La corona rossa

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LA CORONA ROSSA

LA CORONA ROSSA

Dramma
in otto quadri
di

GIOVANNI TESORIERE


Mi aspetto che siate dei santi,
dei grandissimi santi,
perchè la santità non è un lusso
ma un semplice dovere
in base all’insegnamento di Cristo

P. Massimiliano Kolbe



PERSONAGGI

Bruno Borgowiec prigioniero addetto al blocco 11

Corrado Sweda infermiere dell’ospedale del campo

Fr. Vitaliano Milosz del convento di Niepokalanov

P. Carlo Rufino segretario personale di P. Kolbe

Caterina Rudich giovane donna di Poznam

P. Massimiliano Kolbe guardiano del convento

1° agente della Gestapo

2° agente della Gestapo

Mieczyslaw Koscielniak prigioniero del campo di Auschwitz

Alessandro Dziuba idem

Francesco Gajowniczek idem

Rodolfo Diem idem

Heinrich Krott capò

Karl Fritsch lagerfhurer

Gerard Palisch rapportfhurer








QUADRO PRIMO

Al centro della scena una gigantografia di Adolf Hitler. Ai lati bandiere con croci uncinate. 
Una marcia militare del periodo nazista.
Si potrà, in alternativa, proiettare il filmato di un discorso di Hitler.
Quando sfuma la musica o viene fatta dissolvenza nel filmato, si passa al




QUADRO SECONDO

Agosto 1941
Il piazzale del campo di Auschwitz.
Scenografia ridotta ad elementi essenziali. Fondale e quinte bianchi. Un pezzo di reticolato; qualche altro oggetto significativo posizionato qua e là.

SCENA UNICA

Borgowiec, prigioniero addetto al blocco 11 e
Sweda, infermiere dell’ospedale del campo


BORGOWIEC - Finito. Tutto finito.

SWEDA - Un incubo! Ogni giorno sentivo dalla mia cella le urla
di quei poveretti e la voce calma e soave di quel prete,
che invitava alla preghiera. Sino alla fine ha cantato 
salmi e recitato il rosario.

BORGOWIEC - In queste due settimane sono sceso spesso nel bunker
con le SS di ispezione, per rimuovere i cadaveri. Lui
è sopravvissuto a tutti, anche se così gracile.








SWEDA - Che hai visto laggiù?

BORGOWIEC - Cose spaventose. Se mai uscirò da questo inferno,
non le potrò dimeticare. Quei disgraziati erano così as-
sorti nelle loro preghiere da non accorgersi delle SS,che
scendevano nel sotterraneo e percorrevano il corridoio.
Solo quando veniva aperta la porta della cella esplode-
va la loro disperazione. Piangevano, gridavano, implo-
ravano un pezzo di pane e un po’ d’acqua, che non ar-
rivavano mai. E se qualcuno ancora in forze si avvicina-
va alla porta, veniva cacciato indietro a calci.

SWEDA - Hai potuto dar loro qualche aiuto?

BORGOWIEC - Solo nei primi giorni. Qualche
pastiglia di Cebion con vitamina C, trafugata dall’infer-
meria. Poi ho smesso, perchè mi sono reso conto che
prolungavo inutilmente la loro agonia.

SWEDA - E il prete?

BORGOWIEC - Oh,lui, ha mostrato sempre un coraggio eccezionale.
Non ha mai chiesto nulla; non si è mai lamentato di
nulla. Ha sempre consolato gli altri. Sai? Le stesse SS
dicevano fra loro: “Però, quel parroco lì è un uomo
veramente a posto. Un altro così non lo abbiamo anco-
ra avuto qui dentro”. E quando scendevano nella cella
e lui li guardava serenamente, gli gridavano: “Guarda
per terra, tu; non guardare noi”.

SWEDA - Certo, il suo è stato veramente un gesto enorme, sen-
za precedenti, che ha commosso tutti nel campo e ha
scosso perfino i tedeschi. La calma di quell’uomo, la 
sua sicurezza facevano impressione.







BORGOWIEC - Ha aiutato a morire tutti i suoi compagni, uno dopo
l’altro. “Sei vicino alla luce - diceva - La vera vita
sta per cominciare ora. Gesù ti viene incontro. La Ma-
donna ti assiste”. E quelli spiravano, rassicurati, tra le
sue braccia.

SWEDA - E poi?

BORGOWIEC - Poi è rimasto solo a patire la sete e la fame in mezzo
agli ultimi cadaveri. E le sue sofferenze sono diventate
così atroci, che gli aguzzini stessi hanno deciso di porvi
fine con un’iniezione di acido fenico. Lui allora, sempre
sereno, ha steso il braccio e Boch, sai,il direttore del-
l’ambulatorio, gli ha cacciato l’ago in vena. Il prete ha
reclinato il capo su una spalla, sorridente. Pare che 
Boch abbia detto: “Ho ucciso un santo”.

SWEDA - Che ne hanno fatto del corpo?

BORGOWIEC - Puoi immaginarlo. Bruciato, nel forno...

SWEDA - Così, anche lui è...uscito dal camino!

BORGOWIEC - Già. Un esile filo di fumo...ma un filo di fumo, che ha
profumato tutto il campo.















QUADRO TERZO


Niepokalanov ( la Città dell’Immacolata), 17 febbraio 1941
Una sala del convento. Arredamento limitato all’essenziale: un tavolo con un telefono, qualche sedia, un crocefisso.



SCENA PRIMA

Fr.Milosz, P.Rufino e Caterina Rudich
Lento rintocco di campane. In lontananza un canto gregoriano.
Fr.Milosz è già in scena.
Entrano P.Carlo Rufino e Caterina Rudich, una giovane donna dai capelli biondi raccolti dietro la nuca. La Rudich indossa un tailleur scuro, che evidenzia il pallore del suo volto.

P. RUFINO - Maria (1)

Fr. MILOSZ - Maria.

P. RUFINO - Hai visto Padre Massimiliano?


(1) Per volontà del fondatore, P. Kolbe, nella comunità di Niepokalanov
“Maria” era il saluto che abitualmente ci si scambiava.














Fr. MILOSZ - Sì, poco fa, in cappella. Sarà ancora lì, credo.

P. RUFINO - Vai a chiamarlo, ti prego. La signora ha bisogno di par-
largli.

Fr. MILOSZ - Chi devo dire?

RUDICH - Caterina...Caterina Rudich...anche se, certo, non può ri-
cordarsi di me.

Fr. MILOSZ - Vado subito ad avvertirlo. Maria ( Esce dalla sinistra).




SCENA SECONDA

P. Rufino e Caterina Rudich


P. RUFINO - Farà presto, non dubiti ( Indicando una sedia ) Intanto,
si accomodi.

RUDICH - ( Siede, mostrando grande stanchezza ) Grazie. Ne ho
proprio bisogno, dopo un viaggio così faticoso. Ormai
muoversi da Varsavia è diventata un’impresa.

P. RUFINO - Ha preso la corriera?

RUDICH - Non ho potuto farne a meno. Purtroppo si è rivelata un
disastro: sporca, stipata di gente fino all’inverosimile.
Si è fermata ogni cinque minuti per guasti al motore, per
controlli ai posti di blocco - quanti! - e persino per un







mitragliamento lungo la strada. Alla fine ci ha lasciato
in un paese vicino ed è tornata indietro. Un contadino
nella piazza, impietosito dalle mie preghiere, mi ha 
prestato la bicicletta; ed eccomi qui.

P. RUFINO - Deve essere molto importante ciò che ha da dire a Pa-
dre Massimiliano, se...

RUDICH - ( Evasiva ) Sì, molto ( Volgendo lo sguardo attorno )
Com’è bello questo posto. Quanta pace, quanta sere-
nità. Un angolo di paradiso...in mezzo all’inferno della
nostra povera Polonia. ( Pausa ) E’ tutto come nel ‘39.

P. RUFINO - Ah, lei è già stata a Niepokalanov?

RUDICH - Sì, assieme ad altri infelici, rastrellati un po’ dapper-
tutto, nella Pomerania, nell’Alta Slesia, nel Bacino di
Dobrova.

P. RUFINO - Ricordo. Un frangente molto doloroso.

RUDICH - Poteva accederci di peggio. Grazie a Dio, i tedeschi
hanno scelto questo convento per sistemarci, e con le
vostre cure e le vostre preghiere molti di noi sono
riusciti a salvarsi ( Estrae dalla camicetta una meda-
glia ) Vede? La Medaglia Miracolosa. Me l’ha data
allora proprio lui, Padre Kolbe. La porto sempre con
me. E’ la cosa più preziosa che possieda.












SCENA TERZA

Detti e P. Kolbe

Entra P. Massimiliano Kolbe. E’ un uomo sulla quarantina, piccolo e gracile d’aspetto, gli occhi incorniciati da un paio di lenti rotonde.


P. KOLBE - ( Con grande dolcezza ) Maria. E’ lei che ha chiesto di
parlarmi?

RUDICH - ( Si alza, va incontro a P. Kolbe, si genuflette e gli ba-
cia la mano ) Io sì, Padre ( Si rialza, mostrando un 
certo imbarazzo per la presenza di P. Rufino ) Ho delle
cose molto...molto riservate...da riferirle...

P. RUFINO - ( Cogliendo l’imbarazzo della Rudich ) Bene, io vi la-
scio. Con permesso...

P. KOLBE - No, resta, ti prego ( Alla Rudich ) Padre Carlo Rufino è
il mio segretario personale, il mio confessore e soprattut-
to il mio migliore amico. Sa tutto di me. Può parlare li-
beramente anche in sua presenza ( Si siede e invita gli
altri due a fare altrettanto ).

RUDICH - ( Ancora esitante ) Ma...

P. KOLBE - ( Con un sorriso ) Non abbia alcun timore. Dica pure.

RUDICH - E sia. Come le avranno riferito, mi chiamo Caterina
Rudich. Sono originaria di Poznam. Ma ciò non con-
ta. Dicevo poco fa al Padre che conosco questo con-








vento per esservi stata deportata nel 1939.

P. KOLBE - “Mamusia” mia (2). Non può immaginare quanta gioia
io provi quando mi è dato di ritrovare qualcuno di voi.
Il vento della guerra, così come vi ha qui riuniti, vi ha
poi dispersi in mille direzioni. Mi racconti. Che cosa le
è accaduto dopo quel triste episodio?

RUDICH - Un fatto sorprendente. La Gestapo mi ha offerto un po-
sto di segretaria, per la mia conoscenza del tedesco. Cer-
to, lì per lì ero propensa a rifiutare; mi ripugnava di fini-
re in quell’ambiente e occuparmi di certe cose. Ma poi
ho riflettuto sui vantaggi: la garanzia per la mia incolumi-
tà personale, l’occasione di venire a conoscenza di noti-
zie preziose per i nostri connazionali. E così ho accetta-
to. Lavoro ancora là, negli uffici di Viale Szucha, a Var-
savia. E senza falsa modestia posso dire di aver salvato
sinora parecchie persone.

P. KOLBE - Iddio la ricompenserà.

RUDICH - ( Con improvviso impeto ) Fugga, Padre! Fugga, finchè è
in tempo. Lei è in grave pericolo. Lo so.So tutto nei mi-
nimi particolari.

P. KOLBE - Fuggire io? Perchè? Che cosa ho fatto?

RUDICH - La polizia nazista ha in serbo delle imputazioni terribili
sul suo conto; e le prove per sostenerle.


( 2 ) Madre, Mammina, riferito alla Madonna.








P. KOLBE - Non posso crederci.

RUDICH - Deve crederci. Sono delle menti diaboliche, quelle. Lei
ricorderà un suo confratello, espulso da qui tempo fa,
perchè sorpreso a fabbricare con una macchinetta mo-
nete false da 50 Grosze.

P. KOLBE - L’Immacolata mi perdoni. Ho dovuto farlo. Se l’avesse-
ro scoperto i tedeschi, tutta la comunità ne avrebbe pa-
gato le conseguenze.

RUDICH - Ebbene, quel frate, partito da questo convento, ha trovato
ospitalità, in cambio di lavoro, presso le Suore Albertine
di Varsavia. Ma non ha comunicato i suoi spostamenti
all’Ufficio dello Stato civile. La Gestapo inospettita, lo
ha invitato un giorno a presentarsi.

P. KOLBE - E lui c’è andato?

RUDICH - Pressato dalla Superiora, che temeva guai, sì, c’è andato.

P. KOLBE - Povero figlio. E com’è finita?

RUDICH - E’ stato interrogato, forse anche torturato. Io ho avuto 
modo di leggere il verbale. Gli hanno fatto un mucchio di do-
mande soprattutto sulla sua vita qui a Niepokalanov, su di
lei e sul Maly Dziennik.

P. KOLBE - Sul Piccolo Giornale?

RUDICH - Appunto. Gli hanno chiesto se è stato lei ad ispirare agli 
articolisti sentimenti ostili contro la Germania e contro le 








autorità militari.

P. KOLBE - Non è vero! Lo sanno tutti che non mi sono mai occupato
di politica!

RUDICH - Che importa. Quelli, la verità la fanno a loro uso e consu-
mo. Il frate, stremato dagli interrogatori, ha finito col con-
fermare le accuse, già mosse, a quanto pare, da altri due.
Insomma, ne è venuto fuori che il Piccolo Giornale è una
pubblicazione perfida, che dirige i suoi strali contro il
Terzo Reich; un organo sobillatore, che spinge alla disob-
bedienza e alla rivolta, che semina odio contro le forze di
occupazione.

P. KOLBE - Come ha potuto un confratello dire tutto questo?

RUDICH - Il verbale è stato redatto in tedesco e quell’infelice non ne
conosce una parola. Ha firmato quello che gli hanno mes-
so sotto il naso, senza sapere di che cosa si trattasse e sol-
tanto per poterla fare franca. ( Pausa ) Verranno qui, pre-
sto; verranno ad arrestarla. C’è il rischio che la deportino
ad Auschwitz, e lei sa cosa significa. Da Auschwitz non
c’è ritorno. Deve fuggire. Subito.

P. KOLBE - Cara signora, la ringrazio di cuore per le sue informazio-
ni e soprattutto per i pericoli che ha corso per darmele.
Ma, mi creda, non posso prendere alcuna decisione af-
frettata. Me lo impediscono le responsabilità che ho ver-
so i miei confratelli.

RUDICH - Ma non c’è un minuto da perdere. Come devo dirglielo?
Indossi un abito borghese e venga via con me ( Fruga








nella borsa e ne trae delle carte ) Ecco i documenti...falsi,
si capisce. Ma nessuno se ne accorgerà. Ce la faremo.

P. KOLBE - Ha pensato proprio a tutto. ( Pausa ) Ora, però, mi lasci
un po’ solo. Può darsi che segua il suo consiglio e può 
darsi che non lo segua. Sarà come sempre l’Immacolata
a indicarmi la via.

RUDICH - Perchè non vuole credermi? La sua vita è in serio pericolo

P. KOLBE - Le credo, signora. Ma, glielo ripeto, come Guardiano (3)
del convento non posso assumere alcuna decisione affret-
tata.

RUDICH - Padre...

P. KOLBE - Carlo,ti prego, fai accompagnare la signora dal Fratello
Milosz nel refettorio. ( Alla Rudich ) Non abbiamo più
caffè, caffè vero, dall’inizio della guerra, ma spero che
una tazza d’orzo e qualche galletta la rinfranchino egual-
mente. Poi uno dei nostri frati la riaccompagnerà in pae-
se.

RUDICH - Ma così...lei è perduto...

P. KOLBE - Tutt’altro. Io sono salvo, salvo per le piaghe di Cristo.
Nessuno può privarmi della mia condizione di redento.
Possono attentare alla mia vita; ma la mia vita è ben
poca cosa rispetto al bene di cui godo e di cui godrò
per sempre. Vada. E che Dio la protegga.













Caterina Rudich si alza titubante. Ricevuta la benedizione di P.Kolbe, si avvia sulla sinistra ed esce assieme a P.Rufino. P.Kolbe, rimasto solo, misura la sala a passi lenti, con le mani dietro la schiena e con aria assorta.


SCENA QUARTA

P. Kolbe e P. Rufino

P. RUFINO - ( Rientrando) Massimiliano, quella donna ha ragione. Devi
fuggire al più presto. Non possiamo rischiare di perderti.
Per quanti hanno a cuore la Patria e la religione tu sei un
punto di riferimento importante.

P. KOLBE - Non esagerare. Sono solo un povero prete.

P. RUFINO - Non è vero e lo sai. Preparati dunque a partire. Penserò
io al necessario.

P. KOLBE - Sarebbe una ingenuità. Non conosci i tedeschi? Quando
non trovano la persona che cercano, prendono al suo po-
sto i familiari, gli amici. E io non voglio che nessuno di
voi abbia a soffrire per causa mia.

P. RUFINO - Potremmo offrire del denaro.

P. KOLBE - Ma no! Anche ammesso che disponessimo di una forte
somma, la prenderebbero, ma dopo qualche tempo tor-
nerebbero a cercarci con un pretesto qualunque per avere
altri soldi.

P. RUFINO - E allora?








P. KOLBE - Allora non c’è che da fare la volontà di Dio, sperando
che l’Immacolata ci dia la forza, il coraggio, la dignità
necessari per sopportare questa prova.

P. RUFINO - Ma non puoi farti prendere così...senza tentare nulla.

P. KOLBE - Gesù lo ha fatto nell’Orto degli Ulivi e Lui è il nostro
modello.

P.RUFINO - Sì, va bene...ma...Massimiliano, fratello mio...

P.KOLBE - Ricorda i nostri discorsi. Ora è venuto il momento di
metterli in atto.

P. RUFINO - Non so più che dire nè che che pensare.

P. KOLBE - Rufino, con te posso aprirmi del tutto, come ho fatto
sempre. Ricordi? Una volta, vincendo il naturale ritegno 
ti confidai come Nostra Signora mi sia apparsa
nella Chiesa di San Matteo a Pabianice. La Regina del
Cielo mi venne incontro - a quel tempo ero solo un ra-
gazzo - avvolta in un grande mantello azzurro e con un 
diadema sul capo, sorridente, amabile. Il Suo volto, oh
il Suo volto, riflesso di una totale purezza interiore, m’è
rimasto impresso nell’anima.
Non ti ho mai detto, però che, mentre confuso L’ammiravo, 
sperando di non dovermi mai più staccare dalla Sua imma-
gine e di venire trasportato, così com’ero, in Paradiso,El-
la mi porse due corone, una bianca, pensai subito simbolo
della purezza, e una rossa, simbolo del martirio. Io le ac-
cettai entrambe, facendo subito mia quella bianca.
Quanto alla rossa...quanto alla rossa...ho cercato di indivi-










duarla via via nelle varie traversie della vita: nel ricovero in
ospedale, quando, divorato dalla febbre e squassato dalla tos-
se, sono stato in procinto di morire; o nel viaggio tra Singapo
re e Colombo, quando la nave su cui mi trovavo si è imbattu-
ta in una terribile tempesta; o nel carcere di Amtiz, quando le
SS, accortesi del crocefisso, che pendeva dal mio rosario, han
no preso a picchiarmi selvaggiamente. Ma la corona rossa 
non era in nessuno di quei posti...in nessuno di essi...E’ dif-
ficile dire quello che provo. Certamente non cerco il martirio,
ma ho la consapevolezza che esso presto o tardi verrà, per-
chè è iscritto nella mia esperienza di fede, fa parte della mia
devozione all’Immacolata. Io Le ho promesso di accettare la
corona rossa; e non posso venir meno alla parola data.
Comprendi ciò che tento di dire? Non voglio nè agevolare nè
accelerare gli eventi, voglio solo accettarli.
Quando giungerà il momento, spero di essere capace di
sigillare l’amore da cavaliere quale io sono, spargendo con
fermezza, con generosità fino all’ultima goccia del mio san-
gue. Per questo ti prego di aiutarmi, invocando anche tu per
la mia debolezza il sostegno di Maria Santissima.

P. RUFINO - Lo farò in nome della fede comune e per il gran bene che
ti voglio.

P.KOLBE - Purtroppo non riuscirò a completare la mia opera sull’Imma-
colata. Vorrei che lo facessi tu.

P.RUFINO - Non dire così. Mi spezzi il cuore.

P.KOLBE - Abbiamo riflettuto per tanto tempo su quei temi. Puoi ben es-
sere in grado di riassumere il mio pensiero. In ogni caso ci
sono molti appunti nella mia scrivania.









P.RUFINO - Massimiliano...

P.KOLBE - Deve risultare l’assoluta centralità di Maria nel piano di sal-
vezza; il suo “sì”, che ha consentito al Creatore di partecipa-
re alla storia del mondo.

P.RUFINO - Dio mi perdoni, ma putroppo ora non riesco a 
a concentrarmi in un discorso del genere

P. KOLBE - ( Prende il breviario e lo sfoglia ) Leggiamo un salmo. Ci
aiuterà. Ecco...questo...credo sia il più appropriato per il
momento che viviamo.

SALMO 139 - Salvami,Signore, dal malvagio,
proteggimi dall’uomo violento,
e da quelli che tramano sventure nel cuore
e ogni giorno scatenano guerre.
Aguzzano la lingua come serpenti;
veleno d’aspide è sotto le loro labbra.
Proteggimi, Signore, dalle mani degli empi,
salvami dall’uomo violento:
essi tramano per farmi cadere.
I superbi mi tendono lacci
e stendono funi come una rete,
pongono agguati sul mio cammino.
Io dico al Signore: “Tu sei il mio Dio;
ascolta,Signore, la voce della mia preghiera”

Squilla il telefono.

P. RUFINO - Sei tu, Cherubino? Chi? Certo, va bene ( riaggancia, con
aria smarrita) La Gestapo. Sono già qui...stanno stalendo.









P. KOLBE - Signore, non soddisfare i desideri degli empi,
non favorire le loro trame.
So che il Signore difende la causa dei miseri,
il diritto dei poveri.

Si odono forti passi cadenzati.

Sì, i giusti loderanno il tuo nome,
i retti abiteranno alla tua presenza.
Amen.

P. RUFINO - Amen.

-

SCENA QUINTA

Detti, 1° e 2° agente

Irrompono due agenti in borghese; uomini alti, robusti, con i capelli a spazzola.

1° AGENTE - Heil Hitler ! ( Attende una risposta, che però non segue) 
Chi di voi risponde al nome di Massimiliano Kolbe?

P. KOLBE - Io, signore. Che cosa desiderate?

1° AGENTE - Siamo venuti a farvi una visitina. Non avete nulla da te-
mere.

P. KOLBE - Non ho alcun timore.










1° AGENTE - Vogliamo soltanto qualche informazione...

2° AGENTE - ...pure formalità...

1° AGENTE - ...da sbrigare un po’ qui...e un po’ al Comando.

P. KOLBE - Devo dunque seguirvi?

1° AGENTE - Dopo, dopo...voi, e qualcun altro. ( Siede ) Intanto, rispon-
dete a qualche domanda ( Si accende una sigaretta )

P. KOLBE - Chiedete pure. Sono a vostra disposizione. 

1° AGENTE - Salendo, abbiamo notato alcune aule, con banchi, lavagne
e tutto il resto.

2° AGENTE - Esercitate l’istruzione?

1° AGENTE - Se sì. di che ordine e grado?

P. KOLBE - L’ho già spiegato altre volte.

1° AGENTE - Non ci interessa. Ora è a noi che dovete dirlo.

P. KOLBE - Non abbiamo scuole, almeno nel senso che intendete voi;
solo un seminario.

1° AGENTE - Ah, sì? E chi frequenta questo...seminario?










P. KOLBE - Ragazzi.

2° AGENTE - Età?

P. KOLBE - Diciassette, diciotto anni.

1° AGENTE - Dovrebbero trovarsi in caserma.

2° AGENTE - Probabilmente si tratta di disertori, di gente che non vuol
collaborare.

P. KOLBE - Ma che dite!

1° AGENTE - Lo accerteremo.

2° AGENTE - Ci risulta che qui avete delle officine, dei laboratori arti-
giani.

1° AGENTE - Anche questi fanno parte del...seminario?

P. KOLBE - Oh, no. Vedete. La nostra è come...come una piccola città.
Per essere autosufficienti, facciamo noi stessi le cose di cui
abbiamo bisogno; o meglio, le facevamo, perchè oggigiorno
molte attività non possono più svolgersi per mancanza di ma-
terie prime.

1° AGENTE - Un vero peccato!












2° AGENTE - Avete costruito addirittura un aeroplano. Non c’è che dire:
un ottimo strumento di propaganda, adeguato ai tempi.

P. KOLBE - Se ne avessimo avuto i mezzi, lo avremmo portato a termi-
ne. Invece, è rimasto incompiuto, in fondo a un capannone.
Non è assolutamente in grado di volare e non rappresenta
uno strumento di propaganda.

1° AGENTE - Qui avete anche una stazione radio.

P. KOLBE - Si trova nell’ultimo padiglione, in fondo al viale; ma è inat
tiva da più di un anno.

1° AGENTE - Quali giornali curate? Titolo e contenuto!

P. KOLBE - Giornali? Nessuno.

1° AGENTE - Tolleriamo tutto, tranne che di essere presi in giro! Siete
famosi per la vostra stampa.

P. KOLBE - Famosi, poi... Un tempo sì; un tempo pubblicavamo qual
che foglio: “ Il cavaliere dell’Immacolata” e “Il piccolo gior-
nale”; ma da parecchi mesi le rotative sono sotto sequestro.
E Dio solo sa quanti sacrifici ci sono costate.

1° AGENTE - Di che cosa si occupavano quei...fogli?

P. KOLBE - Semplici notiziari religiosi.

1° AGENTE - Dite piuttosto, manifesti politici.











P. KOLBE - Insisto: religiosi.

2° AGENTE - Qui in Polonia religione e politica sono la stessa cosa.

P. KOLBE - “Il cavaliere dell’Immacolata” è stato autorizzato dall’Uffi-
cio della propaganda e voi stessi della Gestapo avete rila-
sciato il permesso, esattamente il 20 novembre dell’anno
scorso. A un tratto, il fermo...l’ordine di sequestro...

1° AGENTE - “Il cavaliere dell’Immacolata”...

2° AGENTE - ... “Il piccolo giornale”...

1° AGENTE - ...titoli innocenti...

2° AGENTE - ...insignificanti...

1° AGENTE - Eppure con quattro soldi di carta stampata avete fatto più
danno voi della vostra cavalleria sul campo di battaglia.

P. KOLBE - Abbiamo ricevuto ogni tipo di critica, specie dai comunisti
locali. Ci hanno accusato di essere retrogadi, bigotti e per-
fino antisemiti. Ma nessuno ci aveva mai detto sinora cose
simili.

1° AGENTE - Noi sappiamo quello che diciamo.

P. KOLBE - Non è la verità, posso assicurarvelo.

1° AGENTE - Se avete delle prove, conservatele. Potranno esservi utili.









P. KOLBE - E’ da oltre un anno che cerco di spiegare alle autorità que-
sta faccenda. Ma nessuno mi sta a sentire.

2° AGENTE - Tra poco potrete chiarire tutta la storia.


1° AGENTE - Francamente non riesco a capirvi. Dovreste avere tutto
l’interesse ad aiutarci. Noi combattiamo il comunismo, 
che è anche il vostro peggior nemico. E invece...

P. KOLBE - Non facciamo nulla per nuocervi.

1° AGENTE - ( Urlando ) Non basta, non basta! Collaborare dovreste!
Ma come fate a starvene qui chiusi tutto il giorno, bia-
scicando inutili litanie, mentre il mondo è a ferro e a 
fuoco; mentre l’umanità cerca di rinnovarsi, di trovare
la sua unità?

2° AGENTE - Vi farà comodo veder schiacciato da altri il gigante so-
vietico.

P. KOLBE - La conversione non viene dalle armi, ma dallo spirito.

1° AGENTE - E voi credete veramente di averne il monopolio? Anche
noi abbiamo uno spirito, una fede incrollabile nella 
grande Germania e nella Nuova Europa, sotto la guida illuminata
del Fhurer.

P. KOLBE - Lo spirito al quale noi ci affidiamo è quello dell’amore,non
dell’odio e della distruzione.









1° AGENTE - La verità è che siete degli uomini mancati.

2° AGENTE - Finiamola di chiacchierare. Non serve a nulla.

1° AGENTE - Hai ragione ( Trae dalla tasca un foglio ). Oltre a voi de-
vono seguirci: Giustino Nazim, Pio Bartosik, Urbano Cie-
slak e Antonio Bayewsky. Avvertiteli in fretta. Non abbia-
mo più molto tempo.

P. KOLBE - Un momento. Prima di allontanarmi, devo designare il
mio successore.

1° AGENTE - Quante storie! Tra poco sarete di ritorno.

P. KOLBE - Non è che non mi fidi. E’ la regola del convento. Quando
il guardiano deve allontanarsi per un po’, deve indicare
chi lo sostituisce.

1° AGENTE - Va bene. Ma fate in fretta.

P.KOLBE - ( Rivolto a P. Rufino ) Durante la mia assenza, padre guar-
diano sarà...Floriano Koziura.

P. RUFINO - Cosa posso fare per te?

P. KOLBE - Pregare...pregare sempre...

P. RUFINO - Non cesserò mai.

1° AGENTE - Le macchine attendono nel cortile.











P. KOLBE - ( A P.Rufino ) Vorrei anche che qualche volta andassi a
trovare mia madre. E’ troppo vecchia ormai per sopporta-
re certi dolori.

P. RUFINO - Va bene.Non dubitare.

P. KOLBE - Addio, amico mio.( Si abbracciano ) Ora vai a chiamare gli 
altri.

P. Rufino esce 

( Agli agenti ) Sono pronto, possiamo andare.




QUADRO QUARTO

Come nel Quadro Primo, immagini e suoni della Germania nazista.



QUADRO QUINTO

Auschwitz, giugno 1941.

Interno del blocco 14. Sul pavimento oggetti alla rinfusa: scarpe, gavette, cassette di legno.
Luce blu soffusa.All’inizio e alla fine del quadro musica classica appropriata.
Sul tavolaccio di destra, in basso, è sdraiato Mjeczyslaw Koscielniak; seduto, al centro, P. Kolbe; accanto a lui Alessandro Dziuba e Rodolfo Diem; sulla 










sinistra, in piedi, Francesco Gajowniczek.
Tutti i prigionieri indossano una casacca a righe verticali grigie e azzurrastre; all’altezza del cuore portano un numero. Quello di P. Kolbe è il 16670.



SCENA PRIMA

Koscielniak, Dziuba, P. Kolbe, Diem, Gajowniczek


DIEM - ( A P. Kolbe, con tono disperato ) Ma che diavolo ti ha
preso ? Perchè mi hai fermato? Perchè?
Tutto era favorevole. Un momento così non si era avuto
mai: le guardie impegnate nella distribuzione del rancio,
le sentinelle distratte, i reticolati ad alta tensione vicinis-
simi... Sarebbe bastato un salto...e via! Mi sarei liberato
per sempre da questo incubo, da questa oppressione. E,
invece, ti sei mezzo di mezzo tu...e il mio piano è fallito.
Ora chi mi darà la forza di tentare un’altra volta, ammes
so che si ripresenti l’occasione?

DZIUBA - ( Si lancia su Diem e, tappandogli la bocca con una mano,
gli soffoca le ultime parole ) Zitto, per carità! Vuoi cacciar-
ci tutti nei guai?

P. KOLBE - Non riprovarci mai più. La vita è il dono più grande di Dio,
e noi non possiamo disporne per nessun motivo...per nes-
sun motivo egoistico, intendo. Possiamo farlo, ad imitazio-
ne di nostro Signore, solo per la salvezza di altri. E poi, tu
sei medico, e non sta a me ricordarti il valore della vita.







DIEM - Un medico, io? Sì, povero imbecille, credo di esserlo 
stato, ma tanti secoli fa, forse in un’al-
tra vita. Ora non sono nulla; non credo a nulla. Ma non ve-
di come ci hanno ridotti? Non lo vedi?

P. KOLBE - I nostri carcerieri ci inducono a disprezzare la vita, ma
noi non dobbiamo assecondarli, qualsiasi cosa accada.
Dobbiamo impegnare ogni capacità, ogni risorsa interio-
re, e resistere.

KOSCIELNIAK -Ha ragione lui. I tedeschi ci vogliono umiliare fino in fon-
do. Attendono l’ultimo cedimento per cantare la vittoria
finale.

GAJOWNICZEK- Non siamo riusciti a fermare i panzer con le cariche di
cavalleria. Ora possiamo contrastare l’invasore solo
con la fermezza del nostro animo.

P. KOLBE - ( A Diem ) Senti che cosa dicono gli altri? Chi può uc-
ciderci, annichilirci, non può portarci via l’anima. Per
fare questo hanno bisogno di noi, del nostro consenso.
E tu vorresti darglielo, Rodolfo?

DIEM - Non so...non lo so... Sono stanco...sfinito...non ne posso
più...

P. KOLBE - Coraggio, figliolo! Finchè saremo assieme ci aiuteremo.
Divideremo pane e amarezza, acqua e disperazione.

KOSCIELNIAK- Non può esserci odio, per quanto grande, capace di ri-
pagare il male che ci fanno.









P. KOLBE - L’odio non serve a nulla. L’odio distrugge. Solo l’amore
costruisce. Bisogna pregare, pregare tanto, e più per i
nostri nemici che per noi stessi.

KOSCIELNIAK - L’ho già sentita questa frase da qualche parte; ma non
mi convince. 

P. KOLBE - Chi vive nelle tenebre ha bisogno di molto aiuto per ri-
trovare la via della luce, e noi questo aiuto dobbiamo
darlo per quanto possiamo. La legge dell’amore è asso-
luta: non ammette eccezioni.

KOSCIELNIAK - Ti osservo da tempo, sai? Attentamente. Non mi sembri
una persona normale: o troppo savio o troppo matto, non
lo so. Partecipi alle pene di tutti e pare che tu non ne ab-
bia. Sei capace di rifiutare la tua razione per darla a un
compagno, e anche di farti bastonare al posto di un altro.
Più che vivere questo inferno, sembri attraversarlo; pre-
sente, ma nello stesso tempo fuori da ciò che ci circonda.
Se mai un giorno riuscirò ad uscire di qui e riprendere a
dipingere, teneterò di fare il tuo ritratto e farvi traspari-
re quello che ho detto.


















P. KOLBE - Quel giorno vorrei ancora essere vivo per poterlo vedere.
Intanto, Mieczyslaw, faresti bene ad esercitarti un po’
col disegno. Ti aiuterebbe a sopportare meglio la pri-
gionia.

KOSCIELNIAK - Qualche tempo fa ho trovato per caso un pezzetto di
carbone e un po’ di carta da imballaggio e ho provato
a schizzare qualcosa. Tutto quello che ne è venuto
fuori sono stati muri, reticolati, torrette, soldati, mitra-
gliatrici e tante tante larve umane. No. Preferisco non
far niente. Questi soggetti sono troppo lontani dal mio
genere! E poi, le mani...Hai visto le mie mani? Erano
abituate un tempo a tenere solo i pennelli. Ora, dopo
dieci ore al giorno di mazza, sono diventate dure, cal-
lose, pesanti come macigni. Se le metto sulla carta, tre-
mano.

P. KOLBE - Il Signore ti ha dato un talento magnifico, e tu devi
sforzarti di coltivarlo. Ho visto quei tuoi disegni e ti
assicuro che sono ottimi, dei documenti eccezionali,
sotto ogni aspetto.

KOSCIELNIAK - Non mi interessa. Non voglio disegnare più. Basta.

P. KOLBE - Neanche per farmi un piacere?

KOSCIELNIAK - Quale piacere ?

P. KOLBE - Vorrei che tu raffigurassi una Madonna col Bambino,
non tanto grande, così, come una cartolina, o anche
meno. La terrei nella mia branda e la userei per
le nostre preghiere.










KOSCIELNIAK - Beh, se è solo per farti un piacere...posso provare...
Ma poi col disegno ho chiuso. Chiaro?

DZIUBA - Massimiliano.

P. KOLBE - Sì ?

DZIUBA - Vorrei...vorrei...insomma, devo liberarmi una buona
volta del peso che ho di dentro.

P. KOLBE - ( Fa’ un cenno a Diem di allontanarsi. Diem esegue.
Dziuba si avvicina a P. Kolbe e fà il segno della cro-
ce ) Ti ascolto, parla.

DZIUBA - Prima di essere catturato e rinchiuso in questo campo,
facevo il sarto al mio paese, a pochi chilometri da Dan-
zica. Avevo una botteguccia, che dava da vivere a me e
alla mia famiglia.Una vita da piccolo artigiano, dignitosa
e onesta. In questo posto maledetto non so che cosa mi
sia successo, mi sono ridotto come un animale... peg-
gio...Ho perso la mia rettitudine, il senso della giustizia.

P. KOLBE - Di quali peccati ti accusi?

DZIUBA - Ecco, non è facile dirlo. Ma ci proverò. Devo provarci.
Nei primi di aprile...sono stato adibito al trasporto dei
cadaveri dal punto di raccolta alle fosse. C’eri anche
tu. Il puzzo era così forte che le guardie se ne stavano
a distanza; tanto c’era ben poco da controllare. Ebbene,
in quell’occasione...Non ho la forza di continuare.

P. KOLBE - In quell’occasione?








DZIUBA - Mentre avevo tra le mani il corpo di un nostro sfortunato
compagno, morto di stenti, mi sono accorto che nella sua
bocca spalancata brillava qualcosa: un dente d’oro, sfug-
gito chissà come agli aguzzini, che ne fanno incetta. Un 
dente d’oro! La scoperta mi ha mozzato il fiato; mi ha
fatto battere il cuore così forte che mi pareva scoppiasse
in petto. Per fare in fretta ho afferrato una pietra accumina
ta e ho colpito...ho colpito quel viso fino a sfigurarlo. Di-
velto il dente, me lo sono cacciato in tasca.

P. KOLBE - Povero figlio mio!

DZIUBA - Un tesoro, una fortuna insperata! Con quel pezzetto d’oro
ho acquistato quattro razioni e una sigaretta. Faccio schi-
fo a me stesso.

P. KOLBE - C’è chi pagherà il fio di questi orrori, e non sarai certo 
tu ,caro Alessandro!

DZIUBA - Non è tutto. Pur vivendo nel rimorso per quello che ti ho
appena detto, non ho potuto frenarmi ieri dal commettere
un’altra infamia. Mentre ero fuori al lavoro, un ebreo del
nord, che mi stava accanto, è svenuto per la fatica e per 
il calore. Prima che arrivassero le SS e lo portassero via,
gli ho rubato il pezzo di pane, che quello andava sgranoc
chiando durante le pause. Non ho avuto però il coraggio
di mangiarlo. ( Traendolo dai pantaloni ) Eccolo. ( Si
copre il volto con le mani ) Dio mio, che cosa mi sta suc
cedendo?

P. KOLBE - Dammi quel pane.











DZIUBA - E’ giusto. Offrilo a chi ne ha più bisogno.

P. KOLBE - No, Alessandro. Non lo darò a nessuno in particolare.
Ve ne ciberete tutti durante la Messa.

DZIUBA - Come? Proprio di quel pane?

P. KOLBE - Sarà l’offerta più gradita a Dio, perchè frutto di tanta
sventura, di tanto dolore.

DZIUBA - Che ne sarà di me? Chi mi trarrà dall’abisso in cui sono
caduto ?

P. KOLBE - Nostro Signore con il Suo perdono. Egli stenderà su di
te, come su tutti noi, il mantello della Sua misericordia,
indicherà la via dell’amore, perchè sull’egoismo preval-
ga l’altruismo, sull’odio la carità, anche in un posto co-
me questo. Se ci si richiede l’eroismo, non dobbiamo
spaventarci, ma ringraziare Iddio per averci prescelti.

DZIU BA - Le tue parole sono come un balsamo sulle ferite della
mia anima. Vorrei piangere...ma non ho più lacrime...

P. KOLBE - Abbracciami forte e prega per me ( Si abbracciano ).

GAJOWNICZEK- ( Mostrando un nastrino di guerra ) Ecco tutto quello
che rimane di una lunga ed onorata carriera militare. Poco,
no? Se qualcuno mi avesse detto tempo fa dove sarei fi-
nito, non ci avrei creduto. Pensavamo di essere un eser-
cito stupendo, disciplinato, agguerrito; capace, se non
di invadere altri paesi, almeno di difendere il nostro.Non
abbiamo fatto i conti con gli stukas e con i panzer. Cadu-








ti a migliaia sotto una valanga di ferro e di fuoco. Una
inutile carneficina...e una umiliazione, che non sarà fa-
cile cancellare.

DIEM - Avrei preferito morire combattendo piuttosto che assi-
stere allo scempio che è seguito dopo la disfatta.

P. KOLBE - Fratelli, i disegni della Provvidenza sono imperscruta-
bili. Forse le nostre pene attuali segnano già, senza che
noi lo sappiamo, l’inizio del riscatto. Chi confida in Dio
non si limita a considerare il presente, ma misura la sto-
ria su un metro molto più ampio.

GAJOWNICZEK- Vorrei avere la tua fede.

P. KOLBE - Credetemi, amici. Dobbiamo tendere a Dio con tutte
le nostre forze ed essere tra noi uniti nel Suo nome. Le
tenebre non prevarranno.





SCENA SECONDA

Detti e Heinrich Krott


KROTT - ( Irrompendo nella baracca con una torcia elettrica )
Miserabili! Che diavolo fate ancora alzati, a quest’ora?
Vi si è seccata la lingua? Rispondete, porci!









P. KOLBE - Abbia pazienza Krott. E’ colpa mia. E’ tutta colpa mia.
Mi sono sentito male e ho chiesto aiuto ai miei compagni.

KROTT - ( Dopo aver spinto da parte P.Kolbe, rivolto a Diem )
Vieni qui, tu.

DIEM - ( Eseguendo ) Io?

KROTT - ( Percuotendolo ) Dov’è la tua branda?

DIEM - Là.

KROTT - E allora perchè non ti ci trovi?

DIEM - Quest’uomo stava male...gridava...

KROTT - Tu sei una bestia da lavoro, capito? Soltanto una lurida
bestia da lavoro. Se non dormi, domani non potrai spac-
care tante pietre quante oggi. Forza. A dormire tutti!
( Colpendo Dziuba ) Anche tu, verme.

P. KOLBE - Punisca me, solo me. Sono solo io il responsabile.

KROTT - Chi credi di essere, prete? Se stavi male, perchè non
mi hai chiamato? Non sai che in questo campo c’è
anche un’infermeria?

P. KOLBE - Non ne ho avuto il tempo.Lei è entrato subito.

KROTT - E dove è ora tutto questo male? Sparito? Vi fate gio-
co di me, tutti vi fate gioco di me! Ma ve la farò pa-
gare cara, rifiuti di fogna! Oh, se ve la farò pagare.








Il Lagerfhurer vi darà la lezione che meritate: Prima scave-
rete le fosse con le vostre manacce, e poi ci verrete caccia-
ti dentro...vivi!

P. KOLBE - La prego, Krott, abbia pietà. Ora vado a dormire. Andiamo
a dormire tutti. E domani lavoreremo, renderemo come 
al solito...vedrà...anche più del solito...

KROTT - Lo voglio credere. Qui non si mantengono i fannulloni, si
mettono al muro. Vi terrò d’occhio...e appena vi coglierò
un’altra volta in flagrante, per voi sarà la fine. Bastardi!

Tutti si sdraiano sulle brande e Krott esce




SCENA TERZA

Detti, meno Krott


DZIUBA - Diavolo d’un capò!

GAJOWNICZEK - Serpente velenoso!

Breve silenzio

DIEM - ( Sottovoce ) Massimiliano, mi senti?

P. KOLBE - Ti sento. Che c’è?









DIEM - Sto pensando a mia moglie e ai miei figli. E’ un anno
che mi trovo qui senza loro notizie. Come staranno,
dove saranno? Non resisto più...

P. KOLBE - Prega per loro.

DZIUBA - Io so come sono finiti i miei. Me lo ha raccontato un
vicino, che ho incontrato in questo campo: spazzati
via da una bomba, che ha centrato la casa.

P. KOLBE - Abbi fede. Ora sono in Paradiso. Ti guardano e ti
proteggono.

KOSCIELNIAK - Io, per fortuna, sono solo al mondo. Non sono tempi
questi per metter su famiglia. Eppure ... non vi na-
scondo che sento la mancanza di una donna. Che ne
dici, Massimiliano, è peccato?

P. KOLBE - Affatto. E’ una cosa naturale.

KOSCIELNIAK - Quando chiudo gli occhi la sera, prima di addormen-
tarmi, dipingo mentalmente una donna.

DIEM - Dicci com’è.

KOSCIELNIAK - Chi?

DIEM - La donna che sogni.

KOSCIELNIAK - Bella...credo...almeno per me... Assomiglia a una
prigioniera, che vedo qualche volta dietro i reticola-









ti del settore femminile: alta, bionda, occhi verdi...Ma
non è triste come quella; tutt’altro, è sempre sorriden-
te, ha una gran voglia di vivere, di divertirsi. E io con
la fantasia la porto al cinema, poi in un caffè, e poi an-
cora a ballare. Come due bambini...Ci sono tante luci
attorno a noi...luci colorate...e tanti suoni...A volte mi
gira la testa.

GAJOWNICZEK - E’ bello poter sognare, così , ad occhi aperti. Io non
ho fantasia. Non lo so fare.

DIEM - Su, ora, basta. Dormiamo.

DZIUBA - Non ho sonno. Ho voglia di parlare ancora.

KOSCIELNIAK - Anch’io.

P. KOLBE - Se vi va, possiamo dire una preghiera tutti insieme.

KOSCIELNIAK - Come?

P. KOLBE - In questo modo. Ciascuno, a turno, offrirà un pensiero
alla Madonna, con semplicità, con spontaneità, come
un figlio che si rivolge alla sua mamma. Chi vuole inco
minciare?

DZIUBA - Facciamo piano, però. Il capò potrebbe sentirci.

KOSCIELNIAK - Io non prego da tanto tempo. Non so se ci riesco.

P. KOLBE - Provaci. Non è difficile.









KOSCIELNIAK - Allora voglio dire questo. Madre Santa, Regina del
Cielo e della Polonia, aiutaci a sopportare questa pri-
gionia; soccorrici nelle fatiche del campo e nelle sof-
ferenze quotidiane; facci ancora sperare nell’avveni-
re....

P. KOLBE - Bene. Vai avanti.

KOSCIELNIAK - Fai, o Madre, che la mia tavolozza ritrovi i colori di
un tempo: il blu del cielo, il giallo del grano maturo,
il rosso dei papaveri, il verde dei prati...e che io pos-
sa cantare ancora le bellezze della mia terra, libera...
che possa ritrarre la mia gente, fiera ed operosa, nel-
l’attività dei campi e delle fabbriche, nei giorni di fe-
sta, nelle occupazioni casalinghe, nelle pratiche di de-
vozione, dimentica dei cupi giorni della guerra, delle
ferite, delle mutilazioni, delle umiliazioni sofferte. Di
più non posso e non oso chiedere... Amen.

P. KOLBE - Amen. Ora a chi tocca?

DZIUBA - Ti prego, Madonna mia, abbi pietà di me. Dammi la
forza di conservare, anche attraverso i tormenti, la
mia umanità, la mia dignità. Fai che da lassù mia mo-
glie e i miei figli non abbiano mai a vergognarsi di me.
Per questo ti prego...

P. KOLBE - Sarai esaudito. Ora a te, Rodolfo.

DIEM - Non posso. Non me la sento.

P. KOLBE - Tu, Francesco?








GAJOWNICZEK - Ho pregato...ho già pregato per conto mio...te l’as-
sicuro...

P. KOLBE - Non vuoi proprio farci sentire i tuoi pensieri?

GAJOWNICZEK - Sarà per un’altra volta.

P. KOLBE - Allora pregherò io anche per chi non ha saputo o vo-
luto farlo. Immacolata, Tu sai bene quali sono le no-
stre necessità. Stendi il Tuo manto santo e misericor-
dioso su questa infelice baracca e su tutto il campo,
sulla Polonia e sul mondo intero. Concedici la benedi-
zione che imploriamo con fede e speranza incrollabili.
Converti i nostri persecutori, illumina le loro coscien-
ze. Realizza la pace e la fratellanza universali. E se 
per questo dovesse essere necessario il nostro sangue,
dacci la forza di pronunciare il “fiat” decisivo, di par-
tecipare alla Tua preziosa mediazione con l’offerta
della nostra vita. Possa cancellarsi questo spaventoso
periodo dalla nostra storia come si cancella con il per-
dono il peccato dall’anima. E tutti gli uomini redenti
trovino alla fine del loro cammino la salvezza promes
sa dal Tuo figliolo e nostro Signore. Amen.
Buona notte, fratelli. La Madonna vegli su di noi.
















QUADRO SESTO

Come nel Quadro primo immagini e suoni della Germania nazista.


QUADRO SETTIMO

Auschwitz, luglio- agosto 1941
La stessa scena del Quadro Primo. Sono già in scena il Lagerfhurer Fritsch e il Rapportfhurer Palisch. Fritsch misura il piazzale a passi lenti e cadenzati, battendo di tanto in tanto il frustino sui gambali; Palisch lo segue.

SCENA PRIMA

Fritsch e Palisch

FRITSCH - Incredibile! Assurdo! Tre evasioni, dico TRE, nel giro di
pochi giorni. Che cosa diranno di me a Berlino? Che sto
qui solo per contare chi fugge? Non mi sorprenderebbe se
facessero un’inchiesta.

PALISCH - Questi spiacevoli incidenti si sono verificati da quando ab-
biamo istituito le Sussenkommando ( 4 ).

FRITSCH - Lo so. Un errore che non si ripeterà mai più. Ci sono no-
vità?

PALISCH - Non ancora.

FRITSCH - Ma come fanno a resistere tanto? Da questa mattina alle
sei, fermi sotto il sole, senza bere e senza mangiare...e nes-
suno di quei maiali si decide a parlare.

PALISCH - Temo che sarà difficile. E’ gente troppo orgogliosa,quella.

(4) Squadre esterne per la mietitura





FRITSCH - “Gente?” Come “gente”? E lo dici proprio tu, Palisch!
Devi essere ammattito. Gente! Sono soltanto dei numeri:
un mucchio di inutili, noiosi numeri, che riempiono i nostri
registri e i nostri schedari...e che vanno cancellati al più
presto. Se fossero “gente”, come dici tu, noi saremmo de-
gli assassini. Non potremmo mai più guardare in faccia i
nostri figli, e la notte saremmo in preda ai rimorsi. Invece,
si tratta solo di luridi ebrei, zingari, mulatti, preti e bestie
del genere; tutta una feccia da cui l’umanità va liberata.

PALISCH - E’ ciò che stiamo facendo.

FRITSCH - Non rapidamente come dovremmo. Siamo molto inadem-
pienti rispetto alle istruzioni, che sono chiare e non ammet-
tono dilazioni.

PALISCH - Ci mancano i mezzi , ecco la ragione. Se si pretende mag-
giore efficienza, ci si diano anche più gas, più proiettili...
e più forni.

FRITSCH - Le necessità della guerra sono tante. Qui dobbiamo ar-
raggiarci come possiamo.

PALISCH - Ma è pretendere l’impossibile.

FRITSCH - Nulla è impossibile per un soldato tedesco. Ricorda
questo motto, che è alla base della nostra disciplina.

PALISCH - Ogni giorno vengono riempite fosse lunghe e profonde.
Tutto attorno al campo non vi sono che scavi. Ma più
ne sotterriamo e più ne arrivano: camions pieni, treni
pieni...diecimila...ventimila...Così non si può andare
avanti.







FRITSCH - Si deve. Occorre raddoppiare gli sforzi,inventare nuovi si-
stemi di eliminazione.

PALISCH - Io francamente ho esaurito la mia fantasia. Li abbiamo mi-
tragliati, affogati, bruciati, ibernati, gasati, impiccati, affa-
mati...Che altro si può escogitare?

FRITSCH - Forse di essere circondati da collaboratori più zelanti.

PALISCH - Se dice per me, posso avanzare domanda di trasferimento.

FRITSCH - Non dire idiozie, adesso. Cerchiamo piuttosto di concludere
questa storia. Se vogliono farsi schiacciare, schiacciamoli.

PALISCH - E’ stata applicata la decimazione anche negli altri casi...
ma non è servito a nulla.

FRITSCH - Ripetiamola! Deve esser ben chiaro chi comanda in Polo-
nia e nel mondo. Falli schierare tutti davanti a me.

PALISCH - Jhawol! Heil Hitler!

FRITSCH - Heil!

Palisch esce 


SCENA SECONDA

Lo stesso piazzale. E’ l’ora del tramonto. Si odono rumori,









ordini secchi, colpi di fischietto; e compare un certo numero di prigionieri

Fritsch, Palisch, Gajowniczek, P.Kolbe, soldati tedeschi, prigionieri di guerra


PALISCH - ( Rientrando ,, a gran voce ) Aat-tenti! ( I prigio-
nieri eseguono ) Il Lagerfhurer Karl Fritsch. Heil Hitler!

FRITSCH - Heil! Come sapete, è accaduto un fatto di estrema gravità...
di estrema gravità...Ieri sera, all’appello, il numero...che nu-
mero era, Palisch?

PALISCH - 2331

FRITSCH - ...il numero 2331 non ha risposto. Il numero 2331 appartiene
al blocco 14, al vostro blocco, ed è evaso. In questi casi, Pa-
lisch, vogliamo ricordare qual’è la legge del campo?

PALISCH - Se nessuno fornirà notizie utili per l’immediata cattura di 
quel numero, dieci di voi saranno presi a caso e rinchiusi nel
bunker del blocco 11.

FRITSCH - Per essi sarà la fine. Al buio, nudi, moriranno lentamente di
sete e di fame.

PALISCH - Si seccheranno come tulipani. C’è una sola uscita dal bunker
del blocco 11, quella per i forni!

FRITSCH - Nei primi giorni, raschieranno la polvere del muro per riem-
pirsi la pancia, poi berranno la loro urina. E impazziranno.
Allora, qualcuno si decide finalmente a parlare? No? E’ e-








vidente. Si tratta di una sfida. Ma non avete fatto i conti con me
e con la potenza del Terzo Reich: Stupidi! Ecco che cosa siete.
Stupidi animali! Ma ve ne pentirete amaramente.

Giungono da lontano rumori e latrati di cani

( A Palisch ) L’hanno preso?

PALISCH - ( Dopo esssersi informato con una sentinella ) No.Niente di
nuovo.

FRITSCH - Ve lo dico per l’ultima volta. Chi sa qualcosa, parli! Parli!

PALISCH - Niente da fare. Procediamo.

FRITSCH - L’avete voluto voi! Dieci moriranno nel bunker della fame!
( Scegliendo a caso ) Uno...

1°PRIGIONIERO - ( Uscendo dai ranghi ) Perchè io? Che c’entro io?

FRITSCH - ...due...

2°PRIGIONIERO - Pietà, abbiate pietà.

FRITSCH - ...tre...

3°PRIGIONIERO - Viva la Polonia!

FRITSCH - ...quattro...

4°PRIGIONIERO - Addio, compagni. Ci rivedremo lassù dove c’è vera
giustizia.








FRITSCH - ...cinque, sei, sette, otto, nove e dieci.

GAJOWNICZEK - ( Esce come gli altri dai ranghi, si guarda attorno con
aria smarrita, poi si butta in ginocchio, urlando verso
Fritsch ) No! Io, no! Vi prego, vi scongiuro. Ho moglie
e figli. Che ne sarà di loro? Abbiate pietà. Non voglio...
non voglio...

FRITSCH - ( A Palisch ) Che ha da urlare tanto questo cane? Fallo
tacere.

PALISCH - ( Vibra un forte colpo sulle spalle di Gajowniczek ) Zit-
to, miserabile! Che cos’hai di particolare? Puoi crepare
benissimo come tutti gli altri.

GAJOWNICZEK - Vi supplico. Risparmiatemi. Non voglio morire.

FRITSCH - Toglietevi le scarpe e ammucchiatele in quell’angolo!


Dal gruppo dei prigionieri si stacca P. Kolbe

P. KOLBE - ( Ai compagni prescelti ) Coraggio, figli miei. Non
sarete soli. Vi seguirò. ( Rivolto a Palisch) La prego,
mi faccia parlare con il comandante.

PALISCH - Che ti salta in mente? Che cosa vuoi? E’ impossibile.
E’ contro il regolamento. Torna nei ranghi.

P. KOLBE - Devo assolutamente parlare con il comandante.

PALISCH - E io ti ripeto che è impossibile. Fila!








FRITSCH - ( Attrratto dal diverbio ) Cosa c’è ancora? Was wunscht
dieses polnische Scwein? (5)

P. KOLBE - ( Avanzando sereno ) Voglio morire al posto di uno di
quelli.

FRITSCH - Bist du verruckt ? Warum? (6)

P. KOLBE - Ormai sono vecchio, non valgo a nulla.

FRITSCH - E...e per chi...vorresti morire?

P. KOLBE - Per lui ( indica Gajowniczek ) Ha ancora due forti brac
cia da lavoro...

FRITSCH - Ma tu chi sei?

P. KOLBE - Ein Priester, un prete, un prete cattolico.

FRITSCH - Ein Pfaffe! Un pretaccio!

PALISCH - ( Sottovoce ) Non permettiamo uno scambio del gene-
re. Non ha senso.



(5) Cosa vuole questo maiale polacco?

(6) Sei diventato matto? Perchè?











FRITSCH - E perchè no? Prima o poi anche questo verme deve essere
ucciso. Se preferisce subito, a noi che importa? Caccialo
nel mucchio. E così sia.


Palisch si avvicina a Gajowniczek e con un calcio lo scaraventa nuovamente nei ranghi. Poi afferra p:Kolbe e lo spinge tra i condannati. I dieci passano davanti al gruppo dei prigionieri. P. Kolbe sostiene un compagno più debole.
Il cielo si tinge di rosso sangue.
Musica appropriata in volume crescente.



QUADRO OTTAVO

La stessa scena del Quadro Primo

Koscelniak, solo

occupato in un lavoro come quello di aggiustare un reticolato con una tenaglia e simili

KOSCELNIAK - Il mite, il buono,il generoso,è morto di fame e di sete, senza un ge-
mito, senza un lamento.
So bene cosa significhi morire in quel mo-
do. Ho visto tanti infelici perire per consumazione: un
supplizio indescrivibile, che solo quelle menti dannate possono a-
vere concepito. Per lui, però, è stato diverso: egli è riuscito a su-
blimare anche questa nefandezza.
E’ strano. In questo momento, non riesco a provare 
alcun senso di vendetta. Fino a poco fa, a tenermi in vita era
solo il desiderio di poter vedere un giorno scorticati vivi il Lagher
fuhrer, il Rapportfuhrer, i capò e tutta la truculenta teppaglia di
questo campo. Verrà il momento - mi ripetevo - che questi por-
ci penderanno da una forca e io sarò lì, sotto il palco, a sputare
sul loro viso.
Ora non più. Ora che da questa immane tragedia è fiorito l’esem-
pio di Kolbe, il mio spirito si apre a nuove dimensioni.
Non so quale fine farò, ma in ogni caso
è chiaro che la salvezza mia e dei miei compagni non è legata alla 
vendetta, alla violenza.
( trae dalla tasca un cartoncino)
Vedi, Massimiliano? Questa è l’immagine della Madonna, che mi 
avevi commissionato. Sono riuscito a disegnarla, ma non ho avuto
il tempo di dartela. Essa reca sul capo una corona rossa. Non so
perchè l’ho fatto. Così. Forse un triste presentimento: il martirio
...la strada per la redenzione... perchè la redenzione verrà.
Lo spera un povero pittore, che durante questa feroce
prigionia, aveva perso il senso della bontà e della fratel-
lanza ,ma che il tuo gesto
ha riconciliato con i veri valori della vita.
E’ il mio quadro migliore:
quello della sofferenza e del perdono.
E me l’ hai dato, ce l’ hai dato tu col tuo esempio. Noi abbiamo
ora il dovere di non sciuparlo, di difenderlo come un te-
soro prezioso.
Un giorno ci risveglieremo da questo incubo e rico-
struiremo noi stessi, le fibre essenziali del nostro essere,
della nostra dignità; rialzaremo il capo dal fango,
in cui ci troviamo immersi, torneremo ad essere degni figli
della Polonia, di una Polonia finalmente libera e risorta.



Le ultime parole verranno dette come in un soffio, e contemporaneamente, come in un soffio, inizierà una musica, che a poco a poco aumenterà di volume fino a raggiungere quello più alto.