La damigella di Bard

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COMCEDIA


La Damigella di Bard

Commedia in tre atti di Salvator Gotta


PERSONAGGI

LA DAMIGELLA DI  BARD - anni 80

FRANCO PALERMI  - anni  28

MARCH. DI POMBIA  - anni 55

RENEE DI POMBIA – anni 22

VITTORIO DI  POMBIA   -  anni  24

SENATORE  FILIPPO CARLI  -  anni  60

CONTE AMEDEO DI BINZE' - anni 70

BARONESSA DI VALPRATO - anni 59

TELISE,   sua   figlia   - anni   35

MADAMA FINELLI  - anni   50

MADAMA   PONZETTl  - anni  70

L’UFFICIALE  GIUDIZIARIO   -  anni  48

ORSOLINA, cameriera - anni 25

GIUSEPPE,   cameriere   - anni  30

DUE TESTIMONI,  che  non  parlano

L’azione si svolge a Torino nel 1921.


ATTO PRIMO

Una sala, in un appartamento del secondo piano nei palazzo che per arca due secoli fu dei Conti di Bard. Le pareti, tappezzate di carta fioraia, stinta, stracciata qua e là, ton men che moiette, dimostrano la miseria di chi le abita, ma ì mobili, quei pochi che ci sono, le poltrone, le sedie, per quanto sdruscite, sono di perfetto stile barocco piemontese, residuo d'una ricca ed illustre ca­sata. Nella parete di fondo due grandi qua­dri Hproducenti facce d'antenati guerrieri: fra i dm quadri vi e uno spanto vuoto e ti segno che ivi doveva estervene un terso. In primo piano a sinistra un caminetto, a de­stra in jondo un pianoforte, meglio se a mezza coda, meglio ancora se foste una Spi­netta, La porta di sinistra, in seconda piano, mette alia sala da pranzo, quella di destra nell'anticamera. (All'alzarsi del velario sorto in scena  LA BARONESSA di Valmuto, scssantascitnne; sua figlia Telise, piuttosto brutta, zitella, en­trambe vestite modestamente e un po' buffamente, Madama Finelli, un po' pia elegante delle  suddette,   soprattutto  più vivace).

MADAMA FINELLI   - Forse la Damigella riposa, siamo venute troppo presto.

LA BARONESSA        - Ci ha invitate a prendere il caffè, sono le due e mezza; non credo che dorma dopo colazione.

TELISE                          - Non credo neanche che faccia colazione, po­veretta; guardi che squallore!

LA BARONESSA        - Lì manca un quadro, vede il segno? L'ul­tima volta che sono stata qui, il mese scorso, c'era ancora. Mi fa una pena, una pena, se sapesse! Pensare che cosa è stata la sua casa un tempo) Questi mobìli io me li ricordo quand'erano giù, al piano nobile.

TELISE                          - Dove adesso abita il MARCH. DI POMBIA, il padre dì Renèe, Ha visto, MADAMA FINELLI, che bella ragazza s'è fatta Renee?

LA BARONESSA               - Sta zitta! Non interrompere.

TELISE                          - Scusa maman.

LA BARONESSA               - Fino a pochi anni prima della guerra, Marta Clotilde abitava al piano nobile. Il palazzo era suo.

MADAMA FINELLI   - Lo so, Io so. Ma come ha fatto la Dami­gella che è così semplice, così veramente signora, a sperperare tutto?

LA BARONESSA        - Sperperare? Lei no! Suo padre è morto una cinquantina d'anni fa. Dicono che fosse un uomo di prim'ordine: amico di Cavour, di Nigra, un vero patriota, e la madre, po­vera Contessa!... una santa donna; ma che vuole? D'affari non se ne intendeva.

TELISE                          - Maria Clotilde non aveva un fratello?

LA BARONESSA        - Sì: Fernand; più giovane di lei dì qualche anno. Diplomatico, sempre in giro pel mondo; è morto a Costantinopoli.

MADAMA FINELLI   - Cosicché rimasta sola, la Damigella...

LA BARONESSA        - Eh gial S'è fidata dell'amministratore...

MADAMA FINELLI   - Misericordia! Capisco! Le ha mangiato tutto.

LA BARONESSA        - Ma se bastasse! È divenuto il padrone lui, perfino di questo palazzo. E dicono an­che che stia per sfrattarla. Da qualche anno la poveretta non paga l'affitto. Dove deve andare a prendere i quattrini? Non ha più niente!

ORSOLINA                  - (cameriera, un po' tonta, ma brava ragazza, entrando da sinistra). La Damigella le prega di scusarla; fra pochi minuti sarà pronta, (sottovoce) In. con­fidenza: ha voluto cambiarsi, ci mette un po' di tempo.., È vecchia.., Oggi compie ottant'anni.

TELISE                          - Siamo qui appunto per farle gli auguri.

LA BARONESSA               - Ma ditele di fare con comodo.

MADAMA FINELLI         - Non abbiamo premura.(scampanellata)

ORSOLINA                  - Suonano. Con permesso. (esce)

TELISE                          - Chi sarà?

LA BARONESSA               - Non può essere che una brava persona, se viene a…

AMEDEO DI BIANZE’ (dall'interno) Ah, bene, bene! Mi fa piacerei Dove sono?

ORSOLINA                  - (c.s.) Di qua, di qua, signor Conte.

LA BARONESSA        - e’ Amedeo di Bianzè..

AMEDEO                               - (entra seguito da orsolina; è un ex bell’uomo, più vicino ai 70 che ai 60 anni, ma ancora arzillo, adusto, tipo d'ex militare, vestito con una certa eleganza, ma all’antica. Buontempone, un po' chiassoso, ma con signorilità). Oh! Belle Signore, signore belle! (bacia la  mano alla BARONESSA) Cara Baronessa So­fia, come va? (a Telise) Ed ecco qui l'erede. Dunque, questo marito, l'abbiamo o non l'abbiamo trovato? « A bsogna ambranchelo », imbrancarlo. Quando ne pas­sa uno non fare le smorfie... «amhrànchelo... » Zan! (fa il gesto d'acchiappare al volo una mosca) (alla Finelli) E MADAMA FINELLI, est ma scusa, come stala? Come sta? Piacere di trovare anche lei, qui, a fare un'opera buona. Dica al suo signor marito che mi congratulo per la sua nomina a Vice Intendente del Ca­stello di Racconigi.

MADAMA FINELLI         - Sua Maestà ha voluto onorarci della sua degnazione.

AMEDEO                               - E lei adesso abita a Torino?

MADAMA FINELLI   - Un  po' a Racconigi e un po' a Torino. Qui ho i figli da mandare a scuola.

AMEDEO                      - Già, già (si frega spesso le mani) Bene, be­ne. Dunque, queste gentili signore, sono venute anche loro a fare Già auguri alla nobile vegliarda Maria Clotilde Di Bard, nel giorno del suo ottantesimo complean­no. Ottam'anni! È una bella età! Spe­riamo d'arrivarci... (ride). Perbacco baccone, baccone perbacco! Oh, eccola li che arriva..

DAMIGELLA               - (Entra lentamente da sinistra d braccio di Orsolina. È una vecchietta, agghindata con preme di eleganza molto arretrata. È gaia, intelligente, serena, signorìUstitm tempre). Mie care amiche, cara Amedea, mi dovete scusare (alLA BARONESSA        che la bacia) So­fia... Telise... Madama Finelli... E que­sto impenitente scapolone.

AMEDEO                               - (baciandole la mano con grande deferenti e con signorile confidenza) Senti chi parlai Eh già! Vuol dire che prenderà moglie quando Lei prenderà marito,

DAMIGELLA                      - Ma, ehi sa... c'è sempre tempo... accomo­datevi, prego

AMEDEO                      - (sì fanno premura di offrirle una poltrona).

DAMIGELLA                      - Grazie, grazie. Va pure, Ondina. E porta il caffè,

ORSOLINA                  - (esce da sinistra)

LA BARONESSA               - Le facciamo tanti auguri, tanti, proprio di cuore. Cento di questi giorni.

DAMIGELLA                      - Questo luogo comune, scusa sai, AMEDEO, « cento di questi giorni », mi ricorda una famosa « gaffe » dei vecchio Marchese di Villamarina quand'era Ambasciatore a Pa­rigi, alla Corte di Napoleone IH, Me la racconto il povero Costantino Nigra che allora era, come voi sapete, a Parigi an­che lui...

AMEDEO                               - ...alla Corte dell'Imperatrice Eugenia.

DAMIGELLA                      - ...Ti prego, AMEDEO, ripeti tutti i luoghi comuni che vuoi, ma non questo, non permetta

AMEDEO                               - (Prende una mano alla vecchia e la bada) C'a ma scusa damisela.

LA BARONESSA        - (alla DAMIGELLA          - ) Dica, DAMIGELLA...

DAMIGELLA                      - Oh, una sciocchezzai Dicevo che Nigra mi raccontò appunto che il Marchese di Vil-kraarina augurò nel giorno del suo com­pleanno «cento di questi giorni» a Na­poleone III,

AMEDEO                               - Già (non ha capito, pero)(altaiche sorriso di compiacenza)

TELISE                                    - (a»endo compreso il perchi della gaffe di Villamarina) Ah! SI, bellal Bella! Augurare i «cento giorni» a un Napoleone! BeUìssima.

DAMIGELLA                      - Brava, Telise! (scorgendo Orsolina che a-vanza da sinistra col vassoio del caffi) Ecco il caffè. Metti là; sul tavolino. Te­lise, vuoi aiutare?

ORSOLINA                  - (eseguisce t poi esce da sinistra)

TELISE                          - (offre le tozze eia via a tutti) Quanto zucchero, DAMIGELLA?

DAMIGELLA                      - Io... amaro. Dicono che il dolce e il latte dei vecchi. ...Ma si vede che io non tono ancora vecchia abbastanza. Grazie, cara Telise. No, no, lascia pure. Non mi trema la mano. Eh... mi calunnii (sorbisce il caffi; due sorsi soli e poi consegna la tazza a Telise). Dunque, raccontatemi Pare che il ballo grande dell'altra aera, alla Filarmonica, sia stato brillantissimo.

LA BARONESSA               - Io non sono andata.

DAMIGELLA               - Neanch'io.

LA BARONESSA        - C'è però andata Telise coi nostri cugini D'Harcourt.

DAMIGELLA               - Ah, si? Era bello?

TELISE                          - Ah, bellissimo! Straordinario! E’ il più bel ballo cui ho partecipato. Il meglio riu­scito del dopoguerra.

MADAMA FINELLI   - Questo l'ho sentito dire anch'io dal Segre­tario Comunale di Racconigi, che ha unfiglio tenente di Cavalleria.

DAMIGELLA               - E tu AMEDEO ci sei stato? Tu sei un bal­lerino.

AMEDEO                      - Sì.

DAMIGELLA               - E vi erano delle belle donne?  Perché tu sei un conoscitore.

AMEDEO                      - Sì, belle donne, donne bellel Le ragazze, poi! Ah, perbacco baccone! Che ragazze son venute fuori in questi anni dopo la guerra!

TELISE                          - Pensi, DAMIGELLA, che il Principe s'è fer­mato quasi due ore.

DAMIGELLA               - Bene! Questo è bene! Il nostro caro Prin­cipe segue le orme del suo grande avo; Vittorio Emanuele II, quando si degnava di partecipare ai nostri balli, non si fer­mava mai meno di due ore.

MADAMA FINELLI   - E ballava?

DAMIGELLA               - Ma certo! Io ebbi l'onore più dì una volta di ballare con lui. Ricordo una certa ga­votta...

AMEDEO                      - La gavotta non è anteriore, scusi?

DAMIGELLA               - Anteriore si, ma vi fu un tempo dal 65 al 67, se non sbaglio, che tornò di moda.

AMEDEO                      - Ma proprio la gavotta classica?

DAMIGELLA               - No, la si ballava così, aspettate. Non sai suonare una gavotta, Telise?

TUTTI                            - Non so che la Gavotte Stép/ianìe.

DAMIGELLA               - Com'è? Ah, ecco! (Telise ewn/rwAi'a)Trallaralara Jalalala. (La DAMIGELLA sì e frattanto alzata in piedi animata, giovanile, sòrridente).

TELISE                          - (è andata al piano. Suona la Gavotte Stéphank)

DAMIGELLA               - Il passo era questo. Aspetta Telise, aspetta un momento; ma tu AMEDEO mi dovresti fare da cavaliere.

AMEDEO                      - (alzandosi in piedi) Io non vado più indietro della mazurka. Ho preso lezione da tota Cauda, buona­nima, quella che per insegnare faceva cosi (danza), « Ma brava tota così va bene, e'a aussa la gamba drita ».

TUTTI                            - (ridono, anche la DAMIGELLA)

DAMIGELLA               - Ora dammi la mano, assecondami. Ecco il passo della gavotta che si ballava allora. Telise, suona, prego. (Accenna con una certa grazia ancora elegante, sebbene se­nile, il passo della gavotta).

TUTTI                            - (applaudono) Ma brava, brava.

MADAMA FINELLI   - E’ straordinaria!

LA BARONESSA        - Che vitalità! Che spirito!

AMEDEO                      - La piò giovane delle nostre vecchie amiche,

(Tutti siedono).

(S'ode una forte scampanellata)

(Tutti ammutoliscono) (ORSOLINA passa e va ad aprire)

DAMIGELLA               - Chi può essere?

AMEDEO                      - Non certo uno che ha buona grazia.

LA BARONESSA        - Noi sarà meglio che andiamo, Telise,

MADAMA FINELLI   - E io pure, devo andare.

DAMIGELLA               - Aspettate ancora tiri poco. Siete perfino riu­sciti a farmi ballare. Oh, chissà come mi giudicherete in cuor vostro, adesso.

AMEDEO                      - Siete deliziosa, MADAMIGELLA Di Bard.

DAMIGELLA               - Ero deliziosa.

AMEDEO                      - Anche adesso.

DAMIGELLA               - Chìèi est m'pia nen an baia, sow counti

ORSOLINA                  - (rientra con la faccia un po' spaventata)

DAMIGELLA               - (a Orsolina) Ebbene? Chi c'è?

ORSOLINA                  - Tre uomini.

DAMIGELLA               - Tre uomini?

AMEDEO                      - A soun tropi.

ORSOLINA                  - Vogliono parlare proprio con lei, subito.

DAMIGELLA               - Non hai detto loro che adesso non posso, ho visite?

ORSOLINA                  - Già, ma credo che vogliono parlarle per una cosa urgente.

DAMIGELLA               - E allora... Domando scusa, due minuti, tor­no subito, ma sedetevi prego... (esce al braccio di Orsolina).

MADAMA FINELLI   - Chi sarà mai?

AMEDEO                      - E chi vuol che sia, creditori.

LA BARONESSA        - (indignata) Ma non è possibile difendere questa pove­retta?

AMEDEO                      - Ormai... non c'è più niente da fare.

LA BARONESSA        - Parlare personalmente col suo ammini­stratore, come si chiama?

AMEDEO                      - Rag. Pacotti, Gli ho parlato io «testo àm mesi fa. È una canaglia, ma colle carte alla mano ha ragione lui. Per tacitarlo bisognerebbe che qualcuno di noi si di­sponesse a storiare le 74 mila lire che la Di Bard gli deve, per fitto arretrato pre­stiti vari su cambiali, ecc. ecc. E coi tem­pi che corrono, come si fa? E chi si fa garante dì una somma simile a tuta vec­chia di ottant'anni, che non ha più niente, fuor che questi quattro mobìli. ...Per conto mio, voi sapete, vivo d'una modesta pensione...

LA BARONESSA        - E noi... 74 mila lire! Per l'amor di Dio!

TELISE                          - Che pena!

DAMIGELLA               - (rientra seguito da Orsolina che si ferma in disparte) (imperturbabile nel stolto sereno)Cari amici, mi dispiace dì non potermi in­trattenere ma... c'è di là gente d'affari che m'aspetta... Vi sono tanto grata della cor­tesia che mi avete usato ricordandovi di me in questo giorno che mi richiama a «ante dolci memorie del passato... (si com­muove, ma poi toma subito padrona di sé, abbraccio la baronetta) Mia buona So­fìa... che Dio benedica te e la tua famì­glia... sempre... Addio Telise, rutti gli, auguri! ...e; lei, Madama Finclli, mi ri­cordi a suo marito, ai suoi figli. Buona fortuna!;. Quanto a te, caro AMEDEO, sap­pi che un perfetto gentiluomo non deve ignorare la gavotta, non fosse che per ri­conoscenza ai tempi generosi in cui la sì ballava, AlltDIO Ma Tota Cauda, la mia vecchia maestra, è morta.

DAMIGELLA               - (con una smorfia) Oh, Tota Giuda (e riprende il ritornello di prima) « O brava tettatosi va bine, ca tut­ta la gamba drìta ».

AMEDEO                      - (Ab canticchiata e ballata la 1tetta mia, al­l'unisono con lei, ride badando la mono della vecchia e andandosene) Arrivederci presto, DAMIGELLA.

DAMIGELLA               - (a tutti) Addio, addio.

TUTI                              - (tentano a soggetto)

DAMIGELLA               - Orsolina accompagnali, poi fai entrare quei signori. (Rimasta sola siede sulla poltrona. Ha un momento di smarrimento. Chiude gli occhi. Il mento sul petto. Ma ti ri­prende, e quando ì tre signori entrano i seduta nella poltrona, la schiena scostola dot dorsale, austera, come una regina). (Entrano do destra, l'ufficiale giudiziario se­guito da due testimoni, due indivìdui tuoi cestiti, raccattati, come si suole, nei pressi del Tribunale, e prezzolati per prestare testimonianza al pignoramento. OrsoUna segue i fé indivìdui con iacèa spaurita, poi retta appartata in un angolo, assiste a tutta la scena in silenzio).

UFFICIALE GIUDIZ. - Con permesso...

DAMIGELLA               - Avanti, avanti... Voi venite per incarico del Rag, Pacotti...

UFFICIALE GIUDIZ. - No, io sono l'Ufficiale giudiziario, e vengo per adempiere un mandato di legge, in base a un'istanza, si, del rag. Pacotti, l'attore di questa pratica.

DAMIGELLA               - Come dite? L'attore?

UFFICIALE GIUDIZ. - Sì, insomma, il creditore, Per affrettare ho già preparata l'atto di pignoramento, sal­vo a completarlo con la descrizione dei mobili di cui fare ora l'inventario alla presenza di questi due testimoni, legal­mente investili.

DAMIGELLA               - Bene, bene.

UFFICIALE GIUDIZ. - (legge un foglio) L'anno igai, addi, ecc. ecc… in un allog­gio in via... al secondo piano, occupato dalla signorina Maria Di Bard...

DAMIGELLA               - Maria Clotilde, prego.

UFFICIALE GIUDIZ. - Qui è Scritto Maria. Non è il tuo primo nome, Maria?

DAMIGELLA               - Il mio nome è Maria Clotilde; da 80 anni che vivo, sono sempre stata chiamata Ma­ria Clotilde.

UFFICIALE GIUDIZ. - E va bene: Maria Clotilde, (leggendo) quell’istanza del sig. Rag. Mario Facotti, re­sidente ecc. ecc... Vista la sentenza... Le è stata notificata 1» tenterà che la con­danna a pagare 74 mila lire al rag. Facotti...

DAMIGELLA               - Credo, mi abbiano condannata... Ma in quanto a pagare, ci vuoi altro... Hanno portato una carta, si...

UFFICIALE GIUDIZ. - L'avrà letta.

DAMIGELLA               - No. La mia vista comincia a indebolirsi e non voglio stancarla con letture inutili. Ammetto di dovere al rag. Pacotti la som­ma che Lei ha detto.

UFFICIALE GIUDIZ. - Ah, benissimo! L'importante per me è fare le cose secondo la legge.

DAMIGELLA               - Faccia pure Si consideri in casa sua. La legge, dove entra, è sempre in casa sua. E io la rispetto! L'ho sempre rispettata, fedelmente: quella degli uomini e... quel­la più  importante...   di  Dio.

UFFICIALE GIUDIZ. - Bene, bene. Allora procediamo all'inventa­rio dei mobili.

DAMIGELLA               - Ecctti.

UFFICIALE GIUDIZ. - Sarà bene cominciare di là, poi verremo avanti, stanza per stanza...

DAMIGELLA               - Orsolina, accendi la luce aell'anticamera, co­mincia a farsi buio e dì lì non ci si vede.

UFFICIALE GIUDIZ. - Con permesso (si avvia seguito dai testimoni e preceduto da orsolina),

DAMIGELLA               - Permetta ancora una parola.

UFFICIALE GIUDIZ. - Dica.

DAMIGELLA               - Da quest'appartamento, io dovrò andarme­ne...

UFFICIALE GIUDIZ. - (un po' ìmbùroxsató) Eh... certo...

DAMIGELLA               - E i miei mobili verranno venduti...

UFFICIALE GIUDIZ. - Messi all'asta.

DAMIGELLA               - Tutti, tutti...

UFFICIALE GIUDIZ. - Si, salvo il letto... non so lo strettamente indispensabile.

DAMIGELLA               - Va bene, va bene.

UFFICIALE GIUDIZ. - (commesso) Il dovere che io compio, signorina, è dolo­roso, creda, doloroso...

DAMIGELLA                      - Zitto, zitto! Non si commuova! La legge che si commuove! Ah, dove andiamo a finire?

UFFICIALE GIUDIZ. - Sono un uomo di cuore, signorina.

DAMIGELLA                      - Questo mi fa piacere. La ringrazio. Ha fa­miglia?

UFFICIALE GIUDIZ. - La moglie, quattro bambini, e mia madre...

DAMIGELLA                      - Vecchia?

UFFICIALE GIUDIZ. - 77 anni.

DAMIGELLA                      - Eh... siamo lì! Che Dio gliela conservi. Va­da, vada.

UFFICIALE GIUDIZ. - (via)

ORSOLINA                  - (rientra, è intontita dal dolore) Oh...  DAMIGELLA! (va verso la padrona, le prende una mano, piange).

DAMIGELLA               - (accarezzando!) Che cosa fai! Piangi! Coraggio! Su, su!

ORSOLINA                  - Porteranno via tutto! Ci manderanno via...

DAMIGELLA                      - Ebbene... sia fatta la volontà del Signore! Asciugati le lacrime, presto! Bisogna ob­bedire alla legge, ma... non darle soddi­sfazioni  più del  necessario.

ORSOLINA                  - Io sono affezionata a lei, sono nata in casa sua, capirà...

DAMIGELLA                      - E non vuoi che lo sappia, Orsolina? Tua madre, poveretta, fu la mia cameriera per 30 anni, poi sei venuta tu; t'ho quasi allevata io... non vuoi che capisca? Ep­pure sarà necessario che ci separiamo.

ORSOLINA                  - Come sarebbe a dire? Io dovrei lasciarla?

DAMIGELLA                      - Ma certo! So che il rag. Pacotti non mi manderà proprio via completamente da questo palazzo che un giorno fu mio. Me l'ha detto più volte, me l'ha anche scritto. Mi concederà l'uso, finchè vivrò, d'una soffitta, su in alto...  Bontà sua!

ORSOLINA                  - In una soffitta, Lei?

DAMIGELLA                      - Meglio una soffitta che... lo scalino di una chiesa. Ma in soffitta tu che ci faresti? Sei giovane, sei forte, troverai da allog­giarti in una buona famiglia, ti aiuterò io stessa colle mie conoscenze, a trovare un buon posto. Il mondo è fatto a scale, direbbe il buon AMEDEO        che rima i luo­ghi comuni. Quelle del mio palazzo le avrò fatte tutte: prima al piano nobili, poi al secondo piano, poi in soffitta e poi... poi... più su non mi sarà possibile salire... A meno che.... sì... si... in Paradiso, se il buon Dio mi vorrà.

TELA

ATTO   SECONDO

Una soffitta del palazzo Di Bard. La luce entra dall'abbaino del tetto spiovente. Nel fondo, Una scaletta saie verso l'abbaino, una porticina dà sopra una scale di servigio. Po­chi mobili indispensabili, ma d'antico pre­gio artistico. A destra, un paravento, dietro ti quale è il lettino e il lavabo. A destra, in primo pieno vi e pure un altarino, con sopra una Madonnina, alcune immagini sa' ere e un lumino a olio acceso: a sinistra in primo piano, una piccola stufa di ghisa, poi una porticina che dò  sul corridoio. (All'alzarsi del velario sono in scena la DAMIGELLA , vestita miseramente di nero t Madama Ponzati, anche essa vestita pò veramente).

MADAMA PONZETTI        - (porgendo due lettere) Altra posta per lei, maDAMIGELLA. Anche oggi due lettere. Tenga, me le ha consegnate il portiere, mentre salivo.

DAMIGELLA                      - Le apra lei, Madama Ponzetti, veda dì che si tratta. Io faccio fatica a leggere. Sa­ranno come quelle di ieri. Non capisco perché mi si tiri in ballo nei giornali, ne­gli articoli delle riviste.

MADAMA PONZETTI        - (apre una lettera e legge) « Gentile Signorina, leggo in un articolo del­la Nuova Antologia...»

DAMIGELLA                      - Vede? Non mi sbagliavo. La firma?

MADAMA PONZETTI        - Professoressa Irene Detoenedetd.

DAMIGELLA                      - E chi la conosce?  Mai sentita  nominare. Apra l'altra busta, per favore.

MADAMA PONZETTI        - mia Illustre Signora, in un articolo apparso nel­l'ultimo fascicolo della Nuova Antologia... firmata : « Demetrio Sani, Biblioteca Na­zionale, Camerino ».

DAMIGELLA                      - Altro Cameade.

MADAMA PONZETTI     - Cosa ha detto?

DAMIGELLA               - Ah, niente, niente.

MADAMA PONZETTI        - E che lettere lunghe! Vuole che gliele legga?

DAMIGELLA                      - Ma no! Caso mai questa sera.

MADAMA PONZETTI        - Le ho portato un po' di latte. L'ho messo li sulla stufa,

DAMIGELLA                      - Grazie, Madama Ponzetti. Lei è ben gen­tile.

MADAMA PONZETTI        - Ora vado nella mia stanza, faccio il caffè, e poi glie lo porto (si avvia. Si ferma). Don Bellone, mi ha domandato sue no­tizie.

DAMIGELLA                      - Gli ha detto che non vado più in chiesa per causa del freddo ma che quando tor­nerà la buona stagione...

MADAMA PONZETTI        - Lo sa... Io sa. Dice anzi che si abbia dei ri­guardi.

DAMIGELLA                      - Grazie!

MADAMA PONZETTI        - Allora vado. Non ha bisogno di niente, per il momento?

DAMIGELLA                      - No madama, grazie.

MADAMA PONZETTI        - (esce, poi rientra cubito con una faccia stu­pita). C'è qui un signore che domanda di lei... Un signore con la barba...

DAMIGELLA                      - Un signore con la barba? E chi può essere? Dov'è?

MADAMA PONZETTI        - Qui fuori della porta.

DAMIGELLA                      - Ha detto proprio il mio nome?

MADAMA PONZETTI        - Sì, nome e cognome.

DAMIGELLA                      - E allora... lo faccia entrare. Cioè... aspetti un momento. Le sembro in ordine per ricevere un signore con la barba? (Si toc­ca i capelli, si passa le mani sulle pieghe del vestito).

MADAMA PONZETTI        - (Le tocca il fermaglio, le aggiusta la bave­rina sul petto) Ecco:  mi pare in ordine perfetto. Posso..

DAMIGELLA                      - (Dopo essersi guardata nello specchio) Sì, faccia entrare.

MADAMA PONZETTI        - ('esce)

SENATORE CARLI          - (entra, si ferma appena passata la soglia, si inchina. È un signore molto grave, ve­stito con severa eleganza, il mento adorno d'una  gran  barba   quadrata). Ho l'onore di parlare con la nobile signo­rina  Maria Clotilde di Bard?

DAMIGELLA               - (con un sorriso civettuolo) Ed io con chi ho l'onore di parlare?

SENATORE CARLI          - Col senatore Filippo Carli.

DAMIGELLA               - Ohi Venga avanti. Si accomodi, Senatore!

SENATORE CARLI          - Lei è ben amabile.

DAMIGELLA                      - Lei è ben gentile.

SENATORE CARLI          - Grazie (avanza). Troverà strano che io mi permetta di importunarla...

DAMIGELLA                      - Non è il ciao. la che cosa posso,,,

SENATORE CARLI          - Ecco,

DAMIGELLA               - Le àkò... io mi occupo di studi storici...

DAMIGELLA                      - Piacere, piacere.

SENATORE CARLI          - Ho pubblicato parecchi volumi importanti, sulla storia del nostro Risorgimento. Il mio nome è noto... per quanto ciò di­spiaccia a certi professori d'Università, i quali non ammettono che ci si possa de­dicare sul serio agli studi se non si abbia una cattedra. Io non ho una cattedra, non ci tengo ! io ho dei vasti possedimenti in Lombardia. Abito ad Abbiitegrasso, iti una mia villa.

DAMIGELLA               - È venuto da Abbiategrasso proprio per tro­vare me?

SENATORE CARLI          - Proprio cosi, MaDAMIGELLA. Mi sono precipi­tato da lei. Non si è bravi storici se non si è anche pronti e solerti ricercatori delle fonti. Ormai deve sapere... probabilmente lei non sa.., che nell'ultimo numero della Nuova Antologia è uscito un articolo del mio collega il Senatore Clementi, circa i carteggi privati di Costantino Nigra.

DAMIGELLA                      - Infatti ho ricevuto varie lettere, a questo pro­posito.

SENATORE CARLI          - (allarmato) Lettere? Di chi, se è lecito? Forse dal pro­fessor Busca? Del Vccchini? Dello Zam-belli?

DAMIGELLA                      - Non saprei con precisione, perche', a dirle la verità, a quelle lettere non ho dato im­portanza.

SENATORE CARLI          - Meno male. Ordunque, Ma DAMIGELLA, venia­mo al concreto; lei possiede quelle lettere di Costantino Nigra?

DAMIGELLA                      - Come fa a saperlo?

SENATORE CARLI          - É scritto nell'articolo; si dia il suo nome do­me quello d'una buona amica, d'una confidente del grande diplomatico. Il Senatore Clementi, autore dell'articolo, ha appreso là notizia in altre lettere del Migra direne alla contesta di Beaulieu.

DAMIGELLA                      - Infatti, la contessa di Beaulieu, moglie d'un addetto all'Ambasciata francese a Torino nel '64, è stata amica mia.

SENATORE CARLI          - Dunque è vero! Lei ha le lettere del Nigra! Molte!

DAMIGELLA                      - Moltissime.

SENATORE CARLI          - Di quali periodo?

DAMIGELLA                      - Dal 60 in poi.

SENATORE CARLI          - Ma nel 60, lei, quanti anni aveva?

DAMIGELLA                      - Diciannove. Il Nigra mi ha conosciuta bambina, era grande amico del mio povero padre.

SENATORE CARLI          - Allora... le scrisse da Parigi.

DAMIGELLA                      - Da Parigi durante il secondo Impero, poi da Pietroburgo, da. Londra, da Vienna.

SENATORE CARLI          - Ma allora...

DAMIGELLA                      - Si calmi,' Senatore, si calmi. Vedo nei suoi occhi una curiosità che non è soltanto quel­la dello storico. Lei ora vorrebbe sapere quali furono ì miei rapporti col Nigra. Se gratti lo storico, trovi sotto il pettegolo. Semi la mia franchezza: dica la verità, lei vorrebbe scoprire una macchia nella vita del grande uomo. Nft noi Non si faccia delle illusioni t £ stato un gentiluo­mo nel pia completo senso della parola, ed io l'ho amato cosi, appunto perché in lui erano tutte le qualità che rendono vera­mente nobile un uomo: l'intelligenza, la correttezza, il disinteresse, l'appassionato amore per il proprio Paese, la decisa vo­lontà di aiutare a farlo grande, pronto a sacrificare anche la vita per esso, e. poi... e poi... la sensibilità dell'artista, la grazia del poeta, e anche il fascino dell'uomo, la bontà di ammettere nella sua vita cosi dif­ficile e turbinola l'affetto per una piccola donna come me, di rispettarla, non chiederle mai nulla fuorché dell'amicizia, men­tre... avrebbe potuto ottenere... molto di più. Ora che ho ottant'anni póMO confes­sarlo senza arrossire. Oli sono stata fedele tutta la vita, senza macchia... e non mi pento d'essere rimasta zitella... per lui... cosi come mi vede... povera... sola... e se­rena.

SENATORE CARLI          - Tutto ciò è molto bello. Mi compiaccio. Ma le lettere? Posso vedere le lettere?

DAMIGELLA                      - Mi dispiace, Senatore.

SENATORE CARLI          - Come, si rifiuta? Senta. Le dico subito: in queste cose è meglio essere franchi. Per codeste lettere io le offro quanto nessuno dei miei colleghi è in grado di offrirle. Conosco le possibilità economiche degli studiosi. Dica lei quanto vuole. Non fac­cio questione di cifra.

DAMIGELLA               - (con dolce e indulgente sorriso)Senatore... mi spiace che si sia disturbato inutilmente. Torni ad Abbiategrasso.

SENATORE CARLI          - Cornei?

DAMIGELLA                      - Torni ai suoi vasti possedimenti e ai suoi libri. Il campo della Storia e cosi grande! Di essa io non sono che un piccolissimo, trascurabile particolare. (Si è alzato in piedi).

SENATORE CARLI          - Le chiedo scusa.., ma...

DAMIGELLA                      - E anch'io... di doverla congedare. Sorto va po' stanca.

SENATORE CARLI          - (alzatosi in piedi) Mi permetta di insistere...

DAMIGELLA               - No, non insista.

SENATORE CARLI          - Quanto meno... mi prometta che non darà quelle lettere a nessun altro storico.

DAMIGELLA                      - Può stai sicuro, Senatore.

SENATORE CARLI          - Soho desolato!  Buon giorno (s'inchina ed esce).

DAMIGELLA                      - Buon viaggio.

SENATORE CARLI          - Grazie.

DAMIGELLA                      - (rimasta sola, brontola con dispetto, saie la •scaletta, va a prendere da un armadietto a muro uno scrigno antico, lo porta -già gelosamente, lo posa siti canterano, lo gttar-da, lo apre, ne trae le lettere che sono le gate a maxtetti con mstrinì di varia co­lore a seconda delle epoche in etti furano scritte, k bacia).

MADAMA PONZETTI        - (iatt'csUmo)DAMIGELLA ... si può?

DAMIGELLA               - Un momento... un momento (affannata ri­mette le lettere nello scrigno che richiude e pone in un cavetto del canterano). Avanti...

MADAMA PONZETTI        - (entra)DAMIGELLA, se n'è andato quel lignote con la barba? Pensi, ce n"è un altro... senza barba, giovane, un bel giovane. È arrivato poco fa. Per sbaglio ha bussato alla porta del!» mia soffitta. L'ho fatto attendere di là... Mi ha detto che è un -ufficiale di marina.

DAMIGELLA                      - In divìsa?

MADAMA PONZETTI        - No, in borghese. Ma bello, se vedesse! E gentile!

DAMIGELLA                      - Che vuole che le dica, Madama Fonzetti? Lo faccia entrare. Oggi è giornata di vi­site. Prima un senatore, poi un ufficiale di marina... Bello, ha detto?

MADAMA PONZETTI        - SI... Cercherò i numeri e giocheremo al lotto.

DAMIGELLA                      - Infatti ho fognato che qualche cosa di stra­ordinario mi doveva accadere.

MADAMA PONZETTI        - Straordinario in che senso? Buono o cattivo?

DAMIGELLA                      - Ma... Buon», mi pare... Finora, però... beh! Faccia entrare il giovanotto. No, no, prima mi dia un'occhiata ai capelli qui dietro, non sono in disordine?

MADAMA PONZETTI        - No. Allora vado. (Esce).

FRANCO PALERMI         - (poco dopo entra un giovane Mìo, elegante, s'inchino) Signorina Di Bard, permette?

DAMIGELLA               - Buongiorno, signore. Si accomodi.

FRANCO PALERMI         - Sono il Tenente di Vascello Franco Palermi. Scusi se mi sono permesso di...

DAMIGELLA                      - Come ha detto?

FRANCO PALERMI         - Franco Palermi!

DAMIGELLA               - Questo nome non mi par nuovo. Pure... non ho mai avuto il piacere di conoscerla.

FRANCO PALERMI         - Probabilmente le ha parlato di me, o quanto meno le ha detto il mio nome, la signo­rina Renée, la figlia del MARCH. DI POMBIA, che abita al piano nobile di questo palazzo.

DAMIGELLA               - Sicuro! Sicuro!

FRANCO PALERMI         - So che Rende è venuta qualche volta a tro­varla.

DAMIGELLA                      - È cosi gentile! Quando ha saputo che dal secondo piano dove abitavo, ho dovuto tra­sferirmi quassù, è venuta a trovarmi un paio di volte. È venuta... così... per bontà. E lei sarebbe, se non sbaglio, il giovane di cui Renée e fidanzata...

FRANCO PALERMI         - Fidanzata purtroppo non ancora... Innamo­rati, siamo, si molto... lo voglio bene a Renée... Le ha dunque parlato di me?

DAMIGELLA                      - Mi ha accennato, si; io le domandai se fosse felice e lei mi rispose: «Tanto felice, sa­rei! Voglio bene ad un giovane che mi ama, ma...».

FRANCO PALERMI         - E le avrà pure derto che il nostro amore è contrastato.

DAMIGELLA               - Mi ha accennato che il padre, il Marchese...

FRANCO PALERMI         - Il padre di lei non acconsente al nostro matrìmonio e forse non acconsentirà mai... Per una ragione... Oh Dio! plausibile... data certa mentalità...

DAMIGELLA                      - Questione di danaro, forse? o di salute?

FRANCO PALERMI         - No... mi vuole parlare... Ma sono venuto ap­punto per questo, debbo dunque dirle la verità, perché... Lei forse può aiutarmi in questa mia ricerca affannosa che dura da anni.

DAMIGELLA                      - Dica, dica.

FRANCO PALERMI         - Vede, signorina, il nome che porto non è quello di mio padre, ma è un nome qual­siasi datomi... così... dalla casa che mi ha allevato. Io non ne ho colpa, lo so... non devo quindi.. non penso a vergognarme­ne, anzi, da un lato, sono fiero di dovere tutto a me stesso, quel poco che ho fatto per conquistarmi il mio piccolo posto nel mondo. Ma gli altri? Eh! Non tutti vogliono pensarla così e si capisce! Renée di­scende da un illustre casato che ha parec­chi secoli di storia; il MARCH. DI POMBIA tiene molto al suo nome e non vuole dare sua figlia... non vuole, insomma unire il suo nome a quello di un bastardo.

DAMIGELLA                      - Oh! non dica questa parola, mi fa male, mól­to male! Ma lei? Non ha proprio potuto sapere nulla dei suoi genitori?

FRANCO PALERMI         - Di mia madre, so... (ironico) so che scorre anche nelle mie vene del sangue nobile. Mia madre fu una donna che purtroppo fece parlare di sé, ai suoi tempi. Bellissi­ma, sposata assai giovane a un uomo il­lustre, che probabilmente ella non amava, dopo qualche anno di matrimonio l'abbandonò per seguire un diplomatico di cui si era follemente innamorata : da quella follia d'amore io nacqui. E so che nacqui a Vienna, 28 anni fa, e fui subito portato in Italia e consegnato ad estranei.

DAMIGELLA                      - E sua madre?

FRANCO PALERMI         - Mia madre visse all'estero, provvedendo a me, sempre, alla mia vita, ai miei studi. Potei così frequentare prima il collegio dei Barnabiti a Moncalicri, poi l'Accademia Navale di Livorno.

DAMIGELLA                      - È triste!... Che mistero l'anima d'una don­na! Avere un figlio e resistere a non ve­derlo mai... E non le ha mai dato alcun segno di vita?

FRANCO PALERMI         - Morì lasciandomi la sua fortuna.. Ecco quan­to so e quanto ho avuto da lei. Ma di mio padre non so nulla, non ho potuto trovare tracce, per quanto abbia fatto delle ricer­che, valendomi di qualsiasi piccolo accen­no. Le do noia, signorina? Questo mio racconto...

DAMIGELLA                      - No... dica, anzi voglio sapere... perché è ve­nuta quassù da me... Forse perché anche lei ha letto in una rivista un articolo...

FRANCO PALERMI         - Ecco, sì, precisamente. Ma come fa, lei,  a indovinare?

DAMIGELLA                      - Non mi badi. Lei dunque ha saputo che io ho delle lettere di...

FRANCO PALERMI         - Costantino Nigra.

DAMIGELLA                      - E spera che in quelle lettere si accenni a che cosa? A che cosa? Mi dica... mi dica presto.

FRANCO PALERMI         - Vede, io sono venuto a sapere attraverso voci raccolte qua e lì, che il diplomatico con il quale mia madre fuggì, fu uno dei col­laboratori del Nigra, a Pietroburgo, a Vien­na. Ma quale di essi? Quanti addetti non ebbe il Nigra nella «uà lunga camera di diplomatico? Impossibile saperlo! La mia ricerca è inutile e sciocca, lo sol Pure, tut­to eie che si scrive attorno al Nigra, tutto ciò che lo riguarda anche minimamente, mi interessa, forma oggetto delle mie inchieste. All'ombra di Nigra cerco quella di mio padre….

DAMIGELLA               - Ebbene... questa volta... forse ha trovato.

FRANCO PALERMI         - (scattando) Come! Lei sa?

DAMIGELLA                      - Piano! Un momento! Calma, calmai Sono vecchia, le emozioni troppo forti possono farmi del male.

FRANCO PALERMI         - Nelle lettere che lei ricevette vi è forse qual­che accenno?

DAMIGELLA                      - Mi dica prima... Lei sa come si chiamava tua madre?

FRANCO PALERMI         - Sì, Bianca di San Germano.

DAMIGELLA                      - (con una controscena fortissima dì chi ha una rivelazione meravigliosa e quasi nello stesso tempo spaventosa) Sei tu... il figlio di Fernand, di mio fratello Fernand..; Sì... si... di mìo fratello... addetto all'Ambasciata dì Pietroburgo, poi di Vienna,, col Nigra. Ed è morto con l'an­goscia di non poterti ritrovare, di non sa­pere dove tua madre ti avesse nascosto, perchè, separati, ella non volle mai rive­larglielo... E adesso tu sei qui... davanti a me... sei tu... Ohi Dio è  immenso! Dio è immenso!

FRANCO PALERMI         - (gettonimi in ginocchio davanti a iti) SI, Dio è immenso! Ma adesso calmiamoci, non voglio che un'emozione così forte le faccia del male. Cara!... Come sono stato attratto a ventre qui da lei? Come va? Come si sente?

DAMIGELLA                      - Sì  bene... Ohi Sono forte! Ne ho passate tante nella vita... ma la gioia è quasi più dura a sopportarsi che il dolore. Anche per te, no?

FRANCO PALERMI         - Sì, anche per me! Mi par di sognare! E la guardo veramente come si guarda il mira­colo! La sorella di mio padre! £ mio padre mi ha cercato, lei dice?

DAMIGELLA                      - Oh, quanto ti ha cercatol E in quelle lettere del Nigra ve ne è traccia. Il Nigra sapeva, mi scriveva di occuparmene e me ne sono occupata, ma senza riuscire mai.

FRANCO PALERMI         - E pensare che in questi ultimi tenipi io le ero vicino, salivo queste scale che lei saliva.

DAMIGELLA                      - Le mie scale! Le tue scale! Io salivo... sa­livo...

FRANCO PALERMI         - Finché io l'ho raggiunta. Cara la mia pic­cola zia! Ah! La gioia che proverà Renée, quando saprà! Bisogna avvisarla subito.

DAMIGELLA                      - Subito?

FRANCO PALERMI         - Certo. Ora scendo e chiedo un'udienza al Marchese. Bisogna che sappia anche lui, fi­nalmente, chi «a mio padre. Ma mi ere. dcrà? Senta, venga anche lei, con me, dal Marchese.

DAMIGELLA                      - Adesso?

FRANCO PALERMI         - Dal momento che sono qui, non le pare?

DAMIGELLA                      - Ma veramente...

FRANCO PALERMI         - Si vesta, andiamo.

DAMIGELLA                      - Vestirmi?... Già perche così», non potrei presentarmi al Marchese. È vero, ma e che, sai... ho venduto tutto, a poco a poco! Ma ho, sì, qualche cosa di meglio da mettermi addosso... Mi vesto e scendiamo. subito. Aspettami, faccio presto. (Va dietro il pa­ravento)

FRANCO PALERMI         - (passeggia nella stanga, nervoso, felice) Mi dica, mìo padre com'era? lo gli asso­miglio?

DAMIGELLA               - (da dietro il paravento) Sì, gli assomigli e avrei dovuto riconoscerti subito.

FRANCO PALERMI         - Ma quando si innamorò di mia madre, non doveva essere pia tanto giovane.

DAMIGELLA                      - Aveva quarant'anni e gli amori a quarànt'anni sono pericolosi.

FRANCO PALERMI         - E quando morì?

DAMIGELLA                      - Dieci anni fa, a Costantinopoli.

FRANCO PALERMI         - Ha un ritratto di lui?

DAMIGELLA                      - Parecchi, te li mostrerò. Ma adesso non farmi troppe domande altrimenti mi confondo a vestirmi.

FRANCO PALERMI         - Vuole che l'aiuti?

DAMIGELLA               - (scandalizzata) No, ti pare? E vero che sei mio nipote, ma, sei pur sempre un giovanotto.

FRANCO PALERMI         - E mio padre era più giovane di lei?

DAMIGELLA                      - Eh... più giovane dì me? Certo.

FRANCO PALERMI         - II Nigra gli voleva bene, dunque, se lo tenne sempre come suo segretario a Pietroburgo, a Vienna...

DAMIGELLA                      - Voleva bene anche a lui, sì.

FRANCO PALERMI         - E anche A lei?

DAMIGELLA               - A me? Eh... anche a me... Ero carina sai?... Guarda qui  alla  parete  il   mio ritratto, quando avevo diciannove anni.

FRANCO PALERMI         - (ride)

DAMIGELLA               - Eccomi. (Appare vestita in un modo buffìssi-mo, con vecchia roba scompagnata, con un cappellino vecchio come lei stessè) Andiamo. Oh! un momento... le lettere... prendiamo le lettere. Ecco qua. Sono tutte contenute in questo scrigno. Lo porti tu? Fa attcn-zione, bada a non lasciarlo cadere; ma è prezioso. (Consegna lo scrigno a Franco).

FRANCO                      - (la guarda così vestita, notandone la cornicila con un sorrisa indulgente ed affet­tuoso) Oh, com'è bella, sciai

DAMIGELLA                      - Bella? Andiamo, non scherzare, piuttosto dimmi: ti sembro presentabile al MARCH. DI POMBIA?

FRANCO PALERMI         - Ma certo, andiamo!

DAMIGELLA                      - Scendiamo; da questa scala interna ai fa più presto.

MADAMA POZZETTI        - (entrando) È permesso? (Allibisce vedendo la DAMIGELLAvestita a quel modo) Oh, dove va?

DAMIGELLA               - (impaziente, affrettata) Torno giù, al piano nobile. ...Eh, cara si­gnora Ponzerei, ridiscendo.

MADAMA POZZETTI        - (a Franco) E l'accompagna lei?

FRANCO PALERMI         - Si, signora.

DAMIGELLA               - Ci lasci andare... Ci lasci andare... (Ha infi­lato il suo braccio nel braccio di Franco e fa per avviarsi verso la porticina del fondo).

MADAMA POZZETTI        - (avvicinatasi alla stufa e data un'occhiata at pentolino che vi sta su) Non ha neanche bevuto il latte che le ho portato.

DAMIGELLA                      - Non ho avuto tempo. E poi... che latte! che latte! Non ho bisogno di nulla. Ca'm lasa and}... ca'm Iosa andì... (via).

MADAMA POZZETTI        - (allarga le traccia come a dire: « È impaz­zita ìi).

ATTO   TERZO

Salone sontuoso al piano nobile del Palazzo Di Bari, Porto nel mezzo, in fondo, forte a sinistra e.a destra, fa primo piano, (All'aprirsi del velario sono in scena ReNée, e suo fratello Vittorio, tenente di Cavalleria, in divisa).

RENEE’                         - Dunque prendi parte al Concorso Ippico?

VITTORIO                    - Coi cavalli che ho? E come faccio? Se papà non mi dà i quattrini per comperare Un cavallo adatto...

RENEE’                         - (ridendo) È una bugia, Vittorio! Te la leggo negli oc­chi. Tu vuoi che papà ti dia dei quattrini, ira non per comperare un nuovo cavallo. So tutto, va là...

VITTORIO                    - JteneV, tu sai sempre tutto e ilon sai mai niente, Mi domandi se partecipo al Con­corso Ippico? E io ti rispondo: « Coi ca­valli che ho, no». Brutte figure non ne voglio più fare. A Pinerolo, i cavalli peg­giori sono i miei. Domandalo ai miei col­leghi.

RENEE’                         - Allora, il torto è, tuo che non sai comprare. Pouff... non l'hai comprato sei mesi fa? Quando lo dovevi comprare, non dicevi che era un cavallo straordinario?

VITTORIO                    - Che vuoi farci?... Durante un salto si è azzoppato.

RENEE’                         - Ecco, questa, poi, è una bugia grossa come il palazzo di Madama. (Gli si ì avvicinata, ridendo gli mette k mani sulle spalle scher­zosa e affettuosa) Ma parlami di lei; m'in­teressa più dei cavalli, Com'è? Molto bella? Dove la tieni?

VITTORIO                    - Eh»,, una signorina non deve domandare cer­te cose!...

RENEE’                         - Ma al proprio fratello... Spero non farai lasciocchezza di tenerla a Pinerolo!

VITTORIO                    - Non ti dico niente.

RENEE’                         - E allora io non ti aiuto, non cerco di con­vincere papà a darti i quattrini per com­prare un nuovo cavallo,

CAMERIERE               -  (entra del fondo)

VITTORIO                    - Che volete, Giuseppe?

CAMERIERE                       -  Il signor Marchese.

RENEE’                         - E’ di là nello studio. Perché? È,venuto qual­cuno?

CAMERIERE                       - La DAMIGELLA Di Hard e il signor Coman­dante Palermi chiedono di parlare al si­gnor Marchese,

RENEE’                         - (smpitissima) Che avete detto? Il Comandante Palermi?

CAMERIERE               - SI, signorina... e di là in anticamera.

VITTORIO                    - Con la Damigelk di Bard? Quella vecchina che abita in soffitta?

RENEE’                         - È impossibile! Voi avete le traveggole, Giu­seppe,

CAMERIERE               - Oh, signorina, le assicuro...

VITTORIO                    - (a Renee’) Va in anticamera a vedere. Già, e se papà mi sorprende con Franco? Vai tu, piuttosto. È molto strano! Non ca­pisco!

VITTORIO                    - Senti, hanno chiesto un colloquiò con papà. Facciamoli entrare. (al cameriere) Fate en­trare.

CAMERIERE               - E poi avviso il signor Marchese?

VITTORIO                    - No; aspettate.

CAMERIERE               - (via)

RENEE’                         - Oh Dio! Franco qui! Che sarà accaduto?

VITTORIO                    - E che vuoi che sia accaduto? Non comin­ciare a spaventarti. (S'apre la porta del fon­do ed entra la Damioeua di Bar» al brac­cio di Franco Paurmi. Qualche attimo di sorpresa, poi Vittorio, vedendo là vecchio così buffamente agghindata, non sa tratte­nere il riso).

DAMIGELLA                      - Cara Etnee...

RENEE’                         - (le muove incontro).

DAMIGELLA               - ! Quale sorpresa! E tu Franco?...

FRANCO                      - Ti ipiegheto, Renee... Addio, Vittorio.

VITTORIO                    - Ciao.

DAMIGELLA                      - Questo bel giovane chi è?

RENEE’                         - Mìo fratello Vittorio,  DAMIGELLA.

VITTORIO                    - (s'inchina)

DAMIGELLA                      - Vittorio! Già un uomo! Mi pare ieri che eri al» cosi.

FRANCO                                - La signorina Di Bard desidera conferire con vostro padre; deve comunicargli delle cose importanti,DAMIGELLA importantissime !

FRANCO                      - Sì, importantissime.

DAMIGELLA                      - E preferisco essere sola col Marchese. Franco, però non ti allontanare, e nemmeno tu, Renee.

RENEE’                         - (un po' spaventata, fa segno a "Franco per domandare: « Ma che c'è? »)

VITTORIO                    - (va al fondo e chiama) Giuseppe! GIUSEPPE  (appare)

VITTORIO                    - Dite a papi che la DAMIGELLA           di Bard desi­dera parlargli.

CAMERIERE               - (attraversa la sala ed esce)

VITTORIO                    -....Va bene?

DAMIGELLA               - (a Franco) Lo scrigno posalo qua, sul tavolino. Ed ora andate.

FRANCO E RENEE’ (escono portando sottovoce) Vittorio (li segue)

DAMIGELLA               - (si guarda attorno ed è  evidente che, ripensa al tempo in cui ella abitava quei saloni), MARCH. DI POMBIA (poco dopo entra da sinistra. Si termo sor­preso a guardare la vecchina così com'è ag­ghindati. Egli è un austero signore, eie-legante, molto aristocratico. Accenna un piccolo inchino, inuano celando il suo im-baraxxo)DAMIGELLA!

DAMIGELLA               - (sorridente, sicura, serena) Caro Marchese... Da quanto tempo non ci vediamo! (di offre la mano da baciare e poiché io vede incerto, insiste sempre con la mano tesa). A una zitella dai 60  anni in su, si può baciare la mano.

MARCH. DI POMBIA - (le bacia la mano suo malgrado, gli passa sul viso il dubbio se non abbia a che fare con una pazza).DAMIGELLA, come va? In che posso servirla? Si accomodi.

DAMIGELLA                      - Non sono stanca, grazie. Do un'occhiata, se permette. Noi non sì riceveva in que­sta sala, d'inverno è fredda... difficile a scaldarsi, ai miei tempi non c'erano i ter­mosifani. Che bei quadri! So che Casa Di Pòmbia ne possiede di bellissimi. Ave­te un Rembrandt, se non sbaglio; ricordo d'averlo visto nel vostro cartello di Mazzi. Oh, tanti anni fai Tanti tanti! Lei forse non era neanche nato.

MARCH. DI POMBIA - Eh, già

DAMIGELLA                      - Senta: siamo andati a trovare il tuo povero padre a Mazze... Massimo d'Azeglio, un certo onorevole Mottino di Agiti, grande elettore ed amico del D'Azeglio, mio pa­dre, mìa madre, mio fratello Fernand e e una delle ragazze Conarac... nell'an­no... aspetti...

MARCH. DI POMBIA - Che memoria!

DAMIGELLA               - E allora ho visto per la prima volta il Vo­stro Rembrandt. Molto grande. Un bel Rembrandt, L'avete ancora, immagino.

MARCH. DI POMBIA - Vuoi che si venda un Rembrandt? Un te­soro di famiglia?

DAMIGELLA                      - Ah! Certo! Non ti dovrebbe mai vendere! Ma delle volte... le circostanze portano... Non parlo per lei! Dio mi guardi! So be­nissimo com'è solida la sua fortuna, Mar­chese! Parlo per me che ho dovuto a poco a poco vendere tutto. Oggi, per esempio, avrei avuto l'occasione di vendere, a un Senatore di Abbiate grasso, certe lettere di Costantino Nigra, importanti, che ho sem­pre conservato gelosamente... Le ho por­tate, eccole qua, permette... (Prende lo scrigno dal tavolino e lo apre).

MARCH. DI POMBIA - Ma io... non faccio collezione di carteggi. Non me ne intenda

DAMIGELLA                      - Lo so, Marchese.

MARCH. DI POMBIA - Metta via, metta via : le lettere private, poi, non mi interessano, anche se scrìtte da uo­mini illustri.

DAMIGELLA                      - Pure, qualcuna di queste, vedrà che la inte­ressa. Almeno, spero.

MARCH. DI POMBIA - (seccato) Le dico che io non compero lettere vecchie.

DAMIGELLA                      - Né io glie le venderei: neanche per tutto l'oro del mondo.

MARCH. DI POMBIA - (stupito) E allora? Che vuole da me?

DAMIGELLA                      - Un po' di pazienza, Marchese. Forse, appena entrato, vedendomi qui in casa stia, ha pensato che io fossi impazzita. Dica la ve­rità! Confinata lassù nel regno dei cieli... Lei sa dove abito, vero?

MARCH. DI POMBIA - Si, lo so: in soffitta. E mi fa molta pena.

DAMIGELLA                      - Grazie! Dicevo:... confinata lassù, lei ha pen­sato: vecchia, miserabile, se scende al pia­no nobile, che «osa può mai chiedere? L'e­lemosina! Invece non sono scesa per una cosa che riguardi me direttamente, ma sua figlia e un bravo giovanotto che le vuol bene.

MARCH. DI POMBIA - (scattando in piedi) Si tratta ancora dì quel Palermi? Mi pare di avergli fatto capire con chiarezza qual è la mia volontà.

DAMIGELLA               - Non se la prenda con lui. Sì calmi. Io co­nosco il sentimento di Renée riguardo a quel giovane. Renée fu tanto buona da venirmi a trovare, qualche volta, su in sof­fitta...

MARCH. DI POMBIA - (indìgnatìssìmo) Mia figlia ha approfituto della sua soffitta per trovarsi con Palermi? E lei s'è pre­stata?

DAMIGELLA               - (con una calma dolorosa)Oh, Marchese! Una Di Bard può vendere tutto della sua casa, perdere fino all'ultimo centesimo, ma l'onore.., così Mi stupisce! Mi addolora!

MARCH. DI POMBIA - La prego di scusarmi.

DAMIGELLA                      - Renée è venuta da me... perché è una brava, una pietosa ragazza. Non s'è mai trovata in casa mia con Franco; ma mi ha aperto il suo animo, mi ha confidato il suo amo­re. Ed è un amore puro, profondo, di quelli che non bisogna soffocare nell'ani­ma di una figliola d'oggi, cosi aposta» tanti allettamenti passeggeri...

MARCH. DI POMBIA - sì  capisco... io ammetto anche che il Pa­lermi sia un bravissimo ragazzo... Ma io non voglio... non posso dare mia figlia a un...

DAMIGELLA               - So che parola vuol dire. Non la dica, Mar­chese. La prego! Offenderebbe anche me, inutilmente.

MARCH. DI POMBIA - Lei?

DAMIGELLA                      - Franco è si un figlio illegittimo, ma è mio nipote... figlio di mio fratèllo.

MARCH. DI POMBIA - (sbalordito) Di Fernand?

DAMIGELLA               - Di Fèrnand e della San Germano. LeìconWce la storia, vero? E chi non la conosce nelle vecchie famiglie torinesi?

MARCH. DI POMBIA - Ma come ! Ma da quando è venata fuori que­sta rivelazione?

DAMIGELLA                      - Dà poco, da pochissimo tempo. Lui stesso, i! ragazzo ha sempre ignorato. Sapeva chi fosse sua madre, ma suo padre no! Ebbe­ne, la prova e in queste lettere che Nigra ha scritto a me. Ecco, perché glie le ho portate. Vuol  leggere?  Guardi, guardi... (Apre lo scrigno, s'appresta a sciogliere un pano).

MARCH. DI POMBIA - No, lasci. Non occorre. Credo. (Una- pausa) Figlio di Fcmand!

DAMIGELLA               - (umilissima) Mio nipote...

MARCH. DI POMBIA - E sta bene, Ma con questo? Che il Palermi sia figlio di un Di Bard e di una San Ger­mano, prova che ha del sangue nobile nelle vene. Pero, et quale tresca è venuto fuori questo figliolo? Da quale scandalo! Quan­d'egli è nato, Fernand aveva moglie, la San Germano marito; rimane sempre...

DAMIGELLA                      - Lei sa che sua madre, morto il marito, ha potuto lasciargli la sua fortuna.

MARCH. DI POMBIA - Questo e il meno! È questione del nome.

DAMIGELLA                      - Lei fa dunque soltanto la questione del nome!

MARCH. DI POMBIA - Non le pare che sia una questione impor­tante per uno del mio casato che deve dar marito alla propria figliuola?

DAMIGELLA                      - Ma, un momento! Se lei fa soltanto la que­stione del nome... Franco può assumere quello di suo padre, quando vuole.

MARCH. DI POMBIA - E come lo può se suo padre è morto senia riconoscerlo?

DAMIGELLA               - Ma lo adotto io. Non mi chiamo Di Bard, io, come il padre dì Franco? to sono l'ul­tima del mìo casato, con me il nome si spegne; ebbene, lo lascio a lui, vuol dire che continuerà in lui. Posso...?

MARCH. DI POMBIA - Certo!

DAMIGELLA                      - Pensi che gioia! Posso ancora lasciare un'e­redità!

MARCH. DI POMBIA - È una grande eredita: il suo nome.

DAMIGELLA                      - Mi pare dì ritornare ricca, come quando vi­vevo qui.

MARCH. DI POMBIA - E qui «Micinuerà a vivere, ormai fra noi (Le prende la mano).

DAMIGELLA                      - Davvero? Oh, signor Marchese!

MARCH. DI POMBIA - Come nonna di Franco!

DAMIGELLA               - Grazie, irto nonna, no, mi sembra troppo strano, m'invecchia! Bisogna chiamare quei ragazzi, sono di lì!

MARCH. DI POMBIA - Ma come! Franco è qui?

DAMIGELLA               - E’ venuto con me. (Si alza e cammina)

MARCH. DI POMBIA - Si sente male?

DAMIGELLA                      - No! L'emuzione!

MARCH. DI POMBIA - Qualche cosa, dei sali, cognac. (Chiamando) Venite, ragazzi. (Entrano RenÉE, Vittorio e Franco) immagino che avrete ascoltato.

RENEE’ E FRANCO         - Papà... Marchese...

VITTORIO                             - Io ho solo retto il lume.

MARCH. DI POMBIA - Renée, porta subito dei sali per la DAMIGELLA .

DAMIGELLA                      - No, no. Piuttosto un caffè e latte, da due giorni non mangio.

MARCH. DI POMBIA - Renée, corri, voi, voi correte, correte, (Tutti via metto Vittorio).

(MARCHESE bacìa la mano della Damigella).

VITTORIO                    - E a me permette che le dia un baciò?

DAMIGELLA                      - Mi fari piacere, anzi... E il primo bacio di un giovanotto!

CAMERIERE               - (entra col vassoio)

FRANCO                      - (entra portando la colazione del caffè)

RENEE’                         - (entra con quella del latte)

TUTTI                            - (sì avvicinano premurosamente per servire la DAMIGELLA).

DAMIGELLA               - Adesso mi pare proprio di essere già in Paradiso!

TELA