La clessidra

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LA CLESSIDRA

Commedia in un atto

di W.B. YEATS

Traduzione di Agar Pampanini

PERSONAGGI

IL SAGGIO

BRIGIDA, sua moglie

TIMOTEO il folle

UN ANGELO

Bambini e scolari.

Commedia formattata da

« La clessidra » fu definita dallo stesso autore come una « moralità » piuttosto di genere moderno che me­dievale. Vi si intrecciano molti temi: l'incompatibilità della ragione col misticismo; la saggezza del Folle che demolisce quella del Saggio, e la realtà dell'altro mondo che è celata dalla realtà di questo mondo. Il conflitto è simbolizzato nelle figure del Saggio che ha posto la sua fede nella ragione, e del Folle che intorno a sé in questo basso mondo vede « sprazzi luminosi dell'Eternità ». L'Angelo della Morte porta al filosofo II comando di metter ordine nella sua fa­miglia ed egli si dà a ricercare il pensiero che ha formato la sua vita, per ricavarne gli elementi coi quali deve ora crearsi l'Immortalità. Inizia la sua con­versione col rinnegar la ragione: suprema rinunzia di se stesso. Nella ricerca di questa fede, che il suo ra­gionare ha bandito dal mondo, egli ridiscopre quella disposizione d'animo onde si percepisce la verità e attraverso a quale processo si possa raggiungerne la conoscenza: «Soltanto nello smarrimento spirituale, o soltanto quando tutto quello che ci teneva in vita è scosso, noi  possiamo scorgere la verità ».

(Dal « Movimento romantico irlandese » dì Ellis Fermo).

Il palcoscenico è prolungato verso l'orchestra in modo da lasciare un largo spazio dinanzi al sipario. Alcuni sco­lari entrano e si dispongono davanti al telone, che è ancora chiuso. Uno di essi ha un libro.

Primo Scolaro             -  Ha detto di sceglierci da noi il sog­getto per la lezione.

Secondo Scolaro         -  Nessuno di noi è abbastanza saggio per farlo.

Terzo Scolaro              -  Ci vorrebbe una grande saggezza per sapere quello  che  dobbiamo sapere.

Quarto Scolaro           -  Voglio interrogarlo.

Quinto Scolaro           -  Tu?

Quarto Scolaro           -  La notte scorsa sognai di qualcuno che mi disse di interrogarlo. Stavo per dirgli: «Eravate in errore nell'affermare che non c'è Dio e non c'è Ani­ma... perché può darsi, così per dire, che ci sia qualche brandello di Dio nel vento... o sopra un cespuglio ». Voglio discutere con lui... anche se è una sciocchezza-riguardo al mio sogno; e vedrete come so discutere bene e quale sia il mio pensiero.

Primo Scolaro             -  Preferirei udire il ronzìo di una zanzara piuttosto che i tuoi pensieri. (Entra Timoteo il folle).

Il Folle                        -  Datemi un soldo.

Secondo Scolaro         -  Scegliamo un soggetto a caso. Ecco qui il suo librone. Voltiamo le pagine lentamente. Che uno di noi metta giù il dito senza guardare.

Il Folle                        -  Datemi un soldo.

Terzo Scolaro              - (prendendo il libro) Come è pe­sante!

Quarto Scolaro           -  Aprilo sulla schiena di Timoteo, così possiamo stare tutti attorno e vedere su che argo­mento cade la scelta.

 Secondo Scolaro        -  Fagli aprire le braccia.

Quarto Scolaro           -  Giù in ginocchio. Curva la schiena. Ed ora apri le braccia, come una di quelle aquile dorate nelle chiese. Sta fermo.

Il Folle                        - Datemi un soldo.

Terzo Scolaro              -  E' questo il grido che si addice a un aquilotto?

Secondo Scolaro         -  Io volto le pagine... (Al primo scolaro) Tu chiudi gli occhi e metti giù il dito.

Terzo Scolaro              -  E non potrà biasimarci per la scelta.

Primo Scolaro             -  Ecco, ho scelto. Scemo, sta fermo... Se è vero che ciò che è saggio pare strano e sembra un'assurdità, abbiamo fatto un'ottima  scelta.

Quarto Scolaro           -  E' arrivato il maestro.

Il Folle                        -  Nessuno vuol dare un soldo a un povero scemo?

(Uno degli scolari accompagna l'alzarsi del sipario, lasciando vedere il maestro seduto al suo tavolo. Sopra il tavolo, oppure posata sopra una mensola, c'è una cles­sidra. Uno degli scolari gli pone il libro davanti).

Primo Scolaro             -  Abbiamo scelto il brano per la le­zione, maestro: « Esistono due mondi, uno visibile e uno invisibile, e quando laggiù è estate è inverno da noi, e quando da noi è novembre è il tempo delle agnella, laggiù ».

Il Saggio                     -  Che brano, proprio questo brano! Che diavolo è successo qui, da ieri?

Primo Scolaro             -  Ma niente, maestro.

Il Saggio                     -  Sì, qualche follìa venuta col vento, o sor­ta dalle tombe degli antichi, vi ha fatto scegliere questo soggetto.,. Die nocteque contendo, sed quos elegi, quos amavi, in tirocinium vel dilabuntur [1]

Quarto Scolaro           -  Lo sapevo che era una sciocchezza, ma lo hanno voluto.

Terzo Scolaro              -  Non era meglio dirgli che siamo an­cora troppo inesperti?

Primo Scolaro             -  Qui sotto c'è un'altra frase... ma il significato non è chiaro... dice: «Lo scrisse un mendi­cante sopra un muro di Babilonia ».

Il Saggio                     -  E allora trovate qualche mendicante e chiedetegli cosa significa, perché io non voglio saperne di simili argomenti.

Quarto Scolaro           -  Vieni qui, Timoteo: quale è il si­gnificato del vecchio libro quando dice che ci sono pe­core che partoriscono i loro agnelli a novembre?

Il Folle                        -  Ma tutti lo sanno, tutti al mondo lo sanno: quando qui è primavera, gli alberi avvizziscono laggiù, e non ho forse udito io stesso, un freddo giorno di no­vembre, belare gli agnelli che sono laggiù?... Certamente, e non lo sa forse qualsiasi persona che abbia intelletto? E quando qui è notte, è giorno laggiù, perché molte volte ho visto le strade illuminate innanzi me.

Il Saggio                     -  Il mendicante che lo scrisse sul muro di Babilonia voleva dire che c'è un regno spirituale a noi invisibile o sconosciuto fino a che le facoltà con le quali noi dominiamo il regno di questo mondo avvizziscono come le foglie d'inverno. Un pensiero da monaci; il più nocivo dei pensieri che mai sia uscito da bocca di uomo. Virgas ut partus educant, colligunt aves, mens hominis nugas [2]

Primo Scolaro             -  Se voleva dire questo, giuro che do­veva avere le gambe come stuzzicadenti, gli occhi strabi­ci e una gobba rognosa e il cuore perverso, e che lo scrisse certamente per malignità.

Secondo Scolaro         -  Andiamocene a trovare un sog­getto migliore.

Quarto Scolaro           -  E forse ora mi lascerete scegliere.

Primo Scolaro             - Venite.

Il Saggio -                   -  Se questo fosse vero, tutto muterebbe d'aspetto e la corrente del mondo cambierebbe il suo corso e con essa questo e tutti i nostri pensieri corre­rebbero verso una nuvolosa e tempestosa primavera che sognano come sua sorgente. Sì, certo, verso un delirio della mente. E quello che è stato fatto sarebbe come non fatto e i nostri ragionamenti... come il vento! L'ho so­gnato due volte.

Primo Scolaro             -  Qualcosa lo ha turbato. (Gli scolari escono).    

Il Saggio                     -  L’ho sognato due volte in un sogno mat­tutino, ed ora nulla è più utile ai miei scolari che esser venuti con un pensiero simile alla visione del mio sogno. La ragione comincia ad offuscarsi; ancora un momento e la follia battendo il suo tamburo sghignazzerà e griderà ed io danzerò sulle ali del sogno. No, no, ma è come un falco, un falco dell'aria che assale all'improvviso... è già la terza volta... ed io non posso che tremare come un  uccello.

Il Folle                        -  Datemi un soldo.

Il Saggio                     -  Se io l'ho sognato due volte, essi non po­tranno che raccoglierlo.

Il Folle                        -  Non mi vuoi dare un soldo?

Il Saggio                     -  Che cosa vuoi? Cosa te ne importa se le parole che leggo sono saggezza o follia?

Il Folle                        -  Un maestro così grande e saggio non vorrà rifiutare un soldo a un povero scemo.

Il Saggio                     -  Ma se uno è folle quando dorme e sogna, perché mi chiami saggio?

Il Folle                        -  Oh, io lo so... lo so cosa ho visto.

Il Saggio                     - Già, vedere giusto è la perfetta saggezza qualunque sia il sogno che abbiamo sognato.

Il Folle                        -  Quando andai nei pressi di Kilcuan, dove una volta le campane suonavano ogni giorno all'alba, non udii che gente russare nel letto. Quando andai a Tubber-Vanach, dove i giovani di solito salivano la col­lina per recarsi alla fonte benedetta, li trovai invece seduti al crocicchio a giocare a carte. Quando mi recai a Carrickorus, dove i frati usavano digiunare e servire i poveri, li vidi bere e cedere alle femmine. E quando chiesi quale sfortuna aveva portato tutti quei cambia­menti, risposero che non era sfortuna ma saggezza che avevano appresa dai tuoi insegnamenti.

Il Saggio                     -  E tu mi hai chiamato saggio... Bisogne­rebbe ricompensarti per la tua buona opinione... Corri in cucina; mia moglie ti darà da mangiare e da bere.

 Il Folle                       -  Questo non è un consiglio da saggio.

Il Saggio                     -  Perché, Folle?

Il Folle                        -  Perché quello che si è mangiato non c'è più... Io voglio soldi per la mia borsa. Io devo compe­rare lardo nelle botteghe e noci al mercato; e qualche cosa di forte da bere per i giorni quando il sole è pallido; e trappole per prendere conigli e lepri, e grandi pentole per cuocerveli.

Il Saggio                     -  Ho altro da pensare che dare soldi ai pari tuoi.  Vattene!

Il Folle                        -  Datemi un soldo e vi porterà fortuna. 1 pescatori mi lasciano dormire nel solaio fra le reti perché porto fortuna, e in estate le creature selvatiche mi lasciano dormire vicino ai loro nidi e alle loro tane. Porta fortuna persino guardarmi; ma porta molta più fortuna darmi un soldo Se non portassi fortuna morirei di fame.

Il Saggio                     -  Perché quelle forbici?

Il Folle                        -  Non te lo dico. Se te lo dico, tu li scac­ceresti.

Il Saggio                     -  Scacciarli? E chi scaccerei?

Il Folle                        -  Non voglio dirtelo.

Il Saggio                     -  Neanche se ti dò due soldi?

Il Folle                        -  Ti porterebbe molta fortuna darmi due soldi, ma non voglio dirtelo.

Il Saggio                     -  Tre soldi?

Il Folle                        -  Quattro, e te lo dirò.

Il Saggio                     -  Va bene... quattro, ma da questo momento in poi non ti chiamerò più Timoteo il folle.

Il Folle                        -  Lascia che ti venga vicino perché nessuno mi senta; ma prima devi promettermi di non scacciarli. (Il Saggio fa un cenno di assenso) Ogni giorno degli uomini vestiti di nero, escono e stendono delle grandi reti sopra le colline, delle grandi reti nere.

Il Saggio                     -  Uno strano luogo per pescare.

Il Folle                        -  Le stendono sulle colline in modo da po­tervi impigliare i piedi degli angeli; ma ogni mattina, poco prima dell'alba, io esco e taglio le reti con le ce­soie e gli angeli volano via.

Il  Saggio                    - (parlando  eccitato)  Ah, ora le sei Timoteo il folle... Tu dicesti che sono saggia e ciò io ti dico che non ci sono angeli.

Il Folle                        -  lo ne ho visti tanti, angeli.

Il Saggio                     -  No, no, non li hai visti.

Il Folle                        -  Ce ne sono tanti purché tu ti guardi in­torno; tanti come i fili d'erba.

Il Saggio                     -  Tanti come i fili d'erba!!... Ho udito questa frase quando ero bimbo e mi raccontavano delle fole.

Il Folle                        -  Quando si è quieti, così quieti che forse non un solo pensiero passa per la mente, c'è qualche cosa che si sveglia dentro di noi, qualche cosa di felice e sereno; e allora tutto a un tratto si può sentire l'olezzo dei fiori d'estate e vedere degli esseri imponenti che passano fe­lici ridendo, ma non ci permettono di guardare i loro volti. Oh, no, non si deve guardare i loro volti.

Il Saggio                     -  Ti sarai addormentato in cima alla col­lina; ma ora anche quelli che sognavano gli angeli so­gnano  ben altre  cose.

Il Folle                        -  Ne ho visto uno proprio un momento fa... è perché io sono fortunato. Veniva dietro a me, ma non rideva.

 Il Saggio                    -  Non esiste nulla al di fuori di quello che gli uomini  possono  vedere  quando  sono  svegli. Nulla, nulla.

Il Folle                        -  Lo sapevo che li avresti scacciati.

Il Saggio                     -  Perdonami, Folle, avevo dimenticato con chi stavo parlando.  Bene,  eccoti  i tuoi  quattro  soldi... Folle, ti chiamano e  tutto  il  giorno  gridano:  « Vieni qua, Folle »  (Il Folle  gli  va  vicino).  Oppure,  «Folle, vattene  (Il  Folle  va  nel  punto  più  lontano).  Oppure, « Folle, sta qui » (Il Folle si ferma). Oppure, « Folle, vai a sedere  nell'angolo»  (Il   Folle   si  siede   nell'angolo). Che cosa erano tutti se non dei folli, prima che io ve­nissi? E che cosa sono ora se non specchi che sembrano uomini a  causa  della mia  immagine?  Alza  la  testa  (Il folle eseguisce). E quali stupide  storie raccontavano, di spiriti che frugavano nelle lenzuola del letto, o scricchio­lavano e strascicavano  i  piedi  nel  corridoio. E  se  era gente devota raccontava  di angeli  venuti  dal  cielo,  che stavano sulla soglia fissando con occhi vitrei ed immobili quei loro occhi non umani. (Un Angelo è entrato. Que­sta parte è preferibile sia  recitata  da  un  uomo,  se  si può trovarne uno dalla voce adatta; e deve avere un pic­colo domino   dorato  e   un'aureola  di  metallo.  O  tutta la faccia può essere  una bella maschera, nel qual caso va abolita la frase « Non si deve guardare i loro volti »). Però è strano, molto strano:  la più strana cosa che io sappia è che io stesso possa ancora essere perseguitato dall'idea che  c'è una  crisi  dello  spirito  nella  quale  si ha una nuova visione  e  che gli angeli per i loro  scopi conoscano   qualche   astuzia   che   volga   i   nostri   pensieri alla follia. Perché metti un dito sulle labbra? E scappi via? (Il Folle esce. Il Saggio vede  l'Angelo)  Che cosa sei? Chi sei tu? Credo di aver veduto qualcuno  di si­mile a te nei miei sogni, quando ero bimbo. Quella cosa intorno alla  testa...   quello   splendore   nei  tuoi  capelli... quella palma fiorita. Ma è tanto che non sogno più;  è tanto che non sogno più.

L'Angelo                     -  Io sono quell'astuto che tu hai chiamato.

Il Saggio                     -  Come, che ho chiamato?

L’Angelo                    -  Io sono il messaggero,

il Saggio                      -  Che messaggio puoi portare  a  uno  co­me me?

L'Angelo                     - (capovolgendo la clessidra).  Che tu morrai quando l'ultimo granello di sabbia sarà passato da questa clessidra.

Il Saggio                     -  Io ho moglie, bambini, allievi che non posso lasciare; perché devo morire? Il mio tempo è an­cora lontano.

L’Angelo                    -  Tu devi morire perché non un'anima ha varcato la soglia del Paradiso da quando hai aperto la tua scuola e l'erba vi cresce e la ruggine è sui cardini e quelli che devono starne a guardia sono soli.

Il Saggio                     -  E dove andrò quando sarò morto?

L’Angelo                    -  Tu hai negato che ci sia Purgatorio, perciò quella porta è chiusa; tu hai negato che vi sia Paradiso, perciò anche quella porta  è  chiusa.

Il Saggio                     -  Dove allora? Poiché ho detto che non vi è Inferno.

L'Angelo                     -  L'Inferno è il luogo per quelli che hanno negato; vi trovano ciò che hanno scavato e piantato, un lago di Spazio e una foresta di Nulla, ed ivi vagano alla deriva e mai non cessano di rimpiangere la sostanza.

Il Saggio                     -  Perdonami, Angelo benedetto, io ho nega­to ed ho insegnato agli altri a negare, ma come potevo credere prima che questa visione s'avverasse?

L’Angelo                    -  E' troppo tardi per il perdono.

Il Saggio                     -  Se soltanto avessi incontrato una volta il tuo sguardo fissarmi come ora... Ma come potete voi, che vivete al di là dell'incertezza di vertiginosi sogni, come potete voi sapere perché dubitiamo? Distacchi, ma­lattie e morte, l'erba che imputridisce, tempeste e care­stia sono i messaggeri che vennero a me. Perché taci? Tu porti in mano il perdono di Dio e non me lo darai. Perché taci? Se non avessi timore vorrei baciare le tue mani... no, no; il lembo della tua veste.

L’Angelo                    -  Soltanto quando il mondo sarà stato giudi­cato l'anima potrà maledirlo e irridendo alla sua caduta griderà di gioia. Che cosa è carestia, morte, malattia per l'anima che non conosce altra virtù che se stessa? E come potrebbe essa vivere pura e nuda senza vergo­gna mentre trema di piacere se il mondo che ragiona ammettesse la  sua  esistenza?

Il Saggio                     - E' difficile per te capire perché abbiamo dubitato, come è difficile per noi allontanare il dubbio-Quale follia ho detto? Non vi può essere nulla che tu non sappia. Dammi un anno... un mese... una settimana... un giorno, distruggerò quello che ho fatto... un'ora... dammi, il tempo che la sabbia impiega a passare per questa clessidra.

L’Angelo                    -  Benché tu non possa distruggere quello che hai fatto, ho questo potere se, prima che la sabbia sia passata, tu trovi una sola anima che ancora crede, un solo pesce che abbocchi per depositare le sue uova fra le pietre affinché la rete del grande Pescatore sia piena di nuovo, passato il fuoco del Purgatorio potrai volare alla tua pace. (Si sentono gli alunni cantare in lonta­nanza: Chi ha rubato il mio senno E dove se ne è andato?.

Il Saggio                     -  Prima che tu abbia iniziato l'ascesa al Cielo io avrò trovato quest'anima. Essi dicono di dubitare, ma quello che le madri hanno instillato nelle menti fin dall'infanzia, non si dimentica tanto facilmente. Inoltre posso confutare quello che prima avevo dimostrato... dammi perciò qualche pensiero, qualche argomento più potente dei miei.

L'Angelo                     -  Addio... addio... perché sono stanco del peso del tempo. (L'Angelo esce. Il Saggio fa un passo per seguirlo, poi si ferma. Qualcuno dei suoi alunni entra dall'altro lato del palcoscenico).

Primo Scolaro             -  Maestro, maestro, sceglieteci voi il soggetto. (Entrano altri scolari con il Folle, danzandogli attorno. Tutti gli scolari avranno dei piccoli cuscini sui quali si siederanno).

Secondo Scolaro         -  Ecco un soggetto. Dove è andato il senno dello Scemo? (Cantando):

Trovatemi  il mio   senno,

Nessun sa dove sia:

Con le sue stesse gambe

Se n'è scappato via.

Il Folle                        -  Datemi un soldo.

Primo Scolaro             -  Te lo troverà il maestro il tuo senno.

Secondo Scolaro         -  E quando te lo avrà ritrovato, tu non dovrai più mendicare.

Terzo Scolaro              -  E' nascosto in qualche parte, nella tana del tasso, ma tu devi portare un lume se vuoi tro­varlo.

Quarto Scolaro           -  E' su, sopra le nubi.

Il Folle                        -  Datemi un soldo.

Primo Scolaro             - (cantando): L'intelletto  già perduto Ora voglio a te ridare: Ma su, affrettati:  se fugge Tu non lo potrai trovare.

Secondo Scolaro         - (cantando) Più non lo trovi  certo, Nascosto è nella luna. L'angelo te lo prese Bambino nella cuna.

Il Saggio                     -  Tacete.

Primo Scolaro             -  Ma non vedete che è turbato? (Tutti gli scolari sono seduti).

Il Saggio                     -  Nullum esse Deum dixi, nullam Dei matrem: mentitus vero, nani recte intelligenti sunt et Deus et Dei mater      [3]

Primo Scolaro             -  Argumentis igitur proba; nani argu-menta poscit qui rationis est particeps[4]

Il Saggio                     -  Pro certo habeo et vobis unum quidem in fide praestitisse unum altius quam me vidisse[5]

Secondo Scolaro         -  Ma voi rispondete per noi.

Terzo Scolaro              - (sussurrando al primo scolaro) Fai attenzione a quello che dici; perché se ti persuade si farà poi beffe di noi.

Primo Scolaro             -  Noi non avevamo idee finché voi non ce le avete date.

Il Saggio                     -  Quae destruxi necesse est omnia reaedificem[6]

Primo Scolaro             -  Haec rationibus nondum natis opi-nabamur, nunc vero adolevimus, exuimus incunabula[7]

Il Saggio                     - Voi temete di dirmi quello che pensate perché io sono impulsivo e mi arrabbio quando mi si contraddice. Ma non vi biasimo per questo e non abbiate paura, perché se c'è qualcuno di voi che sorride come se i miei argomenti fossero dolci come il miele e poi li trova amari, io, se parla a cuore aperto, lo ringrazierò.

Primo Scolaro             -  Non c'è nessuno, maestro, non c'è nessuno che  non li trovi dolci come  il miele.

Il Saggio                     -  Le cose che ci sono state dette nell'in­fanzia non sono poi così labili.

Secondo Scolaro         -  Non siamo più bambini, ora.

Primo Scolaro             -  Non iam pueri sumus; corpus tantummodo ex matre fictum est[8]

Secondo Scolaro         -  Docuisti, et nobis persuadetur[9]

Il Saggio                     -  Mendacia vobis imbui; mentisque simu­lala [10]

Secondo Scolaro         -  Nulli non persuasisti[11]

Altri Scolari                - (parlando tutti insieme) Nulli, si nulli[12]

Il Saggio                     -  Vi ho ingannati... Dove posso trovare le parole?... Non ho pensieri... la mia mente è stata completamente spazzata... I messaggeri che stanno sulle nubi fiammeggianti ci dardeggiano se solo osiamo dubitare, dopo di che la luna di Babilonia tutto cancella.

Primo Scolaro             - (agli altri scolari) Credo che intendi parlare dei visionari e dei martiri che illuminati e tras­portati in un celeste rapimento, perdono il lume della conoscenza e  divagano  poi anche ad occhi aperti.

Secondo Scolaro         -  Come imita bene la loro abiliti nel parlare!

Primo Scolaro             -  La loro aria di mistero!

Quarto   Scolaro         -   Il  loro   sguardo  vuoto timi avessero mirato a cose alate e non potessero più degnare l'umanità!

Primo Scolaro             -  Maestro, noi tutti abbiamo imparato che la verità sì apprende quando l'intelletto è lucido e freddo come uno specchio terso che riflette un mondo immutabile; e non come quando l'acciaio si fonde gorgogliando e sibilando, finché non rimanga altro che fumo.

Il Saggio                     -  Quando è fuso e ribolle, essi camminano come quando vicino a quei tre nella fornace vi era l'im­magine del quarto[13]

Primo Scolaro             -  Maestro, ma non c'è nessuno in noi che non vi abbia udito farvi beffe di pensieri come questi, e noi non lo abbiamo dimenticato.

Il Saggio                     -  Qualche cosa di incredibile è accaduto.. qualcuno è venuto a un tratto come un grigio falco dell'aria e tutto quello che io ho dichiarato non vero, è vero.

Primo Scolaro             - (agli altri scolari) Si direbbe, dal modo come lo dice, che parlasse sul serio. Non c'è com­mediante che lo uguagli.

Secondo Scolaro         -  Argumentum, domine, profer[14]

Il Saggio                     -  Quale altra prova posso dare se in un istante fa un angelo stava in quel luogo? ( si alzano).

Terzo Scolaro              -  Lo avrete sognato.

Il Saggio                     -  Ero sveglio come lo sono ora.

Primo Scolaro             - (agli altri) Per quanto so, può darti che io stia sognando. Ci vuol dimostrare che nel monili non abbiamo una prova certa di nulla.

Secondo Scolaro         -  La prova c'è e dimostra che siamo svegli... Tutti noi abbiamo uno stesso mondo, mentre ogni sognatore ha un suo mondo.

Terzo Scolaro              -  Timoteo vede gli angeli. Perciò si il maestro dice di aver visto un angelo può darsi  che uno ne abbia visto.

Primo Scolaro             -  Forse sono entrambi dei sognatori. a meno che non si provi  che  gli angeli erano uguali.

Secondo  Scolaro        -  Come  sono  gli angeli, Timoteo!

Terzo Scolaro              -  Questo non prova niente, a meno che   non   si  possa   accertare   che   una  prolungata convivenza abbia reso un angelo  simile a un altro  angelo, tome fossero uova.

Primo Scolaro             -  II maestro tace ora, perché ha ca­pito che discutere con noi... poiché tutto quello che sap­piamo ce l'ha insegnato lui... è come ragionare con se stesso. Andiamo a vedere se c'è ancora un credente.

Il Saggio                     -  Sì, si, trovatemi uno  che ancora possa dire: «Credo in Pattern et Filium et Spiritum Sanctum» .

Terzo Scolaro              -  Se ne farà beffe e lo umilierà.

Quarto Scolaro           -  Fin  da principio ho  capito  che voleva qualcuno per discutere. (Escono).

Il Saggio                     -  Non so più ragionare? Tutto è buio, tutto è. buio! (Gli scolari ritornano ridendo. Spingono avanti il quarto scolaro).

Primo Scolaro             -  Ecco, maestro, la persona che cer­cate. Mentre si studiava in quel libro, disse che dopo tutto i monaci potevano aver ragione come essere in errore, e che se gli avessimo dato tempo avrebbe dimo­strato entrambe le cose.

Quarto Scolaro           -  Non l'ho mai detto.

Il Saggio                     -  Caro amico, amico mio, credi in Dio?

Quarto Scolaro           -  Maestro, hanno inventato tutto per prendersi gioco di me.

Il Saggio                     -  Tu hai paura di me.

Quarto Scolaro           -  Lo sanno benissimo, maestro, che lo dissi per indurli a discutere. Mi hanno spinto dentro per farsi gioco di me; perché sapevano che avrei po­tuto sostenere le due cose e batterli.

Il Saggio                     -  Se tu puoi dire il Credo con un solo gra­nello, un granellino di miglio dì fede, tu sei l'unico amico della mia anima. (Gli scolari ridono) In questo mondo di lacrime, una donna, amante o moglie, non può darci che una buona o cattiva sorte, ma tu puoi dare l'eternità e i rapimenti celesti. (Gli scolari si guar­dano l'un Infiltro in silenzio).

Secondo Scolaro         -  Come è strano!

Il Saggio                     -  L'angelo che stava lì in quel posto, disse che la mia anima era perduta se non trovavo uno che avesse fede.

Quarto Scolaro           -  Smettete di prendermi in giro, maestro, perché io sono sicuro che non c'è Dio, non c'è immortalità, e quelli che lo dicono ne fanno un rac­conto fantastico da un sogno morente per tormentare i nostri cuori. Va bene così, maestro?

Il Saggio                     -  Quell'instancabile clessidra si svuota senza posa e voi ve ne state qui, a discutere, a ridere, a di­sputarvi. Fuori dalla mia vista! Fuori dalla mia vista, vi dico! (Li spinge fuori) Voglio chiamare mia moglie, perché le donne che ci portano nelle tenebre del loro corpo, non possono che beffarsi della ragione che non lascia crescere nulla se non in luce. Brigida, Brigida!... una donna non rinuncia mai a tutta la sua fede, checche se ne dica... Brigida, vieni presto! Brigida! (Brigida entra. Indossa un grembiule. Le maniche rimboccate e le braccia nude infarinale) Moglie, in che cosa credi? Dimmi la verità, e non... e non... nel modo solito... che tu pensi possa farmi piacere. Tu preghi? Qualche volta, quando sei sola in casa, preghi?

Brigida                        -  Preghiere... no, mi hai insegnato a lasciarle da parte molto tempo fa. Da principio mi dispiaceva, ma ora sono contenta perché ho molto  sonno la  sera.

Il Saggio                     -  Tu credi in Dio?

 Brigida                       -  Oh, una buona moglie crede in quello che le dice il marito.

Il Saggio                     -  Ma qualche volta, mentre i bambini dor­mono e io sono a scuola, non pensi ai martiri e ai santi e agli angeli, e a tutte le cose nelle quali hai creduto una volta?

Brigida                        -  Io non penso a niente. Qualche volta mi domando se la biancheria è diventata bella bianca, op­pure esco a vedere se i corvi stanno beccando il man­gime delle galline.

Il Saggio                     -  Mio Dio... mio Dio! Voglio uscire io stesso. I miei scolari han detto che avrebbero trovato un uomo del quale io non avrei mai scosso la fede... può darsi che lo abbiamo trovato, perciò voglio uscire... ma se io vado non posso sorvegliare la clessidra e la sabbia passerà inosservata. Non posso andare... Non posso lasciare la clessidra. Va' a chiamare i miei sco­lari... Ora posso spiegare tutto. Soltanto quando quello che ci tiene in vita è scosso, soltanto nello smarrimento spirituale la verità può attraversare come un lampo la mente turbata. (Afferra Brigida mentre sta per andar­sene) Dirai loro che la Natura mancherebbe alla sua missione se l'anima non potesse trovare la verità in un baleno, sul campo di battaglia o fra le onde che sommergono... e dirai loro... ma no, non rispondereb­bero che come io ho insegnato loro.

Brigida                        -  Tu desideri qualcuno per intavolare una discussione.

Il Saggio                     -  Va' fuori a guardare se non ci sia qual­cuno lì, nella strada... Io non posso lasciare la clessidra, perché qualcuno potrebbe scuoterla e la sabbia passe­rebbe in un istante.

Brigida                        -  Non capisco una parola di quello che stai dicendo. C'è una folla che sta parlando coi tuoi scolari.

Il Saggio                     -  Va' fuori a vedere se hanno trovato un uomo che non mi abbia compreso o che non mi ascol­tasse quando insegnavo.

Brigida                        -  E' ben duro di essere maritate a un uomo dotto che vuole sempre discutere. (Esce).

Il Saggio                     -  Strano che io sia cieco davanti al grande segreto, e che un uomo così semplice possa averlo scritto sopra un filo d'erba col succo di una bacca, e ridere e piangere perché era così semplice. (Rientra Brigida seguita dallo Scemo).

Il Folle                        -  Datemi qualche cosa; datemi un soldo per comperare un po' di lardo nelle botteghe e delle noci al mercato e qualche bevanda forte per i giorni quando il sole non riscalda.

Brigida                        -  Non ho soldi. (Al Saggio) I tuoi scolari non riescono a trovare nessuno che voglia discutere con te. Non ce n'è uno in tutto il paese che abbia sufficiente religione per gli amatori di bestemmie. Non puoi star tranquillo ora, e non desiderare sempre di trovare degli argomenti? Deve essere terribile avere un cervello a quel modo.

Il Saggio                     -  Se è così, sono morto senza speranza.

Brigida                        -  Ed ora lasciami andare; devo fare il pane per te e i bambini. (Va in cucina, lo Scemo la segue).

Il Saggio                     -  Bambini, bambini!

Brigida                        -  Vostro padre vi vuole, correte da lui. (/ bambini entrano correndo).

Il Saggio                     -  Venite qui, bambini. Non spaventatevi. Io desidero sapere se credete nel Paradiso, in Dio, nel­ l'Anima... no, no, non rispondete ancora; non spaven­tatevi che non andrò in collera. Dite quello che più vi piace... quello che è il vostro pensiero... Volevo che sa­ peste,  prima   di  parlare,   che  non  mi  arrabbierò.

Primo Bambino           -  Non abbiamo dimenticato, babbo.

Secondo Bambino      -  Ohi no, babbo.

Entrambi i Bambini    - (come ripetendo una lezione) Non c'è niente che non si possa vedere, niente che non si possa toccare.

Primo Bambino           -  La gente sciocca diceva che c'era, ma tu ci hai insegnato meglio.

Il Saggio                     -  Andate dalla vostra mamma, andate... anzi no, non andate. Cosa può dirvi? Se io non vi parlo siete perduti; ed ora, poiché la sabbia corre giù, non ho che un momento per spiegarvi tutto. Bambini, la linfa che alimenta i fili d'erba  si  disseccherebbe  se essi 'dubitas­sero. I fili d'erba capiscono tutto perché sono le dita dell'infallibilità di Dio, tuttavia non possono fare che il loro gesto nell'aria, ma se avessero un linguaggio ve lo dimo­strerebbero. Ma cosa posso dirvi io che sono uno, mentre essi sono milioni e non parleranno?... (/ bambini sono corsi fuori) Ma se ne sono andati; cosa li ha fatti scap­pare? (Il Folle entra: ha in mano un soffione) Guardami, dimmi che il mio volto è cambiato; vi è già il marchio dell'unghia   di  Satana?   E'  terribile   a  vedersi   ora   che il   momento   è   vicino?  (Andando   verso   la   clessidra) Non   oso   guardare,   non   voglio   sapere   quale   sarà   il momento nel quale verranno. No, no, non oso. (Copre la clessidra) Ci sarà un rumore di passi, un suono lace­rante, oppure uno schianto, come se una morsa di ferro avesse  afferrato  la  pietra   della   soglia?  (Lo  Scemo  ha incominciato   a  soffiare   sul  fiore  che   aveva   in   mano quando è entrato) Che cosa stai facendo?

11 Folle                       -  Aspetta un minuto... quattro... cinque... sei...

Il Saggio                     -  Ma perché fai così?

Il Folle                        -  Sto soffiando sul fiore del diavolo per sa­pere a che ora sarà.

Il Saggio                     -  Tu hai udito ogni cosa ed è per questo che vuoi sapere a che ora sarà., vuoi saperlo per poter guardare la turba di diavoli che trascineranno via la mia anima. No, non resterai; non voglio che nessuno sia qui... nessuno! Eppure... eppure... c'è qualche cosa di strano in te. Mi sembra di ricordare qualche cosa. Che cosa era? Tu credi in Dio e nell'Anima?

Il  Folle                       -   Ora  me  lo  domandi?  Pensavo,  quando interrogavi  i  tuoi  scolari:   « Lo   domanderà  a  Timoteo lo  scemo?  Sì,  lo   domanderà».  Ma  Timoteo  non  dirà nulla. Timoteo  non dirà nulla.

Il Saggio                     -  Dimmelo, presto.

Il Folle                        -  lo dico: «Timoteo sa tutto, nemmeno i gatti dagli occhi verdi e le lepri che succhiano il latte alle vacche hanno la sapienza di Timoteo », ma Timoteo non parlerà, non dirà nulla.

Il Saggio                     -  Parla, parla, perché qui sotto la sabbia scorre e quando l'ultimo granello sarà passato, io sarò perduto.

Il Folle                        -  Non parlerò. Non voglio dirti quello che è nella mia mente. Non voglio dirti cosa c'è nel mio sacchetto. Perché tu puoi derubarmi i miei pensieri. Ho incontrato un tipo, ieri sulla  strada, che mi  disse: «Timoteo, dimmi quanti soldi hai nella tua borsa; scout metto tre soldi che non ce ne sono venti; lasciami metter dentro la mano e contarli ». Ma io afferrai più strettì la mia borsa e di notte, quando vado a dormire, la nascondo  dove nessuno sa.

Il Saggio                     -  Non c'è più che un pizzico di sabbia, ed io sono perduto se non sei l'nomo che cerco.

Il Folle                        -  Oh, quante cose sa lo Scemo; ma non dice nulla.

Il Saggio                     -  Sì, ricordo ora. Tu parlasti di angeli. Tu dicesti poco fa che avevi visto un angelo. Tu sei quelli che cerco e io sono salvo.

Il Folle                        -  Oh, no, come può il povero Timoteo vedere gli angeli? Timoteo racconta ora una storia, ora un'altra, e tutti gli danno dei soldi. Se Timoteo non avesse le sue storie morirebbe di fame. (S'interrompe e scappa fuori).

Il Saggio                     -  L'ultima speranza è sfumata, ed ora che è troppo tardi io vedo tutto: noi moriamo in Dio e ci sprofondiamo nella realtà... il resto, un sogno. (Lo Scemo torna indietro).

Il Folle                        -  C'era uno qui fuori... qui, presso la soglia, che aspettava, e  diceva:   «Entra Timoteo, e digli lutto quello che ti domanda. Ti darà un soldo se glielo dirai»,

Il Saggio                     -  Ne so abbastanza, ora che so che la vo­lontà di Dio prevale.

Il Folle                        -  « Aspettando che venga il momento... », è ciò che quello lì fuori stava dicendo, « io posso dirvi quello che mi domandate ». Ecco cosa diceva.

Il Saggio                     -  Taci. Possa la volontà di Dio prevalere in questo stesso istante, sebbene il Suo volere sia la mia eterna pena. Non ho nulla da chiederti: mi basta di sapere chi ha fissato la posizione delle stelle e delle nubi, Ed ora che so tutto, benché sia la mia dannazione, grido che quello che Dio vuole sia adempiuto sull'istante, La corrente del mondo ha mutato il suo corso e con la corrente i miei pensieri son corsi in una nuvolosa e tem­pestosa primavera che è la sua pura sorgente... sì, verso uno smarrimento della mente, perché tutto quello ci è fatto è come non fatto e i nostri ragionamenti... come il vento. (Muore).

Il Folle                        -  Uomo saggio... uomo saggio... svegliati ti dirò tutto per un soldo. Sono io, il povero Timoteo  lo scemo. Perché non ti svegli e dici: «Eccoti un soldo,  Timoteo»? No, no, tu non lo dirai. Tu ed io siamo i  due folli, noi sappiamo tutto, ma non parleremo. (Entra  l'Angelo con  in mano  lino scrigno) Oh,  guarda cosa è  uscito  dalla  sua  bocca!   Oh,  guarda  che  cosa è uscito  dalla sua bocca... la farfalla bianca!  E' morto, e io ho  preso la sua anima nelle mie mani; ma io lo so perché  tu apri il  coperchio  di questo  astuccio d'oro. Io debbo  dartela. Eccola dunque! (Mette la farfalla nello scrigno)  Egli ha  finito  di penare,  e tu  aprirai il coperchio nel  giardino del paradiso. (Chiude il sipario e rimane alla  ribalta) E' andato, è andato, è andato, ma venite qui tutti  voi, mortali, e guardatemi. 

Io  odo il vento  soffiare,

Io odo l'erba spuntare,

E so quello che so.

Ma non lo dico e via scapperò. (Esce).

FINE


[1] Combatto giorno e notte, ma quelli che scelsi e che amai, in pratica mi abbandonano.

[2] Come i germogli spingono fuori i rami per riunirvi gli uccelli, cosi la mente umana raccoglie le piccole idee.

[3] Vi dissi che non vi è alcun Dio, né Madre di Dio; ho mentito, perché, per colui che pensa rettamente, esiste Dio e la Madre di Dio.

[4] Prova con argomenti: perché chi ragiona domanda argomenti.

[5] Io lo ritengo per certo ed a voi, in verità, lo garan­tirà uno che ha visto più lontano di me

[6] E' necessario che io riedifichi ciò che distrussi

(1)[7] Queste cose reputavamo per ragioni non ancora for­mate; ora siamo adulti e ci siamo liberati dalle fasce.

[8] Non siamo più bambini; il corpo soltanto fu fatto dalla madre.

[9] Ci in segnasti e ci hai convinti.

[10] Vi ho colmato di menzogne e di illusioni

[11] Non persuadesti nessuno.

[12] Nessuno, nessuno, nessuno.

[13] Libro di Daniele: «Nabucodònosor»: Sidrae, Minae e Abdenago che rifiutarono di adorare l'idolo d'oro per l'E­terno Re.

[14] Provatecelo,  signore!