La coda del topo

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la coda del topo

la coda del topo

20-02-98

di

Alessandro Trigona Occhipinti

primo atto

Scena 1

Buio totale

Ratto: Trenta! Quaranta! Curva! Quaranta! Cinquanta! Curva! Cinquanta! Sessanta! Sessanta! Curva! Curva! Settanta! Ottanta! Curva! Curva! Novanta! Curva! Novanta! Curva! Cazzo, curva! Curva! Curva! (sussurrato) Curva…

Stefano: (fuori scena) Silenzio! Ratto, ho detto silenzio!

Pausa.

Ratto: Eccoti, bastardo! Ti ho sentito. Ora ti faccio vedere io, bastardo! Maledetto bastardo! Bang! Bang! Bang! Ti ho colpito, colpito, protrusione di lepidottero! Muori!

Vari rumori. Ratto emette diversi suoni con la bocca.

Ratto: E ringa pakia waewae tahahia. E kine nei haki. E ringa e ringa e toroua kei waho motonu. Kamate! Kamate! Karoa, karoa. Tenei te tangata puhuruhuru. Kana e tiki rai whaka whiti ra. A hupane ! A hupane ! Hupane kopane whiti te ra.

Si apre una porta sulla destra. Entr un fascio di luce. Stefano sporge la testa dentro.

Stefano: Ehi, Ratto! Che è tutto sto casino? Non riesco a dormire!

Ratto: Altro che dormire, Stefano. Tu ti stavi ammazzando di seghe. (ride)

Stefano: Le seghe ce l’hai tu in testa, figlio di puttana.

Ratto: Ehi, ehi, fratellino, non ti scaldare. Stavo solo scherzando. Non ti volevo mica offendere. Tanto lo so che le seghe non te le fai più almeno da quando l’uccello non ti si drizza più. (ride)

Stefano: Ratto, vedi di andare a fanculo tu e quel bastone bianco che ti porti dietro. Anzi, fai una cosa: mettitelo al culo e poi fammi sentire come ridi.

Ratto: Beh? Che sono tutti questi paroloni? Si parla così ad un povero fratellino cieco?

Stefano: Cieco il cazzo, Ratto. Sembra che tu lo faccia apposta.

Ratto: Apposta? Faccio apposta che? Ad essere cieco? Magari fosse. Almeno non me ne starei inchiodato qui, dentro questa maledetta stanza. Non posso neanche andare al bagno senza pisciarmi nelle mani.

Stefano entra e accende la luce. L’ambiente è giovanile: poster di rugby e di gruppi rock; un letto è incassato in fondo; sulla sinistra, c’è una finestra chiusa; vicino, una scrivania con computer; al centro della scena, una poltroncina girevole con Ratto seduto sopra con una pistola finta in mano. Ratto ha circa 25 anni. Il suo tono è decisamente sopra le righe, eccessivo. Stefano ha 22 anni. E’ un bel ragazzo.

Stefano: Con chi ce l’avevi?

Ratto: Con chi vuoi che ce l’avessi? Con un topo, con un maledetto topo che se ne andava tranquillo in giro per la stanza…

Stefano: Ratto, l’unico topo che c’è dentro questa stanza sei tu.

Ratto: Fratellino, credimi, c’era un topo, prima.

Stefano: Sì. Topolino, Minni, Qui, Quo, Qua. E tutta la banda Disney.

Ratto: Non fare lo stronzo, prima, ho sentito chiaramente un topo squittire.

Stefano: Ah balle! Sono tutte balle! E’ ora che tu la finisca con questa tua maledetta fobia dei topi.

Ratto: La mia non è fobia. Loro ci sono. Lo so, li sento. Sono reali. Esistono, esistono per davvero.

Stefano: I topi tu ce li hai dentro la testa. E ti stanno divorando il cervello.

Ratto: Cazzo, Stefano, dammi retta: i topi ci sono. E sono qui. Dentro questa stanza. Aspettano solo che tu, "segaculi" come sei, te ne vai per saltare fuori e scorticarmi la vita con il niente del loro tutto.

Stefano: Ratto, topi non ce ne sono, non ce ne sono più. Li abbiamo stesi tutti. L’ultima volta, ricordi? Con quelli della ditta. Abbiamo fatto quello che volevi: abbiamo fatto disinfestare la casa, tutto il palazzo. E adesso? Niente più topi.

Ratto: E quello che passeggiava prima per la stanza? Che cos’era? Un elefante? Un’ipotesi di singulto?

Stefano: Sarà stato anche un elefante, ma un topo non lo era di certo. Di topi, qui, non ce ne sono più, neanche uno piccolo, piccolo così. Nemmeno quello di Walt Disney è rimasto vivo. Li abbiamo seccati tutti, tutti! Ad eccezione di quelli che ti divorano il cervello. Dentro. (fa per andarsene)

Ratto: Stefano non è che te ne vai, adesso? Non mi lascerai qui da solo?

Stefano: Voglio dormire. Almeno un po'. Sono giorni che mi faccio un mazzo così per quest’esame di merda. Non ce la faccio più. Voglio solo dormire.

Ratto: E tu veramente lasceresti il tuo povero fratellino, cieco e derelitto, in balia di una orda di topi voraci? Faresti questo? Tu?

Stefano: Lasciami andare. Che c’ho bisogno.

Esce chiudendo la porta e lasciando la luce accesa. Ratto comincia a fare casino. Rotea sulla sedia girevole fingendo di sparare a caso.

Ratto: Topi - cazzo! - vi uccido, vi uccido tutti, ad uno ad uno. Topi. Bang! Bang! Bang! Smash! Topi, vi sintetizzo in una liquefazione di androgini. Bang! Topi di merda, non mi avrete. Mai! Crepate! Bang!

Stefano: (riaffacciandosi alla porta)Ratto?

Ratto: (roteando sulla poltroncina girevole e fingendo di sparare) Bang! Bang! Bang!

Stefano: Vaffanculo!

Stefano esce e chiude la porta dietro di sè. Ratto si ferma e tende l’orecchio come per ascoltare dei rumori, come se stesse "sentendo" qualcosa.

Ratto: Stefano. (pausa) Stefano! (pausa) Stefano!

Stefano: (affacciandosi di nuovo e furioso) Che vuoi, ancora?

Ratto: La luce! Ti sei dimenticato di spegnere la luce.

Stefano: (spegnendola) Se sei cieco come hai fatto a capire che era rimasta accesa?

Ratto: (di colpo serio) La sento. Sento il calore. Il suo rumore.

Stefano: Non dire cazzate.

Ratto: Sento la corrente friggere quando attraversa i fili. La percepisco.

Stefano: Che fastidio ti dà?

Ratto: È qualcosa che sfugge al mio controllo. Al buio siamo tutti uguali. Io non vedo. Tu non vedi. Anche gli altri non vedono. Con la luce, invece, sono solo io a non vedere. Mentre tu, gli altri, no.

Stefano: Gli altri? Quali altri?

Ratto: Quelli che ci sono, quelli che ci possono essere. Tu. Voi. Loro!

Stefano: Ratto, loro chi?

Ratto: Loro: i topi.

Stefano: Ratto, vaffanculo! (spegne la luce ed esce)

Ratto: (nella penombra) Maledetti, maledetti bastardi! Io vi spacco! Vi ammazzo tutti! Topi! Bang! Bang! Bang! (si estranea dal contesto intorno, si ferma e guarda cupo il pubblico) "Coloro che vanno ai morti/appesi distanti ciclici. Coloro che irrompono in una cadenza di articolazioni e sangue sparso come può essere sparso il sangue"! (buio)

Scena 2

Mattina. Si apre la porta. Entra Madre e va’ a sinistra ad aprire la finestra. La madre cercherà sempre di mostrarsi il più possibile serena.

Madre: Sveglia! Sveglia! Che è tardi. È ora di svegliarsi. Che il bagno ci aspetta.

Ratto: (svegliandosi) No, mamma! Vaffanculo!

Madre: (aprendo la finestra a destra) Non si dicono queste cose alla propria mamma.

Ratto: Mamma, voglio dormire.

Madre: È quasi mezzogiorno e tu vuoi ancora...?

Ratto: Non devo mica andare all’Università, studiare. Non ho più di questi problemi, io.

Madre: Questo non vuol dire che…

Ratto: Non ho più neanche gli allenamenti di rugby. Non ho niente, io. Niente! Sono morto, io.

Madre: Il sole è alto e tu ti devi fare il bagno.

Ratto: Non ho più nulla da fare io per il resto della vita, io… se non confliggere con il mio senso del niente.

Madre: Il fatto che tu sia... (stenta a dirlo) "cieco", non vuol dire che…

Ratto: Chiudi quella finestra, mamma, e lasciami in pace. A "morire".

Madre: … tu debba lasciarti andare. Senza reagire.

Ratto: Mamma, io vorrei sapere...

Madre: Avanti su, niente storie. Il bagno è già pronto. Ora ti porto di là, e ti ci annego in quella vasca.

Ratto: Lo facessi sul serio, mamma!

Madre: Lo faccio, lo faccio sul serio, Ratto. E poi vediamo. Intanto ti do una strigliata che ti faccio passare la voglia di dire stupidaggini.

Ratto: Mamma..... Noooooo!

Madre aiuta Ratto a mettersi seduto sul letto. Poi lo aiuta a rialzarsi.

Madre: Avanti, uno sforzo. Uno, due e tre!

Ratto: Mammaaaaa!!!

Madre: Niente storie. Avanti! Tuo fratello è già tornato dall’Università. Ed è di là con Silvia. Coraggio. Tirati su che ci facciamo belli. Per l’occasione.

Ratto: Non voglio! Non voglio. Spalmate la metempsicosi altrove, per favore. Giuda di un cane.

Madre: Niente storie. Marschhhhh!

Madre aiuta Ratto ad uscire dalla stanza. Appaiono Silvia e Stefano che comincia a perquisire la stanza recuperando diversi oggetti: coltelli, forchette, colpi della pistola finta.

Silvia: Che fai?

Stefano: Pulizia. Di queste. (mostrandole tutto)

Silvia: Ma che ci fa con tutta questa roba?

Stefano: Gli servono per difendersi. Dai topi.

Silvia: Dai topi? Quali topi?

Stefano: Ratto ha sempre avuto la fissazione dei topi. Era la sua passione: libri, studi, ricerche. Tutto quello che riguardava i topi lo ha sempre interessato. Una sorta di esperto in materia. Solo che, ora che è diventato cieco, i topi sono diventati il suo incubo.

Silvia: In che senso?

Stefano: Li sogna, li immagina, dice che vengono qui per rosicchiargli il cervello. Non so se mi spiego.

Silvia: No, non ti spieghi.

Stefano: Pensa che lo "assedino", crede che ce l’abbiano con lui, che gli vogliano fottere la vita. La psicologa dice che è solo un modo per punirsi.

Silvia: Punirsi per cosa?

Stefano: È convinto che quello che gli è successo sia stata colpa sua e basta.

Silvia: Vuoi dire che…?

Stefano: Pensa che sia lui responsabile dell’incidente e della morte di Maria.

Silvia: Ma non non guidava lei quella sera?

Stefano: Ratto é convinto del contrario. Pensa che fosse lui al volante. E’ difficile convincerlo, farlo ragionare.

Silvia: Ma cosa glielo fa credere?

Stefano: La macchina era la sua – dice - quindi non poteva che essere lui al volante.

Silvia: Ma lui era infortunato. Aveva una spalla lussata.

Stefano: È difficile oggi per lui ragionare. È confuso, tremendamente confuso. Lo dice anche la psicologa: lui non può capire, o forse non vuole farlo.

Silvia: E i topi? Che c’entrano i topi.

Stefano: Ratto si sente colpevole, responsabile della morte di Maria. La storia dei topi è solo un modo per punirsi, per infliggere quella punizione che pensa di meritare.

Silvia: È assurdo.

Stefano: Ratto è quasi fuori di testa, adesso. Per questo non voglio che tu stia qui, che tu venga a trovarmi. Non vorrei che…

Silvia: Stefano, se noi stiamo insieme vorrà pure dire qualcosa.

Stefano: Sì certo ma vedi, per me ora è difficile avere una vita normale, vivere una storia…

Silvia: Mi rendo conto ma…

Stefano: Almeno fino a quando tutto questo non si sarà chiarito e Ratto non si sarà calmato, non avrà ricominciato a ragionare e a capire.

Silvia: E la psicologa? Cosa dice lei?

Stefano: Quella è solo una stronza. Non è certo una in grado di aiutare veramente Alessandro, Ratto, per lui ci sono io, servo io. E basta.

Silvia: Mi sembra eccessivo.

Stefano: E ora scusami, vado di là, vado a vedere se hanno ancora bisogno di me.

Stefano esce. Silvia rimane da sola e si guarda intorno. Entra la madre, è affranta.

Madre: Ciao, Silvia. Come va?

Silvia: Io bene. E lei?

Madre: Credo che dovrei dire "bene".

Silvia: Non ne è molto convinta.

Madre: Con tutto quello che sta succedendo, non vedo come potrei esserlo.

Silvia: Certo.

Madre: Tu sei una cara ragazza, Silvia. Sono contenta che Stefano abbia trovato una ragazza come te…

Silvia: È gentile a dirlo.

Madre: … una ragazza che gli stia accanto in un momento così difficile. È bello in questi caso non doversi sentire soli. Come me.

Silvia: Signora…

Madre: Sapessi com’è difficile tutto questo. Io, qui, da sola. Se non ci fosse Stefano!

Silvia: Ma, mi sembra, che anche suo marito?

Madre: Dopo l’incidente, anche mio marito, il mio ex marito è tornato, cerca di essere presente, di aiutarci. Viene qui spesso, quando può. Chiama sempre. È premuroso, non c’è che dire. Solo che… (tace)

Silvia: Solo che?

Madre: Lui non può esserci sempre, sopratutto quando lui, Alessandro, comincia a dare di matto, a urlare contro i topi. Tutto diventa così difficile, tremendamente difficile, anche perché lui non collabora, non vuole farlo.

Silvia: Crede che lo faccia apposta?

Madre: Apposta, no. Ma se tu lo avessi conosciuto prima… Era, è intelligente. Con una gran voglia di vivere. Ha sempre avuto solo due grandi difetti: la tenacia. E il rugby.

Silvia: Posso capire il rugby, signora. Ma la tenacia? La considera un difetto?

Madre: Non ha mai voluto sentire ragioni, accettare deroghe. Se voleva qualcosa, quel qualcosa doveva ottenere. A qualunque costo.

Silvia: E’ ammirevole questo.

Madre: Non quando diventa ossessione, incapacità di accattare i limiti, i propri limiti, rendersi conto dove ci si può e ci si deve fermare.

Silvia: È forza di volontà, carattere.

Madre: Ostinazione. Avessi visto come affrontava i problemi. Con quale forza. Nulla lo poteva distrarre. Nulla. Neanche Stefano.

Silvia: E con lui? Com’erano i rapporti tra loro.

Madre: Erano inseparabili. Sempre.

Silvia: Anche adesso, però…

Madre: È diverso. Allora era Ratto a tirare le fila, a dire cosa bisognava fare.

Silvia: E Stefano?

Madre: Lui si lasciava guidare, fiducioso, lo stava a sentire. E lo seguiva come un’ombra. Tutto quello che Alessandro faceva, per lui era impareggiabile, insuperabile, sicuramente, ben fatto. Anche il rugby.

Silvia: (sorride) Anche il rugby?

Madre: Stefano non si perdeva neanche una partita del fratello. Gli faceva da autista, da massaggiatore, da tutto. Lui, Alessandro, era il suo modello, il suo eroe.

Silvia: Stefano non giocava?

Madre: Assolutamente no! Stefano aveva paura del rugby, paura di farsi male. Il rugby è uno sport violento. Per lui.

Silvia: Anche a me, devo dire, sembra incomprensibile.

Madre: Per Alessandro, invece, era una sfida con se stesso. E con la vita. Gli piaceva battersi, misurarsi con gli altri. Con la vita.

Silvia: Ma non è magro, anche piccolo per uno sport così duro?

Madre: Lui giocava da "mediano di mischia", doveva aprire il gioco, gestirlo. Doveva essere veloce, agile, scattante, aggirare la difesa avversaria, dettare i tempi. (pausa) Diceva che il rugby è come la vita: "ci sei tu – diceva – tu e gli altri. Ed è con gli altri che ti devi misurare anche se sono più grossi di te. Non puoi mica pretendere di confrontarti solo con quelli della tua stazza o con quelli più piccoli. E’ la vita a non permettertelo."

Silvia: Impressionante!

Madre: Il rugby era tutto per Alessandro. Una filosofia di vita.

Silvia: Viene difficile crederlo.

Madre: Eppure è così. È stato proprio al rugby che lo hanno battezzato "Ratto". Per quella sua passione per i topi. Lui comunque non se la prendeva, ci rideva sopra. Del resto era vero, i topi erano la sua passione.

Silvia: Il suo incubo.

Madre: Ora invece, pretende che tutti lo chiamino così. Anche noi. La psicologa dice che è un modo per esorcizzare le sue paure. Se non li puoi combattere, unisciti a loro.

Silvia: Deve essere devastante una cosa del genere.

Madre: Se non avessi Stefano credo che non reggerei.

Silvia: L’è di molto aiuto, vero?

Madre: Sapessi quanto è cambiato anche lui!

Silvia: In che senso?

Madre: Maturato. È come se avesse trovato, assunto un ruolo che prima non aveva. Come se prima, egli fosse "oscurato" dalla personalità di… del suo mito.

Silvia: Alessandro lo opprimeva?

Madre: Opprimerlo no. Alessandro non è mai stato cattivo. Non ha mai spadroneggiato. Anzi. Era molto paterno con Stefano. Lo coccolava, lo difendeva, lo aiutava, lo proteggeva.

Silvia: E questo impediva a Stefano di crescere, di maturare.

Madre: Invece, ora le parti si sono invertite. La personalità di Stefano è venuta fuori. E lui è cresciuto. Ora è lui a farsi carico di Alessandro, che lo coccola, lo aiuta, proteggendolo. In tutto e per tutto.

Silvia: Sembrerebbe quasi che l’incidente abbia prodotto, in lui, un effetto... (tace temendo di dire una cosa brutta)

Madre: …positivo! (penombra, le due donne, come continuando a parlare, escono)

Scena 3

Ratto entra e siede sulla poltroncina. Entra la psicologa che gli si siede vicino.

Psicologa: Allora?

Ratto: Allora, che?

Psicologa: Mi stavi raccontando?

Ratto: Le stavo raccontando?

Psicologa: No. Io dico: "mi stavi raccontando?". Tu devi solo rispondermi.

Ratto: Che?

Psicologa: Scusa, cerca di non essere indisponente. Mi stavi raccontando di tua madre.

Ratto: Ah, sì! Ricordo! (pausa) No. Aspetti. Non ricordo.

Psicologa: Mi dicevi di tua madre. Che non ti capisce.

Ratto: Ah, sì. Mia madre! (ci pensa) Mia madre non mi capisce.

Psicologa: Che intendi dire?

Ratto: Intendo dire che io le parlo e lei non mi capisce. Come lei.

Psicologa: (guardando con sospetto Ratto) Lei chi?

Ratto: Lei, lei!

Psicologa: Lei, io?

Ratto: E chi se no? Lei, io?

Psicologa: Ratto, non è che ti stai prendendo gioco di me?

Ratto: No! Certo che no! Io non potrei, non potrei certo. Anche perché… (tace)

Psicologa: Anche perché?

Ratto: Mi imbarazza dirlo.

Psicologa: Cosa ti imbarazza dirlo?

Ratto: La verità! Ecco! L’ho detta: la verità!

Psicologa: Ma quale verità?

Ratto: Ma quella che lei ha già intuito da tempo e che… io non posso, non riesco a dirle, a confessarle.

Psicologa: Senti, Ratto, io non so, non capisco. Tu non parli, non dici. Mi sembra quasi che tu mi voglia prendere…

Ratto: In giro? Ma io non lo sto prendendo in giro, dottoressa. Non posso. E’ talmente evidente quello che io… talmente evidente che se ne accorgerebbe anche un cieco.

Psicologa: Un cieco?

Ratto: Un cieco! Ecco vede, mi fa sragionare. Mi fa dire cose… Quando sono con lei… io… io… non so. Mi confondo.

Psicologa: Non sai cosa?

Ratto: Dottoressa, lei mi delude! E’ possibile che… non l’abbia ancora capito?

Psicologa: Ma capito che?

Ratto: Io l’amo, dottoressa. L’amo!

Psicologa: (sorpresa) Tu mi ami?

Ratto: Lentamente, molto lentamente, mi sono sentito, ho capito che… forse avrei anche potuto…

Psicologa: (sconfortata) Cosa?

Ratto: Maria non c’è più, non esiste più. E’ morta. Per sempre. Non solo fisicamente, intendo, anche sentimentalmente. Del fatto che lei non ci sia più, io non so… non credo… penso… ritengo…

Psicologa: Pensi cosa? Ritieni cosa? Parla! Per favore!

Ratto: Non me ne frega niente di Maria! Non me ne importa più nulla! Io penso solo a lei, dottoressa. E basta. È la circospezione intuitiva che mi traghetta verso l’inverso. Io vorrei toccarla, vorrei poterla stringere, baciare, toccarle quelle tette, che non vedo ma so che ci sono, quelle sue cosce, che non vedo ma so che mi vogliono, quel suo culo, che so che mi invoca…

Psicologa: Ma… ma, Ratto, cosa vai… cosa vai dicendo?

Ratto: (buttandolesi addosso) Io ho bisogno di te. Ho bisogno di sentirti, di sentire la tua voce, calda, appassionata. Ho bisogno di sentire la tua presenza, il tuo respiro, il tuo calore. Ho bisogno di toccarti, le tette, il culo. Ho bisogno di averti!

Psicologa: (divincolandosi) Ratto! Dio, che fai? Lasciami, lasciami stare, Ratto!

Ratto: Dottoressa, io ti amo!

Psicologa: Mio dio, no!

Cadono a terra. E si ritrovano rigidi, come sull’attenti, lui sopra di lei.

Ratto: (rimanendo rigido) Che facciamo? Scopiamo?

Psicologa: (c.s.) Non credo sia salutare.

Ratto: (c.s.) Salutare? Chi vuole salutare?

Psicologa: (c.s.) No. Dicevo. Non credo sia "igienico" che un dottore vada a letto con un paziente.

Ratto: (c.s.) Ma lei non è un dottore. È una dottoressa.

Psicologa: (c.s.) Fa lo stesso.

Ratto: (c.s.) La stessa cosa?

Psicologa: (c.s.) Un dottore o dottoressa non deve fare l’amore con un proprio paziente.

Ratto: (c.s.) E allora?

Psicologa: (liberandosi da lui e scappando fuori dalla porta) Scappo!

Ratto: (rimettendosi in piedi) Dottoressa, ma io la amo. Dottoressa, la prego, mi aiuti. Mi guarisca. Lei non può fuggire così. Non può lasciarmi. Solo! Con i miei rimorsi. Con il mio passato. Con il fantasma di…

Stefano: (uscendo dall’armadio) Che idiota! (ride)

Ratto: (tono complice) È andata via?

Stefano: (ride) Sembrava un fulmine!

Ratto: (ridendo e sedendosi sulla poltrona girevole) La sentivo sotto di me tremare di paura! Sembrava un budino, squagliato. Imperizia dell’equinozio.

Stefano: (ride) Avresti dovuto vederla! Era proprio terrorizzata.

Ratto: (smorfia di disappunto) Ecco, appunto! Avrei dovuta "vederla"!

Stefano: (ride) Non era neanche male, la "dottoressa".

Ratto: (sempre più contrariato) "Vederla"! Hai detto "vederla"!

Stefano: (c.s.) Poi c’aveva un culo! Dio, che culo!

Ratto: (smorfia di disappunto) Hai detto "vederla"! Io non ci vedo, stronzo! Non ci vedo più! E tu dici "avresti dovuto vederla".

Silenzio. Ratto ha l’aria furente. Stefano lo osserva. Serio.

Stefano: Sì! Ho detto: "vederla". E allora?

Ratto: (furente) Io non posso vederla, non posso più vedere nessuno! Sono cieco!

Stefano: E allora?

Ratto: (girandosi verso di lui come a volerlo cercare) Sei un bastardo, Stefano!

Stefano: Bastardo sei tu, tu, Ratto! Non è perché sei cieco puoi rompere le palle in questo modo!

Ratto: Io non rompo le palle. Io sono solo...

Stefano: Tu sei solo un povero stronzo che, siccome è diventato cieco, ritiene che tutti gli debbano stare dietro. A reggergli il gioco.

Ratto: Che hai detto?

Stefano: Stronzo! (esce)

Ratto: Stronzo? A chi? Eh? A chi? (lunga pausa. Ratto prende la pistola e la punta verso la porta) Bastardo! Figlio di…! Io ti… Io ti… Io ti sparo, maledetto. (impreca mentre sparando esaurisce tutto il caricatore. Finiti i colpi getta la pistola contro la porta poi si mette a roteare e canticchiare) "Io c’avevo una storiella, bella! Io c’avevo un cammello, bello! Io c’avevo un sorriso, riso! Io c’avevo una luce, truce! Io c’avevo un’occhio, cocchio! Io c’avevo un cuore (pausa) muore!" (un rumore. Improvviso. Come qualcosa che gratta) Cos’è? (tende l’orecchio) Cos’è stato? Stefano, sei tu? Mamma? (silenzio) Stefano? (rumore) Cazzo, un topo! (silenzio) E’ un topo. Lo sento! (rotea) Io, io vi ammazzo, vi ammazzo tutti! (silenzio) Topi, sincopata sintesi di pensieri ascetici! Ora vi faccio vedere io. Non vi conviene, non vi conviene stare qui. Con me. (rumore) Io, io vi spacco… (cerca la pistola) Merda! Non ho più la pistola. (rumore) Sono indifeso. Io, io sono indifeso. Ora, quello viene, il topo viene e mi… (silenzio)… e mi mangia il cervello. No! (rumore) Topi. (comincia a roteare con la mano tesa in avanti come se fosse una pistola) Topi, andate via! Via! Via da qua! Io vi, vi ammmazzo, vi ammazzo tutti. Tutti! Bang! Bang! Bang! Bang!

Si apre la porta. Entra Stefano. Ratto arresta il suo roteare puntando la mano a forma di pistola proprio contro il fratello.

Ratto: Bang!

Stefano: Cos’è? Una roulette russa?

Ratto: C’erano i topi.

Stefano: Era per questo che facevi casino?

Ratto: Ho paura dei topi.

Stefano: Lo so, stronzo. Solo che qui topi non ce ne sono.

Ratto: C’erano. Li ho sentiti.

Stefano: Nella tua testa li hai sentiti. (esce)

Ratto: Stefano?

Stefano:(riaffacciandosi) Che c’è?

Ratto: La pistola. Te l’ho tirata dietro, prima. Non so più dov’è.

Stefano: Arrangiati! (fa per uscire)

Ratto: Stefano, per favore, la pistola. Non so più dov’è.

Stefano: Così ti impari!

Ratto: Stefano, che ti costa. Anche se non ce ne dovessero essere, io ho paura, paura lo stesso. Per favore, non puoi darmi la mia pistola? (protende la mano verso il fratello che rimane immobile a guardarlo) Per favore. (Stefano prende la pistola e la porge al fratello e poi fa per andarsene) Stefano? Per favore. I colpi. Credo di aver finito i colpi. Puoi…?

Stefano: Vuoi i colpi? Ecco, tieni. Tieni i colpi. I tuoi dannati colpi. (dall’armadio prende i colpi e li da a Ratto)

Ratto: Grazie, Stefano. Sei gentile.

Stefano: Cerca di non rompermi più le palle, tu con i tuoi topi. Devo studiare quindi, niente urla, niente colpi se no, vengo e te li tolgo.

Ratto: Promesso: niente urla, niente colpi. A me serve solo sapere che se un topo mi salta addosso, posso difendermi, mettergli paura, sparando.

Stefano: Ecco, bravo. Niente urla, niente colpi. E spara solo se qualche topo ti dovesse saltare addosso. (ancora una volta fa per andarsene)

Ratto: Stefano?

Stefano: Che c’è ancora?

Ratto: Non è che mi puoi procurare una pistola? Una pistola vera, quella del babbo, che babbo ha lasciato.

Stefano: Cosa intendi fare? Non vorrai mica farti saltare le cervella?

Ratto: No. Niente! Niente di tutto questo. E’ solo per difendermi.

Stefano: (spazientito) Ancora questa storia?

Ratto: I topi ormai hanno capito che questa è una pistola finta, una scacciacani. Se invece avessi una pistola vera. Allora tutto cambierebbe. Si metterebbero paura. E allora sì che scapperebbero. Senza più tornare!

Stefano: Ratto, che cazzo dici?

Ratto: Solo tu puoi aiutarmi.

Stefano: Ma non mi far ridere! Un cieco con una pistola!

Ratto: Ti prego!

Stefano: Magari ti fai anche saltare le cervella!

Ratto: No, non potrei farlo. Mi serve per i topi.

Stefano: Tu sei pazzo! L’incidente ti ha mandato in pappa il cervello.

Ratto: Ti prego! La pistola, quella del babbo!. Solo questo ti chiedo. Niente di più. E poi, se vuoi, i colpi puoi tenerli tu. A me dai solo la pistola senza colpi. Così non posso fare niente di male.

Stefano: E allora a che ti serve la pistola vera senza proiettili?

Ratto: I topi vedono la pistola, quella vera. Così si spaventano e se ne vanno via. Per sempre.

Stefano: E ti metterai a fare la roulette russa?

Ratto: Cosa?

Stefano: Si. La roulette russa? Quando giri sulla poltroncina e spari a casaccio.

Ratto: Io non sparo a casaccio. Io li percepisco. (pausa) Li sento!

Stefano: Ma dai!

Ratto: Sì. Li sento e poi? E poi, è come se li vedessi.

Stefano: Ma non farmi ridere!

Ratto: Davvero!

Stefano: Allora, fammi vedere, Ratto. Fammi capire. Ti prego, fallo.

Ratto prende la pistola. E poi comincia a roteare seduto sulla poltroncina.

Ratto: Faccio così. Sto seduto e quando li sento, li cerco, cerco di capire dove sono. Capire le loro intenzioni. Se vogliono assalirmi. E poi? Giro. Giro. Fino a che non li individuo.

Stefano: Come un radar?

Ratto: Quando li ho fiutati… (si ferma e punta la pistola su di Stefano) …quando li ho fiutati, sparo. Così! (spara al fratello. Attimo di silenzio) E loro muoiono.

Stefano: Come fai a dirlo?

Ratto: Lo sento.

Stefano: Come fai ad esserne sicuro?

Ratto: Lo sento!

Stefano: Come fai ad esserne così sicuro?

Ratto: (urlando) Lo vedo!

Stefano: Lo vedi?

Ratto: Quando loro sono qui, avverto la loro presenza. È come se, improvvisamente, dal buio, vedessi prima brillare i loro occhi, vedessi i loro baffi. Sento prima digrignare i denti, palpitargli il respiro. E alla fine li vedo venire avanti. Vedo i loro occhi, i baffi, la coda! Capisco che vogliono assalirmi, divorarmi il cervello. E io li sento, li vedo. E allora sparo.

Stefano: E li colpisci?

Ratto: Se avessi una pistola vera, potrei uccidere il loro capo così mi lascerebbero in pace. Per sempre.

Stefano: Il loro capo?

Ratto: I topi hanno una gerarchia sociale molto rigida. Hanno un capo, uno solo. Ed ubbidiscono solo a lui. Ed è lui a volermi divorare il cervello. Lui!

Stefano: Lui a guidarli contro di te?

Ratto: Lui che ispira gli altri, li istiga. Se avessi una pistola vera lo potrei uccidere. Gli metterei paura. Così tutti fuggirebbero, mi lascerebbero in pace. Per sempre.

Stefano: Per sempre?

Ratto: Devo difendermi, devo. Per questo ti chiedo di darmi la pistola di papà. È nello studio, da qualche parte, tra i libri. Voglio farla finita una volta per tutte con loro, con quel corrermi intorno, quel non lasciarmi in pace. Con i miei pensieri.

Stefano: Ratto, tu sei pazzo. Pazzo sul serio.

Ratto: È consapevolezza, pura e semplice consapevolezza.

Stefano: (dopo averci pensato a lungo) Tutto questo mi sembra una stronzata, una vera stronzata!

Ratto: Credimi!

Stefano: (uscendo) ‘Fanculo!

Ratto: Ti prego, credimi! (lunga pausa) Credimi! (comincia a roteare rimanendo seduto sulla poltroncina girevole e facendo finta di sparare. Poi canticchiando) Maledetti topi, io vi ammazzo, vi ammazzo. Bang! Bang! Bang! (si estranea dal contesto, guarda cupo il pubblico) "Coloro ed ancora coloro che non sanno ma vanno aperti ad una miseria di cieli e serenate". (cambio luce, Ratto, preso il bastone, esce)

Scena 4

Entra la madre di Ratto riassetta la stanza. Entra il padre.

Padre: Allora?

Madre: Oh, cielo sei tu! Mi hai fatto spaventare!

Padre: Scusami non volevo.

Madre: No, non ti preoccupare. Quando sei arrivato?

Padre: Proprio adesso. Ho suonato. Mi ha aperto Gianna. Pensavo mi avessi sentito entrare.

Madre: Stavo mettendo in ordine. Così non ho sentito niente. Non ti aspettavo. Credevo fossi ancora all’estero. Per quel convegno.

Padre: Sono rientrato stanotte. Clara mi ha detto che tu mi avevi cercato e così...

Madre: (come confusa) Clara?

Padre: Mia moglie.

Madre: Ah, si, tua moglie, tua moglie, giusto.

Padre: Mi ha detto che ci sono stati dei problemi. Con Alessandro.

Madre: Ratto…

Padre: Si, certo: Ratto.

Madre: Ieri ha fatto un casino. Con la psicologa.

Padre: Che intendi?

Madre: Andrea, io non so più… (piange) non so più cosa fare con quel ragazzo.

Padre: (abbracciandola) Cara, ti prego. Non fare così.

Madre: Credo di non farcela più! Non riesco più ad andare avanti, così. Ci voleva anche la psicologa adesso. Ratto…

Padre: Alessandro.

Madre: … sì, certo, Alessandro. Alessandro è stato tremendo con lei.

Padre: Dov’è adesso?

Madre: Stefano lo ha portato a fare una passeggiata, per calmarlo. Quel ragazzo non può restare sempre chiuso in questa stanza. Deve ricominciare a uscire, a vivere.

Padre: No, certo. Ma dobbiamo cercare di essere forti.

Madre: Certo! È facile per te parlare, dire. Del resto, qui dentro ci sono io… io e Stefano. Mentre tu…

Padre: Fulvia, non puoi prendertela con me.

Madre: …tu sei fuori.

Padre: Credimi anche a me tutto questa storia pesa, pesa piombo: non stare qui con lui. Ma ho i miei doveri, anche nei confronti di Clara.

Madre: Di chi?

Padre: Clara, mia moglie.

Madre: Ah, si. Clara.

Padre: Ho degli obblighi nei suoi confronti. E nei confronti di Camilla.

Madre: Si certo, Camilla.

Padre: Camilla, mia figlia.

Madre: Certo, certo. Capisco.

Padre: Oltre che nei vostri.

Madre: Certo, nostri.

Padre: Non credere che per me sia semplice…

Madre: Semplice? No.

Padre: Sento sempre il peso di questo. Più sono lontano e più mi sento colpevole.

Madre: Certo, colpevole.

Padre: Fulvia, mi stai prendendo in giro?

Madre: Cosa?

Padre: Mi fai da eco. Stai ripetendo automaticamente quello che dico.

Madre: Non me ne sono accorta.

Padre: Già io mi sento un idiota così. Figuriamoci se continui a ripetere quello che dico.

Madre: Scusami, non volevo. Non so cosa mia sia preso. Ad un tratto, mi sono sentita come svuotata di tutto, come se niente mi riguardasse più: tu, Ratto, Stefano. Niente!

Padre: Ma ti senti bene?

Madre: Si, si, certo, certo.. Andrea, io sto bene, bene. Io.

Padre: Fulvia - lo vedi - io cerco sempre di essere presente

Madre: Mi rendo conto: sempre presente, cerchi di non far sentire la tua assenza. Solo che io non so se reggerò ancora a lungo. Ogni giorno è peggio.

Padre: Bisogna fare qualcosa.

Madre: Curarlo? Farlo operare? Ricoverarlo?

Padre: Lo sai, non c’è alcuna possibilità. Neanche un miracolo potrebbe…

Madre: Internarlo? Rinchiuderlo? Farlo lobotomizzare?

Padre: Fulvia, ma stai scherzando?

Madre: No. Fulvia non sta scherzando. Fulvia è stanca, angosciata. Sola, tremendamente sola.

Padre: C’è Stefano.

Madre: Stefano deve costruirsi la vita, la sua vita.

Padre: Ci sono io.

Madre: Tu almeno hai… hai…

Padre: Clara?

Madre: Sì, certo: lei. O come caspita si chiama. Che il diavolo se la…

Padre: Fulvia!

Madre: E poi hai Camilla, povera piccola.

Padre: Certo, povera piccola.

Madre: Mentre io sto qui. Con Ratto. A dare la caccia ai topi.

Padre: Non devi vederla così.

Madre: E come dovrei vederla ora che ha fatto scappare anche la psicologa?

Padre: Ma che è successo?

Madre: Ratto, l’ha aggredita. Gli è saltato addosso. E a cercato di…

Padre: Mio dio! E dire che quella donna sembrava essere un valido aiuto.

Madre: Forse lo era, almeno per me.

Padre: Ma lei che ha detto? Lascia l’incarico?

Madre: Non so, non lo sa neanche lei. Si è spaventata, impaurita. Ma, non so, il caso le interessa, le piace e forse… bisognerà convincerla. A tornare.

Padre: Le parlerò. Stasera stessa. Le faccio una telefonata e vadrai che… tornerà. Sono convinto, credo ancora che lei sia la persona giusta.

Madre: Sì, certo. La persona giusta.

Le luci si attenuano a sciamare mentre i due, fingendo di continuare a parlare, escono.

Scena 5

Entrano Ratto e Stefano. Rimangono nella penombra. Stefano messo a letto il fratello, va a spiare fuori dalla finestra.

Ratto: Allora?

Stefano: Allora che?

Ratto: Dico: che fa?

Stefano: Aspetta. Non vedo bene.

Ratto: Almeno tu qualcosa riesci a vedere. Io, invece…

Stefano: Eccola! Dio, è nuda, mezza nuda.

Ratto: Come "mezza nuda"?

Stefano: Praticamente le si vede tutto.

Ratto: E nella metà che non è nuda, cos’ha?

Stefano: Ha le mutandine di pizzo. Ed un reggiseno che c’è e non c’è.

Ratto: Ffffffffff, mi fa impazzire!

Stefano: Ssssst! Sta guardando fuori dalla finestra. Ha alzato lo sguardo.

Ratto: Stai giù. Stai giù. Lei sa che io la… (tace)

Stefano: T’ha beccato?

Ratto: Quando ero ragazzino. È stata la prima volta che… Stavo come uno stronzo a guardarla con la luce accesa. E’ stato naturale beccarmi.

Stefano: E che ha fatto?

Ratto: Ha chiuso la finestra. E basta.

Stefano: E tu che hai fatto? Una sega? (ride)

Ratto: Dopo quella volta spegnevo sempre la luce. E poi la guardavo con le tapparelle mezze abbassate.

Stefano: Così non ti vedeva.

Ratto: Ho sempre sospettavo che invece lo sapesse, che immaginasse e che lo facesse apposta a spogliarsi con le finestre aperte. Per farsi guardare da me.

Stefano: Una porca?

Ratto: Una volta ho cercato pure di rimorchiarla. Ma non mi ha filato di pezza.

Stefano: Quanti anni ha?

Ratto: Penso una quarantina.

Stefano: Però è bona lo stesso.

Ratto: C’ha pure tre figli.

Stefano: E il marito?

Ratto: Una testa d’uovo! Una sorta di idiota. Con i baffi. E la faccia da "pasqua".

Stefano: Me lo immagino.

Ratto: Stefano? Quella che ti scopi adesso com’è?

Stefano: Silvia? È carina. Ha gli occhi… i capelli… alta… e ha due tette…

Ratto: Ti piace?

Stefano: Certo che mi piace. E’ una brava ragazza, sicuramente carina. Ma niente che mi possa far innamorare sul serio. A te piuttosto…

Ratto: A me cosa?

Stefano: È proprio il tipo di ragazza che ti farebbe girare la testa. Se ancora ce l’avessi.

Ratto: Perché lo dici?

Stefano: Non volevi sapere com’è?

Ratto: Sì. Certo. Ma…

Stefano: Avrei anche potuto dirti una cazzata. È un "cazzobubbolo" poco interessante con i denti a coniglio, i capelli da strega, le gambe storte invece…

Ratto: Invece, cosa?

Stefano: Io non ti ho mai mentito, Ratto. Mai! E non ho nessuna intenzione di cominciare a farlo adesso che sei cieco. Non voglia mica approfittarmi di te, della tua fiducia come fanno gli altri.

Ratto: Gli altri chi?

Stefano: Bhe, insomma. Non per male. Delle volte basta poco: la convinzione di agire per il bene di qualcuno, evitargli sofferenze. Ci sono mille modi di mentire, mille motivi per farlo.

Ratto: Vuoi forse dirmi che mamma, papà, mi raccontano di Alice nel paese delle meraviglie?

Stefano: Per il tuo bene, solo per il tuo bene.

Ratto: Ho sempre avuto il sospetto. Loro - li sento - mi guardano e poi? Balbettano parole… Cazzate!

Stefano: Mamma mia!

Ratto: Che è successo, Stefano? Dimmi! Che è successo?

Stefano: Si è messa in ginocchio. La tua fatina si è messa in ginocchio per cercare qualcosa sotto il letto. Avessi visto!

Ratto: Non mi dire così, Stefano! Non mi dire così.

Stefano: Ratto, io quella me la farei proprio.

Ratto: Anch’io, anch’io la voglio!

Stefano: (voltandosi a guardarlo come illuminato) La vuoi, la vuoi sul serio?

Ratto: È da allora che non…

Stefano: Astinenza o…?

Ratto: Astinenza, proprio no.

Stefano: E la "topotta" qui sotto, la vuoi la "topotta"?

Ratto: Che domande: certo che la voglio!

Stefano: Ripetilo.

Ratto: La voglio!

Stefano: Ancora.

Ratto: La voglio!

Stefano: (dopo una lunga pausa) E l’avrai, la tua "topotta", l’avrai. Te l’ho prometto.

Ratto: Che intendi dire?

Stefano: Fidati.

Ratto: Stefano, che hai in mente?

Stefano: Fidati!

Si apre la porta, entra il padre.

Padre: ‘Mbe? Che è ‘sto buio?

Stefano: Veramente…

Padre: (accendendo la luce) Che stavate facendo al buio?

Stefano: (imbarazzato) Noi si stava…

Ratto: Papà, che dovevamo fare? Io sono cieco. Quest’altro è scemo, ha il cervello che è una simbiosi inorganica di atomi atrofizzati. Non ti viene forse in mente che la luce mi da’ fastidio e che Stefano ha accettato di farmi compagnia al buio.

Padre: Conosco la storia. E tu? Vicino alla finestra che stavi facendo?

Stefano: Ti giuro, papà, niente!

Padre: Niente? Fammi capire.

Il padre si avvicina alla finestra come a controllare.

Stefano: Stavo solo così, guardando fuori.

Padre: Qualche improvvisato spogliarello?

Ratto: Papà, che dici? Anche se quello è un segaiolo nato, figurati se davanti a me…

Padre: Non davanti, insieme a te.

Ratto: Figurati! Io sono cieco.

Padre: Cieco sì. Ma un po' di fantasia ti sarà pure rimasta.

Ratto: Giusto quella!

Padre: (guardando fuori) Niente! Tutto chiuso.

Ratto: (sorpreso) Come tutto chiuso?

Padre: Chiuso! Sbarrato! Murato! Non c’è nessuno, tanto meno nessuna.

Ratto: (a Stefano) Che è ‘sta storia?

Stefano: Niente! Niente. Poi ti spiego.

Padre: Spieghi a chi? Cosa?

Stefano: Niente, papà. È una stronzata. Tra noi.

Padre: Ho capito: ti ha descritto uno spogliarello che non c’è. Vero, Stefano?

Stefano: No, papà! Che vai dicendo?

Ratto: Si parlava solo del più e del meno.

Padre: Ragazzi, piano con le seghe.

Ratto: Altrimenti si diventa ciechi!

Stefano: Non è come credi, papà. Gli stavo solo raccontando di…

Padre: E com’era quella? Eh, Stefano? Bella? Ce l’aveva le mutandine oppure…

Stefano: Papà, per favore!

Ratto: Dice che aveva un culo che le parlava.

Stefano: Sì. E diceva quanto sei stronzo!

Padre: Bhe, vedo che quanto meno l’umore è buono.

Ratto: L’umore, si. È il resto che manca. La voglia di vivere…

Padre: Capisco. Senti, Stefano…

Stefano: Ho capito, papà. Devo lasciarvi, dovete parlare.

Padre: Non te la prendere…

Stefano: Prendermela? E perché? È lui ad avere bisogno…

Ratto: Lui chi?

Stefano: …del resto, si è fatto tardi e Silvia mi aspetta…

Padre: È solo una questione che io e tuo fratello dobbiamo parlare.

Ratto: Ehi, Stefano, se è perché dobbiamo parlare forse è meglio che tu rimanga. Silvia troverà qualcun altro da sbattersi stasera.

Stefano: Ehi, Ratto, dico: Silvia è la mia ragazza.

Ratto: Proprio per questo: è la tua ragazza che si sbatte un altro.

Stefano: Fanculo! (esce)

Ratto: Fanculo tu.

Padre: Dico: ragazzi ma è modo di parlare questo?

Ratto: Si scherzava.

Padre: Non ti sembra di esagerare? Di approfittartene un po' troppo. Il tuo modo di parlare è sempre sopra le righe.

Ratto: Papà, cerco solo di tradurre in parole quello che sento.

Padre: E che senti?

Ratto: Ecco. È questo il punto. Questo è quello che sento: l’impronta di dio.

Padre: Ti gira così male?

Ratto: Non sai quanto.

Padre: Mamma mi ha detto che…

Ratto: Mamma ti ha detto balle.

Padre: Ieri hai fatto i capricci.

Ratto: Mamma dice un sacco di balle!

Padre: Hai fatto i capricci?

Ratto: Ho solo invertito il senso dell’umanità dissipando il mio essere nelle contraddizioni universali.

Padre: Allora?

Ratto: È che oggi sarei dovuto andare agli allenamenti. E…

Padre: Alessandro, tu non giochi più a rugby. Non puoi più.

Ratto: È questo il punto: io non posso più, non posso più niente!

Padre: Capisco che non sia facile abituarsi… rassegnarsi…

Ratto: IÈ che mi sento nervoso, maledettamente nervoso.

Padre: Cos’è successo?

Ratto: Ho sognato Maria.

Padre: Capisco.

Ratto: Ho avuto paura e mi sono innervosito.

Padre: Paura di che?

Ratto: Che tutto dovesse ancora accadere: l’incidente. Che lei fosse ancora viva. E che dovesse ancora… Io sapevo dell’incidente. E allora la guardavo e mi dicevo: "ora glielo dico, le dico che deve morire". Ed invece non trovavo la forza, il coraggio per farlo. Lei mi guardava e mi chiedeva cosa avessi. E io rimanevo lì, muto. Senza sapere cosa dire. Senza sapere… (appare disperato)

Padre: Mi rendo conto…

Ratto: Lei mi guardava – dio! - come mi guardava. Ma io? Cosa potevo dirle: "Maria, tu devi morire, devi avere un incidente d’auto. E devi morire!"

Padre: Alessandro, Maria è morta. Devi fartene una ragione. E non è colpa tua l’incidente.

Ratto: Ma io lo sapevo, sapevo dell’incidente.

Padre: Come sapevi?

Ratto: Nel sogno! Sapevo dell’incidente. Ma non avevo il coraggio di dirglielo.

Padre: Ratto, lascia stare il sogno. Il sogno è un sogno e basta. Non puoi pensare che…

Ratto: Avessi visto, papà, come mi guardava! Ed io la guardavo – dio! – come la guardavo. Non avrei voluto. In quel momento – ecco! - in quel momento avrei voluto essere cieco per non guardarla, per non doverla più guardare negli occhi.

Padre: Devi dimenticarla, dimenticarti di lei. Per sempre!

Ratto: È impossibile, papà. Impossibile! Sono io che l’ho uccisa, io!

Padre: Non l’hai uccisa tu, Alessandro. Devi capire, renderti conto. Non guidavi tu quella sera. Non eri tu al volante.

Ratto: Ma la macchina era la mia! Ero io che… trenta, quaranta, sessanta!

Padre: Tu eri infortunato: uno scontro di gioco: la spalla lussata. Non potevi guidare, non potevi essere tu alla guida. Non quella sera.

Ratto: E’ inutile che cerchiate di… Sono io ad averla uccisa. Ero io che guidavo, io! Almeno così credo.

Padre: Tu non ricordi, non puoi ricordare. L’incidente. Lo shock. Al volante dell’auto c’era lei, Maria. E’ stata lei a sbandare. A causare l’incidente, ad andare giù nella scarpata. Al volante hanno trovato lei. E te accanto.

Ratto: Papà, io non ricordo. Non so. Sono confuso, molto confuso, ma mi è difficile crederti, credere una cosa simile.

Padre: Lo so, figlio mio. Lo capisco. Ma devi fartene una ragione.

Ratto: Una ragione? E’ facile per te… una ragione… poi quale ragione? Quella dei morti…

Le luci "sciamano". Ratto e il padre continuano a parlare. Il padre esce. Ratto rimane solo, seduto sulla sua poltroncina.

Scena 6

Entra Silvia.

Ratto: Chi è?

Silvia: Io.

Ratto: Io chi?

Silvia: Silvia.

Ratto: Leopardi non c’è. E’ andato via. Fuggito. Con l’infinito e la sua gobba.

Silvia: Non quella Silvia. Un’altra Silvia.

Ratto: (sgradevole) Sei la ragazza che mio fratello attualmente si…? (tace)

Silvia: …scopa.

Ratto: Esattamente. Si scopa.

Silvia: Sono proprio io: quella che Stefano attualmente…

Ratto: Stefano non è qui.

Silvia: …si scopa.

Ratto: È all’Università.

Silvia: Lo so.

Ratto: Doveva vedere una collega. Credo.

Silvia: Un’assistente. Per la tesi.

Ratto: Una che sicuramente lui si scopa.

Silvia: Si scopa tutte lui, vero?

Ratto: Avermi come fratello gli sarà pure servito a qualcosa, no? Avrà imparato?

Silvia: E a te a cosa è servito?

Ratto: Come?

Silvia: Sì, dico: avere lui come fratello a cosa ti è servito?

Ratto: Non saprei. Mi portava sempre la sacca agli allenamenti e alle partite. Mi serviva la colazione a letto. E (cattivo) mi lasciava scopare le sue ragazze.

Silvia: Questo faceva?

Ratto: Per lui, per loro, era, "è" un onore. Che io goda delle sue conquiste.

Silvia: Ius primae noctis.

Ratto: In un certo senso.

Silvia: Ratto? Sai una cosa: sei uno stronzo! (esce)

Ratto: È un onore, un vero onore che tu, che anche tu te ne sia accorta. (estraneandosi dal contesto, voltandosi verso il pubblico e fissando cupo) "Coloro che incalzano (retrivi) in fondo ai boccaporti elegia, nuova elegia, d’una verbalità scontrosa".

Scena 7

Ratto è seduto. Entra Stefano è arrabbiato.

Stefano: Ratto? Che è sta storia?

Ratto: Quale storia?

Stefano: Quella di Silvia. Mi ha detto che l’hai trattata male.

Ratto: Lei c’ha provato con me. Ha interpretato l’insofferenza come sintomo del tempo. E siccome non ci sono stato, allora…

Stefano: Ancora cazzate?

Ratto: …si è arrabbiata.

Stefano: Ratto, quando la finirai con tutte queste balle?

Ratto: Quando tu riuscirai a soddisfare sessualmente le tue donne.

Stefano: Sei un idiota! Un pezzo…

Ratto: Ti rode per la piccola?

Stefano: Me ne sbatto di lei.

Ratto: È venuta a lamentarsi?

Stefano: Mi ha solo raccontato.

Ratto: Ti ha detto che lo zietto si è comportato male? Che l’ha trattata male?

Stefano: Delle volte sei proprio insopportabile!

Ratto: Che fa? Ho messo in discussione il tuo regno?

Stefano: Se provi ancora una volta a trattarla male, giuro che…

Ratto: Il tuo impero vacilla?

Stefano: …com’è vero che sono tuo fratello, ti smonto pezzo a pezzo.

Ratto: Il tuo essere il padrone delle "ferriere"?

Stefano: Ti appiccico al muro. A calci…

Ratto: Ho messo in discussione il tuo ruolo di capo famiglia? È questo, eh?

Stefano: Non crederai perché sei cieco di poter continuare a fare quello che ti pare? A trattare tutti di merda?

Ratto: Non pensavo ci tenessi tanto, ero convinto che tu te la sbattessi e basta.

Stefano: Silvia non è una troietta qualsiasi.

Ratto: Darla agli angoli della strada tu come lo chiami?

Stefano: Pensa alla tua Maria.

Ratto: Che c’entra Maria, adesso?

Stefano: Sapessi quante volte me la sono scopata!

Ratto: Ehi, dico, bastardo! Lascia stare Maria, sai!

Stefano: Lei la dava solo per il gusto di darla.

Ratto: Ma io ti spacco la faccia, figlio di…!

Stefano: Provaci, bastardo! Cieco! Impotente!

Ratto si alza in piedi e comincia a tirare pugni a vuoto. Entra Silvia.

Ratto: Te ne approfitti perché io…

Silvia: Stefano!

Stefano colpisce con un pugno Ratto che cade a terra.

Stefano: Sì! Io me ne approfitto. E allora?

Silvia: Stefano? Ma sei pazzo!

Stefano: (a Silvia) Fanculo pure tu! (esce)

Silvia: (soccorrendo Ratto) Ratto, ti ha fatto male?

Ratto: (confuso) Chi? Ah, sei tu, mamma?

Silvia: Non sono tua madre. Sono Silvia.

Ratto: (c.s.) Silvia? Ah, si, Leopardi.

Silvia: La ragazza di tuo fratello.

Ratto: (c.s.) Quella stronza!

Silvia: (aiutando Ratto a rialzarsi) Sì. Quella stronza.

Ratto: (c.s.) Vedi che avevo ragione a dirlo.

Silvia: Ratto, credo che ti debba chiedere scusa.

Ratto: (c.s.) Di che?

Silvia: Di aver raccontato del nostro litigio a Stefano.

Ratto: (c.s.) Litigio? Quale litigio?

Silvia: Quello di ieri.

Ratto: (c.s.) E quello tu me lo chiami litigio? Quello era semplicemente un conoscersi, un conoscersi meglio, un affettuoso incontro. Mica era…

Silvia: Non pensavo che Stefano potesse avere una reazione simile.

Ratto: In altri tempi non avrebbe osato.

Silvia: Non voglio dividervi. So quanto voi siate uniti.

Ratto: Come Caino e Abele, Romolo e Remo…

Silvia: La colpa è mia, solo mia.

Ratto: …come i coglioni.

Silvia: Dirò a Stefano che mi sono sbagliata, che è stato solo un equivoco.

Ratto: Mi ha sfondato la faccia.

Silvia: Gli dirò di venirti a chiedere scusa.

Ratto: (toccandosi la mandibola) Però, devo dire che il "piccolo" comincia a crescere.

Silvia: Deve chiederti scusa.

Ratto: Niente scuse, niente di niente.

Silvia: Ma ti ha picchiato?

Ratto: Il rugby insegna a vivere: oggi le prendi, domani le dai.

Silvia: Ho sbagliato io. Ho soltanto sbagliato io. Mi dispiace, Alessandro.

Ratto: Come mi hai chiamato?

Silvia: Alessandro?

Ratto: Senti, "cosa", non farlo più, non chiamarmi mai più così. Io sono Ratto. Ratto! E basta. Mettitelo bene in testa. Ratto!

Silvia: Non volevo offenderti.

Ratto: Maria mi chiamava Alessandro. E lei è morta.

Silvia: Non volevo…

Ratto: (anche gentile) Non chiamarmi più Alessandro. Per favore. Altrimenti – guarda - vado da quel "sfasciapalle" del tuo ragazzo e mi faccio spaccare la faccia di nuovo.

Le luci "sciamano". I due rimangono come "sospesi". Silvia esce. Ratto è solo.

Scena 8

Entra la madre e vede Ratto seduto sulla sua poltroncina, appare affranto.

Madre: Stefano ha preso trenta all’esame.

Ratto: Incontrovertibilmente o come si dice: "chi se ne frega"

Madre: Alessandro!

Ratto: Ratto.

Madre: Ratto!

Ratto: Ratto non c’è. E’ andato via. Si è dissolto nell’infinitesima parte dell’io, la quintessenza del niente.

Madre: Tu non puoi, non devi sempre essere così…

Ratto: Oh, mamma, per favore, lasciami, lasciami stare. In pace.

Madre: Ratto, ma che hai?

Ratto: Mi è scoppiato il cervello.

Madre: È da alcuni giorni che sei particolarmente intrattabile.

Ratto: I pensieri si annodano attorno al fuso…

Madre: Non parli, non dici più niente.

Ratto: … e si cristallizzano diventato fosfatti e nebbia.

Madre: Hai sempre una faccia!

Ratto: Brancolo nel buio, nel vuoto…

Madre: Che fa? Avete litigato?

Ratto: …con questo me stesso che mi sta sempre addosso, appiccicoso e unto…

Madre: Hai litigato con Stefano?

Ratto: …a non darmi respiro.

Madre: È così: avete litigato.

Ratto: Sempre nel buio, col buio… senza neanche un po’ di aria!

Madre: Parlerò con Stefano. Gli dirò di venire qui e di fare pace. (fa per uscire)

Ratto: No!

Madre: Ratto…?

Ratto: Ho detto no!

Madre: Ma che ti prende?

Ratto: Se tu vai di là e parli con Stefano, io apro la finestra e…

Madre: Ratto, ma sei pazzo?

Ratto: Non ti immischiare, mamma.

Madre: Tu mi preoccupi.

Ratto: Non ti mettere tra noi.

Madre: Non voglio certo immischiarmi ma tu non puoi dire certe cose, non le poui dire no.

Ratto: Mamma, lascia perdere, lascia perdere tutto.

Madre: Io sono preoccupata, seriamente preoccupata. (esce)

Ratto: Per favore, lasciatemi, lasciatemi stare tutti. (lunga pausa) Se no, io apro la finestra e… (lunga pausa) cambio aria. (luci si attenuano, esce)

Scena 9

Stefano è dentro la stanza di Ratto. Come immobile. Entra Silvia.

Silvia: Sei qui?

Stefano: No. Sono al cinema.

Silvia: Stai facendo "pulizia"?

Stefano: Stavo solo pensando.

Silvia: A quello che è successo? (Stefano si volta a guardarla con aria interrogativa) Tua madre mi ha detto…

Stefano: Ah, già. Mia madre. E cosa ti ha detto, "mia" madre?

Silvia: Che avete litigato, che siete ancora litigati.

Stefano: E cosa ne sa "mia" madre del fatto che io e Alessandro, che io e "Ratto" abbiamo litigato?

Silvia: Credo poco, molto poco.

Stefano: Una madre sa sempre "tutto" quello che fanno i figli, quello che vivono.

Silvia: È un rimprovero?

Stefano: È una constatazione.

Silvia: Certo: una constatazione. Ti dicevo di tua madre…

Stefano: Mia madre…

Silvia: Ovviamente lei non sa che io… insomma che voi avete litigato per causa mia.

Stefano: Non è questo.

Silvia: Ha capito che qualcosa non andava. Mi ha detto di aver visto Alessandro…

Stefano: Ratto.

Silvia: …ultimamente sempre di cattivo umore e così…

Stefano: Lui è sempre di cattivo umore. Litiga con la vita.

Silvia: È cieco.

Stefano: Te ne sei accorta anche tu?

Silvia: Tua madre mi ha chiesto se avevate litigato.

Stefano: E tu?

Silvia: Ho fatto finta di non sapere.

Stefano: Sai se Ratto gliene ha parlato?

Silvia: Non credo.

Stefano: Se si è lamentato con lei?

Silvia: Tua madre è disperata, Stefano, disperata per tutto quello che sta accadendo, per come vanno le cose.

Stefano: Così mia madre ti ha parlato? Si è confidata con una che conosce appena?

Silvia: Sono la tua ragazza.

Stefano: Solo da qualche mese.

Silvia: Io ho telefonato, ho solo telefonato, ho sentito che era giù, molto giù. Allora le ho chiesto. Lei si è lasciata andare, si è confidata.

Stefano: Da non credersi! Mia madre va’ in giro a parlare di me, di Ratto con la gente!

Silvia: Stefano, tua madre non va’ in giro a parlare di te, di Alessandro…

Stefano: Ratto.

Silvia: …a parlare di voi. Lo ha fatto solo con me.

Stefano: Già. Con te.

Silvia: Con me che sono la tua ragazza. Anche se solo da qualche mese.

Stefano: Giusto saperle le cose.

Silvia: E ora che lo sai?

Stefano: Gli parlerò, gli parlerò. Presto.

Silvia: A chi "gli" parlerai, Stefano?

Stefano: A… (riflette) … a Ratto, "gli" parlerò.

Silvia: … con Alessandro?

Stefano: Si. Certo. Con Alessandro, "gli" parlerò.

Silvia: Bene. Sono contenta, sono molto contenta: farete pace.

Stefano: E anche con lei, con mia madre, "le" parlerò.

Silvia: Che vuoi dire?

Stefano: E’ giusto che chiarisca le cose anche con lei.

Silvia: Non vorrai rimproverarle per avermi…

Stefano: Voglio solo chiarire qual è il mio punto di vista.

Silvia: Il tuo punto di vista?

Stefano: Sulla faccenda, su tutta la faccenda.

Silvia: Non fare lo stronzo, Stefano.

Stefano: (la guarda sospettoso) Non faccio lo stronzo. Lo sono. (lei lo guarda con aria interrogativa poi lui scoppia a ridere) Stavo scherzando. Solo scherzando. Non volevo certo offenderti.

Silvia: Ci credo poco.

Stefano: Eppure dovresti. Solo una battuta. Magari infewice ma solo una battuta. Ora però andiamo prima che il "ratto" torni.

Silvia: Alessandro.

Stefano: Sì. Certo. Alessandro, il "ratto". (ride anche cattivo, escono)

Scena 10

Ratto entra, si sdraia sul letto. Entra Stefano e si siede sulla poltroncina girevole.

Ratto: Sei tu?

Stefano: No! Mio nonno!

Ratto: Pensavo fosse morto.

Stefano: Avevo voglia di rivederti così sono resuscitato.

Ratto: Temevo fossi Stefano.

Stefano: Anch’io lo temevo.

Ratto: Perché se tu fossi Stefano dovrei aver paura che tu mi spacchi la faccia un’altra volta.

Stefano: Forse dovrei farlo.

Ratto: Come mai sei qui?

Stefano: Silvia mi ha detto che tu vuoi fare pace.

Ratto: Ti ha detto una balla.

Stefano: Devo dire che un po’ mi dispiace per quello che è successo.

Ratto: Senti, Stefano, lasciamo perdere, perdere tutto. Io ho fatto lo stronzo con la tua ragazza. E tu? Tu mi hai punito.

Stefano: Non avrei dovuto farlo.

Ratto: Anch’io non avrei dovuto farlo. Eppure…

Stefano: Tu sei cieco.

Ratto: E allora? Non per questo sono autorizzato ad andare oltre.

Stefano: Tu non vai mai oltre. È solo un naturale sfogo alla tua condizione.

Ratto: Cazzate, Stefano! Solo cazzate! Io sto perdendo il controllo di me. E non so più cosa fare.

Stefano: Hai avuto un brutto incidente, Ratto. Sei diventato cieco. La tua ragazza è morta.

Ratto: Io non so più vivere, non ci riesco. È questo quello mi uccide. Dentro.

Stefano: Non devi dire così.

Ratto: Anche con la psicologa…

Stefano: Quello era solo un gioco. Non vorrai dirmi che ti fidavi di lei?

Ratto: No, non mi fidavo. Avrei voluto farlo, però.

Stefano: Tu devi solo credere in te stesso.

Ratto: Questo è vero.

Stefano: E in me!

Ratto: Questo lo è un po' meno.

Stefano: Vuoi offendermi?

Ratto: Non ne vale la pena.

Stefano: Sì. Forse è vero: non ne vale la pena.

Lunga pausa

Ratto: Hai sentito della psicologa?

Stefano: Sì. Papà mi ha detto. Dice che tornerà. Povera stronza.

Ratto: Papà dice che è brava. Che mi ha perdonato.

Stefano: Che idiota!

Ratto: Non ne sono convinto!

Stefano: Tu te la mangi quella.

Ratto: (poco convinto) Proprio.

Stefano: Te la bevi, la distruggi, gli fai vedere i sorci verdi.

Ratto: (sorride amaro) I sorci verdi.

Stefano: È una che non sa nemmeno dove sta di casa. Tu gli puoi far credere qualsiasi cosa: anche che vedi il fantasma di Maria…

Ratto: (poco convinto) Sì. Il suo fantasma.

Stefano: Le puoi far credere che fin da piccolo avresti voluto scopare con mamma.

Ratto: (poco convinto) Sì. La mamma.

Stefano: Dirle che da bambino hai visto papà e mamma fare l’amore e che da allora non ti si drizza più.

Ratto: (dolente) Questo è anche vero.

Stefano: Che li hai visti fare l’amore?

Ratto: (dolente) Che non mi si drizza più.

Stefano: Ah, cielo! Ratto, sei tutto un problema tu! Io dicevo così per dire. Solo per dire. E tu invece subito a calcare la mano con i problemi, con i tuoi problemi.

Ratto: Ma qualcosa è anche vero.

Stefano: Questo lo devi capire tu. Non puoi certo stare a trastullarti il cervello con tutte queste menate! Devi reagire. Fare quello che ti dico io.

Ratto: Sì. Ma io…

Stefano: Ratto, se vuoi allo "psicologa" puoi anche raccontarle dei topi, del fatto che i topi ti tormentano. Le puoi anche dire che il tuo uccello non "vola più" o altre balle del genere. Ma cerca di tenerti nascosto. Quella poi va’ a spifferare tutto alla mamma, a papà, e poi vedi…

Ratto: Io non so… quello che dici.

Stefano: Loro vogliono solo esaminarti, analizzarti, riempirti di antidepressivi, psicofarmaci e merdate del genere che ti riducono la testa in pappa. Altro che le canne! O l’ectasy!

Ratto: Stefano, io delle volte ho bisogno…

Stefano: Sono io l’unico di cui tu ti puoi veramente fidare. Ed è con me che devi parlare e basta. La psicologa, quella ti frega, prima ti studia poi ti scheda. E una volta che sei schedato, beh, amico, sei finito. Finito! Perché a quella non gliene frega niente di te, dei tuoi bisogni. A quella interessa solo la teoria, la "sua" teoria.

Ratto: Quale teoria?

Stefano: Una, una qualsiasi. E tu sei uno di quei "casi" clinici che può aiutarla a provare le sue ragioni.

Ratto: Non voglio questo!

Stefano: È quello che dico io. Per questo devi raccontargli balle, inventare ogni cosa. Così sfuggi a ogni cliché e non riescono a inserirti in nessuna loro casistica. Pensa anche alle risate che ci faremo. Se vuoi puoi anche dirgli che io sono omosessuale.

Ratto: Che dici, Stefano?

Stefano: Ratto, tu sei un caso unico, raro. Un caso che fa gola ad ogni possibile "strizzacervelli": (mentendo in modo esplicito) un ragazzo che diventa cieco in seguito a… (tace)

Ratto: In seguito a…?

Stefano: Lasciamo perdere!

Ratto: Stefano, non puoi dire le cose e poi interromperti.

Stefano: Ma non stavo dicendo nulla.

Ratto: No! Tu stavi dicendo qualcosa che ora non vuoi dirmi.

Stefano: Non costringermi a parlare.

Ratto: Stefano!

Stefano: E va bene. Lo hai voluto tu: tu sei diventato cieco dopo che in quell’incidente avevi ucciso Maria!

Lunga pausa

Ratto: È vero questo?

Stefano: Io non t’ho detto niente

Ratto: Sono diventato cieco "solo" dopo l’incidente?

Stefano: Ratto, tu sei diventato… solo dopo che… nell’incidente.

Ratto: Ho ucciso io Maria? Vero?

Stefano: Non è proprio così. Si è trattato solo di un incidente. Come tanti.

Ratto: Guidavo io la macchina quella sera? Vero?

Stefano: La macchina era tua.

Ratto: Lo sapevo! Lo sapevo! Ed io? Io non ricordo niente!

Stefano: Tu non puoi ricordare! E’ lo shock, il trauma. Ti ha fatto dimenticare tutto. Tu non vuoi ricordare così è più facile per te andare avanti. E’ per questo che tu sei diventato cieco. Per questo, altro che i topi.

Ratto: Un trauma?

Stefano: Non solo quello!

Ratto: Un trauma?

Stefano: Probabilmente.

Ratto: Merda!

Stefano: Puoi dirlo forte, fratellino. Puoi dirlo forte.

Ratto: Merda!

Stefano: E ora che sai, non ti lasciare andare giù, cerca di reagire, di uscirne fuori. Io sto con te, non te lo dimenticare, non te lo dimenticare mai! (esce)

Ratto: (sconsolato) Merda… un trauma, un cazzo di trauma! (estraneandosi dal contesto e cupo, mentre anche lui esce) "Coloro che vanno ai morti, ai morti vanno, ai morti tornano, ai morti restano, distesi a lutto in un rosario di mani e plastica" (esce)

Scena 11

Entra la madre e comincia riassettare la stanza. Entra Stefano.

Stefano: E Ratto?

Madre: È in cucina, sta facendo colazione.

Stefano: Da solo?

Madre: C’è Gianna con lui.

Stefano: Mamma, senti… Silvia mi ha detto…

Madre: È una così brava ragazza Silvia…

Stefano: …appunto. (breve pausa) Mi ha detto che vi siete parlate.

Madre: Molto attenta: ascolta ed è molto comprensiva. Sono contenta che…

Stefano: Forse troppo.

Madre: Come?

Stefano: Una mia considerazione. (esclamazione di assenso della madre) Mi ha detto che tu ti sei lasciata andare.

Madre: Aveva telefonato. Mi sentivo giù e allora – sai com’è? – ti lasci andare, a parlare, così – come si dice? – mi sono confidata. Tra donne…

Stefano: È questo il punto.

Madre: Che intendi?

Stefano: Mamma, io e Silvia stiamo insieme solo da alcuni mesi…

Madre: Lo so, Stefano, ma lei è così dolce. È così partecipe che mi è sembrato naturale…

Stefano: Ma non è così, non è per niente naturale…

Madre: Non avrei dovuto?

Stefano: Capisco che per te è tutto così difficile, che tu ti possa sentire sola ma non voglio che tu vada in giro a parlare di noi, delle nostre cose con la gente.

Madre: Ma ne ho parlato solo con Silvia.

Stefano: Mamma, non voglio che lei rimanga coinvolta, che sia coinvolta in questa storia, con noi, con Ratto. Non voglio.

Madre: Ma per forza di cose lo è, è la tua ragazza.

Stefano: Appunto, è la mia ragazza.

Madre: Quindi è ovvio che più va avanti la storia… (riflette)

Stefano: Appunto!

Madre: (comprendendo) …e più… sarà… coinvolta.

Stefano: Appunto.

Madre:Vuoi dire che…? Vi lascerete?

Stefano: Questo non lo so, non è detto. Forse.

Madre: Ma è una così brava ragazza…

Stefano: Non lo metto in dubbio.

Madre: …dolce, carina, intelligente…

Stefano: Certo che lo è.

Madre: …ma tu non sai…

Stefano: Ecco, appunto: io non so.

Madre: Ho capito.

Stefano: Cerca di non coinvolgerla, di lasciarla fuori, da tutto.

Madre: Lasciarla fuori?

Stefano: Lasciarla fuori. (esce)

Madre:Fuori…

Il tutto scivola nella penombra.

fine primo atto

secondo atto

Scena 1

Ratto è seduto sulla poltroncina, accanto la psicologa.

Psicologa: Allora? Mi stavi dicendo?

Ratto: (c.s.) Le stavo raccontando?

Psicologa: No. Io dico: "mi stavi raccontando?". Tu devi solo rispondermi.

Ratto: (c.s.) Che?

Psicologa: Alessandro…

Ratto: (c.s.) Ratto.

Psicologa: Alessandro – scusa - cerca di non essere indisponente. Mi stavi raccontando di tua madre.

Ratto: (c.s.) Ah, sì! Ricordo! (pausa) No. Aspetti. Non ricordo.

Psicologa: Mi dicevi di tua madre che non ti capisce.

Ratto: (c.s.) Ah, sì. Mia madre! (pausa) Mia madre non mi capisce.

Psicologa: Che intendi?

Ratto: (c.s.) Che io le parlo e lei non mi capisce. Come lei.

Psicologa: Ratto, non è che ti stai prendendo di nuovo gioco di me?

Ratto: (c.s.) Non ci penso nemmeno. E poi non potrei io ho bisogno di… (tace)

Psicologa: Di…?

Ratto: (c.s.) Bisogno di… (lunga pausa) Mio fratello è omosessuale.

Psicologa: Stefano?

Ratto: (c.s.) Gli piacciono gli uomini.

Psicologa: È un problema suo questo non tuo.

Ratto: (c.s.) Ed io ho sempre desiderato fare l’amore con mia madre.

Psicologa: Da sempre?

Ratto: (c.s.) Da quando li ho visti fare l’amore.

Psicologa: Hai visto chi?

Ratto: (c.s.) Mio padre e mia madre. Li ho visti nudi fare l’amore. Così io, poi, ho cominciato ad allambiccarmi lungo il pressappochismo della idealità e sono diventato impotente.

Psicologa: Impotente?

Ratto: (c.s.) Ho provato anche a farmi un’overdose di "viagra". Ma non c’è stato nulla da fare: l’uccello non vola più.

Psicologa: Credo proprio che tu mi stia prendendo in giro!

Ratto: (c.s.) Io? Io non potrei, non potrei anche perché io la amo, dottore. (la psicologa non dice nulla. Richiude il suo blocchetto degli appunti e fa per andare via) Dottoressa? Dottoressa, che fa? Non dice nulla? Dottoressa? Questa verità la sconvolge, vero? Non se l’aspettava, eh? Non si aspettava che io… Dottoressa, perché non dice nulla? Non è che se ne va? Dottoressa, mica mi lascerà qui? Da solo? Per favore, mi ascolti, la prego. Non vada via. Rimanga. Io ho bisogno di lei.

Psicologa: (fermandosi proprio sulla porta) Hai detto qualcosa?

Ratto: Sono convinto di avere ucciso io, Maria. Anzi ne sono sicuro.

Psicologa: Cosa te lo fa credere?

Ratto: La macchina era la mia.

Psicologa: Non basta questo per convincersi che…

Ratto: Credo che tutti mi stiate mentendo. Anche i genitori di Maria. Loro dicono, anche loro dicono che non è stata colpa mia. Che era Maria al volante. Che io avevo una spalla lussata e non potevo certo guidare. E che… (lunga pausa) Ma io non credo a tutto quello che mi raccontano.

Psicologa: Perché?

Ratto: Perché ci sono i topi. I topi che mi assalgono non appena resto solo. I topi che mi tormentano. I topi che…

Psicologa: I topi che…?

Ratto: E anche Stefano dice che… (tace)

Psicologa: Dice che…?

Ratto: Non lo so, dottoressa. Non lo so, non so più niente, io. Sono solo.

Stacco

Psicologa: Allora, Alessandro, ci vediamo Mercoledì. Va bene?

Ratto: Va bene, dottoressa. Arrivederci.

Il dottore esce. Ratto rimane in silenzio. Dall’armadio esce Stefano. Appare furioso. Senza dire nulla si avvia verso la porta e fa per uscire

Ratto: Stefano? Stefano, rispondi? Dimmi qualcosa! Stefano?

Stefano: ‘Fanculo!

Ratto: Sei arrabbiato?

Stefano: Sono deluso: ti sei lasciato andare, hai sbracato, hai proprio sbracato. Gli hai detto tutto: dei topi, di Maria. E di me.

Ratto: No! Di te, no!

Stefano: C’è mancato poco. Comunque, hai tradito la mia fiducia. Io che credevo in te, che pensavo che tu fossi ancora quello di una volta: il mediano di mischia, freddo, preciso, quello dalle aperture memorabili e dallo scarto bruciante, quello che nessuno riesce a fermare. E dire che ho sempre avuto fiducia in te.

Ratto: Stefano, io ho bisogno di parlare, di sapere. Ho bisogno… di aiuto.

Stefano: E io? Che ci sto a fare io qui secondo te? A rimboccarti le coperte? A reggere il gioco delle tue menate? Scacciare i topi? Se è questo, allora, fratello, hai sbagliato persona, hai proprio sbagliato persona.

Ratto: Io ti sono grato per quello che fai. Ma io ho bisogno di aiuto per superare il mio stato, per riuscire a circumnavigare me stesso e andare dall’altra parte di questo infinitesimale scuro.

Stefano: Tu hai solo bisogno di questa. (gli tira una pistola) È quella di papà, è vera. Te la volevo dare per aiutarti, farti sentire più forte. Adesso penso possa solo servirti a risolvere definitivamente i tuoi problemi.

Ratto: È carica?

Stefano: Provala!

Stefano esce. Ratto, disperato, si mette la canna della pistola in bocca.

Ratto: Io non voglio questo, Stefano. Non voglio. Tu sei tutto per me, adesso. Ma io ho bisogno di aiuto. Io non so più vivere, non più, con il peso di Maria dentro. Io voglio, vorrei, ma… (a cercare sicurezza intona l’ "haka") "E ringa pakia waewae tahahia. E kine nei haki. E ringa e ringa e toroua kei waho motonu. Kamate! Kamate! Karoa, karoa. Tenei te tangata puhuruhuru. Kana e tiki rai whaka whiti ra. A hupane ! A hupane ! Hupane kopane whiti te ra." (spara. La pistola è scarica. Ratto reclina il capo)

Scena 2

Ratto è seduto sulla sua sedia girevole. Rotea in silenzio. Puntando sempre la pistola. Poi si blocca, entra Silvia, e Ratto nasconde la pistola.

Ratto: Chi è?

Silvia: Sono io, Silvia.

Ratto: Spero che non te la prenderai se non ti dico che mi fa piacere "vederti"? Ho qualche problema oggettivo a farlo…

Silvia: Non ti preoccupare.

Ratto: Non lo sono.

Silvia: Stefano mi ha detto…

Ratto: …che abbiamo litigato di nuovo? Quello che forse non ti ha detto e che non sei tu, questa volta, l’oggetto del contendere.

Silvia: Mi ha detto anche questo.

Ratto: Bene. Almeno eliminiamo ogni possibile incomprensione.

Silvia: È già qualcosa, no?

Ratto: È già tanto, direi. Ti ha mandata lui?

Silvia: No. Sono venuta su iniziativa personale.

Ratto: Intraprendente.

Silvia: Da alcuni giorni Stefano è teso, particolarmente teso, incostante, sempre di cattivo umore. Non parla, non dice. Come se…

Ratto: … avesse litigato con me?

Silvia: Quando gliel’ho chiesto, mi ha guardata male.

Ratto: Guardata! Che strana parola: "guardata".

Silvia: Non volevo…

Ratto: È solo un semplice modo di dire che, nei miei riguardi, può apparire inopportuna.

Silvia: Scusa.

Ratto: Non ti preoccupare. Prima o poi ci farai l’abitudine a parlare con me. Prima o poi.

Silvia: Prima o poi?

Ratto: È solo una questione di tempo.

Silvia: Certo. Di tempo.

Ratto: Ammesso che tu ce l’abbia il tempo.

Silvia: Cosa vuoi dire? Che io e Stefano…?

Ratto: Non dipende da me.

Silvia: Ci mancherebbe altro.

Ratto: Bisogna vedere se Stefano te ne darà di tempo.

Silvia: Io e Stefano ci vogliamo bene.

Ratto: Certo, certo.

Silvia: Ci amiamo anche.

Ratto: Addirittura.

Silvia: Anche se sono solo pochi mesi che…

Ratto: Pochi mesi.

Silvia: …stiamo insieme…

Ratto: Vi amate?

Silvia: Ci amiamo.

Ratto: Forse.

Pausa

Silvia: Forse.

Ratto: Stefano è "sempre" particolarmente teso, incostante, di cattivo umore. Non parla, non dice. Come se…

Silvia: Che vuoi dire?

Ratto: Vi lascerete.

Silvia: Cosa ti fa essere così sicuro che…

Ratto: Vi lascerete.

Silvia: Perché dici questo?

Ratto: Lui non porta mai a termine le sue cose. Le lascia sempre a metà. Finiscono presto per non interessarlo. Non più. E allora…

Silvia: Sei ingiusto.

Ratto: È solo una questione di tempo e tu di tempo non ne hai.

Silvia: Lui mi vuole bene, sta bene con me. Mi ama.

Ratto: Forse.

Lunga pausa durante la quale Silvia guarda come impaurita Ratto.

Silvia: Forse.

Ratto: Non guardarmi così.

Silvia: Come fai a sapere… mi vedi?

Ratto: Dio, no, non potrei. Tui immagino, piuttosto. Sento i tuoi occhi puntellarmi la faccia, scrutarmi la pelle, palparmi l’espressione, chiedermi cosa. Cercare una risposta.

Silvia: Una risposta?

Ratto: A quello che adesso ti brucia di più: il vostro futuro.

Silvia: Hai parlato con Stefano. Lui ti ha detto.

Ratto: No. Sei tu che hai parlato con Stefano e lui ti ha detto.

Silvia: Di questo non ne abbiamo mai parlato.

Ratto: Dovresti farlo.

Silvia: Ne sto parlando ora con te.

Ratto: La persona sbagliata.

Silvia: Quella più indicata.

Ratto: Sta scritto da qualche parte, non so dove. Ma lui non ti ama, non ti può amare.

Silvia: Perché questo? Perché ne sei così sicuro?

Ratto: (con tono di confessione) Da bambino a lui piaceva giocare con i miei giocattoli, li preferiva anche quando erano meno belli dei suoi.

Silvia: Cosa c’entra questo?

Ratto: Lui li voleva, li amava solo perché erano miei.

Silvia: (come riflettendo) Tuoi?

Ratto: Io finivo col regalarglieli. Ero il fratello maggiore, avevo un ruolo, svolgevo una funzione, un compito.

Silvia: Ammirevole.

Ratto: Gli regalavo le cose, quelle che gli piacevano di più.

Silvia: Anche gentile.

Ratto: Lui rimaneva lì contento, tutto eccitato all’idea che quei giocattoli erano diventati finalmente suoi.

Silvia: Vuoi dire che…?

Ratto: Durava poco, maledettamente poco. Appena qualche giorno e poi lui si stancava, non ci giocava più, finiva con l’ignorarli, o col romperli.

Silvia: Stai cercando di dirmi…?

Ratto: Sto cercando di dirti che Stefano è un ragazzo strano, maledettamente strano e complicato. Che vive aggrappato alla vita come ad una liana mentre la dissipazione dell’essere gli scorre sotto.

Silvia: Ed io sarei solo un…?

Ratto: …un giocattolo, solo un giocattolo, uno di quelli che lui… (tace)

Silvia: …finisce col rompere?

Ratto: Per questo ti dico, penso…

Silvia: Ma lui ora è cresciuto, ha ventidue anni. È un uomo ormai. Soprattutto ora dopo… (tace)

Ratto: È questo il problema, il "suo" problema adesso: l’incidente!

Silvia: Non capisco.

Ratto: Non gli è rimasto più nulla da invidiarmi, nulla da desiderare.

Silvia: Non ci credo.

Ratto: Se non la mia… "cecità". E in quella c’è poco da invidiare.

Silvia: Tu… tu sei pazzo.

Ratto: La mia non è pazzia ma incontrovertibile lucidità. Capacità genetica di essere, comprendere, intuire le cose. Leggerle interamente.

Silvia: Metti paura.

Ratto: Sapessi quanta ne ho io. Paura di tutto, di te, di lui, di quello che ho intorno, di tutto quello che sfugge al mio controllo.

Silvia: È tutto così maledettamente complicato.

Ratto: Silvia, io giocavo "mediano di mischia". Ero io che aprivo il gioco, che controllavo gli sviluppi, dettavo i tempi. Ora non controllo più niente.

Silvia: Ratto…

Ratto: No! La compassione no. Per favore.

Silvia: Scusami. Niente compassione, niente compassione.

Ratto: La odio, mi fa sentire debole, estremamente vulnerabile.

Silvia: Scusami ancora.

Ratto: Allora?

Silvia: Cosa?

Ratto: Lui ti ha "guardata" e…

Silvia: Lui?

Ratto: Stefano! Mii stavi dicendo di lui, di quello che ti ha detto Stefano quando… quando ti ha "guardata".

Silvia: Sì. Lui, lui mi ha guardaìta e poi mi ha detto che avete avuto una discussione e che, alla fine, avete anche litigato.

Ratto: "Anche litigato"?

Silvia: Sì. "Anche litigato".

Ratto: E tu mettere una corda al collo ad uno lo chiami "anche litigare"?

Silvia: Che dici?

Ratto: Portarlo sul ciglio di un burrone e dirgli: " adesso tocca a te"?

Silvia: È questo?

Ratto: Mettergli una pistola in mano, lo chiami "anche litigare"?

Silvia: Ha fatto questo?

Ratto: Mancavano solo i proiettili.

Silvia: Rispondimi, ha fatto questo?

Ratto: Dove sono i proiettili?

Silvia: Ratto, Stefano ha fatto questo?

Ratto: E se fosse?

Silvia: Sarebbe gravissimo "questo"!

Ratto: (sbuffa) Tze! "Gravissimo"!

Silvia: Dimmi: ha fatto questo?

Ratto: No. Non ha fatto questo.

Silvia: Sei sicuro, Ratto?

Ratto: Ti pare possibile.

Silvia: È possibile?

Ratto: No. Non è possibile. Niente è possibile. Maria è morta. È solo il cervello che si squaglia mentre la mucca è in cielo e splende come il sole.

Silvia: Allora è stato questo?

Ratto: Che la mucca sia in cielo e splenda come il sole? Lo credi possibile?

Silvia: Ti ha messo in mano una… (con le dita a pistola) …carica?

Ratto: Le mucche non volano. Altrimenti povero sole.

Silvia: Alessandro…

Ratto: Ratto….

Silvia: Ratto, tu devi dirmi, devi raccontarmi cosa è successo veramente tra te e lui, Stefano.

Ratto: No, Silvia. Sei tu che mi devi raccontare.

Silvia: Cosa?

Ratto: Quello che è successo tra voi. (Silvia lo guarda sorpresa) Quello che ti ha detto di noi. (riflette) Lui stava lì, con l’aria appesa, l’umore a stracci e una gran voglia di menare parole nel mortaio.

Silvia: Ho detto questo?

Ratto: Con parole tue.

Silvia: È vero. Ho detto questo.

Ratto: Con parole tue. Allora?

Silvia: Lui stava lì.

Ratto: Lì dove?

Silvia: In macchina, seduto in macchina.

Ratto: In macchina dove? Davanti, dietro? Al posto di guida? O quello accanto? Guidava lui, oppure…?

Silvia: Eravamo fermi.

Ratto: Fermi?

Silvia: Si. Fermi.

Ratto: E perché eravate fermi? Stavate solo parlando oppure… avevate fatto l’amore? Magari stavate facendo l’amore? O semplicemente fumando, magari una canna o… che?

Silvia: No. Non stavamo fumando. Non stavamo facendo assolutamente niente. Stavamo solo parlando.

Ratto: Parlando?

Silvia: Si. Parlando.

Ratto: Di me?

Silvia: Anche di te.

Ratto: Anche?

Silvia: Non solo. Anche di noi.

Ratto: Di voi?

Silvia: Sì. Di noi.

Ratto: E poi?

Silvia: Mi ha detto che avevate litigato. Ha assunto una strana espressione e allora ho capito che…

Ratto: "Una strana espressione…"? Che vuol dire una "strana espressione"?

Silvia: Mi ha guardato come se non capisse.

Ratto: "Come se non capisse", rende l’idea. (riflettendoci) E la mia? Com’è la mia "espressione" com’è? (porgendosi, idiota, in avanti come a "guardarla")

Silvia: (incerta, quanto mai incerta) Io dico…

Ratto: Cazzate! Solo cazzate!

Silvia: Cosa…?

Ratto: Stavi dicendo solo cazzate!

Silvia: Come fai a dire una cosa del genere?

Ratto: Lo sento, Silvia. Lo sento.

Silvia: …una cosa del genere?

Ratto: Peggio che vederlo.

Silvia: Come…?

Ratto: Se potessi vedere, sarebbe anche meglio. Vedrei la tua espressione "innocente" quanto "fasulla". Invece così è peggio.

Silvia: Peggio?

Ratto: La sento, la percepisco. Come qualcosa che ti si è piantata in testa, a chiodo, e ti scava dentro…

Silvia: La mia espressione?

Ratto: … e fa male, dannatamente male. Tu stavi lì, con l’aria "fasulla", immobile, respirando pensieri, perquisendo nel baule del lessico universale alla ricerca di un vocabolo, di un termine, di un qualche cazzo di "definizione" per… "definirmi".

Silvia: Alessandro…

Ratto: (correggendola) Ratto.

Silvia: Sì, certo, Ratto, Ratto! Non è però questo il modo di…

Ratto: Quale modo? Di comportarsi? Di confrontarsi? O di… di…? (sbuffa) Non mi viene, cazzo, non mi ricordo il termine, la parola. "Di comportarsi, di confrontarsi, di con… com… con…"

Silvia: …di discutere?

Ratto: Discutere? Perché qualcuno qui stava, sta discutendo? E di che poi? Di topi, di ratti? Di lucciole nel portacenere?

Silvia: Credo che il mio tempo sia scaduto.

Ratto: Il tuo tempo, Silvia, il tuo tempo? È il mio tempo che è scaduto, scaduto da un pezzo. Non il tuo. Vivo in prestito io!

Silvia: Vado di là, torno di là.

Ratto: A fare che di là?

Silvia: Aspetterò che Stefano torni dall’Università.

Ratto: Guarderai la televisione?

Silvia: Forse.

Ratto: Leggerai un libro?

Silvia: Sarebbe utile.

Ratto: Studierai?

Silvia: È un’idea.

Ratto: Parlerai con mia madre?

Silvia: Anche.

Ratto: Meglio parlare con i pesci rossi allora, almeno loro hanno capito, capito tutto.

Silvia: I pesci rossi?

Ratto: Stanno li, con l’aria idiota, "fasulla". A guardare il mondo da dentro una bolla di vetro. Senza che i topi gli vadano a rompere le palle.

Silvia: Addio.

Ratto: No. A dio, no, a lui proprio no.

Silvia: Sei proprio uno stronzo, (quasi con disprezzo) "Ratto". (fa per uscire)

Ratto: Silvia? Silvia, non andare via. (lei, sorpresa, si ferma) Non andare via, per favore.

Silvia: Perché non dovrei andare via? Hai paura?

Ratto: Sì. Ho paura.

Silvia: Dei topi?

Ratto: Non solo. (pausa) Del buio. Sì, del buio. Solo che il buio io ce l’ho dentro. E non mi molla, non mi molla mai.

Silvia: È dura?

Ratto: Non sai quanto. Anche perché di questo non se ne vede la fine. (imbarazzato) Silvia, io…

Silvia: Che c’è?

Ratto: Voglio chiederti una cosa.

Silvia: (sospettosa) Cosa?

Ratto: Toccarti.

Silvia: Toccarmi?

Ratto: (imbarazzato) Il volto. Stefano mi ha detto che tu, tu sei… Io non ho altro modo di "guardarti" se non questo.

Silvia: Toccarmi?

Ratto: Non voglio che tu…

Silvia: Vuoi approfittartene?

Ratto: … fraintenda.

Silvia: Cosa?

Ratto: Non vorrei che tu pensassi che io voglia… (tace)

Silvia: No, non lo penso. Non lo penso proprio. Anzi, credo che… (tace)

Ratto: Credo, cosa?

Silvia: Mi fa piacere.

Ratto: Se ti tocco?

Silvia: Se mi tocchi.

Silvia gli si avvicina. Ratto le prende il volto tra le mani e comincia a sfiorarle le guance, gli occhi, i capelli. Silvia chiude gli occhi. Ha come un fremito. E, a occhi chiusi, lentamente gli si avvicina a sfiorare con le labbra la bocca di lui. Poi lei si tira indietro di colpo e fa per fuggire via. Sulla porta si ferma. Alessandro non se ne accorge o finge.

Ratto: Silvia… (lunga pausa) Io giocavo da mediano di mischia. Nel rugby. Ero io che dettavo il tempo del gioco. Imbastivo le azioni. E le dirigevo. Aprendo sul lato chiuso. O su quello largo. Oppure calciando in profondità, cercando la "touche", cercando di mettere in fuori gioco le linee avversarie. Ma quando la linea difensiva, quella tua, non regge l’urto e ti ritrovi gli avversari addosso, a braccarti, a placcarti, bhe, allora vai in affanno, capisci che non controlli più il gioco, che lo subisci. E allora cerchi subito di liberarti dell’ovale per poter respirare. E vivere. Capisci che non controlli più il gioco, l’azione. La vita. (pausa) Dopo l’incidente mi sono risvegliato in un letto d’ospedale. Solo che, in qualche modo, ho scoperto di non essere più io. Ero un estraneo, uno con il quale mi trovavo a dover convivere. Io, solo, al buio, con la linea difensiva che non regge l’urto: in affanno. Ho perso il controllo del gioco. E della mia vita. Devo imparare a convivere con quel qualcun altro che sono adessp io. Se voglio uscirne. Ma non è facile, non è facile no. (lunga pausa) Stefano, invece, per la prima volta ha conquistato il controllo del gioco e della sua vita. Ma qualcosa sta accadendo. E lui? Lui sta andando in affanno adesso, ha paura di perdere il controllo della situazione. E di me. È duro questo, molto duro, quello che dico, ma non sono io ad essere duro, è il rugby, è la vita ad esserlo, non io. (lunga pausa) Silvia?

Silvia: (timidamente) Si?

Ratto: Hai sentito tutto? Hai capito quello che ho detto?

Silvia: Non sono una stupida.

Ratto: Il rugby? Hai capito la sua logica?

Silvia: Credo di si.

Ratto: Benvenuta nel club.

Silviua. Grazie.

Ratto. Solo che… ho ancora bisogno di lui, di Stefano. Ho ancora bisogno di tutti per imparare a vivere. Di nuovo. A vivere. Con il peso di Maria addosso, dentro. Con quest’assurda suggestione di pensieri che si accavallano, si misurano, si impantanano offuscandomi il cervello, la testa, e mi impediscono di ragionare. E di capire. Me stesso.

Silvia: Alessandro? Posso chiamarti Alessandro?

Ratto: Lo stai già facendo.

Silvia: Tua madre mi aveva parlato di te, di com’eri, prima.

Ratto: Quello non esiste più.

Silvia: Ora capisco cosa voleva dire.

Ratto: Non credere. È sempre difficile, tremendamente difficile, capire le situazioni, se stessi, il proprio vuoto. Accettare il niente.

Silvia: Sei un bravo ragazzo.

Ratto: Silvia, ho paura, maledettamente paura. Devo fare qualcosa. Oppure non riuscirò mai a liberarmi di tutto questo, di quei maledetti topi.

Silvia: Ne sei ancora convinto?

Ratto: Io qui sono solo – dico - qui dentro, nel buio. Chiuso. Sento il cervello pensare, lo sento respirare. E sento i pensieri traspirare, assillarmi, a non darmi tregua. Allora tutto diventa difficile. E io vado in affanno. Tutto mi fa male. E allora penso ai topi, mi invento i topi così mi è più facile reagire.

Silvia: Se ne parli vuol dire che…

Ratto: Devo prendere in mano l’ovale, gestire il gioco, impostare l’azione. E non lasciarmi morire.

Silvia: Certo. Gestire il gioco.

Ratto: Devo farlo.

Silvia: Farò il tifo per te.

Ratto: Bene.

Silvia: (fa per uscire) Alessandro? Come hai fatto a capire che non ero andata via?

Ratto: Dall’odore.

Silvia: Il profumo.

Ratto: No, non il profumo, l’odore, il tuo odore. Puro e semplice.

Silvia: Ognuno di noi ha il suo. Non è così? (Ratto annuisce) E il mio? Com’è il mio?

Ratto: È… è… è difficile a dirsi. È… è caratterizzante.

Silvia: Ognuno il suo?

Ratto: Non c’è nulla che può definire meglio una persona… forse… che il suo odore.

Silvia: Dici sul serio?

Ratto: Per un cieco, penso, credo… comincio a credere di sì.

Silvia: Per un cieco.

Ratto: Come sono io. Vedi? Comincio a ragionare come loro, "sono" uno di loro.

Silvia: E solo questo che mi caratterizza?

Ratto: Come cieco?

Silvia: Come te.

Ratto: È difficile a dirsi.

Silvia: Certo, molto difficile. Ciao… "Alessandro". (esce)

Ratto: Difficile… (lunga pausa poi tornandogli in mente) "Compenetrarsi" – cazzo! – "compenetrarsi"… Ecco cos’era: "compenetrarsi". Non è questo il modo giusto: "di comportarsi, di confrontarsi e di… compenetrarsi". Sì: di "compenetrarsi", "com-pe-ne-trar-si".

Scena 3

Penombra. Entra la Madre. Ratto è seduto sulla poltroncina. Come ad attenderla.

Madre: (andando ad aprire la finestra) Avanti, su, Ratto, sveglia è tardi! È ora di… Ratto? Tu sei già sveglio?

Ratto: Non avevo più sonno così mi sono alzato. Ti stavo solo aspettando.

Madre: (sorpresa) Mi potevi chiamare.

Ratto: Perché avrei dovuto farlo?

Madre: (sorpresa) Sarei venuta a portarti la colazione. Ti avrei lavato, vestito.

Ratto: Sono riuscito a farlo da solo. E anche vestirmi, in qualche modo sono riuscito a farlo. Da solo. Magari anche male ma… imparerò.

Madre: (c.s.) Non pensavo ne fossi capace.

Ratto: Neanch’io. Prima di provarci.

Madre: (c.s.) È bello vedere che…

Ratto: È bello sì.

Madre: (c.s.) Vuoi dire che…

Ratto: Voglio solo dire che questa mattina mi sono svegliato presto. E non avendo altro da fare ho pensato io a provvedere a me stesso. Almeno ho cercato di farlo.

Madre: È importante.

Ratto: È già qualcosa.

Madre: E… i topi?

Ratto: Questa notte mi hanno lasciato in pace.

Madre: Anche loro?

Ratto: Soprattutto loro.

Madre: È molto importante questo.

Ratto: Non significa nulla. I topi possono sempre tornare. Lo sai quanto io sia…

Madre: (abbracciandolo) E ora?

Ratto: Ora dobbiamo andare in ospedale. C’è la visita. Non vorrai mica fare tardi?

Madre: (felice) No. Tardi no.

Ratto: Non perdiamo altro tempo. La colazione possiamo farla in un bar.

Madre: (c.s.) Certo in un bar. (camminando Alessandro barcolla) Ratto!

Ratto: Niente, mamma. Ho solo inciampato. Capita.

Madre: (c.s.) Sì, certo. Capita, capita. (escono)

Scena 4

La stanza è vuota. Entra Stefano che comincia perquisire la stanza. Entra Silvia.

Silvia: Fai pulizie?

Stefano: Non lo vedi?

Silvia: Senti, Stefano, volevo dirti…

Stefano: Immagino!

Silvia: Che è successo tra voi? Tra te e Alessandro?

Stefano: Alessandro? Sì, certo, Ratto. Cosa vuoi che sia successo?

Silvia: Avete litigato?

Stefano: No. Perché dici una cosa del genere?

Silvia: È evidente. Non vi parlate più. L’ha notato anche tua madre.

Stefano: Che c’entra lei?

Silvia: Mi ha detto che…

Stefano: L’avevo pregata di non farlo.

Silvia: Fare cosa?

Stefano: Lascia perdere.

Silvia: No, io non lascio perdere.

Stefano: Invece dovresti.

Silvia: Perché "dovrei"?

Stefano: Non sono questioni che ti riguardano.

Silvia: Lo sono invece.

Stefano: No!

Silvia: Sono la tua ragazza.

Stefano: Questo è un dettaglio.

Silvia: Ah, io sarei un dettaglio?

Stefano: Sto solo cercando di spiegarti che tu in questa storia meno c’entri e meglio è.

Silvia: Meglio è, per chi? Per te?

Stefano: Per te, per me, per "Ratto". Per tutti!

Silvia: Tua madre non la pensa così.

Stefano: Buona quella!

Silvia: Mi ha detto che non vi parlate più.

Stefano: E tu a darle retta.

Silvia: Anche Alessandro mi ha detto che qualcosa non va più tra di voi.

Stefano: Lo chiami Alessandro, adesso. Mi sorprende questa confidenza! Non è che tu e lui… Infondo è un bel ragazzo.

Silvia: Stefano!

Stefano: Quando era normale, quando ci vedeva – intendo - non lo fermava nessuno. Sapessi quante…!

Silvia: Tu non puoi pensare che…

Stefano: Non si può mai dire.

Silvia: Per favore, Stefano, non puoi continuare a nasconderti così.

Stefano: Nascondermi? Io ? Cosa ti fa credere che io voglia…

Silvia: Il tuo imbarazzo.

Stefano: Figurati.

Silvia: Perché ti rifiuti di capire?

Stefano: Capire cosa?

Silvia: Alessandro è cieco.

Stefano: Ma questo già lo so. Lo sanno tutti, tutti!

Silvia: Ha bisogno di cominciare ad affrontare da solo la realtà, la sua condizione, deve accettarla senza dover ricorrere a…

Stefano: Ed io? Che ci sto a fare io? A raccattargli le cicche? Caricargli la pistola?

Silvia: Tu certo lo devi aiutare, lo devi sostenere ma…

Stefano: Quello che dico io.

Silvia: … non puoi stare li a fargli da guardiano, ad asfissiarlo con la tua presenza. Devi lasciarlo in pace.

Stefano: In pace? Come se dipendesse da me.

Silvia: Io non so, non so proprio, ma delle volte, mi sembra… come se ci fosse qualcosa tra voi che non va, non funziona: il vostro rapporto, questi litigi…

Stefano: Capita anche nelle migliori famiglie!

Silvia: Come se tu avessi paura che lui possa sfuggirti, che tu possa perdere il controllo della situazione. È come se il vostro rapporto fosse, fosse… (tace)

Stefano: Cosa?

Silvia: Malsano.

Stefano: Malsano?

Silvia: Fate pace, Stefano. Fai pace con Alessandro.

Stefano: (come incredulo, come offeso, fa per andarsene e ripete tra se) Malsano? Io, noi, tutto questo, malsano, neanche se… malsano! (esce)

Silvia: Te lo chiedo… per favore. (esce)

Scena 5

Entrano Ratto e la madre. Ratto appare provato, stanco. La madre lo aiuta a sedersi sulla sua poltroncina.

Ratto: Grazie, mamma.

Madre: Vuoi, vado a chiamare Stefano, gli farà piacere sapere che tu…

Ratto: No, mamma. Lascia stare.

Madre: Ratto, ma avete… siete ancora litigati?

Ratto: Non è questo.

Madre: È una cosa seria allora, non la solita…

Ratto: No, mamma. Veramente, no. Non è questo. È solo che…

Madre: È successo qualcosa di grave?

Ratto: Mamma, sono stanco, molto stanco. Oggi è stata una giornata pesante per me. Non vorrei, non voglio… lasciami da solo, per favore. Ne ho bisogno.

Madre: Ti senti male? Vuoi che rimanga a casa stasera?

Ratto: No, mamma. Tu esci, esci pure. È solo stanchezza. Non ti fare problemi. Se per una sera vai al cinema, non casca giù il mondo.

Madre: Mi fai stare preoccupata.

Ratto: C’è sempre Stefano con me.

Madre: Ma se avete litigato.

Ratto: È una stronzata, mamma, solo una stronzata. E poi c’è anche Silvia.

Madre: Silvia stasera non viene.

Ratto: Cos’ha? Sta male?

Madre: Credo che anche loro abbiano litigato.

Ratto: Cosa te lo fa pensare?

Madre: Prima ho chiesto a Stefano e lui è stato vago, troppo. Ho provato ad insistere ma lui mi ha risposto male. (riflettendoci) Non ho mai visto Stefano così, così… non mi aveva mai risposto così male.

Ratto: Con me dovresti esserci abituata!

Madre: Per te è uno sfogo. Da lui non me l’aspetto.

Ratto: Anche lui sarà stanco. La tensione, l’esame, la tesi.

Madre: Comincio ad essere preoccupata. Non vorrei dovesse succedere qualcosa.

Ratto: Mamma, che stai dicendo?

Madre: Tu e Stefano. Stefano e Silvia. Non vorrei proprio…

Ratto: Normale amministrazione, solo normale amministrazione.

Madre: Sarà, sarà solo questo… spero. (esce)

Scena 6

Ratto è seduto sulla poltroncina girevole. Fissa il pubblico con espressione torva. Entra Silvia. Ratto sembra non accorgersene.

Ratto: "Coloro che per vedere hanno termine al punto di principio, assenza fuori e dentro, varco che si schiude. Coloro che vanno ai morti la morte sono nel fervore delle strade e degli esili in quel labirinto che chiamiamo spazio" (avvertendo la presenza di Silvia) Chi è?

Silvia: Io.

Ratto: Anch’io sono io.

Silvia: Io però sono Silvia.

Ratto: Io no invece.

Silvia: Questo lo so.

Ratto: È già un passo avanti, non credi?

Silvia: Era tua?

Ratto: Cosa?

Silvia: La poesia che stavi recitando.

Ratto: Io non stavo recitando nessuna poesia…

Silvia: Ti ho sentito.

Ratto: … la stavo vivendo.

Silvia: È molto bella. E’ tua?

Ratto: È di Stefanoni.

Silvia: Il poeta romano? Dicono sia molto bravo.

Ratto: Un giorno l’ho anche conosciuto.

Silvia: È stato interessante?

Ratto: È stato.

Silvia: Che intendi?

Ratto: È stato. Semplicemente. Vedi, non si può dire se una fatto del genere è o non è in una determinata maniera: devi viverla, viverla e basta. E lui, Stefanoni, lui è così: una persona particolare, uno che vive quello che sente, che vive quello che scrive e lo vive sempre sulla sua pelle, sulla sua carne, "in suo corpo vivo".

Silvia: È bello quello che hai detto.

Ratto: Sapessi come sono le cose che "non" dico.

Silvia: Profonde?

Ratto: Vuote. Piene di niente, di quel niente che ho dentro. E che sono io, che sono diventato io.

Silvia: Delle volte, quello che dici, mette paura.

Ratto: Sapessi quella che ho io quando sto qui con le orecchie appese, a cercare di capire quello che accade. Cercando di interpretare i rumori, capire se c’è qualcosa che mi possa fare male. Fraintendendo tutto, l’universo annegato in uno sputo

Silvia: Il male tu ce l’hai dentro.

Ratto: Non sai neanche quanto vorrei che non fosse così, che il male fosse fuori, che il pericolo fosse lì, intorno, tutto intorno a me.

Silvia: I topi?

Ratto: Tutto sarebbe più facile. Potrei difendermi, potrei reagire. Lapidare il costruttivismo ermetico del non senso. E difendermi invece di… (tace)

Silvia: Invece di…?

Ratto: Se i topi ce l’ho dentro cosa posso fare? Come posso difendermi?

Silvia: Capisco.

Ratto: Ne dubito, Silvia, sul serio. E non può che essere così, credimi.

Silvia: Cosa farai ora?

Ratto: Continuerò a vivere. Comunque.

Silvia: Comunque?

Ratto: Non ho scelta.

Silvia: Comunque?

Ratto: Comunque.

Silvia: Bene, se dovessi avere bisogno anche di me…

Ratto: …ti chiamo. (Silvia esce) Silvia…!

Scena 7

Ratto è seduto sulla poltroncina girevole. Fissa il pubblico con espressione torva.

Ratto: "Io ti guardo come tu mi guardi alla luce, luce residua del video. Sono entrati nelle nostre case con il loro unico mondo possibile"

Un rumore. Ratto tende l’orecchio, ascolta, tira fuori la pistola e, senza voltarsi, spara da una parte poi torna a fissare il vuoto davanti a sé. Dopo alcuni istanti, un nuovo rumore. Ratto tende l’orecchio, la porta dietro di lui si apre. È Stefano. In mano ha una bottiglia di whisky.

Ratto: Sei tu, Stefano?

Stefano: (contraffacendo la voce) No! Sono un altro!

Ratto: Lo so che sei tu. Lo sento.

Stefano: Già, tu senti tutto. (viene avanti bevendo)

Ratto: Come mai qui?

Stefano: Volevo fare pace

Ratto: Un’altra volta?

Stefano: L’ultima volta.

Ratto: Che vuoi dire?

Stefano: Che non dobbiamo più litigare.

Ratto: Sono d’accordo, anche se ci credo poco.

Stefano: Ti ho portato un regalo.

Ratto: Un regalo?

Entra una puttana bianca.

Puttana: Me!

Ratto: E tu? Chi sei?

Puttana: Una fatina, una piccola fatina. Chiamami pure Trilli se ti fa piacere.

Stefano: Una donna, Ratto. Una donna, bella e puttana!

Ratto: Stefano, hai portato una puttana in casa? Ma sei impazzito?

Stefano: Ti ricordi quando eravamo ragazzini? Quando parlavamo di portarci le puttane in casa?

Ratto: Avevamo tredici anni!

Stefano: Oggi quel sogno diventa realtà.

Puttana: In carne e ossa.

Ratto: Tu sei pazzo!

Stefano: Pazzo? Perché voglio far felice il mio piccolo fratellone disabile? Rendergli la vita piacevole? Per quanto possa…?

Puttana: Al resto penserò io.

Stefano: Su, piccola. Vai a salutare Ratto. (spinge la puttana verso Ratto)

Puttana: Ciao, Ratto. Come stai?

Ratto: Io non voglio, non voglio questo.

Puttana: (ridendo) Ho in mente certi giochini…

Stefano: Digli dei topi. Coraggio.

Puttana: (c.s.) Sì. I topi. Se non fai il bravo vengono i toponi e ti mangiano l’uccello.

Stefano: Brava! Così!

Ratto: Stefano, io non voglio che…

Stefano: Lasciati andare, fratellino. Lascia che la fatina ti guidi. Abbi fiducia.

Puttana: Solo io posso aiutarti, scacciare tutti quei toponi cattivi dalla tua testolina. Solo io. (sfregandoglisi addosso) Sai che sei proprio un bel ragazzo? Peccato che non puoi vedermi: ti piacerei.

Ratto: Non voglio, non voglio questa!

Stefano: Una studiosa canadese dice che i ciechi sono sessualmente dotati.

Ratto: Non è questo!

Puttana: Se vuoi, verifichiamo subito.

Stefano: Certo che è così. Tutti sanno che i ciechi hanno certe sberle tra le gambe.

Ratto: Non voglio! Lasciami, lasciami stare, ti prego.

Puttana: Non ti preoccupare. Rilassati. Sono una specialista io, una che con certe pratiche fa i miracoli.

Stefano: (trascinando Ratto sul letto) Hai sentito, Ratto? È una specialista! Magari ti ridà anche la vista. Che ne sai? Lei sì che ti può aiutare altro che quella stronza della psicologa.

Puttana: Io sono meglio… lo faccio meglio.

Ratto: Che fai, Stefano? Lasciami, lasciami.

Stefano: Ti porto a letto, ti metto a letto. Così la fatina, la fatina buona ti canterà la ninnananna… non so se mi spiego.

Puttana: Vedrai che te lo farò scoppiare. Vieni, vienni piccolo mio. Bevi che ti farà bene. (lo costringe a bere)

Ratto: Non voglio. (sbrodolandosi tutto)

Ratto è sul letto. La puttana gli è sopra. Cerca ancora di farlo bere. Stefano è seduto sulla poltroncina, li guarda, ride, beve anche lui.

Stefano: Vai. Su. Bella. Fai giocare il fratellone.

Puttana: Ci penso io, vedrai che con me… (lo fa bere) troverà una nuova ragione di vita.

Stefano: Hai visto, Ratto? Che ti dicevo? Una specialista!

Ratto: (flebile) Lasciatemi stare, per favore

Puttana: (rendendosi conto che qualcosa non va) Sì. Ma tu... Non è che…

Ratto: (flebile) No. No, no, no.

Puttana: Senti, ma non è che questo è frocio, imponente, o qualcosa del genere?

Stefano: È solo cieco!

Ratto: No, no che non sono frocio!

Puttana: Non gli si drizza!

Stefano: Ehi, hai sentito, Ratto? Il tuo uccello è morto, Ratto. Caput. (ride, beve)

Ratto: Che volete da me? Lasciatemi, lasciatemi in pace. Per favore.

Stefano: Anzi, sai che facciamo? Ora chiamiamo i topi, i tuoi fottuti topi. (ride) Stai a vedere che, invece che la "topa", se lo sono mangiati loro il tuo uccello.

Ratto: No, non così, non così.

Stefano: (c.s.) Topi! Topi! Squit! Squit!

Ratto: No! No. Io, io ora… ora ce la faccio, ce la faccio. State a vedere che… ce la faccio. (beve lunghe sorsate)

Stefano: (c.s.) "Zoccole", "ratte", "sorce", "tope"!

Ratto: Io, ora ce la faccio. (beve lunghe sorsate)

Puttana: (ride e fa bere Ratto) Ci mette impegno, però…

Ratto: Ora mi concentro, e, vedrete che io, io ci riesco. Si.

Stefano: (c.s.) Basta solo un po' di concentrazione e vedrai che ce la fa.

Ratto: (disperato) Ho sempre desiderato una puttana, una vera puttana. E’ la libidine del pregiudizio, il pianto rotto, il respiro che si intacca…

Puttana: (c.s.) Che dice questo? È scemo?

Ratto: (disperato) Il pensiero pesante, l’anima che si inforca…

Stefano: Bravo, fratellone! Così mi piaci. Dai che vai in meta!

Ratto: (come esplodendo) Una puttana negra!

Puttana: (fermandosi) Negra?

Ratto: Negra, negra. Voglio una puttana negra. Perché tu sei negra, vero?

Puttana: Che è sta storia?

Stefano: No. Niente. E che…

Ratto: Perché è negra, vero? La puttana è negra?

Stefano: (invitando la puttana a dire "si") Certo che è negra. Vero che sei negra? Diglielo!

Puttana: Sì. Certo che sono negra. Perché? C’è qualche problema?

Ratto: Questa non è negra. Lo so. Lo sento. Me ne accorgo.

Stefano: No. Ma che dici? Lei è negra, una vera negra. Diglielo.

Puttana: (poco convinta) Sì. Sono, sono negra…

Ratto: (dandole uno schiaffo) Tu non sei negra. Sei bianca, sei una schifosa puttana bianca! Sarai pure polacca. O albanese. Non certo negra.

Puttana: Ehi? Che fa questo? Mena? Non sono certo venuta qui per…

Ratto: Mandala via, Stefano! Via questa puttana bianca! Non voglio bianche, io. Ma negre, solo negre.

Stefano: Ratto, ti giuro che…

Ratto: Questa è bianca, bianca! Mi volevi ingannare ma io me ne sono accorto. Lo sento, lo capisco che non è negra!

Puttana: (a Stefano) Senti bello, non me ne frega niente di voi. Se questo vuole una puttana nera, vagliela a cercare. Ma a me "mi" paghi lo stesso senza fare storie.

Stefano: Sì. Certo. Certo. Bella, i soldi, li avrai, i tuoi soldi li avrai, tutti! Ora andiamo di là che te li do io. Non ti preoccupare.

Ratto: Lo dicevo che non era negra la puttana. Lo dicevo.

Stefano: Stai buono, Ratto. Mi spiace. Non pensavo che tu volessi… Non lo avevo capito. Non ti volevo ingannare.

Puttana: Bello, io aspetto i soldi.

Ratto: Non mi volevi ingannare, però lo hai fatto.

Stefano: Non ne ho trovata una negra così ti ho portato questa.

Puttana: Amico, il tassametro corre. Che vogliamo fare? O mi dai i soldi o pianto un casino.

Stefano: Sì. Aspetta, aspetta un attimo. Ora ti pago. Non ti preoccupare. Andiamo di là. E ti pago, ti pago subito.

Ratto: Una puttana negra! Voglio solo una puttana negra. Niente di più. Solo questo.

Stefano: Calmati, Ratto. Adesso calmati. Vedi di calmarti. Tieni, tieni questo, vedrai che ti calmerà, ti calmerai. (gli dà la bottiglia. Ratto beve)

Puttana: Senti, bello. Non posso certo perdere tempo. Devo andare. Ho dei clienti che mi aspettano.

Stefano: Stai zitta un attimo! Ratto, io vado di là. Mando via la signora. E torno. Tu però non combinare altri casini.

Ratto: (frastornato e bevendo) Ehi! Aspetta un attimo. Non è che mi lasci qui solo? In balia dei topi?

Stefano: (porgendogli dei proiettili) Ho capito. Tieni qui. Prendi questi: sono proiettili per la tua maledetta pistola. Ecco, prendili.

Ratto: (rendendosi conto di quello che Stefano gli ha dato) Ehi, ma questi sono…

Stefano: Proiettili per quella cazzo di pistola.

Puttana: Ehi, ma quelli sono veri!

Stefano: Fatti i cazzi tuoi, piccola. E ora andiamo di là. Se vuoi ancora i soldi. Se ci tieni ancora ai tuoi soldi.

Ratto beve, sembra calmarsi. Prende e accarezza la pistola.

Ratto: (giocando con i proiettili) Questi sono i miei occhi

Stefano: (fa per uscire con la puttana) Ora vado di là. Liquido la puttana e poi torno.

Puttana: Ehi, dico… mica ricominceremo?

Stefano: Più che ricominciare dobbiamo vedere di concludere.

Stefano esce con la puttana. Ratto rimane solo. Con difficoltà si mette in piedi e va’ a sedersi sulla poltroncina girevole e carica con cura la pistola. Appare sorpreso e ammirato da quell’arma. Beve più volte. Poi, lentamente, comincia a roteare intonando la Haka.

Ratto: E ora, maledetti topi, siete nella merda. "E ringa pakia waewae tahahia. E kine nei haki. E ringa e ringa e toroua kei waho motonu. Kamate! Kamate! Karoa, karoa. Tenei te tangata puhuruhuru. Kana e tiki rai whaka whiti ra. A hupane ! A hupane ! Hupane kopane whiti te ra".

Un rumore. Ratto si blocca, tende l’orecchio. Entra Stefano abbottonandosi i pantaloni.

Ratto: Stefano? Sei tu?

Stefano: No. Sono Monna Lisa.

Ratto: E la puttana?

Stefano: Andata.

Ratto: C’hai scopato?

Stefano: Tu che dici?

Ratto: C’hai scopato.

Stefano: Avresti dovuta vederla…

Ratto: Avessi potuto vederla.

Stefano: Certe tette!

Ratto: Il lampo si è fulminato. Il vento ha imbrattato la vetrina e la rete ha preso fuoco.

Stefano: Com’è che non ti andava?

Ratto: (beve) Mica uno può essere sempre pronto.

Stefano: Comincio a credere veramente al fatto che tu…

Ratto: Non ero concentrato.

Stefano: Sei stato penoso. (beve) Semplicemente penoso.

Ratto: Tu restavi là davanti. Creavi imbarazzo.

Stefano: Io l’avrei scopata anche davanti a te.

Ratto: È facile. Io sono cieco, non ho più gli occhi per illuminare. (beve)

Stefano: E che significa? Io lo avrei fatto lo stesso.

Ratto: Tu!

Stefano: Comunque potevi dirmelo, sarei uscito.

Ratto: Lo avresti fatto?

Stefano: No.

Ratto: E allora?

Stefano: Devi dirmelo tu "allora"!

Ratto: Avevo il cervello decotto. Troppo casino. I topi! La stanza brulicava di topi. Dappertutto.

Stefano: Ah, non dire cazzate! Dì piuttosto che non ce la facevi.

Ratto: C’erano topi, topi dappertutto.

Stefano: (beve) Poi la storia della negra, che volevi una puttana negra.

Ratto: Non sapevo che inventarmi. Tu non capivi…

Stefano: Potevi semplicemente dire che non t’andava. L’avrei mandata via. Senza problemi.

Ratto: (beve) Gli occhi di quella mi penetravano. Volevo solo che scomparisse, che andasse via. L’avrei anche potuta uccidere.

Stefano: (come illuminato) Veramente lo avresti fatto?

Ratto: Perché me lo chiedi?

Stefano: Così. Per dire, solo per dire. (riflette) Certo, Ratto, che sei strano, sei diventato strano ultimamente. Anche con me.

Ratto: Le sartie stridono, si schiantano. Intorno a me c’è troppa tensione. Non so se ce la faccio a reggere. Mi si sta rompendo tutto, dentro! (beve)

Stefano: È solo un’impressione, Ratto. Tu sei forte, una roccia! Niente può scalfirti, buttarti giù. Niente! Ricordi il rugby? (beve)

Ratto: Adesso sono chiuso in una stanza buia. Con Maria dentro a farmi male.

Stefano: Cazzate! Tu sei Ratto, il grande Ratto, quello che con le sue giocate fotte tutte le difese, che piazza l’ovale in mezzo ai pali da qualsiasi posizione, che fa girare la squadra come meglio crede.

Ratto: Non sono più io quello. È solo un mito. Che mi porto dietro a maledirmi.

Stefano: Sei sempre il più grande!

Ratto: (beve) Adesso no, adesso ci sono loro, i topi.

Stefano: I topi? Che cazzata!

Ratto: Adesso sono io ad avere bisogno.

Stefano: Bisogno? Tu hai solo bisogno di una cosa: la fica!

Ratto: Che?

Stefano: (gli porge una bottiglia, Ratto beve) Prendi questo, vedrai, ti aiuta.

Ratto: Sì, mi aiuta. Devo bere. Così almeno non vedo, non vedo più niente.

Stefano: Vedi, la storia dei topi, tutto: tu in quell’incidente, non ti sei fottuto solo gli occhi, ma anche il cervello.

Ratto: Il cervello?

Stefano: (cattivo) Maria!

Ratto: Che c’entra lei, adesso?

Stefano: Maria non c’è, non c’è più. E tu? Tu non vivi, non riesci più a vivere. Prima perdi la vista. Un trauma psichico e, oplà, addio la vista.

Ratto: È così?

Stefano: Poi il cervello, i topi e quello che ne consegue.

Ratto: Allora è vero. Sono pazzo.

Stefano: Proprio pazzo no, ma… ora anche l’uccello, non vola più, adesso. Non riesci più a fare l’amore.

Ratto: Dici che è così?

Stefano: Non può che essere così: Ti pisci nelle mani. Tremi come una foglia. E’ la paura che ti fotte dentro. La paura di lei!

Ratto: Io… è vero, è vero sono solo. Qui nel buio. Solo! (beve)

Stefano: Non riesci più a scopare, Ratto. Come un vecchio cieco, rimbambito e… ora anche impotente.

Ratto: No, questo no!

Stefano: Sei una larva, una larva umana senza speranza, senza alcuna prospettiva. Uno zombie!

Ratto: Sento le forze mancarmi, il corpo deprimersi, seccarsi.

Stefano: Maria ti ha fottuto.

Ratto: (disperato) Lei nooooo… (beve)

Stefano: Tu hai fottuto lei…

Ratto: (c.s.) Ti prego, no…

Stefano: … e lei ha fottuto te. (ride)

Ratto: (come di colpo risoluto) Avanti, Stefano, dov’è? (beve)

Stefano: (divertito) Dov’è chi?

Ratto: La puttana. Dov’è la puttana? Quella che c’era prima. (beve)

Stefano: (c.s.) Vuoi la puttana, Ratto?

Ratto: Voglio la puttana. Quella di prima.

Stefano: (c.s.) Che fa, Ratto, ti sei arrazzato?

Ratto: (esaltandosi) Arrazzato? Sì! Arrazzato! Sono vivo, vivo, ancora vivo!

Stefano: (c.s.) La vuoi, la vuoi sul serio?

Ratto: (c.s.) Portamela qui, Stefano.

Stefano: (c.s.) E per farci che? Pisciarci tra le gambe?

Ratto: La voglio e basta!

Stefano: (c.s.) Dillo forte, fratellino

Ratto: Voglio quella puttana.

Stefano: (c.s.) Bianca, nera, quella che sia?

Ratto: Voglio quella puttana!

Stefano: E l’avrai, la tua puttana. L’avrai.

Ratto: Bene.

Stefano esce. Ratto rimane solo seduto sulla sua poltroncina. A scrutare il pubblico. Con i suoi occhiali neri. L’espressione torva. Beve.

Ratto: "Questo dolore sotto pelle che continuamente esce tra corteccia e osso parte dallo sguardo… è il mio corpo, il mio viaggio, il mio ricordo… che io non vedo ma che… appare e svela coscienza che sente e che trasmigra.".

Beve lunghe sorsate. Entra la madre. Ratto è ubriaco.

Madre: Ratto…?

Ratto: Sei già qui?

Madre: Ero preoccupata, così sono tornata prima.

Ratto: Stefano ha fatto presto a trovarti.

Madre: Non ci siamo neanche visti. Sono andata di là e lui non c’era.

Ratto: Allora come hai fatto a sapere?

Madre: (preoccupandosi) Cos’è che…? Hai bevuto? Wiskey?

Ratto: (interrompendola) Vado giù duro.

Madre: (c.s.) Che vuoi dire?

Ratto: Mi sono svegliato. Ora posso cominciare a braccare.

Madre: Ratto, ma sei ubriaco?

Ratto: La foia è in circolo! Sincopatizzazione del flusso.

Ratto si getta addosso alla madre che urla cercando di difendersi. Anche lui urla. Penombra. Stefano entra e si va a sedere sulla poltroncina. Li guarda. Beve. Ratto si lascia cadere a terra. È stravolto, confuso, ubriaco. La madre tra i singhiozzi cerca di rialzarsi. Prima di uscire si volta verso Stefano e lo guarda con odio, poi scappa via in preda ai conati di vomito e alle lacrime.

Ratto: (beve) Allora, non dici niente?

Stefano: È rimasta senza parole, Ratto. Veramente senza parole.

Ratto: Stefano, sei qui? Non ti avevo sentito entrare.

Stefano: Eri particolarmente impegnato, così ho voluto non disturbarti.

Ratto: Stavo solo cercando di darmi da fare.

Stefano: Non avrei mai immaginato saresti arrivato a tanto.

Ratto: Ho cercato di fare del mio meglio. Sai non era facile. Nelle condizioni in cui mi trovo.

Stefano: Non era facile no.

Ratto: Con tutti quei maledetti topi che mi giravano intorno. (beve)

Stefano: Immagino.

Ratto: Li sentivo brulicare, squittire dappertutto. (beve)

Stefano: Ce n’era giusto uno lì, vicino al letto.

Ratto: L’hai visto?

Stefano: Era grosso, il più grosso.

Ratto: Sarà stato il capo.

Stefano: Sicuramente, lui.

Ratto: Quel bastardo! Se solo riuscissi a frantumargli il senso di poi.

Stefano: Devo dire che sei sempre grande, il migliore!

Ratto: Una volta lo ero.

Stefano: Ma anche adesso però…

Ratto: Ho il cervello coibentato male. Non so se riesco ad uscirne.

Stefano: Solo che c’è un problema, Ratto.

Ratto: I topi?

Stefano: La donna che ti sei fatto.

Ratto: La puttana?

Stefano: Non era esattamente lei…

Ratto: (timoroso) Non era…?

Stefano: No.

Ratto: (timoroso) E chi era?

Stefano: È questo il punto.

Ratto: Qualcosa che non avrei dovuto fare?

Stefano: Qualcosa che non avresti dovuto fare. Con "lei".

Ratto: Ma c’era… c’era una puttana qui. L’hai portata tu. E io… ho…

Stefano: Non c’era nessuna puttana, Ratto.

Ratto: Vuoi dire che veramente io…? (preoccupandosi sempre di più) Ma non è possibile! Lei… lei è entrata. Non ha detto niente, niente. Io mi ci sono butatto addosso. E lei, lei c’è stata, le piaceva, voleva… forse…

Stefano: Forse.

Ratto: Mi ha lasciato fare.

Stefano: Ne sei sicuro?

Ratto: Con tutti quei topi che mi brigavano intorno…

Stefano: Certo, i topi.

Ratto: Un continuo di squittire, masticare, rosicchiare. Non sentivo, non sentivo niente. Niente. Tutto era un fracasso. Un clamore E io… forse…

Stefano: Forse.

Ratto: …mamma…?

Ratto rimane interdetto, confuso, l’espressione incredula, comincia a parlarsi addosso e ad agitarsi. Stefano, indifferente, lo guarda.

Ratto: (tra se) La verità, io ce l’ho dentro… la verità… C’era una festa qui… Dovevamo festeggiare…

Stefano: Festeggiare… proprio festeggiare.

Ratto: (tra se) La ritrovata armonia… tra me e Stefano. Mi aveva anche portato un regalo: una puttana! Lei è entrata qui… Io mi sono voltato e…

Stefano: Ratto? (Ratto alza la testa) Il topo, la coda del topo, è lì!

Ratto: Topi? I topi! Sì. Ci sono i topi qui. Li sento.

Stefano: Grossi come cani.

Ratto: (trascinandosi sulla poltroncina) Li sento, ora li sento. Infestano la stanza, il cervello! I topi con il loro capo in testa quello più grosso… dice agli altri cosa devono fare…contro di me. È lui, il capo, a mandarmeli contro. Mi vuole fottere la vita. Lui, con i suoi occhi del cazzo…i suoi baffi del cazzo…la sua coda del cazzo. Lo sento, la vedo: la coda del topo. (cominciando a ruotare e puntando davanti a sé l’arma) Giro, giro tondo, casca il mondo, casca la terra…

Stefano: Il topo, Ratto, il topo. Uccidilo!

Ratto blocca il suo roteare, punta la pistola sul fratello e lo uccide.

Ratto: (canticchiando) "Io avevo una storiella, bella! Avevo un cammello, bello! Avevo un sorriso, riso! Avevo una luce, truce! Avevo un occhio, cocchio! E avevo un cuore…

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