La donna del mare

Stampa questo copione


LA DONNA DEL MARE

Dramma in cinque atti

di HENRIK IBSEN

Traduzione originale di Teresah

PERSONAGGI

IL DOTTOR WANGEL, me­dico del distretto

ELLIDA WANGEL, sua seconda moglie

BOLETTE e ILDA, figlie di primo letto

ARNHOLM

LYNGSTRAND

BALLESTED

UN FORESTIERO

Giovani e ragazze del paese

Turisti

Villeggianti

D'estate, in una piccola città di bagni in riva al fiord, sulle coste settentrionali della Norvegia

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

A sinistra, la casa del dottor Wangel. La casa è circon­data dal giardino e ha una terrazza coperta. Sotto la ter­razza una grande asta per bandiera. A destra, nel giar­dino, c'è un pergolato verde con una tavola e alcune sedie. In fondo, una siepe d'arbusti con un cancelletto. Dietro la siepe, un viale che costeggia la riva del fiord. Tra gli alberi si scorge il fiord e, più lontano, una catena di montagne alte con qualche picco. Caldo e luminoso mattino d'estate.

(Ballested è un uomo di mezza età; porta una giacca e un cappello a larghe falde, come usano gli artisti. In piedi accanto all'asta, accomoda la fune. La bandiera è in terra, accanto a lui. Un po' più in là c'è un cavalletto con su appoggiata una tela: accanto al cavalletto, sullo sgabello piegatolo, la tavolozza, i pennelli, la scatola dei colori. Bolette Wangel esce di casa e s'affaccia dalla ter­razza; porta un gran vaso di fiori che dispone sopra un tavolino).

Bolette                          - E così, Ballested? Vi riuscirà di alzarla?

Ballested                       - Ma certo, signorina. Non è difficile. Sono indiscreto a domandare se aspettate gente?

Bolette                          - Aspettiamo il professore Arnholm. E' arri­vato stanotte col battello e sarà qui a momenti.

Ballested                       - Arnholm?... Vedo. Non si chiamava Arnholm il vostro ex-precettore?

Bolette                          - Bravo, è appunto lui.

Ballested                       - Lui? Torna qui, da noi?

Bolette                          - La bandiera è in onor suo.

Ballested                       - Ah? Benissimo. (Bolette rientra. Subito dopo Lyngstrand viene da destra, seguendo il viale che costeggia la riva. Al vedere il cavalletto e la scatola di colori, si ferma incuriosito. E' un giovane piuttosto gra­cile; veste dimesso, ma corretto; l'aspetto è di persona infermiccia).

Lyngstrand                   - (dall'altra parte della siepe) Buon giorno.

 Ballested                      - Chi è? Buon giorno. (Alza la bandiera) Ecco fatto! (Fissa la fune e torna al cavalletto) Buon giorno. Piacere mio. Non credo però di avere la for­tuna...

Lyngstrand                   - Siete pittore, voi?

Ballested                       - Si capisce. E faccio anche altri mestieri.

Lyngstrand                   - Me ne sono accorto. Posso entrare?

Ballested                       - Per vedere da vicino?

Lyngstrand                   - Se permettete.

Ballested                       - Non è gran cosa, ancora... Ma venite pure. Entrate, entrate.

Lyngstrand                   - Grazie. (Entra).

Ballested                       - (lavorando) Vedete? E' quel tratto laggiù di fiord, tra le isole.

Lyngstrand                   - Bello.

Ballested                       - Ci vorrebbe una figura di donna. Ma come si fa? Non c'è modo di scovare un modello, da queste parti.

Lyngstrand                   - Vorreste mettere una figura nel pae­saggio?

Ballested                       - In primo piano, sulle rocce, ci dev'essere una sirena più morta che viva.

Lyngstrand                   - Più morta che viva?...

Ballested                       - Ha smarrito la via del mare, non sa più da che parte prendere. E così vien meno, agonizza nelle lagune. E' chiaro?

Lyngstrand                   - Chiarissimo.

Ballested                       - L'idea mi fu data dalla signora di casa.

Lyngstrand                   - E il quadro che titolo avrà?

Ballested                       - Vorrei intitolarlo: « La morte della si­rena ».

Lyngstrand                   - Il titolo è suggestivo. Mi fa pensare che si potrebbe ricavarne...

Ballested                       - (alzando gli occhi) Siete dell'arte? Anche voi pittore?

Lyngstrand                   - No. Ho intenzione di dedicarmi alla scultura. Mi chiamo Hans Lyngstrand.

Ballested                       - Scultore?... E perché no? Anche la scul­tura è un'arte aristocratica. Voi, devo avervi incontrato per la strada due o tre volte. Siete qui da un pezzo?

Lyngstrand                   - Da quindici giorni. Ma farò in modo di restarci sino alla fine dell'estate.

Ballested                       - Per i bagni, mi figuro.

Lyngstrand                   - Sì, per rinvigorirmi.

Ballested                       - Sareste delicato di salute?

Lyngstrand                   - Niente di grave. Un po' di asma, sol­tanto.

Ballested                       - Vedo. Affar di poco. Però dovreste ri­volgervi a un buon medico.

Lyngstrand                   - Vorrei appunto, un giorno o l'altro, consultare il dottor Wangel.

Ballested                       - Farete bene. (Guardando a sinistra) Ecco un altro battello carico di viaggiatori. E' incredibile quanta gente viene qui, da qualche anno!

Lyngstrand                   - C'è infatti molta animazione.

Ballesied                       - E i bagnanti? Formicolano, addirittura. Non vorrei che questa affluenza di forestieri alterasse la fisionomia della nostra cara piccola città.

Lyngstrand                   - Siete di qui, voi?

Ballested                       - No, ma mi sono accacclimatato. Sono legato a questi posti dall'abitudine e dal tempo.

Lyngstrand                   - E' un pezzo che ci state?

Ballested                       - Si va per i sedici anni. Arrivai con la Compagnia Skieve per recitare, ma avemmo subito di­sgrazia. L'impresa fallì, e la Compagnia fu dispersa ai quattro venti.

Lyngstrand                   - Voi siete rimasto?

Ballested                       - Sono rimasto, e non mi lagno. A dire il vero, lavoravo specialmente agli scenarii. (Bolette esce di nuovo sulla terrazza; porta una sedia a dondolo).

Bolette                          - (parlando con Ilda che è in sala) Ilda? Trovami il panchettino che abbiamo ricamato per il babbo.

Lyngstrand                   - (avvicinandosi alla terrazza e salutando) Buon giorno, signorina Wangel.

Bolette                          - (alla ringhiera) Voi, signor Lyngstrand? Buon giorno. Abbiate pazienza un momento, io dovrei... (Rientra in casa).

Ballested                       - Conoscete la famiglia Wangel?

Lyngstrand :                  - Appena. Incontro di quando in quando le signorine. E ho scambiato poche parole con la signora alla musica, l'ultima volta che hanno suonato al « Belve­dere ». Mi ha invitato a venire a trovarla.

Ballested                       - Date retta a me, coltivate questa cono­scenza.

Lyngstrand                   - Sì, pensavo a una visita - una visita di cerimonia - se trovo qualche pretesto.

Ballested                       - Be'! Un pretesto... (Guardando a sinistra) Perdinci! (Riunisce i suoi arnesi da pittore) Il battello ha già approdato. Devo correre all'albergo, potrebbero aver bisogno di me. Vi dirò. Sono anche barbiere e par­rucchiere.

Lyngstrand                   - Oh oh! Abbiamo più di una corda al nostro arco?

Ballested                       - Come si fa? In una città di provincia, bisogna adattarsi a coprire più di una funzione. Se aveste bisogno di pomata o di altri generi analoghi, chiedete del maestro di ballo Ballested.

Lyngstrand                   - Maestro di ballo?

Ballested                       - Presidente della fanfara, se preferite. Questa sera concerto al «Belvedere». Riverisco. (Esce portando con sé i suoi arnesi da pittore. Ilda viene in terrazza col panchetto. Bolette porta altri fiori. Lyng­strand, dal giardino, saluta Ilda).

Ilda                               - (alla ringhiera, senza ricambiare il saluto) Bolette mi dice che vi siete spinto fin qua.

Lyngstrand                   - Mi sono permesso di entrare...

Ilda                               - Avete fatto la vostra passeggiata mattutina?

Lyngstrand                   - Oh, non è stata lunga, oggi.

Ilda                               - E il bagno?

Lyngstrand                   - Mi sono tuffato nell'acqua un momento. Tornando, ho incontrato là vostra mamma. Era diretta alla sua baracca.

Ilda                               - Chi dite d'aver incontrato?

Lyngstrand                   - La vostra mamma.

Ilda                               - Oh! Voi sapete che... (Posa il panchetto da­vanti alla sedia a dondolo).

Bolette                          - Avete veduto la barca del babbo?

Lyngstrand                   - Mi pare di aver veduto una barca a vela entrare in porto.

Bolette                          - Dev'esser lui. E' andato alle isole a visitare un malato. (Dispone alcuni oggetti sul tavolino).

Lyngstrand                   - (stando col piede sul primo gradino della scala che conduce in terrazza) Com'è bello lì, con tutti quei fiori!

Bolette                          - Bello, vero?

Lyngstrand                   - Delizioso. E' festa da voi, oggi?

Ilda                               - Festa, sì.

Lyngstrand                   - Me lo figuravo. Il natalizio del babbt

Bolette                          - (tossicchia per far tacere Ilda).

Ilda                               - (senza curarsi del monito) No, la festa della mamma.

Lyngstrand                   - Ah, la festa della Vostra signora mamma ?

Bolette                          - (piano, irritata) Via, Ilda!

Ilda                               - (come sopra) E lasciami in pace! (A Lyng­strand) Dite? Andate a colazione, ora?

Lyngstrand                   - (staccandosi dalla scala) Dovrei fare uno spuntino.

Ilda                               - Si deve star bene al vostro albergo.

Lyngstrand                   - Non sono più all'albergo. Era troppo caro.

Ilda                               - Ah! E dove state?

Lyngstrand -                 - Sto lassù, dalla signora Jensen.

Ilda                               - Che signora Jensen?

Lyngstrand                   - La levatrice.

Ilda                               - Scusate, signor Lyngstrand, ma non ho proprio tempo di...

Lyngstrand                   - Oh, non avrei dovuto dirlo.

Ilda                               - Che cosa?

Lyngstrand                   - Quello che ho detto.

Ilda                               - (squadrandolo dispettosamente) Non capisco.

Lyngstrand                   - Niente, niente. Arrivederci, signorine. E' ora che levi l'incomodo. ,

Bolette                          - (avvicinandosi alla scala) Arrivederci, signor Lyngstrand. Ci scuserete per oggi. Ma un altro giorno, se potete e se vi fa piacere, venite a vedere babbo - e noi.

Lyngstrand                   - Grazie, signorina, sarò felicissimo. (Sa­luta, esce dal cancello. Dal viale manda ancora un saluto alla terrazza).

Ilda                               - (a mezza voce) Addio, signooooooore! Tante cose a comare Jensen!

Bolette                          - (piano, scuotendola) Ti gira? Brutta monella! Se ti sente?

Ilda                               - Ouf! Che m'importa?

Bolette                          - (guardando a destra) Ecco il babbo. (E’vestito da viaggio e dottor Wangel viene da destra: ha in mano una borsa).

Wangel                          - Buon giorno, piccine. Eccomi! (Entra dal cancello. Bolette scende in giardino e gli va incontro).

Bolette                          - Che gioia che tu sia tornato!

Ilda                               - (andandogli incontro) Sei libero per oggi, babbo?

Wangel                          - Non ancora. Devo andare un momento in ufficio. Ma prima ditemi, sapete se Arnholm sia arrivato?

Bolette                          - E' arrivato stanotte. Sono venuti a dircelo dall'albergo.

Wangel                          - Però non s'è ancora visto.

Bolette                          - No, ma verrà a momenti.

Ilda                               - (tirandolo per la manica) Guarda, babbo.

Wangel                          - Ho veduto. C'è un che di festa, eh, qui?

Bolette                          - Abbiamo fatto le cose in ordine?

Wangel                          - Sì, care, sì. E siamo soli...

Ilda                               - La mamma è in...

Bolette                          - (interrompendola con vivacità) La mamma è al bagno.

Wangel                          - (guarda affettuosamente Bolette e le accarezza la testolina. Esitando) Dite, piccine, avete intenzione di lasciare quella bandiera tutto il giorno?

Ilda                               - Si 6a! Non c'è neppure da domandare.

Bolette                          - (strizzando gli occhi e facendo cenni col capo) Capirai, babbo, che lutto questo è in onore del pro­fessor Arnholm. Quando un amico come quello viene a vederti, dopo una lunga assenza...

Ilda                               - (ridendo e tirandolo per la manica) Il precet­tore di Bolette, babbo.

Wangel                          - (con un lieve sorriso) Siete due bricconcelle. Mah! Dio buono, è così naturale, questo ricordo per la vostra povera mamma. Eppure... Tieni, Ilda. (Le dà la borsa) Porta in ufficio. No, piccine, non mi piace questo modo di fare, capite? Questo ripetere tutti gli anni! Basta, non ci pensiamo. Dal momento che è ine­vitabile...

Ilda                               - (sul punto di attraversare il giardino per andare a portare la borsa, si volta) Guardate là, quel signore! Giurerei che è il professor Arnholm.

Bolette                          - (guarda e ride) Quel brav'uomo già un po' vecchiotto? Quello, Arnholm?

Wangel                          - Se non sbaglio, è proprio lui.

Bolette                          - (guarda con stupore contenuto) Sì, che è lui! Lo riconosco! (Il professor Arnholm saluta affettuo­samente ed entra in giardino dal cancello,, venendo da sinistra. E' in elegante abito da mattina; porta occhiali d'oro; ha in mano una grossa mazza. L'aspetto è un po' affaticato).

Wangel                          - (andandogli incontro) Ben tornato, caro professore! Ben tornato nella vecchia casa che vi è così familiare.

Arnholm                        - Grazie, dottore, grazie. Vi ringrazio di tutto cuore. (Si stringono le mani forte e attraversano il giardino) Ed ecco le bambine! (Tende loro le mani, e le guarda) Avrei stentalo a riconoscervi, tutte e due.

Wangel                          - Credo bene.

Abnholm                       - Forse Bolette... avrei riconosciuto Bolette.

Wangel                          - Mi par difficile. Non la vedete da otto o nove anni. Molte cose sono cambiate, qui, da allora.

Arnholm                        - (guardandosi intorno) Non trovo. Gli al­beri sono un po' cresciuti, e c'è laggiù un pergolato.

Wangel                          - Non parlo delle cose esteriori.

Arnholm                        - (sorridendo) Giusto. Il nostro caro Wan­gel è padre, ora, di due ragazze da marito.

Wangel                          - Veramente, ce n'è una sola in età da pren­ dere marito. x

Ilda                               - (a mezza voce) Questa poi, babbo!

Wangel                          - Vogliamo salire in terrazza? Ci fa più fresco. Passate, prego.

Arnholm                        - Grazie, caro dottore. (Salgono. Wangel fa sedere Arnholm sulla sedia a dondolo).

Wangel                          - Così. Mettetevi comodo e riposate. Mi sem­brate un po' affaticato.

 Abnholm                      - Cosa da niente. Basterà che mi trovi in mezzo a voi per sentirmi subito bene.

Bolette                          - (a Wangel) Devo portare in sala gli sci­roppi col soda? Presto farà caldo, qui.

Wangel                          - Sì, care, pensate voi. Dateci anche il cognac.

Bolette                          - Il cognac?

Wangel                          - Due gocce, per chi ne volesse.

Bolette                          - Bene. Tu Ilda, presto, porta la borsa in ufficio. (Bolette va in sala e richiude la porta dietro di sé. Ilda prende la borsa e scende in giardino per fare il giro della casa).

Arnholm                        - (che ha seguito con lo sguardo Bolette) Splendida davvero. E' proprio una splendida ragazza. Avete due gran belle figliole, sapete?

Wangel                          - (sedendo) Vi pare?

Arnholm                        - Quella Bolette è straordinaria. Anche Ilda... Ma parliamo di voi, caro dottore. Dunque vi siete stabilito qui per sempre?

Wangel                          - Molto probabilmente. Non 6ono forse nato qui? E vi ho vissuto felice con la buona creatura che ci ha lasciati così presto. Ricordate, Arnholm?

Arnholm                        - Ricordo.

Wangel                          - E ora vivo felice con l'altra che ha preso il suo posto. Tutto considerato, non posso lagnarmi della sorte.

Arnholm                        - Non avete avuto figli, vero, dal secondo matrimonio?

Wangel                          - Ci era nato un bimbo, circa due anni e mezzo fa; ma non ne abbiamo gioito a lungo. Morì  in cinque mesi.

Arnholm                        - La signora Wangel è uscita?

Wangel                          - Non tarderà a rientrare. D'estate fa il bagno tutti i giorni, con qualunque tempo.

Arnholm                        - Sta poco bene?

Wangel                          - Non starebbe male. Ma da due anni a questa parte, è sempre molto nervosa. Non saprei dire precisamente che cosa abbia. Pare non trovi ristoro, e non goda, altro che quando può tuffarsi in mare.

Arnholm                        - E' sempre stata così, mi rammento.

Wangel                          - (ha un sorriso impercettibile) E' vero. Voi avete conosciuto Ellida quando eravate precettore a Skioldviken.

Arnholm                        - La signorina Ellida veniva qualche volta al presbiterio; ma la vedevo più spesso da suo padre, quando mi recavo al Faro.

Wangel                          - Quegli anni di vita al faro hanno lasciato in lei tracce profonde. Qui nessuno la capisce. La chia­mano la « Donna del mare ».

Arnholm                        - Ah sì?

Wangel                          - Anzi pensavo a questo... Se le parlaste del passato, Arnholm? Credo le farebbe bene.

Arnholm                        - (dubbioso) Credete?

Wangel                          - Ho le mie buone ragioni.

Voce d'Ellida                - (in giardino, a destra) Sei tu, Wangel?

Wangel                          - (alzandosi) Sì, cara.

Ellida                            - (chiusa in un grande accappatoio, coi capelli sciolti sulle spalle, compare tra gli alberi, vicino al per­golato. Arnholm si alza).

Wangel                          - (le tende sorridendo le mani) Ecco ap­punto la « Donna del mare »!

Ellida                            - (sale rapidamente gli scalini e gli afferra le mani) Sei tornato, grazie a Dio. Quando sei arrivato?

Wangel                          - Or ora. (Accennando Arnholm) Non saluti un vecchio amico?

Ellida                            - (stringendo la mano ad Arnholm) Final­mente! Siate il benvenuto. Mi scusate se non ero in casa per ricevervi?

Arnholm                        - Vi pare? Complimenti con me?

Wangel                          - L'acqua era fresca, stamani?

Ellida                            - Fresca? Oh no. Non è mai fresca qui. E' tiepida, moscia, flaccida. (Ha un'espressione di disgusto) L'acqua dei fiordi è un'acqua ammalata.

Arnholm                        - Ammalata?

Ellida                            - Sì, ammalata. E sembra che faccia ammalare.

Wancel                          - Brava! Ecco una bella reclame per lo Sta­bilimento.

Arnholm                        - Credo piuttosto che esista un'affinità tra voi, il mare, e tutto quello che si connette col mare.

Ellida                            - Forse. E' un po' quello che sento. Oh? Ve­dete i preparativi che le piccine hanno fatto in onor vostro?

Wangel                          - (impacciato, guardando l'orologio) Io devo andare.

Arnholm                        - In onor mio? sul serio?

Ellida                            - Come no? S'intende! Non tutti i giorni è gala di bandiere. (Agitandosi) Non trovate che quassù c'è un'afa... (Scende in giardino) Venite con me, Arn­holm. Almeno in giardino si respira. (Siede nel pergolato, Arnholm la raggiunge).

Arnholm                        - Mi pare anzi che ci sia aria, e molta.

Ellida                            - Per voi; che siete avvezzo all'atmosfera op­primente della capitale. D'estate, dicono, è irrespirabile.

Wangel                          - (che è sceso anche lui in giardino) Cara Ellida, ti lascio sola un momento col nostro amico.

Ellida                            - Hai da fare?

Wangel                          - Devo passare dall'ufficio e, dopo, cambiarmi d'abito. Ma starò poco.

Arnholm                        - (sedendo nel pergolato) Fate, fate, caro dottore; la signora ed io sapremo ammazzare il tempo.

Wangel                          - (con un cenno del capo) Lo spero. Arri­vederci. (Attraversa il giardino e gira dietro alla casa).

Ellida                            - (dopo una pausa) Si sta bene all'ombra. Non trovate ?

Arnholm                        - Benissimo.

Ellida                            - Questa Casina verde è mia. L'ho ideata io. Cioè, l'ha ideata Wangel per me.

Arnholm                        - E di solito, state qua?

Ellida                            - Sì, di solito mi metto qua.

Arnholm                        - Con le ragazze?

Ellida                            - No. Le ragazze preferiscono la terrazza.

Arnholm                        - Ma Wangel?

Ellida                            - Wangel va e viene. Ora è con me, ora con le bambine.

Arnholm                        - E questo modo di vita, l'avete disposto voi?

Ellida                            - Vedo che tutti ne sono contenti! Possiamo sempre parlarci da lontano, quando crediamo di avere qualche cosa da dirci.

Arnholm                        - (dopo una pausa) L'ultima volta che le nostre vie si sono incontrate... parlo di Skioldviken - è passato molto tempo...

Ellida                            - Dieci anni, ne più né meno.

Arnholm                        - Giù di lì. Ah! Se mi ricordo di voi, al Faro! della «piccola pagana», come vi chiamava il nostro vecchio pastore, perché il babbo vi aveva – diceva  lui - battezzata con un nome di barca e non con un nome di cristiana.

Ellida                            - Ebbene?

Arnholm                        - Ebbene, non mi sarebbe mai passato per il capo, allora, che vi ritroverei qui, sposata al dottor Wangel.

Ellida                            - No, poiché Wangel non era... La madre delle ragazze, la vera madre, viveva ancora, in quel tempo.

Arnholm                        - Infatti. Ma anche se Wangel fosse stato libero, non avrei creduto la cosa possibile.

Ellida                            - Neppur io l'avrei creduto.

Arnholm                        - Wangel è la rettitudine, l'onore in per­sona; è così profondamente buono, così benevolo con tutti!

Ellida                            - (con ardore) Sì? Vero?

Arnholm                        - Ma c'è un abisso tra voi e lui.

Ellida                            - Sì, c'è un abisso.

Arnholm                        - E allora? come avete fatto?

Ellida                            - Non domandate, caro Arnholm. Non saprei rispondervi. E se anche volessi spiegarmi, voi non sareste al caso di comprendere.

Arnholm                        - (abbassando la voce) Non avete mai rac­contato a vostro marito di quel passo... di quel passo che tentai, pazzamente, presso di voi?

Ellida                            - Vi pare? Non ne ha mai saputo nulla,

Arnholm                        - Meglio così. Ero un pò' seccato pen­sando che...

Ellida                            - State tranquillo. Gli ho detto semplicemente che vi volevo molto bene - questo è vero! e che voi, laggiù, eravate stato il mio miglior amico.

Arnholm                        - Grazie. E, dite, perché non scrivermi neppure una volta, dopo la mia partenza?

Ellida                            - Temevo di farvi soffrire. Una mia lettera che non poteva essere d'amore - non avrebbe riaperto la ferita?

Arnholm                        - Forse avete avuto ragione.

Ellida                            - E voi, perché non mi avete scritto?

Arnholm                        - (la guarda e sorride con un'ombra di rim­provero) Fare il primo passo io? Perché si credesse a qualche secondo fine? Dopo ch'ero stato respinto in modo così reciso!

Ellida                            - Sì. Capisco. E anch'io... Non avete più pen­sato a prender moglie?

Arnholm                        - Mai. Sono stato fedele ai miei ricordi.

Ellida                            - (con tono semischerzoso) Ora dovete lasciare i ricordi tristi. Prepararvi a essere un buon marito, e un marito felice.

Arnholm                        - Per seguire il vostro consiglio, dovrei affrettarmi, signora Wangel. Sapete che vado per i tren­tasette?

Ellida                            - Certo, non bisogna tardare oltre. (Breve pausa. Indi, ella aggiunge con voce grave e contenuta) E adesso, caro Arnholm, sentite: voglio dirvi una cosa che non avrei confessata, allora, neppure se fosse stata in gioco la mia vita.

Arnholm                        - Che dite mai?

Ellida                            - Sappiate che il passo inutile di cui avete parlato, non poteva essere accolto diversamente da me.

Arnholm                        - Voi potevate soltanto offrirmi una schietta amicizia. Lo so.

Ellida                            - Ma non sapete che i miei pensieri, e il mio cuore, non erano già più miei, in quel tempo.

Arnholm                        - Come?

Ellida                                        - Così.

Arnholm                        - Non può essere. Voi confondete le date. Non avevate ancora conosciuto Wangel.

Ellida                            - Non si tratta di Wangel.

Arnholm                        - Non si tratta di Wangel?... Ma - non c'era festino, a Skioldviken... Non ho memoria di alcuno clic fosse degno di attrarre la vostra attenzione?

Ellida                            - Lo so, lo so. Era una pazzia.

Arnholm                        - Una pazzia?

Ellida                            - Non cercate! Vi basti sapere che in quel tempo io non potevo disporre di me.

Arnholm                        - E se foste stata libera? Mi avreste ri­sposto diversamente?

Ellida                            - Non so. Vedete come ho risposto a Wangel, quando si è fatto avanti.

Arnholm                        - Allora... Non mi riesce di capire perché m'avete detto queste cose.

Ellida                            - (alzandosi in preda all'angoscia) Ah, perché!... Perché ho bisogno di aprire l'animo mio - a un amico. (Arnholm si alza) No. Rimanete qua.

Arnholm                        - Vostro marito ignora?

Ellida                            - Sì e no. Fin dal principio, gli confessai dì avere amato. Non chiese altro. E non ne abbiamo mai più parlalo. Era una pazzia, vi dico. Un'ombra che ha attraversato la mia vita, ed è scomparsa... o quasi.

Arnholm                        - Quasi? Non completamente?

Ellida                            - Caro Arnholm. Il mio stato d'animo sfugge alla ragione. Se vi dicessi tutto, voi credereste che in quei giorni io fossi ammalata, o fuor di senno.

Arnholm                        - Cara signora Ellida, con me, potete par­lare.

Ellida                            - Sì?... Ebbene, proverò. Vedete, il semplice buon senso non potrà mai farvi capire... Oh! ecco una visita. Vi dirò poi.

Lvncstrand                    - (entra dal cancelletto. Ha una rosa all'oc­chiello e, in mano, un bel mazzo di fiori avvolto in carta velina e adorno di nastri di seta. Si jerma, incerto, da­vanti alla terrazza).

Ellida                            - (affacciandosi dal pergolato) Cercate delle ragazze, signor Lyngstrand?

Lvncstrand                    - (si volta) Siete lì, signora? (Saluta e ai avvicina) No, non cercavo delle signorine, cercavi appunto di voi, signora Wangel. Mi avete detto così gen­tilmente che potevo venire,

Ellida                            - Vi vedrò sempre volentieri.

Lvncstrand                    - Grazie. E siccome oggi la vostra casa è in festa...

Ellida                            - Lo sapevate?

Lyncstrand                    - Sì. Allora, mi sono permesso di portarvi due fiori. (S'inchina e le porge il mazzo).

Ellida                            - Se è così, caro Lyngstrand, questi fiori sono per il professor Arnholm. La festa è in onor suo.

Lvncstrand                    - (guardandoli, stupito) Scusate, ma non ho il bene di conoscere il signore. Volevo... è per il na­talizio.

Ellida                            - Sbagliate, signor Lyngstrand. Oggi non si fe­steggia nessun anniversario.

Lvncstrand                    - (sorridendo) Perdonatemi, non credevo che si trattasse di un segreto.

Ellida                            - Ma che cosa?

Lvncstrand                    - Ho saputo che oggi è la vostra festa, signora.

 Ellida                           - La mia festa? (Si guardano, con Arnholm. A Lyngstrand) E come avete fatto a figurarvelo?

Lyngstrand                   - La signorina Ilda vi ha tradita. Ero qui poco fa. Vedendo i fiori e la bandiera, ho doman­dato alle signorine, e...

Ellida                            - E?...

Lyngstrand                   - La signorina Ildà mi ha risposto che oggi era la festa della mamma.

Ellida                            - Della mamma?... Ah! Va bene.

Arnholm                        - Era per questo? (Ellida e lui scambiano un'altra occhiata d'intesa) Ormai, signora Wangel, visto che il signore lo sa.

Ellida                            - (a Lyngstrand) Visto che lo sapete anche voi...

Lyngstrand                   - (offrendole ancora il mazzo) Allora mi permettete di farvi i miei auguri?

Ellida                            - (prendendo i fiori) Anzi, vi ringrazio. (Sie­dono tutti e tre nel pergolato) Sì, caro professore, era un segreto.

Arnholm                        - Un segreto per i profani.

Ellida                            - (posando il mazzo) Dite bene, per i profani.

Lyngstrand                   - A riguardo mio, potete star tranquilla, non fiaterò con anima viva.

Ellida                            - Non è questo. Parliamo piuttosto di voi. Come state? Mi sembra che abbiate già acquistato?

Lyngstrand                   - Pare anche a me di star meglio. E se riesco a passare l'inverno nel Mezzogiorno...

Ellida                            - Non era tutto deciso? Le ragazze me lo dicevano.

Lyngstrand                   - Sì. Ho un protettore a Bergen che farà in modo di mandarmi. L'ha promesso.

Ellida                            - Bene. E a che cosa dovete questa prote­zione?

Lyngstrand                   - Oh, a un caso felice. Si tratta di un armatore. Sono stato marinaio a bordo di un suo veliero.

Ellida                            - Vi piaceva dunque la vita di mare?

Lyngstrand                   - Per niente. Ma dopo la morte della mamma, mio padre non volle tenermi a casa a gingil­larmi, e m'imbarcò come marinaio. Al ritorno la nostra nave fece naufragio nel canale britannico. Fu una vera fortuna per me.

Arnholm                        - Come, fortuna?

Lyngstrand                   - La malattia l'ho presa allora! II mal di petto di cui soffro? Sono rimasto troppe ore a ghiac­cio, prima che mi ripescassero. E così, sono sfuggito al mestiere del marinaio. Fu per me la felicità.

Arnholm                        - Vi pare? Veramente?

Lyngstrand                   - Certo. La malattia non è pericolosa. E mi permette di dedicarmi alla scultura. Era il mio sogno. Plasmare l'argilla delicata, accarezzarla, sentirla docile al mio volere. Pensate!

Ellida                            - E che cosa plasmerete? Tritoni? Sirene?... I Wikinghi delle vecchie leggende?

Lyngstrand                   - No no. Appena potrò, voglio tentare un'opera grandiosa. Ho in mente un gruppo.

Ellida                            - Che lusso. E questo gruppo, che cosa rap­presenterà?

Lyngstrand                   - Oh, una cosa vissuta.

Arnholm                        - Caspita! Non cambiate idea.

Ellida                            - Da bravo, diteci come sarà.

Lyngstrand                   - Ecco. Vedo davanti a me una donna. E' la giovane sposa di un marinaio. Dormo un sonno agi­tato. Sogna. Spero di riuscire a far capire che sogna.

Arnholm                        - Sì, ma finora il gruppo...

Lyngstrand                   - Aspettate 1 Ci sarà un'altra figura. Una specie di apparizione. 11 marito, che la donna ha tradito mentr'era assente, e che è morto in mare.

Ellida                            - Annegato?

Lyncstrand                    - In un naufragio. Ora, di notte, il morto appare in sogno alla donna. Eccolo ritto accanto al letto. La guarda fisso. Gli abiti grondano acqua, come a un naufrago appena ripescato.

Ellida                            - (lasciandosi andare nella poltrona) E' strano. (Chiude gli occhi) Vedo benissimo la scena.

Arnholm                        - Ma dite, caro signore, voi parlavate di una cosa vissuta.

Lyncstrand                    - Appunto. E in un certo senso, lo è stata.

Arnholm                        - (ironico) Un morto che ritorna?

Lyncstrand                    - Non dico, beninteso, di avere realmente visto la scena che voglio riprodurre. Però...

Ellida                            - (vivacemente, molto attenta) Però? Raccon­tate, Lyngstrand. Mi piace.

Arnholm                        - (sorridendo) E' infatti una storia per voi. Tutta sapida di mare!

Ellida                            - Dite, Lyngstrand.

Lyncstrand                    - Allora, sèguito? Il veliero su cui ero imbarcato stava per salpare da Halifax, quando il no­stromo ammalò. Dovemmo lasciarlo all'ospedale e arruo­lare in sua vece un altro, un americano. Orbene. Questo tale...

Ellida                            - L'americano?

Lyncstrand                    - Sì. Questo tale sì fece prestare un giorno dal capitano un pacco di giornali, che leggeva assidua­mente. Voleva, disse, imparare il norvegese.

Ellida                            - E poi?

Lyncstrand                    - Una sera che il mare era grosso, l'equi­paggio salì sul ponte. Restammo soli sotto coperta il nostromo e io. Il nostromo s'era lussata una gamba e io, sentendomi male, ero in cuccetta, coricato. Lui, come di solito, leggeva i vecchi giornali.

Ellida                            - Sì. Sì.

Lyncstrand                    - A un tratto, sento che caccia fuori una specie di ruggito. Lo guardo. Era bianco come un pan­nolino. Vedo che si mette a stringere, a spiegazzare il giornale; poi lo fa in pezzi, lo riduce addirittura in pol­vere; tutto questo, calmo calmo.

Ellida                            - In silenzio? Senza una parola?

Lyncstrand                    - Sul principio tacque. Ma subito dopo lo sentii che mormorava, come avesse parlato per se solo: « Sposata a un altro, mentre ero assente ».

Ellida                            - (chiudendo gli occhi, a mezza voce) Ha detto così?

Lyncstrand                    - E, sapete, fu detto in buon norvegese. Imparava facilmente le lingue, quell'uomo.

Ellida                            - E... non aggiunse altro?

Lyncstrand                    - Sì. Parole singolari. Oh, credo le ricor­derò fin che vivo. Sempre con la stessa voce, contenuta, strana, disse: «Poco importa. Mi appartiene e sarà mia. Mi seguirà vivo o morto. Dovessi, se annego, uscire dal mare per andarla a prendere e condurla via con me».

Ellida                            - (si versa un bicchiere d'acqua con mano tre­mante) Si soffoca proprio, oggi.

Lyncstrand                    - E c'era nel suo accento tanta forza di volontà, che non dubitai fosse uomo da tener fede alla minaccia.

 Ellida                           - Sapete che ne fu di lui?

Lyncstrand                    - Sono sicuro che è morto.

Ellida                            - (vivacemente) Come fate a esserne sicuro?

Lyncstrand                    - Andammo a picco quella stessa notte. Io saltai nella scialuppa col capitano e cinque uomini, secondo discese nella lancia, col nostromo e con un mozzo.

Ellida                            - E nessuno ne ha più saputo nulla...

Lyncstrand                    - Nessuno. Me lo scrisse anche ultima­mente l'armatore. Appunto per questo, desidero tanto trarre dall'episodio un'opera d'arte. Come la vedo, la donna infedele! E anche il vendicatore, uscito dal mare per raggiungerla! Li vedo benissimo, tutti e due.

Ellida                            - Anch'io. (Si alza) Rientriamo. Andiamo in cerca di Wangel. Non si respira più. (Esce dal ;icrgo-luto).

Lyncstrand                    - Io mi accomiato, signora. Ero venuto soltanto per presentarvi gli auguri.

Ellida                            - Se proprio volete andare... (Gli stende lo mano) A rivederci, e grazie per i fiori. (Lyngstrand esce).

Arnholm                        - (si alza e si avvicina a Ellida) Cara si­gnora Wangel. Vi vedo tutta sconvolta.

Ellida                            - Non dico di no. Per quanto...

Arnholm                        - Dovevate essere preparata.

Ellida                            - (Io guarda stupito) Preparata?

Arnholm                        - Eh, si!

Ellida                            - Preparata a questa ricomparsa?

Arnholm                        - Come? Pensate ancora alla storiella pue­rile di quel mezzo matto?

Ellida                            - Caro Arnholm, Lyngstrand è forse meno matto di quello che voi credete.

Arnholm                        - Turbata da quelle frottole?... Io credevo invece...

Ellida                            - Che cosa credevate?

Arnholm                        - Che mi voleste sviare, e che la causa, la vera, del vostro turbamento fossero queste feste di famiglia celebrate a insaputa vostra. Capisco. Wangel e le figliole hanno i loro ricordi ai quali voi sembrate estranea...

Ellida                            - No, in quanto a questo, io lascio andar» le cose per la loro china. Non ho diritto di pretendere che mio marito sia soltanto mio.

Arnholm                        - Non dite così. Animo! Avete tutti i diritti!

Ellida                            - Non ho diritti, io che vivo per conto mio una vita dalla quale gli altri sono esclusi.

Arnholm                        - (abbassando la voce) Come sarebbe a dire? Non amate vostro marito?

Ellida                            - Sì, che lo amo! Sì, gli voglio molto bene, ora. Ecco che cosa c'è di incredìbile - d'inesplicabile di terribile.

Arnholm                        - Ma signora, calmatevi per carità! E fida­tevi a dire a me tutto quello che vi tormenta. Volete?

Ellida                            - Ora non posso, amico mio. Forse, più tardi. (Bolette esce sulla terrazza e di là scende in giardino).

Bolette                          - Ecco il babbo. Ha smesso dì lavorare. Se andassimo tutti insieme a far circolo in terrazza?

Ellida                            - Andiamo pure.

Wangel                          - (che si è cambiato d'abito, esce di casa, ac­compagnato da lido) Ho finito... Sono con voi! Ora ci serviranno i rinfreschi.

Ellida                            - Un momento. (Va nel pergolato e prende U mazzo di fiori).

Ilda                               - (ridendo i fiori) Belli! Chi te li ha dati?

Ellda                             - Me li ha regalati il signor Lyngstrand, cara Ilda.

Ilda                               - (confusa) Lyngstrand?

Bolette                          - (inquieta) E' tornato Lyngstrand?

Ellida                            - (con lieve sorriso) Si, e ha portato questi fiori. Per il natalizio, capisci?

Bolette                          - (con un'occhiata a Ilda) Oh!

Ilda                               - (o mezza voce) Che asino!

Wangel                          - (con penoso impaccio) Vedi - devi sapere... mia cara, mia buona Ellida...

Ellida                            - (interrompendo) Su, ragazze, venite. Mette­remo i miei fiori in acqua con gli altri. (Sale in terrazza).

Bolette                          - (a Ilda) Guarda com'è carina!

Ilda                               - (trattenendosi appena, con collera) Tutte smor­fie. Vuole abbindolare il babbo.

Wangel                          - (sulla terrazza, stringendo la mano a Ellida) Grazie, Ellida, grazie.

Ellida                            - (accomodando i fiori) Di che? Non posso fare anch'io qualche cosa per la festa della mamma?

Arnholm                        - Ehm. (Raggiunge Wangel e Ellida. Bo­lette e Ilda si trattengono in giardino).

Fine del primo tempo

ATTO SECONDO

Al « Belvedere», dietro la città. Un poggio fiorito d'erbe. Intorno alla piattaforma, sino alle prime quinte, vi sono grossi massi disposti per servire di sedile. Si domina dall'alto il fiord, che si prolunga nel fondo. Il fiord è sparso di isolotti; le acque lambiscono la punta di un promontorio. Il mare aperto non si vede. Sera d'estate trasparente e dolce: la luce fulva e dorata, dif­fusa nell'aria, illumina vette lontane. Dagli altri poggi, a destra, giunge fievole un canto a quattro voci.

 (Coppie di giovani e di ragazze vengono, ciarlando, da destra, e vanno verso sinistra. Un momento dopo, ecco Ballested, carico di scialli e di borse. Guida una caro­vana di turisti stranieri accompagnati dalle loro mogli).

Ballested                       - (indicando con la mazza) Schen sie, meine herr shaften - là bas. Liegt eine andere - colline. Dass wollen wir besteigen - également, und so herrunter. (Ora si mette a parlare inglese, e conduce via i turisti, da sinistra. Ilda, camminando in fretta, compare a una svolta del sentiero, a destra. Si ferma e guarda in giù. Un momento dopo, arriva anche Bolette).

Boletti                           - Via, Ilda, perché corriamo? E quel povero Lyngstrand?

Ilda                               - Non posso soffrire che ci si arrampichi così adagio. Ma guardalo! Sembra che strisci.

Bolette                          - Sai pure che è ammalato.

Ilda                               - Lo credi un male pericoloso?

Bolette                          - E come!

Ilda                               - Ha consultato il babbo dopo pranzo. Vorrei sapere che ne dice il babbo.

Bolette                          - Gli ha trovato un indurimento ai polmoni. Ne avrà per poco.

Ilda                               - Sì?... Già, io l'ho sempre pensato.

Bolette                          - Per carità, bada che non se n'accorga.

Ilda                               - Oh, per me... (A mezza voce) Guarda: e con tutto ciò, ecco Hans in cima alla salita! Hans... trovi che può chiamarsi Hans?

Bolette                          - (piano) Zitta! (Lyngstrand viene da destra con un ombrellino).

Lyngstrand                   - Mi scuserete, signorine, se non posso camminare in fretta come voi.

Ilda                               - Toh! Siete armato di un ombrellino?

Lyngstrand                   - E' l'ombrellino di mamma vostra; me l'ha dato perché mi serva da bastone.

Bolette                          - Sono ancora giù, babbo e gli altri?

Lyngstrand                   - Sì, signorina. Vostro padre è andato un momento al caffè. Gli altri stanno a sentire la musica. Ci raggiungeranno quando il pezzo sarà terminato.

Ilda                               - (che l'ha guardato sempre) Siete molto stanco, vero?

Lyngstrand                   - Temo di essermi un po' affaticato. Quasi quasi, mi metterei un momento a sedere. (Siede sul masso più avanzato, a destra).

Ilda                               - (ritta di fronte a lui) Sapete che ora balle­ranno davanti al padiglione della musica?

Lyngstrand                   - Ho sentito che lo dicevano.

Ilda                               - Vi piace il ballo?

Bolette                          - (mentre coglie fiorellini nell'erba) Ilda! Lascialo almeno riprender fiato.

Lyngstrand                   - (rispondendo a Ilda) Sì. Mi piacerebbe molto ballare; se potessi.

Ilda                               - Non avete imparato?

Lyngstrand                   - Questo. E altro ancora, purtroppo. Sa­pete, il mio mal di petto!

Ilda                               - Il male di cui parlate sempre.

Lyngstrand                   - Sì, il mio male.

Ilda                               - Vi dà molta noia, il vostro male?

Lyngstrand                   - Non dico. (Sorridendo) Credo sarà a cagione del mio male, se tutti sono così buoni con me?...

Ilda                               - E poi, non è pericoloso.

Lyngstrand                   - Oh, no, pericolo non ce n'è. Il dottor Wangel me l'ha assicurato anche oggi.

Ilda                               - E infine andrete nel mezzogiorno, e guarirete.

Lyngstrand                   - Guarirò, certo.

Bolette                          - (offrendogli i fiori) Tenete, signor Lyng­strand, metteteveli all'occhiello.

Lyngstrand                   - Grazie, signorina. Siete davvero troppo buona.

Ilda                               - (guardando in giù) Eccoli tutti! Salgono.

Bolette                          - Purché non facciano un'altra strada. Bravi, hanno già sbagliato.

Lyngstrand                   - (alzandosi) Corro allo svolto, e dò una voce per avvertirli che siamo qui.

Ilda                               - Dovrete alzarla molto, la voce.

Bolette                          - Non andate! Vi stancherete.

Lyngstrand                   - Oh, la discesa è niente. (Scompare du destra).

Ilda                               - La discesa, sì... (Seguendolo con gli occhi) Bene! Fa certi salti! Sembra una capra. Non pensa che, dopo, gli tocca di nuovo arrampicarsi.

Bolette                          - Poveretto.

Ilda                               - Se Lyngstrand chiedesse la tua mano, diresti di sì?

Bolette                          - Sei matta?

Ilda                               - Se non fosse malato, sai? Se i medici non lo avessero spedito?... Lo sposeresti, di'?

Bolette                          - No, te lo cedo.

Ilda                               - Tante grazie; non ha un centesimo. Non ha neppure di che mangiare.

Bolette                          - E allora, mi dici perché siete sempre in­sieme?

Ilda                               - Così. Per via del suo male.

Bolette                          - Senti, ci credo poco alla tua compassione.

Ilda                               - Non è compassione. Mi tenta.

Bolette                          - Questa è bella. E che cos'è, che ti tenta?

Ilda                               - Guardarlo, lasciandogli dire che il suo male non è pericoloso, che presto partirà per l'estero, che poi farà lo scultore. Ci crede fermamente, lui! Non sogna altro. E non accadrà, capisci? Deve morire. Mi" mette un brivido pensarci!

Bolette                          - Un brivido?

Ilda                               - Alla radice dei capelli. E' impressionante. Mi permetto di trovare la sensazione « impressionante ».

Bolette                          - Ma Ilda? Sei davvero una monellaccia, e «ei anche cattiva.

Ilda                               - Sì, e mi piace esserlo. Per burlarmi di le. (Guardando in giù) Vengono! Arnholm non deve tro­varci gusto, alle ascensioni. A proposito: sai che cosa ho notato, mentre eravamo a tavola?

Bolette                          - Che cosa?

Ilda                               - Osservalo: perde i capelli, qui, proprio nel mezzo del cranio.

Bolette                          - Come sei sciocca! Se non è vero.

Ilda                               - Ti dico di sì. E poi ha già le zampe di gal­lina. Bolette! Pensare che tu ne eri così innamoiata, quando ti dava lezione!

Bolette                          - (sorridendo) Ma come ho fatto, me lo dici? Mi ricordo un giorno di aver pianto a calde la­crime perché trovava brutto il mio nome di Bolette.

Ilda                               - Sì, mi ricordo! Sai che è buffa? (Guardando di nuovo in giù) Guarda. Guarda. « La donna del' mare ». Viene con lui, con Arnholm, mica col babbo. Non mi stupirei se quei due se la intendessero.

Bolette                          - Dovresti vergognarti, Ilda. Come osi par­lare così di Ellida? Si andava già un po' d'accordo!

Ilda                               - (indignata) Eh? Tienlo di conto, quell'accordo! No, bimba mia. Non ci saranno mai accordi tra lei e noi. Il suo posto non è per niente in casa nostra. Che grillo è saltato al babbo di portarcela? Già, non mi fa­rebbe meraviglia se un bel giorno impazzisse.

Bolette                          - Che cosa ti frulla?

Ilda                               - Non ci sarebbe niente di strano. Sua madre, non è impazzita? E' morta pazza. Io lo so.

Bolette                          - Dio sa dove vai a ficcare il naso, tu! Ma bada a non parlare di queste cose; fallo per amor del babbo. Hai capito? (Wangel, Ellida, Arnholm, Lyngstrand arrivano da destra).

Ellida                            - (con un gesto verso il fondo) Si stende laggiù. Passato il fiord.

Arnholm                        - Sì, è da quella parte.

Ellida                            - Là! Il mare è là!

Bolette                          - (a Arnholm) E' un bel posto, vero?

Arnholm                        - Splendido. Una veduta meravigliosa.

Wangel                          - Non c'eravate mai venuto?

Arnholm                        - Ai miei tempi, questo poggio era, se ben ricordo, inaccessibile.

Wangel                          - Infatti. Il « Belvedere » è stato ideato da pochi anni.

 

Bolette                          - Dalla Montagnola del Piloto, laggiù, la ve­duta è ancor più bella.

Wangel                          - Dobbiamo andare, Ellida?

Ellida                            - (sedendo sul masso a destra) Io, no. Andate voi altri. Io vi aspetto qui.

Wangel                          - Starò io con te. Le ragazze -accompagne­ranno Arnholm.

Bolette                          - Volete venire con noi, signor Arnholm?

Arnholm                        - Volentierissimo. C'è modo di inerpicarsi su quella montagnola?

Bolette                          - Sì, c'è una bella viottola. Anche larga.

Ilda                               - Abbastanza perché due persone possano an­dare a braccetto.

Arnholm                        - (scherzando) Davvero, la mia damina?... (A Bolette) Vogliamo provare se è vero?

Bolette                          - (reprimendo un sorriso) Proviamo pure. (Se ne vanno a braccetto).

Ilda                               - (a Lyngstrand) Anche noi?

Lyngstrand                   - A braccetto?

Ilda                               - Perché no. Non chiedo di meglio, io.

Lyngstrand                   - (offrendole il braccio con un sorriso di contentezza) Com'è curioso!

Ilda                               - Che cosa?

Lyngstrand                   - Sembriamo due coppie di fidanzati.

Ilda                               - A voi, signor Lyngstrand, non deve capitare spesso di offrire il braccio a una signora. No? (Scom­paiono a sinistra tutti e quattro).

Wangel                          - (sulla piattaforma) Cara Ellida. Giacché siamo soli un momento...

Ellida                            - Sì. Vieni a sedere accanto a me.

Wangel                          - Qui siamo liberi e tranquilli. Potremo di­scorrere.

Ellida                            - Di che?

Wangel                          - Di te, e delle nostre relazioni. Vedo an­ch'io che così non può durare.

Ellida                            - E con che cosa rimedieremo?

Wangel                          - Con la fiducia. Una fiducia reciproca, El­lida. La vita in comune, come per Faddietro.

Ellida                            - Se fosse possibile... Ma purtroppo, non si può.

Wangel                          - Credo di averti capita. Da qualche frase che ti sfugge di tanto in tanto.

Ellida                            - (con violenza) No! Non puoi capire, non dirlo!

Wangel                          - Ellida. Tu hai un'anima retta e il tuo cuore è fedele.

Ellida                            - Questo è vero.

Wangel                          - Per le, non vi può essere né sicurezza, ne felicità, se tra noi non si stabiliscono relazioni molto chiare e scevre da reticenze.

Ellida                            - (guardandolo attenta) Ebbene?

Wangel                          - Tu non eri fatta per prendere il posto la­sciato da un'altra.

Ellida                            - A che proposito mi dici questo?

Wangel                          - L'ho sempre intuito; oggi ne sono sicuro. Questa festa commemorativa ideata dalle bambine... Tu hai creduto che anch'io fossi d'intesa con loro. Ebbene, sì. Un uomo non s'impone ai suoi ricordi. Almeno, io non posso.

Ellida                            - Lo so, lo so.

Wangel                          - Eppure, come intendi male! Per te, la madre delle bambine vive ancora. Si trova sempre fra noi, invisibile e presente. Tu credi che io divida il mio cuore fra lei e te; e questo ti urta, ti offende. Tu vedi nelle nostre relazioni quasi un che di immorale... Ecco perché non vuoi più essere mia.

Ellida                            - (alzandosi) Sei certo, Wangel? Sei proprio certo?

Wangel                          - Sì: oggi ho veduto il fondo delle cose.

Ellida                            - E anche tu hai veduto male.

Wangel                          - (alzandosi) So benissimo che non è tutto qui, cara Ellida.

Ellida                            - (ansiosa) Sai?...

Wangel                          - Sì, cara, c'è anche questo: tu non resisti al nostro ambiente. Queste montagne ti opprimono, man­chi di luce, qui. L'orizzonte è troppo limitato, l'atmosfera non è abbastanza libera, abbastanza vivificante.

Ellida                            - In questo hai forse ragione. Notte e giorno, estate e inverno, soffro la vertiginosa nostalgia del mare.

Wangel                          - Ma se lo so, povera cara. (Posando la mano mila lesta di Ellida) Ed è per questo che la nostra am­malata deve tornare al suo elemento.

Ellida                            - Come dici?

Wangel                          - Dico, cara, che si parte.

Ellida                            - Si parte?...

Wangel                          - Andremo a stabilirci in un paese qua­lunque, pur che si trovi in riva al mare, in riva al « vero mare ». Non voglio che tu ti senta in esilio.

Ellida                            - No, Wangel. Non ci pensare neppure. Tanto, non si può. Tu non saresti felice lontano da casa tua.

Wangel                          - Sia quel che sia. Forse che sarei «elice, qui, senza di te?

Ellida                            - Ma io ci sono, e rimango. Io sto con te.

Wangel                          - Credi di potere, Ellida?

Ellida                            - Senti, Wangel, non ne parliamo più! Non voglio! Tu sei radicato in questi luoghi con tutte le tue fibre. La tua vita è qui.

Wangel                          - Ripeto: sia quel che sia, noi partiamo. E' deciso, cara Ellida. Nulla potrà più smuovermi.

Ellida                            - Dimmi: e che cosa credi ne ricaveremo?

Wangel                          - Prima cosa, che tu riacquisterai la salute e la pace per il tuo animo.

Ellida                            - Questo poi si vedrà. Ma tu?... Rifletti, Wan­gel! Che cosa ne ricaverai?

Wangel                          - Io, cara? Io - avrò ritrovato te.

Ellida                            - No, sai, è impossibile! Impossibile! E' questo l'atroce, la cosa disperante.

Wangel                          - Ellida! Con simili idee, non puoi rima­nere qui. Non vedo salvezza per te altro che nella fuga. Bisogna partire e presto.

Ellida                            - No! Guarda. Preferisco dirti le cose come sono. Saprai tutto.

Wangel                          - (stupito) Come vuoi. Parla!

Ellida                            - Non devi soffrire per causa mia. Tanto più che non rimedierebbe a nulla.

Wangel                          - Mi hai promesso di dirmi tutto?

Ellida                            - Ti dirò, di me, tutto quello che ne so anch'io. Vieni, siedi qui, più accosto. (Si avvicinano).

Wangel                          - E così, Ellida?

Ellida                            - Il giorno in cui mi hai chiesto se volevo essere tua moglie, mi hai parlato schiettamente e leal­mente del tuo primo matrimonio. Era stata un'unione felice.

Wangel                          - Infatti.

Ellida                            - Ne sono persuasa, Wangel; e se te ne parlo, è soltanto per ricordarti che anch'io sono stata schietta. Ti ho detto che avevo già amato, e che ero stata, in certo modo, promessa.

Wancel                          - In certo modo?...

Ellida                            - Sì, la si può chiamare una promessa. Oh, fu cosa breve. Lui partì. In séguito troncai tutto. Te lo dissi?

Wancel                          - Ma, cara Ellida, che c'entra ora questo epi­sodio? che in fondo non mi riguardava e di cui non ti ho più parlato da quel giorno? Ignoro perfino chi fosse il pretendente.

Ellida                            - E' vero, non me l'hai chiesto. Sei sempre stato così delicato con me!

Wangel                          - (sorridendo) Oh, questa volta il merito è scarso. Non era difficile indovinare.

Ellida                            - Indovinare?

Wancel                          - A Skioldviken, c'era poco da scegliere. Di­ciamo addirittura che la scelta si limitava a vino solo

Ellida                            - Pensi ad Arnholm?

Wancel                          - Non era lui?...

Ellida                            - No.

Wangel                          - Allora, non ne capisco più niente.

Ellida                            - Ricordi quello scorcio d'autunno, quando un veliero americano venne a Skioldviken, per riparare un guasto?

Wangel                          - Ricordo. Su quel veliero, un brutto giorno, fu trovato il capitano assassinato nella sua cabina. Hanno chiamato me per l'autopsia.

Ellida                            - Sì, infatti andasti tu.

Wangel                          - Il delitto era stato commesso dal secondo di bordo;

Ellida                            - (vivacemente) Non fu accertato. Non c'erano prove.

Wancel                          - Non era possibile dubitare. Per qual ra­gione il secondo si sarebbe annegato, dopo il delitto?

Ellida                            - Non si è annegato. Ha preso imbarco su di un battello che faceva vela per il Nord.

Wancel                          - (sorpreso) Come lo sai?

Ellida                            - (con uno sforzo) Lo so perché - vedi Wangel - quello era l'uomo col quale m'ero promessa.

Wangel                          - (alzandosi di scatto) Che cosa dici?

Ellida                            - La verità. Sono stata promessa sposa di quel­l'uomo.

Wangel                          - Ma in nome di Dio, Ellida, che cosa ha potuto spingerti a un simile colpo di testa? Un individuo di quella specie!... Uno sconosciuto!... Come si chia­mava?

Ellida                            - Portava il nome di Friman. Più tardi, le sua lettere erano firmate Alfred Johnston.

Wancel                          - Da dove veniva?

Ellida :                           - Dal Finmarck, mi disse. Ma era oriundo della Finlandia. Ancora bambino, era venuto di laggiù col padre.

Wangel                          - Ah, era un finlandese, un kvenn!

Ellida                            - Li chiamano così.

Wangel                          - Che altro sai, sul conto suo?

Ellida                            - Nulla. Che s'era arruolato presto; e aveva navigato molto; lontano.

Wancel                          - Nient'altro?

Ellida                            - No. Non parlavamo mai di queste cose.

Wancel                          - E di che cosa parlavate?

Ellida                            - Quasi sempre del mare.

Wangel                          - Ah! Del mare.

Ellida                            - Delle bonacce e delle tempeste. Delle notti buie sull'oceano. Parlavamo anche delle onde che bril­lano, tremolando al sole. Ma soprattutto si parlava delle balene e delle foche; e delle renne che si scaldano al tepore dei meriggi, sulle coste del Nord. Poi, si parlava delle aquile e dei gabbiani, e di quegli altri uccelli che hai veduto anche tu. E mentre lui parlava - come è a rano, «h? mi pareva di scoprire fra quell'uomo e quegli es­seri, bestie, uccelli di mare, una bizzarra parentela.

Wancel                          - Ma tu?

Ellida                            - Anch'io mi sentivo parente di tutti loro.

Wangel                          - Capisco... E così, ti sei promessa.

Ellida                            - Mi sono promessa. Ho obbedito.

Wangel                          - Obbedito? Eri dunque priva di volontà?

Ellida                            - Quando c'era lui, sì. Dopo, non ho capito più nulla, non ho saputo più perché.

Wancel                          - V'incontravate spesso?

Ellida                            - Spesso, no. Era venuto un giorno al Faro. Lo conobbi allora. E ci siamo incontrati qualche volta. Fino al giorno che il capitano fu assassinato... e che lui partì.

Wancel                          - Seguita. E poi?

Ellida                            - All'alba, ricevetti un suo biglietto. Mi chie­deva di andare alla punta di Bratthammer - sai, tra Skioldviken e il Faro.

Wangel                          - So.

Ellida                            - Mi diceva di andare subito. Doveva par­larmi.

Wangel                          - E sei andata?

Ellida                            - Sì. Non potevo fare diversamente. Mi raccomò che quella notte aveva pugnalato il capitano.

Wangel                          - Te l'ha confessato?...

Ellida                            - Mi disse che aveva fatto giustizia.

Wangel                          - Giustizia? Un assassinio!... E che ragione aveva di fare giustizia?

Ellida                            - Non volle dirmelo. Aggiunse che non s'era costituito per riguardo a me.

Wangel                          - E gli credesti!

Ellida                            - Non ebbi il minimo dubbio. Qualunque fosse il motivo, doveva partire, non vidi altro. Allora, al momento degli addii... No, non potresti mai indovinare che cosa lui ideò...

Wangel                          - Su! Dimmelo!

Ellida                            - Cavò di tasca uno di quei cerchietti dove s'infilano le chiavi; si tolse dal dito un anello e si fece dare anche da me un anellino che portavo sempre; in­filò gli anelli nel cerchietto, e disse che ci saremmo uniti, noi due, col mare.

Wangel                          - Uniti?

Ellida                            - Uniti. E subito dopo lanciò nelle onde, più lontano che potè, il cerchietto con gli anelli.

Wangel                          - E tu, Ellida, ti sei prestata a un simile gioco?

Ellida                            - Ti pare? Non ebbi neppure un momento l'idea di ribellarmi! E se Dio volle, partì.

Wancel                          - E poi?

Ellida                            - Oh, non tardai a riprendermi! Vidi chia­ramente tutto l'assurdo e il pazzesco dell'avventura.

Wangel                          - Ma parlavi anche di lettere. Hai avuto no­tizie, da quel giorno?

Ellida                            - Ho avuto notizie. Dapprima, furono poche righe, da Arkangel. Mi diceva soltanto che partiva per l'America e mi dava il suo indirizzo.

Wangel                          - Gli hai risposto?

Ellida                            - Immediatamente. Gli scrissi, beninteso, che tutto era finito tra noi. E che non pensasse più a me, come io non pensavo più a lui.

Wancel                          - E nonostante, ti scrisse ancora?

Ellida                            - Mi scrisse ancora.

Wangel                          - E che diceva della tua risposta?

Ellida                            - Niente. Fu come se non avessi mai parlato di rottura. Mi diceva, tranquillamente e posatamente, di aspettare un'altra lettera che m'informerebbe dell'epoca nella quale potrebbe accogliermi. Appena l'avessi rice­vuta, dovevo raggiungerlo.

Wangel                          - Insomma, non voleva lasciare la preda?

Ellida                            - Gli scrissi di nuovo ripetendo, quasi parola . per parola, quanto gli avevo già detto. Forse, mi mostrai anche più ferma.

Wangel                          - Finì per rinunciare?

Ellida                            - Ah, no! Ricevetti una terza lettera, pacata come la seconda. Anche in questa, non un accenno alla rottura. Vidi allora che era inutile continuare e cesili dallo scrivere.

Wangel                          - E lui?

Ellida                            - Mi mandò ancora tre lettere, una dalla Ca­lifornia, una dalla Cina, l'ultima dall'Australia. In questa mi diceva che andava a lavorare nelle miniere d'oro. Poi, nient'altro. Non ho avuto altre notizie.

Wancel                          - Quell'uomo ha esercitato un grande impero su te, Ellida.

Ellida                            - Sì, sì! Mi fa ancora paura!

Wangel                          - Non devi pensarci! Mai più! Promettimelo, cara, diletta Ellida! D'ora innanzi, condurremo un'altra vita. A te non si confà quest'aria molle dei fiordi: ci vuole un'aria vibrata, rigeneratrice. Il mare. Per te, ci vuole il mare.

Ellida                            - A che scopo, Wangel? Non serve, lo sento. Non riuscirò mai a strapparmi a questa ossessione. Mi perseguiterà, dappertutto dove andrò.

Wangel                          - Ti perseguiterà?... Che cosa?

Ellida                            - Questo terrore, questo potere inesplicabile, al quale la mia anima rimane ancora sottomessa.

Wangel                          - Ma Ellida! Dal giorno che hai rotto con quell'uomo, la cosa è finita, assolutamente.

Ellida                            - (alzandosi di scatto) No, che non è finita.

Wangel                          - Non è finita?

Ellida                            - No, Wangel! E temo non sarà mai finita! Mai! Finche vivrò.

Wangel                          - (con voce soffocata) Vuoi dire che nulla ha potuto sradicare dal tuo cuore il ricordo di quell'ignoto?

Ellida                            - Era svanito. Ma ad un tratto, fu come se fosse tornato.

Wangel                          - E da quando?

Ellida                            - Da tre anni. Forse un po' più. Quando stavo per esser madre.

Wancel                          - Era questo, dunque?... Comincio a capire molte cose.

Ellida                            - No, caro, no. Quello che accadde in me, allora - ah! credo che nessuno potrà mai capirlo!

Wangel                          - (guardandola dolorosamente) Da tre anni ne ami un altro - per tutto questo tempo un altro ha avuto il tuo amore - e io, no!

Ellida                            - Non è vero, non è vero! Amo te, te, e nessun altro!

Wangel                          - (abbassando la voce) E allora, perché non hai più voluto... riprendere la nostra "ita di sposi?

Ellida                            - E' stato per paura, sì, per paura di quello ilraniero.

Wangel                          - Paura?

Ellida                            - Paura. Come spiegarti? Un terrore atroce! Solo il mare ha spaventi come questo. Senti, Wangel, devo dirti anche... (/ giovani e le ragazze della città tor­nano indietro da sinistra e vanno verso destra. Passando, salutano. Dopo di essi vengono Arnholm, Bolette, llda e Lyngstrand).

Bolette                          - (attraversando la scena) Siete ancora qui?

Ellida                            - Fa così fresco, su questa altura!

Abnholm                       - Noi, si va a ballare.

Wancel                          - Ben pensato. Andate. Vi raggiungeremo presto.

Ilda                               - A rivederci.

Ellida                            - Signor Lyngstrand, potete fermarvi un mo­mento ?

Lyngstrand                   - (si ferma; Arnholm, Bolette e llda vanno via da destra).

Ellida                            - (a Lyngstrand) Volete ballare anche voi?

Lyngstrand                   - No, signora, io non ballo.

Ellida                            - Bravo, sarà prudenza. Col mal di petto... Non siete mica guarito?

Lyngstrand                   - No; proprio guarito, no.

Ellida                            - (un po' esitante) Quel viaggio - di cui parla­vate? Lo avete fatto... da molto tempo?

Lyngstrand                   - Il viaggio in seguito al quale mi sono ammalato?

Ellida                            - Sì, ne parlavate stamani.

Lyngstrand                   - Saranno... aspettate... Sono tre anni.

Ellida                            - Tre anni?!

Lyncstrand                    - Un po' di più. Lasciammo l'America in febbraio. Si fece naufragio in marzo, al tempo dell'e­quinozio.

Ellida                            - (guardando Wangel) E fu allora!

Wangel                          - Ma, cara Ellida...

Ellida                            - (a Lyngstrand) Non voglio trattenervi, signor Lyngstrand. Andate, ma non ballate.

Lyngstrand                   - Oh, mi contento di guardare. (Va via da deslra).

Wancel                          - Mi dici perché, cara Ellida, gli hai parlato di quel viaggio?

Ellida                            - Johnston era a bordo!

Wangel                          - Da che lo arguisci?

Ellida                            - (senza rispondere) A bordo di quel veliero seppe del mio matrimonio con un altro, e proprio allora sentii per la prima volta...

Wancel                          - Quel misterioso terrore?

Ellida                            - Sì. Quando il terrore mi afferra, subito dopo me lo vedo comparire innanzi. Non mi guarda. E' presente, non altro.

Wancel                          - Come lo vedi?

Ellida                            - Com'era l'ultima volta che gli ho parlato.

Wancel                          - Dieci anni fa?

Ellida                            - Al promontorio di Bratthammer. E vedo, distintamente, uno spillo che aveva alla cravatta, con una grossa perla a riflessi azzurrognoli. Sembra un occhio di pesce. E quell'occhio, sembra che mi guardi fisso.

Wancel                          - Ellida, sei più malata di quello che cre­derò. Non immagini neppure come sei malata.

 

Ellida                            - Sì, Wangel! Ma tu, salvami, se puoi! Perché sento la stretta farsi sempre più tenace.

Wancel                          - E da tre anni sei in questo stato? Hai sofferto questa tortura, senza confidarmi nulla?

Ellida                            - Non potevo! Ho potuto soltanto ora, quando ho dovuto parlare. Si trattava di te. Se ti avessi confi­dato questo, avrei dovuto confidarti... anche la cosa che non si può dire.

Wangel                          - La cosa che non si può dire?

Ellida                            - No no no! Non interrogarmi. Dimmi solo, Wangel: come spieghi il mistero? Sai? Il mistero degli occhi del nostro piccino?

Wancel                          - Ellida mia, ti assicuro che era una tua fis­sazione. Gli occhi del piccino non avevano nulla di spe­ciale. Erano come tutti gli occhi dei bambini.

Ellida                            - Non è vero! E dire che tu, non hai mai veduto gli occhi del piccino cambiare tinta. Secondo il colore del fiord! Limpidi e luminosi quando il fiord riluceva al sole. Torbidi e oscuri nell'imminenza della burrasca. Oh, io sì! L'ho veduto, quello che tu non po­tevi vedere!

Wancel                          - (cedevole) Ammettiamo pure. E anche fosse? Che cosa potrebbe significare?

Ellida                            - (piano, facendoglisi vicina) Ho veduto altri occhi, come quelli.

Wancel                          - Quando? Dove?

Ellida                            - Al promontorio di Bratthammer, dieci anni fa.

Wancel                          - (dà un passo addietro) Vorresti dire?

Ellida                            - (piano, con voce tremante) Il bambino aveva gli occhi di quell'uomo.

Wangel                          - (lasciandosi sfuggire un grido) Ellida!

Ellida                            - (alzando le mani sul capo, e torcendole, dispe­rata) Adesso sai perché non voglio, non oso più essere tua! (Si scosta con impeto e scende rapidamente il pen­dio, a destra).

Wangel                          - (si slancia dietro di lei gridando) Ellida! Ellida! Mia povera Ellida!

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Un punto remoto nel giardino di casa Wangel. Il luogo è umido, acquitrinoso, ombreggiato da vecchi alberi. A destra, un piccolo stagno limaccioso. Un muretto senza cancellata separa il giardino dal sentiero e dal fiord, che si vede nello sfondo. Di là dal fiord, una catena di mon­tagne frastagliata da picchi. Meriggio inoltrato: la sera comincia a calare.

 (Bolette cuce seduta su una panchina a destra. Accanto a lei, due libri e una panìerina da lavoro. In riva allo stagno, llda e Lyngstrand pescano con la rete).

Ilda                               - (a Lyngstrand) Zitto! Ce n'è uno grosso.

Lyngstrand                   - (guardando) Dove?

Ilda                               - Là, non vedete? Che disdetta! Eccone un altro. (Guarda tra gli alberi) Lo sapevo! Ora me Io spaurisce.

Bolette                          - (alzando gli occhi) Chi c'è?

Ilda                               - Il tuo professore, mammina.

Bolette                          - Il mio professore?

Ilda                               - Mio, no di certo.

Arnholm                        - (sbuca di tra le piante, da destra) Ci sono dei pesci, nello stagno?

Ilda                               - Vedo dei vecchi pesci persici.

Àbnholm                       - Vivono ancora i vecchi persici?

Ilda                               - Hanno la pelle dura. Ma oggi vogliamo ac­chiapparne qualcuno.

Arnholm                        - Dovreste spingervi verso il fiord.

Lyncsirand                    - No. Lo stagno è più misterioso.

Ilda                               - Più... « impressionante ». Venite dal fiori!, voi?

Arnholm                        - Vengo dallo Stabilimento.

Ilda                               - Avete nuotato in alto mare?

Arnholm                        - Non sono un gran nuotatore.

Ilda                               - Il morto, lo sapete fare?

Arnholm                        - No.

Ilda                               - Io, sì. (A Lyngstrand) Passiamo dall'altra parte. (Vanno a destra, costeggiando lo stagno).

Arnholm                        - (avvicinandosi a Bolette) Sola sola, Bo­lette?

Bolette                          - Sola sola.

Arnholm                        - La mamma non è in giardino?

Bolette                          - Credo di no. Dev'essere a passeggio col babbo.

Arnholm                        - Come è stata, dopo pranzo?

Bolette                          - Non so. Mi sono scordata di chiederglielo.

Arnholm                        - (prende un libro) Che libri leggete ora?

Bolette                          - Questo è un libro di botanica, e quello di geografia.

Arnholm                        - Vi piace leggere di questa roba?

Bolette                          - Quando ho tempo. Prima, devo occuparmi della casa.

Arnholm                        - La mamma - la matrigna non vi aiuta?

Bolette                          - No. Penso io a tutto. Facevo così nei due anni che babbo ha vissuto solo. E dopo, ho seguitato.

Arnholm                        - Eppure, non avete perduto la passione di studiare?

Bolette                          - Divoro quanti libri mi capitano tra mano. Però se sono istruttivi. Sapere come è fatto il mondo, mi piace! Noi siamo qui, tagliati fuori dalla vita, o quasi.

Arnholm                        - Non dite così, cara Bolette.

Bolette                          - Non c'è molta differenza, credo, tra la no­stra vita e quella dei persici nello stagno. Vicino allo stagno c'è il fiord percorso dalle tribù selvagge dei grandi pesci di mare. Ma i persici, poveri pesci dome­stici, non lo sanno. Non prenderanno mai parte a quelle vicende ignote.

Arnholm                        - Se tentassero la ventura, si troverebbero a guai.

Bolette                          - Non sarebbero forse da compiangere più che non lo siano già.

Arnholm                        - D'altra parte, come si può dire che, quj, siete tagliati fuori dal mondo? Almeno, non d'estate! Pare che il paese stia diventando una specie di crocevia delle nazioni - quasi un centro universale. Da dove si passa, è vero, senza fermarsi.

Bolette                          - (sorridendo) E' facile a voi scherzare sut conto nostro! Anche voi siete semplicemente di pas­saggio.

Arnholm                        - Vi sembra che voglia scherzare?

Bolette                          - Sì; perché ripetete i discorsi che fanno in città. Centro universale, crocevia delle nazioni! Non si sente altro.

Arnholm                        - (ride) Infatti. Ha colpito anche me.

Bolette                          - E non c'è niente di più falso. Importa assai, a noi che siamo relegati qui per sempre, se passa gente di tutti i paesi e va a vedere il sole di mezzanotte, Noi seguiteremo a vivere nella gora dei persici.

Arnholm                        - (seduto accanto a lei) Ditemi, cara Bo­lette. Questa nostalgia - che esprimete con tanto ardore non avrebbe, per caso, un motivo speciale... non saprei!

Bolette                          - Forse.

Arnholm                        - Sentiamo. Che cosa può essere? Dite! Per che, o per chi, vi struggete a questo modo?

Bolette                          - Prima cosa, vorrei uscire da questa tana.

Arnholm                        - Prima cosa?

Bolette                          - E poi, vorrei imparare. Avere un'idea di tutto.

Arnholm                        - Quando vi davo lezione, il babbo diceva che un giorno vi permetterebbe di frequentare l'uni­versità.

Bolette                          - Povero babbo, dice tante cose lui! Al mo­mento buono però... Manca un po' di slancio, il babbo.

Arnholm                        - Sì, non ne ha molto. Ma siete entrata in discorso? Gli avete parlato seriamente, insistendo?

Bolette                          - No. E' vero. Non gli ho mai parlato.

Arnholm                        - E allora, bisogna farlo, prima che sia troppo tardi. Perché non lo fate, Bolette?

Bolette                          - Perché manco anch'io di slancio, mi figuro, L'avrò ereditato dal babbo.

Arnholm                        - Forse vi giudicate male.

Bolette                          - No, purtroppo. E poi, il babbo ha poco tempo di occuparsi del mio avvenire. E poca voglia, anche. Per lui non è che un fastidio, se Io toglierebbe volentieri. E' così esclusivamente preso di Ellìda!

Arnholm                        - Che c'entra?

Bolette                          - Voglio dire che lui e la mia matrigna…(S'interrompe) Insomma, il babbo e la mamma hanno la loro vita a parte. Mi spiego?

Arnholm                        - E' tanto più necessario, per voi, di eman­ciparvi.

Bolette                          - Ma ho proprio il diritto di farlo? Diritto di abbandonare mio padre?

Arnholm                        - Cara Bolette, dovrete pur decidervi, un giorno o l'altro? Mi sembra inutile aspettare.

Bolette                          - Sì. Bisognerà venire a questo punto. Dovrò pensare un poco a me, cercare di farmi una posizione. Se un giorno, Dio guardi, dovessi perdere il babbo, mi troverei senza un appoggio. Povero babbo, mi sgo­mento, all'idea di lasciarlo!

Arnholm                        - Vi sgomentate?

Bolette                          - Per lui.

Arnholm                        - E perché? Non c'è la matrigna?

Bolette                          - Ma Ellida non è come la mamma, che sa­peva tanto fare. Ci sono cose che lei non vede, o forse non vuol vedere, oppure anche non se ne cura, non so.

Arnholm                        - Capisco.

Bolette                          - Povero babbo - ha le sue debolezze, Favreto notato anche voi. Il lavoro non gli basta per occupare la giornata. E non trova presso Ellida il conforto di cui ha bisogno. E' forse un po' colpa sua...

Arnholm                        - In che modo?

Bolette                          - Al babbo, piace tanto vedersi intorno delle facce allegre! Ci vuole, dice, del sole in casa. Allora temo che qualche volta le dia degli eccitanti che a lungo andare non le fanno bene.

Abnholm                       - Dite davvero?

Bolette                          - Nessuno me lo toglierà di mente. E' così stramba, alle volte! (Rapidamente) Avete ragione, signor Arnholm: non sarebbe giusto che restassi. Che vantaggio ne ricava il babbo? E mi pare di aver anch'io dei do­veri verso me stessa.

Abnholm                       - Sentite, Bolette: è necessario discorrerne seriamente.

Bolette                          - Sì, ma a che serve poi? Sono forse fatta per la gora dei persici.

Arnholm                        - Manco per sogno. E starà in voi.

Bolette                          - (con vivacità) Credete?

Abnholm                       - Il vostro destino è nelle vostre mani.

Bolette                          - Fosse vero! Avreste intenzione di parlarne al babbo?

Arnholm                        - Prima di tutto devo parlarne con voi. Molto franco. Col cuore in mano. (Guardando a sinistra) Zitta. Riprenderemo il discorso più tardi. (Ellida viene da sinistra. E' in capelli, e tutta avvolta in un ampio scialle che le copre il capo e le spalle).

Ellida                            - (vivace, ma inquieta) Si sta bene qui. E' una delizia.

Arnholm                        - (alzandosi) Siete stata a passeggio?

Ellida                            - Si. Ho fatto una bella camminata, lunghissima, con Wangel. Ora, andiamo a vela.

Bolette                          - Non vuoi sedere?

Ellida                            - No. Grazie. Non voglio.

Bolette                          - (facendole posto sulla panchina) C'è posto, «ai?

Ellida                            - (va e viene) No no no. Non voglio star ferma. Non voglio.

Arnholm                        - Passeggiare vi ha fatto bene. Dianzi, era­vate un po' fiacca.

Ellida                            - Oh! mi sento così bene! Ho in me una fe­lli ili indicibile, una sicurezza immensa! (Guardando a sinistra) Che sarà quel grosso piroscafo? Laggiù! Ve­dete?

Bolette                          - (alzandosi e guardando) E' il battello in­glese.

Arnholm                        - Fa scalo al promontorio, adesso?

Bolette                          - No. Si ferma una mezz'ora, prima di risalire il fiord.

Ellida                            - Risalire il fiord... Per ridiscendere domani. Per riprendere il largo. Viaggeranno in alto mare - nel gran mare aperto - andranno senza fermarsi - fino a toc­care l'altro limite... Oh, ci fossimo anche noi! Se si potesse! se si potesse!

Abnholm                       - Non avete mai fatto viaggi di mare, si­gnora Wangel?

Ellida                            - Mai. Qualche gita nei fiordi e basta.

Bolette                          - Sarà che dobbiamo contentarci della terra ferma. Che dite?

Abnholm                       - Tutto considerato, non è il nostro ele­mento?

Ellida                            - Credo di no.

Aiiniiolm                       - La terra ferma?

Ellida                            - No. La terra ferma, non dev'essere il nostro elemento. Ho in mente che se l'uomo, fin dalle origini, avesse preso l'abitudine di vivere sul mare - dico fors'anche «in mare! » - avremmo raggiunto oggi una perfezione della quale non abbiamo neppure idea. Saremmo migliori e più felici.

Arnholm                        - Ne siete sicura?

Ellida                            - Quasi. Ne parlo spesso con Wangel.

Arnholm                        - E che cosa ne dice lui?

Ellida                            - Che potrei anche aver ragione.

Arnholm                        - (scherzando) Sia pure. Ma quello che è fatto è fatto. Abbiamo sbagliato strada, e oggi siamo animali di terra, non animali marini. E' troppo tardi per cambiare.

Ellida                            - Non sembra, ma voi dite ora una triste verità. E gli uomini, che oscuramente lo sentono, ne sono tormentati come da un segreto affanno. Credete a me. La tristezza umana ha, in questo, la sua radice più pro­fonda. E' così. Mi potete credere.

Arnholm                        - Ma, cara signora Wangel! A me non pare che gli uomini, in genere, siano così... radicalmente tristi. Vedo invece che quasi tutti prendono la vita alle­gramente e che in fondo al loro animo regna una grande beatitudine, placida e incosciente.

Ellida                            - No, non è vero. La loro gioia è come quella che si prova in certe lunghe giornate estive piene di luce, e che è turbata dalla inquietudine confusa della notte che sta per calare. Una simile sensazione incombe sulle gioie umane, come la nuvola errante incombe sul fiord, che oscura colla sua ombra. Or ora, lo specchio azzurro delle acque rideva al sole... e a un tratto...

Bolette                          - Non dovresti lasciarti andare a pensieri malinconici. Dianzi eri così allegra, così animata!

Ellida                            - Sì. Ero allegra! E ora... che sciocchezza! (Guardandosi intorno, inquieta) Ma perché Wangel non viene? Mi aveva tanto promesso di venire subito. Si sarà dimenticato. Caro Arnholm, dovreste farmi un pia­cere. Andare in cerca di mio marito.

Arnholm                        - Volentieri.

Ellida                            - Ditegli che venga subito. Subito! Non lo vedo più.

Arnholm                        - Chi non vedete, più?

Ellida                            - Non posso spiegare. E' una cosa mia. Quando Wangel non c'è, mi pare di dimenticare il suo viso. E' come se lo avessi perduto. E mi fa così male! Andate, andate, vi prego. (Va e viene in riva allo stagno).

Bolette                          - (a Arnholm) Vengo anch'io. Da solo non lo trovereste.

Arnholm                        - Lo trovo, lo trovo.

Bolette                          - (a mezza voce) No. Sono inquieta per El­lida. Temo che il babbo sia salito a bordo.

Arnholm                        - A bordo?

Bolette                          - Spesso sale a vedere se sono arrivati amici. Entra al ristorante.

Arnholm                        - Andiamo. (Vanno via da sinistra).

Ellida                            - (è immobile davanti allo stagno, fissando l'ac­qua. Di tanto in tanto pronuncia parole sconnesse. Nel sentiero dietro al muretto, compare un uomo vestito da viaggio. Capelli e barba folti, rossigni. Berretto scozzese. Borsa da viaggio a tracolla).

Il- Forestiero                 - (cammina lungo il muretto e getta oc­chiate nel giardino. Scorgendo Ellida, rista. La guarda fisso e dice, con voce soffocata) Buona sera, Ellida.

Ellida                            - (si volta ed esclama) Eccoti, caro! Final­mente.

Il Forestiero                  - Sì, finalmente.

Ellida                            - (guardandolo, stupita) Chi siete? Cercate qualcuno?

Il Forestiero                  - Lo sai.

Ellida                            - (turbata) Parlate con me? Chi cercate?*.

Il Forestiero                  - Cerco te, lo vedi.

Ellida                            - Ah! (Lo guarda fisso: dà un passo addietro rabbrividendo, e getta un grido soffocato) Gli occhi! Gli occhi!

Il Forestiero                  - Cominci a riconoscermi? Io ti ho subito riconosciuta, Ellida.

Ellida                            - Non mi guardate così! Chiamo gente!

Il Forestiero                  - Non chiamare. Non aver paura. Non sono venuto per farti del male.

Ellida                            - (coprendosi gli occhi) Non mi guardate così, vi dico!

Il Forestiero                  - (appoggiando i gomiti sul parapetto) Sono arrivato con la nave inglese.

Ellida                            - (lo guarda intensamente, di sfuggita) Che cosa volete da me?

Il Forestiero                  - Non ti avevo promesso di venire, ap­pena potrei?

Ellida                            - Partite, andate! Non tornate più! Vi avevo scritto che tutto era rotto, fra noi! Sapete pure che tutto è rotto!

Il Forestiero                  - (impassibile, senza rispondere) Sarei venuto prima. Ma è stato impossibile. Finalmente ho po­tuto. Ed eccomi, Ellida.

Ellida                            - Che volete da me? Che pretendete? Perché siete venuto?

Il Forestiero                  - Sonò venuto per condurti via.

Ellida                            - (indietreggiando spaurita) Condurmi via?

Il Forestiero                  - Con me.

Ellida                            - Dunque non lo sapete che sono sposata?

Il Forestiero                  - Lo so.

Ellida                            - Lo sapete? E siete venuto? Per condurmi via?

Il Forestiero                  - Sì.

Ellida                            - (prendendosi il capo tra le mani) Oh, che or­rore! Che spavento!

Il Forestiero                  - Forse, non vuoi?

Ellida                            - Non mi guardate così!

Il Forestiero                  - Ti chiedo solo se non vuoi.

Ellida                            - No no no! Non voglio! Non voglio! Mai, mai! Non voglio, vi dico! Non voglio, non voglio! (Pia­no) Non oso.

Il Forestiero                  - (scavalca il parapetto ed entra nel giar­dino) Va bene, Ellida, va bene. Lascia almeno che ti dica una parola, prima di partire.

Ellida                            - (vuol fuggire, ma non può: sembra paralizzata dal terrore e si appoggia al tronco di un albero, vicino allo stagno) Non mi toccate! Non avvicinatevi! Non venite avanti, no!... Non mi toccate, vi dico!

Il Forestiero                  - (pazientemente, facendo un passo verso di lei) Non devi avere tanta paura di me, Ellida,

Ellida                            - (coprendosi gli occhi) Non mi guardate così.

Il Forestiero                  - Non aver paura. Via, non aver paura. (Wangel viene dal giardino).

Wangel                          - (a mezza strada, tra gli alberi) E così, ti ho fatta aspettare?

Ellida ------------------ - (si precipita verso di lui e si aggrappa al suo braccio, gridando) Salvami, Wangel! Salvami, se puoi. 84

 

Wangel                          - Che c'è, Ellida? In nome di Dio, che c'è?

Ellida                            - Salvami, Wangel. Vedi quell'uomo?

Wangel                          - (guarda) Quell'uomo?  (Avvicinandosi) Si! può sapere chi siete? E perché entrate così nel mio giardino?

Il Forestiero                  - (indicando Ellida) Devo parlare con lei.

Wangel                          - Ah, siete voi, il forestiero? (A Ellida) Mij avevano detto che un tale aveva chiesto di te.

Il Forestiero                  - Ero io.

Wangel                          - E che cosa volete, voi, da mia moglie? ( a Ellida) Tu, lo conosci, Ellida?

Ellida                            - (piano, torcendosi le mani) Se lo conosco? Sì sì sì.

Wangel                          - (ruvidamente) Ebbene?

Ellida                            - E' lui, Wangel, è lui. L'uomo che sai.

Wangel                          - L'uomo che tu?... (Voltandosi verso il foristiero) Voi, siete quel Johnston?

Il Forestiero                  - Chiamatemi Johnston, se credete: seb­bene non sia il mio nome.

Wangel                          - Non è il vostro nome?

Il Forestiero                  - Attualmente, no.

Wangel                          - E che cosa desiderate, da mia moglie? Perché voi non ignorate, credo, che la figlia del direttori del Faro è maritata da un pezzo? Nemmeno ignorate con chi?

Il Forestero                   - Lo so da tre anni.

Ellida                            - (ansiosamente) Come l'avete saputo?

Il Forestiero                  - Venivo a raggiungerti. Mi capitò in mano un vecchio giornale. Era un giornale di qui. Vi si parlava della tua unione.

Ellida                            - (con occhi smarriti) Della mia «unione»?.!. Dunque era questo!

Il Forestiero                  - Ne ricevetti un'impressione strani. Quando abbiamo legato insieme i nostri anelli, Ellida, fu anche quella «un'unione ».

Ellida                            - (celando il volto tra le mani) Oh.

Wangel                          - Come ardite?!

Il Forestiero                  - Lo avevi dimenticato?

Ellida                            - (sentendosi pesare addosso gli sguardi di lui, esclama) Non mi guardate così.

Wangel                          - Parlate con me, voi. In due parole: (met­tendosi fra Ellida e l’uomo) ora sapete come stanno le cose. Non avete più niente da fare qui.

Il Forestiero                  - Avevo promesso a Ellida di venirla a prendere appena potrei.

Wangel                          - (fremente) Ellida! Ancora!

Il Forestiero                  - E Ellida aveva promesso di aspettarmi.

Wangel                          - Badate, voi state chiamando mia moglie per nome. Famigliarità come queste, non sono in uso da noi.

Il Forestiero                  - Lo so. Ma siccome Ellida mi appar­tiene, prima che ad altri...

Wangel                          - Vi appartiene? Come? Avete l'audacia di persistere?

Ellida                            - (stringendosi contro Wangel) Oh! Non mi lascerà sfuggire!

Il Forestiero                  - Vi ha detto, Ellida, dei due anelli? Il suo anello, e il mio?

Wangel                          - E con questo?! Ellida ha rotto con voi. Lo sapete meglio di me.

Il Forestiero                  - Avevamo stabilito, Ellida ed io, chi Dell'unire i nostri anelli ci univamo anche noi per sem­pre, con patto indissolubile.

Ellida                            - Ma io non voglio, capite? Non mi guardate tosi. Non voglio che mi guardiate.

Wangel                          - Voi dovete essere pazzo, se pretendete di basare un diritto sopra un gioco di bambini.

Il Forestiero                  - Infatti. Non ho nessun diritto, nel senso che voi date alla parola.

Wangel                          - Ma allora, che cosa pretendete? Immagino non crederete di portarmela via per forza!

Il Forestiero                  - No. Perché lo farei? Se Ellida vuole seguirmi, deve venire liberamente.

Ellida                            - (colpita, esclama) Liberamente!

Wancel                          - E voi vi aspettate che?...

Ellida                            - (assorta in una sua visione) Liberamente!

Wangel                          - Non siete in possesso della vostra ragione. Andate. Non abbiamo altro da dirci.

Il Forestiero                  - (guardando l'orologio) E' ora di tor­nare a bordo. (Muove un passo avanti) Vedi, Ellida, che io ho fatto il mio dovere. (Si avvicina ancora) Ho mantenuto la parola che ti avevo data.

Ellida                            - (con voce supplichevole, scostandosi) Oh, non mi toccate.

Il Forestiero                  - Ti do tempo di riflettere fino a do­mani sera.

Wancel                          - C'è poco da riflettere. Partite, e anche presto!

Il Forestiero                  - (rivolgendosi sempre a Ellida) Il bat­tello deve risalire il fiord. Ripasserà domani sera. Tor­nerò. Tu, aspettami qui, e sii sola. Devi capire che la umazione va risolta fra me e te.

Ellida                            - (piano, (remando) Senti, Wangel?

Wancel                          - Sta tranquilla, sapremo impedire questa visita.

Il Forestiero                  - Arrivederci, Ellida. A domani sera.

Ellida                            - (supplichevole) Oh no, no! Non tornate do­mani sera! Non tornate più!

Il Forestiero                  - E se mai ti decidi a seguirmi, di là dai mari...

Ellida                            - Non mi guardate così!

Il Forestiero                  - Dovrai essere pronta.

Wancel                          - Rientra, Ellida!

Ellida                            - Non posso... Oh, Wangel, salvami...

Il Forestiero                  - Perché devi dire a te stessa, Ellida, che se non parti con me domani, è finita tra noi.

Ellida                            - (lo guarda tremando) Finita? Per sempre?...

Il Forestiero                  - (crollando il capo) Irrevocabilmente. Non tornerò più qui. Non mi rivedrai. Non sentirai mai più parlare di me. Sarò morto, per te.

Ellida                            - (con un sospiro inquieto) Oh!

Il Forestiero                  - Rifletti, prima di decidere. Addio. (Ri­passa il muro, si ferma, e aggiunge) Te lo dico per l'ul­tima volta. Preparati a partire. Domani sera verrò a prenderti. (Se ne va lentamente, con passo calmo, per il sentiero; e scompare a destra).

Ellida                            - (seguendolo un momento con gli occhi) Ha detto: liberamente! Sai? Partire con lui liberamente! Ha detto così.

Wancel                          - Riprendi animo. E' andato. Non lo rivedrai mai più.

Ellida                            - Come puoi credere? Tornerà domani sera.

Wancel                          - Torni, se vuole. Io so che non ti vedrà.

Ellida                            - (scuotendo il capo) No, Wangel, non è in tuo potere impedirglielo.

Wangel                          - Oh, sta sicura!...

Ellida                            - (riflettendo) Quando sarà venuto qui, domani sera? E avrà ripreso il battello?

Wangel                          - Ebbene?

Ellida                            - Credi che non torni più? Mai? Mai più?

Wangel                          - No, cara Ellida. Puoi darti pace. Che cosa verrebbe a fare? Dopo che gli hai dichiarato in modo così fermo di non" voler più sentire parlare di lui? Non c'è da replicare, mi sembra.

Ellida                            - (perduta in una sua visione) Dunque, do­mani, o mai più.

Wangel                          - E se avesse la cattiva idea di tornare...

Ellida                            - (ansiosa) Sì?

Wangel                          - Abbiamo tanto in mano da ridurlo all'im­potenza.

Ellida                            - Che vorresti fare?

Wangel                          - Se non c'è altro mezzo, gli si farà espiare la morte del capitano.

Ellida                            - No! Questo no! Non sappiamo niente, sulla morte del capitano. Assolutamente niente.

Wangel                          - Se l'ha confessato a te?

Ellida                            - Non è vero! Se parli, nego. Non lo si deve prendere! E' una creatura libera! E' del mare, lui! Del gran mare aperto. Appartiene al mare.

Wangel                          - (la guarda e dice lentamente) Ah, Ellida, Ellida!

Ellida                            - (aggrappandosi, fervente, a lui) Caro! Aiu­tami tu, salvami dalle mani di quell'uomo.

Wangel                          - (si scioglie da lei con dolcezza) Vieni. Vieni con me. (Lyngstrand e Ilda, con le reti in mano, ven­gono da destra, costeggiando sempre lo stagno).

Lyngstrand                   - (a Ellida) Signora, signora? Accade un fatto straordinario.

Wangel                          - Che cosa?

Lyngstrand                   - Figuratevi che abbiamo visto l'ameri­cano.

Wangel                          - L'americano?

Ilda                               - Anch'io l'ho veduto, sai?

Lyngstrand                   - Era diretto alla marina. È' salito a bordo del battello inglese.

Wangel                          - Voi come fate a conoscerlo?

Lyngstrand                   - Abbiamo «traversato insieme l'oceano. Credevo che fosse annegato. E invece è più vivo che mai.

Wangel                          - Sapete qualche cosa di preciso su quell'uomo?

Lyngstrand                   - No. Ma giurerei che è tornato per ven­dicarsi della donna infedele. (Moto di Wangel).

Ellida                            - (a Wangel) Ti dirò poi. (Arnholm e Bolette vengono da destra, seguendo il sentiero).

Bolette                          - (a quelli che stanno in giardino) Venite a vedere. Il battello inglese risale il fiord. (Sì vede passare in distanza un grande battello).

Lyngstrand                   - Andrà da lei questa notte!

Ilda                               - (assentendo) Sì! Andrà dalla donna infedele.

Lyngstrand                   - A mezzanotte, ma ci pensate?

Ilda                               - Oh, mi mette un brivido! Sarà... « impressio­nante! ». (Si avviano verso il sentiero).

Ellida                            - (seguendo con gli occhi il battello) Dunque... domani.

Wangel                          - E poi... mai più.

Ellida                            - (piano, con voce tremante) Wangel, salvami da me stessa.

Wangel                          - (guardandola con angoscia) Ellida. C'è qual­che cosa di oscuro in fondo a tutto questo.

Ellida                            - In fondo, c'è la vertigine, che attrae.

Wangel                          - La vertigine?

Ellida                            - Quell'uomo è come il mare. (Attraversa il giardino lentamente, andando verso destra. E' immersa nei suoi pensieri, Wangel le viene accanto, guardandola con occhio scrutatore).

Fine del terzo atto

ATTO QUARTO

Un salotto in casa Wangel. Porta a destra. Porta a si­nistra. In fondo, tra due finestre, una porta a vetri aperta sulla terrazza. Dalla terrazza si vede il giardino. Alle prime quinte, a sinistra, un divano e un tavolino. A destra, un pianoforte; più indietro, una grande giardi­niera. In mezzo alla stanza c'è una tavola rotonda con due sedie. Al centro di questa tavola, una pianta di rose in fiore circondata da altri vasi di fiori. Mattino d'estate.

 (Bolette è seduta sul divano a sinistra e ricama. Lyngstrand è seduto dall'altra parte del tavolino, verso il fondo. In giardino, Ballested dipinge. Vicino a lui, Ilda lo guarda).

Lyngstkand                   - (coi gomiti sul tavolino, contempla per un poco in silenzio Solette intenta al lavoro) Dev'essere difficile da ricamare, quella striscia, signorina Wangel!

Bolette                          - No, affatto. Basta tracciare il disegno.

Lyncstrand                    - Disegnate voi?

Bolette                          - Traccio il ricamo, vedete?

Lyncstrand                    - (guardando) Ma è quasi arte anche questa! Dunque sapete il disegno?

Bolette                          - Se ho un modello da copiare.

Lyncstrand                    - Senza un modello, no?

Bolette                          - No. Senza modello...

Lyngstrand                   - Allora, forse, non è arte.

Bolette                          - E' più che altro abilità.

Lyncstrand                    - Credo però che voi potreste imparare un'arte. Una vera arte.

Bolette                          - Anche se non ho ingegno?

Lyncstrand                    - Che importa? Se foste sempre in com­pagnia di un vero artista...

Bolette                          - M'insegnerebbe l'arte, dite?

Lyngstrand                   - Non nel senso comune della parola. Ma a poco a poco anche voi ne sareste come impregnata. C'è del portento, ma è così.

Bolette                          - Curiosa.

Lyngstrand                   - (dopo breve pausa) Avete mai meditato - voglio dire, seriamente meditato - sul matrimonio?

Bolette                          - (guardandolo un momento) Io? No.

Lyngstrand                   - Io, invece, ho meditato.

Bolette                          - Davvero?

Lyngstrand                   - Sì. Medito molto sulle cose. E special­mente sul matrimonio. Poi ho letto moltissimo sull'argo­mento. Credo che il matrimonio abbia del prodigio. E' meraviglioso che la donna possa trasformarsi, come la, I fino al punto di somigliare al marito.

Bolette                          - Fino al punto d'interessarti alle stesse cose, volete dire?

Lyngstrand                   - Precisamente.

Bolette                          - Rimangono però sempre le attitudini na­turali - le capacità - L'ingegno.

Lyngstrand                   - Anche da questo lato...

Bolette                          - Via! Finirete col sostenere che un uomo può trasmettere a sua moglie lutto quello che ha im­parato, o che ha pensato?

Lyngstrand                   - Perché no? A poco a poco, come pei miracolo. S'intende che questo accordo non può esseri raggiunto se non dalle coppie di sposi molto unite, fedeli, veramente felici.

Bolette                          - Non avete mai pensato che un uomo possa subire nello stesso modo l'influenza della moglie? Dive­nire simile a lei?

Lyngstrand                   - Un uomo? No. Non saprei figurarmelo.

Bolette                          - Perché non accadrebbe all'uomo come alla donna?

Lyngstrand                   - Perché l'uomo ha una vocazione. Questo fatto costituisce la sua forza, il suo potere. Sì, signorina, l'uomo ha una vocazione.

Bolette                          - Tutti gli uomini?

Lyngstrand                   - Oh, no! Pensavo agli artisti.

Bolette                          - Pare a voi che un artista faccia bene a prender moglie?

Lyngstrand                   - Se ama veramente!

Bolette                          - Non vuol dire. A parer mio, l'artista dovrebbe vivere solo per la sua arte.

Lyngstrand                   - Ma può fare così anche prendendo moglie.

Bolette                          - Come? E la moglie?

Lyngstrand                   - La moglie?

Bolette                          - La moglie. A che cosa si dedicherà?

Lyncstrand                    - La moglie si dedicherà all'arte del ma­rito. Non vedo niente di meglio per la felicità di una donna.

Bolette                          - Sì?... Non saprei.

Lyngstrand                   - E' così, signorina, credete a me. Non si tratta soltanto dell'onore e della stima che si river­berano su di lei. Questa è cosa secondaria. Ma essa è chiamata ad aiutare l'artista nella sua creazione - ad age­volargli il lavoro, circondandolo di cure, facendo quanto sta in lei per appianargli la via. Che gioia, per una donna!

Bolette                          - Sapete che siete un bell'egoista?

Lyngstrand                   - Egoista, io? Come non mi conoscete! (Curvandosi verso di lei) Signorina, quando non ci sarò più, e ne ho per poco...

Bolette                          - (guardandolo compassionevolmente) Scac­ciate i pensieri tristi.

Lyngstrand                   - Non c'è nulla di triste.

Bolette                          - Come?

Lyncstrand                    - Tra un. mese, me ne vado. Lascio voi, questo è vero, ma parto per il Mezzogiorno.

Bolette                          - Ah, già. Mi dimenticavo.

Lyncstrand                    - Dunque, quando non ci sarò più, pen­serete a me qualche volta?

Bolette                          - Come no?

Lyngstrand                   - (contento) Me lo promettete?

Bolette                          - Ve Io prometto.

Lyncstrand                    - Me lo giurate, signorina Bolette?

Bolette                          - Ve lo giuro. (Cambiando tono) Ma a che ci può condurre, Dio mio, questa cosa? E' così incerto... così inutile. Non vi pare?

Lyncstrand                    - Oh, signorina Bolette! Non lo dite! Sarò tanto felice di sapere che voi siete qui, nel vostro cantuccio, e pensate a me.

Bolette                          - E dopo?

Lyncstrand                    - Dopo? Non so.

Bolette                          - E neppur io. Ci sono tanti ostacoli, in questo mondo.

Lyncstrand                    - Può anche accadere un miracolo. Che so? Un colpo di fortuna. Ho fede nella mia stella.

Bolette                          - (vibratamente) Bravo! Cosi! Abbiate fede!

Lyncstrand                    - Oh! Fede assoluta. E allora, tra qualche anno quando sarò uno scultore celebre, e mi vedranno tornare nel pieno splendore della gloria e della salute...

Bolette                          - Sì sì! Speriamo!

Lyncstrand                    - Siate sicura. Purché serbiate di me un ricordo tenero e fedele, quando sarò lontano. Me l'avete promesso!

Bolette                          - Ho promesso. (Crollando il capo) Per quanto non veda davvero che cosa potrà risultarne.

Lyncstrand                    - Eh! Signorina Bolette, ne risulterà per lo meno che il lavoro mi sarà più facile e compirò in minor tempo la mia opera.

Bolette                          - Credete?

Lyncstrand                    - Lo sento profondamente. E mi sembra che questo pensiero dovrebbe esaltare anche voi. La cer­tezza che dal vostro angolo remoto contribuite, in certo modo, alla mia creazione!

Bolette                          - Sì. Ma, e voi, da parte vostra?

Lyncstrand                    - Io?

Bolette                          - (guardando verso il giardino) Parliamo d'altro. Ecco il professore. (Arnholm compare in giar­dino, a sinistra, e si ferma a parlare con Ballested e con Ilda).

Lyncstrand                    - Dite, volete molto bene al vostro vec­chio professore?

Bolette                          - In che modo?

Lyncstrand                    - Vi chiedo se... se avete affetto per lui.

Bolette                          - Moltissimo. E' un amico prezioso. Ha sem­pre un buon consiglio da darvi. E si presta così volen­tieri!

Lyncstrand                    - Non è strano che, nella sua posizione, non sia già ammogliato?

Bolette                          - Strano? Perché, strano?

Lyncstrand                    - Lo dicono agiato.

Bolette                          - Sì, dev'essere agiato; ma non gli sarà stato facile trovare una ragazza che lo volesse sposare.

Lyncstrand                    - Oh guarda! E perché?

Bolette                          - Ha avuto per allieve, lo dice anche lui, quasi tutte le ragazze che ha conosciute. Non si sposa il proprio maestro.

Lyncstrand                    - Come? Non credete che una ragazza possa innamorarsi del suo professore?

Bolette                          - No. Quando è fatta grande.

Lyncstrand                    - Davvero? Non avrei creduto.

Bolette                          - (minacciandolo dolcemente) Via! Via! Non siate così cattivo. (Intanto Ballested ha raccolto i suoi arnesi da pittore e li porta via, da destra. Ilda lo aiuta. Arnholm sale in terrazza ed entra in salotto).

Arnholm                        - Buon giorno, cara Bolette. Buon giorno, signor, signor... Ehm. (Getta a Lyngstrand un'occhiata scontenta, e lo saluta con un freddo cenno del capo. Lyngstrand si alza e saluta. Anche Bolette si alza e va verso Arnholm).

Bolette                          - Buon giorno, professore.

Arnholm                        - Come va, stamani?

Bolette                          - Bene, grazie.

Arnholm                        - La vostra signora matrigna è al bagno, come al solito?

Bolette                          - No, è nella tua camera.

Arnholm                        - Si sente male?

Bolette                          - Non so. Si è chiusa in camera.

Arnholm                        - Come mai?

Lyncstrand                    - L'arrivo di quell'americano sembra aver molto impressionato la signora Wangel.

Arnholm                        - Che ne sapete voi?

Lyngstrand                   - Fui io a dire alla signora che avevo in­contrato quell'uomo, in carne ed ossa, dall'altra parte del giardino.

Arnholm                        - Ah!

Bolette                          - (a Arnholm) Avete vegliato tardi, iersera, voi e il babbo.

Arnholm                        - Sì, abbastanza tardi. Abbiamo avuto un colloquio molto serio.

Bolette                          - Gli avete parlato anche di me e di quello che mi riguarda?

Arnholm                        - Non ho potuto, cara Bolette. Era troppo impensierito per tutt'altra cosa.

Bolette                          - (sospirando) Sempre così.

Arnholm                        - (con un'occhiata significativa) Ma ne di­scorreremo a fondo in giornata. Dov'è il babbo? E' uscito?

Bolette                          - No. Dev'essere nel suo studio. Vado a chia­marlo.

Arnholm                        - Grazie; Non occorre. Preferisco andar io da lui.

Bolette                          - (prestando orecchio verso sinistra) Aspet­tate, mi pare scenda. Sì. Sarà andato a vedere Ellida. (Wangel entra da sinistra).

Wangel                          - (tendendo la mano ad Arnholm) Caro amico, già qui? Siete stato molto gentile a venire così presto. Devo appunto parlarvi.

Solette                           - (a Lyngstrand) Volete che andiamo da Ilda, in giardino?

Lyngstrand                   - Felicissimo, signorina. (Bolette e Lyng­strand scendono in giardino e si dirigono verso il bo­schetto).

Arnholm                        - (che li ha seguiti con gli occhi, a Wangel) Lo conoscete bene, quel giovanotto?

Wangel                          - Così.

Arnholm                        - Non trovate che è troppo in confidenza con le ragazze?

Wangel                          - Non me n'ero accorto.

Arnholm                        - Bisognerebbe badarci, credo.

Wangel                          - Avete ragione - ma che volete! Le ragazze sono così avvezze a fare di loro testa. Non si lasciano guidare né da me, né da Ellida.

Arnholm                        - Neppure da vostra moglie?

Wangel                          - No. D'altra parte, non posso esigere che Ellida si occupi delle figliole. Non sono cose per lei. (S'interrompe) Ma non è dì questo che dobbiamo discorrere... Sentite - avete riflettuto a quello che vi ho detto?

Arnholm                        - Non ho pensato ad altro, dacché ci siamo lasciati.

Wangel                          - E, a parer vostro, che cosa mi resta da fare?

Arnholm                        - Caro dottore, credo che, in qualità di medico, dobbiate saperlo meglio di me.

Wancel                          - Sapeste com'è difficile, per un medico, giudicare con sicurezza il caso di un ammalato che gli è infinitamente caro! E notate che non si tratta di una malattia comune. E un medico non può far molto. E nep­pure servono i soliti rimedi.

Arnholm                        - Stamani, come si sente?

Wangel                          - Sono andato adesso a vederla: sembra cal­missima. Ma qualunque sia il suo stato, c'è sempre in lei un substrato di mistero che non riesco a penetrare. E per di più, è così mutevole! Va soggetta a subiti rivol­gimenti. Delude ogni previsione.

Arnholm                        - Questo si può spiegare colla disposizione d'animo in cui si trova?

Wangel                          - Anche. Ma, per essere esatti, bisogna rico­noscere che questa mutabilità, in Ellida, è innata. Ellida è della sua razza; gente di mare, capite? Con questo, abbiamo detto tutto.

Arnholm                        - Che significa, caro dottore?

Wangel                          - Non avete mai notato che la gente di laggiù, delle coste oceaniche, forma in certo modo una razza a parte? E' come se la vita di quegli esseri comunicasse con quella del mare. I loro pensieri e le loro sensazioni, in perpetuo ondeggiamento, risentono della marea. E non si lasciano trapiantare! Avrei dovuto pen­sarci. Fu un vero delitto verso Ellida strapparla al suo elemento per condurla qui.

Arnholm                        - Che sia proprio questo?

Wangel                          - Me ne persuado sempre più. Ma avrei dovuto riconoscerlo prima; in fondo, lo sapevo, e non volevo confessarlo a me stesso. Vedete, Arnholm, l'a­mavo troppo. E non pensavo che a me. Ero egoista.

Arnholm                        - Dov'è l'uomo che non pecca un po' d'e­goismo, in casi come il vostro? Mettetevi l'animo in pace, caro dottore, non ho mai avvertito questo Iato egoistico nel vostro carattere.

Wangel                          - (va e viene inquieto) Sono stato egoista, sì! Allora, e sempre. Ho tanti più anni di Ellida. Avrei dovuto essere per lei come un padre, e guidarla. Avrei dovuto fare quanto stava in me per sviluppare e chiarire le sue idee. E purtroppo non ho fatto nulla. Ho mancato d'energia. Preferivo tenermela com'era. E intanto si andava di male in peggio, ero ridotto a non saper più che cosa risolvere. (Abbassando la voce) Trovandomi così perplesso, scoraggiato, scrissi a voi per pregarvi di venire.

Arnholm                        - (guardandolo con sorpresa) Come? Mi avete scritto per questo?

Wangel                          - Sì. Ma fate finta di ignorarlo.

Arnholm                        - Caro dottore! E che aiuto aspettavate da me?

Wangel                          - Ero su una falsa traccia. Ecco: credevo che Ellida vi avesse voluto bene... e serbasse memoria dell'antico sentimento. Avreste parlato insieme di quei tempi, della sua vecchia casa. E questo l'avrebbe con­fortata.

Arnholm -------------- - Quando mi scrivevate, misteriosamente,   che ero aspettato - che forge qualcuno, qui, pensava a mi - alludevate a vostra moglie?

Wangel                          - Chi credevate?

Arnholm                        - (ruvidamente) Nessuno. Soltanto, non avevo capito.

Wangel                          - Naturale. Era una falsa traccia.

Arnholm                        - E dite d'essere egoista?

Wangel                          - Mi sentivo così colpevole! Non mi rico­noscevo il diritto di trascurare un modo, qualunque fosse, di sollevarla un poco.

Arnholm                        - Come spiegate il potere che quell'uomo esercita su Ellida?

Wangel -                       - Caro amico. Ci dev'essere qualche cosa che non possiamo conoscere.

Arnholm                        - Qualche cosa di oscuro, volete dire?

Wangel                          - Sì. D'inesplicabile. Almeno, sino a prova contraria.

Arnholm                        - Credete a queste cose, voi?

Wangel                          - Non dico né sì né no. Ignoro: ecco tutto. Per conseguenza non mi pronuncio.

Arnholm                        - Ma vediamo un po': quello che Ellida dice degli occhi del piccino... quest'asserzione strana, che ripugna a credere?

Wangel                          - (vibratamente) In quanto a questo, non credo! Non voglio credere! E' pura e semplice imma­ginazione. Non può esser altro.

Arnholm                        - Avete osservato gli occhi di quell'uomo, ieri?

Wangel                          - Certamente.

Arnholm                        - Non rassomigliano?...

Wangel                          - (turbato) Oh, Dio, come posso affermare? Era già buio, e poi Ellida mi aveva tanto parlato di questa rassomiglianza! Non ero davvero in grado di giudicare serenamente.

Arnholm                        - Ma l'altro mistero? L'angoscia che Ellida cominciò a risentire, precisamente verso l'epoca in cui l'uomo afferma di aver fatto vela per la Norvegia?

Wangel                          - Anche questa! Altra cosa che avrà sognata, e sulla quale la fantasia ricama da ieri l'altro. Quest'an­goscia non è sorta a un tratto, come Ellida vuol dire. Dopo che quel giovane, Lyngstrand, le ha parlato del suo incontro tre anni fa con Johnston o Friman - poco importa il nome - che tornava allora in Norvegia, Ellida, turbata dal racconto, si è messa in mente che i primi accenni del suo male risalgono a quel tempo.

Arnholm                        - E non sarebbe vero, secondo voi?

Wangel                          - No. Vi furono sintomi molto prima di quell'epoca. C'è di esatto solo questo: che, tre anni fa, i sintomi si sono risolti in una crisi violenta.

Arnholm                        - Però!

Wangel                          - Questo si spiega semplicemente con lo stato anormale in cui Ellida si trovava allora.

Arnholm                        - E così, un fatto dice, l'altro disdice.

Wangel                          - (torcendosi le mani) E intanto, io, non posso darle nessun aiuto! Non so che fare, non vedo nessuna uscita.

Arnholm                        - Decidete di cambiare ambiente! Andate a stare in un altro paese. Fatele fare una vita più consen­tanea alla sua natura.

Wangel                          - Caro amico, credete non gliel'abbia offerto? Le ho proposto di andare a stabilirci a Skioldviken. Non vuole.

Arnholm                        - Non vuole?

Wangel                          - Dice che sarebbe inutile, e forse ha ragione,

Arnholm                        - Ehm.

Wangel                          - E poi, tutto ben sommato... A dire il vero, non so in che modo condurre a termine questo disegno. Come padre, ho io diritto di farlo? Le ragazze non devono stare in un paese dove si possa avere almeno qualche probabilità di collocarle?

Arnholm                        - Collocarle? Ci pensate già?

Wangel                          - Bisogna pure. Sì, ma d'altra parte, devo pensare alla mia povera Ellida. Ah, caro Arnholm, sono tra l'incudine e il martello.

Abnholm                       - Non credo ci sia da impensierirsi per la lorte di Bolette. (S'interrompe) Sarei curioso di sapere dove... dove sono andati... (Va verso la porta aperta e guarda fuori).

Wangel                          - (vicino al pianoforte) Sono disposto a qua­lunque sacrificio, per le mie tre care. Se sapessi che còsa fare? (EUida entra dalla porta di sinistra).

Ellida                            - (concitata, a Wangel) Non uscire stamani, ti prego.

Wangel                          - No no, figurati! Rimarrò con te. (Indicando Arnholm che si avvicina) Non vedi chi c'è, Ellida?

Ellida                            - (voltandosi) Siete qui, signor Arnholm? Buongiorno.

Arnholm                        - Buongiorno, signora. Come mai oggi non fate il solito bagno?

Ellida                            - No: oggi no. Ma accomodatevi un momento.

Arnholm                        - Grazie. (Dà un'occhiata a Wangel) Ho promesso alle ragazze di andarle a raggiungere in giar­dino.

Ellida                            - Siete sicuro di trovarle? Io non so mai dove siano.

Wangel                          - Devono essere in riva allo stagno.

Arnholm                        - State tranquilla. Le troverò. (Saluta con un cenno del capo e passa dalla terrazza per scendere in giardino. Scompare a destra).

Ellida                            - Che ore sono, Wangel?

Wangel                          - (guardando l'orologio) Più delle undici.

Ellida                            - Più delle undici? E stanotte, tra le undici e mezzanotte, il battello sarà qui. Ah, fesse già finita!

Wangel                          - (riavvicinandosi a lei) Ellida, mia cara Ellida, vorrei chiederti una cosa.

Ellida                            - Che cosa? Di'!

Wangel                          - Quell'uomo... L'altra sera, quando ne par­lammo - al « Belve­dere » - mi dicevi che, da tre anni, ti accade spesso di vedertelo comparire innanzi, distinta­mente.

Ellida                            - Sì, Wangel.

Wancel                          - E come lo vedi, dimmi, Ellida?

Ellida                            - Come lo vedo?

Wangel                          - Vorrei sapere che apparenza assume nel punto stesso in cui credi di scorgerlo.

Ellida                            - Ma, caro WangeL l'hai visto anche tu. Ora lo conosci.

Wangel                          - La tua immaginazione te lo foggiava così?

Ellida                            - Sì, Wangel.

Wangel                          - Tal quale ci è apparso ieri sera?

Ellida                            - Tal quale.

Wangel                          - Spiegami allora com'è andata che non l'hai riconosciuto subito.

Ellida                            - (sorpresa) Non l'ho riconosciuto, io?

Wangel                          - No, Ellida. Mi hai detto che, sulle prime, non sapevi chi fosse quel forestiero.

Ellida                            - (colpita) Infatti! E' così! Hai ragione tu. Ma non è strano, Wangel? Pensare che non l'ho ricono­sciuto subito!

Wangel                          - Fu solo vedendo i suoi occhi?...

Ellida                            - Gli occhi - sì - gli occhi!

Wangel                          - Ora - tu mi hai detto ier l'altro, al « Belve­dere » - che lo rivedevi sempre nell'identico aspetto di quando vi diceste addio. E sono già dieci anni,

Ellida                            - Così, ho detto?

Wangel                          - Così.

Ellida                            - Sarà perché da quel giorno non avrà cam­biato.

Wangel                          - Eppur ier l'altro, tornando a casa, me lo avevi descritto molto diverso. Dieci anni fa era sbar­bato. Vestiva in un altro modo. E lo spillo con la perla? Non gliel'ho visto.

Ellida                            - No. Non aveva lo spillo, ieri.

Wangel                          - (scrutandola profondamente) Cerca di ri­cordare, Ellida. Oppure - potrebbe darsi!  - rammenteresti male il volto che quell'uomo aveva, al promontorio di Bratthammer?

Ellida                            - (riflette un momento, ad occhi chiusi) Non vedo distintamente. No, oggi non posso. E' strano.

Wangel                          - Non tanto strano. Hai avuto una nuova im­pressione, e questa, reale. L'antica dilegua, cancellata.

Ellida                            - Pare a te, Wangel?

Wangel                          - E con quella, se ne vanno le tue fantasie morbose. Credi, è bene che la realtà sia venuta a dissi­pare il sogno.

Ellida                            - Come? E' bene! Puoi dire che è bene!

Wangel                          - Sì. Abbiamo trovato, forse, il rimedio per il tuo male.

Ellida                            - (sedendo sul divano) Siedi anche tu, Wangel. Voglio dirti tutto quello che penso.

Wangel                          - Cara Ellida, ti sto a sentire. (Siede dall'altra parte della tavola).

Ellìda                            - E' stata una grande sventura - per te e per me - incontrarci.

Wangel                          - (trasalendo) Che cosa dici?

Ellida                            - La verità. E infatti! Come poteva essere diversamente, in simili condizioni?

Wangel                          - Di quali condizioni parli?

Ellida                            - Senti, Wangel - l'ora è così grave, che sarebbe inutile sviarci ancora con menzogne.

Wangel                          - Abbiamo mentito, noi? Fino ad oggi?

Ellida                            - Sì. O almeno, ci siamo nascosta, l'uno all'altro, la verità. La verità - nuda e schietta, senza dei veli - sta in questo: che tu sei venuto laggiù per un con­tratto...

Wangel                          - Un contratto! Lo chiami... un contratto!

Ellida                            - Oh, non mi credo, sai, migliore di te. Ho detto di sì. Mi sono venduta.

Wangel                          - (la guarda con dolore) Ellida, come hai cuore di parlare così?

Ellida                            - Come vuoi che parli? La solitudine ti era di peso, ti sei cercato una donna.

Wangel                          - Ho cercato una seconda madre per le bam­bine, Ellida.

Ellida                            - Sì, per di più. Forse. E se vogliamo, non potevi neppur sapere s'io fossi adatta a fare loro da madre. Mi avevi veduta. Mi avevi parlato due o tre volte. Niente di più. Ma ti piacevo, e così...

Wangel                          - Prendila come vuoi.

Ellida                            - Dal canto mio, ero sola, senza mezzi, senza un appoggio. Non c'è da stupire sé ho accettato la pro­posta che mi facevi di assicurare il mio avvenire.

Wangel                          - No davvero. Non l'ho veduta così, cara El­lida. Non ho inteso di assicurare il tuo avvenire: ho inteso, e te lo ho dichiarato lealmente, che tu avessi a dividere con le bambine e con me quel poco che possiedo.

Ellida                            - Sì, me l'hai detto. E io, avrei dovuto rispon­dere: no. A qualunque costo, mai, capisci, mai, avrei dovuto vendermi. Meglio il più umile lavoro, il più mi­sero stato, ma voluto liberamente, scelto in piena li­bertà.

Wancel                          - (si alza) E così sei anni di vita vissuta in­sieme, non contano, per te?

Ellida                            - No, Wangel. Non voglio dir questo. Mi hai creato un'esistenza così dolce, tu! come non si può chiedere di più. Ciò non toglie che io sia venuta nella tua casa senza un proposito deliberato di venirci. Tutto è qui.

Wangel                          - (la guarda) Non sei venuta di tuo pro­posito?

Ellida                            - No, non fui libera nel decidere.

Wangel                          - (con voce soffocata) Ecco - la prova di ieri.

Ellida                            - E' stata una prova significante. Mi ha aperto gli occhi e vedo le cose come sono.

Wangel                          - Che cosa vedi?

Ellida                            - Wangel - in fondo - la vita comune che con­duciamo, non è un matrimonio.

Wangel                          - (amaro) In questo, hai ragione tu. La vita comune che conduciamo oggi, non è un matrimonio.

Ellida                            - Non era neppure quella di prima. Non è mai stata, fino dal primo giorno. (Con sguardo vago) L'altro... sì, l'altro avrebbe potuto essere... un matrimonio in tutta la pienezza, in tutta la libertà.

Wancel                          - L'altro? Di quale parli?

Ellida                            - Parlo della mia vita con lui.

Wangel                          - (la guarda, stupito) Non ti capisco.

Ellida                            - Oh, caro Wangel, facciamo di non illuderci ancora; non ci inganniamo con le solite menzogne.

Wangel                          - Seguita pure. Dove miri?

Ellida                            - Vedi, potremo fare, fare, e non riusciremo a persuadere noi stessi che un impegno assunto con li­bera volontà non valga come e quanto un'unione legale.

Wancel                          - Ah, così?

Ellida                            - (si alza, con moto improvviso) Lasciami an­dare, Wangel!

Wangel                          - Ellida!... Ellida!...

Ellida                            - Sì, lasciami andare! Anche se rimanessi, le cose non cambierebbero, dato il modo della nostra unione.

Wangel                          - (padroneggiando il dolore) Siamo a tanto.

Ellida                            - Era inevitabile.

Wangel                          - (la guarda, abbattuto, oppresso) E così, non ho mai potuto conquistarti. Non sei mai stata intera­mente mia.

Ellida                            - Wangel! Se potessi amarti, come io vorrei amare! con tutta la tenerezza! e tu lo meriti. Ma sento che non potrò mai.

Wancel                          - Sarà, dunque, il divorzio? Il divorzio, vuoi? Un divorzio in tutta regola?

 Ellida                           - Mi comprendi male, Wangel! Mi curo molto della regola, io. Qui non si tratta di forme. Voglio che tu e io ci mettiamo d'accordo per infrangere il vincolo che ci unisce.

Wancel                          - (amaro, crollando lentamente il capo) Sì, per rompere, come dicevi? il contratto.

Ellida                            - (con vivacità) Precisamente. Per rompere il contratto.

Wangel                          - Ellida, e poi? Quando avremo rotto? A che ne saremo, tutti e due? Come vivremo, tu ed io? Ci hai pensato?

Ellida                            - No. Sia quello che il destino vuole. C'è altro, Wangel! e questo deve passare innanzi a tutto. Te ne supplico. Ridammi la libertà, l'assoluta libertà.

Wangel                          - Ellida, tu esigi da me una cosa terribile. Lasciami almeno tempo di pensare, di risolvere... E' ne­cessario riparlarne. Anche tu, devi aver tempo di riflet­tere, prima di decidere.

Ellida                            - Il tempo manca, per riflettere. Devo esser libera entro oggi.

Wangel                          - Entro oggi? E perché?

Ellida                            - Lo sai. Questa notte, egli verrà.

Wancel                          - (trasalendo) Egli verrà? Ma Ellida! Che c'entra con noi quell'estraneo?

Ellida                            - Prima di rivederlo, voglio essere libera.

Wangel                          - E in seguito, che intendi fare?

Ellida                            - Non voglio che la barriera del matrimonio mi ripari. Non voglio poter obiettare che non v'è scelta, per me. Non sarebbe una soluzione.

Wangel                          - Parli di scelta, Ellida? Di scelta? Sarebbe il caso, secondo te, di scegliere?

Ellida                            - Sì, devo essere in grado di scegliere, Sce­gliere tra due vie: lasciarlo partire solo, o seguirlo.

Wangel                          - Ellida, ma che cosa dici? Seguirlo! Affi­dargli la tua sorte! A lui! Nelle sue mani!

Ellida                            - L'ho pure affidata a te. Così. Senz'altro. Un bel giorno.

Wangel                          - D'accordo. Ma pensa almeno chi è quel­l'uomo! Uno straniero. Uno sconosciuto.

Ellida                            - E tu, non eri uno sconosciuto, per me? Fors'anche più di lui. E questo non mi ha impedito di seguirti.

Wancel                          - Sapevi almeno, a un dipresso, come ti tro­veresti, ma con lui? Rifletti. Non sai niente di niente. Non sai neppure chi è, ne « che cosa è ».

Ellida                            - (lentamente, con occhi sperduti) Ecco la cosa spaventevole.

Wancel                          - Sì, è spaventevole.

Ellida                            - Mi sembra di aver ricevuto un comando: andare - avanti - incontro.

Wancel                          - (la guarda) E questo, perché ne hai ter­rore ?

Ellida                            - Sì.

Wangel                          - (avvicinandosi a lei) Dimmi, Ellida, quale è, per te, «la cosa spaventevole»?

Ellida                            - (riflette) « La cosa spaventevole »? Tutto quello che fa paura e che attrae.

Wangel                          - (lentamente) Sei una figlia del mare.

Ellida                            - Ne porto in me gli spaventi.

Wangel                          - E li propaghi. Anche tu, Ellida, spaventi e incanti ad un tempo.

Ellida                            - Trovi, Wangel?

Wangel                          - Sì. Non ti conoscevo. Comincio a capire anche questo.

Ellida                            - E allora, ridammi la libertà! Scioglimi da tutto quello che ci unisce, Wangel! Non sono la donna the credevi, lo riconosci anche tu. Possiamo dunque sepa­rarci con chiara coscienza, e in assoluta libertà

Wangel                          - (penosamente) Forse sarebbe meglio, per tutti e due. Eppure... no! Non posso! Anche in te, Ellida, c'è un fascino che vince lo spavento.

Ellida                            - Trovi?

Wangel                          - Lasciamo che la giornata passi così, vuoi? E serbiamo intera la facoltà di giudicare senza lasciarci turbare da nulla. Non posso dirti oggi: sei libera. Non ho diritto di farlo. Ho degli obblighi anche verso di te. Devo difenderti. E' insieme un diritto e un dovere.

Ellida                            - Difendermi? E contro chi? Nessuna forza esteriore si leva contro di me. Nulla mi minaccia dal di fuori. Lo spavento, Wangel, è di natura più profonda. Sai perché è spaventevole la potenza che mi attrae? Perché la porto in me. Che puoi, tu, contro di questo?

Wangel                          - Posso darti forza per la lotta.

Ellida                            - E se non voglio lottare?

Wancel                          - Come! Non vorresti?

Ellida                            - Non so, Wangel, non so.

Wangel                          - Questa notte, cara Ellida, tutto sarà risolto.

Ellida                            - (prorompendo) Pensa! Tra qualche ora, si decide la mia vita.

Wangel                          - E domani?

Ellida                            - Domani, forse, il mio vero avvenire sarà distrutto per sempre.

Wancel                          - Il tuo vero?...

Ellida                            - Distrutta la grande vita libera e possente distrutta per me. E forse anche per lui.

Wancel                          - (l'afferra per il polso e, abbassando la voce) Ellida! dimmi - quell'uomo - lo ami?

Ellida                            - Che ne so, io? Quell'uomo è, per me, il terrore, e...

Wangel                                    - E?...

Ellida                            - (sciogliendosi, con moto improvviso) E credo che il mio posto sia accanto a lui.

Wangel                          - (chinando il capo) Vedo in te, finalmente.

Ellida                            - E che cosa puoi, contro di questo?

Wangel                          - (guardandola con tristezza) Domani... quell'uomo sarà partito. La sventura sarà stornata dal tuo capo. Allora acconsentirò. Sarai libera, Ellida.

Ellida                            - Ah, Wangel, domani sarà troppo tardi.

Wangel                          - (guardando verso il giardino) Le bambine! Ecco le bambine. Facciamo che non s'avvedano di niente, Ellida. Almeno, per oggi. (Si vedono Arnholm, Bolette, Ilda e Lyngstrand, in giardino. Lyngstrand si accomiata t va via da destra. Arnholm, Bolette e Ilda, salgono ed entrimi) in salotto).

Aknholm                       - Magnifico. Possiamo dire d'averne pen­iate, eh?

Ilda                               - Stasera si va in barca sul fiord. E dopo...

Bolette                          - Zitta. Non si racconta.

Wancel                          - Anche noi abbiamo il nostro segreto.

Arnholm                        - Un segreto?

Wangel                          - Ve lo dico subito. Domani Ellida parte per Skioldvikem, dove si tratterrà qualche mese.

Bolette                          - Parte?

Arnholm                        - Brava, signora Wangel. E' un'ottima idea.

Wangel                          - Ellida vuol rivedere i suoi paesi, il suo mare.

Ilda                               - (slanciandosi incontro a Ellida) Te ne vai? Te ne vai?

Ellida                            - (sgomenta) Ilda!... Che cosa ti prende, ora?

Ilda                               - (si frena) Niente. (A mezza voce, staccandosi da lei) E va' pure!

Bolette                          - (ansiosamente) Babbo, te lo leggo in faccia, parti anche tu per Skioldviken?

Wangel                          - Che idea. Andrò di tanto in tanto.

Bolette                          - E dopo Skioldviken, verrai qui?

Wangel                          - Verrò qui, certo.

Bolette                          - Di tanto in tanto, eh?

Wangel                          - Care piccine, è necessario. (Attraversa la stanza).

Arnholm                        - (piano) Dobbiamo discorrere, Bolette. Più tardi. (Raggiunge Wangel, parlano a bassa voce, vicino alla porta).

Ellida                            - (a mezza voce, a Bolette) Mi dici che cosa le ha preso a Ilda? Aveva un visuecìo smarrito...

Bolette                          - Dunque, non hai notato come si strugge?

Ellida                            - Si strugge, Ilda?

Bolette                          - Continuamente. Da quando sei venuta tu.

Ellida                            - Da quando sono?... E perché si strugge?

Bolette                          - Dal desiderio che tu le dica una parola di tenerezza.

Ellida                            - Ah!... Potrei essere qualche cosa, io, qui? (Si prende il capo tra le mani e rimane immobile, come agitata intimamente da pensieri e da impulsi che lottano dentro di lei. Wangel e Arnholm attraversano la stanza e si avvicinano discorrendo a bassa voce. Bolette va a dare un'occhiata alla stanza di destra: apre la porta).

Bolette                          - Il pranzo è in tavola. Babbo? se vuoi?

Wangel                          - (con calma forzata) Il pranzo è in tavola? E andiamo a pranzo. Caro professore, passate, vi prego. Ellida? Ragazze? Faremo un brindisi di addio alla sa­lute della « Donna del mare ». (Escono da destra).

Fine del quarto atto

ATTO QUINTO

La scena è la stessa del terzo atto.

 (Arnholm, Bolette, Lyngstrand e Ilda sono in barca e remano verso destra, lungo la sponda dello stagno).

Ilda                               - Guardate. Possiamo benissimo sbarcare qui.

Arnholm                        - No! Non saltate!

Lyngstrand                   - Signorina, per carità. Io non so saltare.

Ilda                               - E voi, Arnholm? Sapete saltare, voi?

Arnholm                        - Preferisco non cimentarmi.

Bolette                          - Allora, approdiamo alla scalinata dello Sta­bilimento. (Continuano a remare verso destra. Ballested viene da destra, seguendo il sentiero. Ha sotto il braccio un corno da caccia e delle carte da musica. Si volta verso i rematori e parla con essi. Si sentono le risposte allon­tanarsi sempre più).

Ballested                       - Dicevate? Sì, suoniamo in onore del bat­tello inglese che è al suo ultimo viaggio di quest'anno. Ma se volete sentire la fanfara, bisogna far presto! (Gri­dando) Come dite? (Scuotendo il capo) Non sento! (Ellida, col capo ravvolto in uno scialle, viene da sinistra se­guita da Wangel).

Wancel                          - Cara Ellida, ti assicuro che c'è tempo.

Ellida                            - No, può venire da un momento all'altro.

Ballested                       - (dietro il muricciolo) Buona sera, dottore. Buona sera, signora Wangel.

Wancel                          - (scorgendolo) Voi, Ballested? C'è ancora musica, stasera?

Ballested                       - Sentirete la mia fanfara! Eh, non man­cano certo le occasioni, in questa stagione. Stasera si fe­steggia il battello inglese.

Ellida                            - Il battello inglese? E' in vista?

Ballested                       - Non ancora. Ma viene dall'interno e le colline lo nascondono. Ci sarà addosso, prima che s'abbia tempo di dire ahi.

Ellida                            - Sì, sì.

Wangel                          - (con un impercettibile moto verso Ellida) Oggi è il suo ultimo viaggio. Non tornerà più.

Ballested                       - Caro dottore. Per settimane e per mesi, abbiamo festeggiato la bella stagione. Ci parrà duro, tra poco, rassegnarci all'oscurità! Almeno sulle prime. Perché, bisogna pur finire con l'accli-acclima-tarsi, non è così, signora Wangel? Basta. Buona sera. (Saluta e va via da destra).

Ellida                            - (con gli occhi fissi sul fiord) Oh, quest'at­tesa penosa! Questi ultimi momenti che precedono la fine!

Wangel                          - Hai deciso? Vuoi parlargli da sola?

Ellida                            - E' necessario. Bisogna che la mia scelta sia libera.

Wangel                          - Non vi è scelta per te, Ellida, non hai di­ritto di scegliere. Non te lo permetto.

Ellida                            - Non puoi impedirmelo. Nessuno ha questo potere. Puoi proibirmi di seguirlo, lui, puoi trattenermi per forza contro la mia volontà. Sì, questo lo puoi fare. Ma non puoi impedirmi di scegliere nel profondo della mia anima, e scegliere lui, non te - se sento così, Wangel.

Wangel                          - Hai ragione. Questo non è in mio potere.

Ellida                            - E poi... Io non ho nulla che mi trattenga qui. Nulla che mi leghi. Non ho messo radici nella tua casa, Wangel. Le tue figliuole non sono mie, perché i loro cuori non mi appartengono, non mi hanno mai ap­partenuto. Partendo, se parto, sia per seguirlo questa notte, sia per tornare domani a Skioldviken, non ho una chiave da deporre, un'istruzione da lasciare. A questo punto, Wangel! Qui sono come una pianta sradicata. Ho vissuto isolata e inerte, fin dal primo giorno.

Wangel                          - Ellida! L'hai voluto tu.

Ellida                            - No. Non l'ho voluto. Non ho voluto né questo, né quello. Ho semplicemente lasciato tutto come avevo trovato. Tu, tu solo, hai voluto così.

Wancel                          - Fu per affettuoso riguardo, perché nulla ti fosse di peso.

Ellida                            - Lo So, Wangel. Ma si scontano, queste cose. Le cose si vendicano di noi. Nell'ora decisiva, non trovo qui né legami, né appoggi, né aiuto. Dov'è l'intimo tesoro, il mondo creato da noi, dal quale non dovrei po­termi separare?

Wancel                          - Ellida, quello che dici è vero. E per questo, domani sarai libera. Potrai, da domani, vivere la tua vita.

Ellida                            - E la chiami la mia vita! Oh no! La mia I vita, la mia vera vita, ha deviato dal suo corso il giorno t in cui ho acconsentito a dividere con te la tua. (Si torce | le mani con ansia) E stasera - tra mezz'ora - verrà l'uomo che ho tradito, e al quale avrei dovuto essere incrolla­bilmente fedele, come lo è stato lui a me. Verrà a co­mandarmi, per l'ultima volta, di vivere la vita che è mia - la vita che spaventa e che attrae - alla quale non posso rinunciare, almeno di mia volontà.

Wancel                          - Tanto più deve tuo marito, che è anche il tuo medico, toglierti il modo di agire, e agire in vece tua,

Ellida                            - Sì, Wangel, ne convengo. Credi, in certi mo­menti, sembra anche a me che dovrei trovare la pace e la salvezza attaccandomi a te con tutte le mie forze, e che soltanto così potrei sfidare le potenze oscure che chiamano e respingono. Ma neppur questo è possibile, No. Non posso.

Wangel                          - Vieni, Ellida. Passeggiamo un poco.

Ellida                            - Vorrei, ma non oso. Mi ha detto di aspet­tarlo qui.

Wancel                          - Vieni, vieni, c'è tempo.

Ellida                            - Credi?

Wangel                          - Sì, cara.

Ellida                            - Allora, sto ancora un momento con te, (Vanno via dalle prime quinte di destra. Nello stesso tempo Arnholm e Bolette vengono dal Fondo contagiando lo stagno).

Bolette                          - (notando il padre con Ellida) Eccoli!

Arnholm                        - Non disturbiamoli.

Bolette                          - Vorrei sapere che cos'hanno da qualche giorno.

Arnholm                        - Avete notato qualche cosa?

Bolette                          - Se ho notato!

Arnholm                        - Qualche cosa d'insolito?

Bolette                          - Sì e no. Voi, non vedete?

Arnholm                        - Non saprei...

Bolette                          - Anche voi vedete! Ma non volete parlar».

Arnholm                        - Credo che quel viaggetto gioverà alla vostra matrigna.

Bolette                          - Credete proprio?

Arnholm                        - Sono persuaso che una breve assenza farà bene a tutti e due.

Bolette                          - Se parte domani per Skioldviken, Ellida non tornerà mai più da noi.

Arnholm                        - Via, cara Bolette! Che cosa vi viene in mente?

Bolette                          - Ne sono assolutamente convinta. Vedrete! Non torna più. In ogni caso, non tornerà fino a che ci saremo Ilda e io.

Arnholm                        - Anche Ilda?

Bolette                          - Con Ilda, potrebbe andare. Ilda è quasi una bambina. E poi, credo che in fondo sia innamorata di Ellida. Con me, è un'altra cosa. Una matrigna che ha press'a poco la mia età!

Arnholm                        - Cara Bolette, potrebbe darsi che voi lasciaste presto il paese?

Bolette                          - (animandosi) Davvero? Avete parlato al babbo?

Arnholm                        - Ho anche parlato col babbo.

Bolette                          - E che cosa ha detto?

Arnholm                        - Il babbo ha così gravi pensieri, da qual­che giorno...

Bolette                          - Sì. Lo stavo dicendo.

Arnholm                        - So una cosa sola: ed è, che non dovete contare sul suo aiuto.

Bolette                                     - Ah!

Arnholm                        - Mi ha esposto molto chiaramente la sua posizione. Non può far nulla per voi, mancandogliene i mezzi.

Bolette                          - (con rimprovero) Signor Arnholm! e avete avuto cuore di lusingarmi così?

Arnholm                        - Non vi ho lusingata, cara Bolette. Adesso ria in voi.

Bolette                          - Che cosa sta in me?

Arnholm                        - Conoscere il mondo. Imparare tutto quello che vi interessa. Prendere parte alla vita sulla quale             - (masticate dal vostro angolo perduto. Avere, infine, un'esistenza più luminosa. Che ne dite, Bolette?

Bolette                          - (giungendo le mani) Oh Dio, che cosa ne dico? Ma tutto questo rimane un sogno, dal momento che babbo non vuole e non può. Non ho altri a cui ri­volgermi.

Arnholm                        - E se una mano amica vi venisse tesa? Quella del vostro vecch... del vostro antico precettore? La respingereste?

Bolette                          - Voi, signor Arnholm? Voi vorreste?...

Arnholm                        - Assistervi con tutto il cuore. Potete di­sporre di me. Accettate, dite?

Bolette                          - Se accetto?... Andarmene via di qui! Cono­scere il mondo! Imparare! Quella che fino ad oggi mi era parsa una grande e meravigliosa impossibilità?

Arnholm                        - Può trasformarsi in una realtà molto sem­plice. Vi ripeto che sta in voi.

Bolette                          - Come? Mi aiutereste a raggiungere questa felicità inaudita? Ma posso poi accettare un simile sacri­ficio da un estraneo?

Arnholm                        - Potete accettare tutto da me, Bolette.  fiitto.

Bolette                          - (gli prende le mani) Sì, credo di sì. Non so che cosa ho, ma... (Prorompendo) Ah! Vorrei ridere e piangere di gioia!

Arnholm                        - Cara Bolette. Adesso bisogna dirmi molto sinceramente se non c'è nulla, nulla, che vi trattenga qui.

Bolette                          - Che mi trattenga? No, non mi pare.

Arnholm                        - Assolutamente nulla?

Bolette                          - Assolutamente nulla. Cioè, ci sono mio padre e Oda. Ma...

Arnholm                        - Sarete pur costretta, un giorno, a lasciare vostro padre? In quanto a Ilda, seguirà il suo destino anche lei. E' affar di tempo. Dunque, Bolette, voi non sapete d'avere qui altri legami, altri affetti...

Bolette                          - Se stesse in me, potrei partire quando voglio.

Arnholm                        - In tal caso, cara Bolette, non potremmo partire insieme?... Giacche suppongo che voi avrete piena fiducia in me?

Bolette                          - Se ho fiducia in voi!

Arnholm                        - E non esitereste ad affidarmi interamente il vostro avvenire? Vero, Bolette?

Bolette                          - E potete dubitarne? A voi, al mio antico maestro?

Arnholm                        - Ehm. Non si tratta solo di questo. Anzi, è il lato minimo della questione - Mia... vediamo: siete libera, dite; non affetti, non legami; vi chiedo dunque se acconsentite a contrarne uno con me, per la vita.

Bolette                          - (indietreggiando, sgomenta) Eh?...

Arnholm                        - Sì, Bolette. Per la vita. In una parola: sareste disposta a sposarmi?

Bolette                          - (a mezza voce, a sé stessa) No! E' impos­sibile. In nessun modo.

Arnholm                        - Veramente?... Vi sarebbe proprio impos­sibile di?...

Bolette                          - Scusate, signor Arnholm. Non dite mica sul serio? (Guardandolo) Eppure... se... Ma allora, vole­vate dire questo, dianzi?

Arnholm                        - State a sentire, Bolette. Vedo che le mie parole vi hanno molto sorpresa.

Bolette                          - Come volete che non mi abbiano sorpresa?

Arnholm                        - Infatti. Tanto più che voi non sapevate... non potevate sapere... ecco - che io ero venuto qui per voi.

Bolette                          - Per me?

Arnholm                        - Questa primavera, ebbi una lettera di vostro padre; alcune frasi della lettera mi fecero credere che... che voi aveste serbato, del vostro antico maestro, un ricordo... un ricordo... in cui ci fosse più che dell'a­micizia.

Bolette                          - Come ha potuto, babbo, scrivervi una cosa simile?

Arnholm                        - Il babbo non intendeva dir questo. Avevo capito male. Ciò non toglie che io abbia vissuto, da quel giorno, col pensiero che una cara giovinetta mi aspettava, pensando a me... Lasciatemi parlare, Bolette! Vedete, quando abbiamo passato la prima giovinezza, un'idea come questa, sia o non sia fallace, impressiona più che non dovrebbe. Questa idea ha cresciuto in me un af­fetto riconoscente. Da quel giorno, unico scopo della mia vita è stato ritrovarvi. Rivedervi. Dirvi come io divi-dessi i sentimenti... che m'illudevo d'avervi ispirato.

Bolette                          - Ora però sapete che è stato un malin­teso... e...

Arnholm                        - Non importa. La vostra immagine si è fissata in me per sempre, quale il malinteso . l'aveva creata. Voi non potete capire, ma è così.

Bolette                          - Non avrei mai creduto!

Arnholm                        - Ma dal momento che è così? Che ne dite, Bolette? Non potreste veramente risolvervi a... Eb­bene, sì. A essere mia moglie?

Bolette                          - Mi sembra impossibile, signor Arnholm. Voi, il mio antico maestro? Non posso figurarmi altre relazioni tra noi.

Arnholm                        - Va bene. Va bene. Se non potete, la si­tuazione resta invariata.

Bolette                          - Che volete dire?

Arnholm                        - Che nulla potrebbe modificare le mie intenzioni a vostro riguardo. Sarà mia cura che lasciate il paese, impariate a conoscere il mondo, e possiate stu­diare tutto quello che vi interessa. Voglio che abbiate una vita vostra, sicura e indipendente. Penserò anche al vostro avvenire, Bolette. Avrete sempre in me un amico fedele. Contateci.

Bolette                          - Ahimè! Ahimè! Signor Arnholm. Tutto questo è ormai impossibile.

Arnholm                        - Impossibile? Anche questo?

Bolette                          - Vi pare? Dopo quello che mi avete detto, e dopo quello che vi ho risposto? Capirete che non posso accettare sacrifici così notevoli. Non posso accettare più nulla da voi. Mai più.

Arnholm                        - Allora volete rimanere qui per sempre? E lasciare che la vita vi sfugga?

Bolette                          - E' triste, sì.

Arnholm                        - Volete rinunciare a vedere quello che accade nel mondo? Dirvi che esistono tante cose, nella vita, dalle quali voi sarete inesorabilmente esclusa? Mi sembra sia il caso di pensarci, Bolette

Bolette                          - Sì, sì, signor Arnholm, avete ragione.

Arnholm                        - E quando vostro padre non ci sarà più? Rimarrete sola al mondo, senza appoggi, senza un so­stegno? A meno di sposarne un altro per il quale, forse, non avreste maggior inclinazione...

Bolette                          - C'è molto di vero, in tutto questo. Mah! In fondo... E se potesse darsi?

Arnholm                        - (vivacemente) Se potesse darsi?

Bolette                          - (guardandolo, indecisa) Che non fosse proprio impossibile...

Arnholm                        - Come sarebbe a dire, Bolette?

Bolette                          - Sì. Se non mi fosse impossibile d'accet­tare... quello che mi avete offerto?

Arnholm                        - Volete dire che... che mi accordereste almeno la gioia d'assistervi da vero amico?

Bolette                          - Questo no, mai! Non si può. No, signor Arnholm, preferisco sposarvi.

Arnholm                        - Bolette? Acconsentite?

Bolette                          - Acconsento... sì.

Arnholm                        - A essere mia moglie?

Bolette                          - Se non avete cambiato idea?

Arnholm                        - Cambiato idea? (Le afferra le mani) Grazie, Bolette, grazie! Cambiato idea?... Oh! In quanto a quello che mi avete detto - sì, delle vostre esita­zioni - non mi scoraggio. Se il vostro cuore non è ancora interamente mio, saprò conquistarlo. Farò di tutto, per voi!

Bolette                          - Conoscerò finalmente il mondo? Vivrò una vita?... Questo mi avete promesso.

Arnholm                        - E manterrò la promessa.

Bolette                          - Potrò studiare tutto quello che mi appas­siona?

Arnholm                        - Sarò io il vostro professore. Come una volta, Bolette.

Bolette                          - (dolcemente immersa nei suoi pensieri) Dire che il mondo finalmente si aprirà davanti a me... E non più ansie per l'avvenire. Non avrò più quel male­detto pensiero del pane!

Arnholm                        - Anche questo conta, vero, Bolette?

Bolette                          - Sì. Conta, lo so.

Arnholm                        - (passandole un braccio attorno alla vita) Vedrete, Bolette, come ci metteremo d'accordo. E che famigliola unita, salda, sicura, faremo.

Bolette                          - Comincio anch'io a credere che tutto fi­nirà bene. (Guarda a destra e si scioglie vivacemente dalla stretta) Ah, facciamo finta di niente!

Arnholm                        - Che c'è, Bolette?

Bolette                          - Quel disgraziato. (Indicando) Vedete?

Arnholm                        - Il babbo?

Bolette                          - No, quel giovane scultore. Passeggia con Ilda.

Arnholm                        - Lyngstrand? Ebbene?

Bolette                          - Sapete in che stato è.

Arnholm                        - A meno che non sia un male immagi­nario.

Bolette                          - Purtroppo, no. Ne ha per poco, credo, e sarà meglio per lui.

Arnholm                        - Perché dite così, Bolette?

Bolette                          - Perché... perché la sua arte - non è gran cosa, temo. Andiamocene prima che vengano, volete?

Arnholm                        - Non chiedo di meglio, cara Bolette. (Ilda e Lyngstrand compaiono in riva allo stagno).

Ilda                               - Eh! voialtri? Aspettateci.

Arnholm                        - Vi precediamo di poco, Bolette e io, (Vanno via da sinistra).

Lyngstrand                   - (con un sorriso) E' molto curioso. Da qualche tempo, qui, non si fa altro che passeggiare a coppie. Si va sempre a due a due.

Ilda                               - (seguendoli con gli occhi) Scommetto che le fa la corte.

Lyngstrand                   - L'avete notato anche voi?

Ilda                               - Bella forza! Per che cosa ci sono gli occhi?

Lyngstrand                   - Ma la signorina Bolette non lo accet­terà. Ne sono sicuro.

Ilda                               - Anch'io. Perché lo trova molto invecchiato. E' persuasa che presto sarà calvo.

Lyngstrand                   - Non è soltanto per questo. Non lo ac­cetterebbe in nessun modo.

Ilda                               - Toh! E perché?

Lyngstrand                   - Perché ha promesso di pensare a un altro.

Ilda                               - Tutto qui?

Lyngstrand                   - Sì. Di pensare a un altro quando sarà lontano.

Ilda                               - Oh bella! Siete forse voi?

Lyngstrand                   - Potrebbe darsi.

Ilda                               - Ve l'ha promesso?

Lyngstrand                   - Ebbene, sì, me l'ha promesso. Ma non ditele che lo sapete.

Ilda                               - Dio guardi. Sarò muta come una tomba.

Lyngstrand                   - Brava. E' molto carino, da parte vostra.

Ilda                               - E quando tornate, vi fidanzerete? La spo­serete?

Lyngstrand                   - Non potrei. I primi tempi, non potrei pensare a prender moglie: e più tardi, sarebbe un po' troppo vecchia per me.

Ilda                               - E intanto però esigete che Bolette pensi a voi?...

Lyngstrand                   - Sì. Mi sarà di grande aiuto. Per la mia arte, capite? In quanto a Bolette, che cosa le può importare? Non ha altra vocazione. Ciò non toglie che anche Bolette sia stata molto carina con me.

Ilda                               - Come? Sapere che Bolette pensa a voi, vi farà terminare più presto la vostra opera? Credete?

Lyngstrand                   - Certamente! Sapere che c'è nel mondo, in qualche angolo tranquillo, una dolce e fine giovi­netta che sogna di noi in silenzio - ecco una cosa, mi figuro... una cosa... non so come esprimermi.

Ilda                               - Una cosa... « impressionante ». Straordinaria­mente « impressionante ».

Lyngstrand                   - Ecco. Volevo dire precisamente questo. (La guarda un momento) Siete così intelligente, voi, si­gnorina Ilda! Così intelligente! Quando tornerò qui, avrete press'a poco l'età che ha oggi vostra sorella. Forse avrete lo stesso viso. Forse anche gli stessi gusti. Forse, se mi è permesso di esprimermi in questo senso, ritro­verò Bolette e Ilda in una sola persona.

Ilda                               - Vi piacerebbe?

Lyncstrand                             -: Non so. Ma crederei di sì. Ora, però - quest'estate - preferisco che voi siate voi.

Ilda                               - Vi piaccio di più, come sono?

Lvngstrand                   - Come siete, mi piacete molto.

Ilda                               - Bravo, e allora ditemi, voi che siete un artista: vi piace vedermi sempre vestita di bianco?

Lvngstrand                   - Mi piace moltissimo.

Ilda                               - Trovate che il bianco mi sta?

Lyncstrand                    - Vi sta deliziosamente, a mio giudizio.

Ilda                               - Sì?... E adesso ditemi, voi che siete un artista: mi vedete vestita di nero?

Lvngstrand                   - Di nero, signorina Ilda?

Ilda                               - Sì: tutta vestita di nero. Credete che mi sta­rebbe?

Lyncstrand                    - Il nero non è di stagione, d'estate. Tolto ciò, credo che vi starebbe d'incanto anche il nero. Appunto, con la vostra figurina...

Ilda                               - (guardando davanti a sé) Tutta vestita di nero, con del crespo, molto crespo; i guanti neri; e un velo lungo, nero, che scende sulle spalle.

Lyncstrand                    - Se foste vestita così, signorina Ilda, vorrei essere pittore per farvi il ritratto. Vi comporrei in una posa languida come foste una giovane vedova in­consolabile e seducente.

Ilda                               - Oppure, una giovane fidanzata in lutto.

Lyncstrand                    - Sì. Questo farebbe anche più per voi. Ma non può tentarvi, dite?

Ilda                               - Chi sa! Trovo la cosa... « impressionante ».

Lyncstrand                    - Impressionante?

Ilda                               - Mette quel certo brivido! (Accennando di colpo a destra) Oh? Il battello inglese.

Lyncstrand                    - (guardando) Ha già accostato. (Wangel e EUida compaiono in riva, allo stagno).

Wancel                          - Ti assicuro, cara EUida, che sbagli! (Vede Ilda e Lyngstrànd) Siete qui, voi due? Non è vero» Lvng­strand, che il battello non è ancora in vista?

Lyncstrand                    - Il battello inglese?

Wangel                          - Sì.

Lyncstrand                    - (accennandolo) Eccolo, signor dottore.

Ellida                            - Lo sapevo!

Wangel                          - E' arrivato?...

Lyncstrand                    - Come un lupo in un ovile. Questo modo di approdare in silenzio, non manca di eleganza.

Wangel                          - Accompagnate, vi prego, Ilda allo scalo. A Ilda piace un po' di musica.

Lyncstrand                    - Sì, signor dottore, stavamo appunto per andare.

Wangel                          - Se mai, vi raggiungeremo.

Ilda                               - (piano a Lyngstrànd) Un'altra coppia! (Ilda e Lyngstrànd attraversano il giardino e prendono da si­nistra. Per tutta la scena che segue si sente la musica della fanfara che viene dal fiord).

Ellida                            - E' là! Vicino! Lo sento.

Wancel                          - Faresti meglio a tornare a casa, Ellida. E lasciare che ci spieghiamo noi due.

Ellida                            - E' impossibile. Impossibile, sai. (Gettando un grido) Guarda, Wangel! Eccolo. (Il Forestiero viene da sinistra e si ferma a mezzo del sentiero dall'altra parte del muretto). m

Il Forestiero                  - (salutando) Vedi, Ellida, sono venuto.

Ellida                            - Sì, sì, sì. Ecco l'ora.

Il Forestiero                  - Sei pronta a partire? Sì o no?

Wancel                          - Vedete pure che non è pronta!

Il Forestiero               - Non si tratta del vestito da viaggio, o dei bagagli. Ho a bordo tutto quello che occorre a Ellida, e la sua cabina è fissata. (A Ellida) Ti chiedo se sei pronta a seguirmi deliberatamente, e di tua vo­lontà,

Ellida                            - (supplichevole) Non interrogatemi! Non mi tentate così! (Si sente, lontano, la campana della par­tenza).

Il Forestiero                  - Senti? E' il primo segnale. Bisogna dire sì o no.

Ellida                            - Decidere! Per la vita! Senz'appello!

Il Forestiero                  - Senz'appello. Tra mezz'ora sarà troppo tardi.

Ellida                            - (guardandolo, timorosa e scrutatrice) Voi, perché mi volete?

Il Forestiero                  - Non senti anche tu quello che ci lega?

Ellida                            - La mia promessa?

Il Forestiero                  - Una promessa non impegna a nulla, né l'uomo, né la donna. Se ti voglio, è perché non posso fare a meno di volerti.

Ellida                            - (piano, con voce tremante) Perché non siete venuto prima?

Wancel                          - Ellida!

Ellida                            - (prorompendo) Ah! Questa forza che m'in­calza, mi tenta, mi attrae! La forza dell'ignoto! Tutte le potenze del mare si riassumono in essa. (Il Forestiero scavalca il parapetto. Ellida indietreggia e si rifugia dietro a Wangel) Che fate ora? Che volete?

Il Forestiero                  - Sento dalla tua voce, Ellida, che sarò io il prescelto.

Wancel                          - (facendosi incontro a lui) Mia moglie non ha da scegliere. Sono qui io per rappresentarla e per di­fenderla. Sì, per difenderla. Se voi non lasciate il paese per non tornare mai più, sapete a che cosa mi costrin­gerete?

Ellida                            - No, no, Wangel, non questo!

Il Forestiero                  - Che minaccia è la vostra?

Wancel                          - Guardatevi! So qualche cosa, sull'assas­sinio di Skioldviken.

Ellida                            - Oh, Wangel, come puoi?

Il Forestiero                  - Me l'aspettavo. Ho con me quanto mi occorre. (Cava di tasca una rivoltella).

Ellida                            - (gettandosi davanti a suo marito) No! Lui no! Uccidete me!

Il Forestiero                  - Non si tratta né di lui, nò di te. Questo è per mio uso. Libero ho vissuto, libero voglio morire.

Ellida                            - (a Wangel, esaltandosi sempre più) Wangel! Lascia che te lo dica in faccia a lui. Se vuoi trattenermi, puoi farlo. Ne hai i mezzi e il potere. E lo farai. Ma la mia anima, i miei pensieri, i miei desideri, i miei aneliti, tutto ti sfugge. Se ne vanno con volo irresistibile verso l'ignoto per il quale sono fatta, e che tu mi hai tolto!

Wangel                          - (con dolore contenuto) Lo vedo, purtroppo. Tu mi sfuggi di mano. Il desiderio di tutto quello che non ha limite, dell'infinito, dell'irraggiungibile, finirà col trascinare il tuo spirito nelle tenebre che lo aspettano.

Ellida                            - Sì, lo sento. Sento un'ombra, su me, come di grandi ali nere...

Wangel                          - Non giungeremo a tanto. C'è un solo mezzo per salvarti. Io non ne vedo altri. Acconsento dunque a rompere il patto. Da questo momento puoi scegliere la tua via in piena, assoluta libertà.

Ellida                            - (lo guarda muta un momento) Quello che dici, è vero? Ha proprio parlato il tuo cuore?

Wangel                          - Sì, Ellida. Il mio cuore straziato.

Ellida                            - E puoi?... Puoi lasciare compiersi le cose?

Wangel                          - Sì. Posso farlo, perché ti amo sopra tutte le cose.

Ellida                            - (piano, con voce tremante) Il posto che oc­cupo presso di te, è dunque così intimo, così profondo?

Wangel                          - E' l'opera degli anni e della vita comune.

Ellida                            - (giungendo le mani) E io, che non avevo compreso!

Wangel                          - I tuoi pensieri erano altrove. Ma eccoti finalmente staccata da me e dai miei. D'ora innanzi la tua vita, la tua vera vita, potrà riprendere il suo corso. Puoi scegliere liberamente, Ellida, e sotto la tua respon­sabilità.

Ellida                            - (si stringe il capo tra le mani e fissa gli occhi su Wangel) Liberamente, e sotto la mia responsa­bilità! Sotto la mia responsabilità?... Come tutto si tra­sforma! (Altro tocco di campana).

Il Forestiero                  - Senti, Ellida? E' l'ultimo segnale. Vieni.

Ellida                            - (si volta verso di lui, lo guarda con fermezza, e dice) Dopo questo?

Il Forestiero                  - Non vuoi venire?

Ellida                            - (stringendosi contro Wangel) Mai. Dopo quello che hai detto, Wangel, non vorrò mai più lasciarti.

Wangel                          - Ellida, Ellida!

Il Forestiero                  - Allora, tra noi, è finita?

Ellida                            - Per sempre.

Il Forestiero                  - (lentamente) C'è in te qualche cosa che è più forte della mia volontà.

Ellida                            - La vostra volontà non può più nulla su me. Voi, per me, siete morto. Un morto uscito dal mare per ritornarvi. Non mi fate più paura, e non mi affasci­nate più.

Il Forestiero                  - Addio, signora. (Ripassa il muro) Da oggi, nella mia vita c'è un ultimo naufragio. (Va via da sinistra).

Wangel                          - (guarda un momento Ellida) Ellida, la tua anima è come il mare. In perpetuo flusso e riflusso. Per quale misterioso rivolgimento, ti sei trasformata così?

Ellida                            - Come? Non hai compreso che la libertà della scelta doveva trasformare tutto?

Wangel                          - E l'ignoto, ha cessato di attrarti?

Ellida                            - Ho potuto misurarlo. Ero libera di gettarmici, se avessi voluto. Libera di scegliere. Dunque, libera di rinunziare.

Wangel                          - (la guarda) Sì. Vedi, Ellida, tu pensi e concepisci per via di immagini, di figurazioni visibili. La tua nostalgia del mare, come il fascino esercitato su te da quello straniero, erano l'espressione di un bisogno di libertà che si destava e ingigantiva dentro di te. Ecco tutto.

Ellida                            - Forse. Non saprei dire. La sola cosa certa è che tu sei stato, per me, il buon medico. Hai trovato il vero rimedio, il solo che potesse agire, e hai avuto il coraggio di usarlo.

Wangel                          - Noi medici, sappiamo osare nei casi estremi, Dunque, Ellida, ti ritrovo?

Ellida                            - Sì, mio caro Wangel, mio fedele compagno, I Ora posso essere tua! Perché vengo a te liberamente, di mia elezione, e con sicura coscienza della mia responsabilità.

Wangel                          - (guardandola teneramente) Ellida, Ellida, potremo dunque d'ora innanzi vivere l'uno per l'altro?

Ellida                            - E dividere insieme anche i ricordi. Avere tutto, tutto comune!

Wangel                          - Sì, diletta.

Ellida                            - Wangel! E vivere per le « nostre » due fi­gliuole.

Wangel                          - Le « nostre » figliuole, dici?

Ellida                            - Non sono ancora mie, ma saprò conquistarle.

Wangel                          - (le bacia le mani, con intensa felicità) Grazie! Grazie dal fondo dell'anima per queste parole. (lido, Ballested, Arnholm, Lyngstrand, Bolette entrano in giardino venendo da sinistra. Passano intanto dal sentiero i giovani e le ragazze della città, in gruppo coi uiìleg-già rati).

Ilda                               - (o mezza voce, a Lyngstrand, accennandogli Ellida e Wangel) Ma dite? Non sembrano due fidanzati?

Ballested                       - (che ha udito) E' l'estate, signorina Ilda.

Arnholm                        - (guardando Wangel e Ellida) Ecco il bat­tello inglese che riparte.

Bolette                          - (andando verso il muricciolo) Di qui, lo si vede benissimo.

Lyngstrand                   - E' il suo ultimo viaggio, per quest'anno.

Ballested                       - E presto, bel mio estate, addio! « Piccole boti le notti e lunghi i giorni. Tempo passato, perché non ritorni? ». Non è allegro, pensarci - vero, signora Wangel? E ora, ci lasciate anche voi. Sento dire che par­tite domani per Skioldviken?

Wangel                          - No, Ballested. Abbiamo cambiato idea.

Arnholm                        - (guardando ora Wangel, ora Ellida) Ve­ramente?

Bolette                          - (uenerado avanti) Dici davvero, babbo?

Ilda                               - (precipitandosi verso Ellida) Rimani con noi?

Ellida                            - Sì, cara Ilda, se mi vuoi?

Ilda                               - (fra il riso e il pianto) Se ti voglio?...

Arnholm                        - (a Ellida) Ecco una bella improvvisata.

Ellida                            - (sorridendo, gravemente) Signor Arnholm, rammentate il nostro colloquio di ieri? L'essere che si abitua a vivere sulla terra, smarrisce la via del mare. La vita marina lo abbandona.

Ballested                       - Come è accaduto alla mia sirena!

Ellida                            - Proprio così.

Ballested                       - Colla differenza, che la sirena muore, mentre gli uomini possono accli-acclimatarsi. Sì, signora Wangel, vi assicuro che possono ac-cli-ma-tar-si.

Ellida                            - A una condizione, però: la libertà.

Wangel                          - E la responsabilità, cara Ellida.

Ellida                            - (vibratamente, tendendogli la mano) Com'è giusto! (Il battello si allontana. La musica si avvicina).

FINE