LA
COSCIENZA DI HAMLET
commedia storica in due tempi
di
Giorgio Serafini
PERSONAGGI
- WILLIAM SHAKESPEARE, all'età di 36 anni.
- PHILIP HENSLOWE, impresario del Teatro Rose, circa 45 anni.
- ERMINIA, governante di Shakespeare, circa 50 anni (all'apparenza più
anziana).
- SIR GEORGE DI WORCHESTER, nobile con velleità artistiche ben ríposte, circa
25 an-ni.
- ANGUS McDERMOTT, attore di pessime doti, coetaneo di Shakespeare.
- MARY HARTFORD, attrice brava e scaltra, circa 20 anni.
- CHRISTOPHER MARLOWE, drammaturgo che si finge morto, stessa età di
Shakespeare, ma di fama anteriore.
- JOHN DOWLAND, musicista irlandese alla corte di Danimarca, 37 anni.
- I e II SIGNORE: si tratta di due signori sboccati, grassi e sgraziati,
piuttosto anziani. (Pos-sono essere recitati - dato che compaiono in una sola
scena - dallo stesso attore che fa la parte di Marlowe e da quello che fa la
parte di Henslowe, che dovranno ma-scherare la voce e i tratti. I due devono
essere goffi e comici).
PRIMO TEMPO
Londra, 1601. Una casa modesta ma dignitosa nel quartiere dei teatri e dei
bor-delli.
Dalla finestra, di tanto in tanto possono udirsi i suoni più vari: dai canti
degli u-briachi ai suoni di orchestrine improvvisate; il tutto legato da
brusii, operosità.
La stanza si suppone essere una sala da pranzo. Nell'angolo sinistro un
focolare nel quale bolle un paiolo; più avanti, sempre a sinistra, una
finestra; sulla destra alcune scansìe con dei libri ed un tavolo. Sullo sfondo
si aprono due porte che conducono alle ca-mere da letto e all'ingresso.
Buio. Occhio di bue su un attore statico, fisso, declamatorio.
ANGUS - (con prosopopea ed enfasi retorica) Essere o non essere; ecco la
domanda: se sia più nobile nell'animo sopportare le fiondate ed i dardi della
fortuna oltraggiosa, o impugnare le armi contro un mare di problemi, e
combattendoli far sì che si di-sperdano? Morire (estatico): dormire; nulla più;
e con il sonno dirsi che poniamo fine ai colpi violenti ed al le miríadí di
sfaceli della natura umana, che si saziano del la vita, è una soluzione da
augurarsi devotamente. (Ancora più pieno di pom-posità retorica) Morire,
dormire.....
(Luce piena di colpo).
WILLIAM - (interrompendolo seccamente, ma bonariamente) No, perdìo! Fottuto
scozzese, non ci siamo. Tu devi recitare, non berciare come un commediante
italiano, che diamine! Quante volte devo dirti di non cantare come un castrato
che lo prenda di dietro? Siamo uomini, Hamlet è un uomo!
ANGUS - Dove ho sbagliato, Will?
WILLIAM - Ma dal principio alla fine, santo Dio. Dimentica l’Hamlet del '90,
sono passati undici anni. E' un’altra persona, un altro dramma. Sono lontani i
tempi dei guítti - caro mio -, il futuro è dalla parte dell’arte drammatica,
non dell'improvvisazíone, dell'acrobazía e delle smorfie.
ANGUS - Si, ma il mio errore?
WILLIAM - Perché funzionino le cose occorre che gli attori si muovano in
conformità con i dettami dell'autore. Così devi fa re tu. Del resto, hai letto
il copione? Non ho scritto, nel la scena successiva, un dettagliato esempio di
quanto ti chíedo?
ANGUS - (riprendendo a recitare con lo stesso vigore ottuso) Dite il vostro
discorso, vi pre-go, come ve l'ho recitato io: co me se vi danzasse sulla
lingua. Ché se me lo urlate come fanno certi attori moderni, tanto mi varrebbe
affidare i miei versi ad un ban-ditore di piazza.
WILLIAM - (impazientito) Esattissimo, fai sempre lo stesso errore. Perché
arròti le erre, perché stai piantato in scena come se ti avessero ficcato nel
pavimento a forza di martellate? Non mi frega niente di discorsi teorici, li
facciano altri: io mi occupo di pratica, non senza un poco di buon senso lo
ammetto - e tu mi fai fare queste fi-gure? Lo scopo dell'arte drammatica, il
cui fine, tanto all'ínizio che ora, fu ed è di reggere, per così dire, lo specchio
alla natura; di mostrare alla virtù le sue fattez-ze, la sua immagine alla
delusione, e all'età e corpo del tempo la sua forma ed il suo marchio. Capisci?
L'ho scritto io, e Hamlet - cioè tu devi recitarlo. Vuoi farmi fare una figura
di merda? Ma come, il principe di Danimarca ammaestra i teatranti circa la
naturalezza della recitazione e tu ti sbrodoli addosso come un cane gaudente
innamorato di se stesso? Cerchiamo di essere logici, la consecutio! Riprova.
ANGUS - Ma lo stile tragico vuole la retorica, è così da sempre. La realtà non
è tragedia.
WILLIAM - Chi ti parla di realtà? Reggere lo specchio alla natura, ti ho detto.
Il teatro deve essere figurazíone della realtà, trasposízione iperbolica del
vero.
ANGUS - Ma il vero è comico, non tragico.
WILLIAM - Per recitare le tragedie bisogna essere anche un po' comíci. Il vero
teatro è il mondo ed il mondo - spesso - è comico e tragico insieme.
Entra una, donna piuttosto anziana. Ha i capelli lunghi riunití in una
crocchia.
ERMINIA - (gira il cibo nel pentolone) Cossa sì drio far, siorí? Li vol
calcossa da bévare?
ANGUS - Ma che lingua parla?
WILLIAM - E' anglo-veneto. E' la mia governante italiana.
ANGUS - (secco a Erminia) Va via, Ora. Non vedi che stiamo la vorando? Stiamo
facen-do il Teatro. Non ci interrompere.
WILLIAM - No, resta invece, se vuoi. Non ci dai fastidio.
ERMINIA - (estremamente naturale) Grassie síorino. Anca mi ho visto el teatro,
al me pae-se. Ghe j'era tanti de quei cari, ma tanti de quei cari - de atori,
se intende - che la pareva 'na procesion. Ghe ne j'era uno - quel più grando -
co sopra un omo - gran-do anca lù - che díseva: "Entrate siori e siori al
grande spetacolo de atori. Più gente che entra, più attorí si vede". E la
gente entrava, e vedeva el teatro, quel bèlo, grando, non come quelo che ghe xe
adeso, in Italía. Mi me píaseva, tanto. E anca quelo del me paròn, mi me píase.
L'é tanto bravo, lù.
Esce.
WILLIAM - Non importa cosa dice, ma come lo dice. Cosa può esserci di più
teatrale di questo? Erminia è un filosofo travestito da governante. Dice poche
cose, ma sicu-re e immutabili come il tempo. Ha una massima per tutto, un
proverbio per ogni occasione.
Angus si avvicina al paiolo, prende il mestolo che vi era dentro e,
nell'assaggiare la pietanza, si brucia.
ANGUS - Accidenti.
W1LLIAM - Va drento, el mistíer. Che ti dicevo? E' un suo detto. Non ti
nascondo che spesso mi sono rifatto al suo buon senso per i miei dialoghi.
ANGUS - E che vuol dire?
W1LLIAM - Va dentro, il mestiere, per la prossima volta. Così eviteraí di
bruciarti.
ANGUS - Ma davvero prendi da lei le citazioni? E i classici, i filosof i?
WILLIAM - Che vuoi che ne sappia? Loro, come lei, sono il mio pane. (va verso
la libreria e prende un libro) Lo vedi questo? "L'ape latina". E' un
librícino di citazioni. Io sono un autore, non un erudito; mi nutro del lavoro
dei sapientí come i vermi dei cadaveri, per vivere e per lucrare. Perché gli
artisti dovrebbero morir di fame? Io faccio quello che la gente vuole, non vivo
con le muse, io. Quindi prendo una fra-se di qua, una di là, qualche
esperienza, ed unisco tutto a del buon senso. A qual-cuno l'ho data a bere, no?
ANGUS - Ma davvero non passi la giornata a scrivere e a studiare?
WILLIAM - Dio me ne scampi, no! Lascio che siano altri a farlo per me, io sono
anche de-dito al bere, al mangiare, al seminare. Si, semino semi nel ventre
delle giumente e rendo meno sicure le casseforti delle fanciulle. (ora un netto
cambio di registro) Ma studio la Storia. Se sai la Storia sia tutto. "La
storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di
vita e nunzia dell'antíchità” dice-va Cicerone - è scritto qui (mostra il
libro). Ma la storia più importante è la storia della nostra anima - dico io -
perché è questa che fa poi la storia del mondo. Io sono uno storico dell'anima,
tutt'al più. Un autore.
Rientra Erminia.
ERMINIA - Ghe s'é un sior che chiede de lù. S'é il sior Henslowe.
ANGUS - Henslowe! Cosa vorrà?
WILLIAM - Non lo so, ma è meglio che non ti trovi qui. Non dopo lo scherzo che
gli hai fatto un mese fa alla prima. Dico io, il prím'attore che non si
presenta in scena!
ANGUS - Non voleva pagarmi gli arretrati.
WILLIAM - Hai ragione, ma è meglio che tu ti nasconda. Vai di là, in camera mia
ed a-spetta che se ne sia andato. Ora puoi farlo entrare, Erminía. (Angus va in
camera di Wílliam; Ermínia introduce Henslowe).
ERMINIA - Il sior Phílip Hensolowe (esce).
HENSLOWE - Riverisco, signor Shakespeare.
WILLIAM - Come andiamo, Henslowe?
HENSLOWE - Andiamo male, come volete che andiamo? Il teatro è morto,
oggigiorno. Guardate voi stesso i conti. (Gli porge un foglio). Guardate quanto
mi rendono, in uno stesso lasso di tempo, i bordelli, o il banco dei pegni. io
sono un mecenate, un filantropo.
WILLIAM - Vedo, vedo. I bordelli pare che siano più redditizi di una miniera.
Ma è colpa mia se costruite i bordelli troppo vicini ai teatri? La gente -
animata dalle migliori intenzioni - esce per andare a teatro, ma viene sviata.
Senza colpe.
HENSLOWE - E' vero, dovrei essere più accorto nel far concorrenza a me stesso.
Del resto, tutto torna nelle mie tasche, però: la gente va nei bordelli e
spende i soldi. I soldi finisco no. Qui intervengo io col banco dei pegni ed il
cerchio si chiude.
WILLIAM - E con i proventi finanziate il teatro. Fa uno strano effetto essere -
in qualche modo - sovvenzionati dalle puttane. E poi da voi, quale generosità!
HENSLOWE - Sono generoso, ma non stupido. State per mettere in scena l'Hamlet,
vero?
W1LLIAM - Si, lo daremo tra pochi giorni.
HENSLOWE - Ecco il punto. Conoscete Lord Worchester?
WILLIAM - Quello delle tenute nel Devonshire?
HENSLOWE - Proprio lui, giusto. Ebbene, egli ha un nipote, un giovane, una
testa matta. S'è ficcato in mente di fare l’attore e non gli passa. Lo zio - in
un primo momento - ha cercato di dissuaderlo, poi avendo anche una naturale
ínclínazíone verso il ni-pote ha deciso di assecondarlo e si è rivolto a me. In
cambio ovviamente - di una generosa sovvenzíone per il nostro Globe Theatre.
Nessuno dovrà conoscere la sua identità, ma dovrete trovargli una parte.
WILLIAM - Ma la tragedia è già scritta, gli attori già scelti.....
HENSLOWE - Problemi vostri, caro Shakespeare. Ma non dimenticate che tra pochi
giorni scadrà la vostra rata d'affitto.
WILL1AM - Capisco perfettamente. Non avreste potuto essere più luminosamente
chiaro. Avrete la parte per il nobile rampollo.
HENSLOWE - Posso contarci?
WILLIAM - Di più. Ci potete giurare sui vostri avi.
HENSLOWE - Siete un uomo di buon senso, Shakespeare. Farete carriera più di
quanto immaginiate. Vi riverisco. (esce). - (rientrando dopo un secondo)
Dimenticavo, il rampollo è qui. Ve l'ho portato.
WILLIAM - E' già qui? Cosa ne faccio, così su due piedi?
HENSLOWE - Questo è affar vostro, non m'interessa. (chiamando) Sir George,
potete entra-re.
George entra, fa una riverenza.
GEORGE - Ben trovato, Sír William.
WILLIAM - Ben trovato a voi, Sír George di Worchester.
HENSLOWE - Bene, vedo che state facendo conoscenza. Vi lascio a questí lievi
uffici. Altri, ben più gravosi, mi attendono.
Salute. (esce).
WILLIAM - Puoi uscire, ora, Angus. Henslowe se n'è andato.
ANGUS - Quell'indíviduo spregevole, quella canaglia!
GEORGE - Solo un bottegaio.
ANGUS - Un bottegaio. Ti piegherai ai voleri d'un bottegaio? E l'arte?
WILLIAM - L'arte è storia degli uomini, e come tale è soggetta alle leggi della
natura. Tra queste leggi vi è il compromesso.
ANGUS - (preoccupato) Caccerai via uno dei nostri attori?
WILLIAM - Chi ha mai detto questo? Avrà quel che vuole, sono le regole.
Aggiungerò un personaggio.
GEORGE - Ah!
WILLIAM - Avete qualcosa da dire, Sír George?
ANGUS - Ci mancherebbe che parlasse anche. Non solo ci rovina il dramma a pochi
giorni dal debutto, dopo che tanto hai penato per avere l'approvazione della
licencing commissioni ma vorrebbe anche poter discutere, la canaglia.
WILLIAM - Lascialo dire, invece. M'interessa. Parli tu, poi, di rovinare un
dramma.
GEORGE - Ebbene, monsignore, ho letto quest'opera vostra e, sebbene poco
addentro - fi-nora - alle cose di teatro, l’ho molto apprezzata. Ciò nondimeno
lessi quella di dieci anni fa, e non potetti esimermi dal trovarvi dei difetti.
WILLIAM - Seguitate, Sir George, ma aspettate che vi bagni l’ugola con una
birra. (chia-ma) Erminia!
ERMINIA - (da fuori) El sior me comandi!
WILLIAM - Della birra per me e per questi amici! Sediamoci, ora.
ERMINIA - (sempre da fuori) Subito serviti!
Si siedono.
ANGUS - Così, avete trovato dei difetti, Sir George.
GEORGE - Pressappoco.
ANGUS - E chi siete voi per dar giudizi sull’arte drammatica? Forse Roscio?
Forse Plauto stesso? E perchè non Seneca?
GEORGE - Nessuno di questi grandi, ahimé.
ANGUS - Che vi spinge a dar giudizi, allora?
GEORGE - I miei molti viaggi. La pratica della gente, delle costumanze. Lo
studio dei classici; fonti d’inesauribili guadagni. Sono stato in Italia
ANGUS - Avete dunque visto così gran teatro.
GEORGE - Non più grande, purtroppo. Attori come cani, come scímmie mie. E gli
autori in pasto ai vermi. (con naturalezza)... Lasciatevi guidare dal vostro
criterio e gusto. Accordate l'azione alla parola, la parola al gesto - badando,
particolarmente, di non oltrepassare la misura né i limiti della naturalezza.
Giusto? Son parole sue. (Wíll annuisce. George prosegue) Ché lo strafare è
contrario alla vocazione del-l'arte teatrale .... Ora, il gigioneggiare quanto
il recitarsi addosso può far, talvolta, piacere al pubblico che è l'orbetto, ma
non può che disgustare l'íntenditore: e il biasimo di uno solo di questi
buongustai deve avere più peso per voi gente dell'ar-te, che l'applauso di un
esaurito di balordi. Oh, certi attori che ho sentito recitare e lodare e anche
stralodare, per non dire di peggio, da ignoranti! (Entra Ermínia e posa i
boccali sul tavolo). Certi attori senza accento né portamento da cristiani né
da pagani né da uomini: capaci solo di pavoneggiarsi e muggire! Veniva da
pensa-re se non li avesse manipolati uomini, nel laboratorio della Natura,
qualche avven-tizío che doveva averli sbagliati, tanto era subumana la loro
imitazione dell'umani-tà.
ERMINIA - Bravo 'sto ator, ciò! (esce)
ANGUS - Bravo davvero. (con scherno) Un così gran discorso merita davvero di
esser fatto seduti a tavola, bevendo e - perché no - ruttando! Hai mai studiato
l'acrobazia, tu? E la dizione? Vuoi chiamarti attore? Bravo davvero!
GEORGE - Non intendevo ferire il vostro orgoglio d'attore. lo sono un
dilettante, è vero. Fate bene a ricordarmelo di tanto in tanto. Rischierei di
dimenticarmene. Sono per natura portato a dire ciò che penso - non senza
riflessione, in verità - ma píù spesso sarebbe meglio tacere.
WILLIAM - Parlate invece senza remore. Avete voi trovato qualche inciampo
nell'opera mía?
GEORGE - Mio signore, non ve ne abbiate a male, si.
ANGUS - Inaudito!
WILLIAM - Parlate, dunque. Vi presto orecchio.
GEORGE - Sono inezie, badate. Non una cosa che con lima e raspa non si possa
grattare via dalla schiena. Ma voi accennavate all'aggiunta di un personaggio.
WILLIAM - Spesso dovere si muta in volere.
GEORGE - Bene. Io so dove va Hamlet tra il primo e il second'atto.
WILLIAM - Davvero? Parlate. Io stesso non lo so.
ANGUS - Inconcepibile! (si fa in disparte).
GEORGE - In camera di Ofelia.
WILLIAM - Questo è detto nel dramma.
GEORGE - Esatto. Voi conoscete Luciano di Samosata?
WILLIAM - Certamente.
GEORGE - Tanto che lo avete citato: “Così smascellato, sei? Va adesso in camera
di ma-dama e dille che può pur mettersi un palmo di belletto sulle guance, a
questo do-vrà ridursi: e che ne rida, se può”. Sono i dialoghi dei morti, tali
e quali.
WILLIAM - E' vero. E allora?
GEORGE - Dunque voi li conoscete, li capite e li utilizzate. Credete che
Luciano sapesse quant’era saggio ciò che scriveva? Forse no. "Vado dai
poeti, portandomi le loro opere sotto braccio, e chiedo cosa hanno inteso dire
con le loro poesie. Ora io esi-to a riferirvelo ateniesi, ma d'altra parte sono
tenuto a dire la verità: quei poeti, guardandomi non senza sorpresa, tentarono
di dare qualche giustificazione dei loro versi; ma era chiaro che ne sapevano
meno dei loro studiosi e ammiratori. Dovetti concludere che i poeti sono mossi
da una sorta di istinto e di ispirazione; e che, a guisa dei profeti e degli
indovini (con grande saggezza) - molte e grandi cose essi dicono, senza sapere
quello che dicono".
W1LLIAM - E' Platone, l'Apologia di Socrate.
GEORGE - Si, tradotto da un erudito italiano di gran fama.
WILLIAM - Cosa avete scovato nell'opera? Dite con franchezza.
GEORGE - Hamlet entra in camera di Ofelía, dopo il prim'atto, e la copre.
WILLIAM - Ah!
ANGUS - (intervenendo risentito Come, la candida Ofelia? Ella muore di dolore,
inviolata!
WILLIAM - Ma si! (canticchia)
Domani, di buon mattino
E' il giorno di San Valentíno.
Io picchio ai tuoi vetri pianino
Per essere la tua Valentina.
Lui si alza, il vestito si mette
Le apre e la porta con sé.
Lei entra fanciulla e, quand'esce,
Fanciulla non è più.
Lo dice Ofelia, l'ho scritto io. E ancora:
Per Gesù e la Carità Santa
Ahimé! Neanche per vergogna!
Lo fanno sì, i giovanotti, se ci si trovano;
Col gallo! - sono da biasimare
Lei dice: prima di rovesciarmi
Promettevi di sposarmi.
E lui risponde: l'avrei fatto se,
Per quel sole lassù,
Non fossi già stata a letto con me.
Bravo. Veramente bravo. Io stesso non ci avevo fatto attenzione.
GEORGE - E' dunque così?
W1LLIAM - Esattamente.
ANGUS - Capisco sempre meno, Will. Tu l'hai scritta e lui ti dice cosa hai
voluto dire?
GEORGE - Non proprio: lui l'ha scritta, io l'ho letta.
W1LLIAM - Ah, com'è importante saper leggere! Magari tutti gli attori sapessero
leggere!
ANGUS - Ma io so leggere. Ho imparato alla Grammar School.
GEORGE - Excusatio non petita, accusatio manifesta!
WILLIAM - Bisogna saper leggere un testo, fin nelle sue pieghe píù segrete,
leggere anche quello che non è scritto. Per questo ogni cosa deve essere
levigata, ogni conclu-sione deve essere accuratamente preparata e ad ogni causa
deve corrispondere un effetto. Questo è il teatro.
GEORGE - Qui nasce il mio dubbio, sulle conclusioni: in verità non vi sembra
che, alla lu-ce dei fatti, il nostro nobile principe di Danimarca se la cavi -
con licenza parlan-do un po' troppo a buon mercato?
WILLIAM - Si, se ha violato una vergine. E non sposandola l'ha con dotta alla
follìa e al suicidio. Non solo, le ha anche ucciso il padre. Tutto per la sua
vendetta. Ora, se questa colpisse - giusta - lo zio incestuoso e la madre
leggera sebbene lo spettro sconsigli il secondo male, che è infatti casuale -
tutto sarebbe a posto, ma andando così vergognosamente a colpire l'esistenza di
una giovane indifesa che ha come unico torto quello di essersi donata al suo
carnefice per giusto amore - mi sembra veramente troppo. Cosa viene al creatore
di tanti mali? Onore e un regno. (ab-braccia George) Ed ecco l'idea! Farà di me
un autore più sicuro e di te un attore rinomato e di tuo zio ed Henslowe due
uomini contenti. Noi gli daremo una co-scienza: un tarlo giusto che lo roda e
che - per far quadrare le cose - lo ucciderà. Eh, si. (gaudente) Funziona!
Porremo fine, con un delitto estremo, a tutta una se-rie di crimini altrimenti
impuniti. Daremo ad Ofelia un eroe senza macchia, un amico. No, meglio: le
daremo un fratello. Sarà lui il centro della bilancia, la ter-za chiave che
mancava. La coscienza di Hamlet. Dío sia lodato, e con esso si lo-di Dioniso,
signore della selvaggia ispirazione, dei boschi e del vino! (si mette a
ballare) Libíamo! (prende il boccale dal tavolo) Brindiamo a Talìa, musa della
Poesia, ma brindiamo a mia zia, Maria. Oh che gran malattia, l'apatía! Ballate
con me! Di grazía! (un girotondo a tre, la musica sale).
Ad un certo punto della musica William si fa da parte, prende un liuto ed
annuncia (seden-dosi su uno sgabello) (cessa la musica):
WILLIAM - La canzone dell'Ispirazione:
Quale cagione ha l'ispirazione,
un giorno arriva e può dopo fuggir,
tu corri invano, che non l'afferri
e se ti fermi ti sembra morir.
Ecco che arriva un lampo inatteso
nelle parole che non sai d'udir
l'estro ti prende, ecco componi
e ciò ch'è scritto non può più sparir.
Devi sbrigarti, non t’attardare,
quello che passa mai più tornerà;
prendi la penna e lo sgabello
ed un bel foglio comincia a vergar.
(finisce la musica)
Fuori tutti, adesso: devo darmi da fare, non c'è molto tempo.
BUIO
Stesso ambiente. Wíllíam siede al tavolo, sta scrivendo.
WILLIAM - Un fratello vendicatore. Cosa facile a dirsi. Ma come posso inserirlo
senza cambiare tutto? Non solo un fratel lo, ma la coscienza di Hamlet. Egli
muore, la coscienza dovrebbe morire con lui. Non è facile! (scuote il capo)
(Erminia entra e resta immobile a guardare il suo padrone, estasiata.) Già,
perché se qualcuno ucci-desse il fratello di Ofelía, l'eroico fratello, la
catena delittuosa rimarrebbe ingiustificatamente aperta. Quale nero assassino
potrebbe uccidere senza essere punito un tale esempio di virile virtù? Forse
dovrebbe essere una morte casuale, ma non è teatrale, santi del cielo!
Erminia coglie la pausa e prende coraggio. Parla.
ERMINIA - Siorino, xé aríva i do siori par la lession.
WILLIAM - Oh, no. E' già venerdì?
ERMINIA - Si, síorino. Mi son anca andà al mercato, a comprar el pesse. “El
venerdì re-cordève de magnar el pesse!". Lo diseva sempre el pàraco del me
paese. Mi me lo ricordo, e spero che anca lù non se desmentegarà de mi quando
che morirò e che l'me farà 'na bela orassion.
WILL1AM - Che il diavolo li spacchi! Caproni ignoranti. Vengono da me e
pretendono d'imparare la "Poesia", così grandi, grossi,ben pasciuti e
riveriti. Almeno mi pa-gassero bene, mi dànno due soldi!
ERMINIA - Ogni poco fano asai. Vago cíamarli.
WILLIAM - Ma sì, ma sì, falli entrare, ché mi bísognano soldi in continuazione.
Ho una moglie sanguisuga che non salta un mese per domandarmi denari, e una
figlia che cresce sana - bontà divina - ma che mangia come un cavallo. Mi
costerebbe meno se anche loro fossero qui. Ma Anne invece no, dice che l'aria
di campagna fa bene a Judith, che Stratford è un ambiente sano. E io, intanto,
qui a produrre. Dai, muoviti, non farli aspettare.
(Erminia esce, va a chiamarli)
WILLIAM - (ampia riverenza quando i due entrano) (sono due nobili signori, un
po' attem-pato, molto ignoranti e parimenti annoiatí, ma grossolanamente
mondani) Dio sal-vi la regina, e conservi intatta - come tesoro di fanciulla
inviolata - la vostra salu-te, nobili signori.
I SIGNORE - Cosa volete saperne voi di fanciulle inviolate, voi che fate sempre
di tutto per rubare la chiave di quei casti tesori? (ride e dà una gomítata
all'altro).
II SIGNORE - Ma sì, che la vostra scellerataggine fa mostra di sé in tutta
l'Inghilterra. Non c'è donna, vergine o madre che sia, che possa sfuggirvi!
(ride con aria falsamente furba) Dite, dite, quante fanciulle avete gonfiato
questo mese? Voi siete come un vento del sud, leggero e maligno, che col calore
portate anche i miasmi del-la perdizione (ride sganasciandosi).
I SIGNORE - Vecchio satiro!
WILLIAM - (comprende l'atmosfera e sta allo scherzo) Suvvìa, tacete. Ché
davvero non mi fate gran servigio da gentiluomini nel seminare tali voci nel
vento. Fanciulla che nasconde i suoi tesori, ancor più di quanto non faccia
Natura, rendendoli ascosi e accidentati, non è preda facile per chi sta
invecchiando. In verità da fanciullo mi stimolava non poco il maníero ben
guardato, e mi divertiva scalarlo, ora che son cresciuto mi spetta la via larga
e sicura, senza travagli. Quíndi tacete e sedete, pregando le labbra di non
dischíudersi in confidenze, o davvero mi renderete me-no agevole la strada. E'
meglio cominciare la lezione.
I SIGNORE - Ché alle donne piacciono tali ostentazioni di sapere, non che le
capiscano, ma si sentono attratte dagli sproloqui dei poeti - tutti rottinculo
e gran cialtroni - non certo
come messere Shakespeare qui presente.
II SIGNORE - Gran pasta di poeta, lui. Che non si lascia scalfire dagli estri
del destino, che sa parlare alle donne, ma che sa stare con gli uomini, perdìo!
W1LLIAM - Non ho davvero così grandi meriti, nobili signori, ma se avete la
compiacenza di seguirmi mi proverò a trasmettervi quel poco che conosco
dell'arte del mondo. Cominceremo con un brano dell’ “Odissea", di un tale
cieco, Omero, poeta in Grecia più di mill'anni orsono.
II SIGNORE - Mill'anni? Son troppi davvero, ché l'opera di un uomo si secca
come una fo-glia che non ha più vita se non ha più in sé l'acqua della
modernità. A che pro studiare tali morte pagine?
I SIGNORE - Insegnateci piuttosto qualche verso salace, da indirizzare a
qualche bagascia che cerchi sollazzo.
WILLIAM - Al tempo. Il sapere degli antichi è cosa ancora incorrotta. Se voi
sapete leg-gere oltre le parole, fermare il senso delle frasi intere, ecco che
vi appare la loro non effimera grandezza. (va alla libreria e prende un libro)
Questa è l'Odissea ed oggi vi farò leggere di un gigante sciocco reso cieco dal
sapere e dall'astuzia del-l'uomo. (dà il libro al I Signore) A voi. Leggete qui
(indica il punto).
I SIGNORE -"Nulla rispose nel suo cuore spietato, ma con un balzo sui miei
compagni le mani gettava e afferrandone due, come cuccioli a terra li sbatteva,
scorreva fuori il cervello e bagnava la terra. E fàttili a pezzi, si preparava
la cena".
II SIGNORE - Visione orrenda davvero.
WILLIAM - Questo è il mostro monocolo che sbrana i compagni d'Ulisse il savio.
Conti-nuate qui (gli mostra il punto).
I SIGNORE - "E di nuovo gli porsi vino lucente; tre volte gliene porsi,
tre volte bevve, da pazzo".
WILLIAM - Questi è Ulisse che lo fa ubriacare, il mostro. Poi compírà la sua
vendetta. Ma prima dice al ciclope che il nome suo è Nessuno. (prende il libro)
Ecco qua: "Ciclope, domandi il mio nome glorioso? Ma certo, lo dirò; e tu
dammi il dono ospitale come hai promesso. Nessuno ho nome: Nessuno mi chiamano
madre e padre e tutti quanti i miei compagní".
II SIGNORE - Nessuno? Che scempiaggíne!
W1LLIAM - Sappiate leggere, vi ho detto. Si fa chiamare Nessuno per meglio
compiere la sua vendetta: egli acceca il gigante e, se gli altri abitanti
dell'isola, anch'essi gi-ganti, gli chiederanno chi lo ha accecato, egli
risponderà: Nessuno l'ha fatto.
I SIGNORE - Che prodigio!
WILLIAM - E' la grandezza degli antichi che rifulge nel suo splendore.
Continuate qui (dà il libro al primo signore).
I SIGNORE - "Così ficcato nell'occhio del mostro il tizzone infuocato, lo
giravamo; il san-gue scorreva intorno all'ardente tizzone; arse tutta la
palpebra in giro e le ciglia".
II SIGNORE - Giusta vendetta, in verità.
WILLIAM - Non finisce così, la vendetta di Odisseo. Ché altri travagli avrà da
questa impresa e lunghi pellegrinaggi affronterà, per pagare il suo debito di
sangue al cielo. Continuate!
I SIGNORE - Signor mio, non capisco. Fu giusta vendetta e di uomo onesto,
perché deve pagare?
WILLIAM - Altri inganni, oltre a questo, Ulisse si dovrà accollare! (pausa)
Inganni? Un momento! Ecco come.
II SIGNORE - Che dite, signore?
WILLIAM - Oh, nulla. Cose mie senza importanza. (come impaziente) Su, leggete
innanzi, la lezione sta per terminare.
I SIGNORE - "Ciclope, se mai qualcuno dei mortali ti chiede il perché
dell'orrenda cecità del tuo occhio, rispondi che il dístruttore di rocche
Odisseo t’ha accecato, il figlio di Laerte, che in Itaca ha casa!”
WILL1AM - Ulisse pagherà la superbia del suo discorso, il suo voler essere
parte del fato. Ognuno deve pagare per le proprie colpe. Ora, nobili amici, mi
dovete dar licenza ed andarvene ché certo la vostra mascolina potenza si
ribella oramai d'esser per così lungo tempo tarpata, in studi futili e di
nessun impiego pratico. (li sospinge via) (tra sé) Che l'idea non mi scappi!
II SIGNORE - Avete ragione, come sempre. Vi riverisco.
I SIGNORE - Già, che il tempo fugge e le sottane prendon polvere se non ben
pettinate! Salute a voi, Shakespeare.
(escono)
WILLIAM - Addìo, che la fortuna vi sia amica. La fortuna. Amica mia dovrebbe
essere, per risolvere questa questione! Dunque Hamlet deve essere ucciso, deve
pagare la sua superbia. Deve essere ucciso da un nobile uccisore, un fratello
di Ofelia, che tuttavia non può sopravvivere al suo delitto. Dovrà uccidere Hamlet
con l'ingan-no, per esser punito. Ma se ingannerà non sarà píù puro e nobile.
Davvero un bel proble ma! Potrebbe esser l'artefíce d'un altrui inganno. Ma si,
certo. Sarà il ve-lenoso re Claudio ad ordire un tranello, per far morire
Hamlet e dar parvenza di vendetta al fratello offeso. Il tiranno usurpatore
morirà, così sua moglie per ven-detta del fato, così il superbo Hamlet ed il
suo uccisore, ma per un dispetto del de-stino, casualmente. Ma qui non tornano
i conti, come fare? Lo chiamerò Ulisse, tessitore di inganni. No, Ulisse no.
Sarebbe come accusarlo di essre lui la causa dell'inganno. Allora Telèmaco,
come suo figlío. No, nemmeno. E' troppo lungo, suona male. Ma sì, si, lo
chiamerò come suo padre, il nobile Laerte. Ora, tempe-sta, sei scatenata, va e
fa quel che devi. Questo sarà il mio germe, lasciamo che il contagio si
propaghi da solo, senza che lo si forzí; ad altre faccende, ora! (chiama)
Erminia!
ERM1NIA - Me ciama, el me siorino?
WILLIAM - Si, vorrei vedere la posta.
ERMINIA - Ghe xé la solita letera de vostra mòlie. La díse che ghe servono i
schei (fa il gesto) par la bambina. Che bela che la xé la so bambina, sana
forte e inteigente, la xé proprio filía de gran siori, ciò!
WILLIAM - Lascia stare i complimenti. Tra te e mia moglie me la farete crescere
ínetta, questa figlia. Grassi e viziati come capponi, che poi la vita se li
inghiotte meglio, se non sanno lottare, i figli. (prende il mantello) Io esco,
vado a portare il denaro a Pietro il Rosso, sarà lui che lo porterà a
Stratford. Eccomi pronto al salasso! (e-sce)
ERM1NIA - Sensa cosíensa. (va al paiolo e gira il cibo)(canticchia)
El sbiro s'è impicato
ora è rizido e zelato
pende zò dall'alberelo
quanto gò riso, quanto gò riso.
(colpi alla porta)
ERMINIA - Chi xé?
DOWLAND - Dowland, John Dowland.
ERMINIA - Entrate síor, quanto tempo. Ma non dite più el vostro nome, podarìa
eser pericoloso.
DOWLAND - Non qui in casa di amici, spero.
ERMINIA - I spioni i xé dapartuto a spíonar.
DOWLAND - Ho questi libri da dare al nostro amico.
ERMINIA - Zito, aspetate el me paròn. Ve portarà da lù, ma recordeve: sílensio!
(altri colpi alla porta)
ERMINIA - Chi xé, ancora?
GEORGE (da fuori) - Sono sir George di Worchester.
ERMINIA - El me paròn non xé in casa.
GEORGE (c.s.) - Passerò più tardi, allora.
DOWLAND - Non fare attendere un così gran gentiluomo, aprigli. Ero molto amico
di suo padre, possiamo fidarci.
ERMINIA - (veloce verso la porta, la apre e chiama) Torné indrìo. Spété el me
paròn in ca-sa!
GEORGE - (entrando) Ringrazio per la gentilezza e riverisco il signore. Posso
aver l'onore di sapere chi siete?
DOWLAND - Sono ....
ERMINIA - (interrompendolo) ..... xé el sior ... Edward di Leichester.
DOWLAND - Ti ringrazio per l'aiuto, fedele Ermínia, ma da tal padre non
potrebbe che na-scere un figlio nobile al pari suo, possiamo fidarci. Messere,
sono John Dowland, che si fregía d'esser stato amico del vostro defunto padre.
GEORGE - Capisco allora la vostra prudenza. Ma sappiate che ammiro da sempre in
voi l'uomo ed il musicista. (gli dà la mano) Sapevo che eravate in Danímarca e
seguito di screzi con la regina.
(Ermínia esce)
DOWLAND - Già, che non volle darmi il posto di maestro di corte. Son qui,
appunto, per comprare strumenti al mio sovrano, il gentile re di Danimarca, ma
è meglio che non lo si sappia.
GEORGE - Una vera coincidenza! Il maestro Shakespeare ed io, umile dilettante
che si usurpa il titolo d'attore, stiamo per mettere in scena un dramma proprio
sul regno di Danimarca, ed anch'io non voglio si conosca in giro il mio nome,
ché far l'attore non si addice ad un nobile, dicono i cani e gli imbecilli.
DOWLAND - Dunque Wíll è di nuovo all'opera.
GEORGE - Si, ma sarà un parto doloroso. Ed io ne sono, in parte, la cagione.
L'ho costret-to, non senza ragioni - dovete crederlo - ad aggiungere un
personaggio.
DOWLAND - Che storia si narra?
GEORGE - Quella del principe Hamlet.
DOWLAND - Triste storia, ancora se ne parla in Danimarca.
GEORGE - Bene, l'ho indotto ad aggiungere un personaggio, un congiunto di
Ofelia, che uccide Hamlet. Così egli ha voluto.
DOWLAND - E di sua mano infatti morì.
GEORGE - Che dite?
DOWLAND - Il nobile Bernardo l'uccise.
GEORGE - Volete dire che è vero? Ma il manoscritto originale?
DOWLAND - L'originale non fu mai trovato. E' una leggenda danese molto nota.
Bernar-do presto si mutò da nobile in tiranno.
GEORGE - Dunque andò così, mi togliete un peso!
DOWLAND - Bernardo fu a sua volta ucciso, la storia non perdona i crimini.
GEORGE - Che fiume di sangue, che orrore!
DOWI,AND - Voi fate Hamlet?
GEORGE - Purtroppo no, faccio il fratello di Ofelia.
DOWLAND - Piccola parte per un giovane scaltro come voi. Volete recitarne un
brano per me?
GEORGE - La parte per me ancora non è scritta, ma se volete farmi l'onore di
ascoltare vi farò un brano del protagonista. So la sua parte. Figuratevi il
principe danese in preda ad un angoscioso dilemma, cosciente dei delitti che
conoscete ed indeciso sul da farsi:
(luce su di lui, penombra sugli altri)
(con la folle lucidità di Hamlet, perfettamente e freddamenete)
Essere o non essere; ecco la domanda: se sia più nobile nell'animo sopportare
le fiondate ed i dardi della fortuna oltraggiosa, o impugnare le armi contro un
mare di problemi (Willíam entra e resta immobile ad ascoltare), e combattendoli
far sì che si disperdano? Morire: dormire; nulla più; e con il sonno dirsi che
poniamo fine ai colpi violenti ed alle míriadi di sfaceli della natura umana,
che si saziano della vita, è una soluzione da augurarsi devotamente. Morire,
dormire; dormire: forse sognare: ah, lì è l'íncíampo; perché in quel sonno di
morte quali sogni posso-no venire quando ci siamo liberati di questa spira
mortale, dobbiamo fermarci a pensare.
WILLIAM - (interrompendolo) Basta così! Oh, che giorno benedetto! Nel quale io
ritrovo un amico e scopro un talento. Solo tu, ragazzo mio, potrai essere il
mio Hamlet. Se prima avevo qualche dubbio, ora ne son certo. Che la sorte
benigna sia cento e cento volte ricompensata! Tu mi dai la vita, e tu amico
mio, anche. Chi sono io dunque per meritare una simile fortuna? Neanche la dea
stessa, se avesse tolto la benda, avrebbe potuto essere più precisa nel
cogliere per due volte il bersaglio. (calmandosi, verso Dowland) Cosa ti porta
in Inghilterra dal sicuro rifugio di Da-nimarca?
DOWLAND - Una commissione - come dissi a questo giovane - per il mio re. Ma
debbo da-re dei libri al nostro comune amico.
WILLIAM - Ti condurrò da lui più tardi.
DOWLAND - Ma preparati a conoscere anche salienti novità sul tuo dramma ché,
giurad-dìo, so di cose che tu immaginavi ed invece furono davvero.
WILLIAM - Basta davvero, o scoppierò per la gioia. Mettíamo in bocca qualche
pietanza, oltre alle parole. Erminia, s'imbandísca la tavola per gli amici!
Anche se vera-mente nulla potrà essere più sapido per il mio palato, come per
il mio cuore, della presenza vostra e dei vostri discorsi. Disponiamoci a
mangiare, poi parlerai, e sarà mio l'impegno di condurti all'amico che cerchi.
Mangiamo!
(si siedono a tavola)
BUIO
Stessa stanza, Wílliam seduto su una poltrona, Henslowe e Mary Hartford in
piedi accanto a lui. (Mary è una bellissima ragazza, pallida, bionda e
timidamente attraente. E' dotata di un fascino ingenuo ma accattivante).
HENSLOWE - Altri problemi, Shakespeare. Vero, Mary?
WILLIAM - Che genere di problemi, madonna?
HENSLOWE - La ragazza non è invero portata per l'arte drammatica, ma per cose
ben più caduche e femminili.
WILLIAM - E' molto bella, ch'ío possa sprofondare, ma voglio che sia lei a
dirmelo.
HENSLOWE - Su, dì ciò che devi.
MARY - (il suo è un discorso chiaramente falso) Ebbene monsignore, quantunque
io am-miri la forza degli scritti vostri, e ne stimi la fattura, non posso
davvero prender parte a questo dramma. Non sono all'altezza di queste cose
elevate, ma destinata (sospiro) verso cose píù terrene. Sono di famiglia
campagnola, vengo da fuori, e di teatro non si vive bene.
WILLIAM - La semplicità, madonna, è la forma della vera grandezza, involucro
prezioso per un bene così raro.
HENSLOWE - Ma píù preziosa è la somma che un Lord chicchessia, ma molto
influente, le vuol donare, incapricciatosi com'è di lei.
WILLIAM - Una somma che, suppongo, lei percepirà per intero.
HENSLOWE - Con le dovute detrazioni, si.
WILLIAM - Ebbene, mia cara fanciulla, la proposta è allettante. In ogni sua
piega. Pensate che onore servire e riverire quel gran signore, spinte da
affetto sincero, che è cosa assai dissimile dal recitare.
HENSLOWE - Amore che non si ha, si conquista.
WILLIAM - Non c'è dubbio alcuno, Henslowe. Ma se così dite perché vorreste far
recitare la ragazza nella vita e non sulla scena?
HENSLOWE - Vedete, Shakespeare, la madre della fanciulla - morendo - me la
affidò col compito di allevarla e di educarla. Lei per me è come una figlia,
per questo la vo-glio sistemare.
WILLIAM - Non ho mai dubitato della vostra generosa bontà, Henslowe, che mai
rifulse come in questo caso. Tuttavia, se vorrete lasciarmi tentare, produrrò a
madonna argomenti piuttosto validi per fare questo lavoro e, allo stesso modo,
per fare - poi - anche quello che voi le chiedete. Che sospiri ancora per un
po' il nobile montone, che attesa d'amante mai ha guastato un amore: semmai lo
ha acceso di un fuoco più vivo di quello dell'inferno.
HENSLOWE - La pazienza dei nobili è però abbastanza capricciosa.
WILLIAM - Ed è virtù dei semplici quella di curare le mancanze dei nobili.
Fatelo aspettare, vi dico.
HENSLOWE - Vi siete sempre comportato come uomo di buon senso, farò come voi
dite, ma attenzione: non è partito che una come lei possa perdere! Ora
parlatele voi, ma senza farle troppo ballare il cervello, come avete dono di
saper fare. Voi potete grattar via il nero dalla notte e dipingere il giorno di
scuro, siete pericoloso. Bene, vi lascio, e badate di parlare per il suo bene,
e per il vostro.
WILLIAM - Sarà il mio unico pensiero.
(Henslowe esce; William si alza)
Da questo punto in poi la scena proporrà vari momenti di attrazione tra i due
personaggi, e la virtù di Mary sarà sempre in giuoco e si starà in bilico tra
ingenuità e voluttà.
WILLIAM - Vi cedo volentieri il posto, onorevole fanciulla, stanche sono le
membra di chi deve farle lavorare senza sentimento.
MARY - Voi mi parlate con garbo, io non lo merito; ché se cuore umano battesse
dentro di me, il fiele si spingerebbe nelle mie vene, fino a farmi rifiutare
ogni offerta con tutta me stessa.
WILLIAM - Voi siete fragile, indifesa, lasciate che altri si battano per voi.
Voi non siete fatta per la zuffa ed il bordello.
MARY - Allora sapete?
WILLIAM - Lo immaginavo, voi me ne avete dato conferma. Henslowe sa fare i suoi
conti, bella come siete potreste fruttargli molto.
MARY - Non voglio, signore, vi supplico.
WILLIAM - Ho detto potreste, madonna. Non vorrei per nessun motivo che una
ragazza come voi, timorata di Dio - perché lo siete, vero? - partisse per
quella sorta di con-vento. Potreste far la fine della mia Ofelia che vi
accingete a recitare sulla scena: e mai bisogna confondere la vita con la
scena, come tanti cani che si chiamano at-tori fanno.
MARY - Si, monsignore, son davvero timorata di Dio. Non porto peccato alcuno.
WILLIAM - Non esageriamo, cos'è la vita senza peccato? Una scatola vuota, uno
scrigno senza monili. Basta stare attenti, però, o ti trovi ad avere qualcosa
che non vuoi, o che non sapevi di volere. Ma tu sei bella, e la virtù veramente
- difficilmente si sposa con la bellezza, specie tra gente di teatro; qual
matrimonio perfetto, sarebbe. Ma c'è purtroppo chi antepone alla virtù l'agío
di vita, la dolce ricchezza, il fasci-no volgare della notoríetà. E giacciono
con vecchi bavosi, castroní píù che stallo-ni, con uomini senza gusto di svago
che sigillano con ceralacca prestazioni di bas-sa sostanza. Non ti far prendere
tu, nel teatro come nella vita, da tali biechi inte-ressi. Non tralasciare le
relazioni, ma fin che siano in tuo controllo; non disdegna-re le attenzioni
maschi li, ma fin dove ti siano gradite; non cívettare senza motivo, o mille
motivi troverai per pentirtene. Cose da uomini son bestemmiare, giuocare e
farsi ornamento di donne, che se donna facesse ugualmente non si faticherebbe a
chiamarla bagascia.
MARY - Voi siete molto saggio, e buono.
WILLIAM - Per carità, bambina. Non lo ripetere, che quello che ho fatto per
solidarietà di origini - anch'io son semplice e di campagna - la mia nuova
natura di essere socía-le può farmi rimangiare immediatamente. Tieni caro il
tuo scrigno.
MARY - A voi potrei darlo, vostra signoria.
WILLIAM - Vedi che non hai capito, bambina sciocca? Io potrei prenderlo
davvero, avrei potuto usare con te parole che ben altra testa avrebbero potuto
far girare, ma non voglío sprecare ciò che bocca ben più importante mangerà,
per uno spuntino senza ragione. Resta nei miei paraggi e tieni stretta la
chiave dei tuoi segreti tesori, avrai ciò che meriti, e chissà che non sia
anche di tuo gusto. Ma lasciami fare.
MARY - Solo voi, voglio.
WILLIAM - Perdìo taci, o faccio uno sproposito. Che non è cosa da me parlare a
questo modo. Non mi far vacillare, ti pentíresti.
MARY - Mai pentimento sarebbe più ben accetto, e più peccato richiesto.
Immolatemi come vittima sacrificale, non son davvero nuova a questi sacrifici.
WILLIAM - In fede sei davvero più scaltra di come appari - dote encomiabile -
ma allora, se il piatto è già stato gustato, noi lo riscalderemo stavolta, e
poi ancora, per qual-che altro commensale.
MARY - (facendogli cenno di sederglisí in grembo) Su, che nulla è breve come
amor di donna!
BUIO
SIPARIO.
FINE DEL PRIMO TEMPO
SECONDO TEMPO
La scena è ora un teatro, probabilmente il Rose. La struttura è quella
classica: palco rialzato, soppalco con balconcini e tenda sullo sfondo. Il
tutto dovrà avere un'aria di spazio in allestimento, dove gli attori
proveranno, ma i tecnici potrebbero dover ancora la-vorare. Nel centro del
proscenio, verso il pubblico, una botola invisibile. Sei poltroncine poste a semicerchio
ai lati della scena: tre da una parte e tre dall'altra, di tre quarti. Oggetti
di scena qua e là.
Musica: un brano dei Queen nella parte che dice: "You can be anything you
want to be, just turn yourself ínto anythíng you think that you could ever be,
be free wíth your tempo, be free, be free. Surrender your ego - be free, be
free to yourself".
Luce fioca, entra Erminia con un vassoio di vivande in mano, si porta verso la
bo-tola e bussa. Si apre la botola, rapidamente una mano prende il cibo e la botola
si ríchiude.
Buio (Erminia esce). Di nuovo la stessa musica.
Entrano William e John Dowland.
DOWLAND - Per San Patrizio e per i Santi d'Irlanda, non entravo in questo
teatro da alme-no otto anni!
WILLIAM - Da quando il nostro amico morì, giustappunto.
DOWLAND - Gran brutta morte davvero, pezzo di canaglia! (ride) Ma non sbagliata
per lui.
WILLIAM - Qualcuno sarà rimasto male, sicuramente.
DOWLAND - Già, un grand'uomo come lui che muore in una zuffa da osteria non è
per nul-la un piacere, per chi sappiamo noi.
WILLIAM - Dío sa quanto ci siano rimaste male le mie tasche per sborsare una
somma tale ai nostri sicari.
DOWLAND - Già, i sicari. (ride) E che sicarí! Pendagli da forca, ubriaconi e
rubagalline, ma cari da prendere al soldo, che l'inferno li inghiotta!
WILLIAM - Cani rognosi e scozzesi (ride). Il bello è averla fatta in barba ai
servizi segreti della regina, che davvero non sanno distinguere un bue da un
cavallo da corsa, un uomo grande da una volgare spia.
DOWLAND - Ma doveva saperlo quando ha accettato, e non avrebbe la muffa addosso
co-me un cadavere vero.
MARLOWE (dalla botola) - Se non ti spostí da questa botola, grasso írlandese,
ti infilo come su uno spiedo! (esce la punta di una spada dalla fessura della
botola).
DOWLAND (scostandosi) - Calma messer topo, calma. Davvero non ti giova far
scon-quassi nella tua tana, ché l'aría pura di fuori non è poi troppo buona se
non la si può digerire.
La botola si apre ed esce Christopher Marlowe.
MARLOWE - Se il topo si muta in gatto son dolori! (ride) Quali nuove dal regno
di Daní-marca, da un irlandese troppo a lungo lontano? (lo abbraccia)
DOWLAND - Le stesse dell'ultíma volta, Chris Marlowe il grande: che nemmeno il
mio buon re ha saputo essere un digestivo per lo stomaco della regina, sulla
quale mi fregio di stare in un posto d'onore. Non c'è stata intercessione
capace di farle cam-biare idea. Prendi questi libri che ti porto dal mio buon
asilo. (gli dà i libri)
MARLOWE - Li accetto con piacere, quale unica frivolezza di questa mia non
vita. Ma meglio la morte dell'esilío.
WILLIAM - Sì, e come morto non ti trovo male per nulla! Ma non è una vera opera
di genio quella di mettere in scena nella realtà la propria morte per fuggirne
una vera e immínente? Un'opera degna di un grande drammaturgo, che di beffe ed
inganni dev'esser maestro!
DOWLAND - Un topo, che si fabbrica una falsa tagliola per fuggire la vera.
WILLIAM - Sublime congegno teatrale, sublime intreccio!
DOWLAND - Splendido esempio di coerenza: uno scrittore drammatico che vive la
sua fal-sa morte confinato nella botola di un teatro, a spese di un altro
autore.
MARLOWE - Atroce condanna, invece, ché devo veder rovinati i miei scritti e
quelli altrui da un branco di scimmie stonate che chiamano attori.
WILLIAM - Oh, questo è davvero un mal comune!
MARLOWE - Sapeste che fitte, che colpi all'addome, ad ogni urlo di quegli
svergognati! Gli taglierei la gola con queste mie mani, e ancora non sarebbe
abbastanza!
ANGUS (da fuori) - Wíll! Will, ci sei?
WILLIAM - Eccone uno, del gregge dei caproni. Siediti lì, Chris, pronto ad una
nuova tra-sformazione: sarai Lord Stern, un mio amico di Cambrídge. E' meglio
non correre rischi, non si sa mai.
(Marlowe e ~Dowland si siedono) (D'ora in poi, solo se chiamati in causa
saranno pubblico e coro)
DOWLAND - Il veleno si può nascondere anche in un liquore di gusto dolce.
Prudenza!
ANGUS - Salute, Will. Spero non sia tardi per la prova, ma se anche lo fosse,
ti darei una tale interpretazione di Hamlet che potresti scusarmi anche se non
fossi venuto per nulla.
WILLIAM - (paterno) Proprio di questo volevo parlarti, ascoltami un momento ...
ANGUS - (scorgendo Marlowe ed esaminandolo da vicino) Che io sia impiccato se
questo non è Marlowe il grande! Signore, io ho recitato, proprio qui, il vostro
Doctor Faustus!
MARLOWE - (tra sé) Dunque è lui quel cane. Ora gli taglio la gola!
DOWLAND - (intervenendo) Di molto v'ingannate, nobile signore. Di certo
quest'uomo è di gran lignaggio, il nobile Stern, ma non grande al pari - per
cose di teatro - di colui che avete testé citato. Marlowe è morto otto anni
orsono e non sarebbe sbagliato lo si piangesse ancora, tanto grande egli era.
ANGUS - Strabíliante! Così somigliante come la mia mano destra si sovrappone
alla sini-stra, come i bubboni della peste l'un sull'altro, come gli occhi di
una fanciulla.
WILLIAM - Le mani, caro Angus, pur essendo assai simili l'un l'altra, sono
entrambe total-mente indipendente, come le stelle, che viste da quaggíù sembran
tutte uguali, so-no davvero assai dissimili. Solo un cieco o uno stolto, se si
potesse vederle da vi-cino, potrebbe asserire che sono uguali. Ti sei
sbagliato, amico mio.
ANGUS - Ma sembra lui tale e quale ....
WILLIAM - Guarda meglio. E non lasciare che gli occhi d'un rícordo ammirato si
sostituiscano a quelli che hai nella testa. (indicando Marlowe) Guarda la
fronte, alta più di quella di almeno due dita; che dire degli occhi? Píù
spenti, più cupi, non c'era forse il fuoco negli occhi di Marlowe?
ANGUS - In fede mia, mi paiono uguali.
W1LLIAM - Allora sei cieco, amico mio. Anzi peggio, sei un vedente che ha crisi
di cecità obliqua discendente. Non puoi far più a lungo l'attore, è una
malattia progressiva molto pericolosa.
ANGUS - (come per autorassicurarsi) Ma sì, ma sì, il taglio degli occhi è diverso
ed anche il naso. E la voce? Pianto di bimbo sembra a confronto, senza alcuna
virilità, senza accenti.
MARLOWE - (tra sé) Stavolta l'ammazzo davvero!
WILLIAM - Ora sei ragionevole, ma torniamo al nostro lavoro, se il nostro Stern
ci permet-te, volendo considerare tutto ciò come uno scherzo della vista.
MARLOWE - Certo che siete scusati, andate avanti.
WILLIAM - Dunque, ti dicevo che volevo parlarti a proposito della tua parte
....
ANGUS - Sante parole, la mia parte devi dire. Ora l'ho veramente capita, sei
stato stupen-do l'altro giorno. Dovevo solo riuscire ad ínteriorizzare di píù
la parte ed essere più attento al dipanarsi delle mie corde intestine,
assecondando - non soffocando - lo sgorgare della passione drammatica dalle mie
viscere. Dovevo lasciar bruciare l’ardore del mio cuore, non sottovalutando il
crepitare silente della mia spinta polmonare, per convogliare tutte le mie
forze in una vera esplosione della carne.
WILLIAM - Quanto è vero Iddio, sembra una lezione d'anatomia!
MARLOWE - (tra sé) Bovina!
ANGUS - Cosa dite, signore?
MARLOWE - Spiegazione davvero interessante, dicevo.
ANGUS - Sono contento che mi apprezziate.
MARLOWE - Non potete figurarvi quanto.
WILLIAM - Andiamo avanti, Angus, ma senza questi assoli da macelleria. Il tempo
è poco e dobbiamo trovare ancora molti cambiamenti. Ti prego, per quanto tu
possa, di attenerti a quanto ho detto circa gli attori in questo dramma.
ANGUS - E' nella mia parte, senti: "E a quello che fa la parte del buffone
d~ite di non ca-ricarla di soggetti, ma di attenersí al testo che fu scritto
per lui; perché ce n'è di quelli che, pur di trascinare alla risata i píù
tangheri spettatori, cominciano a darsi essi stessi a grandi risate fracassane,
e magari quando l'attenzione dovrebbe fer-marsi su battute essenziali che non
debbono andar perdute" (tutto ovviamente reci-tato malissimo).
W1LLIAM - Nel teatro, sai, le parti vanno e vengono, si cambiano, si ruotano,
proprio come gli attori.
ANGUS - Cosa vuoi dire?
WILLIAM - Spesso non è la parte del protagonista la più importante,
nell'economía di un dramma ....
ANGUS - Che significa?
WILLIAM - In breve: ho deciso di cambiarti la parte. Non puoi essere tu il mio
Hamlet.
ANGUS - Questo no, perdìo! Ora che cominciavo a sentirla mia, nel profondo. Non
puoi farmi questo, a me, primo attore della compagnia da anni! (falsissimo) Mi
vengono meno le forze, mi schianto al pensiero di dover abbandonare una parte
che amavo così tanto, mi si scioglie il cuore a dover pensare che tanto lavoro
è stato sprecato. Bastardi! Canaglie! Serpí! E' una congiura per oscurare il
mio talento! Chi può essere stato, così basso e canaglia? Lo so. Henslowe,
dannato figlio di puttana! Lui e quella mezza figura d'attore che si trascina
dietro, attaccato alla cintura co-me un mazzo di chiavi, quel George, che dio
lo spacchi! Me la pagherà, gliela fa-rò pagare io stesso, e che io non sia più
uomo se non lo faccio!
WILLIAM - Calmati, Angus. Non ti scaldare, ché davvero non c'è bisogno.
Superalo sul suo campo, segui la parte che ti ho dato io e dagli battaglia sul
palcoscenico. Se sarai davvero più bravo il pubblico sarà dalla tua parte e
avrai la tua vendetta, sul suo stesso territorio.
MARLOWE - (tra sé) Se questo è il più bravo, che io sia impiccato se non sono
Giulio Ce-sare!
DOWLAND - (c.s., rispondendogli) Non è così, è un'altra lezione di diplomazia
di Wíll, il giovane George è molto bravo.
(Entra Erminia)
ERMINIA - Xé arívà el siòr Henslowe, co' la siorina che lu conosse ben. Sensa
cosíenza! (esce)
WILLIAM - Via, Angus. Ne riparleremo, non farti trovare qui. E via anche voi,
amici, di Henslowe non mi fido; sarebbe capace di vendere sé stesso, se ciò gli
procurasse denaro. Ma il denaro è un male necessario, dunque me ne occupo io in
un mo-mento. Via, via!
(Angus esce dalla destra, Dowland e Marlowe entrano nella botola)
WILLIAM - Venite, Henslowe, entrate.
(Entrano Henslowe e Mary)
HENSLOWE - Salute, mio signor Shakespeare. O dovrei chiamarvi adescatore di
fanciulle da marito?
WILLIAM - Che dite?
HENSLOWE - Avete o no cercato di dissuaderla dal cedere alle offerte di un
certo nobile?
WILLIAM - Si, ma solo per cercarle un partito migliore.
HENSLOWE - Questo non è affar vostro, ed il teatro - comunque non si concilia
con una femmina che rettamente deve aspirare al matrimonio. Inoltre, potete
giurare che in tutta Londra non c'è partito al pari di quello che voglio
offrirle.
WILLIAM - Ma aspettate almeno la fine di questa rappresentazione.
HENSLOWE - Nel modo più assoluto, no. Come vi risulterà, nessuna cosa è più
mutevole dell'amore di una donna, e di quello di un ricco nobile, così ricco da
non poter fi-nire di contare i suoi soldi per tutta la vita. Ora, se questo
signore non volesse più privarsi del suo minimo sovrapíù a nostro beneficio -
ed è più di quanto io incassi in un anno io potrei anche non essere più
disposto a finanziare una attività malsi-cura come il teatro, sto diventando
vecchio, e sono stanco.
WILLIAM - Henslowe, non siate ridicolo, siete poco più grande di me. (Piano, a
Henslowe) E poi non sarà che per caso questo nobile si chiama Sir Bordello?
HENSLOWE - E se fosse? Un anno di un imprenditore ne vale dieci di uno come
voi: voi state seduto al tavolo, scrivete, ed io rischio, sempre. Ed è un
compito ingrato, ché nessuno me lo riconoscerà mai: si ricorderanno di voi,
forse, ed il mio lavoro? Sarà stato tutto sprecato. Mary è un'occasione troppo
grande, non me la lascerò sfuggire.
(Durante la battuta di Henslowe, George è entrato e - nascosto ha seguìto)
GEORGE - (piano) Mary!
MARY - (tra sé) Voi qui?
(George le fa cenno di tacere)
GEORGE - Henslowe, che piacere!
HENSLOWE - Ah, siete voi. Mi avete fatto paura.
GEORGE - Io che faccio paura ad un uomo come voi, mi lusingate
HENSLOWE - Saluti a quel gran signore di vostro zio.
GEORGE - (a Wílliam) Uscite con lui per un po' che ho da parlare alla ragazza.
Tornate fra poco, vi spiegherò. Non fatemi domande, ora.
WILLIAM - (a George) Bene, mi fido di voi. (normale) Se avrete la bontà di
seguirmi alla locanda qui fuori, Henslowe, potremo discutere con calma la
faccenda in privato, davanti ad una pinta di birra.
HENSLOWE - (a ~William) Pensate sia prudente lasciar soli questi due giovani?
WILLIAM - (a Henslowe) E' il nipote di suo zio, un gran gentiluomo.
HENSLOWE - Bene, vi seguirò. A dopo, Sir George, mi raccomando a voi.
GEORGE - State tranquillo, come siete in una botte di ferro.
(William ed Henslowe escono) (George vuole sincerarsi che siano usciti, guarda
fuori)
GEORGE - Finalmente di nuovo soli, non mi par vero, non passa momento ch'io non
vi pen-si.
MARY - E' successa una cosa terribile.
GEORGE - Nulla che l'amore non possa sconfiggere.
MARY - (speditíssimamente, senza respiro) Ti prego sàlvamí, mi vogliono dare in
sposa ad un vecchio, è colpa di Henslowe che vuole i soldi che quel ricco
signore è disposto a pagare per me, così io non prenderò nulla e sarò costretta
ad un matrimonio infe-lice, ad inghiottir fiele per tutta la vita ....
GEORGE - Calmati ....
MARY - (interrompendolo, c.s.) Ma no, vogliono rovinare il nostro amore,
vogliono fare di me un'ínfelice, oh misera me, che ne sarà dei miei sogni,
aiutami tu, unico tesoro del mio povero cuore indifeso, ultimo baluardo
dell'amore che tu nutri per me, e che io nutro per te, io non voglio finire
....
GEORGE - (interrompendola) In convento ....
MARY - Eh? Che dici, non voglio neppure pensarci, che spaventosa prospettiva
.... (pausa) Ma chi ha parlato di convento?
GEORGE - Se vi tacítate e mi date modo di spiegarvi renderò meno oscuro il mio
pensiero. Voi siete bella, più bella del sole che splende nel cielo limpido,
quando le nuvole non ne oscurano la luminosità. Henslowe è anche lui un uomo e
non può non aver notato quali immense virtù la natura vi abbia donato. Ma è
anche un uomo d'affa-ri, un tenutario di bordelli, e nella sua posizione non
può non essersi accorto che voi potete fruttargli assai. Non credo, dunque, che
ci sia alcun nobiluomo che vi voglia sposare, ma che siano in molti a volervi
venire a trovare nel vostro asilo, in convento.
MARY - Parlate dunque, se avete una soluzione, o tacete per la mia
disperazione.
GEORGE - Nessun vecchio gentiluomo che voglia sposarvi, ho detto, ma ce n'è uno
giovane e non spiacevole che sarebbe pronto a morire per voi, che sarebbe
pronto a rendere il sacríficío di Muzío Scevola un semplice esercizio di
salute.
MARY - Voi mi volete sposare, non volete dunque solo approfittare della mia
innocenza?
GEORGE - Come potete pensare una cosa simile? Voi mi fate torto. Io vi amo e il
mio a-more è puro come la neve incontaminata dei picchi più alti, non temete.
Se ci sarà da lottare per voi sarò il primo, se ci sarà da mettere avanti le
proprie sostanze non lesinerò, statene certa.
MARY - Se lo avessi saputo avrei risparmiato una cosa che non conoscete, ma che
di sicu-ro vi è cara, donata per non fínire in mani sbagliate.
GEORGE - Nulla di quanto abbiate dato non potrà essere recuperato, o ne avrete
di nuovo. E' un gioiello, una gemma?
MARY - In un certo senso sì, ma non credo che si possa recuperare. Comunque non
vi pre-occupate, non è una cosa irreparabile, e non è stato nemmeno affatto
spiacevole. Ma - dite - voi mi lascerete far teatro?
GEORGE - Io amo il teatro quasi quanto amo voi, e amando entrambe le cose come
potrei ostacolarne una, a dispetto dell'altra?
MARY - Dunque mi lascerete.
GEORGE - A patto che usiate il mio stesso espediente: quello di mutare il
vostro nome, per recitare. Il teatro non si addice a dei signori.
MARY - Non potreste rendermi più felice. Vedete, il mio mondo è il teatro: ci
sono due tipi di attori, quelli nati sul palcoscenico, per i quali recitare è
come parlare, mangiare, respirare - naturale, insomma -, e quelli col fiato
grosso, la voce impostata, le fat-tezze alterate e i sensi grossolaní e
sbagliati. Io sono un'attrice ancor prima d'esse-re una donna, nata dopo una replica,
in una compagnia di giro. Mia madre non poté neanche fermarsi, il teatro
chiamava. Ed io non potrei vivere senza queste tavole, senza la polvere che le
ricopre; e senza il soave scoppio di un applauso o di una risata, unici balsami
per un attore.
GEORGE - Bene, lo faremo insieme e saremo Hamlet e la dolce Ofelía.
MARY - Come il mio signore comanda.
GEORGE - Perché dici "come mi comanda"? non sei forse contenta?
MARY - Più che mai, ma vostro è il mio cuore, quindi me stessa. (cita) Ti ho
dato il mio voto prima che tu me lo chíedessi, e vorrei fosse ancor da dare.
GEORGE - Romeo e Giulietta, atto secondo, seconda scena. Ed io ti rispondo: Te
lo vorre-sti riprendere? Per quale motivo, amore?
MARY - Per dartelo ancora, a piene mani. Io desidero solo quello che ho: una
generosità sconfinata come il mare è la mia; e profondo píù del mare il mio
amore. Più do a te, e più ho io, perché sono inesauribili la mia generosità e
il mio amore.
GEORGE - Perché dar voce d'altri al nostro cuore? Forse le parole della vita
son meno ful-genti di quelle del teatro, ma pazzo è colui che crede il teatro
vita, e la vita teatro. Ché la realtà è più dolce assai, se tu sei con me.
MARY - Sempre con te amor mio, fin dove amore ci spinge!
GEORGE - Fa che la carne abbia, allora, ciò che lo spirito già consuma (va
verso di lei e fa per slacciarle il vestito).
MARY - Al tempo, mio signore, al tempo: il teatro non è la realtà, dunque io
non sono la candida Ofelia. Ricordate: (canticchia)
Domani, di buon mattino
E' il giorno di San Valentino.
Io picchio ai tuoi vetri pianino
Per essere la tua Valentina ....
Lei dice: prima di rovesciarmi
Promettevi di sposarmi.
E lui risponde: l'avrei fatto se
Per quel, sole lassù,
Non fossi già stata a letto con me.
Non mi farò tentare prima che giunga tempo.
GEORGE - Davvero non mi tratti da gentiluomo se pensi così ....
MARY - Mi fido di te ciecamente, George, amor mio. Ma di me non mi fido per
l'amore che ti porto.
GEORGE - Dammi almeno un segno del tuo amore.
MARY - Un casto bacio, signor mio. E non crediate che non mi costi pena.
(si baciano; a questo punto rientrano Henslowe e William).
HENSLOWE - Ah! Lasciate subito quello che non vi spetta.
WILLIAM - Ma come, voi vi amate?
GEORGE - Da tempo, signore. Fu lei la causa, oltre al mio amore per l'opera
vostra ed il teatro, a spingermi in questa avventura: sapevo che la mia amata
faceva parte del-la vostra compagnia, perdonate il mio inganno.
HENSLOWE - Manigoldo! Approfittare così della mia buona fede, per rubarmi il
mio uni-co tesoro.
GEORGE - Manigoldo siete voi, che volete far commercio di una donna. Badate che
do-vrete prima passare sul mio cadavere, e, se anche così fosse, farò che la
mia anima invelenita non vi dia tregua mai!
HENSLOWE - Giammai rinuncerò ad un affare, non certo poi per i capricci di un
giovin-cello.
GEORGE - Attento, che forse non sono così vecchio da capire gli affari (tira
fuori un pu-gnale), ma vecchio abbastanza da bucarvi la pancia! (gli si fa
sotto alla gola, mi-naccioso).
HENSLOWE - Soccorso! (si nasconde dietro Wílliam).
WILLIAM - Calmo, mio caro giovane. Dunque l'amate a tal punto?
GEORGE - Che il mio sangue sia acqua se non è vero!
WILLIAM - Non si può certo ostacolare un amore così rovente.
HENSLOWE - Ma i miei denari, chi mi risarcirà di tale perdita?
WILLIAM - Lasciate che si calmino le acque, Henslowe, George è un uomo d'onore
ed è anche ricco.
HENSLOWE - Stando così le cose, aspetterò. Fidando in una ricompensa per la mia
condi-scendenza.
GEORGE - Non è il denaro che mi manca, miserabile. Saprò coprire la vostra
cupidigia come si conviene, sebbene vi disprezzi.
HENSLOWE - Sta bene, salute a voi. (esce)
GEORGE - Grazie, signor Will, voi siete un amico impagabile ed un uomo schietto
e fede-le.
WILLIAM - (tra sé) Mio Dio, cosa ho fatto! (normale) Vi ringrazio, figlio mio,
la Vostra condotta mi piace sempre più. inoltre voi avete scelto un fiore dalla
candida bel-lezza. Tuttavia la ragazza - se volevate esser perfetto - doveva
esser avvertita, o rischiava per amor vostro di compiere gesti di cui poi
pentirsi. (Mary gli fa segno di tacere) Ma siete ancora fortunato, ché avete
trovato una ragazza alla quale non difetta buon senso, per quel che la conosco.
GEORGE - Nulla fa difetto ad una creatura perfetta come lei, onesta come la
luna nel cielo.
WILLIAM - Non come la luna , signore. Nulla è più incostante della pallida
luna, mutevo-le e infida. La vostra bella pupilla è onesta e verace come il
sole, come uno spec-chio lindo, come l'acqua sorgíva.
GEORGE - Avete ragione, ma l'amore ha il potere di ottenebrare i miei sensi.
WILLIAM - Non è un gran male, in certi casi, di provata rettitudine.
GEORGE - E' certo cosi.
WILLIAM - Disponiamoci al lavoro ora. Spero però che vorrete far sì che anche
la vostra bella amica sia della partita, per non turbare gli equilibri già
precari di una messa in scena che si prevede difficile.
GEORGE - E' suo espresso desiderio quello di prendervi parte.
WILLIAM - Per la grassa Inghilterra, vi voglio bene ancor di più. Chiamiamo i
nostri amici e cominciamo. Stern! Dowland! Angus! Potete sortir fuori.
(si riapre la botola ed escono Marlowe e Dowland. Di dove era uscito rientra,
poi, Angus)
DOWLAND - (uscendo con fatica) Finalmente la luce! Se mai mi avessero detto che
avrei assistito al mio nuovo parto non ci avrei mai creduto, ma - dio mi sia
testimone - è una gran fatica davvero venire al mondo!
GEORGE - (guardando Marlowe) Mi venga un colpo se voi non siete Marlowe il
grande.
MARLOWE - Eccone un altro, pazzo o sognatore. Sono Lord Stern, ai vostri
comandi.
GEORGE - Voi siete quel che siete, Signore. Siete quel che volete essere e,
sebbene la gioia di vedervi in vita così mi si spenga, voglio secondarvi in
tutto e per tutto. Salute Lord Stern.
MARLOWE - Mi piacete davvero, amico mio. E sapete intendere anche quello che
non è detto, e che non si deve dire. Buon per voi.
ANGUS - (a Wílliam) Ma dunque chi è mai questo signore?
WILLIAM - Ma il mio amico Stern, naturalmente.
ANGUS - Buono a sapersi.
WILLIAM - Bene signori, se volete prendere posto cominciamo. Sappia te che vi
reputo giudici seri e competenti, siate spietati e coerenti, ve ne prego.
DOWLAND e MARLOWE - (prendendo posto uno sulla sinistra ed uno sulla destra)
Bene.
(gli attori si dispongono)
WILLIAM - La tua parte, Angus, sarà quella di Laerte, leggi qui. (gli dà il
copione e si sie-de accanto a Marlowe). Proveremo la scena della zuffa tra
Hamlet e Laerte sulla tomba
di Ofelia. L'ho appena scritta, ormai manca solo il finale con la morte di
Hamlet. Su, Mary, a terra, e voi cominciate. Questo a te, George (gli dà il
copione).
ANGUS - (fisso, sbagliando ogni intenzione) Oh! Triplice maledizione cada dieci
volte triplicata su quel capo d'infame di chi in te uccise il tuo spirito
lucido e vivace. Non terra
ancora, prima ch'ío l'abbia stretta ancora una volta tra le mie braccia. Ed ora
getta-te la vostra polvere sul vivo e sulla morta, finché di questo buco non
avrete fatto una montagna, più alta dell'antico Pelio o della cima che sfiora
il cielo dell'azzur-ro Olímpo.
GEORGE - (senza sbavature, in netta contrapposizíone) Chi è costui che ricopre
di tanta en-fasi il suo dolore? Chi con queste frasi di dolore convoca gli
astri vaganti e li fer-ma, come smarriti ascoltatori? Io sono Hamlet il danese.
ANGUS - Il demonio si prenda l'anima tua! (con una intonazione da
filodrammati-ca).
WILLIAM - Fermo, santo dio, basta così.
MARLOWE - Alla buon'ora, costui è un cane!
WILLIAM - Non si tratta d'esser cane o no, ma di semplice lettura.
ANGUS - Lascia che arrivi alla símbiosí col personaggio.
MARLOWE - Ma quale símbiosi, sbattilo via a calci e andiamo ínnanzi. Il ragazzo
no, mi piace.
WILLIAM - Anche a me, credimi. Mi somiglia.
ANGUS - Siete un incompetente, mio signore. Mi date addosso come un gatto col
topo e poi lodate la recitazione effeminata di questo insulso dilettante.
Dovete essere davvero digíuno di teatro.
MARLOWE - (è una violenta esplosione, in crescendo) Qualcuno mi fermi o
l'ammazzo. Cosa vuoi parlare tu, scarto di un mondo il posto nel quale usurpi
più di quanto una scimmia che si dica uomo? Ma cosa vuoi saperne di teatro tu,
che leggi un co-pione come un prete citrullo le sue preghiere? Dai un peso alle
parole che dici, o queste ti schiacceranno, ché l'aria è di cento volte píù
pesante della tua essenza tutta, spregevole rifiuto d'umana carità. Ringrazia
il tuo dío mille e mille volte che ti si lascia lavorare, e ricoprire un ruolo
del quale sei indegno come il fango nel letto di una vergíne. Taci, miserabile
e ringrazia che non t'infilzo, per i timpani che mi hai sfondato!
WILLIAM - Placa la tua ira, mio buon Stern, ché non giova a nessuno. E tu,
Angus, segui senza aggiunta alcuna le mie índicazíoní. Non voler aggiungere
dove io non ho messo, ma soprattutto non togliere dove io ho ragionevolmente
posto l'accento. Riposatí un attimo, e voi fatemi sentire la scena del vostro
incontro nel terzo atto.
GEORGE - Ahà, siete onesta, voi?
MARY - Che cosa, signore?
GEORGE - Siete bella?
MARY - Che cosa vuol dire vostro onore?
GEORGE - Che voi siete onesta e bella, la vostra onestà non dovrebbe permettere
discorsi con la vostra bellezza.
MARY - Ci potrebbe essere miglior rapporto di quello tra la bellezza e
l'onestà?
WILLIAM - Ottimo, Mary, con questa ingenuità.
GEORGE - Certo: perché la bellezza farà dell'onestà una ruffiana, piuttosto che
avvenga il contrario, che la bellezza possa indurre l'altra a somigliarle:
pareva un paradosso, una volta, ma ora i fatti lo provano. lo vi amavo un
tempo.
MARY - In verità, me lo faceste credere.
GEORGE - Non avreste dovuto crederlo. La virtù non può innestarsi nel nostro
vecchio ceppo ....
WILLIAM - Devi essere più cattivo con lei, riprova.
GEORGE - La virtù non può innestarsi nel nostro vecchio ceppo fino al punto che
questo dimentichi le sue inclinazioni. Io non vi amavo.
WILLIAM - Bene. E' così che va fatto.
MARY - Fui dunque tanto più ingannata.
GEORGE - Va in convento: vorresti diventare un'allevatríce di peccatorí?
Anch'io sono o-nesto - press'a poco -, eppure potrei accusarmi di cose tali che
mia madre avrebbe fatto meglio a non mettermi al mondo. Sono orgoglioso,
vendicativo, ambizioso; ho più peccati sottomano che pensierí in cui versarli,
fantasia per dar loro forma o tempo per compierli. Perché gente come me deve
starsene qui a strisciare tra cielo e terra? Siamo tutti dei furboni: non
prestate fede a nessuno. Va, vattene in con-vento. Dov'è tuo padre?
MARY - A casa, mio signore.
GEORGE - Procura che le porte siano ben chiuse su di lui e non possa fare lo
stupido altro che in casa sua. Addio.
WILLIAM - Qui va bene, devo lavorare su Ofelia; dammi la battuta, Mary. E voi,
intanto, fate una pausa.
(escono tutti)
MARY - Oh il nobile spirito che va in rovina! Occhio, lingua e spada di
cortigiano, di soldato, di dotto; la speranza è il fiore del nostro regno; lo
specchio della moda e il modello delle forme, segnato a dito da tanti
ammiratori, ormai caduto, finito! Ed io la più infelice e derelitta delle
fidanzate, io, che ho succhiato il miele delle sue flautate cortesie, devo
vedere quella sua mente sovrana dare un suono stridulo e stonato di campana guasta,
quella ineguagliabile figura fiorente di giovinezza così sconvolta dal delirio.
Oh, me sciagurata, per ciò che ho veduto, per ciò che mi tocca vedere!
WILLIAM - Oh, sciocca avventata, mille volte sciocca!
MARY - E' una nuova battuta?
WILLIAM - Lascia stare le battute, quel ragazzo ti ama. Non dovevi, non
dovevamo fare ciò che abbiamo fatto, è gravissimo, io avrei dovuto capirlo.
MARY - Ma perché gravissimo, e poi tu che colpa hai?
WILLIAM - Una colpa enorme, la leggerezza. Cosa potevo pensare di poterti dare?
Per me non significa nulla quel che è successo.
MARY - Pensare che mi ero quasi innamorata di te!
WILLIAM - Peggio ancora, mille volte mille peggio! Chi sono io per dovermi
accollare le beffe del destino, per dover sopportare da solo il peso degli
eventi? Dovresti an-dar davvero in convento, quello vero, donna, per non farti
fattrice di tali peccati. Ho approfittato di un mio giovane amico, azione
orrenda!
MARY - Sono stata io che mi sono data a te, senza esser forzata.
WILLIAIM - Cosa vuoi saperne tu del mondo, della volontà? Tu che ti sai dare
per un ca-priccio, o peggio per superare un ostacolo? Ma è giusto così, tu non
hai colpa, è mio il torto, sono io quello la cui coscienza deve esser disfatta,
proprío come il mio Hamlet.
MARY - Tu sei un vero uomo, Will, io credo d'amartí.
WILLIAM - Taci, bambina, non sai quel che dici. Ti sei incapricciata di me per
la mia fa-ma, per la mia scaltrezza, per la mia immagine. Ma io non ti amo e
t'ingannerei.
MARY - Son già stata ingannata.
WILLIAM - E' il prezzo che si deve pagare, lo paghiamo entrambi. Ma ora va da
lui e par-lagli, fagli capire fino in fondo che lo ami e non fartelo sfuggire,
l'amore vero non è cosa che si trovi tutti i giorni. Ma non fargli però parola
di questa storia, non dovrà saperlo mai, sarebbe ferir lo mortalmente.
MARY - Ma ....
WILLIAM - Non parlare, va. E a me il mio destino, di dover sempre mettere a
posto le co-se. Del resto sono un autore, devo far sì che le parti siano ben
distribuite. Nella è vita diverso, ma avrò pure una certa esperienza. Solo che
è così pesante, il ri-morso. Ma ora va, non perder tempo.
(Mary esce)
BUIO
Stessa scena, Marlowe e William sono seduti sulle sedie, uno di fronte
all'altro.
WILLIAM - Caro Marlowe, ho un sacco di problemi.
MARLOWE - Parla, di che si tratta?
WILLIAM - Del finale di questo Hamlet. Non so come fare.
MARLOWE - Violenza, amico mio, solo violenza. Da sempre il pubblico vuole
sangue, delitti efferati, carneficine.
WILLIAM - Non sono questi che mancano, nel mio dramma. Mi manca piuttosto un
modo per chiudere la catena dei delitti, senza lasciarne alcuno impunito. E
perché Ham-let paghi giusta mente la sua colpa.
MARLOWE - Già, il problema morale. Prima l'inciampo etico, poi quello degli
estri della regale commissione di licenza.
WILLIAM - Non credo di avere ulteriori problemi con la licensíng commíssion,
Henslowe ha degli amici piuttosto influenti.
MARLOWE - Resto della mia idea: un bagno di sangue risolve sempre tutto. Ma
vuoi met-tere l'effetto drammatico di una carneficína in scena, rispetto ad
un'ínsipida chiusa in minore? Seneca ce lo insegna, gli antichi hanno sempre
ragione. Il sangue pu-rifica, la vista di un delitto in scena crea nel pubblico
una eccitazione quasi bel-luina, come del resto fanno le apparizioni di mostri,
demoni, streghe. Mi sembra che tu te la sia cavata bene, nel tuo Tito
Andronico.
WILLIAM - Tanto che si disse fosse opera tua. Sebbene già dovevi esser morto.
Dissero che me ne ero appropriato, e che l'avevo pubblicata solo dopo la tua
morte.
MARLOWE - Lasciale parlare, quelle bestie ignoranti. Va tutto a tuo vantaggio.
Io stesso, sebbene seppellito qui sotto, ne ho sentite tante sul tuo conto che
se resistono al guasto del tempo sarai famoso per secoli. Ciò che scrivi è
buono, è questo ciò che conta, il resto è solo invidia. Pensa al povero Greene,
hai voglia a darti dello Shak-scene, dello scuotiscena; ora lui è morto e quasi
dimenticato, che riposi in pace, e tu - se so qualcosa di teatro - come sei qui
ora ci sarai tra cento anni, paro-la mia. Fai una bella carnefícína e non se ne
parli più.
WILLIAM - Se è per questo, di morti ammazzati ce ne sono píù che in abbondanza,
e c'è anche uno spettro piuttosto raccapricciante. Dunque, facendo i conti (fa
mente lo-cale): il vecchio re Hamlet è ucciso con l'inganno dal fratello, che
ne sposa anche la moglie, e diventa il fantasma di cui ti dicevo; l'usurpatore
Claudius viene ucciso da Hamlet giovane; la regina madre muore per sbaglio,
bevendo dalla coppa avve-lenata destinata ad Hamlet dal re; Ofelia, la fidanzata
di Hamlet, muore suicida per il dolore di aver perso il padre - Polonio -
ucciso anch'eglí da Hamlet, senza contare il fatto d'esser stata sedotta e
abbandonata; poi vengono uccisi Rosencranz e Guildestern, giustiziati in
Inghilterra in vece di Hamlet. Ora mi manca solo il modo di far morire Hamlet
per mano del fratel lo di Ofelia, che per il suo delitto deve morire, anche lui
ucciso da Hamlet. Si è preso giuoco dell'amore puro di una ragazza, una azione
spregevole.
MARLOWE - (fregandosi le mani) Davvero un bel massacro, non c'è che dire! Ma
devono morire entrambi per un inganno ad opera del re, così tutto va a posto. E
puoi pla-care la tua sete di purificazione.
WILLIAM - (sollevato) Anche tu la pensi così? Sono contentissimo, ma come fare?
MARLOWE - Se devono morire entrambi che c'è meglio d'un duello?
WILLIAM - Si, ma l'ínganno? Non c'è più l'inganno.
MARLOWE - Hai l'aria di tenere moltissimo alla morte di questo Hamlet. Fammi
dare uno sguardo allo scritto, e vediamo cosa si può fare.
WILLIAM - La partenza è buona, ora sta a me cavarmi d'impaccio. Andiamo, ti
mostro il manoscritto originale, è qui in teatro, nello studio di Henslowe.
Andiamo.
(escono)
(entra Mary, col copione in mano, ripetendo alcune battute fra sé. Poi si siede
a leggere)
(entra ANGUS)
ANGUS - (chiamando) Will! C'è nessuno? Wíll! Dove sei? (vede Mary) Ah, ci siete
voi, madonna.
MARY - Già, voi mi vedete e io sono qui.
ANGUS - Non è un caso, madonna, che ci siate voi e che ci sia io.
MARY - Dite?
ANGUS - Siamo i pilastri della compagnia, signora. Voi siete una donna ed io un
uomo.
MARY - E' una deduzione acutissima, non c'è che dire.
ANGUS - Voi mi schernite, signora, ma saprei farvi sussultare come mai non
accadde a donna alcuna.
MARY - Gran dio, non lo metto in dubbio, quantunque mi ritenga ben salda, píù
di un monte di mille piedi, sul quale un gigante tenga la mano.
ANGUS - Non c'è monte che possa reggere al mio terremoto.
MARY - Diciamo allora che so ben io, quando sussultare.
ANGUS - (ride sguaiatamente) Per altri uffici son fatte le donne, non certo per
decidere a chi darsi. Se ben solleticate, cedon tutte.
MARY - Ancora vi devo dar ragione, ma bisogna saperlo fare, il solletico.
ANGUS - (baldanzoso) Dite una parola ed io v'apro il paradiso.
MARY - Non ne son degna, signore, son peccatrice.
ANGUS - Allora insieme, nel baratro dell'inferno!
MARY - Vi farei torto a chiedervi d'accompagnarmi, su, non dite spropositi.
All'inferno potreste rimaner scottato.
ANGUS - Perché mi respingete?
MARY - Per il vostro bene. Chi non ha denti saldi farebbe bene a sputare i
bocconi trop-po duri.
ANGUS - Ho denti da poter spezzare ogni boccone!
MARY - Ma attento alle schegge, che vi si conficcano tra i denti e ve li fan
marcire.
ANGUS - (pressante) Voi siete una rosa!
MARY - Con tanto di spine. (si ritrae)
ANGUS - Siete un animaletto dispettoso
MARY - Definizione azzeccata: una puzzola.
ANGUS - Andiamo, non fate la ritrosa che po~i tanto cedete. Chissà quanti v'han
coperta!
MARY - Non uno che non l'avessi deciso io.
ANGUS - E su, decidete in mio favore.
MARY - Nemmeno se mi uccidete.
ANGUS - Sto per spazientirmi, non mi lascio fermare dai capricci di una donna!
MARY - Attento a voi! Non dovrebbe parlar di cose da uomo che non possiede ciò
che la natura dà a chi uomo è. Siete un pavone senza sostanza. Peggio, siete un
cappone! (ride)
ANGUS - Avete passato il segno, turpe bagascia, nessuno mi può parlare così!
Ora sarete mia, che lo vogliate o no! (la afferra e tenta di baciarla)
(entra George)
GEORGE - Basta così, mezzuomo! Cento come te non farebbero paura a un bambino.
Ve-diamo come te la caví con un uomo vero, lasciala! (Angus la lascia)
MARY - George, io non merito tanto.
GEORGE - Qualsiasi cosa abbia tu fatto io non voglio saperlo, ciò che conta è
che ti amo!
ANGUS - Bene, finalmente mi si dà l'occasione di suonare ben bene un signorine
viziato ed un tenero amante. Chissà che gusto a gualcírti quel vestitíno così
ben fatto, atten-to che ti fai la bua!
GEORGE - Bene, lo vedremo. Se ti batti come reciti, però, sarà come un furto in
chiesa.
ANGUS - Bastardo! (si azzuffano furiosamente)
(entra Ermínia, richiamata dal frastuono)
ERMINIA - Cossa feu, vu altri do, benedeti?
(i due si fermano)
MARY - Si battono per me.
ERMINIA - Xé cose da omini ciò, ma fé un duelo da cristiani, co' le spade. No é
da omini de cosiensa de. far a bote.
GEORGE - Ma non abbiamo le spade.
ERMINIA - Questo ghe pense mi, ghe xé due spade qua, nel baule. (le prende e
gliele por-ge) (è fondamentale che le spade siano ben visibili dal pubblico e
che siano rico-noscibili tra loro)
ANGUS - Bene, volete un duello? Eccovi servito.
(si battono, Ermínia segue con espressione fiera e soddisfatta)
ERMINIA - Varda tì che bravi 'stí do, che bel duelo!
(rientrano Wílliam e Marlowe, anch'essi richiamati dal rumore)
MARLOWE - Che succede, che fate?
ERMINIA - (con naturalezza) I fa un duelo, benedeti.
WILLIAM - (preoccupato) Bisogna fermarli subito.
ERMINIA - (con naturalezza) Nol se preocupa, siorino, le spade non le xé vere.
Xé spade da teatro, noi se pol far male. (esce)
(Il duello allora continua per un certo tempo, ed i presenti lo seguono con
interesse - è necessario che i due si battano come se non sapessero che le
spade sono finte - fino a che, a seguito di uno scontro, i due perdono le spade
e - visibilmente e casualmente - se le scam-biano)
WILLIAM - (come folgorato) Fermi! (si getta tra loro e li divide) Ho l'idea! Ho
il finale, capito? Ma certo. Sicuro. Si scambíano le spade duellando (va da
loro e fa vede-re l'azione), la spada di Laerte è intrisa di veleno, per opera
di Claudius, e - per via dello scambio - uccide entrambi. Benedetti figli miei
(li bacia in testa), ecco il tassello che mi mancava, ecco il mio finale!
MARLOWE - E' ottimo, bravo Will!
WILLIAM - Non si inventa niente. L'idea è già chiusa dentro di noi, in qualche
cassetto dell'aníma, e non vuole uscire. Quando ha fatto il suo tempo esplode,
come un proiettile, e ti schizza fuori così forte che quasi non ce la fai a
stargli dietro. Tal-volta non è subito logica, o non subito attuabíle, ma basta
che tu la coccoli bene - come un bambino - e viene su sana e forte che quasi
non te ne accorgi. Alcune vol-te il parto è facile, a volte più complesso e
serve una levatrice (guarda Marlowe), ma il più è fatto. Il principe danese è
morto e con lui il puzzo della sua marcia co-scienza.
MARLOWE - E' fatto - come natura, vuole - dalla madre, senza aiuti
determinanti. E' tutta opera tua, Will.
WILLIAM - Proprio così, amici miei, e ne sono felice. Ma visto che avete
partecipato a questo momento così delicato, vogliate cantare con me l'inno di
gioia che devo al daimon della mia anima: la canzone dell'ispirazione.
(musica, tutti in coro, facendo un girotondo)
TUTTI - Quale cagione ha l'ispirazione,
un giorno arriva e può dopo fuggir,
tu corri invano, che non l'afferri
e se ti fermi ti sembra morir.
Ecco che arriva un lampo inatteso,
nelle parole che non sai d'udir
l'estro ti prende, ecco componi
e ciò che è scritto non può più sparir.
Devi sbrigarti, non t'attardare
quello che passa mai più tornerà
prendi la penna e lo sgabello
ed un bel foglio comincia a vergar.
(la canzone deve avere il ritmo pagano di un'orgia dionisiaca)
(la musica decresce, entra Erminia)
ERMINIA - (la musica cessa del tutto, di colpo) Presto, nascondevi! Ghe xé i
sbiri de la re-zina che cerca el sior Marlowe!
(fuggi fuggi, trambusto, Marlowe sparisce da un'uscita laterale, escono anche
gli altri)
BUIO
Stessa scena, Willíam e Angus.
WILLIAM - Ce l'abbiamo fatta, sono andati via. Abbiamo rischiato grosso.
ANGUS - Io .....
WILLIAM - Sei stato tu, lo so. Li hai avvertiti tu, tu l'hai denuncíato. Ah,
maledetta invi-dia! Alito delle pulci sui grandi, goccia insignificante nel
mare dell'universo, ep-pure veleno così subdolamente attivo ....
ANGUS - Io ...
W1LLIAM - (glaciale) Zitto, non parlare più. Hai già detto con azioni quello
che dieci vol-te mille parole non sarebbero in grado di spiegare, né io di
scusare, né di accettare ....
ANGUS - Ma Will ....
WIILLIAM - Non parlare, ti ho detto. Non c'è nulla che tu possa dire o fare a
tua discolpa. Devi solo sparire dalla mia vista, ma così lontano che non possa
giungermi nem-meno la notizia del tuo passaggio. Fuggi l'ira di un uomo finché
sei in tempo, o non uscirai di qui intero. Vedi, in te potevo scusare il
pessimo attore - è la sua na-tura che lo ha fatto così, dicevo, - potevo
scusare il tuo cialtrone arrivismo, la tua vanagloria e la tua puerile
ostentazione di falsa sicurezza, mi ci ero quasi af-fezionato, gli volevo anche
bene, in un certo senso. Potevo anche sopportare il fat-to che non capissi cosa
dicevi, affrontando in nome dell'amicizia l'immane sforzo di farti entrare
nella parte. E' un bambino dicevo, un ingenuo compagno che non sa quel che
vuole, un narciso un po’ tonto che si bea della sua futilità. Ed ero anche
quasi ammirato di come ríuscissi a credere in te senza ragione, senza un
briciolo di sostanza cui appoggiarti, senza alcuna comprensione della realtà. E
poi mi tornavi utile, piacevi al pubblico di bassa lega, per una sorta di attrazione
animale. Più tu uscivi dal registro che ti avevo assegnato, più loro ti
applaudivano, sbrodolandosi di elogi, quanto della birra che stavano
tracannando. Ti ho persino dovuto inse-gnare a camminare - sembravi un
pagliaccio - con le gambe divaricate, col bacino in avanti, trascinando i
piedi. Allora ho fermato le prove, ti ho preso in disparte e ti ho fatto
camminare da uomo, da attore. Ed è stato un successo. Ti volevo bene, che tu
sia dannato. Ma proprio questo ti condanna senza remissione, hai tradito la mia
buonafede e te ne devi andare. Hai rischiato che un uomo venisse impiccato per
le tue ripicche da scolaretto, capisci? Vattene via, che non ti veda mai più.
Come ti ho detto posso perdonare tutto ad un cattivo attore, ma niente in
assoluto ad un cattivo amico, ad un cattivo uomo. Avrei preferito bruciare le
mie opere, venire cancellato io stesso dal mondo, piuttosto di dover vivere una
scena come questa. Vattene via ti ho detto, via! Non hai saputo distinguere la
vita dall'arte che andavi recitando, questa è la colpa peggíore: il teatro è
finzione estrema, la vi-ta solo realtà. Sono parenti tutt'al più, ma è pazzo o
canaglia chi li confonde, reo d'un peccato gravissimo. Sei un pessimo
interprete della vita. Va via, va via, ora.
(la luce si abbassa, Angus esce)
BUIO
Rapidissimamente si riaccende ancora la luce con Erminia, con un ampio mantello
che nasconde, non in vista, abiti moderni. In italiano perfetto:
ERMINIA - Questa è la storia. Lo spettacolo andò in scena quello stesso anno,
nel 1601, e fu immediatamente un grande successo. Wílliam stesso recitò la
parte di Laerte, e George e Mary quelle di Hamlet ed Ofelia. Tuttavia, i due
presero nomi diversi, almeno così sembra dalle cronache. Si dice che il primo
Hamlet fosse il tale Rí-chard Burbage. Era il nobile George sotto mentite
spoglie? (si leva il mantello) Poco importa, questo era teatro.
BUIO
SIPARIO
FINE DELLA COMMEDIA