La dolce follia

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LA DOLCE FOLLIA

Commedia in tre atti

Di VINCENZO TIERI

PERSONAGGI

ILARIO TRIS

DANIELE GUISA

LEONE RUFFINO

IL Cameriere

PRIMO MARGUTTA

UN SIGNORE

UN ALTRO SIGNORE

LIONELLA SERA

NORA

SOFIA

MINA

L’azione avviene in una grande città, ai nostri tempi. Fra il secondo e il terzo atto passa qualche mese.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

La sala di un piccolo caffè periferico. Pochi ta­voli. La porta d'entrata a destra: la porta di ser­vizio a sinistra. Pomeriggio autunnale. Quando si alza la tela, la sala è deserta e tale rimane per alcuni secondi.

Cameriere                      - (entra dalla sinistra, dà un'occhiaia in giro come per vedere se tutto sia in ordine. Passa il tovagliolo sul piano di qualcuno dei tavoli, spolvera qualche sedia, si spolvera le scarpe, si guarda nello specchio che è su una una delle pareti, si pettina, esce dalla sinistra dicendo ad alta voce verso l'interno) Nessuno. Niuno. Veruno. (Segue un parlottare sommesso nell'interno di sinistra accompagnato da qual­che rumore proprio del retrobottega di un caffè. Poco dopo dalla destra entra in fretta Lionella Sera, donna di una trentina d'anni, molto elegante, nervosa).

Lionella                         - (siede al primo tavolo di destra, butta violentemente la borsetta sul tavolo, incomincia a levarsi i guanti).

Daniele                          - (che ha seguito Lionella senza cono­scerla appare a sua volta sulla soglia di destra).

Lionella                         - (che avverte la presenza di Daniele pur non vedendolo) Uffaaa!

Daniele                          - (imperterrito, senza parlare, siede a un tavolo vicino a quello occupato da Lionella).

Lionella                         - (indispettita, si alza e va a sedere a un tavolo di sinistra).

Daniele                          - (dopo qualche attimo si alza a sua volta e va a sedere a un altro tavolo, vicino a quello scelto da Lionella).

Lionella                         - (non potendone più) Insomma, si­gnore, io vi prego di lasciarmi in pace!

Daniele                          - Bisognerebbe che anche voi lasciaste in pace me.

Lionella                         - Come sarebbe a dire?

Daniele                          - Sarebbe a dire che voi mi prece­dete dovunque io vada.

Lionella                         - (con irritazione e ironia) Ah, siete anche spiritoso?

Daniele                          - No, signora. Sono innamorato.

Lionella                         - Innamorato di chi?

Daniele                          - Di voi.

Lionella                         - Di me?

Daniele                          - E di chi potrei essere innamorato io, se non di voi?  È una settimana che non trovo altra donna che voi sulla mia strada. La mattina, il pomeriggio, la sera; al centro alla periferia; in tram, in autobus; al caffè, in teatro...

Lionella                         - (a denti stretti) In ogni tempo e in ogni luogo, insomma!

Daniele                          - Sì.

Lionella                         - (c. s.) Sono l'unica donna che esista sulla faccia della terra.

Daniele                          - Sì.

Lionella                         - Tutte le altre donne sono scom­parse, sparite, morte.

Daniele                          - Per me sì. Voglio dire che io non le vedo.

Lionella                         - Ah, ecco!  E soltanto per questo... difetto della vostra vista, io non sono più padrona di fare due passi senza avervi alle mie calcagna!

Daniele                          - Alle vostre calcagna è legato il mio destino. (Entra dalla sinistra il Cameriere).

L'azione avviene in una grande città, ai nostri tempi. Fra il secondo e il terzo atto passa qualche mese.

Cameriere                      - Buongiorno, signori. (Si avvicina) Comandate?

Lionella                         - Uri tè.

Cameriere                      - Un tè completo?

Lionella                         - Si.

Cameriere                      - (dopo essersi accertato con lo sguardo che Lionella e Daniele non stanno insieme pur essendo seduti vicinissimi) Un tè com­pleto anche per voi, signore?

Daniele                          - Si.

Cameriere                      - Forse i signori preferiscono unire i due tavoli?

Lionella                         - (rapida) Ma no!  Perché?

Cameriere                      - Chiedo scusa, signora. Credevo che foste insieme. (Esce rapido per la sinistra ordinando nell'interno ad alta voce). Due tè completi!

Lionella                         - (a Daniele) Non avrete deciso, spero, di compromettermi anche agli occhi del mondo!  Potreste cambiar posto, almeno!  O è troppo quello che chiedo?

Daniele                          - Nulla mi è più dolce che obbedirvi, signora. (Si alza). Ecco. Obbedisco. (Va a sedere al primo tavolo di destra). Va bene cosi?

Lionella                         - (con tono conciliante) Sentite, signore. Io desidero che fra me e- voi non nascano equivoci.

Daniele                          - Né equivoci... né altro, signora.

Lionella                         - (dopo un moto d'impazienza, con tono ancora conciliante) Se voi siete, come spero, un gentiluomo...

Daniele                          - Io spero, a mia volta, che genti­luomo, per voi, non sia sinonimo di uomo falso, vile, rinunciatario....

Lionella                         - Intendo dire uomo di sentimenti nobili e generosi.

Daniele                          - Nulla è più nobile e generoso dell'amore, signora. Io sono un uomo innamo­rato.

Lionella                         - (scattando) Ma come avete fatto a innamorarvi di me, se non mi conoscete nemmeno di vista?

Daniele                          - Oh, signora!  Io vi conosco cosi bene di vista che potrei descrivervi a occhi chiusi. (Chiude gli occhi). Volete che mi provi?  (Enumerando). Fronte alta, occhi neri...

Lionella                         - Finitela, di fare lo spiritoso!

Daniele                          - (serio) E un modo come un altro per farmi coraggio, signora. Quello che voi chiamate il mio spirito è la maschera della mia timidezza. Pensate che in una intera settimana, soltanto oggi ho trovato la forza di rivolgervi la parola. E forse sarei rimasto muto ad ammirarvi chi sa quanto tempo ancora, se voi, per la prima, non aveste in­terrotto la mia dichiarazione silenziosa. La­sciate che ve lo ripeta, signora: io vi amo.

Lionella                         - (con impazienza) Mi amate, senza sapere nulla di me?

Daniele                          - Nessun uomo innamorato sa mai nulla della donna che ama. L'amore non è conoscenza; è passione.

Lionella                         - Di modo che se io fossi una ma­lata... una vipera... un demonio....

Daniele                          - Voi siete un angelo, signora: l'an­gelo delle mie speranze e de' miei sogni.

Lionella                         - E non vi ponete neanche l'ipotesi che io possa non amarvi?  

Daniele                          - Non è necessario che l'ape sia amata dal fiore di cui si nutre.

Lionella                         - Già. Ma io sono un fiore che non si presta al nutrimento dell'ape.

Daniele                          - E io sono un'ape che si accontenta di ronzare intorno al fiore, con la speranza che un giorno o l'altro la pietà del fiore...

Lionella                         - Vi avverto che io sono spietata.

Daniele                          - Aspetterò. (Entra dalla sinistra il Cameriere che reca i due tè).

Cameriere                      - (servendo il tè a Lionella) Ecco, signora. (E poi servendo il tè a Daniele) Ecco, signore.

Daniele                          - (sottovoce al Cameriere) Conoscete quella signora?

Cameriere                      - (sottovoce) No, signore. Questo locale non ha « habitués ». Chi ci sia capitato una volta... non ci ritorna più.

Daniele                          - Ah, bene!  E perché?

Cameriere                      - Non so, signore. Tante cose, nella vita, avvengono senza un perché. Avven­gono cosi... per caso...

Daniele                          - (che intanto ha assaggiato il tè e lo ha trovato stomachevole, facendo le boccacce) Già, già, capisco.

Lionella                         - (che ha anche lei assaggiato lo stoma­chevole tè) Cameriere! Ma che roba è questa?

Cameriere                      - (voltandosi) Tè, signora.

Lionella                         - Tè?  Io direi acido prussico, arse­nico, curaro...

Cameriere                      - Posso cambiarlo, signora, se vo­lete. Ma non c'è da sperare gran che dal cam­bio. Il proprietario di questo locale non ha nessun interesse di farsi una clientela. Daniele        - Ma allora perché non chiude?  Cameriere         - Chiuderà. Ma ci vuol tempo. La città è popolosa. Fino a quando tutti i cit­tadini non ci saranno passati...

Lionella                         - Viva la sincerità!

Cameriere                      - Il proprietario non ha paura che la voce si divulghi, signora. Perché 'questo è un locale per coppie clandestine, e nessuna dama, nessun gentiluomo confesseranno mai d'esserci stati. Con permesso, signori. (Esce rapido per la sinistra).

Lionella                         - (irritata a Daniele) E anche questo, lo debbo a voi! Io sono entrata qua dentro, solo per sottrarmi alla vostra persecuzione. (Si alza, minacciosa) Adesso telefono a mio marito che venga a prendermi; e cosi... (È arrivata alla porta di sinistra, domanda nell'interno) Dov'è il telefono, per piacere?

Cameriere                      - (dall'interno) A destra, signora. (Lionella esce per la sinistra; il Cameriere riap­pare sulla soglia).

Daniele                          - (al Cameriere) Ma come vi è venuto in mente di dire alla presenza della signora che questo caffè è un ritrovo di coppie clan­destine?  Dopo tutto, non mi pare. Non c'è nessuno.

Cameriere                      - Signore, io sono stato licenziato dal proprietario; quindi...

Daniele                          - Una vendetta, dunque!  E forse an­che il tè, lo avete reso imbevibile voi stesso per allontanare dal locale gli avventori...

Cameriere                      - Ma no, signore. Il tè è imbevi­bile per merito suo. 13 del resto nessuno al mondo verrebbe in questo locale per bere tè o altro. Qui non si beve e non si mangia.

Daniele                          - E cosa si fa, allora?

Cameriere                      - (dopo aver alzato le spalle) Non lo so, signore. Ogni tanto arriva una coppia che sale a una delle camere del primo piano : e io non ho l'abitudine di spiare dal buco della serratura...

Daniele                          - (lungo) Ahaaa! Ecco.

Cameriere                      - Ecco. (Esce per la sinistra. Rientra dalla sinistra Lionella).

Lionella                         - Ho telefonato a mio marito! Adesso vedremo se... (Siede).

Daniele                          - (si alza) Mi dispiace, signora, di avervi irritata. E mi dispiace sopratutto che per colpa mia voi siate entrata in un locale come questo. Io non sapevo che... Vi assi­curo che il mio amore per voi è profondo e rispettoso. Vedete che smetto di fare dello spirito. Voi forse pensate che io vi abbia seguita tanti giorni per il semplice gusto dell'avventura. No, signora. Vi ho seguita perché veramente mi sono innamorato di voi...

Lionella                         - Strano amore...

Daniele                          - Strano per voi, non per me. Sono molti anni che io penso a una donna come voi, e potrei dire addirittura a voi, perché voi eravate già nella mia attesa cosi come siete. Vedervi e riconoscervi fu per me come riempire un lungo vuoto della mia memoria. Nei miei sentimenti c'era già un posto per voi, il posto più importante...

Lionella                         - Sarà. Ma intanto avrete sentito che io sono maritata...

Daniele                          - I matrimoni si sciolgono, signora, anche dove non esiste il divorzio.

Lionella                         - Oh, perbacco. Voi, dunque, chie­dete già la mia mano.

Daniele                          - Si, signora.

Lionella                         - Una mano, naturalmente, che io dovrei levare a mio marito per darla a voi...

Daniele                          - Appunto, signora.

Lionella                         - (lo guarda) Siete veramente un tipo straordinario!

Daniele                          - Non abbastanza per essere degno della straordinaria grazia di cui siete ricca. Ma io spero che il mio amore possa rendervi felice.

Lionella                         - Di modo che pensate che fra poco, quando verrà mio marito, io dovrei dirgli : « ti presento il nuovo pretendente alla mia mano », e congedarlo.

Daniele                          - Non è necessario che lo facciate voi, signora. Posso farlo io.

Lionella                         - Ah si? Ma che bravo! E mio marito naturalmente, vi risponderà subito: « prego, accomodatevi... ».

Daniele                          - Non so quello che mi risponderà vostro marito. Immagino che sarà penoso per lui rinunziare a una donna come voi. Ma il .suo amore non può essere più forte del mio, perché il mio amore è più forte di tutto; e non c'è battaglia in cui non vinca il più forte.

Lionella                         - (dopo averlo guardato a lungo) Scu­sate, signore; ma voi mi fate dubitare delle vostre facoltà mentali...

Daniele                          - Non escludo che l'amore possa essere una pazzia.

Lionella                         - (dopo aver fatto segni di sbalordimento e di disperazione) Siate buono, signore. Evitate a me e a voi incidenti spiacevoli. Io ho chiamato mio marito per giustificare la mia presenza in questo luogo a quest'ora; l'ho chiamato anche- non ve lo nascondo - con l'intenzione di farvi paura. Ma ora ne sono pentita. Lasciatemi, signore; allonta­natevi. Non provocate una tragedia; non mi mettete in imbarazzo. Io sono una donna onesta e mio marito non è uomo da soppor­tare avventure tanto sgradevoli. Se veramente mi amate, non respingete la mia preghiera!

Daniele                          - Se io accogliessi la vostra preghiera, voi mi giudichereste vile, non credereste al mio amore.

Lionella                         - Ma no, ma no! Vi giudicherei saggio, e crederei molto di più al vostro amore.

Daniele                          - Il mio amore m'impone di disob­bedirvi. Avvenga quello che vuole! (Ritorna il cameriere dalla sinistra).

Cameriere                      - (con un cenno d'intesa a Lionella) Signora, se volete accomodarvi...

Lionella                         - Si, grazie. (Prende rapidamente la borsetta e esce per la sinistra).

Daniele                          - (al cameriere) Dov'è andata?

Cameriere                      - Dal proprietario. Aveva chiesto al proprietario un tè speciale e...

Daniele                          - Non potrei avere anch'io un tè speciale?

Cameriere                      - Provo a chiederlo, signore. Ma, sebbene il proprietario si sia rimangiato il mio licenziamento, non so se la mia richiesta sarà accolta. (Riprende le tazze dei due tè che aveva servito). Solo, signore, ci sarà forse da aspettare un poco.

Daniele                          - Non ho fretta, perché attendo una persona.

Cameriere                      - Ah, be'! Se attendete una per­sona, il tè speciale vi sarà servito. Con per­messo, signore. (Esce per la sinistra).

Daniele                          - (fra sé) Strano caffè! (Passeggia lungo la sala nervosamente. A un tratto dalla destra entra Ilario Tris. È un uomo fra i cinquanta e i sessant'anni, ben vestito, dall'aria vissuta. Guarda nella sala come se cercasse qualche cosa o qualcuno. E Daniele, immaginando che egli cerchi Lionella, gli dice improv­visamente). Non c'è.

Ilario                             - (senza sorpresa) Eh, lo vedo,

Daniele                          - Ci sono io invece.

Ilario                             - Ah, ci siete voi? (Una pausa. Lo guarda con un indefinibile senso di stupore). Non è la stessa cosa, mi pare.

Daniele                          - In un certo senso, è la stessa, perché quello che doveva dirvi lei posso dirvelo io.

Ilario                             - Voi?

Daniele                          - Vi prego di accomodarvi.

Ilario                             - (guarda due volte intorno a sé, poi guarda Daniele, poi guarda per terra come per riflet­tere, poi dice). Mah! (e siede). Eccomi accomo­dato. Dite pure.

Daniele                          - (nervosissimo) Bisogna innanzi tutto che voi e io c'intendiamo su alcuni principi, dirò cosi, d'indole generale.

Ilario                             - Come volete.

Daniele                          - Se un uomo s'innamora di una donna maritata, ha il diritto di esprimere il suo amore, o deve tacerlo, nasconderlo, sof­focarlo?

Ilario                             - Non capisco a che miri la vostra domanda; ma posso rispondervi. Secondo il pretore di Nereto, l'innamorato di una donna maritata non ha il diritto di esprimere il suo amore.

Daniele                          - Ah non l'ha?

Ilario                             - Il pretore di Nereto dice che non l'ha. Un giovane di Nereto, appunto, si era innamorato di una donna maritata e le aveva scritto una lettera d'amore. Trasci­nato dinanzi al pretore, il giovane è stato condannato come responsabile del delitto d'ingiuria : articolo 594 del Codice Penale.

Daniele                          - Possibile?

Ilario                             - Più che possibile. Certo. La sentenza del pretore di Nereto è stata convalidata perfino dalla Cassazione; la quale ha affer­mato che una dichiarazione d'amore a una donna maritata è lesiva dell'onore e della reputazione di lei.

Daniele                          - (con preoccupazione, dopo una breve pausa) E... voi siete... dello stesso parere?

Ilario                             - (stringendosi nelle spalle) Mio Dio! Io non so quanti uomini sarebbero a piede libero, se tutte le donne maritate denunziassero i loro corteggiatori. Ma la sentenza esiste, è entrata nella giurisprudenza. Meglio evitarne l'applicazione ai propri danni.

Daniele                          - (perplesso, saggiando il terreno) Di modo che voi, se v'innamoraste di una donna maritata...

Ilario                             - Non le farei nessuna dichiarazione.

Daniele                          - In altri termini, rinunziereste a lei.

Ilario                             - Rinunzierei alla dichiarazione, non a lei.

Daniele                          - E come?

Ilario                             - Amandola - diciamo cosi  - senza dirle « ti amo ». Io sono piuttosto... silenzioso... durante l'amore. (Sorride. Una pausa). Ma... scusate, signore : non ho capito perché io e voi dobbiamo discutere di queste cose.

Daniele                          - Perché ... Ma permettetemi prima un'altra domanda.

Ilario                             - (rassegnato) Prego.

Daniele                          - Se un uomo s'innamorasse di vostra moglie e volesse sposarla, voi che cosa direste?

Ilario                             - (dopo una breve riflessione) Glie la lascerei sposare.

Daniele                          - Senza ribellarvi?

Ilario                             - E perché dovrei ribellarmi? Non capita tutti i giorni di poter cedere tanto facilmente una moglie usata. Anche nei paesi dove esiste il divorzio i casi di cessione sono difficili, appunto perché la maggior parte degli uomini... ha il gusto delle primi­zie.

Daniele                          - Ho capito, signore. Voi siete un cinico. Meglio cosi. Potete prepararvi alla richiesta di qualcuno che desidera sposare vostra moglie.

Ilario                             - Sono preparatissimo.

Daniele                          - Bene. Questo qualcuno sono io.

Ilario                             - Piacere.

Daniele                          - Il piacere è mio, grazie. Io sono un uomo onesto. Avrei potuto corteggiare, insidiare, corrompere vostra moglie; in altri termini avrei potuto mancare di rispetto a voi e a lei. Invece no. Mi presento a voi secondo le regole della convivenza civile. Sono Da­niele Guisa, proprietario terriero, di famiglia patrizia, solo, scapolo. Volete farmi l'onore di concedermi la mano di vostra moglie?

Ilario                             - No.

Daniele                          - Come no? Allora debbo credere che voi la pensiate teoricamente in un modo e praticamente in un altro. La vostra secca risposta negativa è in contrasto con le chiare idee che avete espresso poco fa. Qual'è la ragione per cui voi non volete concedermi la mano di vostra moglie?

Ilario                             - La ragione, signore, è che io non ho moglie.

Daniele                          - Non avete moglie?

Ilario                             - No.

Daniele                          - Possibile?

Ilario                             - E perché dovrei averla, signore? Nella mia vita ho conosciuto centinaia di uomini che non hanno moglie; nè me ne sono meravigliato. Il matrimonio non è un istinto; è il frutto di una violenza, o, se vogliamo essere più blandi, di una educazione. Ci si educa al matrimonio cosi come ci si educa al lavoro e al rispetto della proprietà altrui: tutte cose che sono in contrasto con il nostro istinto. Tanto è vero che si sono dovute creare delle leggi contro il furto, contro l'ozio, contro il meretricio appunto per evitare che la gente rubi o viva oziosa o si abbandoni... al libero amore.

Daniele                          - (che non si rende ancora conto della situazione) Scusate, signore; ma voi non siete venuto qua in cerca di vostra moglie?

Ilario                             - Io?  Né in cerca di mia moglie, né in cerca di moglie in generale.

Daniele                          - Ma quando voi siete entrato e io vi ho detto « non c'è » alludendo appunto a vostra moglie, voi mi avete risposto: « lo vedo ».

Ilario                             - Vi ho risposto « lo vedo » senza sapere che voi alludeste a mia moglie; ma non vi avrei risposto altrimenti, anche se lo avessi saputo. (Si alza, spiega) Signore, io ho viag­giato molto, e ho imparato che per conoscere la vita bisogna rassegnarsi a essere scambiato sempre per un altro. La prima ragione per cui gli uomini non conoscono abbastanza la vita è che essi pongono attenzione, porgono ascolto, sono fatti segno soltanto a quello che li può direttamente e personalmente interes­sare. Io non saprò mai quello che si dice o si può dire- mettiamo - al Re d'Inghilterra o al filosofo Jung se non sarò scambiato per il Re d'Inghilterra o per il filosofo Jung. Cambio spesso residenza appunto per evitare che la gente impari a distinguermi bene e a parlarmi solo di quello che mi riguardi. Ora è chiaro che voi mi avete scambiato per il marito della donna che vorreste sposare. E come avrei fatto io a sapere che si può chiedere la mano della moglie di un altro addirittura al marito di quella moglie, se avessi subito chiarito l'equivoco?  Se mi avessero raccon­tato un fatto simile, non lo avrei creduto o per lo meno lo avrei attribuito alla fantasia di un pazzo. Invece adesso non solo lo credo ma so anche che posso attribuirlo alla fantasia di un savio. Ammesso, naturalmente, che voi siate savio, signore. Vi saluto. (Fa un lieve inchino e. si avvia rapido verso la sinistra mentre Daniele, sbalordito, lo segue con lo sguardo senza trovare nemmeno la forza di rispondere al saluto. Quando è giunto alla soglia, Ilario chiama verso l'interno). Cameriere!

Cameriere                      - (dall'interno) Eccomi, signore.

Ilario                             - Il telefono, per piacere.

Cameriere                      - (dall'interno) A destra, signore.

Ilario                             - Grazie. (Esce per la sinistra. Una breve pausa, durante la quale Daniele si muove perplesso per la sala).

Cameriere                      - (entrando dalla sinistra) Prego, signore.

Daniele                          - Non ha ancora finito di prendere il suo tè speciale quella signora?

Cameriere                      - (reticente) No, signore.

Daniele                          - Potevate servirglielo qua.

Cameriere                      - (meravigliatissimo) Qua?  In pub­blico?

Daniele                          - Che pubblico?  Non c'è nessuno.

Cameriere                      - Signore!  Ma la porta è aperta.

Daniele                          - E da quando in qua è proibito pren­dere un tè, sia pure speciale, con la porta, aperta?

Cameriere                      - Ma signore!  La signora non è sola.

Daniele                          - (con grande meraviglia) Non è sola?

Cameriere                      - No, signore.

Daniele                          - E con chi è?

Cameriere                      - Signore!  Il proprietario si è rimangiato il mio licenziamento. Io non posso tradire i segreti del locale.

Daniele                          - (cominciando a capire) Allora debbo pensare che la signora sia in una delle camere del primo piano con un uomo?

Cameriere                      - Voi, signore, potete pensare quello che volete. Il pensiero è libero.

Daniele                          - E di dove è entrato quest'uomo se non l'ho visto passare?

Cameriere                      - Non l'ho visto passare nemmeno io, signore. So che... c'è un'entrata segreta... dalla parte opposta... ma io non ho visto passare nessuno.

Daniele                          - Ah, c'è un'entrata segreta?

Cameriere                      - Si, signore. Ma... per servirsene... bisogna avvertire in precedenza il proprie­tario. E un servizio delicato, del quale si occupa il proprietario personalmente. Se... qualche volta... dovesse occorrervi, bisogne­rebbe che voi parlaste col proprietario... Non costa neanche molto. Anzi non costa niente. Basta ordinare un tè speciale... che... esclusa la mancia... è calcolato cinquecento lire... esclusa la mancia naturalmente... e...

Daniele                          - (nervosissimo, fra sé) Oh, perbacco!  Me l'ha fatta!

Cameriere                      - Per parlare col proprietario, bisogna affacciarsi alla porta di servizio e dire: « per piacere, il telefono ». È una parola convenzionale, perché il telefono non c'è... (Entra rapida Mina, giovanissima, che dalla destra si avvia risoluta verso la sinistra).

Mina                              - (passando, senza fermarsi) Per piacere, il telefono.

Cameriere                      - A destra, signorina. (E quando Mina è uscita per la sinistra). Vado a servire un tè speciale. Con permesso, signore. (Esce anche lui per la sinistra).

Daniele                          - (solo) È incredibile!  Ah!  ma io l'aspetterò. Avvenga quello che vuole, l'aspetterò. (Sceglie con lo sguardo un posto, vi si avvicina, vi siede). Ecco: l'aspetterò qua. Faremo i conti noi due, signora!  (Una breve pausa, dopo la quale rientra precipitosamente il cameriere).

Cameriere                      - (affannoso) Signore, una disgrazia!  C'è la polizia. Quel signore che parlava con voi poco fa è un commissario di polizia. Tacete, per carità, quello che vi ho confidato. Intanto io corro ad avvertire le coppie che sono di sopra. (Fa l'atto di riuscire in fretta per la sinistra: ma s'incontra con Ilario).

Ilario                             - (al cameriere) Dove andate?

Cameriere                      - (impappinandosi, tremando) lo?  In nessun posto. Cioè, per la verità, andavo a fare un'ordinazione per il signore. (Accenna a Daniele, che si è alzato). Il signore mi aveva ordinato un tè.

Daniele                          - (preoccupato) Si, ma non... un tè speciale...

Ilario                             - (stringendosi nelle spalle) Speciale o non speciale... (Poi al cameriere) Va bene. Andate pure. Vi parlerò dopo.

Cameriere                      - (perplesso) Grazie. (Esce per la sinistra),

Ilario                             - Curioso, questo caffè. Vi ero entrato per telefonare. Domando al cameriere dove sia il telefono. Mi risponde: « a destra ». Immagino che sia alla mia destra. Non c'è. Allora penso che sia alla destra del cameriere. Nemmeno. Viene il proprietario e mi do­manda: «per quante ore vi serve »? «Oh, per pochissimo : pochi secondi ». Mi guarda come se mi fossi vantato di raggiungere il polo a piedi. Dice: «Ho libero il numero sei; ma non c'è letto, c'è soltanto un divano ». « Ma io posso telefonare anche in piedi. D'es­senziale è che ci sia il telefono ». « No, si­gnore, il telefono non c'è; non abbiamo alcun telefono in tutta la casa ». « Ma allora perché il cameriere, quando io ho chiesto del telefono, mi ha detto a destra»?

Daniele                          - (interrompendo) Capisco dove volete arrivare, ma tutte le vostre indagini saranno inutili se voi continuate a parlare con me. La casa ha un'altra uscita. Se non vi affrettate, le coppie si metteranno in salvo dalla porta segreta. (Nel frattempo è rientrato il cameriere per servire il tè a Daniele).

Cameriere                      - (che ha udito le ultime parole di Daniele) Che coppie?  Che coppie?  Qua non ci sono coppie. Qua ci sono soltanto alcune persone che son venute a far visita alla fami­glia del proprietario nel suo appartamento del primo piano. Infatti il proprietario adesso è andato a chiamarle per farle scendere e presentarle al signor commissario. (Così dicendo ha deposto il tè su un tavolo ed è uscito).

Ilario                             - (guardando intorno come per cercare il commissario) C'è un commissario?

Daniele                          - (a Ilario) Il commissario siete voi; no?

Ilario                             - Io?

Daniele                          - Ma come?  Non siete un commis­sario di polizia?

Ilario                             - No.

Daniele                          - E chi siete allora?

Ilario                             - (con semplicità e naturalezza) Sono un passante che avendo bisogno di telefonare è entrato in un caffè nella speranza di trovarvi il telefono.

Daniele                          - (guardandolo, incredulo) Noooo.. Non può essere.

Ilario                             - Per me, può essere benissimo. Ma, se a voi fa comodo che non sia... Del resto, vi mostro subito che può far comodo anche a me passare per un commissario di polizia.

Daniele                          - (colto da un'idea) Sì, signore. Ve ne prego, anzi. In tal modo voi potete rendermi un servigio del quale vi sarò grato per la vita. Io mi sono follemente innamorato di una donna e la seguo da una settimana. D'ho seguita anche oggi fin qui. Ella mi ha detto di avere un marito; e per questo io... poco fa...

Ilario                             - ... avete preso me per il marito di quella signora. Vi ringrazio!

Daniele                          - Ve ne chiedo scusa; ma...

Ilario                             - ... ma io avevo l'aria del marito di una signora che... Pazienza!

Daniele                          - (preoccupato) Vi ho forse offeso, signore?

Ilario                             - Secondo il codice, mi avete ingiuriato. Evidentemente voi, come la maggior parte degli uomini, non avete l'abitudine di leggere il codice. Eppure è la lettura più divertente che io mi conosca. Pensate che esso è la ras­segna di tutti i vizi e di tutti gli errori umani; vale a dire di tutto quello che rende avven­turosa e attraente la vita. Vero è che, così dicendo, io ho fatto, ora, indirettamente l'apologia del reato- articolo 414, ultimo capoverso- e merito la reclusione da uno a cinque anni: ma anche per questo è diver­tente la lettura del codice: che insegna quante volte e per quanti futili motivi l'uomo si inette contro la legge durante la sua giornata. Per esempio, voi buttate dalla finestra, sulla strada, un mozzicone di sigaretta accesa. A chi non è capitato di buttare un mozzicone di sigaretta dalla finestra?  Ebbene, meritate l'arresto fino a un mese o l'ammenda fino a duemila lire, incappando in quell'articolo del Codice- 674         - che si intitola: « getto pericoloso di cose ». Lo sapevate?

Daniele                          - No.

Ilario                             - Vi potrei citare altri esempi ugual­mente preoccupanti. Vi è mai capitato d'in­contrare, di notte, una persona bisognosa di soccorso, incapace di provvedere a se stessa?  Un ubriaco fradicio, per esempio?

Daniele                          - Non ricordo.

Ilario                             - lo, alcuni anni fa, ne incontrai uno; e forse mi sarei fermato a dargli aiuto, se non fossi stato in ritardo a un appuntamento. Ma il mio dovere, di fronte alla legge, era quello di darne avviso sopratutto alle Auto­rità. Non l'ho fatto: ebbene, per questa omis­sione, « omissione di soccorso » articolo 593 del Codice Penale - io meritavo la reclusione fino a tre mesi e una multa fino a tremila lire.

Daniele                          - Nientemeno!

Ilario                             - Da giornata dell'uomo è una serie di piccoli o grossi reati, che l'uomo compie volontariamente o involontariamente, cono­scendo o non conoscendo il Codice; e, se la maggior parte degli uomini può vantare un certificato penale pulito, questo non è un me­rito dell'umanità ma l'effetto di quel divino disegno che ha negato agli agenti della giu­stizia i cento occhi di Argo e le cento braccia del gigante Briarèo. Non pensiamo più all'ingiuria che mi avete fatto, signore; e di­temi quello che vi serve.

Daniele                          - Ma... un momento... scusate. Siete evidentemente un magistrato oppure siete un avvocato...

Ilario                             - Non ho mai studiato legge, signore.

Daniele                          - Eppure, a giudicare da tutto quello che m'avete detto... Da sentenza del pretore di Nereto, il getto pericoloso di cose, l'omissione di soccorso... Per conoscere il codice così bene... perfino negli articoli che potreb­bero sfuggire all'attenzione degli uomini del mestiere...

Ilario                             - Oh, non c'è bisogno di studiar legge, di essere magistrati o avvocati, per imparare il codice. Vi dirò, anzi, che a scuola un tale studio è reso profondamente noioso dai pro­fessori. Non hanno forse i professori reso detestabili libri bellissimi come « I promessi sposi» e « Da Divina Commedia »?  Voi forse non sapete che uno dei luoghi dove il Codice s'impara alla perfezione anche dagli anal­fabeti è il carcere.

Daniele                          - Il carcere?

Ilario                             - Il carcere, la prigione, la galera.

Daniele                          - (tirandosi un po' indietro) E voi forse? ...

Ilario                             - Ah, io non ci sono mai stato. Fino a questo momento, almeno, non ci sono stato. Potrei andarci domani, dopo aver usurpato il titolo e le funzioni di commissario di polizia dietro vostra istigazione... E voi mi segui­reste, appunto per istigazione a delinquere.... Ma abbiamo entrambi la fortuna di aver da fare con un tenitore di casa ospitale e con i suoi ospiti: tutta gente che non ha nessun interesse di denunziare la beffa subita. Dite, dite pure, signore.

Daniele                          - Francamente, a parlare con voi mi sento girare la testa.

Ilario                             - Ma no. Da testa vi gira per altre ra­gioni. Forse voi non conoscete la meteoro-patologia, la nuova scienza che sta per rivolu­zionare il campo della medicina. La testa gira, lo stomaco duole, il cuore non ha il suo battito regolare, soltanto per l'influenza delle variazioni atmosferiche sul nostro sistema nervoso. Basterebbe che la scienza, sulla scorta della marconiterapia, inventasse uno strumento atto a rendere il corpo umano in­sensibile ai perturbamenti dell'atmosfera, e i farmacisti sarebbero costretti a chiudere bot­tega. Dopo di che mi auguro che voi, pentito di avermi ritenuto magistrato, non mi rite-niate medico. (Ritorna il cameriere).

Cameriere                      - (a Ilario) Signor commissario, il padrone del locale ha pregato le visitatoci della sua famiglia di scendere giù e di mettersi a vostra disposizione.

Ilario                             - (guarda prima il cameriere, poi Daniele, poi di nuovo il cameriere, al quale, dopo un at­timo di perplessità, risponde) Se non sono troppe.... Ma andate adesso. Chiamerò io. (E, quando il cameriere è uscito, si rivolge a Da­niele). Mi stavate dicendo, dunque, che siete innamorato di una donna e che oggi l'avete seguita fin qui. Ricordo bene?

Daniele                          - (quasi impacciato) Benissimo.

Ilario                             - 13 poi?

Daniele                          - È curioso; ma adesso ho un po' di soggezione.

Ilario                             - Di me?

Daniele                          - Di voi.

Ilario                             - E perché?

Daniele                          - Non so dirlo nemmeno io, il perché. Forse la girandola delle vostre parole... Forse i vostri cambiamenti a vista... Vorrei poter riordinare le mie idee; ecco.

Ilario                             - Quanto tempo vi occorre?

Daniele                          - Certo, quello che sta succedendo è molto singolare...

Ilario                             - Quello che sta succedendo a voi?  o quello che sta succedendo a me?

Daniele                          - L'uno e l'altro, forse. Io, per esem­pio, me la cavai bene, con quella donna, fino a un certo punto.

Ilario                             - Bene, come?

Daniele                          - (nervoso) Non mi fate queste do­mande imbarazzanti, vi prego!

Ilario                             - Non vi farò più nessuna domanda.

Daniele                          - (un po' ingenuo) Forse voi vi diver­tite, e io no. I miei sentimenti sono contraddittori: cambiano ogni momento. Avevo incominciato con quella donna quasi per ischerzo; ero riuscito perfino a intavolare un dialogo mondano con lei, proprio io che vivo molti mesi dell'anno in campagna, nelle mie terre, e quando arrivo in città mi sento imba­razzato come un collegiale... Come è accaduto che improvvisamente me ne sono sentito in­namorato per davvero?

Ilario                             - Ci s'innamora sempre cosi.

Daniele                          - Pensate che se voi foste stato vera­mente suo marito, io avrei trovato naturale chiedervela; e infatti ve l'ho chiesta.

Ilario                             - Né io, d'altra parte, ve l'ho rifiutata...

Daniele                          - (nuovamente nervoso) Vi prego di non scherzare!  Non so nemmeno perché io con­tinui a parlare con voi, dal momento che non vi conosco!  (Lo guarda). Insomma, si può sa­pere chi siete?  

Ilario                             - Ah, già!  Voi vi siete presentato a me e io non mi sono presentato a voi. Scusate. Io sono Ilario Tris.

Daniele                          - Come?

Ilario                             - Ilario Tris. Ilario, da ilare. Tris come quella figura del poker che consiste nell'avere tre carte di uguale valore. Voi, invece, vi chiamate Daniele, che deriva dall'ebraico. Daniel: Dio è il mio giudice. E Guisa, ch'è cognome illustre, cognome ducale. Ma forse ne sappiamo meno di prima: io di voi e voi di me. Non è cosi?  La vita è fatta d'in­contri fortuiti, lo non respingo mai quelli che il caso mi offre. (Una pausa).

Daniele                          - Mi avete fatto perdere di nuovo il filo del discorso.

Ilario                             - Io non lo perdo mai. Le digressioni non mi turbano. Volete che vi aiuti?  

Daniele                          - Già. Ma io mi comincio a domandare perché voi siate disposto ad aiutarmi..

Ilario                             - Perché me lo avete chiesto voi. Ma se non vi servo più... Vi saluto, signore. (Si avvia verso la destra per uscire).

Daniele                          - No, un momento, scusate.

 Ilario                            - (si ferma, lo guarda) Il vostro umore è troppo variabile, signore; il vostro carattere è indeciso. Già lo vedo dall'aspetto della vo­stra fronte, dalle proporzioni del vostro pollice. La forma delle vostre dita indica eccesso d'im­maginazione, impressionabilità, disordine. Se avessi a portata di mano un globo di cristallo di rocca e un panno nero, vi potrei dire molte cose della vostra vita segreta perché io sono un poco criptoscopo e più precisamente sono in grado di valermi della cristalloscopia. E avanti, su, fatevi coraggio. Volete sapere qualche cosa della donna amata?  Non vi nascondo ch'è un'imprudenza. Meglio ignorare i segreti della donna che si ama. L'amore è curiosità; è fan­tasia. Ma ormai i vostri sentimenti sono in moto verso l'avventura. Non potete più sce­gliere fra la delusione e il rammarico. La cono­scenza della verità non potrà che deludervi; ma peggio sarebbe per voi se per paura della verità vi condannaste a un eterno rimpianto. Coraggio, state attento, s'incomincia. (Va rapido verso la sinistra, chiama nell'interno). Cameriere!

Cameriere                      - (dall'interno) Comandate, signor commissario.

Ilario                             - Fate entrare la signora Lionella Sera.

Cameriere                      - (dal di dentro, come facendo un ap­pello) Signora Lionella Sera!

Daniele                          - (stupefatto) Avete pronunziato un nome a caso?  oppure sapete che si tratti di lei?  (Ilario, senza rispondere, si scosta, per lasciar passare Lionella che è apparsa sulla soglia della sinistra).

Ilario                             - Prego, signora. (E poi, mostrandola a Daniele) E lei?

Daniele                          - (con stupore crescente) Sì. Ma... al­lora voi... la conoscevate?

Ilario                             - Io?  No. Ma siete un bel tipo, voi, signor Guisa!  Prima mi attribuite una quan­tità di professioni che non sono mie, e adesso pretendete che io conosca anche le persone che non ho mai viste in faccia prima d'ora!  (E poi, a Lionella, con molta compitezza). Signora, vi prego di accomodarvi. (Mentre Lionella siede e Daniele è più stupito che mai, cala rapidamente il sipario

FINE DEL PRIMO ATTO

ATTO SECONDO

La stessa scena dell'atto precedente. L'azione riprende al punto stesso in cui fu interrotta dal primo calare della tela. Ilario, Lionella, Daniele conservano le loro posizioni.

Ilario                             - (a Daniele) Incominciamo dallo sgom­brare il terreno da ogni equivoco. Io conosco il nome della signora per un puro caso. (A Lionella) Volete guardare nella vostra bor­setta, signora, per vedere se vi manchi qual­che cosa?

Lionella                         - (preoccupata) Non mi pare.

Ilario                             - Vi prego di guardare, signora.

Lionella                         - (apre la borsetta nervosamente, guarda) Una lettera, forse.

Ilario                             - (cava di tasca ima lettera, gliela porge) Fecola.

Lionella                         - Come si trova nelle vostre mani?  (La prende).

Ilario                             - Vi è caduta un'ora fa, mentre tenta­vate di sfuggire all'inseguimento del signor Guisa.

Lionella                         - Strano che non me ne sia accorta.

Ilario                             - L'inseguimento del signor Guisa vi dava un fastidio straordinario, vi rendeva nervosa. Invece di seguire la vostra strada, andavate a zig-zag, svoltando a destra e a sinistra, imboccando viuzze impraticabili. Ogni tanto vi fermavate, come per spec­chiarvi e invece lo specchio della vostra borsetta vi serviva per vedere se il signor Guisa fosse sempre alle vostre spalle. F così?

Lionella                         - Esatto.

Daniele                          - (a Ilario) Evidentemente però, la seguivate anche voi!

Ilario                             - Sì; ma io non seguivo lei sola: seguivo tutt'e due.

Daniele                          - E perché?

Ilario                             - Una delle cose che maggiormente mi attraggano per la strada sono gl'insegui­menti, come dire? , galanti. Vi assicuro che sono divertentissimi. Costretto ad allentare o accelerare il passo su quello della donna, l'inseguitore non sa mai se darsi l'aria di chi passeggi per diporto o quella di chi abbia un appuntamento improrogabile; e nell'al­ternativa, avendo paura che tutti se ne accor­gano, non riesce ad assumere atteggiamenti più intelligenti di quelli del sonnambulo o dell'ubriaco. Avvii precipitosi, arresti im­provvisi, sterzate impreviste mettono l'inse­guitore nelle più critiche condizioni; e io ho visto taluno fermarsi dinanzi a mostre di reggipetti o di arnesi ortopedici dove non si sarebbe fermato altrimenti senza arrossire o addirittura sostare voluttuosamente da­vanti a un furgone della nettezza urbana come se si trattasse della vetrina di un profumiere. La donna invece... (guarda Lionella) Be': ma di questo parleremo un'altra volta. La signora, forse, non ha tempo da per­dere.

Daniele                          - Un momento. Sta tutto bene quello che avete detto. Si capisce che dalla borsetta della signora cadde la lettera, che voi la rac­coglieste, che dall'indirizzo apprendeste il nome della signora ecc. ecc.. Ma come avete fatto a sapere che di là, ora, fra le persone in attesa, ci fosse proprio la signora che aveva smarrito la lettera?

Ilario                             - Me lo avete detto voi, signore, sia pure implicitamente. Chi poteva essere la signora che vi premeva, se non quella che avevate seguita, cioè quella che aveva smar­rito la lettera?  Del resto, io l'avevo vista entrare qua dentro; e voi dietro di lei. Come vedete, si tratta di induzioni e deduzioni abbastanza elementari.

Lionella                         - Elementari per un detective, per un uomo della polizia: non per un corteggia­tore talmente imbambolato da non capire che una donna può avere le sue brave ragioni per volere, in un determinato giorno, essere lasciata in pace.

Ilario                             - (a Daniele) Dice a voi, signor Guisa; e mi pare che abbia ragione.

Daniele                          - (guarda Ilario come per chiedergli: « E come?  Vi mettete contro di me?  »).

Lionella                         - (incalzando) Del resto, ci dev'es­sere una norma, non so se nel codice o nel regolamento di polizia, che impedisce anche a un corteggiatore di diventare molesto.

Ilario                             - (a Lionella) Articolo 660 del Codice Penale sotto il titolo: « molestia o disturbo alle persone ». Ma per la verità, signora, Pisistrato si rifiutò di punire un tale che aveva baciato sua figlia sulla pubblica strada. Disse: « Se puniamo quelli che ci amano, che cosa faremo a quelli che ci odiano?  ».

Daniele                          - (con un gesto d'approvazione) Ecco.

Lionella                         - Già. Ma Pisistrato è un tiranno che visse prima di Cristo; e comunque il mio corteggiatore, lungi dal baciarmi, vo­leva impedire che io mi lasciassi... baciare da altri.

Ilario                             - (a Lionella) Mi congratulo con voi per la vostra dialettica, signora. (Poi, a Da­niele, con tono di deplorazione) E voi, signore, perché non l'avete baciata? ,

Daniele                          - (imbarazzassimo, non risponde).

Ilario                             - (dopo una breve attesa) Vi conveniva rispondere: « sono pronto a riparare ». E forse all'età vostra, vi conveniva di riparare addi­rittura subito.

Daniele                          - (fa ingenuamente il gesto di avvici­narsi a Lionella).

 Ilario                            - (fermandolo) Ah, nò!  Adesso è tardi. E poi siamo in un luogo pubblico. E poi ci sono io. Oltraggio al pudore. Al mio pudore, in altri termini. Lo Stato vi farebbe pagare una multa. E il più bello è che la multa non verrebbe nelle mie tasche per l'oltraggio patito. Andrebbe nelle casse dello Stato.

Lionella                         - (sorridendo) Vi avverto che state parlando male dello Stato proprio nel mo­mento in cui rappresentate lo Stato.

Ilario                             - (guarda Lionella) Perbacco. La vostra logica funziona in un modo eccellente, sebbene la logica non sia una virtù femminile.

Lionella                         - Non crediate di farmi un compli­mento. Uno scrittore inglese, forse per vendi-. carsi della diceria che i suoi connazionali siano privi di tale virtù, ha scritto che sol­tanto gli .sciocchi sono logici.

Ilario                             - (guardando nuovamente Lionella con un lieve senso d'ammirazione) Bene. E chi è questo scrittore inglese?

Lionella                         - Harland. Si chiama Enrico Harland. Non è molto apprezzato, sebbene sia già morto.

Ilario                             - (ripetendo lentamente) Ah, ecco. Non è molto apprezzato, sebbene sia già morto. Mi piace quel « sebbene». Voi sapete, dunque, che gli scrittori morti sono sempre più apprezzati dei vivi.

Lionella                         - Non è la sola cosa che io sappia. So tante altre cose. Per esempio, so che quando un commissario di polizia abbia fatto una « retata » si dice cosi?  in una casa ritenuta a torto o a ragione eccessivamente ospitale, procede agl'interrogatorii nel suo ufficio, non in un pubblico locale; e, possibil­mente (alludendo a Daniele) non alla presenza di estranei e di curiosi.

Ilario                             - Troppo giusto. (A Daniele) Mi di­spiace, signor Guisa; ma debbo pregarvi di lasciarci.

Lionella                         - Possiamo anche noi lasciare lui; andare nel vostro ufficio.

Ilario                             - (guarda Daniele, come per dirgli « leva­temi dall'imbarazzo »).

Daniele                          - (che capisce) No, no, prego. Vado via io. (Fa l'atto di muoversi; ma è indeciso) Soltanto, vorrei chiedervi una spiegazione, signora. Perché diceste di aver chiamato vostro marito?

Lionella                         - Speravo di farvi paura.

Ilario                             - (a Lionella) Non ha paura. Per lo meno, non ha paura dei mariti. Io, che per un momento sono stato scambiato per vostro marito, posso testimoniarlo.

Lionella                         - (divertita) Ah!  aveva preso voi per mio marito?

Ilario                             - (ironico) 'Mi aveva fatto quest'onore.

Lionella                         - Onore o non onore. Il fatto che io avessi chiamato mio marito, esclude, in­tanto, che io...

Daniele                          - Che voi ...

Lionella                         - Parlavo col commissario, non con voi. (Poi, a Ilario, riprendendo il tono di prima). Esclude che io potessi essere, o sapere di essere, in un luogo malfamato, e per di più in attesa di un mio ipotetico amante.

Daniele                          - Già, già!  E... come l'avete chia­mato vostro marito?

Lionella                         - Col telefono.

Daniele                          - Con quale telefono, se in questo locale telefoni non ce ne sono?

Lionella                         - Chi vi ha detto che non ce ne sono?

Ilario                             - Per la verità, lo dice il proprietario. Lo ha detto anche a me.

Lionella                         - (inventando) Basta uscire per la porta ch'è in fondo a destra (accenna all'in­terno) entrare dal vicino tabaccaio.. (si alza) Del resto, dal momento che ci tenete, mio marito è già venuto, è entrato per l'altra porta, è qua. (parlando si è avvicinata alla porta di sinistra; chiama nell'interno) Leone!

Ilario                             - (rapido, sottovoce, a Daniele) Andate. Aspettatemi fuori; un po' lontano da qui. Evitiamo complicazioni. (Parlando accom­pagna alla porta di destra Daniele, che esce in fretta. Poi si volge a Lionella, che nel frat­tempo, stando sulla soglia di sinistra, si è voltata). Siete di una improntitudine... am­mirevole.

Lionella                         - E voi no?

Ilario                             - Perché io?

Lionella                         - E io perché?

Ilario                             - Voi, perché scommetto che l'uomo che avete chiamato o non esiste o non è vostro marito.

Lionella                         - E voi, perché vi siete improvvi­sato commissario di polizia. Se foste vera­mente un commissario di polizia, non parle­reste come parlate, non perdereste il tempo che perdete...

Ilario                             - Per la verità, io non mi sono improv­visato né commissario di polizia né altro. Ero entrato qua dentro per restituirvi quella lettera; e il resto è venuto da sé, non so nemmeno io come.

Lionella                         - Cominciamo, allora, col liberare tutte quelle anime in pena. (Allude a coloro che nell'interno attendono di essere chiamati). Ci sono alcune signore. Immagino che voi siate un cavaliere... (e, senza attendere rispo­sta chiama nell'interno) Cameriere!  (Entra il cameriere).

Cameriere                      - (preoccupato e guardingo) Co­mandate.

Lionella                         - Potete mandar via tutti, dall'al­tra porta. II... commissario ci mette tutti in libertà.

Cameriere                      - Ah bene! Grazie. Ma... erano già andati via quasi tutti. Dall'altra porta, appunto.

Lionella                         - (con intenzione) E già, capisco. Il commissario, appunto, ha lasciato loro tutto il tempo di... mettersi in salvo. Se il commis­sario avesse voluto, sarebbe salito lui stesso, personalmente, al primo piano. Invece ha ca­pito che... non c'era niente di male: e quindi... (Guarda Ilario, con intenzione un po' canzo­natoria) Dico bene, signor... commissario?

Ilario                             - (allargando le braccia) Benissimo.

Lionella                         - Grazie!

Cameriere                      - C'è rimasto solo... un signore... Credo il signore che... era con voi... Ha detto così: « Non posso lasciare negli impicci una signora sola; non sarebbe elegante ».

Lionella                         - Bene. Ditegli che m'aspetti un poco.

Cameriere                      - Vi servo subito, signora (esce).

Lionella                         - E ora... a noi due, signor... com­missario. Voi mi avete attribuito la logica... degli sciocchi, bontà vostra; e io della sciocca mia logica mi servo per rivolgervi alcune domande. Permettete?

Ilario                             - (che l'ha seguita e ascoltata senza muo­versi, impenetrabile) Prego.

Lionella                         - Ammetterete che l'essere stata disturbata da voi in un modo che poteva diventare clamoroso mi dia il diritto di sapere qualche cosa di voi.

Ilario                             - So già tanto io di voi, che accetto la... contropartita.

Lionella                         - (lo guarda) Alludete alle condi­zioni in cui mi avete trovata ... o alla let­tera che m'è caduta?

Ilario                             - All'una cosa e all'altra.

Lionella                         - Non siete gentile; ma insomma... non mi scoraggio per tanto poco. (Una pausa) Dunque... Voi avete detto che assistere alle evoluzioni di un inseguimento galante vi diverte molto. Non "avete niente da fare?

Ilario                             - No.

Lionella                         - Vivete di rendita?

Ilario                             - Vivo.

Lionella                         - Siete troppo secco nelle risposte. Continuate a essere poco gentile.

Ilario                             - Lo sarò fino a quando voi non avrete smesso codesto tono inquisitorio.

Lionella                         - Anche questo è giusto. Bisogne­rebbe poter parlare da buoni amici. Ma come si fa a considerarsi buoni amici senza esserlo? Non dico che fra me e voi la strada sia lunga. Voi avete mostrato di apprezzare la mia in­telligenza; io ho apprezzato la vostra... Ma l'intelligenza è meno rapida della pelle nel creare la simpatia. La pelle è istintiva, l'in­telligenza è diffidente. Dico bene?

Ilario                             - Benissimo.

Lionella                         - Mi approvate; ma non m'incorag­giate a parlare. Volete che tutto parta da me. Non siete, evidentemente, un timido; ma vi comportate come se lo foste.

Ilario                             - Non sono né voglio apparire un timido. Ma tanto meno vorrei apparire pre­suntuoso.

 Lionella                        - Presuntuoso in che modo?

Ilario                             - Dicendovi che il vostro modo di parlare ha tutta l'aria di un modo troppo suasivo... allettante... lusingatore... provoca­torio... come dire?

Lionella                         - Ah, ecco. Io, insomma, avrei l'aria di farvi la corte.

Ilario                             - Non so se questa sia la vostra inten­zione. Ecco perché vi dicevo di non voler apparire presuntuoso. Ma, alla fine, il vostro modo di fare mi darebbe il diritto di sospet­tarlo. E io mi troverei... nella sgradevole condizione di...

Lionella                         - ...di dirmi di no. Ho concluso bene il vostro periodo?  (Ilario non risponde. Una pausa). Capisco. Vi ringrazio della sincerità. (Un'altra pausa. Poi con un sorriso amaro). Allora... buon giorno! (Ilario non si muove, non risponde). Esco dall'altra porta... per non mettere in imbarazzo la persona che mi attende. (Un'altra pausa). Non volete pro­prio restituirmi il saluto? (Un'altra pausa). Mi dispiace, sapete, di andar via così; trattata da voi come un essere spregevole, come una cocottiua. Certo,' le apparenze sono contro di me. Non si viene in una casa come questa senza rimetterci un poco della propria dignità. Ma se voi foste stato meno... scostante, quella curiosità e simpatia, con cui avevate incomin­ciato a trattarmi e per cui io mi ero interessata a voi, non sarebbe stata delusa, forse. Tanto più che io non pensavo a voi come a un amante, sebbene il vostro- come dire? -il vostro grigiore prometta molto più di quanto voi non possiate immaginare. Io pensavo a voi come a un amico. Ci pensavo cosi, senza logica, per una specie di divina­zione, forse per istinto- (ha detto queste cose con un tono lieve, cattivante, molto femminile. Insiste con una domanda decisiva). Vi dispia­cerebbe proprio di avere un'amica come me?

Ilario                             - (fissandola, con dolcezza) No.

Lionella                         - Debbo credere che il ghiaccio si rompe? Che la sfinge assume aspetto umano? (È riapparso, timidamente curioso, Daniele Guisa, dalla porta di destra).

Ilario                             - (a Daniele, senza dargli il tempo di par­lare) Non è donna per voi. Cercate altrove. Potete andare.

Daniele                          - (col volto imbambolato) Come?

Ilario                             - (quasi spingendolo fuori) Vi spiegherò. Telefonatemi. Troverete il mio numero sull'elenco telefonico. (Chiude la porta a vetri. Appena Daniele è fuori: si volge alla donna). Io lo so già, il pericolo che corro con voi, e voglio provare a difendermi. Adoro la vita fantastica; ma non ho più l'età per commettere delle sciocchezze. Se vi lasciassi andare cosi, senza avervi conosciuta bene, vivrei col contimio rammarico di aver perduto la più bella occasione della mia vita, mentre so bene che il vostro è un gioco di parole, e sotto c'è una realtà senza attrattive.

Lionella                         - Siete sicuro di non sbagliare?

Ilario                             - È una prova che faccio. Una prova alla quale sottopongo la vostra intelligenza e la mia. Vedete che sono leale. Io mi difendo, difendetevi anche voi.

Lionella                         - (sorride) Una sfida, insomma. Un duello... all'ultimo sangue.

Ilario                             - Chiamatelo come volete.

Lionella                         - Per battersi, bisogna anche cono­scersi un poco, sia pure nelle generalità. Voi conoscete le mie; ma io ancora non conosco le vostre.

Ilario                             - Mi chiamo Ilario Tris.

Lionella                         - È un nome strano; ma non bello.

Ilario                             - Lo so. (Recitando un poco). Il vostro, invece, Lionella Sera, fa pensare al manto fulvo di una piccola leonessa nella malinco­nia del tramonto desertico. Avverto nelle sue sillabe come un brivido di vento caldo, forse una bava remota di ghibli.

Lionella                         - Ahà! Siete poeta.

Ilario                             - Sono poeta alla maniera di certi filosofi. Non credo al buon senso che mi dice : « questa è una donna che avverti con la tua vista, che puoi avvertire con il tuo tatto e insomma con i tuoi sensi : una donna che è al di fuori di te, nel mondo esterno, un oggetto sensibile ». Credo, invece, all'idealismo sog­gettivo che mi dice : « no, questa donna è un'idea della tua niente, è come la tua mente si rappresenta; e al di fuori di te non esiste ».

Lionella                         - Parlate spesso come recitando. Siete un attore?

Ilario                             - Poco fa ero un marito, poi un avvo­cato, poi un magistrato, poi un poliziotto, poi un negromante.

Lionella                         - Gli attori, appunto, possono es­sere come voi.

Ilario                             - Ali! Ma io non ho mai recitato. Nem­meno da bambino. Quando la maestra vo­leva insegnarmi la poesia da declamare per l'onomastico di mio padre, io marinavo la scuola. Troppa fatica.

Lionella                         - Non vi piace faticare?

Ilario                             - Secondo. Nessuno fatica più del ladro o del giocatore. Eppure nessuno, a cominciare da loro stessi, crede che rubare o giocare equivalga a faticare.

Lionella                         - Vuol dire che voi fate sempre la fatica che vi piace. Quale?

Ilario                             - Tutte e nessuna. La società pretende le specializzazioni. Ma fare il medico, il professore, il calzolaio per tutta la vita è una profonda noia. L'uomo può divertirsi a im­parare le arti o i mestieri, non a esercitarli. Il maggior godimento è nel noviziato. O nella varietà.

Lionella                         - Ma il noviziato non rende; e la varietà può rendere troppo poco per vivere. Vuol dire che voi siete ricco.

Ilario                             - Non lo so.

Lionella                         - Ah, non lo sapete?

Ilario                             - La ricchezza è un'opinione. Essa è subordinata a troppi eventi per essere una realtà. Ho veduto Stati abolire il valore dell'oro; e grandi risparmiatori rimanere con un pugno di carta straccia nelle mani. Le guerre buttano giù i palazzi, le cavallette distruggono il grano, la fillossera rende infeconda la vite. Un mio amico che possedeva venti milioni spendeva, per vivere, cento lire al giorno. Un altro mio amico, che non aveva una sola lira in banca, ne incassava trentamila al mese e ne spendeva mille al giorno. Chi dei due era il più ricco? Io so che la mattina, dovunque mi trovi, ricevo in camera mia una colazione composta di pane, burro e miele e latte; che fra i due pasti principali del mezzogiorno e della sera mi viene servito un tè con biscotti e marmellata; che mi basta decidere una partenza per trovare i bauli pronti, uno scontrino di vagone letto e una somma per i minuti piaceri. E mi alzo quando voglio, leggo quello che mi piace, esercito il mestiere che più mi attira...

Lionella                         - Tutto questo... cosi... senza che voi sappiate di dove venga?

Ilario                             - Esattamente.

Lionella                         - Non è possibile.

Ilario                             - Tutto il pensabile è possibile. Se c'è uno solo al mondo il quale abbia pensato, sia pure col desiderio, che tutto questo può essere; ecco : può essere.

Lionella                         - Veramente, adesso, mi fate venire la voglia di dividere la vita con voi.

Ilario                             - (la guarda) Ah, ah! Ma voi non siete libera. Siete innamorata.

Lionella                         - Chi ve l'ha detto?

Ilario                             - E scritto in quella lettera che vi era caduta per la strada.

Lionella                         - L'avete letta?

Ilario                             - Si.

Lionella                         - Ero certa della vostra indiscrezione.

Ilario                             - L'ho letta perché una volta, durante una guerra, feci il censore della corrispon­denza privata e trovai le lettere altrui più interessanti di un libro proibito. Se potessi, farei il censore perpetuo di tutta la posta del mondo. Le lettere diventano brutte soltanto quando sono stampate. L'altro giorno mi è capitata fra le mani la raccolta delle lettere di Carducci e vi ho letto che questo poeta austero chiamava l'ispiratrice delle sue poesie d'amore « il mio bel faccin ». Un orrore. Ma quando sono ancora fresche d'inchiostro, quando viaggiano per le strade ferrate, nel ventre dei piroscafi, sulle ali del vento, quando sono ancora chiuse o appena dischiuse... oh, allora...!

Lionella                         - E cosi, dalla mia lettera, avete appreso che io sono innamorata.

 Ilario                            - Si. E, se permettete, innamorata in una maniera brutta.

Lionella                         - Cioè?

Ilario                             - Brutta. Comune. Se non temessi d'offendervi, direi volgare.

Lionella                         - Nientemeno!

Ilario                             - L'amore, per essere bello, non può essere che .spirituale.

Lionella                         - Spirituale... e basta? (Ride).

Ilario                             - No. Ma la parte... più celebrata dell'amore appartiene alle funzioni corporali. Nemmeno la più pulita e la più pura delle funzioni corporali, che è quella del dormire, merita l'onore dell'epistolografia. E invece, nelle lettere degli amanti, per mezzo di gerghi convenzionali e di puntini sospensivi, non si parla che di..., non si allude che a..., non si spasima che per...

Lionella                         - Ma perché?  A voi non piace di... Non aspirate a...? Non spasimate per...?

Ilario                             - Al contrario.

Lionella                         - E allora?

Ilario                             - Voglio dire che il mistero di cui si è circondata questa sola funzione del corpo umano ha finito col sopravvalutarne l'im­portanza, fino a derivarne lutti e tragedie. Se non fosse cosi, non esisterebbero i locali come questo, e un... tè speciale, oltre tutto, costerebbe molto meno.

Lionella                         - Insomma, voi deplorate che in quella lettera da me ricevuta gli accenni al­l'amore fossero di natura delicata. Ma ammet­terete che noi non siamo responsabili delle lettere che riceviamo.

Ilario                             - Ne siamo responsabili quando siamo stati noi a provocarle.

Lionella                         - Che ne sapete voi, se io abbia « provocato » quella lettera?

Ilario                             - Ricordava parole vostre, gesti com­piuti da voi. Vi dirò anzi, che di alcuni di tali gesti mi riusciva difficile perfino immagi­nare... la tecnica. Comunque, tanto per sor­volare la parte più intima, vi si leggeva a un certo punto : « ti bacio come vuoi tu ». (A un gesto di Lionella). Non voglio sapere il come, signora. Il fatto è che il... come era vostro. A provocarne il ricordo eravate stata voi.

Lionella                         - (coprendosi il volto con una mano) Oh! mi fate perfino vergognare!

Ilario                             - Con un gesto cosi, vi siete riabilitata.

Lionella                         - (con civetteria, come spiando dietro lo schermo della mano) Alloro posso sperare di dividere con voi almeno un poco della vostra vita?

Ilario                             - Poiché sono curioso di tutto, possiamo provare. Ma di là c'è un signore che aspetta, se non sbaglio.

Lionella                         - Non siete capace di liberarmi di lui?

Ilario                             - Io sono capace di tutto. Certi inna­morati poi... basta metterli di fronte a qual­che responsabilità per... Ma voi... non l'amate?

Lionella                         - Da quando ho conosciuto voi, no.

Ilario                             - Non è rassicurante il vostro sistema. Se fra dieci minuti conosceste un altro     - di­ciamo così         - migliore di me, io subirei la sorte del primo.

Lionella                         - Vi sentite così poco forte, da poter essere preferito a un altro?

Ilario                             - Non ho più l'età in cui l'amore si accetta come un combattimento.

Lionella                         - Eppure vi battete bene.

Ilario                             - A parole. Come un generale che abbia a sua disposizione un esercito agguerritissimo di parole.

Lionella                         - Eppure il mio intuito, il mio fiuto mi dice che non mi seguivate per caso, oggi.

Ilario                             - Può darsi.

Lionella                         - E non vi siete accorto nemmeno che io, la mia lettera, l'ho lasciata cadere per darvi una guida?

Ilario                             - (andando verso sinistra con improvvisa decisione) Cameriere!  Pregate il signor Leone di venire qui.

Lionella                         - (sottovoce, allarmata) Ma no!  non così. Lasciate. Sarebbe una pazzia.

Ilario                             - Lo so. Ma il dado è tratto. (E poi a Leone che sta entrando). Prego, signor Leone.

Leone                            - (con energia, entrando) Mi chiamo Leone Ruffino.

Ilario                             - Meglio.

 Leone                           - Meglio, perché?

Ilario                             - Perché Leone solo... fa un po' di paura.

Leone                            - (alzando una mano) Ah!  ma... Vorrei che non foste un commissario di polizia per...

Ilario                             - Infatti non lo sono.

Leone                            - (abbassando la mano, con altro tono) Ah, ecco... Volevo ben dire... (E poi, a Lionella) Vogliamo andare, Lionella?

Lionella                         - (che ha assistito trepidante alla scena) Sì, sì, è meglio. Andiamo. (Prende per un braccio Leone, come per affrettarne l'uscita).

Ilario                             - (mentre i due si avviano verso la destra) Lionella!

Leone                            - (fermandosi, a Lionella) Ti chiama per nome. Chi è?

Ilario                             - Sono il marito, signor Leone. s

Leone                            - (voltandosi, a guardarlo) Il marito?  (E poi, a Lionella) Tu hai un marito, Lionella?

Lionella                         - (guarda un attimo Ilario senza capire; poi, per paura di più gravi complicazioni, abbassa il capo come per dire di sì).

Ilario                             - Se non avesse un marito, perché si lascerebbe condurre in un locale come questo?  Non c'è casa più inospitale di quelle così dette ospitali. Anche le donne più spregiudicate vi arrivano con un senso di ribrezzo e di angoscia. L'amore vi si celebra come in un obitorio. Dietro la porta c'è sempre il presen­timento di un agente in borghese che stia per trascinarvi al primo posto di polizia facendovi arrossire di vergogna e di paura.

Leone                            - (a Lionella) Lionella!  Ma tu... ma voi... non mi avevate mai detto di avere un marito...

Ilario                             - (a Leone) Signor Leone, non incomin­ciate a fare il coniglio.

Leone                            - E voi, signore, non approfittate dei privilegi che vi dà la legge come marito.

Ilario                             - Perché?  Credete che se ne approfit­tassi, vi lascerei ancora al fianco di mia moglie senza usare per lo meno un'arma da fuoco?  Ma io sono equanime. Poiché non ammetto la pena di morte in favore dello Stato, non l'ammetto nemmeno in favore del marito tradito.

Leone                            - Io negò, intanto, che voi siate un marito tradito. Per lo meno da me...

Ilario                             - Ah, ah! (Ride) Codesta si chiamerebbe cavalleria: negare di aver reso becco un uomo; ma non escludere che egli possa esserlo per opera altrui.

Leone                            - Io intendevo dire che... In ogni modo, se voi vi ritenete offeso, io mi metto a vostra disposizione.

Ilario                             - Offesa dovrebbe essere la signora; non io. Comunque sarei un imbecille e un maleducato se, per vendicarmi di una ipo­tetica offesa, facessi sapere a quattro testi­moni, a un direttore di scontro e a un medico che mia moglie va bevendo tè speciali in appartamenti equivoci camuffati da caffè.

Leone                            - E allora che cosa pretendete da me?

Ilario                             - Niente, signore, che non debba prolun­gare il piacere vostro e quello di mia moglie per tutta la vita. Vi cedo la signora. Sposa­tela.

Leone                            - (imbarazzato) Bisognerebbe che... la signora non fosse maritata.-.

Tlario                             - Penserò io a... smaritarla.

Leone                            - (sempre più imbarazzato). Già, ma... bisognerebbe che... non fossi sposato anch'io...

Lionella                         - (a Leone) Sei sposato, Leone?

Leone                            - Sì.

Lionella                         - Non me l'avevi mai detto...

Leone                            - Temevo che tu, sapendolo... Anche tu, del resto...

Ilario                             - Poco male, signori. Invece di un matrimonio solo, ne faremo annullare due.

Leone                            - Il guaio è che io... ho anche figli.

Ilario                             - Sarà facile provare che non sono £ vostri.

Leone                            - Non vi permetto di offendere mia moglie!

Ilario                             - E perché non dovrei offendere vostra moglie, dal momento che voi avete offeso la mia?

Leone                            - Mia moglie è una donna onesta.

Ilario                             - (a Lionella) Mi dispiace, Lionella, di non poter dire la stessa cosa di te... Del resto, come vedi, non lo dice nemmeno il signor Leone... Egli ha più stima di sua moglie che di te.

Lionella                         - Insomma, basta!  Mi avete seccata tutt'e due!  È comodo per tutti e due liti­gare a spese della mia sola dignità. Vorrei essere in casa mia, per potervi mettere alla porta come due facchini. Ma forse è meglio che io possa lasciarvi in una casa molto più degna di voi che di me. Buon divertimento, signori!  (Esce, rapida, per la sinistra. Una pausa).

Leone                            - Ecco l'effetto del vostro cinismo, signore. L'avete perduta definitivamente..

Ilario                             - Anche voi. (Una pausa). L'ama­vate?

Leone                            - (a testa bassa, quasi con pudore) Sì.

Ilario                             - L'amavate senza stimarla. La solita storia. Poco fa c'era un altro signore, qua, che l'amava. Ma siccome lui non aveva ancora preso con lei... un tè speciale, sem­brava animato dalla buona intenzione di sposarla. Se le donne fossero veramente scal­tre, non prenderebbero mai tè prima d'essere sposate. (Una pausa).

Leone                            - Comunque…. Io vi chiedo scusa….

Ilario                             - A me?

Leone                            - A voi.

Ilario                             - Di che cosa?

Leone                            - Di avervi…. Involontariamente….

Ilario                             - Ah, capisco.

Leone                            - Vi assicuro che io non sapevo…

Ilario                             - …Che la signora fosse mia moglie?

Leone                            - Appunto….

Ilario                                       - (Come frase) A furia di fare il marito, debbo aver assunto veramente l'aria dell'im­becille.

Leone                            - Come?

Ilario                             - Pensavo, signore, a una risposta della cantante francese Sofia Arnould. Un tale, molto pigro, le chiedeva quale fosse un me­stiere molto lucroso e poco faticoso. « Il me­stiere del marito tradito - gli rispose la cantante. - Quello è un mestiere nel quale... soltanto la moglie si dà molto da fare ».

Leone                            - Non so come in queste circostanze abbiate voglia di scherzare.

Ilario                             - Ah, signore!  Guai se non si potesse scherzare anche nelle circostanze luttuose!  Mi ricordo di un'osservazione che io facevo durante i lutti domestici. Quei lutti mi ad­doloravano profondamente, e tuttavia, nella piena del dolore, pensavo al vestito nero, alle scarpe nere, alla cravatta nera che avrei ordinato ai miei fornitori, ne sceglievo men­talmente la foggia, mi specchiavo con l'im­maginazione per misurare il vantaggio e lo svantaggio che ne avrebbe tratto la mia per­sona... E incredibile come le tragedie, tanto le individuali quanto le collettive, non riescano mai a fugare completamente i pen­sieri futili, gli agguati della vanità, le piccole cure della vita quotidiana. - Non siete del mio parere?

Leone                            - (pensando che Ilario vaneggi) Sì, sì...

Ilario                             - Lo dite senza aria di convinzione, signore.

Leone                            - (c. s.) No, no; anzi...

Ilario                             - Forse il vostro cervello non afferra immediatamente i rapporti tra i fatti e i pensieri, tra le azioni fisiche e le reazioni metafisiche...

LEONE                        - (e. 5.) Già. Forse... non... (Guarda l'orologio per levarsi d'imbarazzo) Ma... vedo ch'è tardi. Sono costretto a privarmi del pia­cere della vostra compagnia... Mi dispiace che il nostro incontro sia avvenuto in cir­costanze così singolari... e, forse, per voi un tantino sgradevoli... ma... Con permesso, signore. Ossequi, signore. (Esce rapido per la destra come per sottrarsi alla vista di un pazzo).

Ilario                             - (cambiando subito atteggiamento e tono ride) E due!  (Poi chiama) Lionella!  (Si avvicina alla porta di sinistra) Lionella!

Cameriere                      - (dalla sinistra) Prego, signor Com­missario.

Ilario                             - Ma che Commissario d'Egitto!  Io chiamo la signora ch'era qui, con me, poco fa.

Cameriere                      - Ah, capisco, signore. Ma... la signora è già uscita.

 Ilario                            - (dolorosamente colpito) Uscita?

Cameriere                      - E uscita dalla parte opposta. Qui, oramai, non c'è più nessuno. Anzi il proprietario desiderava ringraziarvi della cortesia con cui...

Ilario                             - Adesso sono io che non capisco!  (En­tra, improvvisamente, dalla destra, una giovane donna dall'aria candida, di nome Nora, vestita con decenza ma senza lusso. Ella si rivolge subito al cameriere).

Nora                              - Cameriere, per piacere, il telefono.

Cameriere                      - (imbarazzatissimo facendo segni a Nora perché non insista) Non abbiamo telefoni, signorina... O meglio il telefono è guasto.

Nora                              - (delusa) Oh!  E... sarà guasto per molto tempo?

Cameriere                      - (sempre facendo segni ) Eh, sì, sì: forse per molto tempo...

Nora                              - (che non capisce) Già; ma a me mi ser­viva per... telefonare a mio cugino che mi ha detto di venire qua... a prendere con lui un tè speciale...

Ilario                             - (che si è riavuto dalla sorpresa di sapere Lionella uscita e ha alternativamente sogguar­dato il Cameriere e Nora) Signorina, il ca­meriere vi sta pregando di non insistere perché ci sono io.

Nora                              - (un po' imbambolata) Ah, ecco...

Cameriere                      - Accidenti alla furberia!  (Esce per la sinistra, con l'aria di chi voglia man­darla a farsi benedire).

Nora                              - (guardando Ilario) E... chi siete voi?

Ilario                             - Secondo il parere di un certo signor Leone Ruffino, io sono un pazzo.

Nora                              - (indietreggiando) Davvero?

Ilario                             - Davvero.

Nora                              - Cioè, siete davvero un pazzo?

Ilario                             - Ma no. Volevo dire che davvero il signor Leone Ruffino mi ritiene un pazzo.

Nora                              - Ah, ecco!  Ma voi... non lo siete?

Ilario                             - Questo, io non lo so. Già non si sa bene nemmeno che cosa sia la pazzia. I con­fini tra sanità e infermità mentale sono poco netti. I medici distinguono fra nevrosi e psiconevrosi; e il sesso, l'età, il clima, il tem­peramento, la professione, le emozioni, le intossicazioni hanno la loro importanza nella ricerca delle cause della pazzia.

Nora                              - Siete... uno psi... psi...

Ilario                             - Psichiatra?  Un'altra professione!  Bisognerebbe che la propria professione si portasse scritta in fronte. Invece la sola bellezza è subito identificabile. Voi, per esempio, siete una bella creatura.

Nora                              - (un po' oca) Troppo buono, grazie.

Ilario                             - Peccato che non sempre alla bellezza corrisponda l'intelligenza.

Nora                              - Oh, volete offendermi, ora.

Ilario                             - Be', sono lieto che comprendiate qual­che cosa. E, poiché siete donna, forse com­prenderete un lato della psicologia femminile che non comprendo io. Vi dispiace di ascol­tarmi due minuti?

Nora                              - No, non mi dispiace; ma... attendo mio cugino, e non so se...

Ilario                             - Vostro cugino deve venire da que­sta porta (accenna alla porta di destra) o dalla porta che dà nell'interno?

Nora                              - Lui mi ha detto da quella che dà nell'interno.

Ilario                             - E allora, se non vado via io, vo­stro cugino non verrà. Potete ascoltarmi dunque.

Nora                              - Perché non verrà se non andate via voi?

Ilario                             - Verrà; ma non lo saprete.

Nora                              - Non capisco.

Ilario                             - Rinunziate a capire, e ascoltatemi.

Nora                              - Forse voi conoscete mio cugino?  Forse siete un parente?  TI padre?

Ilario                             - Se fossi il padre, sarei anche vostro zio, immagino.

Nora                              - Ah, già!

Ilario                             - Vedete che cosa succede a presentare per cugini i propri innamorati?

Nora                              - Oh!  E come avete fatto a indovi­narlo?

Ilario                             - (sottolineando la stupidità della domanda, con tono ironicamente misterioso) Mah!  (Poi, guardandola) È la prima volta, evidentemente, che venite da queste parti... (Con malinconia) E già!  Siete ancora tanto gio­vane. II... cugino vi ha detto di entrare in questo caffè, di domandare « il telefono per piacere », di chiedere un tè speciale.... (Una pausa. La guarda con tenera pietà) Vorrei darvi un consiglio, signorina. Tornate a casa. In questo luogo si viene per un'ora di gioia e vi si lascia... Voi non sapete quante cose vi si lasciano!  Anche un poco delta propria giovinezza spirituale, un poco della propria fede nell'amore... Tornate a casa.

Nora                              - (a occhi bassi) Non posso. Capisco quello che voi dite. Sento che avete ragione, Ma non posso.

Ilario                             - Perché non potete? .

Nora                              - (dopo un silenzio pieno d'imbarazzo) Mi è così difficile dirlo..

Ilario                             - Avete il padre?  la madre?

Nora                              - Il padre no.

Ilario                             - Siete impiegata?

Nora                              - Da tre mesi. La mamma, poveretta, con la sola pensione di papà, non glie la faceva più e...

Ilario                             - Quanto guadagnate?

Nora                              - Cinquecento lire.

Ilario                             - E non bastano neanche queste, natu­ralmente.

Nora                              - Per bastare, bastano. Bastano almeno a non morire di fame. Solo che... io non riesco più a farmi un vestitino nuovo. Questo che porto è di due anni fa, rimordernato due volte. Di fronte alle mie compagne che vestono tutte bene, sto sempre in soggezione. Una, l'altro giorno, mi trovò davanti a una vetrina a guardare un vestito che mi faceva impazzire tanto era bello. Me l'ero anche provato, fingendo di volerlo comprare; e ora lo guardavo senza speranza di poterlo com­prare. La compagna mi disse: « Sei una sciocca; che ci vuole a comprarlo?  ». « Ci vogliono mille lire ». « E che ci vuole a trovare mille lire?

Ilario                             - Capisco il resto. (Mette una mano nella tasca dei pantaloni per prendere mille lire) Come vi chiamate?

Nora                              - Nora.

Ilario                             - Nora, permettete a me di regalarvi quel vestito? (Ha già in mano le mille lire, glie le porge) Ecco.

Nora                              - No, grazie. Non posso accettare.

Ilario                             - (prendendole paternamente una mano e mettendovi il denaro ) Ve ne prego, Nora.

Nora                              - Ma... io non vi conosco. Chi siete?  Che volete da me?

Ilario                             - Sono uno qualunque, Nora. Questo non ha importanza, perché non mi vedrete mai più. E voglio una cosa molto semplice: che voi torniate a casa vostra, senza ve­dere... vostro cugino. Volete farmi questo favore?

Nora -                            - (dolcemente commossa, ritirando la mano in cui tiene il denaro) Non so come ringraziarvi...

Ilario                             - Non dovete ringraziarmi. Andate a casa. Andate.

Nora                              - (fa qualche passo; poi si volta) Grazie!  (Ed esce in fretta per la destra).

Ilario                             - (la segue un poco con lo sguardo, poi distrattamente si avvicina al tavolo dove è ri­masto il tè che il Cameriere aveva servito a Daniele durante il primo atto; poi siede, si accinge a mescere il tè senza pensarci, e, come vede con sorpresa e disgusto il colore nerastro della bevanda, chiama imperiosamente il came­riere) Cameriere!

Cameriere                      - (accorrendo) Comandate, signor commissario.

Ilario                             - Che cosa c'è qua dentro?

Cameriere                      - Tè, signore. È quel tè speciale che avevo servito poco fa a... (Fa un gesto vago come per ricordare Daniele).

Ilario                             - (alzandosi; con vigore; come se leggesse nelle tavole della legge del Taglione) Ebbene, chiamate il proprietario e ditegli che venga a bere lui alla mia presenza, fino all'ultima goccia, questo tè speciale!

SIPARIO

 

ATTO TERZO

La stessa scena degli atti precedenti. La sala del caffè è ripulita, illeggiadrita, con tavoli e sedie migliori, luci alle pareti, ecc.. lo stesso cameriere, che nei primi due atti era in giubba di tela bianca, indossa ora la marsina. Quando si alza la tela è passalo qualche mese. È una sera primaverile. Le luci sono tutte accese. A un tavolo, in fondo, sono seduti il 1° signore e il 2° signore. Il cameriere sta servendo loro due bibite al seltz.

Cameriere                      - (al 1°signore) Basta seltz?

1°Signore                      - Sì, grazie.

Cameriere                      - (al 2° signore) Seltz o acqua?

2° Signore                     - Seltz. Ma poco.

Cameriere                      - (mescendo) Basta cosi?

2° Signore                     - Basta. Grazie. (Dall'interno inco­mincia a giungere, lievissimo, il suono di un ballabile di moda. Il cameriere esce per la sini­stra, portando con sé il sifone del seltz. Poco dopo entrano dalla destra Nora e Primo, spo­sati di fresco).

Nora                              - (indicando un tavolo a destra presso la ribalta) Ci mettiamo qui?

Primo                            - Come vuoi cara. L'essenziale è che, dopo un si lungo viaggio, siamo arrivati...

Nora                              - (sedendo) Sei stanco?

Primo                            - No. Ma non capisco perché siamo ve­nuti cosi lontano, in un caffè periferico che poi non mi sembra un gran che...

Nora                              - Ti dispiace?

Primo                            - Ma no, ma no!  Non mi dispiace. Solo, al centro, dalle parti di casa nostra, avremmo trovato certamente un caffè migliore. Non vedo la ragione per cui...

Nora                              - E se una ragione ci fosse?

Primo                            - Vorrei almeno saperla.

Nora                              - Be', adesso ordina qualche cosa. Poi te la dirò.

Primo                            - (chiamando) Cameriere!

Cameriere                      - (dalla sinistra) Viene subito!  (entra) Buona sera, signori. Prego.

Primo                            - Vorremmo bere qualche cosa.

Cameriere                      - Una birra?  Una bibita?  Un li­quore?

Primo                            - (a Nora) Preferisci un liquore?

Nora                              - (che guarda con attenzione il cameriere) Sì.

Primo                            - Che liquore si può bere?

Cameriere                      - Tutti i liquori, signore. Nazionali, esteri...

Primo                            - (a Nora, che continua a guardare il came­riere) Un cognac?  Una strega?

Nora                              - Quello che vuoi.

Primo                            - Due cognac, allora.

Cameriere                      - Martell?  Boulestiu?  Branca? . Sarti?

Primo                            - Boulestiu.

Cameriere                      - Bene, signore. (Esce per la sinistra).

Nora                              - (a Primo) Perché hai scelto Boulestin?  Lo conosci?

Primo                            - No. L'ho scelto appunto perché nonio conosco.

Nora                              - Se non sbaglio, quel cameriere è lo stesso che c'era qualche tempo fa.

Primo                            - Ah, ecco. Tu eri già «tata in questo locale?

Nora                              - Naturalmente. C'ero stata una volta, prima del nostro matrimonio.

Primo                            - (con una punta di diffidenza) Sola?

Nora                              - (vagamente) Sì... sola(lo guarda) Non sarai mica... geloso della mia vita di signo­rina?

Primo                            - No. Ma si direbbe che tu faccia di tutto per destare in me un poco di gelosia retro­spettiva.

Nora                              - Se è cosi, non ti dico più niente.

Primo                            - Come vuoi. Ma... codesto non è un modo di attenuare; anzi è un modo di aggra­vare quella che tu chiami la mia gelosia.

Nora                              - Allora vuoi sapere?

Primo                            - (alzando le spalle, seccalo) Insomma... (ritorna il cameriere con i due cognac).

Cameriere                      - Ecco, signori.

Nora                              - (al cameriere) Se non sbaglio, voi siete qui da molto tempo.

Cameriere                      - Sì, signora. Ci sono esattamente... esattamente... (cerca nella memoria) da cin­que anni prima che il locale fosse rinnovato.

Nora                              - Ah, ecco. Il locale è rinnovato. Mi pa­reva.

Cameriere                      - Tutto rinnovato, signora. Al pri­mo piano... dove una volta... abitava l'ex proprietario... abbiamo fatto un grande sa­lone per rinfreschi. Ci vengono per batte­simi, per nozze...

Nora                              - Ah!  Perché prima non c'era il sa­lone?

Cameriere                      - No, signora. C'erano... delle pic­cole camere... d'abitazione... e... almeno per i battesimi... erano premature... Cosi, ab­biamo abbattuto le pareti divisorie, e ab­biamo creato il salone. Se volete visitarlo, signora...

Nora                              - No, grazie.

Cameriere                      - Prego, signora. (Esce per la sini­stra) .

Primo                            - (a Nora, nervosissimo) E cosi, mi stavi dicendo...

Nora                              - Io sono pronta a dirti tutto; ma se tu continui con quel tono...

Primo                            - Dimmi, dimmi.

Nora                              - Se ci fosse qualche cosa di male, non ti direi niente, no?  E stato un capriccio, che m'è venuto dopo un sogno che ho fatto sta­notte.

Primo                            - Un capriccio?  Un sogno?

Nora                              - Be', allora non ti dico niente! (si volta dall'altra parte, indispettita, mettendo il broncio). (Entra dalla destra Leone Ruffino, con sua moglie Sofia, che ha ima quarantina d'anni e l'aspetto di una buona madre di fa­miglia).

Leone                            - (guardando il tavolo di Primo e Nora) Ah!  Stasera abbiamo fatto tardi. Il nostro tavolo è occupato.

Sofia                             - Poco male, no?  Ci mettiamo a un altro tavolo. Tu non solo sei tenace nel preferire questo caffè - e non riesco a capirne la ragione - ma pretendi anche che sia sempre quel ta­volo a ospitarci.

Leone                            - Ti dispiace?

Sofia                             - No. Ma ci sarebbe da insospettirsi, non ti pare?

Leone                            - E come?  Ci veniamo da alcuni mesi, e te ne accorgi adesso?

Sofia                             - Oh!  Me n'ero accorta anche prima!

Leone                            - Sofia, ti prego, non ricominciare (e poi cambiando tono) Mettiamoci là, al tavolo di ri lupetto. (Si avvia, seguito dalla moglie, verso il primo tavolo di sinistra). Ecco: anche qua si sta bene.

Sofia                             - Meno male!  (siedono entrambi).

LEONE                        - Sei di cattivo umore, cara?

Sofia                             - Che vuoi?  Mi costringi a lasciare tutte le sere i ragazzi soli...

LEONE                        - Perché?  Preferiresti rimanere a casa?

Sofia                             - Già!  Fossi matta!  E finito il bel tempo che ti lasciavo andar solo di qua e di là, come una scema.

Leone                            - (ridendo male) Ah, ah, ah!  E che cosa vuoi che facessi solo?

Sofia                             - Non lo so!  Non lo so!

Leone                            - Quando sono qua mi comporto sem­pre come se ci fossi tu.

Sofia                             - Sempre in questo caffè, naturalmente.

Leone                            - Ma perché a questo caffè sono legato da qualche ricordo.

Sofia                             - Ecco. Appunto!

Leone                            - Ricordi innocentissimi, sai.

Sofia                             - Speriamo.

Leone                            - Vuoi che te li confidi?

Sofia                             - Sarebbe tempo, mi pare!

Leone                            - Be', intanto ordiniamo qualche cosa e poi... (chiama) Cameriere!  (Mentre il came­riere tarda ad arrivare e poi s'indugia presso Sofia e Leone per ricevere i loro ordini, Nora e Primo riprendono il loro discorso).

Primo                            - (conciliante) Andiamo, su, smettila, bevi. E se vuoi dirmi quello che mi stavi dicendo, bene. Se no, fa' come vuoi.

Nora                              - (con un sorriso di soddisfazione) Ecco, bravo. Ragionevole, devi essere. Del resto, se sei contento di avermi sposata...

Primo                            - Hai bisogno di sentirtelo ripetere ogni cinque minuti?

Nora                              - ... ebbene, tu lo devi proprio a questo caffè.

Primo                            - In che senso?

Nora                              - Ti ricordi di quel vestito che portavo quando mi hai conosciuta?  

Primo                            - Che c'entra il vestito?  

Nora                              - C'entra, perché ... Ti ricordi come mi stava bene?  Costava mille lire. Come avrei potuto comprarlo con i pochi mezzi di cui disponeva la mamma?  

Primo                            - (preoccupato e sospettoso) Be'?  

Nora                              - Me lo regalò un .signore, in questo caffè...

Primo                            - Un signore?  in questo caffè?  

Nora                              - Ma che pensi, Primo?  Niente di male, sai. Anzi!  Ringrazio Dio che me lo ha fatto incontrare. (Guardando nel vuoto) Era un bel signore, un po' grigio, forse uno psichiatra; Aveva un'aria dolce, paterna. Mi diceva: « Nora, bisogna fare così, così, così... Una ragazza per bene come te deve stare sempre in casa con la mamma... Specialmente quando è una bella ragazza come te... » Pareva il signore di una favola, non so... Portava con sé tanto denaro e lo dava così, senza chiedere niente...

Primo                            - (imbronciato, voltandosi dall'altra parte) Non ci credo!  (Intanto il cameriere, che ha ricevuto gli ordini da Leone e Sofia è uscito per la sinistra, e Leone ha ripreso a parlare con la moglie).

Leone                            - Una volta venni qua, solo, e vi co­nobbi un tipo molto strano. Pareva un po' matto. Chi diceva che fosse un marito sfortu­nato, chi un commissario di polizia... Fatto sta che raccontava certi episodi curiosi della sua vita, e li raccontava in una maniera un po' favolosa, accompagnandoli con certe sue riflessioni un po' filosofiche... Non so che. pa­gherei per rivederlo... Mi piacerebbe di sapere chi fosse...

Sofia                             - (incredula) E tu verresti qua, solo per questo?  Non ci credo!  (si volta, imbronciata, dall'altra parte). Ritorna il cameriere, che serve due bicchieri di birra a Leone e a, Sofia. Con­temporaneamente, dalla destra entrano Daniele e Mina).

Mina                              - (guardando la sala) Ah, avevi ragione: è tutto più bello.

Daniele                          - E dire che quando tu, quel giorno, passasti chiedendo di voler telefonare...

Mina                              - (portando un dito sulle labbra, scherzosa) Zitto!  Non sì dice. Non vedi che c'è lo stesso cameriere?  

Daniele                          - Oh!  Puoi essere sicura che il came­riere non ci riconoscerà. Non ci riconosce­rebbe nemmeno quel signore, ti ricordi?  Ah, già, tu non lo vedesti. Io aspettavo pro­prio lui, di fuori, quando ti rividi che uscivi dall'altra porta...

Mina                              - Come ti venne in niente di seguirmi, dal momento che ero in compagnia?  

Daniele                          - Così... Avevo parlato a lungo con quel signore... Strano tipo. (Nel frattempo il 1°e il 2° signore, ai quali il cameriere si è avvicinalo, hanno pagalo il conto ed escono dalla destra).

Mina                              - (accennando al tavolo lasciato dal 1°e dal 2° signore) Vedi, s'è fatto libero quel ta­volo: mi sembra il migliore.

Daniele                          - Infatti. (Va con Mina a sedere al tavolo del fondo, dal quale il cameriere sta por­tando via i bicchieri).

Cameriere                      - Prego, signori.

Daniele                          - Scusate, cameriere. Sapete niente di un signore che molto tempo fa capitò qua dentro quando... Aspettate. Aveva un nome curioso. Mi pare... mi pare...

Ilario Tris                      - (si è seduto; e vicino a lui Mina).

Cameriere                      - Ah, l'avete conosciuto, signore?  

Daniele                          - Sì. Un giorno, molto tempo fa...

Cameriere                      - Eravate, forse, un frequentatore del locale, quando. ...

Daniele                          - (vago) Così... Mi ricordo, comun­que, che un giorno v'incontrai questo Ilario Tris. Un uomo di una certa età, grigio, che diceva di essere scambiato sempre per un altro, e voi lo scambiaste per un commissa­rio di polizia...

Cameriere                      - Si deve proprio a lui la trasfor­mazione di questo locale.

Daniele                          - Ah sì?  E come?

Cameriere                      - Una storia un po' romanzesca, signore. Un giorno noi, credendolo commis­sario di polizia, gli svelammo involontaria­mente il... funzionamento del locale... ed egli... in una settimana riuscì a portarlo via all'ex proprietario.

Daniele                          - Via, come?

Cameriere                      - Non via senza pagarlo, intendia­moci. Lo pagò, anzi, molto bene. Ma, sapete, conoscendo ormai i segreti del locale, tenne per ima settimana il proprietario sotto la minaccia di uno scandalo, della chiusura...

Daniele                          - Di modo che il nuovo proprietario del locale è lui?

Cameriere                      - Qui comincia lo strano, signore. Il nuovo proprietario del locale sono io, almeno ufficialmente...

Daniele                          - Non capisco.

Cameriere                      - Se debbo dirvi la verità, non capisco nemmeno io. Mi ricordo che mandò un signore il quale pagò il prezzo del locale al vecchio proprietario, nominò me gerente, e da allora... (si ferma a guardare nel vuoto).

Daniele                          - Da allora?

Cameriere                      - (con un sospiro) II signor Tris si fa vedere raramente. E un tipo indefinibile. Ma quello che più mi turba  - debbo confes­sarlo - è l'insistenza un po' maniaca con cui, tutte le volte che viene, mi chiede conto di una signora che... Sì, mi pare di averla cono­sciuta, mi pare di ricordarla... ma si direbbe che il signor Tris ritenga me responsabile della sparizione di questa signora...

Daniele                          - Leonella Sera.

Cameriere                      - Ecco appunto. La conoscete?

Daniele                          - (con un sospiro) Da conobbi per caso... proprio quel giorno che...

Cameriere                      - (con interesse) Sapete, forse, dove abita?

Daniele                          - Purtroppo, sì. (E poi, subito, a Mina) Scusa, cara.

Mina                              - Oh, figurati!

Cameriere                      - Non potreste darmi il sito indi­rizzo, signore?

Daniele                          - Che cosa vorreste farne?

Cameriere                      - Niente di male, signore. Vorrei pregarla di venire qui, di farsi vedere dal signor Tris.

Daniele                          - Ho capito. (E poi, dopo una breve riflessione) 15 perché no?  Potrei telefonarle. Peccato che qui non ci sia il telefono...

Cameriere                      - C'è signore. Adesso c'è. Vera­mente.

Daniele                          - (deciso, alzandosi) Dov'è?

Cameriere                      - (indicando l'interno) A destra, signore. Ma sul serio.

Daniele                          - (a Mina) Scusa un momento, cara. (Esce rapidamente dalla sinistra seguito dal cameriere).

Leone                            - (che ha seguito con attenzione e con trepi­dazione il colloquio fra il cameriere e Daniele, dice alla moglie) Non mi sento molto bene stasera... Preferirei tornare a casa...

Sofia                             - (che nel frattempo si è addormentata) Come?

Leone                            - Dicevo che ho un po' di mal di capo. Vorrei tornare a casa.

Sofia                             - Questa è l'ultima sera che vengo in questo caffè!

Leone                            - Oh, se è per questo... figurati! ... siamo d'accordo  (chiama) Cameriere!

Cameriere                      - (dall'interno) Subito, signore  (ma non viene).

Nora                              - (a Primo, che è sempre voltato dall'altra parte) Hai sentito la storia che ha raccon­tato quel cameriere?

Primo                            - (nervoso) Non me ne importa niente!

Nora                              - Vedi come siete voialtri mariti?  Non vi si può mai dire la verità. Non fate altro che dire: « ah, per me, le bugie, guai!  » E poi non vi si può tenere buoni e contenti, se non a furia di bugie!  Son venuta qua per un sogno che ho fatto stanotte?  Eccolo col muso. Gli racconto la storia del vestito?  Apriti cielo!

Leone                            - (richiamando con insistenza) Cameriere!

Cameriere                      - (dall'interno) Viene subito!  (Ma non viene).

LEONE                        - (nervosissimo) E un'ora che chiamo, perbacco!  (Mentre Leone pronunzia queste parole, appare alla destra Ilario Tris).

ILARIO                        - (seccato che il cameriere si faccia atten­dere dai clienti) Cameriere!  (Leone e Nora dai loro posti, richiamali dalla voce imperiosa di Ilario, si volgono contemporaneamente a guardarlo).

Cameriere                      - (accorrendo, a Ilario) Oh, signore,! Paravate voi?  

Ilario                             - Che importanza ha se fossi o non fossi io?  (E poi, volgendosi a Leone) Scusate, signore. (Così dicendo lo guarda, lo riconosce) Ah, siete voi!  Vi aspettavo.

Nora                              - (per farsi notare da Ilario) Buona sera!  Ti aiuto  - (volgendosi a Nora) Buona sera!  Ah!  ci siete anche voi!  Vi aspettavo. (Si volge intorno come per cercare qualcun altro) Ma qualcuno manca. (Come fra se) Forse non ci siamo ancora. (Rientra dalla sinistra Daniele. Ilario lo vede con gioia). Olà!  Eccolo. Buona sera, signor Ghisa.

Daniele                          - (guardandolo meravigliato) Buona sera. Vi... ricordate di me?

Ilario                             - Non ho più che la memoria, signore. La mia vita, da qualche tempo, è tutta nella, memoria. Non m'interessa, che il passato. Per il presente, vivo come una macchina (Guardando intorno). Ma vi rivedo volentieri tutt'e tre. Il signor Leone... (a un gesto di pro­testa di Leone, come per calmarlo)... Ruffino, Ruffino. La signora, naturalmente, è vostra moglie...

Leone                            - (un po' seccato) Naturalmente.

Ilario                             - (come per confortarlo) Pazienza!  (E poi, continuando a guardare intorno) La signorina Nora...

Nora                              - Non più signorina, adesso. Ecco mio marito. Lo debbo... a voi.

Ilario                             - (dopo aver guardato Primo ) Non tutti i guai si possono evitare...

Nora                              - (accarezzando i capelli a Primo) Oh!  mi vuol tanto bene!

Ilario                             - (a Daniele) E voi, signor Guisa, ammo­gliato anche voi?  (Allude a Mina, che ha già veduta nel frattempo).

Daniele                          - No, io no.

Ilario                             - (a Mina) La signorina è sola?

Mina                              - No. Sono con lui. (Accenna a Daniele).

Ilario                             - Faccio finta di non capire... (Una pausa). Forse non sapete che io penso a tutti voi da molto tempo. Ah, se sapeste quanto sia grande la potenza di un pensiero solo, quando è solo!  Voi siete tutti qua, contem­poraneamente, perché l'ho voluto io. (Tutti si guardano fra loro come per dire « Forse è pazzo?». Ilario continua). Lo so quello che sospettate: « forse è pazzo ». Eppure tutt'i giorni ci capita d'incontrare qualcuno al quale avevamo pensato; e non vi poniamo mente, o, se vi poniamo mente, crediamo di trovare la spiegazione in quello che comune­mente si chiama caso. Ma un caso che si ripete, almeno quello, ha la sua causa. (Guarda con un sorriso ironico un po' tutti. E poiché tutti lo guardano stupiti, egli con tono rassicu­rante dice rapido:) No, no, non vi spaventate, signori. Non sono un professore di filosofia. (Una pausa, poi, con altro tono) Sono appena uno che in linguaggio corrente si potrebbe chiamare superstizioso. Vedete che porto il medesimo vestito che avevo la prima volta che c'incontrammo: il medesimo vestito, la medesima cravatta... Io dico cosi: perché un fatto si ripeta, bisogna che si ripetano tutte le condizioni in cui quel fatto avvenne: anche le condizioni apparentemente futili, insignificanti, quale può essere il portare un vestito invece che un altro. Oh, non sorri­dete, signori. Scommetto, che ognuno di voi ha in tasca un piccolo amuleto. I soldati inglesi portavano pezzetti di pelle di gatto nero, quelli austriaci ali di pipistrello cu­cite nell'uniforme, quelli] bavaresi una felce imbevuta del proprio sangue. Io conosco la storia degli atti e degli oggetti apotropaici. Ebbene, un poco il pensiero, un poco la volontà, un poco l'influenza de' miei amuleti, hanno ricreato le condizioni a me necessarie perché voi foste tutti qua stasera; e non per opera di magia, no, perché la magia non esiste e gli uomini attribuiscono alla magia solo quello che non sanno spiegarsi. Fra poco, se il mio sistema non sbaglia, dovrebbe essere fra noi anche la creatura che cerco e che aspetto   (Guarda con rancore il cameriere e gli dice) Quella che voi avete lasciato fuggire!

 Cameriere                     - Signore, io la sto cercando; e... forse... (guarda interrogativamente Daniele).

Daniele                          - Si, si, l'ho chiamata. Fra poco sarà qui.

Ilario                             - (con trepidante ansia) Chi avete chia­mato?  

Daniele                          - Colei che aspettate: Lionella Sera.

Ilario                             - (c. s.) Ne siete sicuro?  

Daniele                          - Le ho parlato adesso per telefono. Le ho detto appunto che la cercate voi. Prima ha tentennato. Poi ha detto: « verrò ».

Leone                            - (rapidamente al cameriere) Cameriere, desidero pagare il conto perché ho fretta.

Ilario                             - (guarda Leone e ride) Capisco la vostra fretta. Ma potete andare. Qui stasera non si paga.

Leone                            - (imbarazzato, rapido) Grazie. (E poi, alla moglie) Andiamo, Sofia.

Sofia                             - (avviandosi col maritò) Andiamo; ma questa è l'ultima volta ch'io vengo in un locale cosi noioso, dove fra l'altro s'incon­trano esseri squilibrati...

Leone                            - Ma si, ma si. Non ci verremo mai più. Parola di Leone!  (Esce con la moglie per la destra).

Ilario                             - (che li ha seguiti con lo sguardo) Meglio vivere un giorno da pecora che tutta la vita da... Leone.

Daniele                          - (imbarazzato anche lui) Adesso che ci penso, forse è meglio che vada via anch'io...

Ilario                             - Anche voi?  Ah, già!  Non oso tratte­nervi, signor Guisa. Vi ringrazio del servigio che mi avete reso facendovi ritrovare... mia moglie; e spero... di potervela cedere in mi­gliore occasione.

Daniele                          - (seccato) Buona sera, signor Tris. (Poi a Mina) Andiamo, Mina. (Si avvia per uscire).

Mina                              - Buona sera a tutti. (Esce con Daniele per la destra).

Ilario                             - (dolce) E voi, Nora?  Rimanete?

Nora                              - (guardando il marito) Non so... Vuoi che andiamo via?

Primo                            - (corrucciato) Si, è meglio.

Nora                              - ( a Ilario) Non vuol credere, signore, che quel giorno voi... (Poi, al marito) Ecco, è lui il signore che... (Poi di nuovo a Ilario) Gli ho raccontato appunto l'episodio di quel giorno in cui voi, come un padre... (E ancora al maritò) Avanti, su, Primo, presentati al signore.

Primo                            - (diffidente, mal volentieri) Margutta Primo.

Ilario                             - Siete capo di una nuova dinastia?

Nora                              - Si è presentato, signore. Margutta è il suo cognome. Il suo nome è Primo.

Ilario                             - (a Primo) Be', ringraziate Dio di non essere stato il secondo o il terzo, ragazzo mio. (E poi, con altro tono, a Nora). Buona sera, Nora.

Nora                              - Buona sera. (E poi, nervosamente, at marito). Su, su, andiamo, maleducato. (In­fila rapida la porta di destra, seguita da Primo, che esce indispettito, senza salutare). (Una pausa).

Ilario                             - Forse è meglio chiudere, quando verrà la signora.

Cameriere                      - Si, signore. (Incomincia a levare i vassoi dai tavoli). Del resto, a quest'ora, in generale, non viene più nessuno. Anche prima era cosi.

Ilario                             - Prima, quando?

Cameriere                      - Quando... c'era l'altro proprie­tario.

Ilario                             - Ah!

Cameriere                      - I frequentatori preferivano l'ora del tè.

Ilario                             - Naturalmente.

Cameriere                      - Si può dire che l'ultimo tè sia stato quello che l'ex proprietario fu costretto da voi a bere. Sarebbe un metodo da applicare su vasta scala : costringere i caffettieri, gli osti, i fornai a consumare la merce guasta che essi pretendono affibbiare ai loro clienti.

Ilario                             - Facendone parte, però, anche ai came­rieri!

Cameriere                      - Che c'entrano i camerieri, signore? Essi sono un mezzo, uno strumento, un tra­mite.

Ilario                             - Anche le mosche sono il tramite delle malattie infettive. E per questo noi le distrug­giamo.

Cameriere                      - Si direbbe, signore, che voi ce l'abbiate con me. Siete stato con me di una generosità senza pari facendomi diventare quasi proprietario di questo locale; ma non mi volete bene. Quel giorno la signora andò via dalla porta segreta senza neanche chie­dermi la strada. Come avrei potuto fermarla? Ma poi l'ho cercata, sempre, appunto perché m'ero accorto che a voi premeva. E, se sta­sera lei finalmente sarà qui, un po' di merito ce l'ho anch'io. (Lo guarda : nota che egli è nervoso, che guarda l'orologio). Vedo che siete impaziente, signore. Vorrei osare di rivolgervi una domanda. Ne siete innamorato forse?

ILARIO                        - (come per paura di essere stato scoperto) No.

Cameriere                      - Volevo ben dire. Quella signora non è certo degna di voi. lira una frequentatrice di questo locale, quando... Io facevo finta di non riconoscerla; ma... la riconoscevo sempre molto bene (una pausa). Vi dispia­cerebbe se non venisse?

Ilario                             - (come trasalendo) Perché?  Credete che possa non venire?

Cameriere                      - (allarmato dall'ansia di Ilario) No, no, anzi! Credo che verrà. Sono sicuro che verrà. Quel signore, del resto, quel signore che le ha telefonato, lo ha garantito. Non vorrei che, se mancasse, voi ne attribuiste la colpa a me. (Appare sulla soglia di destra Lionella. Il cameriere, vedendola, ha uno scatto di gioia). Ah, eccola. Buona sera, signora. (Invitandola premurosamente a entrare). Prego, prego! (Ila­rio si è voltato a guardarla: e lei, stupita, guarda Ilario. Il cameriere corre a chiudere la porta di destra).

Lionella                         - (al cameriere) Perché chiudete?

Cameriere                      - È l'ora della chiusura, signora. Quando vorrete uscire, c'è l'altra porta. Voi la conoscete.

Ilario                             - (seccato, al cameriere) Andate via!

Cameriere                      - Subito, signore. (Esce rapida­mente per la sinistra chiudendo la. porta).

Lionella                         - (meravigliata e preoccupata per le precauzioni del cameriere) Che vuol dire?

Ilario                             - Non mi riconoscete?

Lionella                         - Si.

Ilario                             - E perché , allora, avete paura?

Lionella                         - (con un sorriso, dominandosi) Potrei rispondervi : appunto perché vi riconosco...

Ilario                             - Ah, ecco. Voi, allora, siete fuggita... per paura di me.

Lionella                         - No, non per paura.

Ilario                             - Perché , dunque?

Lionella                         - Perché ... (lo guarda, si ferma: poi, dopo una breve riflessione). Non ho ancora capito se voi siate un uomo al quale una donna come me possa parlare come a se stessa.

Ilario                             - (stringendosi nelle spalle, amaro) Mi è difficile, rispondervi. Bisognerebbe che io sapessi, prima di tutto, che donna siete voi.

Lionella                         - Ah si? Eppure, avevate mostrato di capirlo.

Ilario                             - No, non l'avevo capito. Avvertivo, soltanto, nelle vostre parole una intelligenza affine alla mia; e la temevo, come tutte le cose da cui traggo piacere.

Lionella                         - Allora, avevate voi paura di me.

Ilario                             - Ve lo dissi, anche. Vi dissi : « mi difendo; difendetevi anche voi ». Invece voi, sul più bello, vi deste alla fuga.

Lionella                         - Anche fuggire è un modo di difendersi. Ma il piano della battaglia, fra noi due, si era spostato.

Ilario                             - Temporaneamente. Nella commedia che io ero costretto a recitare per liberare il terreno dall'ingombro di un altro uomo.

Lionella                         - Ebbene, proprio in quella comme­dia voi vi eravate mostrato diverso da quello che io immaginavo. Peggiore. Dopo essermi apparso un uomo singolare, mi apparivate improvvisamente come un uomo comune. Non meno comune dell'altro che discuteva con voi. Vi dissi : « sono seccata »; e in realtà dovevo dire «sono abbastanza punita», perché mai una donna è cosi punita come dall'essere oggetto di un conflitto fra due uomini per ricevere soltanto offese dall'uno e dall'altro.

 Ilario                            - Ma era una commedia. Almeno da parte mia. (La guarda). Improvvisamente la vostra intelligenza sembra offuscata dagli eccessi della vostra sensibilità. (Una pausa). Del resto, tutto questo mi giova. Giova a snebbiare il mio cervello. L'avevo immagi­nato, che sotto il gioco delle vostre parole si potesse nascondere una realtà senza attrat­tive. Ve lo dissi, anche. Meglio cosi. Allora vi chiedo scusa di avervi disturbata, e vi saluto. (Fa l'atto di avvicinarsi alla porta di sinistra, per chiamare il cameriere).

Lionella                         - Quello che mi fa rabbia in voi...

Ilario                             - (voltandosi) C'è qualche cosa che vi fa rabbia?

Lionella                         - Insomma, chi siete?

Ilario                             - (avvertendo di poter riprendere il pre­dominio su di lei) Ah, ah!  Da questa domanda sono investito e assalito ogni cinque minuti. Io non la rivolgo a nessuno; tutti la rivolgono a me. Nessuno vuol riconoscere che la vita è resa squallida e piatta dall'eccesso di carte d'identità. A ogni passo un documento di riconoscimento. Ma se io vi presentassi un passaporto, sul quale fosse scritto che io sono un veterinario o un ingegnere del Ge­nio Civile, ne sapreste forse più. di prima? Voi non siete, spero, nè un'allevatrice di cavalli né un'impresaria di opere pubbliche. Siete, se ricordo bene, una donna che avrebbe cu­riosità e desiderio di dividere con me qualche giorno o qualche mese della mia vita.

Lionella                         - E credete che questo sia possibile con un uomo del quale si conosce appena il nome e il cognome?

Ilario                             - E curioso che una domanda simile mi sia rivolta proprio da voi.

Lionella                         - Che vuol dire « proprio da me »?

Ilario                             - Non vorrei offendervi ricordando che voi eravate una frequentatrice di questo lo­cale, e che quindi...

Lionella                         - ... e che quindi frequentavo uomini senza conoscerli...

Ilario                             - Non dico questo, Dico che, malgrado questo, io sono stato con voi accogliente co­me se vi avessi incontrata all'uscita dalla prima comunione o ai piedi di un trono: Per me andava bene il vostro volto, la vostra eleganza, la vostra dialettica, la qualità dei vostri pensieri...

Lionella                         - Vuol dire che voi vi eravate avvici­nato a me non come tutti gli altri. Perché io non dovevo essermi avvicinata a voi non come a qualunque altro?  Ma poi non so perché voi diciate « andava » perché io dica: « eravate »...

ILARIO                        - (la guarda) Lionella!  È tardi per me ricominciare il gioco dell'amore. Per me, ormai, l'amore non può essere che ricordo o rimpianto. Voi potevate diventare la mia amica, non la mia amante. Mi pareva che con voi, al di sopra di ogni passione, io potessi qualche ora del giorno placare dolcemente il tumulto dei miei pensieri...

Lionella                         - Avete molti pensieri?

Ilario                             - Tanti.

Lionella                         - Di che genere?

Ilario                             - Di tutti i generi. Quelli che mi porta la giornata.

Lionella                         - Ogni giorno diversi?

Ilario                             - Ogni giorno. Tutte le mattine esco di casa senza sapere quello che mi accadrà. Cambiano i luoghi, cambiano i fatti, cambia­no le persone dei miei incontri.

Lionella                         - Questo è bello.

Ilario                             - Non sempre.

Lionella                         - Per esempio?

Ilario                             - Per esempio il giorno che capitai in questo luogo. L'avervi incontrata una donna come voi mi rattristò.

Lionella                         - Perché?

Ilario                             - Perché l'intelligenza dovrebbe essere alleata dell'amore; e qui l'amore... (vuol dire: è irreperibile).

Lionella                         - Avete amato molto?

Ilario                             - Così...

Lionella                         - Molte donne?

Ilario                             - Non molte.

Lionella                         - Ne ricordate qualcuna?

Ilario                             - Una regina... una domatrice di leoni... una donna ottentotta...

Lionella                         - Ecco!  Ricominciate con le vostre fantasie!

Ilario                             - Ma non sono fantasie. Non sarebbero fantasie nemmeno se io vi dicessi: ho amato un'attrice, che è stata mia nelle vesti e an­cora calda del dramma di una regina, di una domatrice di leoni, di una donna ottentotta. In realtà, io fui l'amante di una regina vera in un paese straniero, quando la mia malin­conia mi portava lontano di qui sotto le spo­glie di un re spodestato. E in un circo anda­luso una volta conobbi una donna alta e bruna che domando leoni aveva imparato a essere dolce con l'uomo. E nella steppa afri­cana un'altra volta m'innamorai per un giorno di una piccola donna dalla pelle gialla che sembrava portare quei calzoncini pneu­matici immaginati dalla mania di un perso­naggio di Huxley. Sono casi di tutti i giorni e appaiono sorprendenti come una favola solo perché l'uomo perde di. vista o ignora o non si ferma a spiegarsi le loro umili cause.

Lionella                         - Ammetterete comunque che i casi capitati a voi sono... alquanto straordinari...

Ilario                             - Non credo. In ogni modo non è colpa mia. Un giorno, per esempio, avendo eredi­tato dai miei genitori una ricca sostanza, me ne andavo di città in città in cerca di emo­zioni, quando conobbi una fanciulla del po­polo, lacera, sporca, maleducata, che viveva in un ambiente spaventoso e tuttavia aveva un volto e un corpo da principessa del san­gue. Forse non era nata da quel facchino del porto che figurava essere suo padre. Forse tra i marinai che si erano fermati nel suo tugu rio, sul giaciglio di sua madre, ce n'era uno che poteva generare creature statuarie. Sta di fatto che mi parve un peccato lasciare che una creatura così bella e così fine, con una fronte degna di portare diademi e due mani che avrebbero tentato il genio di Raffaello, si trasformasse con gli anni, dentro quell'am­biente, in una femmina volgare destinata alla fame dei vecchi lupi di mare. La comprai dal padre- la comprai proprio, con denari -e la chiusi in un collegio dove in pochi anni diventò una signora. C'è chi profonde le sue ricchezze nel giocare a poker, "chi nel fare collezioni di francobolli, chi nel riempire la sua casa di libri vecchi e di quadri antichi; che c'era di strano che io dedicassi una parte del molto mio denaro alla creazione - questa è proprio la parola - alla creazione di una donna di lusso, alla quale la natura aveva datola bellezza e io potevo dare benissimo tutto quello che le mancava?  C'è niente di strano per voi?

Lionella                         - No. Ma., n'eravate innamorato?

Ilario                             - Forse sì. Si può amare in tanti modi. Ma non è questo che conta. Conta il fatto che improvvisamente il padre incominciò a ricattarmi, a estorcermi denaro con i più vari pretesti e le più gravi accuse. Che cosa avrei potuto fare per non aver noie e non interrompere l'opera alla quale avevo dedicato tutta la vita?  Pagavo. Ed ecco che all'improvviso saltano fuori i miei parenti i quali, ricchi sfondati a loro volta, e tuttavia preoc­cupati, chi sa perché , delle sorti della mia ricchezza, mi inscenano un processo per cir­convenzione d'incapace. L'incapace ero io; e i miei sfruttatori erano i genitori della mia creatura.

Lionella                         - Le apparenze infatti…

Ilario                             - Ma quali apparenze?

Lionella                         - La vostra prodigalità non comune, i ricatti dei genitori della ragazza, la passione forse s'ingrandiva dentro di voi per lei...

Ilario                             - E vi sembra una passione nuova, questa?  E, nuova o vecchia, vi sembra una passione che non possa o non debba indurre alla prodigalità, alla tolleranza di qualche ricatto che dopo tutto non comprometteva e non scardinava il mio patrimonio?  No, no. Fu un sopruso che io subii dai miei parenti; e il medico che trovò una piccola lesione -dice lui - nel mio cervello era solo un mal­vivente che si era lasciato comprare.

Lionella                         - (con stupore) Ah, il medico trovò...

Ilario                             - (la guarda,ride)  Ah, ;ah, ah! - Adesso mi ritenete pazzo anche voi, naturalmente. Dite la verità.

Lionella                         - (senza convinzione) No, no...

Ilario                             - Ecco: io impiego tutta la mia vita nello spiegare le mie parole, i miei gesti, i miei casi, le mie avventure, con il semplice risultato che il maledetto buon senso mi at­tribuisce delle storture mentali (Una pausa). E io ne traggo profitto!  Poiché la scienza, sotto il camice bianco di un imbecille lau­reato in psichiatria, dice che la mia demenza è lieve, dolce   una dolce follia, dice lui e che basta assecondare certi miei desideri innocenti seppure dispendiosi perché la mia malattia non si aggravi, io faccio quello che mi piace, vado dove mi pare, appago tutti i miei desideri, senza avere nemmeno il fa­stidio dell'amministrazione. I miei parenti hanno nominato un economo, dicono loro, e l'economo paga.

Lionecca                       - Ah, ecco perché dicevate « non so se sono ricco, viaggio quando voglio, trovo tutto pronto... ».

Ilario                             - Ecco. C'è qualche altro lato oscuro in quello che ho detto e che ho fatto con voi?

Lionella                         - (turbata) No.

Ilario                             - Vi siete comportata come ima bam­bina. Volevate sapere com'è fatto il giocattolo dentro; e avete rotto il giocattolo. (La guarda) Però, qualche dubbio vi è rimasto, no?  (Un'altra pausa) Il più bello è che qualche dubbio è anche dentro di me... Se è vero che un piccolo ramo l'abbiamo tutti... (Un'altra  pausa) Vi piace questo locale rimesso a nuovo?  E abbastanza brutto, mi pare. Quando ho detto al mio amministratore che volevo com­prarlo e farne un caffè per famiglie invece di un ritrovo per coppie clandestine, quel buon uomo, naturalmente, pur dovendo su­bire il mio progetto, s'è fatta una risata alle spalle della mia follia. Eppure questo locale così com'era a parte che fosse un'offesa al buon costume era prima di tutto un'offesa all'amore, al più alto dei sentimenti umani. Ma il buon senso non ammette che si possa difendere la bellezza di un sentimento. Ri­condurre con una piccola commedia un ma­rito infedele alla propria famiglia?  Puah! Salvare con la misera moneta di mille lire la purezza di una fanciulla?  Puah!  Evitare che un proprietario terriero alquanto cretino compri una donna intelligente... (La guarda) seppure deviata... trascinandola in uno squallido lupanare dal quale l'intelli­genza non può che uscire mortificata?  Puah!

Lionella                         - (lo guarda) Vi ho capito, signor Tris. Ma perché voi, che ammettete tutto, non ammettete che una donna intelligente possa avere le sue ragioni per mortificare la sua intelligenza come voi dite e non credere più all'amore?

Icario                             - Mi parlate sul serio?  Non avete più paura della mia follia?

Lionella                         - No, non ne più paura, perché la vo­stra. .. follia è bella, seppure un tantino irreale... E in questo clima d'irrealtà che voi avete creato per un attimo intorno a me, io non avrei più vergogna di raccontarvi la mia storia...

Ilario                             - Perché raccontarmela?  Sarà una sto­ria come tante; e non accrescerebbe in nessun modo la simpatia che ho per voi. Mi pareva di avervi perduta per sempre; e ora ho l'im­pressione - o forse solo la speranza - di avervi ritrovata. Mi sbaglio?

Lionella                         - (lievemente) No.

Icario                             - Io ho una casa bella e grande, dove mi concedo il lusso di apparire sempre un altro, anche di fronte a me stesso. Se venite a trovarmi, aiuterò anche voi a essere un'al­tra. Un'altra oggi, un'altra domani... in una vicenda che aiuta la memoria a non impu­tridire... Volete?

Lionella                         - Sì.

Icario                             - Bisogna saper sognare anche a occhi aperti per vivere qualche ora senza soffrire... Vorrei che i miei racconti, le mie parole, i miei gesti vi avessero aiutata a sognare un poco...

Lionella                         - (come in sogno) Sì, sì... (chiude gli occhi).

Icario                             - Avete chiuso gli occhi come per dor­mire... Volete dormire un poco? ... Io vi aspetto... Vorrei non dovervi lasciare mai più.. (L'accarezza, mentre ella sembra addormentarsi; e lentamente cala il sipario.

 

FINE