perché non torna? - Giovanna! Giovanna!

PADRE: Non farti venire idee banali.

RAGAZZO: Giovanna, insomma! Abbiamo finito, vuoi venire o no?

PADRE: Che mi dai? Uno, due...

RAGAZZO: Dio mio, non lo so...

PADRE: Tre, quattro...

RAGAZZO: Ma lo bruci, chi se ne frega!

PADRE: Dico cinque? Sicuro... (Accende un fiammifero)

RAGAZZO: All’inferno! (Si leva la maglia e gliela lancia addosso)

PADRE: Non sai perdere, ragazzo.

(Rientra Giovanna con le scarpe di Francesco e lo vede così come si trova: a piedi scalzi e in maniche di camicia.)

FIGLIA: Beh, come ti sei conciato?

RAGAZZO: E tu che stavi facendo?

FIGLIA: Volete spiegarmelo cosa significa?

RAGAZZO: Ti ho chiesto che stavi facendo.

FIGLIA: (Al Padre)  Perché è senza scarpe?

PADRE: Stupidaggini. (Servendo nei piatti)  Via, che c’è l’arrosto.

FIGLIA: Cosa gli hai detto? Cosa gli hai fatto? Perché è senza scarpe?

RAGAZZO: Fatti miei perché sono senza scarpe. Frégatene!

FIGLIA: Lo sto chiedendo a lui! (Al Padre)  Perché è senza scarpe?

PADRE: Giochiamo. Tutto qui. Sù, ciascuno al suo posto.

FIGLIA: (Al Ragazzo)  Rimettitele! - Hai capito che ti ho detto? Rimettiti subito le scarpe!

PADRE: Sono mie, non può.

FIGLIA: Tue un accidenti! (Al Ragazzo)  Rimettitele!

RAGAZZO: Perché non me l’hai detto chi sapevi di ritrovare in questa casa? Perché non me l’hai detto?

PADRE: Francesco, mi deludi. Quelli erano discorsi nostri.

FIGLIA: (Al Padre)  Grazie, papà. C’era proprio bisogno.

PADRE: (Al Ragazzo)  Non sapeva un bel niente. La fai più maliziosa di quanto non sia.

RAGAZZO: Io? Se è stato lei a dirmelo!...

PADRE: Ma, caro, sono passati cinque anni. Come poteva immaginarsi di trovarlo ancora qui? In verità, un servo tanto fedele era cosa che andava oltre ogni mia aspettativa.

FIGLIA: (Al Ragazzo)  Adesso l’hai capito con chi ti sei messo a fare i tuoi giochetti?!

PADRE: A sedere, ragazzi, a sedere.

RAGAZZO: Però, tu, di che storia schifosa si trattasse mica ce l’hai avuto il coraggio di dirmelo!

FIGLIA: Non ti azzardare! Schifoso è quello che ti ha raccontato lui. E te che l’hai ascoltato.

RAGAZZO: E di là, adesso, cosa ci sei andata a fare? Che?

FIGLIA: Sì, a scoparmelo magari!

PADRE: Buoni, buoni. Vediamo di non trascendere.

RAGAZZO: (Al Padre)  E lei lo dica che non me l’invento! In tutti i modi ha cercato di farmelo capire.

PADRE: Io? Che?

RAGAZZO: Che non ci avrei la forza, vero? Mentre l’altro, invece, sì.

PADRE: La forza per che cosa?

RAGAZZO: Di riprendersela quando gli pare. Che pure se si ficca nella merda sino al collo, gli basta di fare così e se vuole se la riprende.

PADRE: Solo perché t’ho chiamato “manine pallide”? Non esagerare.

FIGLIA: Rimettiti le scarpe, è ridicolo.

PADRE: Ma sì, fallo. Anche a me pare da scemi scatenare tutto questo putiferio per una bagatella. (Accende un fiammifero)

RAGAZZO: No, non voglio!

PADRE: (Spegnendo)  Basta che ti decidi.

RAGAZZO: Niente da decidere. Già deciso. Non ho paura di nessun gioco. Inutile che mi fate credere che ce l’ho: non ce l’ho. Le scarpe non le rivoglio. Sono sue.

PADRE: Definitivo? Possiamo andare avanti?

RAGAZZO: Certo che possiamo.

FIGLIA: (Scagliando con forza le scarpe sulla tavola)  Complimenti a tutti e due! Bel guadagno. (Al Ragazzo)  Ti piace questo, vero? Ah, come ti piace. Ti fai coprire di fango e sei felice.

RAGAZZO: Giovanna, non farmi passare per cretino perché non lo sono. Nessuno, che non sia completamente scemo, si comporterebbe diversamente da me. Ormai, sia che mi rimetta o no quelle fottutissime scarpe, ci sarebbe, comunque, tanto da sputarmi in faccia quanto da dirmi bravo. E allora insomma preferisco che mi si sputi in faccia e mi si dica bravo venendomene via, per la prima volta nella mia vita, guadagnandoci qualcosa. (Al Padre)  No, non faccia il buffone, non si metta a contare! Me ne sono accorto, me ne sono accorto. (Si sbottona la camicia, se la sfila e la lancia sul tavolo)  Potessi strapparmi la lingua a morsi!... Ma poi vada come vada: alla peggio mi vedrete in mutande.

(Un silenzio.)

FIGLIA: (Al Ragazzo)  Dio mio... davvero pensi di renderti conto?... Francesco, guardami. Davvero pensi di renderti conto? (Francesco tace)  Non capisci che, io e te, possiamo difenderci in una maniera sola: decidendo insieme. Rimanendo insieme. Svegliati, amore. E rimaniamo insieme.

RAGAZZO: (In un soffio)  Sì.

FIGLIA: Rivestiti. Per piacere, rivestiti. - Lo fai?

RAGAZZO: (Sedendosi)  Magari... mi riesce di non dirlo più. Se non lo dico più... beh, sarebbe come se non fosse successo niente. Dài, cerca di pensarci. - Ma l’hai visto quanti soldi sono? Ci starò attento, giuro. Non ci cascherò più.

(Anche la Figlia, costretta al silenzio, torna a sedere.)

PADRE: Bene... vogliamo riprendere a mangiare? (Francesco addenta un primo boccone di carne)  Oh, finalmente!

(I tre mangiano. Il padre riempie i bicchieri di ciascuno ma a bere è solo lui. Infine ricomincia a parlare.)

PADRE: Mi fa piacere, Giovanna, scoprire che tuo marito sia un uomo molto responsabile. (Mangia)  Molto coscienzioso. - Poi, liberandolo da quel suo ‘tic’, vedrai che te lo restituirò migliore. Eh, l’ho capito il suo trucco. (Tace. Mangia. Francesco, nuovamente interessato, ha alzato gli occhi a guardarlo)  Quell’odiosa appoggiatura fa affiorare tutto ciò che, in lui, vi è di incerto, timido, debole. (Facendogli il verso)  “Perché io, insomma... ecco, insomma...” - Quando stringe i pugni, invece, è più difficile che ci caschi. E io lo sto un po’ costringendo a stringere i pugni. Adesso tu lo hai rimesso in crisi e lui, giustamente, avverte il pericolo e tace. Bravo, Francesco: stai imparando a conoscerti.

RAGAZZO: Potrei benissimo.

PADRE: Prego? Più forte.

RAGAZZO: Potrei benissimo.

PADRE: Cosa?

RAGAZZO: Parlare.

PADRE: Sarà.

RAGAZZO: Che non ho niente da dire.

PADRE: Sì, non dubito.

RAGAZZO: Se non ci crede, me lo dia lei un argomento. Avanti! Dica. Le interesserà sapere qualcosa di me, immagino.

FIGLIA: Per questo non preoccuparti, gli stai già facendo capire moltissimo.

PADRE: (A lui, accennando a Giovanna)  Guardala che comincia a fare il tifo.

RAGAZZO: Che vuole sapere?

PADRE: Patate? Un po’ di salsa?...

RAGAZZO: Vuole che le parli di mio zio? Del mio lavoro? Di che?

PADRE: Hai idee politiche?

RAGAZZO: (Quasi sfacciato)  Anarchico.

PADRE: Gesù, ancora ne esistono?

RAGAZZO: Io sì.

PADRE: Ma è un’espressione vetusta. Come dire: servo della gleba. Concreta se vetusta, astratta se riferita al presente.

RAGAZZO: Beh, io la vedo così.

PADRE: Non fare il laconico. Così come?

RAGAZZO: Né partiti, né niente. Le vere idee sono destinate a mutare continuamente.

PADRE: Viva la libertà! - Altre patate?

RAGAZZO: Ogni ideologia grida “viva la libertà”. Io non ho bisogno di gridarlo.

PADRE: Del pane?... Ancora salsa?

RAGAZZO: Eh?

PADRE: Parla, parla. Ti sto ascoltando.

RAGAZZO: Niente, quel che ho detto. Le opinioni sono menzogne, e se la mia volontà di non averne le sembra un’opinione... va benissimo, questo è esattamente quello che io intendo parlando di anarchia.

(La Figlia, sino a questo punto rigida e taciturna, ha uno scatto repentino: si lancia sul tavolo per impossessarsi dell’assegno. Fa volare bicchieri e bottiglie: non le riesce di afferrarlo al primo slancio. Francesco, che forse era già in allarme avendo intuito le intenzioni di lei, la blocca alla vita trascinandola indietro. Giovanna dà un altro colpo di reni. Raggiunge l’assegno e lo stringe in pugno. Francesco le serra il polso della mano destra spingendole l’altro, con forza, dietro la schiena.)

FIGLIA: Lasciami! Lasciami!

RAGAZZO: Che vuoi fare, disgraziata! Sei impazzita?

FIGLIA: (Lottando)  Vuoi lasciarmi, stronzo!

RAGAZZO: (Facendole picchiare ripetutamente il pugno con l’assegno contro il tavolo per obbligarla ad aprire le dita)  Lascialo giù! Lascialo giù!

FIGLIA: Mi fai male, figlio di puttana! Mi fai male!

(E riesce a ficcarsi l’assegno in bocca. Francesco l’afferra al volto impedendole di lacerare la carta. Le scuote la faccia. Lei geme.)

RAGAZZO: Sputalo! Sputalo!

(Lui tira per un angolo la cedola. Lei serra le mandibole e la carta si strappa. Il ragazzo, sconfitto, si ritrae crollando di nuovo affranto sulla sedia. Ha un pezzo dell’assegno, ormai distrutto, tra le mani. Giovanna respira a fatica stesa sulla tavola.)

RAGAZZO: Stupida... che bisogno c’era?... stupida...

(Giovanna si trascina, sofferente, giù dal tavolo. Anche lei si siede. Sputa in terra il resto dell’assegno.)

FIGLIA: Tutta la vita dovrai passare a dirmi grazie. Tutta la vita.

(Un lunghissimo silenzio. Il padre, sul cui volto scompare lo sguardo atterrito col quale ha assistito alla scena, rimette a posto, per quanto possibile, la tavola.)

PADRE: (A lui)  Non mi è piaciuto quello che hai fatto. Per un attimo avrei voluto ammazzarti. E se fosse durato solo poco di più... - non voglio bestie nella mia casa. Tu non la tratti così mia figlia. Non ci riprovare.
(Francesco fa lentamente di ‘no’ col capo)

Mai più, vero?

RAGAZZO: Perdonatemi... non lo sopporto... non ci riesco.

PADRE: Mi rendo conto. In fondo, non è colpa tua. (A lei)  Mi credi perfido? Come ti sbagli! E quando ti viene in mente questo pensiero, tu ricordati solo che tua madre è morta cadendo dalle scale. Per la mantovana di una tenda.- Le vere malizie sono nell’alto dei cieli, altro che in noi. (A lui)  Mi pare ingiusto che tu perda la tua roba per niente. (Tira fuori il libretto degli assegni. Ne compila ancora uno sotto gli occhi agghiacciati dei due. Lo stacca e lo depone sul tavolo)  Dal punto in cui eravamo.

(Si versa da bere. Beve)

RAGAZZO: Rinuncio.

PADRE: Ma dài!

RAGAZZO: Sì, rinuncio.

PADRE: Fai una cosa: quello che ti proponevi tu. Quando sarà il momento deciderai.

RAGAZZO: Le ho detto che rinuncio.

PADRE: Sì, sì, ho capito. E questo mi sembra già un bel passo. Nessuno te lo negherà. Hai detto le parole che lei voleva sentire. Probabilmente l’avrai fatta contenta. Me ne faccio carico io: non lo levo. - Capito, Giovanna? Lui non c’entra. Sono io. Il tuo terribile papà. Sù col morale. Bevete. (Beve)

FIGLIA: Fammi vivere la mia vita, te ne scongiuro.

PADRE: Perché? Cos’hai fatto in tutti questi anni? Quale vita hai vissuto? La vita di chi?

FIGLIA: Vuoi che te lo dica? Una vita di merda. Una vita condizionata. Di notte e di giorno, in ogni respiro. Dal primo all’ultimo. Sempre quella, in-so-mma, che hai voluto tu.

PADRE: (A lui)  Dillo tu “insomma”: una volta per tutte. Così me lo fai bruciare e chiuso. - Andiamo, dillo.

RAGAZZO: Per me già gliel’ho detto che rinuncio.

PADRE: Un po’ di stile.

RAGAZZO: Per piacere.

PADRE: Cosa ti costa?

RAGAZZO: Mi dà fastidio. Non mi va di fare tutto quello che pare a lei.

PADRE: Dunque, abbiamo zanne. Sono il primo a congratularmi. - Volete frutta? (A lui)  Tu?

RAGAZZO: No.

PADRE: (A lei)  E tu? (La ragazza fa di ‘no’ col capo)  Fangio!... Puoi portare la bottiglia. E i bicchieri!

RAGAZZO: Glielo chiedo per cortesia, non lo faccia venire.

PADRE: Motivo?

RAGAZZO: Non mi va di vederlo. Voglio andarmene.

PADRE: Nient’affatto. Credi di avere solo dei diritti? Hai anche degli obblighi. E se hai voluto che Giovanna tornasse per rispetto a me, devi anche rispettare ciò che rispetto io. E Fangio, oramai, io lo rispetto più di ogni altra persona al mondo.

RAGAZZO: Ma se cinque minuti fa l’ha chiamato volgare, miserabile, e Dio sa che altro!...

PADRE: Cinque minuti fa riferivo i miei giudizi di cinque anni fa. Ma se oggi Fangio venisse a chiedermi di sposare mia figlia, non dico Giovanna: una qualunque mia possibile figlia, mi sentirei onorato di dargliela in sposa. Perciò adesso voglio che brindi con noi.

RAGAZZO: Sputava facendo il suo nome!

PADRE: E se un malaugurato giorno, nella vita non si può sapere, anche lei dovesse scegliersi  un altro... voglia il cielo che sia di nuovo lui.

RAGAZZO: Ma cos’ha contro di me? Cosa le ho fatto, per Dio!

PADRE: E abbassa la voce! Non te lo permetto.

FIGLIA: Francesco, non l’ascoltare. Stai zitto. Fallo parlare e stai zitto. E’ questione di pochi minuti. Facciamoli passare.

RAGAZZO: (A lei)  O tu lo sai perché dice cosi? Un motivo ci sarà. Lo sai!

(Entra Fangio con un vassoio sul quale stanno una bottiglia di champagne e tre bicchieri.)

PADRE: (Al Ragazzo)  Non t’offendere, ma questa è una donna che tu puoi perdere. E non per una mia maledizione, ma nel corso della vita. (A Fangio)  Va’ a prendere un altro calice, ti vogliamo con noi. (Fangio riesce. Il Padre si rivolge nuovamente al Ragazzo)  Perdonami se tengo più a lei che a te, ma, da padre, sono convinto che lui, sì, sarebbe uno che ormai non la perderebbe più. Tuttavia ti lascio alle tue sfide con mille auguri di successo.

RAGAZZO: Io non me ne andrò di qui senza averle portato via qualcosa. Potessi morire, piuttosto!

FIGLIA: Stai zitto. Per carità, stai zitto.

RAGAZZO: E quello che mi porterò via non l’avrò vinto né ricevuto in regalo. Ma me lo sarò guadagnato.

PADRE: Se speri di dimostrarmi chissà cosa t’informo che non riesci a dimostrarmi un bel nulla. (A lei)  A te sì?

(Rientra Fangio con un quarto bicchiere.)

RAGAZZO: E con lui, io...

PADRE: Cosa con lui?

FANGIO: Dice a me?

RAGAZZO: Non mi ci costringa.

PADRE: Sì, Fangio: ce l’ha con te.

RAGAZZO: Non ce l’ho affatto con lui.

PADRE: Allora cos’è che volevi dire? Forse ho capito male.

RAGAZZO: Che questo brindisi mi sembra del tutto fuori luogo.

FIGLIA: Ti costa tanto? Statti zitto, bevi e ce ne andiamo.

PADRE: Capiscilo, figlia: non vuole fare il vigliacco davanti ai tuoi occhi.

RAGAZZO: Non voglio perché non lo sono.

PADRE: (Al Ragazzo)  Lo accetti un mio consiglio?

Spassionato. (Silenzio)  Chiedilo a lei se preferisce che resti oppure no.

FANGIO: Signore, mi scusi... davvero non vale la pena; posso benissimo restarmene di là. Non mi va di fare il burattino negli affari vostri. Un augurio lo esprimo di tutto cuore, ma se mi dite di restare per ridere di me...

PADRE: Stiamo ridendo, Fangio?

RAGAZZO: (Alla Figlia)  Tu vuoi che resti?

PADRE: (A Fangio)  Se è Giovanna a chiedertelo non penserai di essere preso in giro - Versa da bere intanto.

(Fangio comincia a riempire i calici.)

RAGAZZO: Vuoi che resti?

FIGLIA: Non lo so.

RAGAZZO: Insomma, lo vuoi.

PADRE: (Prendendo la bottiglia dalle mani del servo)  Aspetta, solo tre. (Porge la bottiglia a Giovanna che è costretta a prenderla)  Fai tu. - Fangio... il tuo bicchiere. - O non ti va di scoprire se colei che hai tanto amato prova ancora un briciolo d’affetto per te?

FIGLIA: (A Fangio)  Ti farebbe piacere?

FANGIO: Mi basta pensare... che lo vorresti.

RAGAZZO: Giovanna... Te ne rendi conto, vero?... Fallo andar via, ti supplico!

PADRE: Ehilà, giovanotto! Hai niente da dirmi, tu?

RAGAZZO: Eh?

PADRE: Prima hai detto ‘insomma’.

RAGAZZO: Non è vero, quando?

PADRE: Prima, a lei. Non facciamo gli imbroglioncelli.

RAGAZZO: Non è vero che l’ho detto!

PADRE: (A lei)  Tu te ne sei accorta che l’ha detto, di’ la verità.

FIGLIA: Sì, l’ha detto.

PADRE: (Al Ragazzo)  Allora? Che mi dai?

FANGIO: Giò, lascia quella bottiglia.Se avevamo qualcosa da dirci già ce lo siamo detto prima. Va bene lo stesso.

(Giovanna guarda Fangio. Poi Francesco che la fissa. Il Padre comincia a battere, come contando, dei colpi sul tavolo. Infine, all’estremo dell’emozione, e prima di un quinto colpo che tarda ad arrivare, Francesco si slaccia i pantaloni e se li sfila. Ancora una pausa. Giovanna, con un gesto lento del polso, inclina la bottiglia e riempie il calice di Fangio.)

PADRE: (Alzando il bicchiere e staccando le parole l’una dall’altra)  Nella vita decidere è tutto. (Si alza. Accosta il bicchiere a quello della Figlia. Li fa tinnire. Poi a quello di Fangio. Quindi, sporgendosi verso il Ragazzo, chiama anche lui al brindisi)  Ignobile o coraggioso?... Ai posteri l’ardua sentenza. Freddo?...

(IL giovane lo fronteggia. E’ scosso da brividi. Alza il bicchiere di champagne. Poi, con un gesto improvviso, lo frantuma contro quello del Padre e, con un ringhio di bestia ferita, urla fortissimo: INSOMMA! - Salta sul tavolo ripetendo, ossesso, questa parola infinite volte.)

RAGAZZO: (Al Padre)  E cosa vuoi da me adesso? Cosa vuoi? Vuoi che ti do le mutande, il culo, cosa? L’anima, porco! Cosa vuoi? No, te lo dico io cos’è che vuoi tu! Dillo! In faccia a tua figlia: voglio lei! Voglio lei!

PADRE: Puoi darmi solo ciò che è tuo. E non ti obbligo nemmeno a darmelo.

(Prende l’assegno.)

(Il Ragazzo gli si lancia addosso, i due franano a terra.)

RAGAZZO: E’ mia! E’ mia! E’ mia! Giovanna è mia! E’ mia! E’ mia! Lo capisci che è mia!? Lo capisci che è mia!?

(Fangio si precipita sui due. Afferra Francesco alle spalle per strapparlo dal Padre. Il Ragazzo ha uno scarto felino. Prende dal tavolo la bottiglia di champagne, ancora mezza piena, e, tenendola per il collo, assesta un colpo tremendo sul ventre di Fangio che si accascia rantolante in terra.

Giovanna, con un grido, si lancia verso di lui.)

RAGAZZO: E non lo toccare! Non ci provare, hai capito!

PADRE: Eccola di chi è, bastardo! Volevi saperlo? Di uomini come lui. Tu non vali nemmeno la bava del suo sputo!

(Il Ragazzo, menando un secondo e tremendo colpo, lo risbatte in terra. E, sempre con una sveltezza su cui forse nemmeno pensava di poter contare, prende i suoi calzoni e, urlando, stringe in un abnorme legaccio le braccia del Padre incapace di difendersi.)

RAGAZZO: Ripetilo che non è mia! Te lo voglio sentir dire mille volte, un milione!... Ci devi lasciare il fiato a vomitare la tua rabbia! Vuoi vederlo di chi è? Vuoi vederlo?

(Afferra per un braccio Giovanna che si teneva stretta a Fangio. La getta sul tavolo e, confusamente, tenta di strapparle i vestiti di dosso. Lei strilla, chiama aiuto, piange. I movimenti del Ragazzo sono tanto più mostruosi quanto più goffi nella loro brutalità. Si capisce che l’arte del violentatore non gli è consueta, ma ormai ha perso ogni senno.

Infine Giovanna, smanacciando disperata sul tavolo, impugna una forchetta e gliela conficca in una spalla. Francesco ha un gemito, rotola su un fianco e poi giù in terra tamponandosi la ferita. La ragazza, con infinita lentezza, quasi con dolente cautela, scende a poggiare i piedi sul pavimento. Si rialza. Trema per lo spavento. Muove alcuni passi tra quei corpi di maschi abbattuti. Si china presso suo padre e gli libera le braccia. Va a quella che è stata la sua sedia nel corso della cena. Si siede. Guarda nel vuoto innanzi a sé.)

FIGLIA: Era una balla, papà. Non è vero che siamo sposati. Era una balla. Per difendermi. Per difenderlo. Gliel’ho chiesto io. - Diciamogli così e lui non avrà il coraggio... Non avrà il coraggio. - E ora non me ne importa. Te l’ho detto perché così doveva essere. E così sarà. No, non era una balla. Ci sposeremo. Mi hai convinto: il mondo è indegno di me, ma io non conosco nient’altro - e voglio quello che c’è. - Sì, me lo sposo. (Al Ragazzo)  Se tu vuoi ancora, a me non importa niente. Fangio c’era. C’è stato durante - e a te cosa importa di sapere a chi penserò addormentandomi, svegliandomi? E magari, un giorno, un istante prima di morire. A chi penserò. - Non cambia niente. Niente. (Prende l’assegno. Accende un fiammifero. Lo brucia.)