Monologo
di Achille Campanile
[da RIDOTTO n. 3 marzo 1984]
Io penso sempre alla crisi del teatro e mi scervello per trovare il mezzo di risolverla. Si può dire che non penso ad altro. Giorno e notte rifletto sulla difficile questione e consulto le opere dei nostri sommi, che si sono occupati di essa. Quando, stanco, reclino il capo sul petto e mi addormento, m'appare in sogno la crisi del teatro personificata, che mi dice con voce lamentosa: — Risolvimi, risolvimi!
Allora mi sveglio di soprassalto e comincio a lambiccarmi il cervello per risolverla. Non già perché mi stiano a cuore le sorti del teatro. Ma mi affatico per risolvere questa benedetta crisi, nella speranza che, una volta risolta, non se ne parlerà più. Perché sono stanco di sentirne parlare. Non per altro. Se mi si promettesse di non parlare mai più di crisi del teatro, rinuncerei a risolverla.
Fa i mille disegni che mi frullano in capo e mi sembrano atti a risollevare le sorti della scena, uno ve n'ha sul quale mi permetto di attrarre la vostra attenzione. Non è gran che, ma potrebbe essere l'uovo di Colombo.
Ci vorrebbe, in poche parole, una società teatrale che disponesse di così grandi capitali, da permettersi il lusso di tenere due compagnie complete una per le prove, l'altra per le rappresentazioni.
I vantaggi d'una simile situazione sono molteplici:
1) si possono fare le prove tutti i giorni, senza stancar la compagnia che deve recitare;
2) occorrendo, si può provare un lavoro dietro le quinte, mentre se ne sta recitando un altro davanti al pubblico: quindi risparmio di tempo;
3) la compagnia che recita in pubblico si presenta sempre fresca e riposata; perciò maggior rendimento;
4) gli attori della compagnia che fa le prove possono alzarsi all'alba, perché non sono obbligati a coricarsi tardi; ergo possono cominciare le prove molto presto, con vantaggio dell'affiatamento:
5) l'altra compagnia, quella che si presenta in pubblico, non è obbligata ad alzarsi presto per le prove, onde gli spettacoli serali possono protrarsi molto dopo la mezzanotte e si possono rappresentare drammi di dieci atti, per coloro che vogliono spendere bene i propri quattrini.
Non vi dico poi i vantaggi che si avrebbero se questa impresa disponesse di tali mezzi da poter tenere non due, ma addirittura quattro o cinque compagnie complete. C'è da metter su una commedia in tre atti? Là. Ogni compagnia prova un atto diverso, mentre la compagnia principale li rappresenta. E se le compagnie principali fossero tre, potrebbero rappresentare contemporaneamente, in pubblico i tre atti d'una commedia,
in modo che nel corso della serata ci sarebbe tempo di rappresentare tre commedie di tre atti l'una.
Una delle ragioni per cui la gente non va più a teatro — si dice — è l'alto costo del biglietto. È proprio in questo che avrei trovata la soluzione della crisi: si riduce il prezzo dei biglietti alla metà.
Ma allora — dicono gli impresari — non rifaremo nemmeno delle spese.
Un momento.
Si vendono i biglietti due volte.
Sarebbe a dire: un teatro ha cinquecento posti per esempio.
Invece di mettere in vendita cinquecento biglietti a venti lire l'uno, se ne mettono in vendita mille a dieci lire l'uno, cioè due biglietti per ogni posto numerato.
Bravo. — direte — ma quand'anche riusciate a vendere i mille biglietti, dove farete sedere gli spettatori, se i
posti sono cinquecento?
E anche ammesso che la prima sera riusciate a frodare il pubblico, le sere seguenti non venderete nemmeno un biglietto a una lira.
Piano. É appunto in questo la mia trovata e il regolamento del teatro dovrebbe essere cosi concepito ogni posto e venduto a due spettatori, ma resterà al più forte, che così avrà il posto tutto per sé avendolo pagato la metà.
Non é detto che in una città non si debba trovare un certo numero di persone disposte a fare a pugni per risparmiare dieci lire.
Ma — direte — anche ammesso che si trovino cento mascalzoni decisi a tutto, saranno cento biglietti venduti. E gli altri novecento?
Ecco. Oltre le persone disposte ad azzuffarsi con quelle che hanno acquistato il loro stesso posto, ci saranno gli amanti del quieto vivere, i quali, per non aver noie, compreranno tutte due i biglietti di un solo posto. Questi saranno, a dir poco, il doppio degli altri, cioè duecento, che acquisteranno complessivamente quattrocento biglietti; ed ecco cinquecento biglietti collocati.
Restano gli altri cinquecento. Ma volete che il fatto di un teatro dove alcuni spettatori debbono sostener lotte, per occupare un posto già occupato da altri, non costituisca una curiosità e un'attrattiva per i forestieri? Almeno altre cento persone acquisteranno duecento biglietti per assistere in pace ai pugilati degli altri spettatori: diffondendosi la fama di questo teatro, i turisti vi accorrerebbero da lontani paesi.
Restano da collocare trecento biglietti. Per essi faccio assegnamento sui fanfaroni, che in numero di centocin-quanta acquisterebbero ciascuno due biglietti del teatro dove «si deve conquistare il posto a mezzo di pugni», per poi raccontare d'aver assistito alla commedia dopo atterrato l'acquirente dell'altro biglietto. Ed ecco che, avendo ridotto alla metà il prezzo dei biglietti, ci si troverebbe ad aver fatto l'incasso d'un «esaurito» in base ai prezzi intieri, e s'avrebbe il teatro pieno del giusto numero di persone, nonché, nella sala, un'atmosfera elettrizzata, briosa e battagliera.