La dottoressa Orabona

Stampa questo copione

La dottoressa Orabona

di Vincenzo Rosario PERRELLA ESPOSITO

(detto Ezio)

11/05/2017

Personaggi:   8

La dottoressa Orabona  

Totore ‘o cecato              

Gennaro ‘o muto            

Vincenzo ‘o surdo            

Il dr Sasso

Enrico ‘o nevrotico

Melissa l’ipocondriaca

Concetta ‘a depressa

Una ASL indefinita in un posto indefinito. Vi si intrecciano le storie tra medici e pazienti vari. Purtroppo non mancheranno atti di malcostume che vengono conosciuti comunemente come “malasanità” (assenteismo dei medici, pressappochismo nel modo di porsi nei confronti dei pazienti, maleducazione, disorganizzazione…). Ma non mancherà nemmeno quella piaga che ormai ha preso sempre più campo: quella dei falsi invalidi. Argomenti seri e da prendere con le molle, ma trattati anche con ironia per alleggerire la narrazione della storia. Nel nostro caso, la situazione di disagio dei pazienti e di scarsa capacità dei medici di gestire il loro lavoro, degenera in rabbia che si esplicita nell’occupazione della struttura da parte dei pazienti, fin quando qualcuno non li avrà ascoltati come si deve. Un primo passo per cambiare le cose che non funzionano nella sanità. Sarà sufficiente? Potrà modificare le cose? Sicuramente sì, solo non si sa se in meglio o in peggio.

Numero posizione SIAE 233047

Per contatti Ezio Perrella 3485514070 ezioperrella@libero.it

            Una ASL italiana. L’ingresso è una porta centrale. A destra un corridoio che conduce allo sportello cassa-accettazione. A sinistra i vari ambulatori, tra cui quello della dottoressa Orabona (tra le sue competenze medico specialista in medicina legale), e quello del dottor Sasso (tra le sue competenze medicina del lavoro). Verso destra tre sedie dove i pazienti attendono il loro turno di ingresso agli ambulatori.

ATTO PRIMO

1. [La d.ssa Orabona e il dr Sasso]

                  Da sinistra, giungono (entrambi in camice) la dottoressa Orabona (seccata) e il

                  dottor Sasso che fa dei selfie con lei col suo cellulare.

Sasso:       Bene,Orabona, ora stai bona… ehm… stai buona e fatti i selfie insieme a me!

Orabona: Sasso, non ti sembra il caso di smetterla? Sempre con questa mania di fare i

                  selfie. E magari scommetto che metterai anche queste foto su Facebook.

Sasso:       E certamente. Anzi, mi sono iscritto pure a un altro social: si chiama Fessobuk!

Orabona: Il nome già dice tutto.

Sasso:       Ma infatti non mi piace tanto. Non mi sono nemmeno iscritto io. Chissà chi lo ha

                  fatto? Mah! Comuqnue, fai un bel sorriso.    

Orabona: (Mentre sorride, dice qualcosa) E con mio marito come la mettiamo? E’ geloso.

Sasso:       Di me non di certo. Sa benissimo che tu stai facendo carriera qua dentro grazie a

                  me. Per cui, cerca di essere accomodante e iscriviti pure tu su Facebook. E pure

                  su Fessobuk. E pure su Instagram. Insomma, su tutti i social esistenti.

Orabona: Sasso, adesso però basta.

Sasso:       (Smette di fare i selfie) Che c’è?

Orabona: Io sono una persona molto professionale. Nel mio lavoro, ci metto il cuore.

Sasso:       No, tu ci metti un altro “cu”, ma la parola non finisce con “ore”.

Orabona: Perché mi dici questo?

Sasso:       Perchésembri più una di quelle soubrette da televisione che una dottoressa di

                  ASL. Ogni tanto vai a fare pure i provini.

Orabona: Io non vado a fare i provini per la TV, ma per il cinema. Da ragazza sognavo di

                  fare l’attrice. Ma sono felice ugualmente, perché diventare dottoressa era il mio

                  secondo sogno.

Sasso:       Ascolta, Orabona… anzi, Mafalda… ‘e chi schifo ‘e nomme che tiene! Dicevo,

                  Mafalda, ricordati una cosa: io ti rispetto e ti rispetterò sempre. Però quanto ti

                  chiedo di farti i selfie insieme a me, non mi devi contraddire. Capito?

Orabona: E va bene, facciamoci i selfie!

Sasso:       Brava! (Riprende a scattare i selfie con lei in varie posizioni) Forza, sorridi.

Orabona: (Sorride mentre cambia varie pose con lui) Ma quando finiamo con questi selfie?

Sasso:       Quando andiamo nel mio studio!

Orabona: Attento, Sasso… anzi, Abelardo… ‘e chi schifo ‘e nomme che tiene! Dicevo,

                  Abelardo, poco fa hai promesso che mi rispetterai. Per cui, mantieni la promessa.

Sasso:       Ma certo che lo farò. (Smette di fare i selfie) Non ti fidi?

Orabona: No!

Sasso:       Ho capito, temi di essere licenziata. Ma ti ho già ripetuto cento volte che io ho

                  amicizie importanti dappertutto. Se non cambiassero sempre il presidente del

                  consiglio in Italia, conoscerei anche quello! Per cui, stai tranquilla.

Orabona: Va bene, farò come dici. Allora vorrà dire che me ne andrò con un discreto

                  anticipo rispetto al mio orario doi lavoro. Devo raggiungere mio marito che mi                

                  aspetta per una serata caliente!

Sasso:       E se ti scoprono?

Orabona: Ci stai tu! Non hai detto che hai amicizie importanti?

Sasso:       Ho capito. Hai ragione. Brava! Ma adesso andiamo nella mia stanza. Devo

                  levarmi i pantaloni.

Orabona: Ma si’ scemo?

Sasso:       Che hai capito? Dovresti cucirmi il di dietro, pecché pe’ ffa’ ‘o scemo a ffa’ ‘e

                  selfie, s’è stracciato ‘o cazone!

Orabona: E te ll’aggia còsere io?

Sasso:       Tu sei un’amica.

Orabona: E vabbé, con la scusa dell’amica, ti fai fare un sacco di piaceri dalla sottoscritta.

Sasso:       Chiamami fesso!

Orabona: Andiamo, fesso!

                  I due escono a sinistra facendosi selfie.

2. [Totore, Gennaro e Vincenzo. Poi Orabona]

 

                  Dal centro entra Vincenzo. Prende il proprio cellulare ed attiva una telefonata.

Vincenzo: Pronto, Carmilì, so’ Vincenzo. Songo arrivato. Mò vaco a pavà ‘o tickét! Io

                   m’aggia fa’ visità p’avé ‘a penzione d’invalidità. Però me putive accumpagnà

                   tu, accussì facéveme ‘a cosa cchiù grave. Comme? He’ priparà ‘o gattò ‘e

                   patane? E nun ‘o putive priparà aroppo? Vabbuò, basta, ce vedimme aroppo, ‘a

                   casa. Cià. (Chiude il cellulare) Va fa’ ‘nmocca a te e ‘’o gattò ‘e patane!

                   Esce a destra. Poi entra Gennaro, prende il proprio cellulare ed attiva una

                   telefonata. Essendo muto, si esprime malissimo.

Gennaro:  Gnogno, Gnunziatì, gnogno Gnegnagno! Uhé, gnun me fa’ pallà assaje. Io

                   gnogno ccà, add’’a gnongnoressa! Però gne gnugnìve agnugnagnà tu! Gnogne?

                   Gné fa’ ‘o gnasatiello? Vabbuò, gne vedimme agnoppo! (Chiude il cellulare)

                   Gna fa’ gnocca a gne e ‘o gnasatiello!

                   Esce a destra. Dal centro entra Totore con occhiali da sole e bastone. Si guarda

                   intorno, poi prende il proprio cellulare ed attiva una telefonata.

Totore:      Pronto, Marì, so’ Totore. Songo arrivato. Mò vaco a pavà ‘o tickét! Io m’aggia

                   fa’ visità p’avé ‘a penzione d’invalidità. Però me putive accumpagnà tu, accussì

                   facéveme ‘a cosa cchiù grave. Comme? He’ priparà ‘a frittata ‘e carciòffele? E

                   nun ‘a putive priparà dimane? Vabbuò, basta, ce vedimme aroppo, ‘a casa. Cià.

                   (Chiude il cellulare) Va fa’ ‘nmocca a te e ‘a frittata ‘e carciòffele!

                   Esce a destra. Poco dopo torna Vincenzo e va a sedersi su una delle tre sedie ed

                   aspetta. Torna anche Gennaro e si siede accanto a Vincenzo. Quest’ultimo si

                   volta verso Gennaro e lo osserva.

Vincenzo: Capo, saje chi ore so’?

Gennaro: (Guarda l’orologio) Gnogno ‘e gnigne e gnu gnagno!

Vincenzo: Aìza ‘a voce, io so’ surdo!

Gennaro: (Alza la voce) Gnogno ‘e gnigne e gnu gnagno!

Vincenzo: Nun te sento, parla cchiù chiaro!

Gennaro: (Grida) Gnogno ‘e gnigne e gnu gnagno!

Vincenzo: Ma nun te sento!

                  Da destra torna Totore che risponde lui in mezzo.

Totore:     (Spazientito) Oh, e mò basta! T’’o ddich’io chi ore so’. (Guarda il proprio

                  orologio) Songhe ‘e cciche e ‘nu quarto. Vabbuò?

                  Siede sulla terza sedia. Vincenzo e Gennaro lo osservano perplessi.

Vincenzo: Ma tu nun si’ “non vedente”?

Totore:     (Si volta e lo osserva per qualche attimo) E tu nun si’ surdo?

Vincenzo: Sì, io so’ surdo!

Totore:     E allora io so’ “non vedente”!

                  Poi i due si voltano verso Gennaro che li osserva perplesso.

Gennaro: Néh, ma pecché me state guardanno?!

I due:       (Lo additano) Chisto è muto!

Gennaro: Ah, ‘e che bellezza! Simme tutte e tre invalidi!

Vincenzo: Stattu zitto, nun alluccà.

Gennaro: E io nun pozzo alluccà. Io so’ muto!

Totore:     Tu si’ muto comm’a me che so’ non vedente e chist’ato ch’è surdo!

Gennaro: (Bisbiglia) Sentite, amici, io ho bisogno della pensione di invalidità. Purtroppo io

                  e mia moglie non lavoriamo.

Vincenzo: Uh, guarda caso, pure a me ‘a stessa cosa!

Totore:     E pur’a me. Però nun è ‘nu caso! Permettete? Salvatore Esposito, detto Totore.

Vincenzo: Vincenzo Esposito, detto Vincenzo!

Gennaro: Gennaro Esposito, detto Gennaro!

Totore:     Ua’, ‘e che mazzo! Tenìmme ‘o stesso cugnomme tutt’e tre.

Gennaro: E pe’ forza, a Napule simme quase tutte quante Esposito!

Vincenzo: Sentite, ma tutt’e dduje pensate ‘o cugnomme? Tra poco viene un dottore.

Gennaro: Sì, ma qualche volta ci sta pure la dottoressa. Speriamo che ci sta lei, adesso.

Vincenzo: E speriamo. Adesso però pensiamo a tornare nei nostri rispettivi personaggi.

Totore:     Va bene. Tutti per uno…

I tre:         Uno per tutti!

                  Restano in silenzio e fanno finta di nulla. Da destra intanto torna Orabona che

                  ha tolto il camice ed ha la propria borsa.

Orabona: Ah, meno male che ho finito!

                  Nota i tre e resta sbigottita. Loro restano a bocca aperta per la sua avvenenza.

                  Oh, no! Ma ci siete ancora voi tre?

Gennaro: Ehm… Gne gne gne gne!

Orabona: Ah, ce mancava sulo chesta. E mò comme faccio?... Ehm… va bene, vi visito

                  subito, al volo al volo, stesso qua fuori. Voi tre, alzatevi in piedi.

                  Totore e Gennaro si alzano, ma non Vincenzo, così Gennaro lo picchietta sulla

                  spalla e gli indica di alzarsi in piedi.

Orabona: Bene, allora io sono la dottoressa Orabona!

Totore:     Eh, e se vede!

Orabona: Prego?

Totore:     No, no, niente, aggio ditto “piacere”!

Orabona: Allora, su, facciamo presto, che ho una importante riunione di lavoro. Questo

                  signore con gli occhiali scuri come si chiama?

Totore:     Salvatore Esposito. Per servirvi.

Orabona: E che problema ha, lei?

Totore:     E secondo voi? Io non ci vedo proprio.

Orabona: (Gli va vicino, apre le dita della mano) Quante sono queste? E queste?

Totore:     Non lo so, mi dispiace.

Orabona: Poveretto, non ci vede! (Si volta dandogli le spalle e le cade la borsa) Uh, mi è

                  caduta la borsa!

                  Si abbassa per raccoglierla, cosicché i tre le guardano il di dietro.

Totore:     Ma chesta è bona overamente!

Orabona: (Torna in posizione eretta) Come, scusi?

Totore:     No, dicevo che voi siete la dottoressa Orabona. Ho capito bene?

Orabona: Sì, sì.

Totore:     Ah, perfetto. Allora ll’aggio ‘a penzione d’invalidità?

Orabona: E mica dipende da me? Ma ora faccia parlare pure con gli altri due signori.

                  (Indica Vincenzo) Lei come si chiama?

Vincenzo: Vincenzo Esposito!

Orabona: E che problema ha?

Vincenzo: Sono sordo!

Orabona: Prego?

Vincenzo: So’ surdo!

Orabona: Scusi, ma se allora è sordo, come fa a rispondermi?

Vincenzo: Ah, già. Ehm… io non capisco le vostre domande. Sto rispondendo a casaccio!

Orabona: Ho capito. Mi sa che dobbiamo fare un esame audiometrico. Ora però cerchi di

                  capire ciò che le dico: che lavoro fa?

Vincenzo: Comme?

Orabona: Quale ruolo ricopre nel suo lavoro?

Vincenzo: Ah?

Orabona: Quale ruolo?

Vincenzo: ‘O puparuolo? No, nun m’’o pozzo magnà. Se mette ‘ncoppa ‘o stommeche!

Orabona: Ma lei ha prole?

Vincenzo: ‘E pprovole? Sì, chelle m’’e ppozzo magnà!

Orabona: Benissimo, lei è proprio sordo! (Poi a Gennaro) E lei, invece come si chiama? 

Gennaro: Gne gne gne gne. Gnegnagno Gneposito!

Orabona: Ah, lei non parla. Emette solo dei suoni vocali.

Gennaro: Esattamente!

Orabona: Come?

Gennaro: No, ehm… gne gne gne!

Orabona: Capisco. Bene, allora… Oh, scusate, la vibrazione del mio cellulare.

                  Si apparta un po’ e prende il cellulare dalla borsa mentre i tre esultano tra loro.

                  Pronto, caro. (Sconvolta) Sei fuori al mio ufficio? Mi hai fatto una sorpresa?

                  Aspetta, adesso mi libero subito e ti raggiungo.

                  Chiude il cellulare, lo ripone in borsa e corre dai tre che fanno finta di niente.

                  Scusate, ma ora devo veramente scappare. La riunione sta cominciando ed io

                  non posso assolutamente mancare.

Totore:     E i certificati non ce li scrivete?

Orabona: Devo proprio adesso?

Gennaro: Gne gne gne… sì!

Orabona: E va bene. Aspettatemi qua.

                  Si volta, ma le cade di nuovo la borsa. Così si abbassa per riprenderla.

Totore:     Embé, mò a chesta ‘a zompo ‘ncuollo!

Orabona: (Torna in posizione eretta) Cosa?

Totore:     No, no, io non ho detto niente.

Orabona: Scusi, ma lei cosa ne sa che io ce l’avevo con lei? Che ne sa? Lei non ci vede.

Totore:     Chi? Io? Infatti non ci vedo proprio.

Vincenzo: No, ma quello lo sa perché gliel’ho detto io.

Orabona: E lei come ha fatto a sentire? Lei non è sordo?

Vincenzo: Chi? Io? Sì, sì, io sono sordo assai!

Gennaro: (A Vincenzo) Miezu scé!

Vincenzo: Stattu zitto, ca tu si’ muto!

Orabona: Un momento, ma che cos’è questa storia? Ma voi siete invalidi, oppure no?

I tre:         (Imbarazzati) Ehm… ehm…

Orabona: Ora capisco tutto. Mi avevate quasi fregata. Se non avessi fretta di andar via,

                  correrei subito a denunciarvi.

Vincenzo: (Con atteggiamento di sfida) ‘O vero? Ma site sicura?

Orabona: E certo. Questa è truffa allo stato.

Gennaro: E allora, tanto per cominciare, il vostro orario di lavoro non è ancora finito.

Totore:     E poi non dovete andare a nessun convegno, ma con uno uomo. Dottoré, io aggio

                  ‘ntiso tutto cose!

Orabona: (Sconvolta) Ah, ehm…

I tre:         (Con atteggiamento di sfida) E mò?

Orabona: Bene, io direi: lei, signor Salvatore Esposito, è un non vedente. Lei, signor

                  Vincenzo Esposito è un audioleso. E lei, signor Gennaro Esposito, non parla.

                  Domani mattina avrete i vostri certificati di presa visione. Va bene? Però… in

                  cambio… non direte nulla di me.

Totore:     Io nun v’aggio vista.

Vincenzo: Io nun v’aggio ‘ntisa!

Gennaro: E io… gne gne gne…!

Orabona: Bravi, allora vogliamo andare?

I tre:         Sììì!

Orabona: Bene, ora usciamo di qui!

                  La dottoressa si avvia centralmente e i tre la seguono, guardandole il sedere!

3. [Sasso ed Enrico]

  

                  Da sinistra torna il dottor Sasso, contrariato.  

Sasso:       Maledizione, l’ultima foto che ho postato sui social non ha avuto successo. Ma

                  che cosa devo postare per farmi notare dalla gente? La dottoressa Orabona nuda?

                  A proposito, ma dov’è andata questa? L’orario di lavoro non è ancora terminato!

                  (La chiama) Dottoressa Orabona! Mafalda, vieni qui, che dobbiamo fare ancora

                  altre foto! Mah! Fosse andata di là?

                  Va a destra. Dal centro entra Enrico, nevrotico, fa tic col viso, voce tremolante.

Enrico:     Aiuto, aggia parlà cu’ ‘nu miereco, pecché stongo troppo esaurito! (Si siede su

                  una delle tre sedie) Ma mica aggia pavà ‘o ticket? Io nun ‘o voglio pavà. Io pago

                  le tasse e perciò devo essere curato gratis! Dove stanno i dottori? Dove stanno?

                  Da destra torna Sasso.

Sasso:   Se n’è gghiuta, chella granda malafemmena! Allora adesso vado a cercare la 

              dottoressa Rossi e mi faccio qualche diretta con lei. E la pubblico su Fessbook!

              Mentre si avvia a sinistra, Enrico si alza in piedi e ne richiama l’attenzione.

Enrico: Scusate, dottore!

Sasso:   (Seccato, si ferma e si volta verso di lui) Dite, dite!

Enrico: Voi mi dovete aiutare, io sono tutto esaurito! (Gli si avvicina e gli mostra una 

              mano tremolante) Guardate la mano, guardate la mano.

Sasso:   Vedo, vedo.A voi vi serve un neurologo.  

Enrico: E come si chiama? 

Sasso:   E’ il dottor Della Morte!

Enrico: Mamma bella, ma chisto m’avessa accidere a me?

Sasso:   Non dite sciocchezze. Andate a pagare il ticket e poi recatevi dal dottor Della

              Morte, stanza numero 8. Però adesso non ci sta.

Enrico: E si nun ce sta, che me facìte i’ ffa’ ‘int’a stanza ‘e ‘stu dottor Muorto acciso?

Sasso:   Vi visitate da solo.

Enrico: M’aggia visità io sulo? E allora pecché aggia pavà ‘o ticktet?

Sasso:   Sentite, ma vuje che vvulìte ‘a me? Allora andate dal dottor La Nicchia.

Enrico: Aroppo a Della Morte, ce sta pure La Nicchia? Ma chesta è ‘na Asl o ‘nu cimitero?

Sasso:   Sentite, non fate lo spiritoso.Andate dal dottor La Nicchia a nome mio.

Enrico: E questo dottor La Nicchia che cos’è? Un medico generico?

Sasso:   No, è un ginecologo! 

Enrico: E che me n’aggia fa’ io d’’o ginecologo? Mica tengo problemi sessuali?

Sasso:   No, ma il dottor La Nicchia è il cognato del dottor Della Morte.

Enrico: E con ciò?

Sasso:   Capisce pure lui di malattie neurologiche. Un pochino. Diciamo che si arrangia.

Enrico: Ma io vaco truvànno a ‘nu duttore che capisce overamente chello che tengo! Mica

              me pozzo arrangià? Vuje, per esempio, che specializzazione tenìte? 

Sasso:   Medicina del lavoro.Diciamo che ne capisco di tutto un po’.

Enrico: E allora pozzo parlà cu’ vuje?

Sasso:   Cu’ me? No, ma tra pochi minuti il mio orario di lavoro finisce. Ripassate domani.

Enrico: Ah, sì? E allora facìmmece ‘na bella fotografia. (Dalla tasca prende il proprio

              cellulare e con la mano tremolante lo prepara per scattare una foto)

Sasso:   (Compiaciuto) Ma come, pure voi siete un appassionato di selfie? (Si mette in posa)

              E sì, facciamoci questa bella foto. Però non tremate con la mano se no la foto viene

              mossa! E no, guardate, è venuta mossa. Date a me il cellulare, faccio io la foto.

Enrico: Tenete, tenete. (Gli cede il cellulare)

Sasso:   (Scatta foto) Ecco, sorridete! Non siate così serio. (Cambiando di volta in volta

              posa) Certo, il celluare è un po’ vecchiotto. Ce l’avete da parecchio?

Enrico: (Cambiando di volta in volta posa) Sì, ma nun l’aggio accattato io. L’aggio

              truvato ‘ncoppa ‘e scogli a Margellina!

Sasso:   Va bene uguale. Ecco, abbiamo finito. (Gli restituisce il cellulare) Siete iscritto a

              tutti i social?

Enrico: No, ma io nun aggia mettere ‘e fotografie ‘ncoppa ‘e social.

Sasso:   Ah, no? E dove le dovete mettere?

Enrico: L’aggia purtà add’’e carabbiniere!

Sasso:   E perché?

Enrico: Pecché ce aggia fa’ vedé comme faticate ccà ‘ncoppa. Arrivederci in tribunale!

                  Enrico si avvia all’uscita al centro, ma Sasso lo ricorre e lo ferma.

Sasso:       Ma no, dove andate? (Lo riconduce al centro) Perché vi arrabbiate così?

Enrico:     Pecché io songo nervuso! (E fa i tic nervosi col viso)

Sasso:       Ma non vi dovete innervosire. Va bene, ci sono qua io che vi aiuto. Andate a

                  pagare il ticket e poi venite nel mio ufficio, il numero 5.

Enrico:     Nun ‘o voglio pavà ‘o ticket!

Sasso:       E allora non vi posso aiutare.

Enrico:     E allora io vacoadd’’e carabbiniere!

                  Enrico si avvia all’uscita al centro, ma Sasso lo ricorre e lo ferma.

Sasso:       Ma no, dove andate? (Lo riconduce al centro) Facciamo così, v’’o pavo io, ‘o

                  ticket! (Va verso destra e si rivolge a qualcuno) Signora Rosa, dopo vi pago io il

                  tickter per lui. Questo signore è mio cugino di primo grado. Come vi chiamate?

Enrico:     Enrico La Bara!

Sasso:       La Bara? E vi lamentate dei cognomi dei dottori Della Morte e La Nicchia?

Enrico:     Vacoadd’’e carabbiniere!

                  Enrico si avvia all’uscita al centro, ma Sasso lo ricorre e lo ferma.

Sasso:       Ma no, dove andate? (Lo riconduce al centro) Signora Rosa, il signore è con me.

Enrico:     E con il tuo spirito!

Sasso:       Ma qualu spirito? Io stongo dicénno ‘n’ata cosa. Su andiamo, per di là. Prego!

                  Escono a sinistra.

4. [Orabona e Melissa]

 

                  Dal centro torna Orabona, tutta contrariata. 

Orabona: Chillu disgraziato, ‘nfame, senza core, chino ‘e corne, cretino e scemo! (Getta la          

                  borsa su una delle tre sedie e toglie le scarpe coi tacchi) M’ha fatto fa’ tutto ‘stu

                  casino pe’ senza niente! Chillo se vuléva sultanto appiccicà cu’ me. E mi ha         

                  intossicata! Ma come faccio io a tenermi vicino quell’uomo? Come?

                  Va avanti e indietro nervosamente. Intanto entra dal centro Melissa. La osserva.

Melissa:    Azz, jamme buono! Chesta, secondo me, sta aspettànno ‘o turno suojo. (Entra un  

                   po’ e ne richiama l’attenzione) Scusate, signora, state qui da parecchio?

Orabona: Due anni!

Melissa:    Nientedimeno?

Orabona: E certamente. E vi debbo dire la verità? Mi sono proprio stufata.

Melissa:    E vi credo, dopo tutto questo tempo. Forse per la troppa gente?

Orabona: Uff!

Melissa:    E allora fatemi fare presto. Vado a pagare il ticket e poi torno. Io sto qua per il

                  dottor Perrella. Con permesso!

                  Esce via a destra.

Orabona: Il dottor Perrella? Mio marito? Chillu disgraziato, ‘nfame, senza core, chino ‘e

                  corne, cretino e scemo? Ma oggi è il suo giorno libero. E che cosa mi nasconde?

                  Torna Melissa.

Melissa:    Ecco qua, ticket pagato. (Si siede su una delle tre sedie ed osserva Orabona che

                  la guarda con sospetto) Signora, è meglio che vi sedete. Se volete, ho portato

                  pure l’uncinetto, così inganniamo un poco il tempo.

Orabona: No, no, grazie. Piuttosto, ditemi una cosa: quante altre volte avete incontrato il

                  dottor Perrella?

Melissa:    Spesso. Anzi, scusate un momento. (Dalla borsa tira fuori delle pillole) E’ l’ora

                  della pillola. (Ne prende una e l’ingoia) Mamma mia, senz’acqua è terribile!

Orabona: E quelle pillole ve le ha date lui?

Melissa:    No, per carità. Io me le sono prescritte da sola. Il dottor Perrella non me le  

                  voleva dare per nessuna ragione.

Orabona: Ma voi lo sapete che non si prendono le medicine senza prescrizione medica?

Melissa:    Signora, io mi sento troppo male. Da stamattina tengo un mal di denti! Mi metto

                  paura che può colpire il cuore e posso morire!

Orabona: (Aggio capito, chesta è ipocondriaca!) (Poi a lei) Signorina, ma il mal di denti

                  non colpisce il cuore.

Melissa:    Questo lo dite voi.

Orabona: Va bene, piuttosto voglio sapere altre cose. (Le siede accanto) Dunque…

Melissa:    Signò, scusate, vi potete mettere le scarpe? Si sente una leggera puzza di piedi!

Orabona: Certo. (Le recupera e le mette di nuovo ai piedi) Ora va bene?

Melissa:    Veramente, si sente ancora!

Orabona: Signurì, nun rumpite ‘e scatole e rispunnite ‘e ddomande mie. Allora, dicevamo:

                  voi venite molto spesso da mio marit… ehm… volevo dire, dal dottor Perrella?

Melissa:    Abbastanza. Oggi non tenevo neppure appuntamento con lui.

Orabona: Ah, ecco!

Melissa:    A volte ci incontriamo pure altrove. Uh, scusate, devo prendere un’altra pillola!          

                  (Dalla borsa tira fuori delle pillole) E’ arrivato il momento. (Ne prende una e

                  l’ingoia) Mamma mia, questa era più terribile di quell’altra!

Orabona: Signorina, non pensate alle pillole. Fatemi capire in quale altro posto vi

                  incontrate col dottor Perrella.

Melissa:    Nel negozio di mio padre. Quello tiene una merceria. Uh, scusate, devo prendere

                   un’altra pillola! (Dalla borsa tira fuori delle pillole) E’ arrivato il momento. (Ne  

                   prende una e l’ingoia) Mamma mia, questa era più terribile delle altre due!

Orabona: Signurì, me state facénno venì ‘e nierve, cu’ ‘sti pillole! E statevi quieta un po’!

Melissa:    (Dolorante ad un occhio) Uh, mamma mia, aiuto!

Orabona: Ch’è stato?

Melissa:    Mi è entrata una cosa nell’occhio! Guardate un pochetto.

Orabona: (Osserva) Ma io non vedo niente.

Melissa:    E invece sì. Mi è entrata quando voi avete dettoE statevi quieta un po’!”. Deve

                  essere un vostro sputo che mi è entarto nell’occhio!

Orabona: Signorina, non vi dovete fissare. Voi state bene.

Melissa:    Ma bene? Io sto male. Voglio il dottor Perrella. Dove sta il dottor Perrella?

Orabona: Veramente, lo vorrei pure io… ‘int’’e mmane!

Melissa:    Sì, ma quando lo incontrate, fate presto. Pure io ho il diritto di parlare con lui.

                  Ho pagato il ticket come voi.

Orabona: No, io lo incontro pure senza ticket. E’ mio marito!

Melissa:    Come? E che cosa sono questi favoritismi? Adesso siccome siete la moglie, voi

                  lo potete incontrare senza pagare il ticket?

Orabona: Ma…

Melissa:    Statevi zitta, devo prendere un’altra pillola! (Dalla borsa tira fuori delle pillole)

                  E’ arrivato il momento. (Ne prende una e l’ingoia) Mamma mia, questa era più

                  terribile delle altre tre!

Orabona: E basta cu’ ‘sti pillole!

Melissa:    E invece io dico basta con questo schifo, l’Italia deve cambiare. (Si alza in piedi)

                  Per cui, vado prima io dal dottor Perrella, perché io ho pagato il ticket e voi no!

Orabona: (Si alza pure lei in piedi) Signorina, è inutile che ci andate.

Melissa:    E perché?

Orabona: E perché il dottor Perrella non c’è.

Melissa:    Che cosa? Se n’è andato? Ma questo è assenteismo bello e buono!E scusate, se

                  lui non ci sta, voi cosa lo state aspettando a fare? Io lo vado a denunciare. E voi?

Orabona: Aspettate, lasciatemi parlare prima.

Melissa:    Ho capito, voi non lo denunciate perché è vostro marito. Allora adesso vado a

                  farmi restituire i soldi del ticket dalla signora alla casa, e poi denuncio pure a lei.

Orabona: E perché?

Melissa:    Perché non mi ha detto che il dottor Perrella non ci sta. E denuncio pure voi!

Orabona: E perché?

Melissa:    Perché voi siete la moglie del dottor Perrella e vi facevate curare da lui senza

                  pagare il ticket. Statevi bene!

Orabona: No, ma…

Melissa:    Silenzio!

Orabona: No, ma…

                  Melissa esce via a destra, seguita da Orabona che cerca di spiegarsi.

5. [Sasso, Enrico e poi Totore]

                 Da sinistra tornano Enrico e Sasso, tremolanti e pieni di tic nervosi dappertutto.

Enrico:    (Con voce tremolante) A-avete capito, dottò?

Sasso:      S-sì! Nientemeno, m’avìte fatto venì ‘a tremarella pure a me!

Enrico:    M-me pare che stamme abballanno ‘o Twist!

Sasso:      B-basta, jatevénne ‘a casa!

Enrico:    P-però dottò, voi mi avete dato dei calmanti. Ma siete sicuro che mi fanno bene?

Sasso:      N-non vi preoccupate. Io non ne capisco, ma vi faranno sicuramente bene.

Enrico:    O-OK! Arrivederci.

Sasso:      A-arrivederci.

                 Enrico si avvia ad uscire, mentre Sasso cerca di calmarsi.

                 Mamma bella, m’ha fatto venì ‘o nervosismo pure a me, chillo!

                 Ma Enrico torna da lui.  

Enrico:    S-scusate.

Sasso:      A-ancora voi? Cos’altro volete?

Enrico:    V-vi volevo chiedere se posso continuare a bere il vino e pure il caffè.

Sasso:      V-vuje state accussì ‘nguajato, ve vulìte mettere a bevere pure ‘o vino e ‘o ccafé?

Enrico:    P-peccato! A casa io tengo del vino di Gragnano tanto buono.Ve lo porto a voi?

Sasso:      S-sì. Portate, portate.

Enrico:    G-grazie!

                 Enrico si avvia ad uscire, mentre Sasso cerca ancora di calmarsi.

Sasso:      Mamma bella, m’aggia fa’ ‘na cammumilla!

                 Ma Enrico torna da lui.  

Enrico:    S-scusate.

Sasso:      A-ancora?

Enrico:    M-mi sono dimenticato di chiedervi una cosa: ma posso fumare?

Sasso:   M-ma siete pazzo? V-vuje state accussì ‘nguajato, ve vulìte mettere a fumà?

Enrico: P-peccato! A casa tengo dieci stecche di sigarette. Io faccio il contrabbandiere.

Sasso:   E-e datele a me. Io fumo come un turco.

Enrico: G-grazie, dottò! Mi state salvando la vita. A-arrivederci.

              Enrico si avvia ad uscire, mentre Sasso cerca ancora di calmarsi.

Sasso:   Mamma d’’o Carmine, nun se po’ sta’ proprio vicino a chillo!

              Ma Enrico torna da lui.  

Enrico: S-scusate.

Sasso:   E-basta! Ve ne dovete andare!

Enrico: S-subito!

              Enrico esce via definitivamente. Sasso cerca di calmarsi.

Sasso:   Mamma mia, ma chillo è insopportabile!

              Lui continua a polemizzare, mentre entra Totore (‘o cecato) che gli va dietro.

              Uno gli dice di andare, e quello ritorna. Uno gli dice di andare, e quello ritorna.      

Totore: Scusate!

Sasso:   M’avìte dutto ‘e scatole!

Totore: Io? Ma si io ‘int’a ‘stu mumento ve stongo ‘ncuntranno.

Sasso:   Uh, scusate. Io mi pensavo che voi eravate un altro. Prego, avete una visita da fare?

              Andate a pagare il ticket di là.

Totore: No, ma io nun aggia pavà ‘o tickét. Già l’aggio pavato primma.

Sasso:   E allora andate da chi dovete andare. Chi vi serve?

Totore: Ho parlato con la dottoressa Orabona. Voi la conoscete?

Sasso:   Sì. Perché?

Totore: Io aggia avé ‘a penziona d’invalidità. Non è che potete mettere una buona con lei?

Sasso:   Ma vedìte addo’ ve n’ata i’.

Totore: E io non posso vedere. Non ci vedo. Io sono videogioco!

Sasso:   Ma che videogioco? Siete videoleso. Ossia non vedente.

Totore: Esatto.

Sasso:   Uh, scusate, io non sapevo.E purtroppo non posso far niente con la dottoressa            

              Orabona. C’è una commissione dell’INPS che deve valutare il vostro caso.

Totore: E voi non siete niente di buono?

Sasso:   Io sono qualcosa di buono: mi occupo di varie cose, tra cui di medicina del lavoro.

Totore: Bene, io sono pure invalido del lavoro. E’ per colpa del lavoro se ho perso la vista.

Sasso:   Ma perché, che lavoro fate?

Totore: Un lavoro che si fa con gli occhi!

Sasso:   Cioè? Lavorate al computer, lavorate con dei macchinari, lavorate come muratore?

Totore: Faccio tutte e tre cose.

Sasso:   Ma perché, voi fate il muratore con gli occhi?

Totore: Vuje sapite ‘e fatte mie?

Sasso:   Sentite, se siete invalido civile, non potete fare richiesta pure di invalidità di lavoro.

Totore: E allora ch’aggia fa’?

Sasso:   Niente, dovete aspettare che si riunisce la commissione e esamina il vostro caso.

              Non vi preoccupate, andrà tutto bene. (Accenna al gesto dell’ombrello) 

Totore: (Offeso) Ma che fate? Mi sfottete?

Sasso:   No, perché dite questo?

Totore: E voi fate il gesto dell’ombrello.

Sasso:   E… e… vuje comm’’o ssapìte?

Totore:    (Imbarazzato) Ah, ehm… ho sentito lo spostamento d’aria delle vostre braccia!

Sasso:      Addirittura? (Fa la linguaccia e gli ballonzola davanti)

Totore:    E mò pecché me state caccianno ‘a lengua? E poi state facendo con le mani così.

                 (Lo imita) Ve ne approfittate che io non ci vedo! Ma io vi picchio!

Sasso:      A me?

Totore:    Sì! (Brandisce il bastone) Venite qua, fatevi piachciare!

                 Totore lo rincorre per la stanza.

Sasso:      Calmo, calmo! Ma come mi fate a rincorrere se non mi vedete?

Totore:    Sento ‘o spostamento d’aria pe’ dint’’a stanza! 

Sasso:      Aiutooo!

Totore:    Fermooo!

                 Lo rincorre via al centro.

6. [Orabona e Melissa. Poi Gennaro]

                  Da destra tornano Melissa e la dottoressa Orabona.

Melissa:   (Scandalizzata) La signora che deve stare allo sportello dell’accettazione non sta

                  al suo posto. Che schifo!

Orabona: Va bene, ma adesso si calmi. La troviamo subito, la signora.

Melissa:    Signò, io songo malata e voglio essere curata.

Orabona: E va bene, la curo io.

Melissa:    Ma perché, voi sapete curare?

Orabona: E certo, io sono una dottoressa. Prego, mi dica cosa si sente.

Melissa:    E adesso ve lo dico. (Si tocca il petto dal lato destro) Mi fa male il cuore.

Orabona: Ma il cuore sta a sinistra.

Melissa:    Sì, ma a me il cuore mi va a sinistra e a destra. Fa tic e tac, tic e tac!

Orabona: E che ssite, ‘n’orologio a pendolo?

Melissa:    Voi sapete i fatti miei? Su, che medicina ci sta?

Orabona: Prendete qualche calmante e tutti vi passa. Arrivederci!

Melissa:    Ma che arrivederci? Io tengo ancora il mal di fegato.

Orabona: Sentite, il fegato non fa male.

Melissa:    (Si tocca sulla testa) Ma come, io lo sento.

Orabona: Ma perché, voi il fegato lo tenete in testa?

Melissa:    E che ci sta in testa?

Orabona: Il cervello.

Melissa:    E il fegato dove sta?

Orabona: Sulla parte destra della pancia.

Melissa:   (Stupita) Cioè, io tengo il cervello in testa e il fegato nella pancia destra? E allora

                  songo anormale!

Orabona: Ma che state dicendo? E’ tutto nella norma. Arrivederci!

Melissa:    Ma che arrivederci? Io tengo ancora altri dolori. Mi fa male il piedone.

Orabona: Quale? Il destro oppure il sinistro?

Melissa:    Quello di dietro.

Orabona: Ma perché, voi tenete tre piedi?

Melissa:    No, tengo due piedi e un piedone. Il piedone è quello che sta dietro al polpaccio.

Orabona: Ma quello non si chiama piedone. Si chiama “perone”!

Melissa:    Eh, quello là. Sono stata pure a fare la visita dall’ortofrutticolo!

Orabona: Dall’ortopedico. E cosa vi ha detto?

Melissa:   Mi ha fatto fare la fotografia.  

Orabona: La radiografia.

Melissa:   E non è uscito niente, però a me mi fa male.

Orabona: Sentite, io ho il sospetto che voi siete un tantinello ipocondriaca.

Melissa:   (Piangente) Avete visto, dottoressa? Tengo questa brutta malattia. Posso chiedere

                  la pensione di invalidità?

Orabona: Pure? E qua sono tutti quanti invalidi! Signorina, torni pure a casa tranquilla.

Melissa:   E le medicine?

Orabona: Ma no, basta così. Lei sta bene.

Melissa:   (Si arrabbia) Ma che scandalo è chisto? ‘Na povera guagliona comm’a me nun se

                  sente bona e nisciuno ce vo’ prescrivere ‘e medicine. (Dalla borsa estrae un   

                  tirapugni e lo punta verso di lei) Voglio parlà cu’ ‘o duttor Perrella.

Orabona:(Intimorita) Signorina, ma adesso non ci sta. E poi faccia attenzione, qui dentro

                  ci sono le telecamere che la inquadrano con la pistola in mano.

Melissa:    Nun è ‘o vero. S’hanne scassate!

Orabona: Ah, sape pure questo?

Melissa:    Sì! E adesso voglio parlare con un medico che mi prescrive le medicine gratis.

Orabona: E va bene, lo faccio io. Non sarebbe proprio la mia mansione, ma conosco il

                  farmacista qua fuori. Vada da lui a nome mio.

Melissa:    Sì, però dovete scrivere i menù!

Orabona: Che menù? Si chiamano ricette. E va bene, andiamo nel mio ambulatorio.  

Melissa:    Ma pecché, vuje faticate ccà ddinto? ‘Sta piezza ‘e disgraziata! E nun ‘o ddicite?

Orabona: E non ho avuto tempo. Venite, andiamo, andiamo.

                  Orabona va a sinistra, con Melissa che le tiene puntato il tirapugni dietro. Dal

                  centro entra Gennaro.

Gennaro: Tengo ‘o sospetto ch’’a dottoressa Orabona me vo’ fa’ fesso. E allora… (Tira

                  fuori una pistola dalla tasca) Io aggia avé assolutamente ‘a penziona ‘e

                  ivalidità. Nun tengo lavoro e nun voglio faticà. Mò aspetto ch’aésce, e so’ guaje!

                  Gennaro si nasconde a destra. Da sinistra torna Orabona.

Orabona: Mamma mia, ho rinchiuso quella tizia nell’ambulatorio del dottor Sasso. Meno

                  male che lui non c’è! Forse già sarà andato via.

                  Da destra, pian piano, giunge Gennaro verso Orabona (che intanto seguita).

                  Adesso vado a chiamare la polizia per far arrestare a quella matta!

Gennaro: (Estrae la pistola e la punta verso lei) Gnagni in gnagno!*       *(dice: “Mani in alto”)

Orabona: (Lo osserva) Prego?

Gennaro: Gnagni in gnagno!

Orabona: Ma non vi capisco.

Gennaro: (Gli mostra la pistola)Gnagni in gnagno!

Orabona: Ah, state dicendo “mani in alto”! Subito! (Tira su le mani) Chi schifo ‘e jurnata!

                  Prego, dite pure cosa vi occorre.

Gennaro: Gnio gnogno Gnegnaro Gnesposito. Gni gnicordate di gne?

Orabona: Aspettate, forse capisco: voi siete Gennaro Esposito, il signore di prima, il muto.

Gennaro: Gnesatto! Gnava!

Orabona: E che cosa volete con questa pistola? Perché me la puntate contro?

Gennaro: Gnerché gnoi gni gnovete gniurare gne io gnavrò la gnesione gni gninvalidità.

Orabona: Sentite, io non vi capisco. Mi dispiace. 

Gennaro: Gnun gnomento. (Le cede la pistola, prende un taccuino ed una penna e scrive)

Orabona: State scrivendo? Ma che cos’è? Un gioco?

Gennaro: (Le mostra ciò che ha scritto) Gneggete!

Orabona: (Legge) “Gnoi gni gnovete gniurare gne io gnavrò la gnesione gni gninvalidità”.               

                  Ma qua è scritto tale e quale a come lo avete detto voi!

Gennaro: Gne io scrivo gnale e gnale a gnome parlo!

Orabona: Scrivete tale e quale a come parlate? E come faccio a capirvi?

Gennaro: Gnottoressa, gna gnensione gni gninvalidità, gna gnensione gni gninvalidità!

Orabona: Ah, forse ho capito: voi volete la certezza della pensione di invalidità. Se no?

Gennaro: (Indica la pistola che lei tiene in mano e che punta verso lui) Gne gno gni sparo!

Orabona: Se no mi sparate? Ma la pistola la tengo io, non voi!

Gennaro: Gne la gnessa gnosa.

Orabona: E’ la stessa cosa? E vabbé. Andiamo nel mio ambulatorio e faccio una telefonata.

Gennaro: Gnazie!

Orabona: Gnego! Cioè, prego!

                  Orabona si punta la pistola addosso e va a sinistra, seguita da Gennaro.

7. [Sasso e Totore. Poi Vincenzo. Poi Orabona]

                  Dal centro torna Sasso con le mani in alto, seguito da Totore col bastone                    

                  puntato alle spalle del primo.

Totore:     Volevate scappare, eh! Adesso se non fate quello che vi gho chiesto, sono guai!

Sasso:       E va bene, adesso vi porto dalla dottoressa Orabona.

Totore:     Ma state facennno ‘o furbo?

Sasso:       No, quale furbo? Io sono un imbecille!  

Totore:     E se vede d’’a faccia che tenìte!

Sasso:       Scusate, come fate a vedere che tengo la faccia da imbecille?

Totore:     Ehm… si sente dallo spostamento d’aria della vostra voce!

Sasso:       Niente di meno?

Totore:     E mò jamme add’’a dottoressa Orabona.

Sasso:       Calmo, calmo.

                  I due escono a destra. Dal centro giunge Vincenzo.

Vincenzo: Tengo ‘o sospetto ch’’a dottoressa Orabona me vo’ fa’ fesso. E allora… (Dalla

                  tasca tira fuori un coltello da cucina) Io aggia avé assolutamente ‘a penziona ‘e

                  ivalidità. Nun tengo lavoro e nun voglio faticà. Mò aspetto ch’aésce, e so’ guaje!

                  Si nasconde a sinistra. Da destra torna Sasso.

Sasso:       Ecco qua, aggio chiuso a chillu pazzo cu’ ‘o bastone ‘into all’accettazione.   

                  Accomme torna ‘a signora Rosa, s’’o chiagne essa! Adesso vado a prendere la

                  mia roba nel mio ambulatorio e poi me ne vado!

                  Da sinistra torna Vincenzo col coltello puntato.

Vincenzo: Mani in alto!

Sasso:       Uh, mamma bella! Ma che cacchio sta succedenno, oggie?

Vincenzo: Ditemi una cosa, voi chi siete? Che cosa avete detto? Fatevi capire, io so’ surdo!

Sasso:       E ‘nu mumento! Nun aggio ancora risposto ‘a primma domanda. Dunque, io

                  sono il dottor Sasso. Avete capito? Dottor Sasso.

Vincenzo: Dottor Masso?

Sasso:       Sasso!

Vincenzo: Mazzo?

Sasso:        Sasso!

Vincenzo: Ma mò pecché dicìte ‘e pparolacce?Io ve stongo parlanno educatamente.

Sasso:        Educatamente cu’ ‘nu curtiello ‘nmana? 

Vincenzo: Sentite, dottor Mazzo, io ho parlato con la dottoressa Orabona perché devo avere

                   la pensione di invalidità. Ma voi non potete mettere una parola buona con lei?

Sasso:        Pure? Ma chiste m’avéssene pigliato p’’o presidente ‘e ll’INPS?

Vincenzo: (Amaro) Ecco, io lo sapevo. Ho sbagliato a tornare in Italia. Io stavo tanto bene

                   in America. Voi sapete dove sta l’America?

Sasso:        E certamente. Sta in America!

Vincenzo: No, non vi sento. Comuqnue l’America è un posto meraviglioso. Pensate, per

                   ogni cosa che volete fare, ci sta una città apposta. Se per esempio volete vedere

                   un romanzo? Andate a Dallas. Volete mangiare un formaggino? Andate a

                   Filadelfia. Vi fa male la pancia? Andate a Chicago!

Sasso:        Bello, bello! Sentite, ma io non posso fare niente per voi.

Vincenzo: Comme?

Sasso:        Non posso fare niente per voi. 

Vincenzo: E io ve sparo.

Sasso:        Col coltello? Vabbé, è inutile che vi spiego. Venite, andiamo nel mio gabinetto.

Vincenzo: Comme?

Sasso:        Nel mio gabinetto. (Tra sé e sé) Mò a chisto ‘o porto overamente ‘int’’o

                   gabinetto, lo chiudo dentro, e ‘o lasso lloco! (Poi a Vincenzo) Prego, seguitemi!

Vincenzo: Comme?

Sasso:        Venite cu’ me!

                   I due escono a sinistra. Poco dopo, Sasso torna seguito da Orabona.

Orabona:  Ma che hai fatto? Hai chiuso quel tizio nel tuo ambulatorio?

Sasso:        E si capisce. Quel tizio mi voleva sparare con un coltello!

Orabona:  Ah, ma è pazzo?

Sasso:        No, è sordo!

Orabona:  Io non ci sto capendo niente.

Sasso:        E nemmeno io. Quel tizio dice di aver parlato con te a proposito della pensione

                   di invalidità. Mi ha chiesto di mediare nei tuoi confronti per fargliela ottenere.

Orabona:  Ah, ora ricordo dove l’ho visto. Caro Sasso, mi sono cacciata proprio in un bel

                   guaio. Devo preparare dei documenti per convincere la commissione a far avere

                   la pensione a tre tizi. Uno di loro è quello che è chiuso nel tuo ambulatorio.

Sasso:        E che te ne frega? Tu hai fatto il tuo dovere.

Orabona:  Aspetta a parlare. Quei tre sono falsi invalidi.

Sasso:        Peggio che andar di notte.

Orabona:  Non ho ancora finito. Quei tre mi hanno vista uscire dal lavoro prima del

                   termine dell’orario. Se mi denunciano, è la fine.

Sasso:        Orabona, non sarai mica la prima dottoressa che esce in anticipo dal lavoro?

Orabona:  Mi hanno sentita parlare al cellulare con mio marito.

Sasso:        A proposito di tuo marito, ha commentato la tua foto su Fessobuk! Ma pure lui è

                   iscritto a Fessobuk?

Orabona:  Sasso e tu te miette a penzà a Fessobuk? Io sto pensando che tengo rinchiusa

                   una persona nel mio ambulatorio ed un’altra nell’ambulatorio di mio marito.

Sasso:        E io ne tengo rinchiuse due: una nel mio ambulatorio, l’altra all’accettazione.

Orabona:  Cosa si fa?

Sasso:        Chiamiamo la polizia.

Orabona:  Si’ pazzo? Quelli scoprirebbero che molti nostri colleghi non sono al loro posto 

                   di lavoro. E tra questi ci sta pure mio marito.

Sasso:        Ma tuo marito non è di festa?

Orabona:  Appunto! Ma come al solito, gli assenteisti non passeranno nessun guaio, mentre

                   mio marito, che è nel suo pieno diritto di assentarsi, rischierebbe grosso!

Sasso:        Questa è l’Italia!

Orabona:  Senti, mi è venuta un’idea: dobbiamo fare in modo che quei quattro si ritrovino

                   in un’unica stanza. Dopodiché gli diamo quello che cercano e il gioco è fatto.

Sasso:        (Tira fuori il cellulare e lo predispone per un selfie) Facciamo prima un selfie?

Orabona:  Jammuncénne, miezu scé!

                   Lo tira per il braccio via a sinistra.

8. [Concetta ed Enrico. Infine Sasso e Orabona]

                  Dal centro entrano Concetta, donna depressa, ed Enrico, facendo a gara a chi

                  entra primo.

Concetta: Aggio vinciuto io!

Enrico:     (Sempre tremolante anche nella voce) Non vale, voi mi avete spinto qua fuori.

Concetta: E che me ne ‘mporta?Adesso vado a pagare il ticket e poi corro dal dottor Sasso.

Enrico:     Per la medicina del lavoro?

Concetta: Sì. Vedete, io sono una donna molto depressa.

Enrico:     E che ce azzecca ‘a depressione?

Concetta: Ci azzecca, ci azzecca.  

Enrico:     E che lavoro fate?

Concetta: Io? I colloqui di lavoro.

Enrico:     Alla vostra età? 

Concetta: E ch’aggia fa’? Nun aggio maje truvato ‘nu fetente ‘e lavoro! O sono stata troppo

                  giovane per alcuni lavori, o sono troppo vecchia per altri, o sono troppo istruita

                  per altri ancora, o sono troppo ignorante per altri. In pratica, nisciuno m’ha maje

                  vuluta e nisciuno me vo’!

Enrico:     E come avete fatto a vivere fino ad oggi?

Concetta: Io abito con papà. Fino a tre mesi fa ci stava pure mammà. Poi se n’è volata al

                  cielo ed ora mi resta solo il mio babbo. Se se ne va pure lui, io che fine faccio?

Enrico:     Signora vi capisco. Permettete? Enrico!

                  Le stringe la mano, ma la sua è tremolante e così tremano tutti e due.

Concetta: Néh, uhé, ma che stamme facénno? (Tira via la mano) Mamma bella!

Enrico:     Signò, non ci fate caso. E voi come vi chiamate?

Concetta: Concetta. Ma non vi permettete di corteggiarmi, perché sono già sposata!

Enrico:     Scusate, ma voi non vivete con vostro padre?

Concetta: Sì, però sono sposata con mio marito che è disoccupato pure lui. Vive a casa dei

                  suoi genitori.

Enrico:     Embé, e col dottor Sasso che cosa intendete fare?

Concetta: ‘A verità? Se non mi aiuta, mi voglio suicidare davanti a lui!

Enrico:     E chi v’’o ffa fa’?

Concetta: La disperazione. E ora vado a pagare il ticket. Non mi distraete. Con permesso.

                  Esce via a destra.

Enrico:     E che me ne ‘mporta? Io già l’aggio pavato, ‘o ticket! (Si siede su una sedia)

                  Da sinistra tornano Orabona e Sasso.

Orabona: Bravissimo, Sasso! Hai rinchiuso tutti e tre nell’ambulatorio tuo!

Sasso:       Adesso dobbiamo recuperare il quarto tizio, il non vedente.

Orabona: Pensi che ci ascolteranno?

Sasso:       Per fortuna che adesso non ci sta nessuno che ci ascolta.

Enrico:     (Si alza in piedi e va in mezzo ai due) Scusate una parola!

Sasso:       Ancora voi? Ma non ve n’eravate andato?

Orabona: Ma chi è lui?

Enrico:     Mi chiamo Enrico.

Sasso:       Per piacere, Orabona, non perdere tempo con lui.

Enrico:     (La squadra da testa a piedi) Ah, voi siete la famosa dottoressa Orabona. Allora

                  mi faccio curare da voi. Io sono un uomo esaurito! Che terapia mi consigliate?

Orabona: (Fredda) Andatevi a suicidare!

Enrico:     (Sorpreso) Mi debbo suicidare?

Orabona: Trenta gocce di arsenico e non sentirete niente. Nemmeno ve ne accorgerete.

Enrico:     Ma se poi muoio, rinuncio a vedere le vostre belle forme! E voi state messa bene.

Orabona: Date retta a me, è meglio che non vivete più. Troppi problemi. Vi conviene?

Enrico:     (Si commuove) Dottoressa, forse avete ragione. Mò mi vado a comprare quella

                  cosa che avete detto voi.

Orabona: Arsenico.

Enrico:     Appunto! Addio per sempre. E pure a voi, dottor Sasso. Peccato che ho mandato

                  a casa vostra tutto il mio vino e le mie sigarette.

Sasso:       Un momento, ma voi come fate a sapere dove abito?

Enrico:     Visto che devo morire, posso confessarlo: sapete che mestiere faccio io? Il ladro!

                  Esce via al centro. Sasso commenta con Orabona chi è Enrico.

Sasso:       Cioè, chillo è ‘nu marjuolo? E è venuto a arrubbà ‘int’’a casa mia?!

Orabona: Che ti importa? Adesso pensiamo a quelli là dentro.

Sasso:       No, io aggia primma fa’ ‘na paliata a chistu tizio che mò se n’è gghiuto.

Orabona: Ma..

Sasso:       Silenzio!

                 Sasso esce al centro, seguito da Orabona che cerca di fargli cambiare idea.

9. [Totore e Concetta. Poi Gennaro e Vincenzo. Infine Melissa]

                  Da destra tornano Concetta e Totore sottobraccio.

Totore:     Signò, grazie che mi avete fatto uscire da dentro all’accettazione.

Concetta: Sì, ma pecché site asciuto? Io aggia pavà ‘o ticket.

Totore:     Signò, ma che me ne ‘mporta a me ch’ata pavà ‘o ticket?

Concetta: Eccolo qua! Avete la fortuna che trovate un posto di lavoro e non ve lo meritate

                  nemmeno! Ma io vi porto in televisione.

Totore:     Signò, ma ch’ate capito?

Concetta: Basta, è inutile che parlate. Datemi un poco il vostro bastone.

Totore:     ‘O bastone?

Concetta: Mettìte ccà. (Glielo tira di mano) Mi voglio togliere la vita col vostro bastone!

Totore:     Signò, stàteve ferma cu’ ‘o bastone mio! (Lo afferra)

Concetta: E invece no. Lasciate, lasciate!

                  Ne nasce una disputa tra i due che vanno all’indietro sulle sedie. Intanto da

                  sinistra tornano Gennaro e Vincenzo, litigando.

Vincenzo: ‘A dottoressa Orabona l’aggio vista primm’io!

Gennaro:  Gne gne gne gne gne!

Vincenzo: Comme?

Gennaro:  Gne gne gne gne gne!

Vincenzo: Nun aggio capito.

Gennaro:  Aggio ditto: è inutile che ffaje ‘o surdo, tanto ‘o ssaccio che ce siente buono!

Vincenzo: Ma io t’aggia struppià!

                   I due si afferrano la gola e si sbatacchiano verso destra, dimenandosi a terra.

                   Da sinistra torna Melissa con la pistola in mano (e una busta nell’altra).

Melissa:    Ma che sta succedenno, ccà ddinto? Bastaaaa! (Spara un colpo in aria)

                   Gli altri si fermano e la osservano.

Vincenzo: Ma chella è ‘a pistola mia.

Melissa:    Silenzio! Io non ho rotto le porte degli ambulatori dove eravamo prigionieri per

                   litigare. Noi dobbiamo occupare la ASL, fin quando qualcuno non ci ascolterà.

Concetta:  (Lascia il bastone a Totore) Tieniti il bastone! Non mi serve più. (Va da

                   Melissa) Scusate, signurì, me putìte prestà ‘nu poco ‘a pistola?

Melissa:     A che vi serve?

Concetta:  M’aggia sparà ‘nu mumento!

Melissa:     Signora, qua non si spara nessuno. Noi dobbiamo combattere contro la

                   malasanità. E per fare ciò, dobbiamo essere tutti uniti.

Gennaro:  (Si rialza e si ricompone) Ha ragione la signorina.Non è giusto che mi trattano

                   male soltanto perché sono muto!

                   Gli altri lo osservano perplessi. Lui allora, imbarazzato, ci mette una toppa.

                   Gne gne gne gne gne!

Vincenzo: Io propongo di prendere in ostaggio la signora Rosa, quella dell’accettazione.

Concetta:  Quella dell’accettazione? Ma allora all’accettazione non ci sta il signore cieco?

Totore:      (Le si avvicina polemico) Signò, ma io songo ‘nu povero non vedente.

Concetta:  (Ironica) E se vede!

Melissa:     Insomma, basta. Quando mi trovavo nella stanza del dottor Sasso, mi sono

                   fregata un sacco di medicine! Tra poco comincerò a prenderle tutte quante! Da

                   questo momento comincia l’occupazione della ASL!

Concetta:  E reciteremo pure un bel Rosario!

Gli altri:    Noooo!

Concetta:  Va bene, me lo recito da sola, il Rosario. Io sono una donna religiosa e senza

                   malizia. Mamma mia, che gente ‘e tre sorde che site!

Melissa:     Allora andiamocene tuttinella stanza dell’accettazione.

Gli altri:    Sìììì!

Totore:      Scusate, però io aggia avvisà primma a mia moglie Nunziatina.

Vincenzo:  E che le dovete dire?

Totore:      Le devo dire che viene qua. M’ha da purtà ‘a frittata ‘e carciòffele!

Gennaro:   Miezu scemo, a te e ‘a frittata ‘e carciòffele!

                   Gennaro e Vincenzo lo prendono sottobraccio e con le altre due vanno a destra.

FINE ATTO PRIMO

            La solita ASL. E’ il giorno dopo. I sei ribelli hanno occupato la struttura. Infatti sulla porta di ingresso campeggia uno striscione che dice: ASL occupata.

ATTO SECONDO

                  

1. [Orabona e Sasso. Poi Concetta. Infine Enrico]

                  Al centro ci sono Orabona e Sasso (senza i rispettivi camici). Lui è al telefono.

Sasso:       Commissario, hanno occupato la ASL. Sono in sei. Hanno preso in ostaggio la

                  signora dell’accettazione. E non capisco perché devo parlarci io, con loro. Che ci

                  mettete? Fate un’irruzione armata e sparate a tutti e sei come stanno! Come dite?

                  Non si può? E va bene. Ci aggiorniamo. Arrivederci. (Chiude la telefonata) He’

                  capito, Orabona? Il commissario vuole che io parli con i ribelli. La polizia non

                  muoverà nemmeno un dito. Fortuna che tu mi darai una mano.

Orabona: A chi? Io nun saccio niente. Il commissario ha detto che te la devi sbrigare tu, e

                  tu te la sbrigherai. Su, forza, vai dentro e parla con loro.

Sasso:       (Sdegnato) Ma che amica che sei!

Orabona: Sasso, io me songo proprio scucciata ‘e tutte chesta storia. Stiamo da ieri qui

                  dentro. Basta, voglio andare a casa.

Sasso:       Ma non ci vogliono far uscire. Se tu metti piede fuori alla ASL, ci sta una pistola

                  puntata verso l’esterno che ci sparerà.

Orabona: ‘E che pasticcio! Non ci sta nemmeno mio marito.

Sasso:       Buono, quello. Ti ha abbandonata e se n’è scappato non si sa dove. E tu pensi

                  ancora a lui. Orabona… Mafalda, io sono un uomo libero. (Guardandogli la

                  zona dei seni) E tu sei bon… ehm… sei una cara persona!

Orabona: E’ inutile che mi allisci, con me non funziona. Per cui, parlaci tu con i ribelli.

Sasso:       E va bene. In questo momento mi sento come un delegato ONU che deve parlare

                  con quelli dell’ISIS!

Orabona: Esagerato! Quelli sono pur sempre esseri umani come me.

Sasso:       Ma pecché, io nun songo ‘n’essere umano?

Orabona: E va bene, lo sei anche tu.

                  Da destra giunge Concetta che richiama l’attenzione dei due con un urlo.

Concetta: Néh, uhéééé!

Sasso:       (A Orabona) E chella fosse ‘n’essere umano?

Orabona: Beh, effettivamente! Io direi, ascoltala con fiducia.

Sasso:       E tu che ffaje?

Orabona: Mi metto in disparte e vi ascolto.

Concetta: E allora ch’amma fa’?

Sasso:       Orabò, nun me lassà a me sulo cu’ chesta.

Orabona: E va bene, io resto nelle vicinanze. E se le cose si mettono male, me ne scappo!

Sasso:       Come sei coraggiosa! Va bene, ci parlo io con quella specie di donna.

Concetta: (Si avvicina a lui) E allora, ce vo’ tiempo?

Sasso:       (Ruffiano) Eccomi a lei, signora cara e dolce!

Concetta: Dolce a chi? Ma chisto è scemo?

Sasso:       Allora senza dolce. Dica tutto, signora.

Concetta: (Amara) Ho la depressione. Non trovo lavoro. Duttò, vuje nun putìte fa’ niente?

Sasso:       (A Orabona) Chesta ha pigliato ‘a ASL p’’o collocamento! (Poi a Concetta)

                  Signora, mi dispiace. Io mi occupo di medicina del lavoro.

Concetta: E allora datemi una medicina per trovare lavoro!

Sasso:       Forse non mi sono spiegato.La medicina del lavoro si occupa della prevenzione,

                  della diagnosi e della cura delle malattie causate dalle attività lavorative. Ora,

                  giacché lei non lavora, non può avere queste patologie. Ha capito?

Concetta: (Amara) Sì, sì. E ‘a dottoressa vicinia  vuje nun po’ ffa’ niente manco essa?

Orabona: Mi dispiace, signora.

Concetta: E allora mò me suicido annanzo a vuje.

Orabona: Ma no, signora, andatevi a suicidare in un altro posto.

Sasso:       Ma cosa dici? La mia collega scherza. Signora, la vita è bella. La viva in pace.

Concetta: Duttò, ma comme faccio a vivere in pace? Il lavoro non ci sta e devo vivere

                  lontana da mio marito che nemmeno lui tiene lavoro. Poi devo pagare pure le

                  medicine. E infine, vengo qua e non funziona niente. Forse voi vivete in pace,

                  perché tenete il lavoro, lo stipendio, la famiglia unita e la salute.

Sasso:       E non è colpa mia. Vada a prendersela con chi di dovere.

Concetta: No, no e no. Io voglio un certificato che mi fa trovare lavoro. E me lo darete voi!

Sasso:       Noi?

Concetta: Non voi. Voi!

Sasso:       E io che ho detto?

Orabona: Ma lei sta dicendo tu.

Sasso:       Ma se quella dice “voi”, perché devo pensare che sta dicendo “tu”?

Concetta: Duttò, nun facìte ‘o fesso. Fate quello che vi ho detto, se no faccio zumpà ‘a ASL

                  ‘e ‘n’aria! E io ‘o ffaccio! Capito? (Si volta e si avvia verso destra) Nun ce ‘a

                  faccio cchiù, voglio murì, voglio murì…!

                  Ed esce così a destra, sempre ripetendo l’ultima frase.

Sasso:       Ma pecché nun more overamente, chella?

                  Da sinistra entra Enrico.

Enrico:     (Voce tremolante) Voglio murì, voglio murì…!

Sasso:       Aéh, n’è arrivato ‘n’ato!

Orabona: Ah, lei sta un’altra volta qua?

Enrico:     Dottoressa, io ho fatto quello che mi avete detto voi: ho cercato di suicidarmi con

                  l’arsenico. Ma non mi ha fatto niente. Acqua fresca!

Orabona: E allora deve provare col cianuro.

Enrico:     E mò aspettavo a vuje? Io mi sono bevuto pure la nitroglicerina, ma niente.

                  Secondo me, si me magno ‘a boma atomica, ‘a digerisco cu’ ‘nu ruttino!

Sasso:       Senta, ma lei pure ha occupato questa ASL?

Enrico:     No, però quei cinque mi sembrano tutti strani. Io li assecondo perché pare brutto.

Sasso:       Pare brutto? Ma lei lo sa che si va in galera?

Enrico:     E non possono darmi la pena di morte? Pecché io voglio murì, duttò! Mi capite?

Sasso:       A proposito, nel mio ufficio, e precisamente sulla mia scrivania, avevo lasciato la

                  fede nuziale e una collanina d’oro. Non li ho trovati più. Lei ne sa niente?

Enrico:     Ah, ma erano vostri? E lo dicevate. Dottore, io veramente, non sapendo dove

                  nasconderli, li ho inghiottiti!     

Sasso:       Che cosa? Andiamo subito dentro, così vi faccio una lavanda gastrica!

Orabona: Ma noi non facciamo lavande gastriche.

Sasso:       Non fa niente, io gli faccio il pronto soccorso! Jammuncénne!

                  Escono a sinistra (Sasso tira via per il braccio Enrico).

2. [Vincenzo e Melissa. Poi Gennaro e Totore]

 

                  Da destra tornano Vincenzo e Melissa.

Melissa:    Signor Vincenzo, ma voi avete vissuto veramente in America?

Vincenzo: Azz! Per cinque anni.

Melissa:    Lavoravate lì?

Vincenzo: Sì, lavoravo come telefonista. Però mi hanno licenziato perché sono sordo!

Melissa:    E come avete fatto a trovare un lavoro ai telefoni, se siete sordo?

Vincenzo: E quando mi chiamavano, io gli leggevo le labbra.

Melissa:    Leggevate le labbra attraverso il telefono? Ma che ddicìte? Io nun ve capisco.

Vincenzo: (Si vanta) Eh, cara mia, tu stai in mano all’arte! Poi però mi hanno cacciato

                  perché io non conoscevo ancora la lingua inglese. Ma adesso la conosco.

Melissa:    Veramente? E fatemi sentire.

Vincenzo: Eh, adesso non mi ricordo tutto. Per esempio, lo sai come si dice “amici” in

                  inglese? Ftients! Se io e voi siamo amici, siamo due ftients!

Melissa:    Ma non si dice ftients! Si dice “friends”. Questa la so perché è facile.

Vincenzo: Overamente? Forse aggio capito pecché se so’ offesi!

Melissa:    E conoscete qualche altra parola?

Vincenzo: E certo. Whisky! Computer! Whatspapp! Facebook!

Melissa:    (Perplessa) Mah! (Poi impaziente) E le medicine come sono? Uguali alle nostre?

Vincenzo: Beh! Secondo me, sì.

Melissa:    E non si potrebbero avere qui in Italia? Che so io? Ce le possono spedire.

Vincenzo: Chesto nun ‘o ssaccio.

Melissa:    Ci vorrebbero ora. Ho un mal di testa! Potete controllare? (Gli mostra la fronte)

Vincenzo: E mica ve pozzo fa’ ‘nu buco ‘ncapa?

Melissa:    E già, voi siete sordo. Ma lo sapete che in questo momento anche io ci sento un

                  po’ di meno. Ma non è che mi avete mischiato la sordità?  

Vincenzo: (Ironico)Eh, sì, v’aggio mischiato ‘a rosolia!

Melissa:    No, ma a parte gli scherzi. Qua ci stanno strani virus, nell’aria.

Vincenzo: Signurì, io sono diventato sordo per colpa del lavoro che facevo.

Melissa:    Quello al telefono?

Vincenzo: No, è successo prima. Io lavoravo in una fabbrica dove si producono quei

                   bastoncini per pulire le orecchie. Io dovevo provare i bastoncini. E provali oggi,

                   provali domani, le orecchie non ci hanno sentito più. 

Melissa:     Che peccato che siete sordo. Avrei voluto farmi quattro chiacchiere con voi!

                   Melissa va a sedersi su una delle tre sedie e si rilassa. Intanto da destra 

                   giungono Gennaro e Totore che litigano.

Totore:      Io me ne voglio turnà ‘a casa. He’ capito? Mia moglie ha priparato ‘a frittata ‘e

                   carciòffele!

Gennaro:  Gne gnia gnoglie gna gniparato ‘o gnasatiello!

Totore:      Eh?

Gennaro:  ‘O gnasatiello!

Totore:      Comme?

Gennaro:  ‘O casatiello!

Vincenzo: Néh, ma ‘a vulìte fernì tutt’e dduje ‘e ve lamentà sempe? Si è pe’ chesto, mia

                   moglie ha priparato ‘o gattò* ‘e patane! Però amma sta’ ccà e nun ce n’amma i’.

Melissa:    (Si alza in piedi e si pone tra di loro) E si capisce. Se prima lo Stato non ascolta i

                   nostri bisogni, da qui non se ne va nessuno. Capito?

Totore:     Scusate, signurì, ma eventualmente, nun putìmme turnà ‘a casa? Stanotte

                  dormiamo con le nostre famiglie e domani mattina torniamo qua, freschi e tosti!

Melissa:    Dormire con le famiglie? La lotta è fatta anche di privazioni. Io tengo tutte le

                   malattie del mondo, ed invece eccomi qua a combattere per una sanità più forte!

Gennaro:  Gnusate, gnignorina,gna gnoi gna siamo qui da ieri. Gnio gnurtroppo gnengo un

                   lavoro! Gna a finire gne gni licenziano!  

Melissa:    Scusate, signor Gennaro, non ho capito cosa mi avete detto.

Vincenzo: Ha detto che lui purtroppo tiene un lavoro! Va a finire che lo licenziano!  

Totore:     Ma vuje site surdo, nun ate capito proprio niente. Chillo ha dittoche lui

                  purtroppo tiene un lavoro! Va a finire che lo licenziano!

Vincenzo: E io nun aggio ditto ‘a stessa cosa?

Melissa:    Basta! Smettiamola. Voi li volete ancora i vostri certificati per l’invalidità?

Tot&Vin: Sììì!

Gennaro:  Gnììì!

Melissa:    E allora dobbiamo essere compatti. Noi abbiamo scoperto che in questa ASL ci

                  sono: assenteismo, pressappochismo, maleducazione, mancanza di

                  professionalità. Bisogna denunciare tutto questo.

Gennaro:  Gnava!

Vincenzo: Ha detto: “Brava”!

Totore:     Ma a me me dispiace ‘e denuncià ‘a dottoressa Orabona! Chella è accussì bona!

Melissa:    Ecco il grave errore! Ecco il motivo per cui la sanità in Italia va a rotoli! Ecco

                  perché ci tratteranno sempre come mosche. Ci schiacceranno. E sapete di chi è la

                  colpa? Della dottoressa Orabona perché è bona!

Totore:     Non ci avevo pensato.

Melissa:    Finché ci sarà la disoccupazione e dovremo pagare le medicine, non potremo

                  comprarci nemmeno un vestito nuovo. Voi, signor Gennaro, da quanti anni avete

                  quel vestito addosso?

Gennaro:  Gnil gnio gnestito qui gnesente tiene gniuecento anni!

Totore:     Comme?

Vincenzo: Ha detto che quel vestito che tiene addosso ha duecento anni.

Gennaro:  Gne gnagnartenuto gna gnio gnogno gne era un gnaribaldino!

Vincenzo: E’ appartenuto a suo nonno che era un garibaldino!

Totore:     E saje che ce sta lloco ddinto?! ‘E perucchie ‘e Garibaldi!

Melissa:    Basta con le chiacchiere! Adesso andiamo a scrivere il documento su cui

                  poniamo le nostre condizioni allo Stato! E lo firmiamo tutti. Va bene?

Tot&Vin: Sììì!

Gennaro:  Gnììì!

Melissa:    In marcia!

                  Escono via a destra.

3. [Enrico e Orabona. Poi Concetta]

 

                  Da sinistra tornano Orabona ed Enrico che, esausto, tiene una mano sul ventre.

Enrico:     Ah, mamma mia, dottoressa. ‘O collega vuosto m’ha fatto ‘na lavanda gastrica,

                  m’ha svuotato tutta ‘a panza!

Orabona: Il mio collega è fatto così: quando fa le cose, o le fa completamente, o nulla.

Enrico:     L’hanna accidere!

Orabona: La penso come lei! Ora mi scusi, col suo permesso, mi posso fare una canna?

Enrico:     Eh?

Orabona: Le ho chiesto se posso farmi una canna.

Enrico:     Vi volete mettere a pescare?

Orabona: Pescare?

Enrico:     E che si fa con la canna? Nun se va a piscà?

Orabona: Ma io non mi riferivo ad una canna da pesca, mi riferivo alla canna che si fuma.

Enrico:     ‘A droga?

Orabona: Stia zitto, cosa urla? Si tratta solo di una innocente fumata di erba. Tutto qua.

Enrico:     Dottoressa, nelle ASL non si fuma.

Orabona: Ho capito, non fumiamo più. (Si guarda a destra e a sinistra, poi…) Ascolti,

                  signor Enrico, ho una cosa da chiedervi.

Enrico:     Se posso, perché no?

Orabona: Io trovo che questa presa di posizione di voi ribelli è un tantinello assurda.

Enrico:     Voi ribelli?

Orabona: Mi riferisco a lei e agli altri cinque che avete occupato questa ASL. Ma che cosa

                  pensate di ottenere? In Italia c’è la malasanità ma pure quella buona. E’ la vita.

Enrico:     E che v’aggia dicere? Non sono stato io che ho messo in mezzo questa giocata.

                  Io sono soltanto una persona tutta esaurita.

Orabona: Ma se lei parlasse con i suoi cinque amici, gli farebbe comprendere che è meglio

                  lasciar perdere. Se la smetterete, io parlerò con la polizia e non vi arresteranno.

Enrico:     (Amareggiato)Dottoré, ma io non posso parlare. Quelli mi picchiano.

Orabona: Ma lei dovete essere forte.

Enrico:     Ma io sono nevrastemio.

Orabona: Nevrastenico! E che c’entra? Se lei si impone sugli altri cinque ribelli, guarirà.

                  Parola d’onore!

Enrico:     (Sgrana gli occhi, interessato)Ma vuje overamente dicìte?

Orabona: E certo. Lo giuro sul dottor Sasso. Se sto mentendo, lui deve morire!

Enrico:     E che vi devo dire, dottoressa? Il fatto è che io vado un poco invogliato.

Orabona: (Lavora di furbizia) Signor Enrico, io le piaccio?

Enrico:     Azz! Dottoressa, voi piacete pure alle donne e agli effeminati!

Orabona: E allora facciamo così: se lei riuscirà a liberare la ASL dai cinque ribelli, avrà me

                  in premio. Ci sta?

Enrico:     (Si carica) Dottoressa, in questo momento mi sento come Rambo!

Orabona: (Lo carica) Sì, così la voglio vedere!

Enrico:     (Si carica sempre più) Mi sento come Rocky, come Commando, come Pasquale!

Orabona: Chi è Pasquale?

Enrico:     Mio fratello! Fa il Kung fu!

Orabona: (Lo carica) E sì, va bene anche Pasquale. Su, forza, faccia ciò che deve fare.

Enrico:     Sì, io lo faccio, io lo faccio! Con permesso!

                  Esce via a destra, molto motivato. Orabona tira un sospiro di sollievo.

Orabona: Se mi sentisse mio marito, mi ammazzerebbe. Speriamo soltanto che questo

                  signor Enrico riesca a fare quello che gli ho chiesto.

                  Ma da destra torna Enrico spettinato, camicia fuori ai pantaloni, sofferente.

Enrico:     Mamma bella, mamma bella!

                  Va ad inginocchiarsi su una delle sedie della sala d’aspetto.

Orabona: Che le succede, signor Enrico?! Ha convinto i cinque ribelli ad arrendersi?

Enrico:     No, aggio abbuscato dai cinque ribelli che non si arrendono!

                  Da destra giunge la signora Concetta.

Concetta: Néh, dottoré, ma a chistu bellu mobile ce l’avìte mannato vuje? (Indica Enrico)

Orabona: Ehm… io? No, è stata una sua iniziativa personale!

Concetta: Comuqnue, da questa ASL, nessuno può uscire o entrare. Capito?

Orabona: Aspetti, signora, non se ne vada ancora.

Concetta: Che vvulìte?

Orabona: Perché non rinunciate ad occupare la ASL?

Concetta: Perché noi vogliamo i nostri diritti.

Orabona: E perché non ne parliamo? Che cosa chiedete?

Concetta: Noi chiediamo… noi chiediamo… boh… i nostri diritti! Stiamo scrivendo su un

                  foglio che cosa chiediamo. E poi ve lo leggeremo, non vi preoccupate, dottoré.

Orabona: Però io direi…

Concetta: Voi già avete detto troppo! Mò stàteve ‘nu poco zitta! (Poi ad Enrico) E in

                  quanto a voi, se state con noi, venite dentro. Altrimenti, state con loro. Capito?

                  Esce via a destra. Orabona va ad aiutare Enrico a rialzarsi e lo porta al centro.

Orabona: Venga, venga. Piano piano.

Enrico:     Dottoressa, ma voi siete sempre il premio che riceverò?

Orabona: Mi dispiace, ma lei non è riuscito a convincere i ribelli ad arrendersi!

Enrico:     ‘E che fregatura!

                  Escono via a sinistra.

4. [Gennaro, Vincenzo e Sasso. Poi Totore]

 

                  Da destra tornano Gennaro e Vincenzo.

Vincenzo: Néh, ma addo’ sta ‘a machinetta d’’o ccafé? Signor Gennaro, voi avete detto che

                   sta qua fuori. Ma io non la vedo.

Gennaro:  Era una scusa per parlare da solo con voi.

Vincenzo: Ma perché, voi parlate? Non eravate muto?

Gennaro:  Ma site scemo? 

Vincenzo: Ah, già.E che mi dovete dire?

Gennaro:  Signor Vincenzo, a me non mi convincono le cose che stanno scrivendo la

                   signora Concetta e quella tale Melissa in quel documento. Questa è una

                   dichiarazione di guerra in piena regola!

Vincenzo: Signor Gennà, siamo veramente in guerra, ma non soltanto noi. Siamo in guerra

                   tutti quelli che ci vogliono schiavizzare e noi che abbiamo i nostri diritti.

Gennaro:  Ho capito, ma mi pare un poco esagerato tutto quello che sta succedendo. Vincenzo: E a me lo dite?Poco fa è venuta mia moglie fuori alla ASL per portarmi il gattò*

                   di patate che ha cucinato ieri. Ebbene, quella tale Melissa che tiene la vostra

                   pistola in mano, le ha sparato dei colpi di pistola e l’ha fatta a scappare via. Ma  

                   soprattutto ha cugliuto ‘o gattò* e l’ha buttato a terra!      *(sarebbe il gateau di patate)

Gennaro:  Ma a me che me ne ‘mporta? Io voglio sultanto ‘o certificato condicente che io

                   songo invalido. Del resto, io sono muto!

Vincenzo: E io so’ surdo. E con ciò?

Gennaro:  Io voglio campà tranquillo.

Vincenzo: E’ per colpa di gente come voi che l’Italia non migliora mai. Amma reaggì!

Gennaro:  E vabbuò. Speràmme sulamente che nun pigliàmme mazzate ‘a nisciuno.

                   Da sinistra torna Sasso, tutto innervosito.

Sasso:        Mò vedìmme si nun aggia fa’ ‘na faccia tanta a qualcheduno!

                   I due si intimoriscono e si coprono il viso nella zona delle guance. Sasso li nota.

                   E voi che ci fate qua? Vi siete arresi?

Vincenzo: Mai!

Gennaro:  Gne gne gne gnai!

Sasso:        (Va in mezzo ai due con aria di sfida) Ecco qua il sordo… e il muto!

Vincenzo: Che avete detto? Io non vi sento.

Sasso:        Eppure, poco fa, vi ho chiesto se vi siete arresi, e voi mi avete risposto “Mai”!

Vincenzo: Guardate, che io so leggere le labbra!

Sasso:        Anche senza guardarle?

Vincenzo: E certamente. E’ una tecnica indiana! L’ho imparata quando stavo in America!

Sasso:        Molto bene, bravo. (Poi a Gennaro) Elei invece è muto. Non è così?

Gennaro: Gne gne gne sì!

Sasso:        Questo mi dispiace. E’ molto seccante. Ma lei lo sa che io potrei farle riacquisire

                   la parola?

Gennaro:  Veramente?

Sasso:        Eh?

Gennaro:  (Subito torna a farfugliare) Ehm… gneramente?

Sasso:        Ma certo. Così starà bene e non le occorrerà più il decreto di invalidità. Potrà

                   vivere serenamente. Ci sta?

Gennaro:  Gne gne gne!

Sasso:        Bene, basterà che voi tutti la smettiate di occupare la ASL.

Vincenzo: Signor Gennaro, non vi fate infinocchiare da questo tizio. Lui vuole ingannarvi.

Sasso:        Lei è geloso che io posso far tornare la parola a lui e non l’udito a lei?

Vincenzo: (Canta) La lotta è dura e non ci fa paura / La lotta è dura e non ci fa paura…!

Sasso:        E va bene, continui a lottare lei. Invece il signor Gennaro mi ha giurato che se  

                   gli faccio tornare la parola, lui si astiene dalla lotta. Non è così?

Gennaro:  Gno gno gno…

Sasso:        Mi dispiace, ma non la capisco. Allora adesso le faccio il dono della parola. Al

                   mio tre! Uno… due… tre! (Calpesta il piede a Gennaro)

Gennaro:  (Dolorante, va avanti e indietro, zoppicando e lamentandosi) Uh, ‘stu figlio ‘e

                   mappina, càntero e ‘nfame!

Sasso:        Miracolo, ho fatto il miracolo! E’ quindi vero che adesso lei sta dalla mia parte?

Gennaro:  Io? Gne gne gne! Avete capito?

Sasso:        Guardi, che la vi faccio tornare un’altra volta muto!

Gennaro:  Meglio, accussì me piglio ‘a penziona d’ivalidità!

Sasso:        Dove? In carcere?

Gennaro:  (Ci ripensa) Sto dalla vostra parte!

Vincenzo: No, resistete, resistete!

Sasso:        Caro signor Gennaro, si allei con me e con la dottoressa Orabona. E sottolineo

                   Orabona! Che ne dice?

Gennaro:  (A Vincenzo) Ha vinciuto ‘o duttor Sasso. Mi ha ridato la parola!

Vincenzo: Traditore!

                   E torna via a destra.

Sasso:        Venga con me, signor Gennaro.

Gennaro:  Gne gne gne.

Sasso:        E no, adesso ha riacquisito la parola. Perciò, parli bene.

Gennaro:  No, no, gne gne gne. Nun se po’ maje sapé!

                   I due escono a sinistra.

5. [Melissa ed Orabona. Poi Sasso]

                  Da destra torna Melissa che è al cellulare.

Melissa:    Mamma,siamo rimasti in quattro a combattere. Ci hanno traditi il signor Enrico

                  il nevrastenico, e il signor Gennaro quello sordo. Fra poco prendo la pillola

                  contro gli attacchi di panico e poi torno in guerra! Ciao mamma, mi farò onore.

                  Sarai fiera di me. Sto per entrare nella storia! (Chiude la telefonata. Poi da una

                  tasca prende una pillola ed una bottiglina d’acqua, così assume il farmaco)

                  Mamma mia, questa è la più terribile delle trenta pillole al giorno che prendo!

                  Si avvia a destra, ma da sinistra torna Orabona che la nota e la chiama.

Orabona: Aspetti, signorina.

Melissa:    Voi? Che cosa volete? Siete nostro ostaggio. Ringraziate a Dio che vi lasciamo

                  libera di girare dove vi pare e piace qui nella ASL.

Orabona: Non voglio parlare di questo. Mi interessa quel discorso sul dottor Perrella.  

Melissa:   Cosa volete sapere? Se ho un interesse per lui? Eventualmente, cosa ve ne frega?

Orabona: E’ mio marito.

Melissa:   Mio marito?

Orabona: No, non è suo marito. E’ mio marito.

Melissa:   L’ho capito, ho soltanto ripetuto le vostre parole.

Orabona: Sì, sì, va bene, ma ora deve giustificare il suo interesse per lui.

Melissa:   Dottoressa, forse ci sta un equivoco. E se io vi dicessi che mi interessate voi?

Orabona: Io?

Melissa:   Bene,mi guardate con gli occhi confusi dalle canne che fumate e dal pregiudizio.

Orabona: Io non sto giudicando niente. Le chiedo solo di finirla con questa occupazione

                  inutile della ASL. Se vuole ottenere qualcosa, vada a Roma, da chi di dovere.

Melissa:   Non mi ascolterebbe nessuno. Voi invece siete un medico molto apprezzato. Una

                  vostra relazione scritta, potrebbe cambiare le cose.

Orabona: E va bene. Poco fa ha detto che io le interesso. E se fossi io il premio per lei?

Melissa:   Dottoressa, con me non attacca. Per cui, se volete fare ciò che vi ho chiesto,

                  altrimenti statevi bene.

                  Melissa esce via a destra.

Orabona: Questa è più tosta degli altri!

                  Da sinistra entra Sasso sorridendo al proprio cellulare.

Sasso:       Ciao a tutti, io sto bene. Qua ci sta pure la dottoressa Orabona. (Le pone davanti

                  il cellulare) Saluta, Mafalda, saluta!

Orabona: Sasso, ma ‘a vuo’ fernì cu’ ‘stu cellulare?

Sasso:       Sto facendo una diretta su Fessobuk!(Parla al proprio cellulare) Cari amici

                  Fessobukiani, la dottressa Orabona vi saluta. Non vuole apparire perché è timida.

                  Un saluto. Bacioni! (Chiude il live) Ecco fatto.

Orabona: Sasso, qua la situazione è ancora difficile. L’osso duro è la ragazza, Melissa.

Sasso:       Ma tu le hai parlato?

Orabona: Sì. A quanto pare, ha un debole per me.

Sasso:       E approfittane!

Orabona: Ma tu fusse scemo?

Sasso:       Ma come, tu risolveresti questo problema in quattro e quattro otto.

Orabona: Ma che me ne ‘mporta, a me?

Sasso:       Sei un’egoista! (Squilla il suo cellulare)E chi è adesso? (Guarda sul display) Il

                  commissario? (Risponde) Pronto, commissario. Che ha deciso? Intervenite? Ah,

                  no? State prendendo il caffè? E quindi, dopo il caffè intervenite? Ah, dopo il  

                  caffè andate a pranzo? E dopo il pranzo intervenite? Ah, dopo pranzo riposate? E

                  dopo il riposo intervenite? Ah, dopo il riposo è tardi? Scusi, mi tolga una  

                  curiosità, ma quando intervenite? Tocca sempre a noi? (Chiude la telefonata) Ma

                  che fregatura! Tu hai capito, Orabona?

Orabona: Non è possibile. Chiama di nuovo il commissario e convincilo a venire subito.

Sasso:       E’ inutile. Qua dobbiamo vedercela io e te. Abbiamo già portato dalla nostra

                  parte il signor Enrico e il signor Gennaro. Al primo, hai promesso te in premio.

Orabona: Ma io l’ho detto così per dire.

Sasso:       E intanto pure il secondo vuole la stessa cosa.

Orabona: Per carità!

Sasso:       Invece io già gli ho promesso che tu hai detto di sì.

Orabona: Che cosa?

Sasso:       Sì! E ti dirò di più, dirò la stessa cosa pure alla ribelle più difficile: Melissa!

Orabona: Sasso, tu mi chiedi un sacrificio che non posso fare.

Sasso:       E invece sì!

Orabona: Devo decidere io!

Sasso:       Hai già deciso, è sì!

Orabona: Devo pensarci.

Sasso:       Non ti preoccupare, andrà tutto bene. 

                  Escono via a sinistra continuando quella loro discussione.

6. [Concetta, Vincenzo e Totore]

                  Da destra tornano Concetta, Vincenzo e Totore (che tiene dell’ovatta su un

                  braccio a tamponare una ferita).

Concetta: Ma vuje site scemo? Ve site fatto male?

Vincenzo: Non dovevate, non dovevate proprio!

Totore:     E mica è colpa mia? Io songo cecato, e perciò me songo tagliato ‘ncoppa ‘o

                  ffierro arrugginito.

Concetta: (A Vincenzo) Ma era arrugginito assaje?

Vincenzo: Signò, e io che ne saccio? Io songo surdo.

Totore:     E che differenza fa? O è poco arrugginito oppure è assaje, io me so’ tagliato.

Concetta: Servirebbe una siringa di antitetanica. Già, ma addo’ ‘a pigliamme?

Totore:     Dal dottore Sasso o dalla dottoressa Orabona. Sicuramente la tengono.

Concetta: E’ ‘o vero, ave raggione.

Vincenzo: Sì, ma poi chi gliela fa al signor Totore? Io nun songo capace.

Concetta: Io ‘a saccio fa’, però me tremma ‘a mana!

Totore:     No, no, pe’ carità! Vaco add’’o duttore Sasso oppure add’’a dottoressa Orabona.

Vincenzo: Ma che? Quelli sono i nostri prigionieri! Piuttosto preferiamo vedervi morire!

Concetta: Voi sarete un martire morto in battaglia per la nostra libertà!

Totore:     Ma qualu martire? Io me stongo facenno sotto d’’a paura!

Concetta: Facìmme accussì: andate a cercare una siringa e una fiala di antitetano. Aggio

                  deciso: ‘a serrenga v’’a faccio io!

Totore:     Ma vuje tremmate cu’ ‘a mano! Se sbagliate mira con l’ago, come facciamo?

Concetta: State senza ansia!

Totore:     E vabbuò. Mamma mia, ma chi me l’ha astipata ‘sta jurnata a me?

                  Esce via a sinistra.

Concetta: Signor Vincenzo, ma voi mi credete? Pure io non mi sento molto bene. Mi potete

                  mettere una mano sulla fronte?

Vincenzo: E pecché?

Concetta: Così mi misurate la febbre.

Vincenzo: E che m’avìte pigliato p’’o termometro?

Concetta: No, nel senso che così vedete se sono assai calda.

Vincenzo: E va bene. (Gli pone una mano sulla fronte) Sì, signora, scottate un poco.

Concetta: Mannaggia ‘a miseria! Tenete una Tachipirina?

Vincenzo: No, però tengo le gocce per le orecchie. Ne volete due?

Concetta: E che me n’aggia fa’? Mò che torna ‘o signor Totore, ‘o mandamme a cercà ‘na

                  Tachiprina oppure ‘n’Aspirina.

                  Torna Totore con una siringa ed una fiala di antitetano tra le mani.

Totore:     Ecco qua, signora Concetta, aggio truvato chello ch’ate ditto vuje.

Concetta: Aspettate, tornate dove avete trovato queste cose. Mi serve una Tachipirina

                  oppure un’Aspirina per la febbre.

Totore:     A chi? Signò, io mi devo fare prima la siringa per il tetano e poi dopo si vede.

Concetta: E va bene, facciamo la siringa e poi dopo ne riparliamo. Datemi tutto a me, ve la

                  preparo io. (Si fa consegnare siringa e fiala di antitetano)

Totore:     Ecco, brava. Poi dopo vado a prendervi le medicine per la febbre. Dopodiché io

                  direi, ma sì, arrendiamoci e torniamo a casa. Così stiamo tutti bene. Che ne dite?

Vincenzo: (Dubbioso) Signor Totore, ‘na curiosità: addo’ l’avìte truvate ‘a serrenga e ‘a

                  fiala cu’ l’antitetanica?

Totore:     Ehm… no, niente, ho trovato una stanza con uno scaffale. E ‘ncoppa a ‘stu

                  scaffale ce steva ‘nu scatolo. E dint’a ‘stu scatolo ce steva certa medicina. E

                  dint’a ‘sta medicina…

Vincenzo: Aggio capito tutto cose: siete stato dal dottor Sasso e dalla dottoressa Orabona, e

                  loro vi hanno dato la siringa e l’antitetanica in cambio di una promessa: voi

                  dovete convincerci ad arrenderci. Non è così?

Totore:     Chi? Io devo convincervi ad arrendervi?Ma no, ve state sbaglianno.

Vincenzo: Mah, tengo qualche dubbio.

Concetta: E allora, signor Totore, abbassatevi un poco i pantaloni.

Vincenzo: Sì, ma appena appena! Non ve li abbassate troppo!

Totore:     E va bene, scopro soltanto un poco il sedere. (Così fa) Io sono pronto.

Concetta: Signor Vincenzo, mantenetegli leggermente il pantalone abbassato.

Vincenzo: Ma a chi? Io me faccio ‘e fatte mieje!

Concetta: E forza, facìmme ambresso.

Totore:     Signor Vincenzo, pe’ piacere.

Vincenzo: E vabbuò. Uffa! (Fa quanto richiesto da Concetta)

Concetta: Signor Totore, siete pronto?

Totore:     Sì, sì, fate pure.

Concetta: Signor Vincenzo, io propongo di fare una siringa con lo schiaffo per non sentire

                  dolore. Lo darete al signor Totore prima che io butto l’ago nella sua carne.    

Vincenzo: Va bene. Andate, signora Concetta.

Concetta: Uno… doje… e tre!

                  Vincenzo dà uno schiaffo sul collo di Totore e Concetta esegue la puntura.

Totore:     (Dolorante) Azz!

Concetta: (Estrae l’ago) Signor Totore, non esagerate, adesso. Io non vi ho fatto male.

Totore:     Vuje no, ma ‘stu diece ‘e scemo d’’o signor Vincenzo, m’ha dato ‘nu pacchero

                  areto ‘o cuollo!

Concetta: Ma no, lo schiaffo si doveva dare sul sedere. Comunque, siringa fatta. (Osserva

                  la siringa e resta sorpresa) E comm’è, ‘o medicinale sta ancora ‘int’’a serrenga?

Totore:     Scusate, signò, ma allora che m’avìte ittato ‘int’’o popò mio?

Concetta: Uh, io avevo buttato solo l’aria!

Totore:     Che cosa? L’aria? (Le tira la siringa di mano) Ma facìteme ‘o piacere! Si nun

                  sapìte fa’ ‘e ccose, lassate sta’. Facìte cchiù bella figura.

                  Esce via a sinistra imbronciato.

Vincenzo: Secondo me, chillo sta jenno add’’o duttor Sasso e add’’a dottoressa Orabona.

Concetta: E già, adesso la siringa gliela faranno loro. Chillu traditore! Vabbé, signor 

                  Vincenzo, allora ci andate voi a prendermi la Tachiprima e l’Aspirina?

Vincenzo: A chi? Io nun ne capisco proprio.

Concetta: E allora ce vaco io. E si nun trovo niente, vaco pur’io add’’o duttor Sasso e

                  add’’a dottoressa Orabona. (Poi addita Vincenzo) ‘Stu piegoro!

                  Esce via a sinistra. Appena uscita, Vincenzo le parla dietro come se lei fosse lì.

Vincenzo: Ringrazia a Dio che so’ surdo, accussì nun aggio ‘ntiso che m’he’ chiammato

                   piegoro! Chella scustumata!

                  Esce via a destra facendo finta di nulla.

7. [Sasso e Orabona. Poi Enrico]

                  Da sinistra torna Sasso insieme ad Enrico.

Sasso:       Molto bene, la dottoressa Orabona sta facendo la puntura di antitetanica al signor

                  Totore. Pian piano si stanno arrendendo tutti quanti i ribelli.

Enrico:     Dottor Sasso, scusate, ma mò m’’a vulìte fa’ ‘sta visita medica?

Sasso:       A vuje? E che ve sentite?

Enrico:     (Fa scatti da pazzo) Dottò, io tengo troppi problemi. Ultimamente mi hanno

                  dianosticato i calcoli. Ma voi capite? I calcoli.

Sasso:       E allora? Lei sa cosa vi uole per i calcoli?

Enrico:     ‘A calcolatrice!

Sasso:       Ma quala calcolatrice? Occorre una cura a onde d’urto.

Enrico:     Duttò, allora m’aggia mettere ‘int’’o forno a microonde? Però io nun ce traso!

Sasso:       Ma qualu forno a microonde? E secondo voi, io ve facevo mettere ‘int’’o forno a

                  microonde?Quello di cui parlo io è un macchinario che bombarda i calcoli.

Enrico:     Ah, aggio capito, m’hanna bombardà! Solo questo?

Sasso:       Se non dovesse funzionare, si potrà fare un’Uretrorenoscopia.

Enrico:     E che rrobba è?

Sasso:       Una piccola sonda inserita per via trans uretrale.
Enrico:     Per via…?

Sasso:       Trans uretrale.

Enrico:     Ah, ho capito: a me mi deve operare un trans! Ma po’ è bravo a operà ‘stu trans?

Sasso:       Ma qualu trans e trans? Trans uretrale vuol dire che nell’uretra le verrà introdotta

                  una sonda che frantumerà il calcolo. (Provato) Mamma mia, me state facénno

                  ittà ‘o sango pe’ ve spiegà ‘sta cosa!

Enrico:     E io poi non ne capisco. E comunque questa operazione del transmi guarisce?

Sasso:       E certo. Ma se non funzionasse, ci sarebbe l’intervento chirurgico.

Enrico:     L’intervento chirurgico?

Sasso:       Sì, a cielo aperto.

Enrico:     ‘Ncielo? E comme se fa? ‘Ncoppa all’aereo?

Sasso:       Ma a cielo aperto è il tipo di intervento chirurgico. Intanto faccia prima le analisi.

Enrico:     E io già me le ho fatte. Tengo i transessuali alti!

Sasso:       I transessuali?E cosa c’entrano i transessuali?

Enrico:     Sono alti. Devo farli scendere.

Sasso:       Ma perché, se i transessuali scendono per strada, a voi escono bene le analisi?

Enrico:     Ma non i transessuali della strada, quelli del fegato.

Sasso:       Ah, le transaminasi!

Enrico:     Esatto, bravo!

Sasso:       Mi state facendo rincretinire! Pensate a curarvi, che è meglio.

Enrico:     Va bene, allora io vado. Però facciamoci prima un selfie. Cacciate ‘o cellulare!

Sasso:       (Esegue) OK,mettiamoci in posa. Sorridiamo! (Scatta la foto) Fatto! Bene, ed

                  ora tornate a casa, ma vi raccomando: non a casa mia. A casa vostra! Non rubate

                  mai più. Capito?

Enrico:     State senza pensiero. Arrivederci!

                  Esce via al centro, ma Sasso ricorda qualcosa.

Sasso:       Oh, no, ma dove andate? Vi sparano, non uscite, vi spa…

                  Dall’esterno si sentono spari di pistola.

                  …rano!

                  Torna di corsa Enrico.

Enrico:     Aiuto, aiutooo!

                  Corre via a sinistra. Sasso tira un sospiro di sollievo.

Sasso:       E meno male che non è stato colpito!

                  Da sinistra giunge Orabona.

Orabona: Ma che gli hai fatto al signor Enrico?

Sasso:       No, niente, si è imbattuto in alcuni colpi di pistola!

Orabona: Gli hai sparato? Sei arrivato a questo? Solo perché ha rubato a casa tua? E non

                  potevi aspettare stanotte? Con le nuove leggi, i ladri vanno sparati di notte!

Sasso:       Orabò, ma tu nun staje bbona cu’ ‘a capa?! Ti manca qualche rotella in testa?

                  Mica ho sparato io al signor Enrico? E’ stata quella Melissa.

Orabona: Mamma mia, che incubo. Non ce la faccio più. E non ne posso più nemmeno con

                  quei due: il signor Gennaro e il signor Totore. Vogliono per forza che io li curi.

Sasso:       Vogliono stare male e si inventano di tutto. Lo fanno per la pensione d’invalidità.

Orabona: Esatto. Pensa il singor Totore si è presentato con una siringa di antitetanica in

                  mano, giurando di esser finito su un ferro arrugginito.

Sasso:       E gliela faccio io!

Orabona: A vuoto?

Sasso:       A vuoto! Così se qualche effetto collaterale lo colpisce, la prossima volta impara!

Orabona: Sasso, tu hai proprio il cuore di pietra!

Sasso:       E tu invece sei bona! Devi cercare di essere un po’ meno bona, così i pazienti ti

                  rispettano! Capito?

                  Esce via a sinistra.

Orabona: Beh, forse Sasso ha ragione! (Squilla il cellulare) Mio marito? (Risponde) Scé,

                  che vvuo’? Cosa dici? Vuoi fare pace con me? Ma dove sei, ora? Alle Bahamas?

                  E come vuoi fare pace con me se sei a 10.000 chilometri di distanza? Cosa? Sei

                  fuggito perché sei un evasore fiscale? E allora io non voglio fare pace con te.

                  Capito? (Chiude la telefonata) Chillo è evasore fiscale, vo’ fa pace cu’ me! Ma

                  fai pace col tuo cervello, prima!

                  Si siede su una delle tre sedie, pensierosa.  

8. [Orabona e Vincenzo. Poi Melissa]

                  Da sinistra torna Vincenzo con un fazzoletto al naso, vittima di un’epistassi.

Vincenzo: Ah, mamma bella, ‘o sango p’’o naso!

Orabona: (Lo nota, si alza e gli si avvicina) Signor Vincenzo, che ha fatto?

Vincenzo: Chi è? Ah, siete voi, dottoressa? No, non parlate, che non vi sento. Sono sordo.

Orabona: Sì, sì, va bene. Insomma, che le è successo?

Vincenzo: Il sangue dal naso. Ogni tanto mi succede. Forse è colpa della sordità.

Orabona: Ma che sordità? Mi faccia vedere. (Gli osserva le narici) Questa è una epistassi.

Vincenzo: ‘O vero? Tengo ‘o pistacchio ‘int’’o naso?

Orabona: (Ironica) Eh ‘a castagna!

Vincenzo: Pure ‘a castagna? E come mi sono entrati il pistacchio e la castagna nel naso?

Orabona: Ma che dice? Signor Vincé, la perdita di sangue dal naso si chiamata epistassi.

Vincenzo: Ah, ecco.

Orabona: E sul labbro che cosa ha?

Vincenzo: Herpes zoppas!

Orabona: Ma che tenìte l’Herpes d’’a lavatrice? Si chiama Herpes zoaster!

Vincenzo: E vabbé, io lo dico a modo mio. Sono sordo. A proposito, dottoressa, tengo

                  sempre un mal di testa strano. Lo tengo spesso. Di che si tratta?

Orabona: Cefalea.

Vincenzo: Tengo ‘o cefalo ‘ncapa? E comm’è trasuto?

Orabona: Signor Vincenzo, lei ha le cose che tutti i cristiani tengono. Ora può tornare

                  nell’ufficio accettazione. Noi siamo suoi prigionieri. E non scappiamo.

Vincenzo: No, dottoressa Orabona, io sono sordo, non sono un delinquente. Perciò, fatemi

                  avere la pensione di invalidità e non ne parliamo più.

Orabona: Dipende da quel che dirà la commissione. Io ho scritto la relazione sul suo stato.

Vincenzo: Sul mio stato? E che ci sta da dire sul mio stato? Io vengo dall’Italia come voi!

Orabona: Lasci perdere. E’ meglio che lei torni a casa.

Vincenzo: E come torno a casa? Ci sta la signorina Melissa che spara a vista a chi vuole 

                  entrare e chi vuole uscire da qua dentro. Posso andare nel vostro ambulatorio?

Orabona: Certo. Lì troverà anche gli altri.

Vincenzo: Va bene. Con permesso, allora. E grazie.

                  Esce via a sinistra.

Orabona: Bene, si è arreso pure questo. Ora mancherebbe solo la signorina Melissa. Ma

                  quella è testarda. Come cacchio si fa?

                  Da destra entra Melissa con le mani in alto (in una vi tiene stretta la pistola).

Melissa:    No, no, mi arrendo pure io. Ormai sono rimasta da sola.

Orabona: E come mai?

Melissa:    Non fate domande. Pigliatevi la pistola e chiamate la polizia.

Orabona: (Le prende la pistola di mano) Sì, però adesso abbassi le mani.

Melissa:   (Esegue) Io sarei dovuta nascere in un paese sudamericano, dove la gente che fa   

                  le rivoluzioni è compatta. Qui in Italia invece si spaventano. Stanno troppo bene,

                  questa è la verità.

Orabona: Signorina, le rivoluzioni si fanno nelle dovute sedi, non in una ASL.

Melissa:    Forse avete ragione voi.

Orabona: E non è che detto che per risolvere le cose, occorra per forza puntare una pistola.

Melissa:    Io non sono brava nel dialogo. Però seguirò i vostri consigli.

Orabona: Venga, la porto dagli altri.

Melissa:    Sì, certo. Prima che andiamo, solo una curiosità: perché mi dà del lei?

Orabona: Noi medici siamo un po’ abituati a dare del lei ai pazienti. Almeno io faccio così.

Melissa:    Capisco. E’ una forma di rispetto. Va bene, andiamo.

                  Orabona e Melissa escono a sinistra.

Scena Ultima. [Sasso, Orabona, Totore, Gennaro e Vincenzo. Enrico, Concetta e Melissa]

                  BUIO POCHI SECONDI. Poi LUCE, quindi da sinistra entra Sasso in camice.

Sasso:       E tutto è bene, quel che finisce bene. Grazie a me e alla dottoressa Orabona. (Si

                  siede) Abbiamo detto alla polizia che non doveva arrestare i ribelli, perché essi

                  non volevano farci del male e non erano capaci pienamente di intendere e di

                  volere. Per cui, non c’è stato nessun processo. E tutto è finito a tarallucci e vino.

                  Ormai è passato un anno, o quasi, dall’accadimento, e tante cose sono successe.

                  Da sinistra giungono Totore, Gennaro e Vincenzo, tutti felici, con Orabona.

Totore:     Dottoressa, grazie di tutto. Io ho ricevuto la pensione di invalidità come sordo!

Orabona: Ma lei non era cieco?

Totore:     Dottoré, state a sentì a me, va buono accussì: è meglio che songo cieco… e non

                  si cambia più!

Gennaro: Io invece ho ricevuto la pensione di invalidità come sordo.

Orabona: Ma lei non era muto?

Totore:     Dottoré, state a sentì a me, va buono accussì: è meglio che songo surdo… e non

                  si cambia più!

Orabona: (A Vincenzo) E lei, invece?

Vincenzo: Gne gne gne!

Orabona: Aggio capito, site surdo!Va buono accussì: è meglio che site surdo… e non si

                  cambia più!Perfetto, allora arrivederci e tanti auguri.

Gennaro: Oh, ma qua ci sta pure il dottor Sasso. Caro dottore, venite in mezzo all’amicizia!

Sasso:       (Si alza e gli si avvicina perplesso) Amicizia?

Totore:     Grazie di tutto e scusateci ancora se vi abbiamo preso in ostaggio. Ma ormai è

                  passato un anno e abbiamo dimenticato tutto.

Vincenzo: Gne gne gne arrivederci!

                  Totore, Gennaro e Vincenzo saluano baciandosi sulle gance i due medici (si

                  salutano anche tra di loro allo stesso modo) ed escono via al centro. Orabona e

                  Sasso si salutano erroneamente e inconsapevolmente alla stessa maniera, poi…

Orabona: Ma che mi stai facendo fare?

Sasso:       E quei tre ci hanno ingrippati! (Poi serioso) Comunque ti devo parlare, Orabona.

                  Io non sono per nulla contento della scena che ho visto poco fa. Quei tre sono

                  falsi invalidi ed hanno ricevuto un beneficio, che magari gente davvero invalida

                  non può ottenere perché non ha santi in paradiso.

Orabona: Non sono stata io a dargli questi benefici. Sai benissimo che c’è una

                  commissione apposta per queste cose.  

Sasso:       E la relazione chi l’ha compilata?

Orabona: Sasso, non addossarmi colpe che non ho. (Va a sedersi su una delle tre sedie)

                  Sono così stanca! Secondo te, mi va di pensare ai falsi invalidi?

Sasso:       Dipendesse da me, saresti espulsa dall’albo dei medici. Ma non dipende da me.

                  Da sinistra entra Enrico, tutto soddisfatto.

Enrico:     Dottor Sasso, eccomi qua.

Sasso:       Com’è andata, signor Enrico?

Enrico:     Sono quasi guarito. Non sono più nevrastenico. L’ha detto lo psicologo.

Sasso:       Oh, questo mi fa molto piacere.

Enrico:     Però ci sta un altro fatto. (Comincia a grattarsi per tutto il corpo) Sento uno

                  strano prurito per tutto il corpo. Da chi devo andare? Come si chiama il medico

                  che si occupa del grattamento? Il grattologo? Il grattino?

Sasso:       Non è un dottore, è una dottoressa.

Enrico:     Allora è la grattachecca?

Sasso:       Ma che grattachecca? E’ la dertamatologa.

Enrico:     Sì, vabbé, poi vengo un altro giorno. Salutatemi la dottoressa Semprebona!

Sasso:       Orabona!

Enrico:     Ora e sempre…

I due:        …Nei secoli dei secoli, amen!

Enrico:     Arrivederci, arrivederci!

                  Esce via frettolosamente al centro. Da sinistra giunge Concetta. Va da Sasso.

Concetta: (Finalmente sorridente) Dottore, grazie di tutto. Adesso mi sento meglio.

Sasso:       Non ringrazi me, bensì il medico che l’ha curata. Che cosa aveva di preciso?

Concetta: Tenevo una cosa intestinale. Come si chiama? Una candeggina!

Sasso:       Nel senso che lei ha ingerito candeggina?

Concetta: No, no, non me la sono bevuta. Io già la tenevo.

Sasso:       E come pouò essere? Noi siamo esseri fatti di carne, ossa ed acqua. Ma la

                  candeggina no, non l’ho mai sentita.

Concetta: Sì, però ad un certo punto viene e vi sentite uno schifo come me.

Sasso:       (Dubbioso) Ma per caso non è che sta parlando della “candida” intestinale?

Concetta: Ecco, bravo!

Sasso:       E che ce azzecca ‘a candeggina?   

Concetta: E che ne saccio? Io accussì aggio capito. Il medico mi ha detto che questo era il

                  motivo perché io tenevo la depressione.

Sasso:       Ho capito. Allora buona fortuna.

Concetta: Grazie.

                  Da sinista giunge pure Melissa, invece arrabbiata.

Melissa:    Dove sta la dottoressa Orabona? Dove sta?

Orabona: (Si alza in piedi e le si avvicina) Signorina, eccomi qui. Si calmi. Che è sussesso?

Melissa:    Ma vostro marito sta ancora alle Isole Banane?

Orabona: Che Banane? Bahamas! Sì, è ancora all’estero. Perché?

Melissa:    Perché io tengo l’ernia del cd!

Orabona: Caso mai, l’ernia del disco.

Melissa:    No, è ‘nu poco cchiù piccolina. E poi mi fa male sempre la faccia sulla destra.

Orabona: E quello è il trigemino.

Melissa:    E’ ‘o trigesimo? Ma che me ne ‘mporta comme se chiamma?

Concetta: (Si unisce anche lei alla discussione) Scusate, dottoressa, però la signorina ha

                  ragione. Vostro marito è scorretto. E pure voi che lo difendete: siete scorreggia!

Orabona: Il femminile di scorretto non è scorreggia!

Sasso:       (Interviene) No, non litigate.

Le tre:      Zitto!

Sasso:       Fate come volete!

Le tre:      (Ripendono a discutere, dicendo cose incomprensibili, al punto che le loro frasi

                  sembrano il chiocciare delle galline) Co-co-co-co-co…!

Sasso:       (Ironico) Oh, ‘sti tre assumìgliano a tre galline!

FINE DELLA COMMEDIA