La commedia demenziale

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          LA  COMMEDIA  DEMENZIALE

Atto unico

  di

Antonio  Sapienza

Premessa:

Qualcuno disse: “ Il dubbio e la perplessità, sono propri dello spirito libero”: Ora io-immodestamente- affermo e dico:“che, aggiungendoa questo spirito, un po’ di fantasia e un pizzico di pazzia, formeremoil sale della vita”.

                                  L’OPERAZIONE DEL GRIGIO.

Personaggi:

Il Grigio

L’uomo dal camice bianco

Un uomo del gruppo

Signora che passa

Il vecchietto

L’uomo in tuta

      “    con l’impermeabile

     “    della nave

    “    in bianco

    “   dalla faccia incolore

Donna grossa

Nano

Primo uomo

Secondo uomo

Terzo uomo

Attori necessari, con adeguato travestimento: tre maschili e due femminili

Entrano da sinistra entra il gruppetto d’uominigià citati, al seguito di un misterioso uomo dal camice bianco bianco, che li guida; il quale, di tanto in tanto, indicava agli interessati qualcosa, con noncuranza,  con grande sufficienza, o sottile malcelata noiosa ironia.

Dopo aver attraversato vari asettici corridoi, il gruppetto giunse nella Hall, in fondo alla quale, si stagliava un’ampia vetrata azzurra. Dal gruppo si staccarono l’Uomo dal camice bianco e il Grigio. Gli altri restano in scena, marginalmente, in ordine sparso, come manichini, e interverranno, singolarmente, quando darà il loro momento.

L’uomo dal camice bianco  - Quella se la ricorda, vero?-

Il Grigio - Veramente non ricordo…-

L’uomo dal camice bianco- Ma come non ricorda? Lei c’è già stato qui o no?-

Il Grigio – (indeciso, confuso) E chi lo sa… forse si.. ma non ricordo né quando né perché.-

L’uomo dal camice bianco- Eppure lei, dietro questa vetrata c’è già stato: mi risulta dagli atti..-

Il Grigio-  E avranno pure ragione gli atti, ma io non ricordo bene. (prendendo tempo per ricordare qualcosa) In che occasione ci sarei già stato?-

L’uomo dal camice bianco- La stessa per la quale c’è ora, in questo momento.(gli risponde stizzito, allontanandosi con passo veloce e sparendo oltre la vetrata azzurra).-

Il Grigio – Accidenti, (guardandosi attorno)  dovrei trovare qualche particolare di questo luogo che mi faccia venire in mente qualcuno di quei molti perché. Ma non affiora dai miei troppi ricordi, accatastati durante i lunghi anni della mia vita. Eppure, quella vetrata incomincia ad essermi famigliare…(con esultanza) Ma certo, è l’ingresso della sala operatoria: le tonsille! Ma allora, se le ho già fatte, perché sono di nuovo qui? (e, intanto si torceva le mani per cercare una risposta)-

Uomo del gruppo - Perché non provi a telefonare? Dai prova. (gli dice con voce suadente e decisa).-

Il Grigio- Già, è vero. Potrei telefonare. Ma da dove?( guardandosi attorno alla ricerca di un telefono).

Uomo del gruppo - Là c’è un telefono a gettoni.-

Il Grigio- Lo vedo, ma non ho gettoni…-

Uomo del gruppo -Chiedili a lei! –(indicando una donna che indossava un’aderente tuta sportiva color ghiaccio, e che passava da lì in quel momento)-.

Il Grigio - Signora, signora, mi scusi, mi darebbe qualche gettone? ( Le chiede cortesemente).-

Signora che passa- Per fare cosa?-

Il Grigio- Desidero telefonare.-

Signora che passa- E perché? Che bisogno ha?-

Il Grigio - Voglio chiedere a qualcuno cosa ci faccio qui.-

Signorache passa - E’ perfettamente inutile. Comunque ecco i gettoni. ( Così dicendo, la donna aprì una borsetta  a forma di portafoglio) –

Il Grigio – Lei è molto buona ( e intanto che prese i gettoni, scorgento una moneta d’arnto prende pure quella; poi ne prende altre, infine scorge tanti ninnoli d’oro e d’argento e prende anche quelli, a manciate.) Quanto pago per i gettoni?-

Signora che passa- Glieli metto in conto.( risponde acida la donna).-

Il Grigio- Grazie ancora ( e si dirige verso il telefono, alza la cornetta e attende la linea) Ma che scherzi sono questi? La linea non c’è!-

Vecchietto- (passandogli vicino) .  Quel quel telefono è fuori servizio. Vi consiglio di provare con quello che c’èal banco della Ricezione.-

Il Grigio- Vado! ( raggiunge il bancone, prende in mano il vecchio telefono) … ma, anche questo è muto.-

Vecchietto - Un Prova ad attaccare la spina.-

Il Grigio - La spina? quella? (indicando un’antiquata spina elettrica).-

Vecchietto – (confermando vistosamente) Quella.-

Il Grigio- Grazie buon uomo. (intanto si china per mettere la spina, ma questa non entrava nella presa. Indispettito allora sta per scaraventare il vecchio telefono contro il vecchio banco dove qualche attimo prima stava il vecchio uomo, ma questi non c’era più: Al suo posto c’era un gattino con una campanellina al collo) Accidenti devo assolutamente uscire da quel luogo, ma non c’è nessuna porta (guardandosi attorno)…e non c’è nessuno: sono solo!( Si appoggia alla parete, sfiduciato, quando un pannello cedette e mostrò una finestra dove era affacciato un uomo in tuta da lavoro grigia, che, con fare di complicità, gli indicò una porticina laterale)…. Ma questo è un treno e corre a tutta velocità… a folle velocità! Ma dove mi porta questo treno?-

Uomo in tuta- Al mare. ( risponde uscendo senza voltarsi)-

Il Grigio- (stringendosi l’abito) Questo vagone sembra un grande freezer e mi sento spiare. Ora fuggo!(e uscendo dal treno in corsa e correndo con tutte le sue forze, vide un uomo con un impermeabile grigio lo inseguiva)-

L’uomo con l’impermeabile- (raggiungendolo)Tieni, prendi questo impermeabile, così quello inseguirà me e tu potrai fuggire dove vuoi, magari da quella parte.-

Il Grigio – Grazie (e indossò frettolosamente l’indumento, e fugge nella direzione indicatagli. Correndo in un’atmosfera  perlacea, era quasi all’estremo delle forse) Ma dove mi trovo? (si guardò attorno e si avvide d’essere sul ponte di una nave) Accidenti sul ponte di una nave, esattamente la prua. Ma che stranezze sono queste? (aggrappandosi al parapetto e respirando a pieni polmoni cercando di calmarsi)

Un uomo della nave – ( avvicinandosi) Ha telefonato?-

Il Grigio - No, non ce l’ho fatto.- (risponde ancora ansimante).

Un uomo della nave - Provi da qui. ( e gli indica una moderna cabina telefonica).

IlGrigio-Grazie amico. (e si dirige verso l’apparecchio, stacca la cornetta e questa gli rimase in mano. Sta per imprecare malamente, ma s’avvede che in quel momento una enorme onda sta per abbattersi sulla nave. Resta paralizzato dalla paura)-

Un uomo innero - Ma che razza di onda è quella? (calzando un cappello bianco calzato alla “ventitre”)-

Il Grigio- Mamma santissima che paura! (Infatti l’onda s’era fermata a metà, senza abbattersi sulla nave, e, intanto sudava freddo, ma quando si terse il sudore si avvide che era sangue) Sangue? E gocciola per terra copiosamente) Pussa via! (e con piede sinistro cacciò una coppia di cuccioli che  leccava avidamente il sangue).-

La donna grossa-  ( aprendo violentemente la porta) Ha telefonato?-

Il Grigio – No, non c’è un telefono funzionante.-

Donna grossa - Provi questo.( e gli dette in mano un modernissimo telefono senza fili)-.

Il Grigio- Grazie signora (prende l’apparecchio e notò che era pesante) Cielo, è  pesantissimo, tanto pesante che mi sprofonda sottoterra. Aiuto! (e, intanto atterrò su qualcosa di molliccio, che gli si avvinghiò nelle gambe) Che schifo! –

Nano - Che schifo lo debbo dire io. Scendi dalla mia testa e vattene.-

Il Grigio – Scusi, scusi tanto. ( e scende dalla testa e vide che era quella di un nano, scendendo e toccando il suolo) Addio! I miei piedi! Al posto dei piedi ho due moncherini simili a falli. (disperandosi) Accidenti! e ora come faccio?-

Nano - E pure ti lamenti? Adesso ne hai tre, non sei contento. -

Il Grigio – (supplichevole) Ma io avrei bisogno dei miei piedi.-

Nano - Stupido! ( Gli rispose il nano disgustato e sputando per terra) Ecco fatto! E’ arrivato il tuono!-

Il Grigio - Un tuono?-

Uomo dalla faccia incolore- No, è stata una pernacchia. - La vuoi risentire? No? Allora guardati i piedi e prendi la prima traversa a sinistra, e la seconda porta a destra. March!-

Il Grigio- (guardandosi i piedi) Sono tornati (poi mogio mogio ubbidì e si trovo in una piccola stanza quasi al buio, piena di fumo e con tre individui in nero con occhiali rossi e sigaro di vetro, che giocavano a poker in un piccolo tavolino da scacchi verde)-

Primo uomo - Siediti.-

Secondo uomo - Prendi il mazzo.-

Terzo uomo - Dai carte.-

Primo uomo - Solo un giro.-

Secondo uomo –O una mano.-

Terzo uomo – Secondo il caso.-

Il Grigio –Manco per il cavolo! Io non so giocare.-

Primo uomo - E chi ti ha detto di giocare?-

Secondo uomo - Tu sei qui per operarti.-

Terzo uomo -Sbrigati.-

Il Grigio - Voglio prima telefonare.-

Primouomo -  L’hai già fatto.-

Secondo uomo - E ti abbiamo detto: si. -

Terzo uomo -E ora ci stai scocciando.-

Il Grigio - E se vi mandassi tutti affanculo?-

Secondo uomo - Affari tuoi.-

Secondo uomo - Seconda porta a destra.-

Terzo uomo -E chiudi!-

Il Grigio- (ironicamente) Grazie mille, siete la gentilezza personificata. Uscì dalla stanzetta e si trovò in un locale di sterco simile ad un obitorio in disuso) Che tanfo! ( starnutì e incominciò a a vaneggiare) Sto galleggiando nel nulla, sorretto da nessuno, appoggiato nel niente.( Poi un altro starnuto) in una girandola di sole travolgente, e atterro nell’arena dove un toro infuriato -chi sa perché –mi aspettava con le froge fumiganti di rabbia o di livore. Ma l’incornata fu misericordiosa e mi intenerì perdutamente. Volteggiavo e volteggiavo fin quando non toccai terra. Il pavimento era formato da un tappeto verde, che a ben guardarlo di fronte, dal lato sinistro, obliquo, a mezza altezza, diventava bianco. Ero di nuovo nella Hall, ma dall’altra parte della vetrata.-

Un uomo in bianco- (scandendo i secondi) Meno cinque, meno quattro, meno tre, due…-

Il Grigio - Eccomi! ( Gridò lui, o chi per lui, steso sul lettino bianco provvisto di airbag- .

Voce professionale – Anestesia completata. ( annunciò una voce professionale intanto che la vetrata si liquefaceva).

  L’AUTODIDATTA.

Personaggi: uno maschile

Certo, come se fosse così semplice confessare d’essere un autodidatta ( anche se lo fece, candidamente, un grande della scrittura del calibro di Borges.) Beh, allora per evitare paragoni improponibili, diciamo che sono un quasi autodidatta e basta!

Basta? E allora cosa confesso?

Allora, intanto ecco il mio nome:  Pietro Clarenza, classe 1935, di professione aspirante fannullone.

Ed ecco il mio curriculum:

Carriera scolastica: in quinta elementare il maestro Floridia mi disse: Lascia perdere lo studio e vai a lavorare.

Consiglio rigettato, mi piaceva studiare, ma avevo la memoria a breve.

E Lombardo? Il professore dei superiori? Colui che non seppe riconoscere dentro l’asino che c’era in me, il “poeta”, inventore di storie? Eppure in un compito d’italiano, seppur disastroso per sintassi, grammatica e ortografia, glielo avevo messo sotto il naso il mio “talento” inventivo e lui mi dette sei al merito. Poi basta.

E allora ripensando al consiglio di Floridia, andai a lavorare ( si fa per dire).

Ma la smania per lo studio mi riprese e tornai a studiare, ma l’uso del congiuntivo me lo insegnò un mio compagno di “sventura”.

Dopo mille vicende e fatti, riuscii, come Dio volle a diplomarmi, però con la promessa tacita che non mi sarei iscritto all’Università.

Promessa che da spergiuro, infransi qualche anno dopo. Ma fortunatamente per poco, perché la voce di Floridia me la sentivo sempre negli orecchi, e allora correttamente mi ritirai.

Poi feci un lavoro che mi permise di “saccheggiare” un’intera biblioteca. E allora la Narrativa, il Teatro, la Saggistica erano il companatico del mio pane quotidiano.

Poi un giorno composi la mia prima commedia che cestinai, incoscientemente, vent’anni dopo, quando liberai certi cassetti.

Perché la cestinai? Perché avendo aspirazioni letterarie in grande stile, quella commediola mi sembrò una scemenza. Insomma volevo iniziare la mia carriera di scrittore drammatico ex novo ( ho scritto bene?).

Cosicchè scrissi  tremila pagine, ci crederete?

Poi scrissi qualche timida poesia. Perché timida? Perché leggendo le poesie di autori famosi e bravi, a loro confronto, la mia poesia sembrava dissolversi in minuscole goccioline di similpoesia. Ma, per mia fortuna, ci sono anche poeti “normali”, i comuni mortali, e allora mi dissi: qui ci sto bene io. E mi si diffuse, pertanto, un leggero alone di coraggio e la mano divenne più audace nella composizione.

Cosa c’entra questo discorso? Beh, sapete, sono timido e schivo e non vorrei intrupparmi con i poeti per forza - nonostante la consapevolezza dei miei grossi limiti.

 Scrivere poesie: mica me l’ha ordinato qualcuno? Eppoi, sapete, a me arrivano decine di riviste letterarie, in omaggio, per incoraggiarmi ad abbonarmi, a questa o a quella rivista, che, chi più o meno garbatamente, sollecitano un abbonamento di sostenitore. Io, onestamente, le vorrei sostenere tutte ( a parte l’onere finanziario non indifferente), ma poi, leggendo i brani in esse contenute, mi trovo di fronte ad un grave dilemma, un grande problema di coscienza: 

Sostenerle tutte o nessuna. Questo perché, fatta salva qualche eccezione, quei testi o sono ingenui ( stavo per dire infantili), ripetitivi, con acido sapore di rimasticatura, colmi di retorica, di mammismo e di odi e lodi per il proprio paese; oppure sono ( o vorrebbero essere) pezzi eruditi, intellettuali, concettuali, enigmatici o ermetici, magari scimmiottando un caposcuola di successo, senza che mai propongano una “favola”, un fine, una idea concreta e conclusa, un pensiero compiuto, oppure una visione, un profumo, un alito, un’illusione, un lampo, un sapore dolce o aspro – magari poi negati.

Lo avrete già capito: io rigetto gli uni e gli altri per tentato fastidio mentale ( e includerei nella schiera anche qualche cosiddetto caposcuola).

Scusate, ora la mia domanda scema è questa: Se, per capire questo genere di  poesia  pseudointellettuale, è necessaria la cultura, o peggio, l’erudizione, allora che poesia è?   

Sarò retorico ma la poesia, per me, uomo di tutti i giorni e poeta a tempo determinato, è percepire, raccogliere e porgere pensieri, sensazioni, fatti, emozioni, sentimenti, idee, intuizioni, dolori e sogni, al fine di far sognare, vibrare, emozionare, sbalordire, sorridere addolorare, commuovere altri uomini come me. O mi sbaglio? Voi mi direte: e la musicalità dei versi dove la metti? E qui, veramente, mi confondete – sinceramente, perché io dico: un verso può essere bello, orecchiabile, musicabile, lirico, ma tutto l’insieme può darsi che, pur essendo armonico, mi dia il fastidio di cui sopra. Sbaglio? Forse si. Però, secondo voi - trascurando le regole fisse e rigide della composizione - un buon musicista non potrebbe, dignitosamente, musicare una pagina d’elenco telefonico?

Ma qualcuno di voi potrebbe, giustamente, osservare: e la pittura allora? Astrattismo, simbolismo, informale, surreale, impressionismo, espressionismo, cubismo e tutti gli ismi di questo mondo ancora? Come la mettiamo?

E io vi dico: lasciate stare questi movimenti perché la pittura – come la poesia – è una cosa seria e non va confusa con le tecniche, gli stili, le mode, le forzature e le originalità a tutti i costi. Tralasciamo, ovviamente,  anche i mistificatori imbrattatele. Parliamo soltanto dei veri Artisti, per intenderci.

Dunque  la pittura è poesia - di forme e di colore. L’una non esclude l’altra, pur essendo autonome. Ma quando esse si fondono, allora avviene il miracolo: come magica simbiosi nascono opere straordinarie che sono dette, molto semplicemente, capolavori d’Arte.   

Solo allora il vero Artista ( il genuino talento), filtrando la realtà da poeta, tramite i suoi occhi incantati, attraverso la sua anima, con la sua personale maestria, propone la sua personalissima, originale, unica visione estetica, a seconda della sua ispirazione o estro, e la carpisce, fissando sulla tela ciò che altri mai potrebbero vedere: il mondo, la vita e la sua essenza.   

Ora ritornando alla comprensione della poesia, della pittura, e alla funzione dell’Arte: E’ evidente che il pittore è pittore perché dipinge una tela e la mostra; il poeta è Poeta perchè scrive la poesia sulla carta, e la pubblica.

Si potrebbe supporre, quindi, con ragionevole certezza, che essi abbiano “ creato” queste opere non per farsi dire: “ Ma che brrravo!”, ma in funzione degli altri uomini, affinchè le ammirino, le apprezzino, le capiscano e le godano.

Altrimenti, se operano per se stessi; se non debbono essere capiti, apprezzati, ammirati e goduti, allora il pittore non deve dipingere sulla tela, ma sulla sua anima; e il poeta non deve scrivere sulla carta ma sul suo cuore. Chiusa parentesi.

E riprendiamo il filo interrotto.

Dopo, incoscientemente, mi cimentai anche con la narrativa. Ma le parole “assiomi”, “ corollari”, “allitterazioni”, mi facevano tremare i ginocchi. E gli accenti? E le pronunzie di certe parole straniere? Goethe, ad esempio, pronunciarlo è stato la mia ossessione, tanto che mi divenne così antipatico che di lui non ho letto – mai, neppure un rigo.

Il latino? Semplice lontanissima conoscenza.

E il Greco? Affascinante e misterioso, che per me rimase sempre misterioso e affascinante, termine, come fare?

E perché, per esempio della professoressa (?) Guarino, pseudo-insegnante d’italiano, mi ricordo soltanto il nome.

Ce n’erano motivi più che sufficienti per mollare tutto.

Ma volli scrivere!  E scrissi, scrissi, scrissi. Scrissi una decina di romanzi, novelle, racconti, storie brevi e oltre cento opere teatrali. Scrissi bene, scrissi male, scrissi così così? Ai posteri l’ardua sentenza! ( che scemo! cosa cito).

Ora credete che, secondo i canoni - per dirsi vero scrittore - in quanto vi ho detto, ci sia perfetto equilibrio tra introduzione, corpo e finale?

No, vero? E certo, altrimenti che autodidatta sarei - allora.

E’ tutto, che ne pensate?-

Ma non ottenni nessuna risposta, quindi lentamente, mi alzai dal divanetto e silenziosamente, quasi furtivamente, scivolai via dalla stanza - per non svegliare lo psicanalista.

                                                ASCOLTANDO  BEETHOVEN

Personaggi:

Il signor Nessuno

Voce in lontananza

NdA : Tutte le battute saranno dette dal signor nessuno.

Dunque: Nel quarto anniversario della mia morte, sul giornale “La crisi del mattino”, fu pubblicato questo annuncio: “Lauta ricompensa a chi troverà e conserverà il suo ricordo.”

Eppure io ero ancora lì, gironzolavo per le strade, guardavo le vetrine, scrutavo i passanti, leggevo i titoli dei giornali esposti nelle edicole; e nel giardino pubblico scansavo la cacca dei cani e scalciavo le foglie morte. In una parola: vagavo per la città. Ma loro: niente!

E va bene, vuol dire che provvederò da me stesso.

Allora scrivi tipografo: “ Quando S.E. l’Arcivescovo, nel fare una genuflessione, inciampò e cadde, beh, che vi debbo dire? fui io a fargli lo sgambetto; e al Sindaco? Come fu che al Sindaco gli si ingarbugliarono la lingue e i fogli del discorso? Eh? E allora?

Non lo dissi io che quel giorno c’erano 44° all’ombra? Cosa? Dissi che il cane ruggiva? Questo non lo ricordo. Ma dissi proprio così? Va bene lo dissi. Ma loro ancora: niente!

E pazienza, vuol dire che ognuno ha la propria stella cometa (con tanto di coda e corna).

Perché, quando l’Avvocato Santamaria giunse fin lassù, non restò a bocca aperta? E disse:   -     Ma che razza di posto è mai questo? Ora dove mi metto? Cosa faccio? a chi lo dico?-

-Dillo a me.-

-A te? Ma non è possibile!-

-E perché?-

-Perché tu sei un gatto, e per di più spelacchiato e randagio. Ecco perché!-

E una tegola scivolò e si adagiò sulla sua spalla, come un pappagallo brasiliano.

-Che succede? Cos’è che vuoi?-

- Non voglio più stare con le mie compagne.-

-Perché mai?-

-Perché mi opprimono, m’incatenano, mi frenano, non mi lasciano esprimere…-

-Tutto qui?-

-Si, più o meno.-

-Va bene, dillo all’Arciprete dell’arcipretura di Trequestioni!-

-Grazie, ma non posso.-

-Come? non puoi?-

- Vedi, sono musulmana!-

E, intanto, l’elefante muggiva rabbioso:

-Sono un incompreso. Guadagno molto, è vero, ma sono e resterò sempre un incompreso. Ora, mi dite da che parte tira lo scirocco? Dalla mia o dalla vostra?-

-Tieni, smiffa, quattr’ossa e lascia perdere.- 

Quel giorno era venerdì e non si mangiava abbastanza in quel luogo. Cristoforo Dionisi respirava a fatica, l’aria era afosa e pesante: duecento tonnellate per centimetro quadrato, e i suoi passi non lasciavano impronte sulla sabbia umida di rugiada a zero gradi. Quando sorse il sole ( o la luna?) egli emise un lungo fischio silenzioso e la ragazza si voltò! Ma che faccia aveva quella! Erano due natiche all’antica, l’una più audace e l’altra timida. Quella timida sorrise e arrossì. E i gamberi furono cotti!

Quella notte a Venezia c’era tutto il vicinato: il ragioniere Trombatore e la signora; Garella e suo fratello; Cosimo Corallo era con la sua giovane testa tenuta a guinzaglio a mezza  altezza sul canale di ponente. Qualcuno dei presenti defecava artisticamente nella laguna. 

E il capostazione disse:

-Ma insomma, si parte o non si parte?-

-Perché si parte?-

-Ma mi pare giusto.-

-Allora partiamo.-

-Perché lo dice lei.-

-Lei chi?-

-Il capostazione.-

-Già, perché no?-

-Non mi pare, onestamente…-

-Fai tu allora.-

-Faccio cosa?-

-Fai cucù!-

E nel cuore della notte ( o nel fegato, non ricordo bene) egli pianse di piacere.

Le lacrime gioiose

Fluivano copiose

Sulle aiuole e sulle rose

Percorrendo vergognose

Tante vie rugose

Incanalandosi esose

Formando ruscellose

Un fiume di ventose.

Poi, a mezzavia, scoppiò un tuono e la vettura si capovolse. Dai rottami incandescenti, con occhietti fosforescenti, venne fuori, lesto lesto, un altissimo e lentigginoso topo.

-Buon giorno signori, permettete?-

E si asciugò i piccoli occhi color del mare sul visone di Clarissa Colmani, in Santamaria, procuratrice legale, che svenne per l’emozione.

E il barbiere protestò:

-Certo, ai miei tempi…-

-Naturale, quando si dice la fortuna…-

-Cacchio! Ma pensa: con un sol colpo, com’è possibile che te ne arrivano tre? E tutte e tre citrulle ( o citrigne)?-

-Dai racconta…-

-Niente, e che debbo dire? Ero là fermo, che facevo perso sul piede sinistro, quando le vedo che mi si avvicinano a ventaglio. Tu cosa avresti fatto?-

-Quello che facesti tu, immagino.-

-Esatto! E io lo feci!-

Tutto questo accadde perché, in quel tempo, un socialista era la potere. La gente diceva:     -    Verrà! È questione di spazio.-

E intanto la campana suonava a falce e martello ( o a tenaglia? Quante indecisioni…)

-Questa cassa non è proprio da disprezzare, è decente.-

-E l’addobbo? L’avete visto? Era tutto di velluto viola…-

-Pareva una santa…-

-Io certe cose non posso vederle!-

-Quando morì mia suocera, sant’anima…-

-Già quello furono bei tempi.-

-Ma il confessore ci fu?-

-Due volte aprì gli occhi e due volte li richiuse.-

-Poi fece un grande sospiro…-

-… e vi mandò tutti affanculo!-

-Ma l’organo non c’era. Non s’usa, scusateci.-

-E ora se volete passare di qua, prego…-

E scesero nella fossa settica. 

Poi giunsero nella mattinata ( erano tre),

scaricarono l’auto,

montarono il telaio,

stesero le bandiere,

sistemarono gli amplificatori,

misero i nastri,

attaccarono con la musica,

videro i poliziotti ( due in tutto),

fecero una passeggiata,

mangiarono ceci abbrustoliti ( la calia),

spensero gli amplificatori,

tolsero le bandiere,

ammainarono le velleità,

smontarono i telai,

staccarono le trombe,

caricarono tutto sul portapacchi,

entrarono tutti nell’auto,

innestarono la prima (che grattò),

e partirono.

Restò solo un volantino:

diceva:

Manifestazione giustizialista!

Per chi ci crede…

Al tramonto fu più triste. Dall’albero pendeva Carlo Giacinto Tropea. S’era impiccato di gioia!

E, intanto, il tempo passava. Gli chiesero: “ Mbeh?” E lui rispose: “ Mi sento solo.”

Mentre la colomba brucava l’erba incandescente e burrosa, una donna scollacciata la guardava con occhi velati di pianto indelebile e nella fontana un fanciullo faceva pipì. Poi tutto diventò rosso- inchiostro e la terra girò all’incontrario ( o era il sole?) quindi, gagliardo, il postino bussò:

-Posta per voi.-

-Chi mi scrive?-

-L’ufficio oggetti smarriti.-

-E che vuole?-

-Vuole sapere chi siete.-

-Rispondete: sono sempre io. Segue lettera, cazzo!-

Fatti strafottere, avrebbe voluto dire quello, pensieroso, intanto che inseguiva l’amico tra le alghe finte dell’acquario, boccheggiante come un pesce maturo in un pomeriggio estivo, nell’Africa Nera.

E il tempo passava.

Poi gli chiesero:

-Allora?-

-E che vi debbo dire, mi sento un po’ stanco, vorrei fermarmi un pochino…-

Ma un pensiero volante cadde giù, rovinosamente, sull’occhio dorato del pavimento di linoleum, fece un grande fragore, e disse disperato:

-Accidenti, a momenti cantavo in coro.-

E quando gli presentarono il conto – erano le tre circa del pomeriggio del giorno dopo – L’uomo guardò il cielo in basso e sputò sul mare in alto, biascicando:

-     Poche sono le cose buone di questo mondo, ed esse sono sempre degli altri!-   

-Come? Nemmeno una è tua?-

-No, perché? E’ forse importante?-

-No, così… sai… non si può mai sapere.. può darsi… chissà … uno sbaglio, un errore..-

-No, egregio eccellenza chiarissima e reverentissima Toccasana, a me le cose buone non arrivano ne per sbaglio, ne chessoio…-

-Ma tu ci hai provato?-

-Sempre!-

-E allora?-

-E allora mi rispondono sempre: tu-tu, tu-tu, tu-tu, occupato!-

E la canzone tango va!

Allegra e sconosciuta si insinua nelle vie,

nei cortili,

passa dalle finestre,

entra nelle stanze vuote

della mia vita.

Bilancio annuale:

Zero più zero uguale

ZERO!

-E sei ancora vivo?-

-Perché, si vede?-

Adesso sentiva una voce in lontananza:

-Carlo, Carlo, ci sei?-

-E certo che ci sono, frescone!-

-Carlo, mi senti?-

-Ti sento, ti sento.-

-E allora alzati e cammina!-

E qualcuno gli torse gli elettrodi.

Quindi Carlo scese dal lettuccio, si strinse la vecchia e sdrucita vestaglia color grigio sporco sul pigiama azzurro spiegazzato, si prese il piccolo registratore, se lo mise sotto il braccio, e seguì quel gigante tutto muscoli, che indossava un camice bianco bianco sporco, verso il reparto bagni:

Lì, ascoltando Bethoven, avrebbe fatto un bel bagno caldo e uno freddo, uno caldo e uno freddo, uno caldo e uno freddo…

                                                              L’urlo straziante

L’auto correva nella notte buia. L’uomo al volante puzzava di alcool. Lo sguardo annebbiato fendeva inutilmente il buio. Gli occhi si socchiudevano stanchi. Ad un tratto l’auto, con un lacerante stridore di gomme, svolta a sinistra e imbocca uno stretto viale. L’uomo ferma l’auto. Spegne il motore. Apre la portiere e, barcollando, esce dalla macchina e s’avvia verso l’entrata della villetta a schiera. Riesce, con grande sforzo e pazienza a mettere la chiave nella toppa del portoncino, il quale, cigolando, lentamente, si apre. L’uomo, circospetto, entra in casa. Cerca di non far rumore per non svegliare la moglie. Fa un solo passo, e un urlo agghiacciante, lacerante, acuto, si leva nel silenzio della notte: Il’uomoha schiacciato la coda al gatto!