LA CONVERSAZIONE
Carlo Goldoni
Dramma Giocoso per Musica di Polisseno Fegejo Pastor Arcade, da rappresentarsi nel Teatro Grimani di S. Samuele il Carnevale dell'Anno .
PERSONAGGI
DONNA BERENICE
La Sig. Maria Monari.DON FILIBERTO
Il Sig. Giuseppe
Morelli.
MADAMA LINDORA
vedova, zia di Donna Berenice.
La Sig. Giovanna Baglioni.GIACINTO viaggiatore affettato.
Il Sig. Michiel Angelo Potenza. DON FABIO nobile e povero.
Il Sig. Francesco Carattoli, Virtuoso di S. A. S. il Sig. Duca di Modena. SANDRINO uomo ricco di bassi natali.
Il Sig. Francesco Baglioni. LUCREZIA giovane spiritosa.
La Sig. Catterina Ristorini.
MARIANNA
tedesca, serva di Madama Lindora.
La Sig. Vicenza Baglioni.
La Musica è composizione del Sig. Maestro Giuseppe Scolari. La Scena si rappresenta in casa di Madama.
MUTAZIONI DI SCENE
ATTO PRIMO
Camera d'udienza.
Per il Ballo, colline praticabili per vendemmiare.
ATTO SECONDO Camera d'udienza. Per il Ballo, piazza.
ATTO TERZO
Camera d'udienza.
Sala.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Camera di conversazione, con sedie.
Madama Lindora, Donna Berenice, Don Filiberto, Don Fabio, Sandrino, Giacinto e Lucrezia, tutti a sedere bevendo la cioccolata.
TUTTI
Che bevanda delicata! Che diletto che mi dà! Viva pur la cioccolata, Che dà gusto e sanità.
a due Par miglior la cioccolata
Allorquando vien donata; E lo sanno - quei che vanno A scroccar di qua e di là.
TUTTI
Viva pur la cioccolata,
E colui che l'ha inventata. E chi fece la canzone Prega tutti in ginocchione A mandarne in quantità, Che il poeta goderà.
FAB. E chi è questo poeta
Che ha fatto la
canzone?
MAD. È un galantuomo,
Che si affatica ogni ora,
E colla cioccolata si ristora.
SAN. Sì, cospetto di bacco!
Doman
mattina gliene mando un sacco.
FAB. Bravo, signor Sandrino,
Mandategliene un sacco ed un cassone:
Io
gli regalerò la protezione.
GIAC. Madama, con licenza.
Vado al Reale Albergo
A veder s'è venuto un forastiere. (s'alza)
MAD. Certo; monsieur Giacinto
Degli amici ha per
tutto.
GIAC. Sì, signora,
Ho degli amici fin nell'Indie ancora.
Fatto ho il giro del mondo;
Tutte le quattro parti ho praticato,
E voi vedrete il mio giornal stampato.
In quattordici lingue
Parlo, scrivo e traduco.
So i riti, so i costumi
Dei popoli remoti,
E gl'incogniti ancora a me son noti.
Coi vili sono asiatico; (fa il grave)
Coi grandi sono italico; (fa l'umile)
Nel spender sono inglese;
Son colle dame un
paladin francese. (fa riverenze e parte)
MAD. Bella caricatura!
Girato ha tutto il mondo:
Ha quattordici lingue.
Un uom sì peregrino
Mappamondo
può dirsi, e Calepino.
LUC. Brava, brava davvero!
Che sian dotti, o ignoranti, o belli, o brutti
Trova
Madama il soprannome a tutti.
FAB. Di me cosa direte? (a Madama)
MAD. Oh, il signore don Fabio
Non ha verun difetto.
Ho
per lui della stima e del rispetto.
FAB. Brava la vedovella!
Non stimo l'esser bella,
Stimo la cognizione
Di distinguere il merto e le persone.
Nelle vostre occorrenze
Ricorrete da me, ch'io sarò pronto.
Quando vo per la città, Chi mi chiama per di qua, Chi mi chiama per di là. Chi s'inchina al protettor, Chi mi prega di un favor. Dico all'uno: si farà. Dico all'altro: si vedrà. È una cosa che fa ridere Il sentir la povertà: Illustrissimo signore, Cavalier benefattore, Per la vostra nobiltà Fate a noi la carità. (parte) |
Della mia protezion fatene conto.
SCENA SECONDA
Madama Lindora, Donna Berenice, Don Filiberto, Lucrezia e Sandrino
MAD. Veramente, signori,
Far la critica a tutti io non costumo;
Ma il signore don Fabio
Dir si potrebbe il Cavalier del Fumo.
SAN. Dite ben, dite bene;
Lo stato del meschin non ci è nascosto: Egli il fumo coltiva, ed io l'arrosto.
MAD. Nominando l'arrosto,
Mi ha fatto sovvenir che ho da pregarvi
Che vogliate degnarvi
Quest'oggi in casa mia,
Che mangiamo la zuppa in compagnia.
SAN. Sì, verrò volentieri,
Ma tutti anch'io v'invito
Per un'altra mattina ad un convito.
Frattanto permettete
Ch'io mandi questa mane
Per i miei servitori
Son generoso, Non fo parole, Dono i zecchini A chi ne vuole. I miei danari Li fo saltar. Se un bel visetto Mi fa d'occhietto, Cento dobloni Gli vuò donar. (parte) |
Quattro casse di vini e di liquori.
SCENA TERZA
Madama Lindora, Donna Berenice, Don Filiberto, Lucrezia
MAD. Par che il signor Sandrino,
Salvo sempre il decoro,
Si
potrebbe chiamar l'Asino d'oro.
LUC. Madama, a quel ch'io sento
Voi non la risparmiate a chi che sia:
Ditemi
il mio difetto in faccia mia.
MAD. Oh, cara Lucrezina,
Voi siete una cosina assai compita,
Siete bella e polita,
Avete dello spirito non poco.
Degli
scherzi conosco il tempo e il loco.
LUC. Basta, ve l'avvertisco:
A sentirmi a burlare io ci patisco.
Della vostra amistà voglio fidarmi.
Serva, signori miei; vado a scaldarmi. (parte)
SCENA QUARTA Madama Lindora, Donna Berenice, Don Filiberto
MAD. Ha ragione Lucrezia,
Se riscaldarsi un pocolin procura.
Povera
Lucrezina, è una freddura.
FIL. Madama, con licenza.
MAD. Dove andate?
FIL. Deggio partir.
MAD. Restate.
FIL. Ritornerò da poi.
MAD. Lo lasciate partir? Che dite voi? (a donna Berenice)
BER. Trattenerlo poss'io?
MAD. Sì, che il potete.
Egli tutto farà quel che volete. (a donna Berenice)
Non
è vero, signore? (a don Filiberto)
FIL. Degno non son che donna Berenice
Di un comando mi onori.
MAD. Rispondete: gradisco i suoi
favori. (a donna Berenice)
BER. Cara signora zia, mi fate ridere.
MAD. Da rider vi è venuto?
Eh barona ca ca, ti ho conosciuto.
Orsù, parliamo schietto: (a tutti due)
Siete da maritar, vi compatisco.
Tornate presto; giocheremo un poco. (a don Filiberto)
Andiam Lucrezia a
ritrovare al foco. (a donna Berenice)
BER. Serva,
don Filiberto. (parte)
FIL. A voi m'inchino.
MAD. (S'ei volesse sposar questa ragazza,
SCENA QUINTA Don Filiberto solo. Oh, quanto agli occhi miei Berenice è vezzosa! Tengo la fiamma ascosa, Faccio l'indifferente, Ma l'amore si scopre facilmente. Madama è di buon core, Ama la sua nipote, Ha di me buon concetto, E sol da lei la mia fortuna aspetto. Chi timido tace, Se stesso condanni; Può solo l'audace Fortuna sperar. Non giovan sospiri, |
Oh, farebbero pur la bella razza). (da sé, e parte)
Son vani i martiri; Coraggio, mio core, Palesa l'amore, Se brami, se speri Contento provar. (parte)
SCENA SESTA
Camera.
Madama Lindora e Lucrezia
MAD. Senz'altro, Lucrezina,
Vuò che vi maritiate.
LUC. Voi, perché non lo fate?
MAD. Dieci mesi
Stata son maritata.
LUC. Se credessi
Che altrettanto vivesse il sposo mio,
Vorrei
stasera maritarmi anch'io.
MAD. Credete il matrimonio
Una dura catena?
LUC. Qualunque soggezion mi reca pena.
MAD. Quando aveva marito,
Io mi ho ben divertita.
La catena per me non parve amara,
Ma
convien saper far, sorella cara.
LUC. So quel che dir volete,
So anch'io quel che si fa;
Ma
fia sempre miglior la libertà.
MAD. In questo v'ingannate.
Le donne maritate
Con un po' di giudizio
Fanno miglior figura.
LUC. Questa proposizion nego a
drittura.
Dico che una fanciulla,
Comoda in casa sua passabilmente,
Può
la pace goder più facilmente.
MAD. Ecco il signor Giacinto.
Sappia la differenza,
SCENA SETTIMA Giacinto e dette. GIAC. Madame, de tout mon cour Trois humble servitour. |
E col suo Calepin dia la sentenza.
MAD. Monsieur, vostre servante.
GIAC. Vous êtes ma maîtresse trois oblissante.
LUC. Ehi, sentite.
GIAC. Bas ist?
LUC. Cosa dite, signor?
GIAC. Nix frestè taic?
LUC. Iò pizzle freste taic.
GIAC. Ionfraul, mainssozz. (vuole accostarsi)
LUC. Ehi, state da lontano,
O
saprò strapazzarvi in italiano.
GIAC. Questo, signora mia,
Splin si chiama in inglese,
Che
in Italia vuol dir malinconia.
MAD. Via, signor Mappamondo,
Voi che tanto sapete,
Una nostra contesa decidete.
Io tengo che sia meglio
Vivere col marito in
società.
LUC. Io sostengo miglior la libertà.
GIAC. Varie son le opinion, vari i capricci:
A chi piace la torta, a chi i pasticci.
Sunt bona mixta malis,
Sunt mala mixta bonis,
Come dice il Furlan: ciaris patronis.
In Francia, in Inghilterra,
Stan ben le maritate;
In Spagna ritirate
Stanno la notte e il dì;
E in Italia dirò... così, così.
Ma s'io avessi una sposa,
Meco godrebbe un vivere giocondo,
E la farei star ben per tutto il mondo.
San fasson, allegramente Saprei vivere e brillar. A suo tempo dolcemente Da marito saprei far; E ma famme avec muè Dans le mond, jamè, jamè!
Coll'amico e col servente Vada pur liberamente Dove vuol, di qua e di là. Io brillando alla tedesca Colla fraila e la fantesca Vuò ballare visassà. (parte)
SCENA
OTTAVA
Madama Lindora e Lucrezia
MAD. Che
dite? Non è bello?
Che original cervello
Fa dei linguaggi un guazzabuglio strano,
Ed unisce il latin con il furlano.
LUC. È una testa sventata,
Non sa quel ch'ei si dica.
Nella nostra questione
Non disse una ragione.
Ma io però me l'ho cacciata in testa:
So che ho ragion, e la ragione è questa.
Una donna maritata
Qualche cosa goderà,
Ma non ha la libertà.
Il marito - inviperito
Qualche giorno griderà;
E la suocera dirà:
Vanarella, - sfacciatella,
Fuor di casa non si va.
E coi figli che sarà? Mamma, la pappa;
Mamma, la cacca.
Bambolo bello,
Viene il papà.
Non vuò cullare,
Non vuò gridare,
Voglio godere
La libertà. (parte)
SCENA NONA
Madama Lindora, poi Donna Berenice
MAD. Per dir quel che conviene,
Ella l'intende bene. Non ho avuti figliuoli, Ho avuto un buon marito, Ma una suocera ebb'io così cattiva Che parea mi volesse mangiar viva.
BER. Cara signora zia,
Con quel signor Giacinto
In compagnia non voglio stare al certo.
MAD. Presto presto verrà don Filiberto.
BER. Voi credete, signora...
Non è ver, v'ingannate.
MAD. Vi volete scusare e v'imbrogliate.
Non crediate, nipote, Di conversar coi sciocchi. Vi conosco negli occhi. Povera giovinotta! Non lo state a negar; voi siete cotta.
BER. Voi mi mortificate.
MAD. Poverina!
Fate l'innocentina.
Ma quando vi dicessi:
Se volete lo sposo, eccolo qui;
Quel
modesto bocchin diria di sì.
BER. Per dirvi quel ch'io penso...
MAD. State zitta;
Viene il signor Sandrino.
Godiamolo un pochino;
Per cavar la risata,
Fate
con esso lui l'innamorata.
BER. Ma io non saprò far.
SCENA DECIMA Sandrino e dette.
SAN. Servo, signore.
Eccomi
pronto e lesto.
MAD. Siete tornato presto.
Si vede apertamente
Che il signore Sandrino
Non
può stare lontan da quel visino.
SAN. Di
chi?
MAD. Di mia nipote.
SAN. Oh, cosa dite?
Io di quella signora
Son servitore e amico,
Ma so che a lei non
glien'importa un fico.
BER. (Affé, l'ha indovinata). (da sé)
MAD. Povera Berenice!
Se sapeste di voi quel che mi ha detto!
Per
voi si sente abbrustolare il petto.
SAN. Per me? Se fosse vero...
MAD. Credete ai labbri miei.
SAN. Vorrei sentirlo a confermar da lei.
MAD. Berenice, parlate;
Ditegli che l'amate.
Siete da maritar; che male c'è?
Via,
non abbiate soggezion di me.
BER. È superfluo ch'io il dica.
Di già il signor Sandrino
Avrà il core impegnato.
SAN. Oh no, signora:
Son, per fortuna mia, libero ancora.
Però s'ella si degna...
MAD. Il suo cor vi presenta. (a
Berenice)
Berenice
è contenta. (a Sandrino)
SAN. Davver?
MAD. Dice di sì.
Non è ver, Berenice? Ella è così.
BER. (Fingere non son buona
Per ischerzo nemmeno). (da sé)
SAN. Eppure ancora
Non ha detto di sì. (a Madama)
MAD. Poveri sciocchi!
Voi non capite il favellar degli occhi.
Beltà modestina Si spiega così. Con quella occhiatina Vuol dire di sì. Non sanno gli sciocchi Che diconsi gli occhi Finestre del cor. Pupilla d'amor, Che il seno ferì, Con quella occhiatina Vuol dire di sì. (parte)
SCENA UNDICESIMA Donna Berenice e Sandrino
BER. (Spiacemi che Madama
M'abbia lasciata sola). (da sé)
SAN. Via, dite una parola.
Or che nessun ci sente,
Voi potete parlar liberamente.
BER. Vi prego in cortesia...
Mi dovreste capir.
SAN. Ch'io vada via?
BER. Mi farete piacer.
SAN. La riverisco.
Questa razza d'amor non la capisco. (parte)
SCENA DODICESIMA
Donna Berenice sola.
Egli s'inganna al certo;
Quel che il core mi punge, è Filiberto.
Mia zia mi dà coraggio;
L'amor mi cresce in petto.
Parlerò, svelerò l'interno affetto.
Buon per me che si fida
Di codesta mia zia la genitrice!
Sì, sì, col mezzo suo sarò felice.
Che bel piacere è amar
Senza tormenti al cor! L'idolo suo mirar, Seco parlare ancor! Fammi arrossire in viso Un vezzo ed un sorriso. Non gli risponde il labbro, Ma gli risponde il cor. (parte)
SCENA TREDICESIMA
Don Fabio, poi Marianna
FAB. O di casa.
MAR. Che fol?
FAB. Vi è la padrona?
MAR. Iò mailibreher.
FAB. Fatele l'imbasciata.
MAR. Fol andar?
FAB. Se si può.
MAR. Iò, star patrone.
FAB. Anderò. Vi saluto. (in atto di partire)
MAR. Niente per mi donar?
Pofera tedeschina.
FAB. Sì, sì, ci rivedremo domattina.
MAR. Ma dir patrona
Fa mi saver, Che lei del Fume Star Cavalier. Iò, gut morghen Mailibreher. (parte)
FAB. Dica pur quel che vuol l'impertinente.
Se la vedo morir, non le do niente.
SCENA QUATTORDICESIMA Don Fabio, Madama Lindora, servita da Giacinto, Lucrezia, servita da Sandrino
MAD. Oh, signore don Fabio,
Che grazie sono queste?
Ella
vuol stare a favorir da noi?
FAB. Voglio pranzar con voi.
Così fanno gli amici;
Senz'essere invitati
Vengon liberamente.
Le
cerimonie non le stimo niente.
SAN. Certo le cerimonie
Si ponno risparmiare
Quando
in casa non si ha con che mangiare.
FAB. Cosa c'entrate voi?
Per un po' di denari,
Mettere
si vorria con un mio pari.
GIAC. Doucement, mes amis;
Non si contrasti più.
Questo
dell'amicizia è il randevous.
LUC. Su via; prima del pranzo,
Divertiamoci un poco.
MAD. Giochiamo a qualche gioco.
Don Filiberto non si vede ancora:
Possiam
giocare e divertirci un'ora.
SAN. Ecco cento zecchini:
Li taglio al faraone.
MAD. No, non è gioco da conversazione.
Siamo in cinque; possiamo
Fare un ombre e
un picchetto.
SAN. Io non ne so;
Ma
son qui, giocherò.
FAB. Farò quel che vi pare.
(Se
perderò, come farò a pagare?) (da sé)
MAD. Ecco qui la partita.
Don Fabio e Lucrezina
Giocheranno a picchetto.
Lor signori con me
Faranno
all'ombre una partita in tre.
SAN. Son pronto.
FAB. Eccomi qui.
LUC. Disponete di me.
GIAC. Giochiamo, uì.
MAD. Presto, che si prepari
Per l'ombre e per picchetto. (ai Servitori, quali portano i due tavolini col
bisognevole
per i due giochi, e le sedie)
FAB. (Destino maledetto!
Non ho un soldo in
saccoccia). (da sé)
MAD. Miei signori,
Del
prezzo delle puglie disponete.
SAN. Di un zecchino alla puglia.
GIAC. È troppo.
MAD. Così è.
GIAC. A me piace giocar pour amitiè.
MAD. Basta un soldo alla puglia.
GIAC. Io mi contento.
MAD. La spadiglia obbligata in fino al cento.
LUC. Noi di quanto giochiamo? (a don Fabio)
FAB. Comandate.
LUC. Un paolo alla partita,
Ma
con tutti i malanni.
FAB. Io sto al comando.
(Fortuna, al tuo favor mi raccomando).
(Facendosi il ritornello dagli strumenti, frattanto si danno le carte)
MAD. Mi è venuta la spadiglia,
SAN.
GIAC.
MAD.
LUC.
FAB.
MAD.
GIAC.
MAD.
LUC.
FAB.
LUC.
FAB.
MAD.
GIAC.
SAN.
MAD.
LUC.
FAB.
LUC.
FAB.
MAD.
GIAC.
SAN.
LUC.
FAB.
LUC.
FAB.
LUC.
FAB.
LUC.
FAB.
MAD.
FAB.
LUC.
MAD.
SAN.
GIAC.
Qualche cosa avrò da far. È permesso? Voglio entrar.
} adue Entripure,nonmioppongo.
Se non trovo, la ripongo.
Delle spade ho da trovar. Sessantotto è il punto mio;
Ho una settima maggior.
Un picchetto dar vogl'io. (Ah, destino traditor!) (da sé) Gioco trionfo.
} adue Ioglienedo.
Ho tre cavalli. Che dir non so. Diciassette della settima
E col punto ventiquattro;
Tre cavalli, ventisette. (Questa volta tocca a me). (da sé) Gioco coppe.
Mia di re. Se non dice...
Tagli pure.
Quattro bazze le ho sicure,
E in tenacca io resterò. E ventotto, e ventinove,
E sessanta, e sessantuno. Faccio cinque.
Io non lo so. Sì, signora, io lo farò. L'ho portato, l'ho portato.
} adue Vivalei,chehabengiocato!
Che bel gioco è l'ombre
in tre.
} atre Piùbelgioco,no,nonviè;
Re dei giochi dir si può. Non fa cinque.
Lo farò. A denar non ha risposto. Non è vero.
Una mentita? (si alza) Ho da perder la partita? (si alza) Questa è poca civiltà. (La ragione non la sa). (da sé) Cosa è stato? (s'alza)
Niente, niente. Quel signore impertinente
Ebbe ardire
Di smentire,
Di negar la verità. Questa è troppa inciviltà. Padron mio, così si fa? Ritrattare si dovrà.
FAB. Son galantuomo: Non ha ragione. LUC. Vuò mi sia data Soddisfazione. |
Fuori la spada.
Fuori la spada.
SAN. |
GIAC. } adue Sopralastrada.
Fuori
di qua.
FAB. Son cavaliere,
So il mio dovere:
Non lo permette
La nobiltà.
Chi nasce bene,
LMUACD.. } adue Trattarconviene
Con civiltà.
GIAC. Fuori la spada.
FAB. Non mi ci metto.
SAN. Io vi disfido.
FAB. Io non accetto.
GSAIANC.. } adue PePrelralpaavuirlatà,.
FAB. Non l'acconsente
La nobiltà.
LMUACD.. } adue TrCaottnarccivoinltvài.ene
MAR. Star in tafola, signori;
No star tempo de far gritori.
Trinche vain tempo star. (parte)
TUTTI Non più fracasso,
Finisca il chiasso; Vadasi in pace Tutti a mangiar. Dell'amicizia Stringasi il laccio; Con un abbraccio Pace s'ha a far. E della pace Godiamo i frutti; Vadasi tutti Lieti a mangiar. (partono)
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Camera d'udienza.
Don Filiberto e Marianna
FIL. Ehi, tedesca.
MAR. Signore.
FIL. Datemi la mia spada e il mio cappello.
MAR. Fol cappello, fol spata per andar?
FIL. Sì, per andar.
MAR. A tafola
No foler più mangiar?
FIL. Non cercate di più; voglio andar
via.
MAR. Subite mi servir fossignoria. (va per la spada e per il cappello)
FIL. No, tollerar non posso,
Sia davvero o da scherzo,
Sentir che dall'amor di Berenice
Si lusinghi Sandrino,
E che veggasi a lei seder vicino.
MAR. Ecco spata e cappello.
FIL. Vi ringrazio.
MAR. Per pofera tedesca
Star niente cortesia?
FIL. Tenete. (le dà la mancia)
SCENA SECONDA Don Filiberto, poi Donna Berenice FIL. E pur non so partire. Di gelosia il martire Sento nell'alma mia... Ho
risolto così; voglio andar via. FIL. Perdonate. Ho un affar di
premura. Lo so che di mia zia Lo scherzo vi dispiace. Ma
io colpa non ho, datevi pace. Fa con voi lo sguaiato. |
MAR. Ringraziar fossignoria. (parte)
BER. Ei non può dire
Che da me lusingata
Sia la di lui pazzia.
FIL. Non dovevate
Sedere a lui vicino. Ah, lo sapete:
Per eccesso d'amor
geloso io sono.
BER. Via, non lo farò più; chiedo
perdono.
FIL. (Resistere non so). (da sé)
BER. Mi perdonate?
FIL. Vi perdono, mio ben.
BER. Dunque restate.
FIL. Via, resterò, per compiacervi, ancora.
Troppo questo mio cuor v'ama e v'adora.
Lo so che il sospetto Fa torto al mio bene, Ma soffro nel petto Gli affanni e le pene Di un timido amor. Conosco l'error, Confesso l'inganno; Me stesso condanno, Ma palpito ancor. (parte)
SCENA TERZA Donna Berenice, poi Madama
BER. Ritornar mi vergogno. I convitati
Sanno che scorrucciati
Siam Filiberto ed io;
Onde al ritorno mio dalla brigata,
Dubito
di sentire una risata.
MAD. Cosa fate qui sola?
BER. A prender aria
Sono
un poco venuta.
MAD. Brava! così mi piace.
Dite:
è fatta la pace?
BER. Con chi?
MAD. Con Filiberto.
BER. Non so niente.
MAD. Dite davvero? Povera innocente!
Fingere non occorre:
Tutto so, tutto vedo e tutto intendo;
E il vostro cuor di consolar pretendo.
BER. Adorabile zia, non so che dire:
Amor non può mentire.
È vero; arde il mio cuor d'onesto affetto,
E sol da voi consolazione aspetto.
A quel foco che m'accende,
Voi porgeste amabil esca, Non vi spiaccia, non v'incresca, Le mie brame consolar. Non sapea che fosse amore, Libertà godeva in petto; Or mi accese il primo affetto, E mi sforza a sospirar. (parte)
SCENA QUARTA Madama, poi Giacinto
MAD. Poveri innamorati!
Li compatisco affé.
Farò
per lor quel che vorrei per me.
GIAC. Ah Madama, ah Madama!
MAD. Che c'è, signor Giacinto?
GIAC. Oh, che vin di Borgogna!
In Borgogna medesima
Meglio non ne ho trovato,
Meglio non ne ho bevuto in vita mia.
Ei
m'ha messo in vigore e in allegria.
MAD. Ho piacer che sia buono.
GIAC. È perfettissimo. (traballando un poco)
MAD. Forti, forti, signore.
GIAC. Io? Son fortissimo.
Ah Madama, Madama,
Quivi che cosa fate?
Perché ci abbandonate?
MAD. Son venuta
Per un picciolo affare.
GIAC. Eh, vi ho capito.
Sia detto in confidenza, (traballando)
Alterata col vin la luminaria,
Siete
fuori venuta a prender aria.
MAD. Bravo, così va detto.
Io sono un po' alterata;
Voi siete sincerissimo.
GIAC. Io? cospetto di Bacco! io son
sanissimo.
Sono stato capace a' giorni miei,
Io solo contro sei,
Fare a chi beve più. Ciascun di loro
Cadde dal vino oppresso,
Ed
io forte restai qual sono adesso. (traballando)
MAD. È una gran
maraviglia!
GIAC. In Inghilterra
Ho bevuto in un giorno
Due fiaschi d'acquavite; e in Alemagna
Quattordici bottiglie di sciampagna.
In Parigi ad un pranzo
Questo stomaco mio si trangugiò
Un barile di vino di Bordò.
E a Vienna tracannai
Tanto vin di Tokai,
Che poteva bastar per un congresso;
E
pur sano restai qual sono adesso. (traballando)
MAD. Saldi, signor, non mi cascate addosso.
GIAC. So quel che io faccio e traballar non posso.
Viva Bacco, il dio del vino, Che consola il nostro cor. Oh, che caldo malandrino! Io mi sento un fiero ardor. Presto, presto, mi abbisogna Del buon vino di Borgogna, Che mi renda il mio vigor. Ah, Madama, ho tanta sete. Ma son forte, lo vedete: Quattro salti posso far, E mi sembra di volar. (parte)
SCENA QUINTA Madama e Lucrezia
MAD. S'ei beve un altro poco,
Lo mettono a dormire.
Ch'egli beva di più
voglio impedire. (in atto d'andarsene)
LUC. Amica.
(con qualche agitazione)
MAD. Cos'è stato?
LUC. Don Fabio si è attaccato
Con Sandrino a parole.
Cedere alcun non vuole;
Onde correte voi
Il progresso a impedir
dei sdegni suoi.
MAD. Vado immediatamente. (in atto
di partire)
SCENA SESTA Don Fabio e dette.
FAB. Madama, un insolente
M'inquieta e mi molesta.
MAD. Ma che insolenza è questa?
In casa mia tal cosa? Anch'io son puntigliosa. Questa è una mala azione, E vuò da tutti due soddisfazione.
FAB. Vi domando perdon.
MAD. Non vi è perdono.
FAB. Scusatemi.
MAD. No certo.
FAB. Farò quel che volete;
Farò quel che vi piace.
MAD. Via, dunque, con Sandrin fate la
pace;
E tutti unitamente
Passerem la giornata allegramente.
Farò venire Puricinella Colla Simona Torototò. In gondoletta poscia anderemo, Ci prenderemo tanto piacer. Che bel sentire! Sia... premi... stali, Toppa in ti pali. Per i canali Che bell'andar! Via, che si goda, Via, che si sguazza, Che si sbabazza. Si ha da goder. (parte)
SCENA SETTIMA Lucrezia e Don Fabio
FAB. Sì, me la pagherai. (verso la scena)
LUC. Gridate ancora?
FAB. E chi son io, farò vederti or ora.
LUC. Via, siate buoni amici;
Ogni tristo pensier vada in oblio.
FAB. Non si tratta così con un par mio.
LUC. Finalmente Sandrino
Che cosa mai v'ha detto?
FAB. Mi ha perduto il rispetto.
LUC. E in qual maniera?
FAB. Con lingua menzognera,
Contro quell'umiltà ch'usar costumo, Disse ch'io sono il Cavalier del Fumo.
LUC. In bocca di Sandrino
Codesta un'insolenza non si chiama, Perché ha detto lo stesso anche Madama.
FAB. Madama ha detto questo?
LUC. L'ha detto in verità.
FAB. Non si tratta così la nobiltà.
Si sanno i miei natali, Son le mie parentele al mondo note. Ho un principe nipote, Ho un cognato marchese, Mia madre fu contessa, E la signora nonna baronessa.
LUC. M'inchino riverente alla gran donna,
Di sì gran cavalier nonna e bisnonna. (parte)
SCENA OTTAVA Don Fabio, poi Sandrino, poi due Servitori.
FAB. Non so se mi corbelli
O se dica davvero. Ma che importa?
Facciano il lor dovere, e mi contento
Che
lo facciano ancor per complimento.
SAN. (Eccolo;
non vorrei
Precipitar con questo
animalaccio). (da sé)
FAB. (Eccolo qui quel brutto
villanaccio). (da sé)
SAN. (Ho promesso a Madama;
Voglio dissimulare). (da
sé)
FAB. (In casa d'altri
Non
vuò fare altre scene). (da sé)
SAN. (Non mi posso sfogar). (da sé)
FAB. (Tacer conviene). (da sé)
SAN. Schiavo suo. (passeggiando)
FAB. Vi saluto. (passeggiando)
SAN. Che civiltà!
FAB. Che dite?
SAN. Io non parlo con lei.
FAB. Badate ai fatti vostri, io bado ai miei.
SAN. Voglio seder. (siede)
FAB. Voglio sedere anch'io. (siede)
SAN. Con licenza, signor. (gli volta le spalle)
FAB. Padrone mio. (gli volta le spalle)
SAN. (Andarsene potria; se vien Madama,
Vorrei star seco senza soggezione:
Non
vorrei che vi fosse quel buffone). (da sé)
FAB. (Se
vien qui Berenice,
Costui mi reca impaccio.
Quando
mai se ne va l'ignorantaccio?) (da sé)
SAN. Ehi! lacchè. (viene un Lacchè ben vestito)
FAB. Vuò sentire. (si volta un poco)
SAN. Alla locanda
Portati immantinente. Il mio burò
Apri con questa chiave.
Portami quel cestino
D'orologi, d'astucci e tabacchiere. (Parte il Lacchè)
(Andarsene dovria
per non vedere). (da sé; parla di don Fabio)
FAB. Ehi staffiere. (viene un Staffiere miserabile)
SAN. Sentiamo.
FAB. Va tosto al mio palazzo.
Portami quei ritratti,
Coll'arbore dipinto
Della mia nobiltà. (Parte lo Staffiere)
(Quel villanaccio si vergognerà). (da sé)
SAN. |
Lacchè. Di questa casa (Il Lacchè ritorna) |
Si allarghino le porte |
|
Perché possa passare |
|
L'albero di don Fabio e le radici, |
|
E i suoi ritratti con le sue cornici. (Il Lacchè parte) |
|
FAB. |
Staffier, suona la tromba; |
Fa che le genti corrano di trotto |
|
A vedere Sandrino a far casotto. |
|
SAN. |
Al casotto potrei |
Tirar delle persone |
|
Se, quale siete voi, fossi un buffone. (si alza) |
|
FAB. |
Buffone ad un par mio? |
Son cavaliere. |
|
SAN. |
Un galantuom son io. |
FAB. |
Siete rozzo. |
SAN. |
Siete pazzo. |
FAB. |
Villanaccio. |
SAN. |
Ignorantaccio. |
FAB. |
Non mi degno. |
SAN. |
Se mi sdegno... |
FAB. |
Cospettaccio! |
SAN. |
Sanguinaccio! |
FAB. |
Malagrazia. |
SAN. |
Brutta faccia. |
a due |
Colla spada |
Sulla strada
Ti prometto
Che ti aspetto,
Ed il cor ti vuò cavar. (partono)
SCENA NONA
Camera con tavola preparata con caffè, rosolini e varie bottiglie di vino.
Madama, Giacinto, Lucrezia, Don Fabio e Sandrino
MAD. Ecco, ecco, signori,
Il caffè, le bottiglie ed i licori.
Favorite sedere, e ognun si servi
Di quel che più gli piace. (siedono tutti)
LUC. Prenderò il rosolino.
GIAC. Ed io piuttosto un bicchierin di vino.
MAD. Che si serva ciascuno a suo talento.
GIAC. Un bicchier di Canarie
Ecco a voi, mia signora, (a Lucrezia) Ed un bicchiere a madamina ancora. A buer, a buer, allegraman. Che si beva e si canti alla santè Della bonn'amitiè.
Visage adorable, Je mour pour vous. Ah, je vous aime De tout mon cour: Vous étes la flamme De mon amour.
FAB. Voi che foste a Venezia,
Dove soglion cantare
Con sì bella grazina,
Diteci
qualche nuova canzoncina.
MAD. Subito, volentieri.
GIAC. Che si tornino a empir prima i bicchieri. (torna a riempire i bicchieri)
MAD. Sia benedetto
Chi me vol ben. Pien de diletto Giubila el sen. Me sento in gringola Quando che el vien: Caro quel coccolo, Caro el mio ben.
SAN. Voi, Lucrezia, che siete
Nata in quel bel paese, Diteci una canzone bolognese.
LUC. Subito. E perché no?
Non mi faccio pregar. La canterò.
Tutt al dì dezà e de là, Vag in zir per la città, Per trovarm un bel marì. Al vui bel, e sì al vui bon, Vui che l'abbia d' bagaron, E ch'al sippia tutt per mi. Certi ominazz Birichinazz An i vui, ch'an fan per mi.
FAB. Io cantare non so,
Ma pure vi darò Qualche divertimento. Sono, se nol sapete, Un maestro di ballo, Di scherma e cavalletto. Venite al mio cospetto, Uomini senza pari; Venite, ignorantissimi scolari.
Ecco il famoso monsieur Coccò; Questo è quel grande monsieur Rebaltò; Gambe di ferro è questo ch'è qui. Presto ballate;
SAN.
LUC. MAD.
SAN.
MAD. LUC. GIAC. SAN.
LUC. MAD. a quattro
FAB.
MAD. LUC. GIAC. SAN.
FAB.
GIAC.
SAN.
MAD.
LUC.
FAB.
SAN.
a tre |
a due |
} }
a tre |
}
a due |
}
Franco tirate;
Presto saltate;
Che ve ne par?
Bravi scolari, vi vuò regalar.
Io, io, signore mie,
Se libertà mi date,
Voglio trattarvi come meritate.
Lacchè.
Cosa farà? Qualche cosa di bello in verità. (Viene il Lacchè colla cesta di galanterie)
Madama, a voi l'astuccio.
A voi la tabacchiera.
A voi di Londra vera
Questa ripetizion. Viva Sandrino,
Ricco sfondato,
Che ha presentato
Questo suo don. In Inghilterra
Meglio non v'ha. Tutta la terra
Meglio non ha. Oh, che gran cose
Maravigliose!
Cosa più bella,
No, non si dà. (Con un Servitore che porta i quadri) Ecco l'effigie del signor padre.
Questa è l'illustre signora madre.
Del signor nonno questo è il ritratto.
Uno per uno li vuò donar. Viva il gran padre,
Viva la madre,
E il signor nonno
Viva di cor. Belle figure!
Caricature
Non ho vedute
Certo maggior. Non vi è pennello,
No, che l'eguagli. Son da ventagli. Sono da cembali. Sono da mettere
Sotto al camin. Questo strapazzo
A me si fa? Voi siete un pazzo,
Questo si sa.
FAB. Taci, villano.
SAN. Taci, baggiano.
FAB. Col signor nonno
Ti accopperò. (gli
vuol dare il quadro sulla testa)
TUTTI O che insolenza!
Che impertinenza!
Sempre si sbuffa,
Sempre baruffa.
Corpo del diavolo,
Che inciviltà! (partono)
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Camera d'udienza.
Donna Berenice, Don Filiberto e Madama
MAD. Così è, figliuoli miei: la genitrice
Di donna Berenice
Acconsente alle nozze, e voi potete
Dispor
come volete. (a Filiberto)
FIL. Per me di Berenice
Quando il cor sia contento,
Sono pronto a sposarla
in sul momento.
BER. Rimessa è in voi la volontade
mia. (a Madama)
Tutto
quello farò che vuol mia zia.
MAD. Su dunque; in mia presenza
Porgetevi la mano
Senz'altri testimoni,
Come
in scena si fanno i matrimoni.
FIL. Ecco la destra.
BER. E colla destra il core.
MAD. Bravi, bravi davver! viva l'amore!
Le nozze questa sera
Farem compitamente
Nella
festa da ballo allegramente.
BER. Sarà il piacer più caro,
Sarà il piacer compito,
Ora
che Filiberto è mio marito.
MAD. E voi siete contento?
FIL. In verità,
Alla vostra bontà sono obbligato,
SCENA SECONDA Madama, poi Lucrezia MAD. Lucrezia, cosa dite? Berenice
alla fine è maritata. MAD. Perché? LUC. Perché era meglio Che passasse l'età Senza un simile impiccio, in libertà. |
E chiamare mi posso fortunato. (parte con Donna Berenice)
MAD. LUC.
MAD.
Ma voi...
Lasciamo andare Queste corbellerie. Don Fabio con Sandrino Si son pacificati, Sono amici tornati, E credo che ciascuno si travesta Per venir mascherato sulla festa. Ne godo, in verità. Frattanto che ritornano E Giacinto e don Fabio con Sandrino, Vado a far preparar per il festino. (parte)
SCENA TERZA
Lucrezia sola.
Se vengon mascherati,
Vuò mascherarmi anch'io;
Vuò che alla turca il vestimento sia,
E imitare la lingua di Turchia.
Salamelecch,
Stara sultana;
Con ottomana
Nozze mi far. Sona tambura,
Sona trombetta,
Che fazzoletta
Turco buttar.
Salamelecch
Sempre mi far. (parte)
SCENA QUARTA
Madama, poi Don Fabio e Sandrino, vestiti da Calabresi, col calascione.
MAD. Parmi, se non m'inganno,
Che quei due che qui vengono,
Sian don Fabio e Sandrino mascherati.
Voglio veder se è vero,
Vuò veder se s'inganna il mio pensiero. (si ritira)
(Don Fabio e Sandrino cantano la carcioffola):
«La notte quanno dormo penzo tanto, E quanno penzo a buie, mm'addormento. Po me resveglio co no core schianto, Vado ppe tte parlare, e non te siento.
Carcioffolà.
Nenna, se te vedisse allo balcone,
Te faria na sonata alleramente;
Faccio no core com'a no pormone,
Quanno siento parlà de tte la gente.
Carcioffolà. Bello canto se potisse
La mia bella innamorà,
Co lo tuppe tappettà.
Nannianella e nanianà.
Chichirichi, carcioffolà. (partono)
SCENA QUINTA
Madama, poi Giacinto
MAD. Veramente è bizzarro
Il canto calabrese.
Possono divertir tutto il paese.
GIAC. Madama, eccomi qua;
Per dir la verità,
Ho dormito un pochino,
Ed or son lesto come un paladino.
MAD. Ho piacer; questa sera
Voi vi farete onore,
E potrete ballar con maggior brio.
GIAC. Ah madam, pour la danz non vi è
un par mio.
MAD. Saprete molti balli.
GIAC. Anzi moltissimi.
Son ballerin perfetto.
Io ballo il minuetto alla francese,
E maestro son io nel ballo
inglese.
MAD. Il ballare mi piace estremamente.
GIAC. Ballerete assai ben.
MAD. Passabilmente.
GIAC. Favorite, Madama,
Prima che vi esponete,
Di lasciarmi veder quel che sapete.
MAD. Ben volentier, signore.
Balliamo; eccomi qui.
GIAC. Fatevi onore.
(Si suona il Minuetto, e fanno la
riverenza)
No, non va bene.
La riverenza,
Con sua licenza,
Si fa così.
(tornano a fare la riverenza)
Farvi maestra
Prendo l'impegno,
Quand'io v'insegno
Tre o quattro dì.
MAD. Alle sue grazie
Sarò obbligata.
Perfezionata
Sarò così.
GIAC. Ecco, Madama,
Pas de burrè.
MAD. Codesto passo
Non
è per me.
GIAC. Mirate i passi
Col bilanzè.
MAD. Questi fioretti
Non
fan per me.
GIAC. Vi si può fare
La piroletta;
Si suol usare
La caprioletta.
a due Ah, che piacere,
Che bel vedere, Farsi valere
Col
minuè. (fanno qualche passo)
GIAC. Madamina presto impara:
Voglio
farla mia scolara.
MAD. Mi farete un gran favor.
GIAC. Ma scolara vorrei farvi
E nel ballo e
nell'amor.
MAD. Io son pronta a secondarvi
Con
i passi e con il cor.
GIAC. Io mi metto in posizione,
E
vi dico ch'io v'adoro.
MAD. Ripetendo la lezione,
Vi
dirò che per voi moro.
a due Che balletto fortunato,
Se maestro il dio bendato, Fa ballare il nostro cor? Che si danzi allegramente. Giubilare il cor si sente Con il ballo e con l'amor. (partono)
SCENA ULTIMA
Salone illuminato per la festa di ballo.
TUTTI
Si fanno vari Minuetti ed altri balli a piacere; dopo di che si termina col seguente
CORO
E qui la nostra Conversazione Per questa sera terminerà; E chi avrà avuto soddisfazione, Contento a casa se ne anderà.
FIL.
BER.
MAD.
GIAC.
FAB.
SAN.
LUC.
Io son contento con Berenice. Con Filiberto sarò felice.
} adue Noicisposiamofrasuoniecanti.
} atre Cirallegriamocontuttiquanti.
TUTTI Preghiamo a tutti, con lieto cor, Perfetta pace, perfetto amor.
Fine del Dramma.