La famiglia Barrett

Stampa questo copione


LA FAMIGLIA BARRETT

Titolo originale: The Barretts of Wimpole street

Commedia in cinque atti

di RUDOLF BESIER

Versione italiana di Ada Salvatore

PERSONAGGI

IL DOTT.CHAMBERS - ELISABETTA BARRETTMISS

WILSON - CAMERIERA

IL CANE FLUSH  - ENRICHETTA - ARABELLA,

OTTAVIO -  SETTIMO,

ALFREDO - CARLO - ENRICO, GIORGIO : fratelli di Elisabetta

e figli di

EDOARDO POULTON BARRETT

BELLA HEDLEY

HARRY BEVAN

ROBERTO BROWNING

IL DOTT. FORD WATERLOW

IL CAPITANO COOK

Tutti gli atti si svolgono nella camera di Elisabetta Barrett, al n. 50 della Wimpole Street a Londra.


ATTO PRIMO

 (La stanza in cui Elisahetta Barrett dorme, passa la giornata, riceve, al n. SO della via Wìmpole, a Londra. In fondo, una finestra che guarda la strada. A sinistra, una porta. A destra il caminetto. E' meglio descrivere la camera con le parole dì Elisabetta stessa in una sua lettera ad una amica: « ...il letto sembra un divano piuttosto che un letto; la grande tavola è collocata non in mezzo, ma ad una delle estremità della stanza; dì fronte al divano una poltrona; il cassettone sormontato da alcuni scaffali - in parte coperto di merinos rosso - per i miei libri, il tavolino da toilette, dall'altra parte, nascosto da altri scaffali che ne fanno una specie di bugigattolo; i busti dì Chaucer e di Omero a guardia dei rispettivi reparti dì poesia, inglese e greca; altri tre busti nobilitano l'armadio... Nel vano della finestra è fissata una cassetta profonda, piena di terra, da cui sorgono i miei fagioli rossi, i na­sturzi e i convolvoli, i quali però sono stati distur­bati giorni fa dall'intrusione rivoluzionaria di una grande pianta di edera con rami così lunghi che gli ultimi viticci sono fissati alla finestra dì Enrichetta, mentre i più bassi coprono i miei vetri... ». E' sera: le persiane sono chiuse e le tende sono tirate: nel caminetto brilla tristemente un focherello: la lampada è accesa. Elisabetta è sdraiata sul divano: ha i piedi coperti da un « couvre-pied » accanto a lei siede il dottor Chambers: è un uomo anziano, con baffi bianchi. Le tasta il polso con l'orologio in mano. Elush - il cane di Elisabetta -dorme nel suo cestino. Sulla tavola è un vassoio con resti di un pasto e un boccale di stagno).

Chambeks                     - (lasciando il polso di Elisabetta e rimet­tendo in tasca l'orologio) Em... già. E' la vostra resistenza sempre minore che mi preoccupa. In voi manca la vita... Che cosa possiamo fare? Elisabetta     -  Ma, caro dottore, se chiudete una persona in una camera per tanti anni, non potete aspettarvi che dopotutto sia esuberante di vita e di forza. Perché, tanto per cambiare, non mi prescri­vete qualche cosa di veramente eccitante?

Chambers                      -  Eccitante?

Elisabetta                      - Ogni mattina fare per tre volte il giro del parco al galoppo... degli esercizi coi pesi... un corso di ginnastica... un viaggio per mare...

Chambers                      - Come vorrei potervelo prescrivere, mia cara!

Elisabetta                      - E' curioso pensarvi adesso... ma da bambina ero un vero ragazzaccio!

Chambers                      -  Sì, l'ho sentito raccontare... E spi­ritualmente lo siete ancora. Per esser sinceri, miss Ba... Oh, scusate, cara miss Elisabetta; quel vostro buffo nomignolo mi è sfuggito senza volere. Lo sento sempre dai vostri fratelli e dalle vostre so­relle...

Elisabetta                      - (sorridendo) Oh, vi pare...

Chambers                      - Per essere sincero, temo che il vostro cervello lavori un po' troppo. Il male si è che voi non fate mai nulla con moderazione... perfino quan­do si tratta di fare l'invalida. Parlando sul serio: non ci affatichiamo alquanto a studiare?

Elisabetta                      - No, no!

Chambers                      - Il greco?

Elisabetta                      - Oh, non più di due o tre ore al giorno.

Chambers                      - Oh... E lavori letterari?

Elisabetta                      - Solo qualche articolo per l'«Athenaeum» e altri giornali.

Chambers                      - L'« Athenaeum »... Dio, Dio... ma perché non vi riposate un poco da tutte queste occupazioni così pesanti e non rivolgete il vostro spirito a qualche cosa di più lieve, tanto per cam­biare un poco?... Poesia. Spero che non la trascu­riate?

Elisabetta                      - E questa sarebbe lieve e facile? (Ride) Oh dottore, mi devo ricordare di dirlo a Roberto Browning, domani, quando lo vedrò.

Chambers                      - Roberto Browning? Un collega, eh?

Elisabetta                      - Non ditemi che non lo avete mai inteso nominare!

Chambers                      - Mia cara, la poesia non è veramente il mio forte...

Elisabetta                      - Lo so bene. Nondimeno, leggete il « Sordello » di Browning, e poi tornate a dirmi che la poesia è lieve e facile!

Chambers                      - Prendo nota... beh, beh, che non bisogna togliervi ai vostri esercizi mentali, se vi fanno piacere.

Elisabetta                      - Piacere! Oh, dottore, rabbrividisco se penso che cosa sarebbe la mia vita se non avessi da studiare e da scarabocchiare!

Chambers                      - Hm, già. Capisco. Sicuro. E questa non è una cosa allegra per chi è solo e ammalato...

Elisabetta                      -  No davvero. Vorrei che il babbo fosse più felice. Sarebbe una tal differenza per tutti noi...

Chambers                      - Più felice? Non è cosa che mi ri­guardi, ma mi pare che quando un uomo ha una ottima salute, molti quattrini e una bella famiglia numerosa, non ha nessun motivo di rendere la vita un tormento per gli altri e per sé... E' una cosa strana, e... Beh, ho già detto che non è cosa che mi riguardi. Ma voi, cara, mi riguardate... e mi preoccupate anche. Senza dubbio, abbiamo avuto un orribile inverno e questi mesi di primavera sono sempre penosi. Il fatto è che voi non dovreste af­fatto vivere in Inghilterra. L'Italia è il paese per voi.

Elisabetta                      - L'Italia! Oh, dottore, che sogno di­vino!

Chambers                      - Sì... e temo che rimarrà un sogno... Ma se potessi prescrivervi qualche cambiamento... qualche cosa... qualunque cosa pur di togliervi un po' di tempo da questo ambiente così triste... Di­temi un po', miss Elisabetta; avete tentato di cam­minare in questi ultimi tempi?

Elisabetta                      - No, affatto. Sono piuttosto inde­bolita, dopo quella caduta che feci a Natale.

Chambers                      - Mi ricordo.

Elisabetta                      - Come sapete, papà o uno dei miei fratelli mi trasportano la mattina dal letto al divano e la sera nuovamente a letto. Qualche volta, quan­do mi sento un po' più coraggiosa, la cameriera mi aiuta ad attraversare la stanza.

Chambers                      - E in questo momento vi sentite coraggiosa?

Elìsabetta                      - Non particolarmente.

Chambers                      - Non importa: tentiamo ugualmente qualche passo. (Alzandosi le prende la mano) Ecco... piano, piano... non c'è fretta. (Aiutata da luì, ella si alza in piedi) Ecco... (Ella vacilla. Il dottore la sorregge) ...Un po' di vertigine, eh?

Elisabetta                      - Un poco.

Chambers                      -  Chiudete gli occhi e appoggiatevi a me. Passerà subito... Va meglio?

Elisabetta                      - Sì... oh sì.

Chambers                      - Aspettate un momento e state at­tenta a muovere il primo passo. Non abbiate paura; non lascio le vostre mani... (Ella fa due o tre passi esitando. Egli indietreggia tenendole le mani) No... non guardate a terra. Guardate dritto dinanzi a voi... E' la prima volta... ma va benone. Benissimo... (Dopo sei o sette passi ella esita e vacilla).

Elisabetta                      - Oh, dottore. (Rapidamente egli l'accoglie fra le braccia e la riporta sul divano).

Chambers                      - Vi sentite venir meno?

Elisabetta                      - No, no, sto bene... davvero, sto... Sono le ginocchia... pare che non possano sorreg­germi.

Chambers                      - Oh, beh, se non son capaci di que­sto, sono proprio inutili. Sembrate una bimba di cinque anni. E l'appetito? Scommetto che spilluz­zicate, appena; non è vero?

Elisabetta                      - Cerco sempre di mangiare quello che mi danno. Ma non ho mai molta fame. (Con subita animazione) Oh, dottore, mi viene in mente... Vi ricordate che papà vi disse che una certa qualità di birra, chiamata «porter», mi avrebbe probabil­mente fatto bene?

Chambers                      - Sì, e veramente credo che avesse ragione...

Elisabetta                      - Perdonatemi, ma non è così. Da quando sono costretta a berne due volte al giorno, un intero boccale, la mia vita è diventata... una vera disperazione.

Chambers                      - Che diamine dite?

Elisabetta                      - Non esagero... una vera dispera­zione.

Chambers                      - Ma cara figliola, a parte le sue indiscutibili qualità ricostituenti, il « porter » è ge­neralmente considerato una bevanda piacevole. Non vi è nulla che io preferisca a un mezzo litro di « porter », con la bistecca o la costoletta che mangio a colazione.

Elisabetta                      - (mormora colpita) Per me il « porter» è orribilmente nauseante... Orribile a vedersi, più orribile a sentirne l'odore e il più orribile di tutto a bersi. Certamente una cosa che uno detesta così intensamente non può fare alcun bene. Ed è inutile dirlo a papà... specialmente perché questa idea spaventevole è venuta a lui... Ma se voi, caro dottore, gli suggeriste che un'altra bevanda        - una bevanda qualunque - potrebbe essere ugualmente efficace...

Chambers                      - (ridendo) O povera piccola. Ma glielo dirò certamente.

Elisabetta                      - Vi ringrazio mille e mille volte.

Chambers                      -  Che cosa direste se lo sostituissimo con qualche bicchiere di latte caldo?

Elisabetta                      - Non ho simpatia per il latte, ma sono disposta a berlo tutto il giorno, se è per libe­rarmi dal «porter»! (Picchiano alla porta) ...Avanti. (Entra Wilson, la cameriera di Elisabetta. E' ima graziosa e intelligente ragazza. Circa venticinque anni) Che c'è, Wilson?

Wilson                           - Domando scusa, signorina, ma(si volge verso il dottore) il padrone desidera vederla prima che vada via, signor dottore.

Chambers                      - Va bene... (Guarda l'orologio) Oh, è ora che vada... il padrone è nel suo studio?

Wilson                           -  Sì, signore.

Chambers                      - Beh, arrivederci, miss Elisabetta, arrivederci. (Le prende la mano).

Elisabetta                      -  Arrivederci, dottore. (A bassa voce) Non vi dimenticate...

Chambers                      - Che cosa?

Elisabetta                      - (compitante) P-o-r-t-e-r.

Chambers                      - (ridendo) Gliene parlerò! Subito.

Elisabetta                      - Grazie. Grazie.

Chambers                      - (ancora ridendo) Buona notte. (A Wilson, mentre sì avvia alla porta) Non occorre che mi accompagnate. Conosco la strada.

Wilson                           - Grazie, signor dottore. (Il dottore esce) Vado a impostare le sue lettere, miss Ba? Devo portare Flush con me?

Elisabetta                      - (con, eccitazione) Presto, Wilson… portate via. (indica il boccale).

Wilson                           - (sbalordita) Che cosa, signorina?

Elisabetta                      -  Non ho avuto il coraggio di berlo a pranzo. Ho allontanato l'atroce momento più che ho potuto...

Wilson                           - Il «porter »?

Elisabetta                      - E ora quel caro dottore Chambers mi ha detto che non occorre più che io lo beva. Portatelo via. Presto. Presto. E non pronunciate più la parola « porter » dinanzi a ime.

Wilson                           - Va bene, signorina. Ma dal momento che non ha bevuto il «porter», vuole...

Elisabetta                      - (chiudendosi le orecchie) Vi ho detto di non pronunciare mai più quella parola. Portatelo via. Per favore.

Wilson                           - Bene, miss Ba. Vieni, Flush. (Prende in braccio il cane e lo porta fuori dalla stanza. Torna a prendere il vassoio, con uno sguardo piut­tosto preoccupato a Elisabetta, la quale comincia a ridere. Entra Enrichetta, una bella, gaia e fiorente ragazza).

Enrichetta                     - Che hai da ridere, Ba?

Elisabetta                      - Wilson crede che io sia diventata pazza.

Wilson                           - Oh, signorina. Che cosa dice?

Elisabetta                      - (continua a ridere) Volete portarla via, sì o no, quella... birra nera?

Wilson                           - Sì, signorina. (Esce).

Enrichetta                     - Non so perché stai ridendo', Ba, e non occorre che tu me lo dica. Ma continua a ridere. Ti farò il solletico, se non puoi ridere senza essere aiutata... Oh, il pranzo è stato atroce.

Elisabetta                      - Ma, Enrichetta...

Enrichetta                     - Atroce, atroce.

Elisabetta                      - Papà...

Enrichetta                     - Sì, papà. E' stato tremendo. Era di un umore... dei peggiori. Quando brontola, quando grida, è già insopportabile... ma non ti pare che il mutismo sia il peggiore di tutti?

Elisabetta                      - Forse, sì, ma...

Enrichetta                     - Non credo che siano state pro­nunciate più di dieci o dodici parole durante il pranzo... e la maggior parte pareva che si conge­lassero sulla punta della lingua. Papà rivolgeva lo sguardo vitreo su chiunque apriva bocca... Figu­rati. Negli ultimi venti minuti, il solo rumore nella stanza è stato il discreto ticchettìo dei coltelli e delle forchette. Appena finito il pranzo, egli ha ordinato che gli portassero il suo porto nello studio, e - grazie a Dio - se n'è andato immediatamente.

Elisabetta                      - Il dottor Chambers è con lui adesso.

Enrichetta                     - Oh, Ba, nell'interesse di tutti noi, spero che- le notizie che gli dà sul tuo conto non siano troppo buone...

Elisabetta                      - Ma Enrichetta...

 Enrichetta                    - (tutta contrita, si inginocchia accanto al divano e abbraccia Elisabetta) Perdonami, cara. Sono stata odiosa dicendo così. Sai che non ne avevo l'intenzione, vero? Non mi importa di nulla al mondo purché tu stai meglio. Lo sai, non è vero?

Elisabetta                      - Ma sì, scioccherella, ma ciò che hai detto fa apparire papà un mostro inumano. E que­sto non è vero. A modo' suo... egli ama tutti i suoi figlioli.

Enrichetta                     - A modo suo... Insomma, io volevo dire soltanto che qualunque buona notizia aggra­verebbe senza dubbio il suo malumore. (Con subita ansietà) Ba, il dottore Chambers non è scontento di te? Non stai peggio?

Elisabetta                      - No, no, cara; io sto sempre lo stesso. Né meglio né peggio... (Entra Arabella. Alta, bruna, seria).

Arabella                        - Ah, sei qui, Enrichetta. Ti ho cer­cata dappertutto. Papà ti ha mandato dal suo studio questo biglietto.

Enrichetta                     - A me? Oh, poveri noi. Quando comincia a mandare biglietti dal suo studio, Dio sa che burrasca si prepara. (Apre il biglietto e legge) « Ho saputo stamattina che la zia e lo zio Hedley, con la figlia Bella, sono giunti a Londra più presto di quanto erano attesi. Sono all'Hotel Fenton. Tua cugina Bella e il suo fidanzato, Mister Bevan, si propongono di venirvi a trovare domani alle tre. Tu e Arabella liriceverete, e se Elisabetta sta abba­stanza bene li condurrete di sopra a vederla. Ho scritto invitando vostra zia, vostro zio, e vostra cugina a pranzo per martedì. Papà». Bene.

 Arabella                       - Ora capisco perché papà sembrava così... così seccato a pranzo.

Enrichetta                     - Insopportabile, vuoi dire.

Arabella                        - E' necessario usare sempre la parola peggiore?

Enrichetta                     - Sì, Arabella... quando descrivi le cose peggiori. Ma papà è proprio impossibile. Ha ricevuto la lettera degli Hedley a colazione. Perché non ne ha parlato allora? Era così semplice.

Elisabetta                      - Non esageri un poco, cara? Papà fa raramente obiezioni se riceviamo i nostri amici.

Enrichetta                     - Ma questo non importa. Quello che mi irrita, è che domani alle tre aspettavo un amico; e ora dovrò in qualche modo sbarazzarmene.

Arabella                        - (maliziosamente) Perché?

Enrichetta                     - Che cosa, perché?

Arabella                        - (come prima) Perché dovrai sbaraz­zarti del tuo amico? Bella e il suo fidanzato non Io mangeranno...

Enrichetta                     - (irritata) Non è cosa che ti riguardi.

Arabella                        - (costernata) Ma Enrichetta...

Enrichetta                     - Detesto che la gente si immischi nei fatti miei. (Esce in fretta sbattendo la porta).

Arabella                        - (desolata) Dio mio, ma che cos'ha stasera? Di solito ride, quando la si stuzzica sul conto del capitano Surtees Cook.

Elisabetta                      - Forse avrà cominciato ad accettare seriamente la sua corte.

Arabella                        -  Oh Ba, spero di no. Ti ricordi, due anni fa, quando il giovine Palfrey voleva sposarla... ricordi quelle terribili scene con papà?

Elisabetta                      - Preferirei dimenticarle.

Arabella                        - Perché Enrichetta non vuol mettersi in mente che se vi è una cosa che papà non per­metterà mai e poi mai, è il matrimonio di qualcuno di noi? A me non importa, perché nessun uomo mi interessa da quel punto di vista; e neanche a te, cara... Ma anche quando eri più giovane e più forte, non ricordo che tu abbia mai avuto.... rela­zioni un po'... galanti.

Elisabetta                      - (con spirito) Forse nessuno mi ha mai dato occasione.

Arabella                        - Oh, eri tanto carina da giovinetta.

Elisabetta                      -  Com'è il capitano Surtees Cook? Simpatico?

Arabella                        - Mi pare di sì. Sì, è simpatico. Ma non parla molto. Si siede e guarda Enrichetta.

Elisabetta                      - E' molto bellina...

Arabella                        - Ma papà non favorirebbe mai nes­suna specie di intesa fra loro. Al più piccolo ac­cenno, proibirebbe al capitano Cook di venire in casa.

Elisabetta                      -  Povera Enrichetta... (Enrichetta rientra. Va in fretta da Arabella e la bacia).

Enrichetta                     -  Scusami.

Arabella                        - Cara, non volevo darti dispiacere.

Enrichetta                     - No, mi hai soltanto... indispettita. (Ride) Non per niente sono figlia di papà!

Elisabetta                      -  Domani, quando verranno Bella e il suo fidanzato, Arabella li condurrà qui da me e tu rimarrai a chiacchierare col capitano Cook in salotto. (Arabella sembra disperata).

Enrichetta                     - Che genio! (Abbracciando Elisa­betta) Sei un tesoro!

Elisabetta                      - Ma anch'io devo avere la camera libera alle tre e mezzo, perché verrà Roberto Brown­ing a farmi visita.

Enrichetta                     - (con eccitazione) No!

Arabella                        - Papà ti ha dato il permesso?

Elisabetta                      - Senza dubbio.

Enrichetta                     - Ma perché... perché ha fatto una eccezione per il signor Browning? Ho sentito dire che è bellissimo; ma...

Elisabetta                      - (ridendo) Sei incorreggibile, En­richetta.

Arabella                        - So che aveva un grande desiderio di farti visita. Me l'ha detto il signor Kenyon.

Enrichetta                     - Ma poco tempo fa dicesti che non volevi riceverlo.

Elisabetta                      - Non l'ho mai detto... e non ne ho un particolare desiderio adesso.

Enrichetta                     - Perché?

Elisabetta                      - Perché, a dirti la verità, sono vani­tosa come un pavone... Vedi, quando la gente am­mira i miei lavori, sono sicura che immagina la poetessa bella come i suoi versi. Almeno, questo è quello che dico sempre a me stessa... Ed è terri­bilmente umiliante doverli disilludere.

Enrichetta                     - Non essere sciocca, Ba. Sei molto interessante e pittoresca.

Elisabetta                      - (ridendo) Non è la frase con cui le guide descrivono di solito i ruderi?

Enrichetta                     - Oh, Ba, non volevo dire...

Elisabetta                      - Lo so, cara... Ma devo dirti che il signor Browning ha talmente insistito che ho finito con l'acconsentire per stanchezza. Ma non desidero che vi sia del pubblico che assista alla tragedia della sua delusione. Perciò ricordati, Arabella: Bella e il suo signor Bevan devono avere lasciato la stanza prima del suo arrivo. (Bussano alla porta) Avanti. (Entra Ottavio Barrett. Circa diciotto anni: lieve­mente balbuziente) Vieni, Otty.

Ottavio                          - S-solo un momento per v-vedere come s-tai e dirti b-buona notte. (Si china a baciarla) Contento, il dottore?

Elisabetta                      - Sì, credo di sì.

Enrichetta                     - (porgendo a Ottavio il biglietto di Barrett)  Leggi, Ottavio.

Arabella                        - (mentre Ottavio legge) Dio mio. Di­menticavo che domani devo assistere a una con­ferenza alla Missione Wesìeyana Cinese a Exter Hall.

Ottavio                          - Beh, non vi assisterai. (Agitando la lettera di Barrett) Capirai che questo è un de-de-creto reale.

Enrichetta                     - (drammatica) Emesso dal nostro studio, al numero 50 della via Wimpole, il 19 maggio 1845. Dio salvi papà!

Arabella                        - (disapprovando) Enrichetta. (Bussano alla porta).

Elisabetta                      - Avanti. (Entra Settimo Barrett. Ha un anno di più di Ottavio. Come Ottavio e gli altri fratelli Barrett che entreranno dopo, è in abito da sera) Ebbene, Settimo?

Settimo                         - Come stai, Ba? (La bacia) Spero che il dottore sia contento di te!

Elisabetta                      - Sicuro.

Ottavio                          - Sai, S-Settimo: gli Hedley al com­pleto verranno a p-pranzo martedì prossimo.

Settimo                         - Per davvero? (Bussano alla porta).

Elisabetta                      - Avanti. (Entra Alfredo Barrett. E' maggiore di Settimo).

Elisabetta                      - Vieni, Alfredo.

Alfredo                         - Come va stasera la nostra cara Ba? Che ha detto il dottore?

Elisabetta                      - E' stato abbastanza soddisfatto... (Bussano alla porta) Avanti. (Entra Carlo Barrett. Maggiore di Alfredo) Vieni, Carlo.

Carlo                             -  Come ti senti stasera? (La bacia) Spero che la visita del dottore sia stata soddisfacente!

Elisabetta                      - Oh sì, sì. (Bussano alla porta) Avanti. (Entra Enrico Barrett, maggiore di Carlo) Vieni, Enrico.

Enrico                           - Ebbene. Ba, come andiamo? (La bacia) Il dottore è stato contento della sua ammalata?

Elisabetta                      -  Abbastanza.

Enrico                           - Meno male. Devo dirti che hai vera­mente migliore aspetto. Non ti pare, Carlo? Carlo - Eh?

Enrico                           - Sta meglio', no? E' più lei, non trovi? (Bussano alla porta).

Elisabetta                      - Avanti. (Entra Giorgio Barrett, maggiore di Enrico) Vieni, Giorgio.

Giorgio                          - Come si va, stasera? (La bacia) E' venuto il dottore, non è vero? Temo che non sia stato troppo contento di te...

Elisabetta                      - Ma sì... Perché?

Giorgio                          - Mi pare che tu non abbia tanto buona cera... Non trovi, Enrico?

Enrico                           - Al contrario, mi sembra che stia meglio. Anche Carlo trova. Vero, Carlo?

Carlo                             - Eh?

Ottavio                          - Sai, Giorgio: gli Hedley sono arrivati inaspettati. Bella e il suo «moroso » v-verranno a f-far visita alle ragazze domani. E martedì verrà in gran cerimonia coi suoi genitori a pranzo qui.

Alfredo, Enrico, Settimo       - (insieme) A pranzo qui?!

Giorgio                          -  Spero che si divertiranno come ci siamo divertiti noi stasera.

Enrico                           -  Tu conosci questo Bevan, mi pare?

Giorgio                          - L'ho conosciuto.

Enrico                           - Che tipo è?

Giorgio                          - Un asino presuntuoso. Ma ricco, molto ricco. Diecimila sterline all'anno.

Enrichetta                     - No?!

Giorgio                          - E altre diecimila quando morrà sua nonna.

Arabella                        - Oh!

Enrichetta                     - E' addirittura disonesto. Che cos'ha fatto Bella per meritare una simile fortuna?

Ottavio                          - Giorgio dice che è un asino p-presuntuoso.

Enrichetta                     - Oh, è per gelosia. Chi ha dieci­mila sterline all'anno non potrà mai essere un asino (imitando la sua balhuzie) p-p-p-fp- presuntuoso.

Giorgio                          - Credo che interesserà tutti voi sapere che papà andrà a Plymouth per affari la settimana prossima e... (Esclamazioni eccitate di tutti, eccet­tuata Elisabetta).

Enrichetta                     - Avanti, avanti, Giorgio. E...?

Giorgio                          - E che non sarà di ritorno... prima di quindici giorni, almeno... (Mormorii di gioia, sor­risi soddisfatti).

Enrichetta                     - Oh, Giorgio. (Gli getta le mani al collo) Che bellezza! Che gioia! Sai ballare la polka?

Giorgio                          - Non fare la bambina.

Enrichetta                     - Ballo da sola! (Balla la polka in­torno alla stanza, canterellando il ballahile. Gli altri guardano divertiti. Ottavio batte le mani. La porta si apre tranquillamente. Entra Edoardo Poulton-Barrett. E' un bell'uomo di 60 anni, ben conservato).

Elisabetta                      - Papà... (Un silenzio di disagio. Enrichetta, in mezzo, alla stanza, si ferma confusa. Barrett rimane per un istante sulla soglia, guar­dando dinanzi a sé con volto completamente ine­spressivo) Buona sera, papà... (Senza rispondere, Barrett attraversa la stanza e va a collocarsi col dorso al caminetto. Una pausa. Nessuno si muove).

Barrett                           - (con voce fredda e pacata) Sono molto disgustato. (Una pausa) E' perfettamente inteso che voi visitiate ogni sera vostra sorella e scambiate qualche parola con lei, tranquillamente. Ma credo di avervi detto più di una volta che - dato il suo precario stato di salute - non è consigliabile che più di tre di voi siano contemporaneamente nella sua stanza. Secondo il solito, non si è tenuto conto dei miei desideri. (Una pausa) Voi tutti sapete be­nissimo che vostra sorella deve evitare qualunque eccitazione. Una quiete assoluta è essenziale per lei, specialmente prima che vada a letto. E mal­grado ciò, vi trovo tutti qui, a fare del chiasso attorno a lei come dei ragazzi maleducati... Sono molto, molto scontento. (Enrichetta ha un risolino nervoso) ...Non mi sono accorto di avere detto nulla di divertente, Enrichetta.

Enrichetta                     - Do... domando scusa, papà.

Barrett                           - E posso chiederti che cosa stavi fa­cendo quando sono entrato?

Enrichetta                     - Stavo mostrando a Ba come si balla la polka.

Barrett                           - La... polka?

Enrichetta                     - La polka.

Barrett                           - Capisco. (Una pausa).

Ottavio                          - (molto nervoso) Allora, B-Ba, ti auguro la b-buona notte...

Barrett                           -  Ti sarò grato se mi permetterai di finir di parlare.

Ottavio                          - Scusate, babbo. C-credevo che aveste f-finito.

Barrett                           - (con collera gelida) Vorresti essere insolente?

Ottavio                          - N-no davvero, papà... Vi assicuro... I-io...

Barrett                           - Bene. Dunque?...

Elisabetta                      - (in fretta, nervosa) Siccome sono io la causa del vostro malcontento vorrei dirvi, papà, che nulla mi fa più piacere ogni tanto, di... di un po' di chiasso. (Lieve pausa) E'... è molto piacevole avere qui tutta la famiglia insieme... e non può farmi male...

Barrett                           - Forse perdonerai, Elisabetta, se dico che tu non sei il miglior giudice di ciò che è bene o male per te... Ed è di questo appunto che sono venuto a parlarti. Il dottor Chambers mi ha detto or ora che tu lo hai persuaso a darti il permesso di smettere di bere il « porter » durante i tuoi pasti.

Elisabetta                      - Non ci è voluto molto a persua­derlo, papà. Gli ho detto che detesto il « porter » ed egli ha subito convenuto che posso invece bere del latte.

Barrett                           - L'ho interrogato minutamente sul va­lore nutritivo del « porter » in confronto di quello del latte, ed egli ha dovuto ammettere che senza dubbio il «porter» è superiore.

Elisabetta                      - Può essere, papà. Ma quando una cosa disgusta, non so come possa giovare.

Barrett                           - Ho detto or ora, ragazza mia, che tu non sei la miglior giudice di ciò che può farti bene o male. Posso aggiungere che la disciplina su se' stessi è sempre benefica e che l'indulgenza è inva­riabilmente dannosa.

Elisabetta                      - Se credete che il fatto di bere il latte significhi indulgenza verso me stessa, siete in errore, papà. Soltanto, mi dispiace un po' meno del « porter».

Barrett                           - Quello che ti piace o ti dispiace non ha importanza, in un caso come questo.

Elisabetta                      - Ma papà...

Barrett                           - Credimi, Elisabetta: ho a cuore solo il tuo benessere, quando ti dico che se decidi di smettere di bere il « porter », incorrerai nel mio grave cruccio. Hai bevuto il « porter » a pranzo?

Elisabetta                      - No.

Barrett                           - Allora, spero che lo berrai prima di andare a letto.

Elisabetta                      -  No, papà, mi chiedete troppo dav­vero. Non... non posso bere quell'orribile beverag­gio così, a sangue freddo.

Barrett                           - Benissimo. Certo, non ho modo di costringerti. Non sei più una bambina... Ma desi­dero dare alla parte migliore del tuo carattere il modo di manifestarsi. Accanto al tuo letto sarà messo un boccale di « porter ». E spero che domat­tina mi dirai che... hai obbedito a tuo padre.

Elisabetta                      - Mi dispiace, papà... ma non lo berrò.

Barrett                           - (a Enrichetta) Va' giù in cucina a prendere un boccale di «porter».

Enrichetta                     - No.

Barrett                           - Come hai detto?

Enrichetta                     - (la sua voce trema di collera e di agitazione) E' pura e semplice crudeltà. Voi sa­pete come Ba detesta quella roba. Il dottore le ha permesso di non berla. E voi la torturate soltanto perché... perché vi piace torturarla.

Barrett                           -  Ti ho detto di andare a prendere un boccale di « porter » in cucina.

Enrichetta                     - Non ci vado.

Barrett                           - Devo dirtelo per la terza volta? (Grida ad un tratto) Obbedisci subito!

Elisabetta                      - (con impeto) Papà... Vallo a pren­dere, Enrichetta! Vacci subito! Non posso tollerare questo...

Enrichetta                     - No! Non...

Elisabetta                      - Per favore, ti prego... (Dopo un momento di indecisione, Enrichetta si volta ed esce).

Barrett                           - (tranquillo dopo una pausa) Farete bene a dir tutti buonanotte a vostra sorella.

Arabella                        - (in un sussurro) Buona notte, cara. (ha bacia sulla guancia).

Elisabetta                      - (riceve il bacio impassibile) Buona notte. (Arabella esce. Ciascuno degli altri, a turno, va da Elisabetta e la bacia sulla guancia).

Giorgio                          - Buona notte, Ba.

Elisabetta                      - Buona notte. (Giorgio esce. Dopo di luì, Alfredo, Enrico, Carlo, Settimo; Ottavio, con lo stesso bacio e le stesse parole a cui Elisabetta risponde nello stesso modo. Barrett dinanzi al camino ed Elisabetta sul divano, li seguono con lo sguardo. 1 volti non hanno espressione. Una pausa. Enrichetta entra con un boccale su un vas­soio. Si ferma un momento sulla soglia guardando suo padre e respirando affannosamente).

Elisabetta                      - Dammelo, per favore. (Enrichetta le si avvicina. Elisabetta prende il boccale e sta per portarlo alle labbra, quando Barrett interviene, improvvisamente ma calmo).

Barrett                           -  No. (Scostando Enrichetta, prende il boccale dalle munì di Elisabetta. A Enrichetta) Va' pure.

Enrichetta                     - Buona notte, Ba cara. (Va verso Elisabetta ma Barrett la respinge).

Barrett                           - Va' pure.

Elisabetta                      -  Buona notte. (Enrichetta esce, con uno sguardo dì sfida al padre. Barrett posa il boccale sul caminetto. Poi va al divano e guarda Eli­sabetta. Questa lo fissa, alzando gli occhi spalan­cati e impauriti).

Barrett                           - (con voce gentile) Elisabetta.

Elisabetta                      - (con un sussurro) Papà...?

Barrett                           - (posandole una mano sulla testa e cur­vandogliela leggermente indietro) Perché mi guardi così, bambina?... Hai paura?

Elisabetta                      - (come prima) No.

Barrett                           - Tremi... Perché?

Elisabetta                      - Non... non so.

Barrett                           - Hai paura di me? (Elisabetta sta per parlare; egli prosegue in fretta) No, no. Non lo dire. Non potrei' sopportarlo. (Siede accanto al di­vano e le prende le mani) Tu sei tutto al mondo per me, lo sai. Senza di te sarei completamente solo, sai anche questo. E se... se mi vuoi bene, non devi aver paura di me. Perché l'amore di­strugge ogni paura... Tu mi vuoi bene, vero, cara? Vuoi bene a tuo padre?

Elisabetta                      - (in un sussurro) Sì.

Barrett                           - (agitato) E mi proverai il tuo affetto facendo ciò che desidero?

Elisabetta                      - Non vi capisco. Stavo per bere...

Barrett                           - (in fretta) Sì... ma per paura, non per affetto. Ascoltami, cara. Sai che se tu mi disob­bedisci, incorreresti nel mio corruccio. Ritiro questa frase. Non ti rimprovererò mai, in nessun caso. Mai una parola, un gesto, un cenno da parte mia ti diranno quanto hai offeso e ferito tuo padre rifiutando la piccola cosa che egli ti chiedeva...

Elisabetta                      - Vi prego, vi prego, non dite di più... Tutto questo è così meschino e insignifi­cante... Per favore, datemi il boccale.

Barrett                           - Agisci di tua libera volontà e non...

Elisabetta                      - Oh, papà, smettiamola e non ne parliamo più. Non posso perdonarmi di aver messo lo scompiglio in tutta la casa per un boccale di «porter». (Egli le dà il boccale. Elisabetta beve tutto d'un fiato. Barrett rimette il recipiente sul caminetto; quindi torna al divano e guarda Elisa­betta commosso).

Barrett                           - Non ti senti peggio stasera, cara?

Elisabetta                      - (sbadatamente) No, papà.

Barrett                           - Solo un po' stanca?

Elisabetta                      - Sì... un po' stanca.

Barrett                           - Sarà meglio che ti lasci riposare... Devo dire una piccola preghiera prima di andarmene?

Elisabetta                      -  Sì, papà. (Barrett si inginocchia accanto al divano. Giunge le mani, solleva il viso, chiude gli occhi. Elisabetta giunge le mani ma tiene gli occhi spalancati).

Barrett                           - Dio onnipotente e misericordioso, ascoltami, te ne prego, e accogli la mia umile preghiera. Nella tua imperscrutabile saggezza, Tu hai voluto inviare a tua figlia Elisabetta dolori e afflizioni. Per anni essa ha languito ammalata; e per anni ancora languirà, a meno che nella tua misericordia, Tu non creda meglio richiamarla a Te. Fa' che ella comprenda la tua santa parola, sappia cioè che Tu colpisci coloro che ami. Fa' che ella sopporti pazientemente le sue afflizioni. Fa' che ella rivolga il suo cuore e la sua anima a Te e alla Beata Eternità che in qualunque mo­mento può aprirsi dinanzi a lei. Proteggila stanotte; libera il suo spirito da ogni pensiero umano ed egoistico; guardala e confortala. Questo ti chiedo per amore del figliol tuo Gesù Cristo. Amen.

Elisabetta                      - Amen.

Barrett                           - (alzandosi e baciandola in fronte) Buo­na notte, figlia mia.

Elisabetta                      - (ricevendo il bacio impassibile) Buo­na notte, papà. (Barrett esce. Elisabetta rimane immobile fissando nel vuoto per qualche istante. Bussano alla porta. Entra Wilson portando Flush).

Wilson                           - (mettendo Flush nel suo cestino) E' pronta per andare a letto, miss Ba?

Elisabetta                      - Oh Wilson, son così stanca... stan­ca... stanca di tutto... Non finirà mai?

Wilson                           - Che cosa, signorina?

Elisabetta                      - Questa lunga, lunghissima grigia morte nella vita.

Wilson                           - Oh miss Ba, non deve dire di quéste cose.

Elisabetta                      - Credo anch'io che non dovrei dirle... E' stato contento Flush della sua passeggiata?

Wilson                           - Oh sì, signorina. (Una breve pausa).

Elisabetta                      - E' una bella serata, Wilson?

Wilson                           - Sì, fa caldo e c'è una magnifica luna.

Elisabetta                      - (con ardore) La luna! Tirate le cortine e aprite le persiane. (Wilson esegue. Il chiaro di luna, temperato dalla luce della lampada, illumina il volto dì Elisabetta).

Wilson                           - Ecco, signorina. La luna è proprio sopra ai camini... Si vede benissimo...

Elisabetta                      - (come in sogno) ...Sì... sì... Per favore, spegnete la lampada e lasciatemi per un poco. Non desidero ancora andare a letto.

Wilson                           -  Bene, miss Ba. (Spegne la lampada ed esce. Elisabetta è bagnata dal chiaro- di luna. Per un po' di tempo fissa la luna con gli occhi spalancati. Poi il suo respiro affannoso diviene più udibile e in breve tutto il suo corpo è scosso da singhiozzi. Si volta sul fianco e nasconde il volto fra le braccia. Quando sì chiude il sipario, non si sente che il suo pianto soffocato).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

(Il pomeriggio del giorno seguente. Le tende sono tirate, le imposte aperte. Il sole inonda la camera. Su un tavolino accanto al divano di Elisabetta è un vassoio con un dolce intatto. Elisabetta è sul divano, col couvre-pied sui piedi. E' assorta nella lettura di un piccolo libro. Ogni tanto si passa le dita sui riccioli o li scosta dal viso. Flush è nel suo cestino).

Elisabetta                      - (con enfasi ma perplessa)

« ...rifulgerà di fiori

perfetti; tutti petali, privi di spine,

deliziosi come gocce di vino

versato nel calice della Messa... ». (Bussano alla porta. Elisabetta, assorta, non se ne accorge. Ripete stringendosi la fronte)

« ...tutti petali, privi di spine deliziosi come gocce di vino... ». (Ancora bussano) Avanti. (Entra Wilson) Ah sì,. Wilson... portatemi pure la colazione.

Wilson                           - (stupita)  Gliel'ho già portata, miss Ba.

Elisabetta                      - Ah sì, è vero... L'ho anche gustata molto.

Wilson                           - Ha appena assaggiato il pesce, signo­rina. Ed ho portato via quella bella costoletta quasi intatta. E vedo che non ha ancora toccato il dolce... torta di pasta sfogliata con marmellata di lampone.

Elisabetta                      - (guardando stupita il vassoio) Oh... Ad ogni modo, ora è troppo tardi... (Si immerge nuovamente nella lettura del libro, Wilson porta via il vassoio e rientra immediatamente chiudendo la porta).

Wilson                           - (va al caminetto e misura una medicina versandola in un bicchiere) Ora, miss Ba, se non ha bisogno di nulla e se si sente bene, porterò fuori Flush a prendere un po' d'aria. (Elisabetta, assorta nella lettura, non bada. Wilson le porge il bicchiere con la medicina) La medicina, miss Ba.

Elisabetta                      - (prende il bicchiere con gli occhi an­cora fissi sul libro) Grazie. (Continua a leggere col bicchiere in mano).

Wilson                           - (andando alla finestra) Sarà forse me­glio chiudere un poco le imposte. Troppo sole non le fa bene, signorina... (Chiude a metà la persiana).

Elisabetta                      - Oh... (Inghiottisce la medicina con una piccola smorfia e tende il bicchiere a Wilson) Per favore, Wilson, aprite la porta. Aspetto visite oggi e desidero che trovino la stanza fresca. Come vorrei poter aprire la finestra.

Wilson                           - (spaventata) Aprire la finestra!

Elisabetta                      - (con un sospiro) Sì, so che è seve­ramente proibito... Ebbene, spalancate la porta.

Wilson                           - Sarà meglio che prima la copra bene. (Prende una coperta) Visite, miss Ba?

Elisabetta                      - (mentre Wilson la copre fino al mento) Di mia cugina, miss Bella Hedley. Non la vedo da quando era una bimba; era un amore. Ed ora è fidanzata.

Wilson                           -  Davvero? E conduce con sé il fidanzato?

Elisabetta                      - Sì. (Wilson apre la porta) E più tardi verrà il signor Roberto Browning.

Wilson                           - Quel signore che le manda sempre tanti libri?

Elisabetta                      - Sì. (Ricomincia a leggere).

Wilson                           - E' certa che non le viene troppa aria, signorina?

Elisabetta                      - (senza alzare gli occhi)  No, va bene così.

Wilson                           - Non sarebbe meglio che tenesse le braccia coperte? In questi giorni di primavera, l'aria è traditrice.

Elisabetta                      - (fra sé, con enfasi disperata) No... è più forte di me! Rinunzio!

Wilson                           - Come, signorina?

Elisabetta                      - (parla intensamente) Wilson.

Wilson                           - Comandi, signorina.

Elisabetta                      - Avete notato qualcosa di... « strano» in me oggi?

Wilson                           -  Di strano?

Elisabetta                      - Sì, di strano. Voglio dire... vi pare che io sia stupida... idiota... cretina...

Wilson                           -  No, per carità. Forse è un po' di­stratta... ma non è cosa da preoccuparsi, miss Ba.

Elisabetta                      - Allora, non credete che io stia per diventare... pazza?

Wilson                           -  Misericordia! Pazza?!

Elisabetta                      - Bene. Ma ora ascoltate attenta­mente e ditemi che cosa vi sembra. (Legge). « E se dopo, per passatempo Giugno rifulgerà di fiori perfetti, tutti petali, privi di spine deliziosi come gocce di vino versato nel calice della Messa; uno ne sceglierà, indulgente ai colori e alla dolcezza; oppure, avendo esperienza dell'uomo e del regno, si servirà del temporale che spazza gli insetti, perché non termini la ragnatela... A tutto questo, il Giugno provvederà». Ebbene?

Wilson                           - (con entusiasmo)  Che bellezza, si­gnorina!

Elisabetta                      -  Ma capite che cosa vuol dire?

Wilson                           - Oh no, signorina.

Elisabetta                      - Non esprime assolutamente nulla al vostro spirito?

Wilson                           - Oh, no, signorina.

Elisabetta                      - (con un sospiro di sollievo) Meno male!

Wilson                           - Ma la poesia è sempre così, signorina. Almeno la vera poesia, come quella che scrive lei.

Elisabetta                      - (ridendo) Ma questo non l'ho scritto io. E' il signor Browning.

Wilson                           - Dev'essere un uomo intelligente.

Elisabetta                      - Oh sì, sì. Lo è davvero. (Wilson ha preso in braccio Flush) Beh, caro Flush, sarai bravo oggi? (Tende le braccia per prendere il cane che Wilson le dà) Dirò a Wilson di farmi un rap­porto quando torna a casa. (A Wilson) Dove lo portate?

Wilson                           - Visto che è bel tempo, gli farò fare una passeggiata al parco.

Elisabetta                      - Sì, sì. E guardate bene che fiori vi sono. Voglio saper tutto. Vi saranno senza dub­bio dei giacinti, degli asfodeli, e forse qualche rosa precoce... Oh Flush, darei qualunque cosa per po­ter venire con te al posto di Wilson!

Ottavio                          - (dall'interno) Posso entrare?

Elisabetta                      - Otty caro! (Entra Ottavio. Elisa­betta dà Flush a Wilson) Che diamine fai in casa a quest'ora? (Wilson esce portando Flush).

Ottavio                          - E' una b-brillante idea di p-papà. Mi ha detto di fare mezza vacanza p-per aiutarti a nu­trire e intrat-tenere i due colombi.

Elisabetta                      - E perché? Enrichetta e Arabella sanno ricevere benissimo. E anch'io.

Ottavio                          - Ma avete lo s-vantaggio di essere tntutte dello stesso sesso. Pare che papà sia convinto che almeno un B-Barrefct m-maschio debba essere pre­sente. Ed è d-deciso ad essere assolutamente gentile con gli Hedley. Quando papà decide una cosa, la cosa è fatta. Ho torto?

Elisabetta                      - (con un sospiro) No... la cosa è fatta... Ma desidero che tu faccia uso di una certa diplomazia. Il capitano Surtees Cook verrà alla stessa ora in cui verranno Bella e il signor Bevan. Egli viene a trovare Enrichetta...

Ottavio                          - Per Bacco! S-sarà molto- contento quan­do troverà Enrichetta «chaperonnée » q-quattro volte invece di una.

Elisabetta                      - Ho combinato che Arabella con­durrà qui da me Bella e il signor Bevan. Tu devi venire con loro.

Ottavio                          - Davvero? E perché?

Elisabetta                      - Perché così Enrichetta potrà avere per un po' di tempo il capitano' Cook tutto per sé.

Ottavio                          - Oh! Ah! Sì, Capisco... E n-non hai per nulla l'aria di v-vergognarti!

Elisabetta                      - Non mi vergogno affatto.

Ottavio                          - Ma non ti rendi conto, mia cara Ba, che f-forse rendiamo un pessimo servizio a Enri­chetta, inc-coraggiando questo romanzo ancora in boccio?

Elisabetta                      - Sì. Ma credo, ciò nonostante, che dovremo cercare di... (Ottavio la guarda interroga­tivamente) Otty, quando ieri sera uno dopo l'altro mi avete augurato la buona notte, mi è venuto un buffo pensiero. Ho pensato che non eravate esseri viventi... ma automi.

Ottavio                          - Per Giove!

Elisabetta                      - Come degli automi, vi alzate ogni mattina alle sette e mezzo. Consumate la colazione come degli automi. Andate a lavorare automatica­mente. Tornate a casa come degli automi. Pran­zate come automi. Andate a letto come automi.

Ottavio                          - Ma io...

Elisabetta                      -  E Arabella non è meno automatica degli altri, sebbene si muova in modo- diverso. Mi sembra che abbiate abolito dalla vostra vita tutto ciò per cui vale la pena di vivere: eccitamento, av­ventura, cambiamenti, frivolità, amore...

Ottavio                          - Non siamo noi che 'lo abbiamo abolito, cara. L'operazione è stata compiuta dal diletto papà.

Elisabetta                      - Lo so, ma...

Ottavio                          - Oh, ammetto che siamo tutti p-privi di... spina dorsale! Ma che vorresti fare? Nessuno di noi ha d-delle doti p-particolari; e tutti dipen­diamo completamente da papà; dobbiamo obbe­dirgli o essere spezzati. N-non ci consigli, per caso, la ribellione?

Elisabetta                      - No; ma neanche la rassegnazione. Fate almeno vivere le vostre anime. Ciò che mi spaventa è che voialtri possiate contentarvi di una vita che non è vita. E tutti vi avviate a questo; tutti... eccetto Enrichetta.

Ottavio                          - Tutto questo v-va bene, cara Ba... ma... e tu?

Elisabetta                      - Io?

Ottavio                          - Sì, tu. Può darsi che tutti noi - eccet­tuato, se vi riuscirà, la giovine Enrichetta - ci la­sciamo trascinare d-dalla c-corrente. Ma non mi sembra che tu lotti c-contro di essa. C-com'è an­data a f-finire la faccenda del « porter » ieri sera?

Elisabetta                      - (con una triste risatina) Ma io non conto. Io sono fuori questione. Voialtri avete la vita dinanzi a voi. La mia vita è finita.

Ottavio                          - Sciocchezze. (Entra Enrichetta).

Enrichetta                     -  Beh, Otty, che cosa fai qui?

Ottavio                          - Un'idea di p-papà. Ha saputo non so come che Surtees Cook g-gironzola qui intorno, e mi ha mandato a casa perché io lo cacci via.

Elisabetta                      - Otty!

Enrichetta                     - (costernata, senza respiro) Come lo ha saputo? Non poteva saperne nulla... (A Eli­sabetta) A meno che tu e Arabella...

Elisabetta                      - Come sei idiota, Ottavio! No, cara...

Ottavio                          - Scusami! E' stato uno scherzo...

Enrichetta                     - (con calore) Odioso!

Ottavio                          - Hai ragione. (Mettendole un braccio intorno alla vita) Scusami, ti r-ripeto. Picchiami, se vuoi.

Enrichetta                     - (cedendo a metà) Ne avrei voglia davvero.

Ottavio                          - (sedendo e attirandola sulle sue ginocchia) No, b-bimba mia; il fatto è così. Sua M-Maestà mi ha mandato a casa per rappresentarla al r-rice-vimento. Non mi scosterò dal fianco di Bella, neanche quando 'lei e il suo diletto verranno' quassù ad ab-bracciare Ba. Nel frattempo, tu f-farai diver­tire Cook come stai f-facendo divertire me. (La bacia) Puoi considerare questa come una prova ge­nerale.

Enrichetta                     - (balzando dalle sue ginocchia) Ot-ty! Come puoi essere così volgare! (Ascolta) Che cos'è? (Corre alla finestra) Oh, Ba, sono arrivati! In gran cerimonia! La berlina di gala dei Bevan, con lacchè incipriato. (Ottavio la raggiunge alla fi­nestra) Guarda Bella! Che vestito! Che cuffia! Bel­lissima. E la barba del signor Bevan! (Gesto intorno al mento) Non sei verde di invidia, Otty?

Ottavio                          - Verde e turchino.

Enrichetta                     - (spingendolo verso la porta) Va', va' ad aiutare Arabella a riceverli. Sbrigati! Presto! Io aspetterò qui finché arriva il capitano Cook. Scenderò allora: e tu e Arabella potrete condurre qui Bella e il signor Bevan.

Ottavio                          - Tutto ben disposto e deciso, eh? Ve­dete un po'...!

Enrichetta                     -  Va', va'! (Lo spinge fuori dalla stanza e chiude la porta. Quindi corre nuovamente alla finestra e guarda in istrada, agitata) Che ora è?

Elisabetta                      - (sorridendo) Le tre e cinque minuti.

Enrichetta                     - E cinque minuti?

Elisabetta                      - E cinque minuti.

Enrichetta                     - Non capisco... ha detto alle -tre... (Con subita ansietà) Ba! E' martedì oggi, vero?

Elisabetta                      -  Sì, cara. >

Enrichetta                     - (con un sospiro di sollievo) Oh... (Si volge di nuovo alla finestra) Vorrei che venisse in uniforme. Farebbe la concorrenza alla barba del signor Bevan! (Elisabetta ride) Oh, eccolo! (Corre via lasciando la porta aperta).

Elisabetta                      - Chiudi, per favore. (Ma Enrichetta è andata. Elisabetta scrolla le spalle sorridendo. Prende il suo libro e ricomincia a leggere. Dopo qualche istante si odono voci fuori, poi rumore di passi che si avvicinano. Ottavio entra).

Ottavio                          - Sei pronta a riceverli?

Elisabetta                      - Sì. Come sono, Otty?

Ottavio                          - Oh, lei è un sogno di bellezza! E lui... Non è., è... (Esce. Una pausa. Le voci si avvici­nano. Quindi entra Bella Hedley. E' una creatura piccola, squisitamente graziosa, volubile, affettuosa, sentimentale, dotata dì una costituzionale impossi­bilità a pronunciare la lettera «r». E' seguita da Arabella, Enrico Bevan e Ottavio. Bevan è un mo­dello di contegno e dì buona educazione. Ha una magnifica barba alla Kniger: la sua voce e ì suoi modi sono compassati e perfetti). Bella          - (estatica) Cugina Elisabetta!

Elisabetta                      - (porgendole la mano) Cara Bella... Bella             - Ba! (Cade in ginocchio accanto- al divano e abbraccia Elisabetta) Cavissima Ba! Dopo tanti anni!... Mia poveva Ba, come sei cambiata! Così pallida, così fvagile, così etevea!

Elisabetta                      - E tu, Bella, sei anche più carina di quanto promettevi da bimba. Bella -  Adulatviee! (Bacia la mano dì Elisabetta e si alza in piedi. Senza lasciare la mano) Hai sen­tito, Envico? Questo è il mio cavo, cavissimo En-vico. Il signov Bevan... Miss Elisabetta Bawett.

Bevan                            - (prendendo la mano di Elisabetta e curvan­dosi su di essa) E' una mano che ha scritto tante pagine nobili ed eloquenti... Sono molto onorato, miss Barrett.

Elisabetta                      - Grazie. E posso congratularmi? Con entrambi? Spero che sarete molto felici.

Bevan                            - Grazie, miss Barrett. Posso davvero dir­mi fortunato.

Bella                              - Cavo Havvy... Cava Ba...

Elisabetta                      -  Non volete accomodarvi? (Bella, Arabella e Bevan sì siedono. Ottavio rimane accanto alla finestra, in piedi).

Bella                              - Adovo i tuoi poemi, Ba... Specialmente quando li legge il mio diletto Havvy! Mi ha letto « La covte di Lady Guendalina » l'indomani del nostro fidanzamento. Legge così bene! Anche lui adova le tue poesie; cosa che ti deve fav molto piaceve, pevché Havvy è un evitico fevocissimo.

Bevan                            - ' Via, via, tesoro!

Bella                              - Ma sì, Havvy; è pvopvio così! Non ap­prova completamente neanche i poemi di Alfvedo Tennyson.

Elisabetta                      - Davvero, signor Bevan?

Bevan                            - In verità, non ho nulla da dire contro quella poesia. Il signor Tennyson scrive sempre come un gentiluomo. Ma ciò che mi dispiace, miss Barrett, è che il suo atteggiamento verso k cose sacre è troppo spesso tinto di dubbio.

Arabella                        - Molto triste...

Bevan                            - Veramente triste, miss Arabella! E pur­troppo è un atteggiamento molto frequente fra i giovani d'oggigiorno. Sembra che la mancanza di fede e di rispetto, lo spirito di derisione, vadano sempre aumentando. Certo, dicendo questo, non alludo al signor Tennyson. L'opera sua è sempre rispettosa, anche quando esprime dubbio. Invece le vostre poesie, miss Barrett, non mostrano alcuna di queste tendenze moderne. Non vi è un verso di cui io possa disapprovare la lettura anche da parte di Bella.

Elisabetta                      - E' molto lusinghiero.

Bella                              - Il mio Havvy è così tevvibilmente sevio!

Bevan                            - Via, via, tesoro...

Ottavio                          - S-signor Bevan, credo che n-non ab­biate ancora conosciuto mio padre, vero?

Bevan                            -  Non ho ancora avuto questo piacere.

Ottavio                          - Immagino che voi e lui andreste stra­ordinariamente d'accordo.

Bevan                            - Davvero?

Bella                              - Oh, sì! Pevché anche il cavo zio Edoavdo è tevvibilmente sevio! Mamma me l'ha detto tante volte... (Una pausa).

Elisabetta                      - E quando avranno luogo le nozze, se non sono indiscreta?

Bevan                            - Affatto, affatto, cara miss Barrett. Noi...

Bella                              - (eccitata) Oh, mi viene in mente! Dov'è la cava Envichetta?... Le nozze? In pvincipio di agosto. (Si guarda attorno) Dov'è Envichetta?

Ottavio                          - E' giù in salotto con un amico.

Bella                              - Volevo chiedevle... Un amico? Quel si-gnove che abbiamo visto in anticameva?

Elisabetta                      - Sì, il capitano Surtees Cook.

Bella                              - Un ufficiale? Oh, che bellezza! Dal suo povtamento immaginavo che fosse un militave! Dunque, è un amico della cava Envichetta?

Elisabetta                      - Sì... Volevi chiedere qualche cosa a mia sorella?

Bella                              - Sì. Oh, Ba, desidevo tanto che sia una delle mie damigelle d'onove! Cvedi che... (Entra Enrichetta. E' visibilmente distratta. Bella balza in piedi) Envichetta! (Prendendole le mani) Cava En­vichetta, stavo appunto dicendo... Oh, devi esseve una delle mie damigelle d'onove! Non puoi dive di no!

Enrichetta                     - Damigella?... Ah sì, al tuo matri­monio. Farebbe piacere anche a ' me, Bella. Sei molto carina a invitarmi. Accetto volentieri... se papà... Ma sono sicura che non vorrà...

Bella                              - Zio Edoavdo! Pevché non dovvebbe vo-leve?

Elisabetta                      - No, no, sono sicura che non farà obiezioni. Non vedo come potrebbe farne.

Bella                              - Obiezioni! Non capisco!... E' buffa, no, Ba? Ti chiedo di esseve soltanto una damigella d'onove, tesovo... non la sposa!

Enrichetta                     - Lo so, ma... Oh, è così difficile da spiegare...

Bevan                            - (grave) Forse il signor Barrett considera le damigelle d'onore come una frivolezza che non dovrebbe aver rapporto con un sacramento così so­lenne come il matrimonio?

Enrichetta                     - No, no, signor Bevan. Non è questo. E' che... (improvvisamente le parole affluiscono) E' semplicemente il fatto che nulla, nulla può ac­cadere in questa casa senza la sanzione di papà. (A Bella) Tu -sai che una volta egli è stato proprie­tario di schiavi in Giamaica. E siccome laggiù la schiavitù è stata abolita, egli l'ha trasportata in In­ghilterra. Parlo sul serio. Noi siamo tutti suoi schiavi.

Ara

Bella                              - Enrichetta! (Bella e Bevan sono stu­piti e imbarazzati).

Enrichetta                     - Non è vero, forse? Non è vero, Otty? Non è vero, Ba? Non possiamo fare un gesto senza il suo permesso. Dobbiamo ubbidire al più piccolo dei suoi capricci e assecondare il suo umore, che è mutevole come il vento! Nessuno di noi, nessuno ha un'anima propria! Ti dico, Bella, che è molto probabile che egli mi rifiuti di essere tua damigella d'onore, per nessun motivo particolare, ma soltanto perché è di malumore!

Ottavio                          - Ma il t-tè non è ancora pronto?

Ara

Bella                              - (alzandosi in fretta) Sì, sì.

Enrichetta                     - Il tè è pronto. Scusatemi. Ho di­menticato di dirvelo.

Ottavio                          - Dio mio, andiamo p-presto, altrimenti il capitano Cook avrà mangiato tutto! (Va ad aprire la porta).

Enrichetta                     - E' già andato via... (Va verso la finestra e rimane immobile. Con gli occhi rivolti altrove).

Bella                              - Au vevoiv, cavissima Ba! (La bacia) Sono stata così contenta di vedevti! Posso tovnave pvesto? La pvossima volta voglio avevti tutta pev me: vo­glio dive senza Hawy.

Elisabetta                      - Vieni quando vuoi, cara.

Bevan                            - Ma perché io devo essere escluso?

Bella                              -  Pevché devo pavlave molto, molto a Ba di un cevto uomo gvande, che diventevebbe tvoppo vanitoso se mi sentisse!

Bevan                            - Via, via, tesoro. (Bella prende il braccio di Arabella. Bevan si curva sulla mano di Elisa­betta) A rivederci, cara miss Barrett.

Elisabetta                      - A rivederci. Siete stati molto gen­tili a venire a vedermi.

Bevan                            - Non Io dite. E' molto tempo che aspiro all'onore di conoscervi. Buon giorno. (Bella, sempre a braccetto con Arabella, bacia la mano di Elisa­betta).

Bella                              -  Au vevoiv, tesovo!

Elisabetta                      - Auf wiedersehen. (Bella e Arabella escono).

Bevan                            - (siala soglia si volta e si inchina) A ri­vederci.

Elisabetta                      - A rivederci. (Bevan esce. Ottavio voltandosi quando è sulla porta, fa un inchino a Elisabetta imitando Bevan e lo segue. Elisabetta sorride e dà un'occhiata a Enrichetta che è ancora con la faccia verso la finestra: quindi prende un libro e si mette a leggere. Una pausa. Improvvisa­mente Enrichetta sì volge verso dì lei).

Enrichetta                     - (veemente) Perché non dici nulla?

Elisabetta                      - (fredda) Che cosa vuoi che dica?

Enrichetta                     - Niente... Oh, Ba, non mi sgridare! (Le si avvicina e siede a terra accanto al divano) So che lo merito. Sono stata cattiva. Ma non ho potuto farne a meno. Sono così infelice!

Elisabetta                      - (subito) Infelice, cara?

Enrichetta                     - Sì... così... così... felice, anche... Posso dirti tutto, mia diletta Ba? So che non dovrei. Perché se riesco a fare ciò che voglio e papà un giorno ti chiederà se sapevi nulla, dovrai mentire, e so che detesti farlo, o dire che sapevi. E allora sarà furente perché non lo hai avvisato in tempo.

Elisabetta                      - Non importa, cara. Parla.

Enrichetta                     - Surtees mi ha chiesto di sposarlo.

Elisabetta                      - Oh, Enrichetta! Ma...

Enrichetta                     - Ed io ho accettato... ma gli ho detto che non avrei potuto. E gli ho anche detto che non dovremo vederci mai più. Quando domani verrà qui, dovremo...

Elisabetta                      -  Parli senza senso comune, bam­bina. Che cosa è avvenuto, precisamente?

Enrichetta                     - Non so... So soltanto che ci amia­mo terribilmente... Oh Ba, che cosa faremo? Sur­tees ha appena di che vivere modestamente e con un certo decoro. Ed io non ho un soldo. Se al­meno avessi, come te, quattrocento sterline all'anno, sfiderei le ire di papà e me ne andrei di casa domani per sposare Surtees.

Elisabetta                      - E a me a che serve quel denaro? Te lo darei con molta gioia...

Enrichetta                     - Lo so, tesoro! Ma è assolutamente impossibile! Pensa che cosa diventerebbe la tua vita se papà sapesse che tu mi hai reso agevole lo sposarmi! No, no. Ma non è una crudele ironia che la sola persona della famiglia che abbia i mezzi per esser libera e felice, non sia in condizione di servirsene? (Con subita insistenza) Ba, cara, cara, non c'è proprio nulla che possa mutare le idee di papà sul matrimonio? Possibile che sia una colpa desiderare disperatamente l'amore di un uomo... e... e... desiderare di avere dei bambini miei?

Elisabetta                      -  No... Ma come posso rispondere a una simile domanda? Amore e bambini sono così completamente lontani dalla mia vita...

Enrichetta                     - Lo so, cara. Tu sei una donna a parte. Ma amore e bambini sono un pensiero na­turale per una ragazza come me. E ciò che è naturale non può essere una colpa.

Elisabetta                      -  No... Eppure i santi hanno rinun­ciato a queste cose...

Enrichetta                     - E' vero. Ma io non sono una santa. E neanche papà è un santo... no davvero! Del re­sto, non si è sposato anche lui e... (Picchiano alla porta).

Elisabetta                      - Avanti.

Wilson                           - (entrando) C'è il signor Roberto Brown­ing, signorina.

Elisabetta                      - (ansante) II., il signor Browning?...

Wilson                           - Sì, signorina.

Enrichetta                     - Allora è meglio che io me ne vada!

Elisabetta                      - (agitata, in fretta) No, no... rimani. Non posso vederlo. Non... non mi sento... Non posso...

Enrichetta                     - Ma che diamine hai, Ba? Ieri mi dicesti...

Elisabetta                      - Lo so, lo so. Ma ora non mi sento di vederlo. (A Wilson) Dite al signor Browning che mi scusi, ma non mi sento abbastanza bene per poterlo ricevere.

Enrichetta                     -  Ma non è vero, Ba! Non puoi mandarlo via così, mia cara. Sarebbe troppo scor­tese, dopo averlo pregato di venire e dopo tutti gli sforzi che egli ha fatto per ottenere questo da te. (A Wilson) Dov'è il signor Browning?

Wilson                           - L'ho fatto accomodare in biblioteca.

Elisabetta                      -  Ma preferirei davvero, di non ve­derlo...

Enrichetta                     - Sciocchezze! Mi sembri proprio una scolaretta... Lo accompagnerò qui io stessa. Il signor Kenyon dice che è un tipo molto romantico ed elegantissimo. (Esce).

Elisabetta                      - Ho... i capelli in ordine?

Wilson                           - Sì, miss Ba.

Elisabetta                      - Per favore, aggiustatemi il « couvre-pied»... (Wilson eseguisce). Grazie. E poi, Wil­son... No, grazie, va bene...

Wilson                           - Sì, signorina. (Esce. Elisabetta eviden­temente in stato di tensione nervosa, aspetta la ve­nuta di Roberto Browning, una pausa. Entra Enri­chetta).

Enrichetta                     -  Il signor Roberto Browning. (Entra Roberto Browning. E' un bell'uomo, sui trentacin­que anni, vestito impeccabilmente. Forse lievemente affettato. Porta sulla spalla una cappa tenuta ferma al collo da una catena. Ha il cappello alto. Guanti color limone e un bastone da passeggio. Il suo modo di fare è sincero e ardente. Parla rapidamente, con volubilità; gestisce ampiamente. Enrichetta esce).

Browning                      - (sì ferma qualche secondo a due passi dalla soglia) Miss Barrett...?

Elisabetta                      - (tendendogli la mano) Signor Browning?

Browning                      - (posa rapidamente cappello e guanti e bastone, va verso il divano e prende la mano di lei fra le sue) Cara miss Barrett... finalmente!  (Sollevando la sua mano fino alle labbra) Final­mente!

Elisabetta                      - (ancora nervosa e un po' sbalordita dall'ardore e dalla mancanza di convenzionalismo del suo gesto) Ho... ho dovuto rimandare molto più di quanto avrei voluto il piacere di conoscervi...

Browning                      - (tenendole ancora la mano) Forse non mi avreste neanche ricevuto, se io non fossi stato così noioso e insistente.

Elisabetta                      -  Come avete saputo dalle mie let­tere, sono stata poco bene durante l'inverno e... (Si accorge che la sua mano è ancora fra quelle dì lui e la ritira dolcemente) Non volete togliervi la cappa?

Browning                      - Grazie. (Sgancia la cappa e la de­pone).

Elisabetta                      - Spero... spero che non troviate que­sta stanza troppo calda, signor Browning?

Browning                      - No, no...

Elisabetta                      - Il mio dottore mi costringe a vi­vere in quella che per voi temo sia una tempera­tura da serra...

Browning                      - (che ha lanciato un rapido sguardo in­torno) Straordinario! Voi penserete, miss Barrett, che questa è la prima volta che vengo qui. Siete assolutamente in errore, sapete!

Elisabetta                      - Ma...

Browning                      -  In errore. Ho visto questa stanza tante di quelle volte che mi è familiare come il mio piccolo studio! Prima di entrare, sapevo preci­samente come erano disposti i vostri libri, come quel ramo di edera attraversa la vostra finestra, e quei busti di Omero e Chaucer sono dei vecchi amici che mi hanno guardato sovente, prima di oggi!

Elisabetta                      - (sorride protestando)  Via, davvero...

Browning                      - Ma non ho mai potuto riconoscere quegli altri che sono sull'armadio e...

Elisabetta                      - (ridendo) Via, signor Browning, non posso credere che quel caro signor Kenyon vi abbia descritto così dettagliatamente la mia po­vera stanzetta!

Browning                      - (sedendo accanto a lei) Ho cercato di farmi dare da lui tutti i particolari possibili... e per il resto, la mia immaginazione ha supplito. Ap­pena lessi i vostri versi così belli e coraggiosi,, co­minciò in me l'avidità, la bramosia di conoscere tutto ciò che vi concerneva.

Elisabetta                      - Ma... Oh, signor Browning, i miei poveri versi rivelano la mia vita così spietatamente?

Browning                      -  Spietatamente, completamente, inte­ramente, a me! Non saprei per il resto del mondo.

Elisabetta                      - (sorridendo)  Mi spaventate di nuovo!

Browning                      - Davvero?

Elisabetta                      -  Sicuro! Perché temo che per me sarà inutile tentare di far la commedia con voi!

Browning                      -  Assolutamente inutile!

Elisabetta                      - - Dovrò dunque essere sempre... pro­prio me stessa?

Browning                      -  Sempre.

Elisabetta                      - Oh... (In fretta) E anche voi, signor Browning?

Browning                      -  Sempre proprio me stesso! (Le tende la mano che ella prende con un sorriso, quindi rìidendo) Ma sapete, miss Barrett, non dovete apprez­zarmi molto per questo! Essere me stesso è per me così spontaneo come respirare. E' a far la commedia che mi è difficile...

Elisabetta                      - Non stento a crederlo, ora che vi conosco. Eppure, non è una cosa straordinaria? Quando scrivete, non fate altro... che recitare la commedia.

Browning                      - Lo so.

Elisabetta                      - Non siete mai stato voi stesso, in nessuno dei vostri poemi. E' sempre un'altra per­sona che parla attraverso voi.

Browning                      - Sì. E debbo dirvi perché? Sono mol­to modesto... (In fretta, dopo una brevissima pausa) Ve lo assicuro!

Elisabetta                      - (con represso divertimento) Non lo metto in dubbio, signor Browning.

Browning                      -  Così modesto, che se scrivessi di me le mie speranze e i miei timori, i miei odi e i miei amori e tutti i miei sentimenti, i miei poemi sarebbero insopportabilmente noiosi.

Elisabetta                      - (ridendo vivace) Beh... dal mo­mento che abbiamo fatto patto di essere sinceri, non vi contraddirò... finché non vi conoscerò meglio!

Browning                      - (ridendo) Brava!

Elisabetta                      - (con ardore)  Ma quei poemi così pieni di fervore di vita, così lieti e cordiali... non potete immaginare che cosa significhino per me! Io sono qui, chiusa fra quattro mura, il panorama della via Wimpole è la mia unica vista sul mondo. E tutte quelle vostre creature meravigliose, di tutte le età e di tutti i paesi, riempiono questa stanza e si affollano intorno al mio divano, tutte vibranti di vita! Vita! Vita! No, non comprenderete mai di quanto vi sono debitrice!

Browning                      - (commosso) Davvero?

Elisabetta                      -  Vi assicuro che...

Browning                      -  Lo so; altrimenti non lo sareste! E mi credete se vi dico che quanto mi avete detto mi ricompensa mille e mille volte della fredda in­differenza che il pubblico mi ha manifestata?

Elisabetta                      - (con impeto)  Ah, è una cosa che mi esaspera! A volte detesto il pubblico inglese.

Browning                      - (leggermente) Ma no! Caro, vecchio pubblico inglese! Ho il sospetto, miss Barrett, che la mia impopolarità sia dovuta soprattutto al mio stile!

Elisabetta                      - (un po' troppo vivace) Oh, no!

Browning                      - Non siamo d'accordo che non dob­biamo farci dei complimenti?

Elisabetta                      - (ridendo) Toccato! Beh, forse nell'opera vostra vi è qualche passaggio troppo... trop­po profondo per i comuni lettori,

Browning                      - Eppure, a me sembra così facile... e per voi?

Elisabetta                      - Qualche volta... (Prende il libro) Ho segnato qualche punto nel vostro « Sordello » che mi lascia un po' perplessa... (Apre il libro e glielo porge).

Browning                      - Ah, «Sordello»! (Legge il passaggio sorridendo. Il sorriso si dilegua, egli si passa la mano sulla fronte e rilegge, ha osserva, con un lieve sor­riso, e le mormora) Straordinario... Ma... un pas­saggio, stralciato dal resto... (Si alza e va alla fi­nestra, come per aver maggior luce sul soggetto, e legge una terza volta. Elisabetta stenta a nascon­dere come si diverte. Egli si volge verso di lei con un'espressione di buffo dispiacere) Cara miss Barrett, quando questo passo fu scritto, solo Dio e Ro­berto Browning lo capivano. Ora lo- capisce Dio solo. (Ella ride, egli le fa eco) Vogliamo fare un po' di luce in quest'oscurità gettando nel fuoco queste pagine?

Elisabetta                      - (indignata) No, davvero! Ridatemi il libro! Neppure per sogno! (Egli glielo dà) E' solo qualche macchia nel sole. Vi ha detto il signor Kenyon che sono... destinata a morire?

Browning                      - Tutti siamo destinati a morire.

Elisabetta                      - E che la nostra vita di famiglia è di un'insopportabile malinconia?

Browning                      - Sì, mi ha accennato a qualche cosa di questo genere.

Elisabetta                      - Ora, signor Browning, francamente, trovate che io sia un essere tanto da compiangere?

Browning                      - Vi trovo come mi aspettavo di tro­varvi: piena di coraggio e di gaiezza. Voi dite che i miei versi vi hanno fatto del bene... essi non sono nulla. Sono io... io che voglio aiutarvi e farvi del bene, oramai! Finalmente ci siamo trovati... non intendo perdervi.

Elisabetta                      - Ma...

Browning                      - No, lasciatemi dire! Datemi le vostre mani. (Si china in avanti e le prende le mani) Ho più vitalità di quanta ne occorra per un uomo solo... Posso darla a voi! Non sentite già una nuova vita diffondersi nelle vostre dita e risalire fino al vostro cuore e al vostro cervello?

Elisabetta                      - (un po' scossa e sgomenta) No, si­gnor Browning... vi prego, lasciate le mie mani... (Egli apre le mani, ma ella lascia le sue ancora per un momento sulle palme di lui, quindi le ritira e stringendosi le guance, lo fissa con gli occhi spa­lancati e turbati).

Browning                      - (dolcemente) Ebbene?

Elisabetta                      - (un po' debolmente, ma con voluta leggerezza) Siete... davvero un uomo prepotente, e se devo dire la verità io sono...

Browning                      - No, non ditemi nuovamente che a-vete paura di me! E' della vita che avete paura... e questo non deve essere.

Elisabetta                      - Ma ditemi: fate questo effetto sulle altre persone?

Browning                      - Dicono.

Elisabetta                      - (leggermente) Perciò esitavo a co­noscervi, per questa vostra inquietante vitalità. Quando la mia cameriera mi ha detto che eravate venuto, sono stata presa da un tale panico e quando poi siete entrato...

Browning                      - Strano! In quel momento- ero ner­voso quanto voi.

Elisabetta                      - Davvero?

Browning                      - Miss Barrett, ricordate la prima let­tera che vi scrissi?

Elisabetta                      - Sicuro, una bellissima lettera.

Browning                      - Pesai tutte le parole. E una frase in , modo particolare: «Amo i vostri libri con tutto il cuore e amo anche voi ». Ricordate?

Elisabetta                      - (leggermente) Sì... E trovai che era­vate graziosamente impulsivo!

Browning                      - (quasi con irritazione) Ma vi dico che non vi era nulla di impulsivo.

Elisabetta                      - Spero di aver molti lettori come voi! E' una gioia pensare di avere in tutto il monde-dei buoni amici che non ho mai veduti e di cui non ho mai sentito parlare.

Browning                      - Non parlo- di amicizia, ma di amore No, è inutile. Ho- detto «amore» e intendo dire « amore »...

Elisabetta                      - Ma davvero, signor Browning, devo chiedervi se...

Browning                      - (interrompendola vivacemente) Non sono pazzo. E quando vi dico che oggi siete il cen­tro della mia vita...

Elisabetta                      - (molto gravemente) Se dovessi pren­dere sul serio le vostre parole, signor Browning, questo significherebbe la rapida fine di un'amicizia , che prometteva di essere molto piacevole.

Browning                      - Perché?

Elisabetta                      - Sapete benissimo che l'amore - nel senso in cui apparentemente voi usate questa pa­rola - non ha, non può avere posto nella mia vita.

Browning                      - Perché?

Elisabetta                      - Per molte ragioni... ma non basta. Come vi ho detto prima, sono destinata a morir presto.

Browning                      - (con passione) Rifiuto di crederlo! Perché, se così fosse, Iddio sarebbe insensibile, men­tre so che egli è misericordioso; e la vita sarebbe buia e cattiva, mentre io so che è buona. Non dovete dire mai più questa cosa. Ve lo proibisco.

Elisabetta                      - Me lo proibite?...

Browning                      - Sì, proibisco. (Prorompendo con su­bita gaiezza) Cara miss Barrett, che splendido prin­cipio per la nostra amicizia! Ci conosciamo appena da mezz'ora eppure abbiamo già parlato intima­mente di arte e di vita, di morte e d'amore, e o-gnuno di noi ha proibito qualche cosa all'altro, e abbiamo quasi litigato! Potrebbe esservi nulla di più felice e di più promettente?... Ora, se permet­tete, vado via. Kenyon mi ha detto che la mia prima visita dev'essere il più breve possibile perché gli estranei vi stancano. Non che io sia un estra­neo!... Ma vedo che siete stanca... Quando posso tornare?

Elisabetta                      - (un po' sbalordita) Non so... vera­mente...

Browning                      - Va bene mercoledì venturo?

Elisabetta                      - (un po' sbalordita) Sì... credo... Ma forse sarà meglio...

Browning                      - Allora mercoledì prossimo.

Elisabetta                      - Ma...

Browning                      - Alle tre e mezzo, come oggi?

Elisabetta                      - Sì... ma io...

Browning                      - (curvandosi sulla sua mano) Allora àu revoir.

Elisabetta                      - Buon giorno.

Browning                      - (dolcemente dominatore, trattenendo la sua mano) Au revoir.

Elisabetta                      - (un po' ansante, dopo brevissima pausa) Au revoir.

Browning                      - Grazie. (Le bacia la mano, si volta, prende cappello, cappa, ecc., ed esce. Appena la porta si è chiusa dietro di lui, Elisabetta si solleva a sedere e si stringe la faccia fra le mani, quindi scivola giù dal divano e si alza in piedi a stento. Aiutandosi con la tavola e le sedie riesce ad attra­versare la stanza e andare alla finestra. Attaccan­dosi alla tenda per reggersi, rimane a guardare nella strada dopo la partenza di Roberto Browning. Il suo volto è raggiante di gioia e di eccitazione, come se fosse una fanciulla. Lentamente si chiude il si­pario).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

(La stessa scena. Tre mesi dopo. Il dottor Chambers è accanto al caminetto. Il dottor Ford Waterlow siede sul divano. E' un uomo dal volto duro e la parola ugualmente dura. Entrambi osservano atten­tamente Elisabetta mentre essa con passo fermo e sicuro attraversa la stanza fino alla finestra e torna indietro. Flush è sul divano).

Ford                              - Ancora una volta, per favore. (Elisabetta attraversa nuovamente la stanza) Cara miss Barrett, mi congratulo. Ora sedete... (Ella siede accanto a lui. Il dottore le tasta il polso continuando a par­lare) Quando è stato precisamente, che mi avete chiamato a consulto, dottor Chambers?

Chambers                      - Tre mesi fa, giorno più, giorno meno.

Ford                              - Sì, sì. E la vostra ammalata era molto giù allora.

Chambers                      - Oh, non ho fatto nulla di speciale. L'onestà mi obbliga a dare la maggior parte del merito a un'altra persona.

Ford                              - Eh?

Chambers                      - Il vero risanatore non è altri che miss Barrett stessa.

Elisabetta                      - Ma dottore...

Chambers                      - Sì, mia cara, è proprio così. Tre mesi fa sembravate più che propensa a lasciare che la vita e il mondo vi sfuggissero dalle manine. Poi, lentamente, è cominciato il mutamento. Oh, credetemi: vi ho osservato con occhio di lince! A poco a poco.avete cominciato a tenere la vita e il mondo un po' più stretti fra le dita. Il desiderio di vivere opera più di dieci medici... ciò che cre­do che anche il mio distinto collega vorrà ammet­tere...

Ford                              - Il desiderio di vivere... Hum, sì... E ora, vi sentite in grado di uscire a prendere aria? Non vi stanca troppo?

Elisabetta                      - Oh, no, dottore. Sono stata a far visita a parecchie amiche, e ho fatto varie passeg­giate in carrozza nel parco. La sola cosa che mi è impossibile, è salire e scendere le scale. Quando scendo mi pare che la testa mi Cada in avanti; e non posso ancora in nessun modo tentare il viaggio di ascesa.

Ford                              - Capisco, capisco.

Chambers                      - (sorridendo) Fortunatamente, non occorre un gigante per trasportarvi.

Elisabetta                      - Oh, per questo siete in errore! (A Lord) Non immaginate quanto sono aumentata dì peso!

Ford                              - Davvero?

Chambers                      - (solennemente) Talmente che ho dovuto seriamente pensare a proibire il «porter», una bevanda che miss Barrett ama un po' troppo.

Elisabetta                      - (ridendo) Dovreste vergognarvi di toccare questo tasto, dottore!

Ford                              - Bene; ora pensiamo al futuro, miss Bar­rett. Sono d'accordo col dottor Chambers che bi­sogna, se è possibile, evitare un altro inverno a Londra. Se continuate ad acquistar forza, come state facendo, non vedo perché non potreste fare un viaggio nel Mezzogiorno, in ottobre.

Elisabetta                      - (con agitazione appena repressa) Un viaggio... nel Mezzogiorno?

Ford                              -  In Riviera, o, meglio ancora, in Italia.

Elisabetta                      - (ansante) In Italia! Oh, dottore, dite sul serio?

Ford                              - Perché no? Potreste fare il viaggio a tappe; so che avete dato il vostro cuore all'Italia e che non vi sono... hum... difficoltà d'ordine pratico per recarvi nel paese del sole.

Elisabetta                      - Se intendete parlare di difficoltà finanziarie... non ve ne sono affatto. Ho una pic­cola rendita e...

Ford                              - Bene, bene.

Chambers                      -  Mi sono preso la libertà di dire al dottor Ford qua! è la sola vera difficoltà per un vostro viaggio all'estero, ed egli è perfettamente disposto a parlare con... lui.

Ford                              - E a parlarne... efficacemente...

Elisabetta                      - (in fretta) Oh, son sicura che non sarà necessario! Papà non può fare nessuna obie­zione. Dipende solo dal momento.

Ford                              - (stizzoso)  Storie, cara signorina! Qui si tratta semplicemente della salute e della felicità di sua figlia, ciò che gli spiegherò molto chiara­mente. In modo inequivocabile.

Elisabetta                      -  Oh, non dovete credere che papà non sia la bontà e la generosità personificate. Ma sapete, gli uomini tante volte sono nervosi... l'Italia! Oh, solo pensare alla possibilità di andarvi! La mia terra promessa, dottore, che non ho mai creduto di poter veder altrimenti che in sogno!

Ford                              - (alzandosi)  Bene, bene: speriamo che la realizzazione non vi darà delle delusioni! Secondo me, è un paese che viene apprezzato esagerata­mente. Un paese pieno di polvere, mosche, men­dicanti... Buon giorno, cara miss Barrett. No, non vi alzate. (Le prende la mano) Sono contento dei vostri progressi. Felice. Ed ora la piccola conversa­zione con vostro padre. A rivederci.

Elisabetta                      - Buon giorno, dottore.

Chambers                      -  Buon giorno, miss Elisabetta.

Elisabetta                      - A rivederci. (1 dottori escono. Elisa­betta si stringe il volto fra le mani e mormora) Italia, Italia, Italia. (Prende in braccio Flush) E verrai anche tu con noi, Flush. Vedremo insieme Roma... Firenze, Venezia, il Vesuvio... (Entra Arabella. Elisabetta depone Flush e balza in piedi. Ab­braccia Arabella impetuosamente) Arabella! E' tutto deciso! Vado in Italia! Dice che in ottobre sarò in grado di viaggiare!... Roma! Firenze! Venezia! Il Vesuvio! Raffaello! Dante! « Sordello»!... Ah, non so quello che dico! L'eccitazione mi fa perdere la testa!

Ara

Bella                              -  Che bellezza! Come sono felice per te!... E credi che papà acconsentirà?

Elisabetta                      -  Ma senza dubbio. I due dottori sono andati a dirglielo con la maggiore serietà e severità possibili. Ah, certo egli non avrà il cuore di rifiutare, quando comprenderà che cosa significhi per me questo viaggio in Italia...

Ara

Bella                              - (senza convinzione) No, cara...

Elisabetta                      - Lo hai visto oggi?

Ara

Bella                              - Sì.

Elisabetta                      - (in fretta) Com'era?

Ara

Bella                              - Oh, raggiante! Mi ha chiamata « gat­tina », cosa che non fa mai quando è di malumore. E poi, quando è venuta Bella, era addirittura al­legro.

Elisabetta                      -  Ringraziamo il cielo!

Ara

Bella                              -  Però, Ba, mi pare che non sia stato molto saggio tener segreto questo progetto di viag­gio in Italia e poi farlo conoscere a papà improvvi­samente.

Elisabetta                      - Lo so, ma... (Bussano alla porta) Avanti. (Entra Wilson) ...Per favore dite a miss Hedley e a miss Enrichetta che sarò molto lieta di vederle.

Wilson                           - Sì, signorina.

Elisabetta                      - E portate via Flush. (Wilson esce) ... Fu il dottor Chambers che mi consigliò di non dir nulla a papà finché i due dottori non avessero concordemente riconosciuto che ero in condizioni di intraprendere un viaggio. Allora gli diedi ragione. Ma ora, Arabella... non sono più tanto sicura. Ho paura che papà possa pensare... (Voci e risa dall'interno) ...Non dir niente a loro per adesso.

Bella                              - (di fuori) Possiamo entvave?

Elisabetta                      - (alzandosi) Avanti, cara. (Bella entra seguita da Enrichetta, timida ma raggiante nel suo abito di damigella d'onore) Bella, carissima!

Bella                              - (abbracciando Elisabetta) Cava, cava! Oh, ma non dovevi alzavti pev vicevevmi!

Arabella                        - (contemplando Enrichetta) Perfetta! Un amore!

Elisabetta                      - Deliziosa!

Bella                              -  Non è vevo? Quasi, quasi non sembva lei! La cava Envichetta savà la più gvaziosa delle mie damigelle d'onove. Davvevo che tutti guavde-vanno lei invece della sposina! Pev lo meno, tutti gli uomini!... Ma diletta Ba, non devi stave tanto tempo in piedi! (La riaccompagna al divano).

Elisabetta                      - Oh, oramai mi reggo benissimo.

Bella                              - (mentre Elisabetta si rassegna a rimettersi sul divano) No, no!... Basta guavdave il tuo bel visino, così tvaspavente e spivituale, pev ca-pive quanto sei vicina al cielo! Hai sempve uno sguavdo, come se vedessi gli angeli!

Enrichetta                     -  Sta guardando me, Bella... ed io non sono davvero un angelo!

Bella                              - Ho pauva di no... Ma sei così bella! Così cavina! E dive, Ba, che se non avessi pavlato io con zio Edoavdo, non l'avvei mai avuta come da­migella d'onove!

Elisabetta                      -  Senza dubbio, mia cara, sei stata molto abile!

Enrichetta                     - Parlato col babbo! Questa mi piace! Non hai fatto altro che 'sedergli sulle sue ginocchia e tirargli le fedine.

Arabella                        - (con riprovazione) Enrichetta! (Eli­sabetta ride).

Bella                              - Pevché? Non è mio zio, fovse? Oltve a questo poi, mi fa un'impvessione stvaovdinavia. Io adovo' quel tipo d'uomo sevio e vetto. E' così pia­cevole favgli delle moine e pevsuadevlo a fuvia di lusinghe! E se sapeste com'è facile. Almeno pev me... Ma quello che non viesco a capive è il suo stvano modo di pensave sull'amove e sul matvimo-nio. Non sembra che sia addivittuva un mis... mis... oh, com'è quella pavola così difficile?

Elisabetta                      - Misogino1?

Bella                              - Sì, sì...

Enrichetta                     -  Pei conto mio, il re dei misogini!

Bella                              - Eppuve vi assicuvo che non lo è.

Enrichetta                     - Come lo sai?

Bella                              - Ti dico che lo so... e del vesto, non si è ammogliato anche lui... e quello che è più gvave non ha avuto undici figli? (Un silenzio di disagio) Oh, ho detto qualche cosa... che non dovevo dive?

Ara

Bella                              - No, Bella... ma forse non è una cosa carina. Quando Dio ci manda dei figli, non tocca a noi chiedere cosa e perché...

Bella                              - Domando scusa! Non volevo essere iv-vivevente... Ma trovo l'atteggiamento di zio Edoav-do stvaovdinavio... e così inutile! Pevché malgvado questo, anzi, divei pvopvio pev questo, tutta la sua casa è lettevalmente satuva di... di vomanzo! (Con entusiasma) Mi pavé che il capitano Suvtees Cook sia simpaticissimo! Solo il modo come ti guavda, mia cava... e guavda, e guavda, e guavda! Se Havvy mi guavdasse in quel modo, mi sentivei tvemave le ginocchia in modo da non potev più stave in piedi e dei bvividi deliziosi mi cowevebbevo pev la schiena.

Arabella                        - Ma che dici, Bella?

Enrichetta                     - (urtata e imbarazzata) Non ho mai conosciuto nessuno che dica tante stupidaggini in così poche parole.

Bella                              - Dawevo cava?... A proposito sapete? In tutta confidenza vi divo che il mio cavo Havvy è tevvibilmente geloso di Otty...

Arabella                        - Bevan geloso di Otty? Ma perché?

Bella                              - Pevché? Non la sai quanto sono stupidi gli uomini?

Elisabetta                      - (ridendo)  Sei straordinaria, Bella.

Bella                              - Oh, sono una tewibile ossewatvice. Pev esempio benché tu abbia appena pvonunciato il suo nome, son sicuva che Vobevto Bvowning viene a tvovavti almeno una volta alla settimana. E gli  altvi giovni ti manda dei fiovi! Oh, come savebbe intevessante Flush se potesse pavlave!

Ara

Bella                              - Dio onnipotente, e perché?

Elisabetta                      - (fredda) Non tanto interessante quanto Bella se qualche volta tacesse.

Bella                              - Touché, tesovo! So che sono tevvibil­mente chiacchierona... ma non cvedeve che abbia voluto punzecchiavti sai?

Elisabetta                      -  Affatto.

Bella                              - (ad Arabella)  Che vuoi, il cavo Flush è il solo testimone di quanto si svolge duvante il tète-à-tète settimanale fva Ba e il più bel poeta di tutta l'Inghiltewa! Deve sapevne pavecchio, ovam-mai, di poesia, il piccolo Flush. Pevché quando due poeti si trovano insieme, paviano continuamente di vime e di vitmi! O di qualcos'altro? Io sono tevvibilmente ignorante.

Elisabetta                      - Al contrario mia cara! Sei « terri­bilmente » intelligente.

Arabella                        - (solennemente)  Bella, credo che il sistema di educazione di papà sarebbe stato op­portuno e benefico per te. (Elisabetta ed Enrichetta ridono).

Bella                              - Oh... che bell'idea! E' stato sempve tevvi­bilmente sevevo, eh? Vi picchiava quando evavate cattive? Che emozione, esseve picchiata da zio Edoavdo! (Picchiano alla porta. Le tre sorelle sono subito in allarme).

Elisabetta                      - Avanti. (Entra Barrett. Bella balza in piedi con un piccolo grido e gli corre incontro).

Bella                              - Oh, zio Edoavdo! (Infila la sua mano sotto il suo braccio e si stringe a lui) Cavo zio, se io fossi stata vostva figlia, invece di esseve figlia di mio padve, saveste stato molto sevevo?... No, non è vero? O sì? Sì o no?

Barrett                           - - Sì o no, no, sì... Cos'è, vuoi confon­dermi con qualche indovinello?

Bella                              - (trascinandolo nella stanza) No, no, no. Sedete. (Lo spinge in una poltrona e si mette sulle sue ginocchia) Ecco... Ma pevché quella fronte covvugata, zio Edoavdo? (Gli passa lievemente le dita sulla fronte) Ecco... via! (Barrett le ha passato il braccio intorno alla vita) Arabella dice che mi avvebbe fatto bene esseve educata da voi. Dice che sono fvivola, viziata, e...

Arabella                        -  Bella! Non ho mai detto nulla di simile!

Bella                              - So che non lo hai detto. Ma tu sì! (Punta il dito contro Enrichetta ed Elisabetta) E anche tu. E tu... ma voi no, vero zio?

Arabella                        - Ma insomma, Bella...

Barrett                           - (parlando a Bella ma per le altre) Se i miei figli fossero allegri, schietti e affettuosi co­me te, sarei molto più felice.

Bella                              - Oh, non dovete div così, altrimenti mi odievanno!...

Barbett                          - (la tiene stretta: sembra che siano com­plètamente isolati e dimentichi degli altri) E sei una creatura deliziosa e capace di distrarre chiun­que...

Bella                              - C'è qualcosa di male in questo?

Barrett                           - Non ho detto così...

Bella                              - Allova pevché mi guavdate così fevocemente? Volete mangiavmi?

Barrett                           - Cos'è questo profumo che hai addosso?

Bella                              - Pvofumo? Io? (Ridacchiando e strofi­nandosi a lui) Vi piace?

Barrett                           - In 'linea generale detesto i profumi, ma il tuo è diverso.

Bella                              - Buono?

Barrett                           -  Delicato e sottile... Però, preferirei che non lo usassi.

Bella                              - Pevché?

Barrett                           - Così. (Leggermente, ma in modo che si sente le dà un colletto sulla gamba).

Bella                              - Oh... mi fate male!

Barrett                           - Sciocchezze!

Bella                              - (trionfante) Ma non uso nessun pvo­fumo! Non ne ho addosso neanche una goccia. Tvovo che è una cosa owibile e volgave. (Con le braccia intorno al collo di lui) Zio, siete un te-sovo! Mi avete detto che sono allegva, schietta, af­fettuosa, deliziosa, capace di distvavve e fvagvante, tutto in pochi minuti! Potete davmi un bacio. (Barrett la bacia due volte sulla bocca così rozza­mente che ella dà un pìccolo' grido. Quindi la spinge bruscamente via delle sue ginocchia e si alza in piedi. Ella sembra lievemente spaurita). Barreti           - (brusco) Via, via, bambina; vattene adesso. Devo parlare con Ba. (Alle altre) Potete andare anche voialtre. (Va alla finestra e guarda fuori volgendo il dorso alla stanza).

Bella                              - (con voce un po' offesa) Buon giovno, zio.

Barrett                           - (senza voltarsi) Buon giorno.

Bella                              -  A vivedevci, Ba. (Esce scrollando un po' la testa).

Elisabetta                      - Addio, cara. (Enrichetta e Arabella escono. Una pausa. Elisabetta guarda con nervosa attesa suo padre che è ancora vicino alla finestra con le spalle voltate alla camera).

Barrett                           - (senza voltarsi)  Quando sono le nozze?

Elisabetta                      - Le nozze? Ah, quelle di Bella... il 27.

Barbett                          - (voltandosi e parlando quasi fra sé) Bene. Meno di due settimane... Probabilmente non avremo occasione di vederla molto spesso in questi quindici giorni. E dopo... già; la maggior parte dell'anno vivrà in campagna.

Elisabetta                      - Ma credevo che vi fosse molto sim­patica, papà.

Barrett                           - (aspro) Simpatica? Perché no? Non è mia nipote?... ma ha sulla casa un'influenza che disturba. Vedere come i tuoi fratelli la seguono con gli occhi... specialmente Ottavio... Puah! La stanza è ancora piena di lei... Sarò contento quando se ne sarà andata... Ma non voglio parlare di Bella. I tuoi dottori sono stati da me or ora.

Elisabetta                      - (con aspettazione) Ebbene, papà...

Barrett                           - (con forzata cordialità) Il loro rap­porto è eccellente. Magnifico. Sono più che lieto. Sono felice... Certo, mia povera figliola non è pro­babile che tu diventi mai una donna normale. Ma questo tuo miglioramento...

Elisabetta                      - Forse bisogna attribuirlo al tempo meraviglioso che abbiamo avuto. Il caldo e il sole mi fanno sempre bene.

Barrett                           - Storie. L'estate scorsa è stata magni­fica e tu sei stata così male. No, secondo me bi­sogna ringraziare Uno soltanto, quantunque quel dottore - come si chiama - si sia messo a sog­ghignare quando l'ho detto: bisogna ringraziare lui.

Elisabetta                      - Chi?

Baerett                          - L'Onnipotente... Non mi sono genu­flesso qui tutte le sere a implorare il nostro Padre diletto di aver compassione della sua creatura?... Mi stupisce. Mi offende in modo indicibile. Questo è tutto ciò che ho da dirti per ora. (Si volta verso la porta).

Elisabetta                      - Papà.

Barrett                           - Ebbene?

Elisabetta                      - Il dottore non vi ha detto che dovrei evitare di passare l'inverno in Inghilterra?

Barrett                           - Ebbene?

Elisabetta                      - E che crede che sarò in grado di partire per l'Italia in ottobre se voi...

Barrett                           - Ah, finalmente l'hai detto! E da quanto tempo state organizzando questo grazioso complotto?

Elisabetta                      - E' da qualche settimana che il dottor Chambers ha parlato dell'Italia come di una possibilità.

Barrett                           - Capisco. E i tuoi fratelli e le tue sorelle sanno nulla di questo meraviglioso progetto?

Elisabetta                      - Credo di averglielo accennato.

Barrett                           - Credi di avergliene accennato. E il signor Kenyon e il signor Home e gli Hedley, e quel ciarlatano di Browning, insomma tutti i tuoi parenti e i tuoi amici... Suppongo che tu abtia discusso con tutti loro i tuoi progetti.

Elisabetta                      - Oh, papà, che importa questo? Il solo motivo...

Barrett                           - Importante? No, affatto! Non significa nulla che io solo sia escluso dalla confidenza della mia figlia preferita, trattato come uno zero, igno­rato, insultato... Se il ritorno della salute deve por­tare un così triste mutamento di carattere dovrò augurarmi che tu torni ad esser disperatamente immobile su quel divano. Non ho altro da dirti. (Si volge verso la porta).

Elisabetta                      - (con collera repressa) Eppure vi è ancora qualche cosa da dire; e devo pregarvi di ascoltarmi, babbo. Per quanti anni sono stata immobile? Cinque? Sei? E' difficile ricordarsene, perché ogni anno è valso per dieci. E rutto quel tempo non ho aspettato, non ho visto dinanzi a me altro che la morte.

Barrett                           - La morte?

Elisabetta                      - Sì, la morte. Ero nata con tutte le possibilità di essere felice. Vi ricordate quando ero una giovinetta? E quanto la vita mi ha portato poca felicità e molti dolori! Ho spesso desiderato con impazienza la fine e...

Barrett                           - (indignato) Elisabetta! Sono indignato che...

Elisabetta                      - (vivamente) Ed ora è avvenuto il miracolo! Giorno per giorno, sempre più ho la possibilità di godere le buone cose a cui ognuno ha diritto, posso vedere i miei amici, respirare l'aria aperta, sentire il sole, vedere l'erba e i fiori che crescono sotto il cielo... Quando il dottor Chambers mi parlò per la prima volta dell'Italia allontanai l'idea, mi sembrava troppo meravigliosamente im­possibile. Ma mentre acquistavo le forze, ebbi come una rivelazione che l'Italia non era più un'impos­sibilità, che nulla in realtà poteva impedirmi di recarmici, che avevo tutto il diritto di andarvi...

Barrett                           - Diritto?

Elisabetta                      -  Sì, tutto il diritto, purché avessi ottenuto il vostro permesso. Perciò cominciai a consultare tutti i miei amici, a considerare tutti gli ostacoli, a stabilire ogni particolare, in modo da potervi esporre un progetto completamente ela­borato, prima che i dottori vi dicessero il loro avviso. Può darsi che nella mia eccitazione io abbia agito scioccamente, erratamente, senza tatto. Ma chiamare la mia condotta subdola e inganne­vole non è soltanto scortesia: è ingiustizia. E' crudeltà

Barrett                           - (più addolorato che adirato) Egoismo! Egoismo! Egoismo! Nessun pensiero, nessuna con­siderazione per altri che per se stessa, per null'altro che il tuo piacere.

Elisabetta                      - Ma papà...

Barrett                           - (appassionatamente imponendole silenzio con un gesto) Non iti è venuto in mente nean­che una volta che durante tutti quei lunghi e tristi mesi che tu avresti trascorsi gaiamente in Italia, tuo padre sarebbe rimasto qui, miseramente solo!

Elisabetta                      -  Solo?

Barrett                           - Completamente solo... I tuoi fratelli e le tue sorelle potrebbero essere delle ombre per la compagnia che mi fanno... E tu... oh, figlia mia, non credere che non mi sia accorto che ora che sei più forte e non dipendi più completamente da me, ti stai lentamente allontanando da tuo padre...

Elisabetta                      - Non è vero.

Barrett                           - E' vero... E in fondo al cuore sai che è vero.

Elisabetta                      - No.

Barrett                           - Nuova vita, nuovi interessi, nuovi pia­ceri, nuovi amici, a poco a poco io sono respinto nello sfondo: io che ero tutto il tuo mondo; io che ti voglio bene, ti voglio bene... (Picchiano alla porta).

Elisabetta                      - Avanti. (Entra Wilson).

Wilson                           - C'è il signor Roberto Browning, miss Ba. L'ho fatto entrare in salotto, perché ho visto che lei era occupata.

Elisabetta                      - Volete conoscere il signor Brown­ing, papà?

Barrett                           - Neanche per idea. Ormai dovresti sa­pere che non infliggo mai la mia presenza agli amici dei miei figli. (A Wilson) Potete farlo salire.

Wilson                           - Bene, signore. (Esce).

Barrett                           - Pare che il signor Browning consideri questa casa come se fosse la sua.

Elisabetta                      - E' da mercoledì scorso che non lo vedo.

Barrett                           - Davvero! (Esce. Elisabetta rimane se­duta respirando rapidamente, con gli occhi fissi alla porta).

Wilson                           - (entrando) Il signor Browning. (Entra Browning. Elisabetta si alza per riceverlo. Wilson esce).

Browning                      - (prendendole le due mani) Che bel­lezza! E' la quarta volta che mi ricevete in piedi!

Elisabetta                      - (tutto il suo contegno è mutato: è piena di vita e di vivacità) Se capita che io vi riceva nuovamente rimanendo sul divano, datene colpa alla mia scortesia e non ad altro!

Browning                      - Questo è il miglior momento che io abbia vissuto, da quando ricevetti il biglietto nel quale mi davate il permesso di venirvi a trovare! Quanti anni sono passati?

Elisabetta                      -  Tre mesi.

Browning                      -  E' assurdo! Siamo sempre stati amici. Vi conosco da quando sono nato e anche prima! Che bellezza! Certo, io non ho mai dubitato che un giorno o l'altro sareste stata bene. Il mondo non è abbastanza ricco per permettersi di rinun­ciare ad una vita come la vostra. Ma nemmeno io osavo sognare un miglioramento così rapido. E l'Italia! Sono d'accordo i dottori di farvi passare l'inverno nel Mezzogiorno?

Elisabetta                      - (con una sfumatura di riserva nella voce) Sì.

Browning                      - E quando credono che sarete in grado di poter viaggiare?

Elisabetta                      - Verso la metà di ottobre... A meno di una ricaduta.

Browning                      -  Ricaduta? Questa è una parola che non esiste! Ottobre! Che meraviglia! Ottobre si accorda perfettamente coi miei progetti.

Elisabetta                      -  Coi vostri progetti?

Browning                      - Non vi ricordate che vi dissi che avevo l'intenzione di passare anche io l'inverno in Italia?

Elisabetta                      - Ho paura che in Italia avrete bi­sogno degli stivali delle sette leghe... per venirmi a vedere.

Browning                      -  Che volete dire?

Elisabetta                      - L'inverno venturo sarò in via Wimpole numero cinquanta.

Browning                      - Qui?

Elisabetta                      - Sì.

Browning                      - Ma non mi avete detto che i dottori...

Elisabetta                      - I dottori propongono, ma la deci­sione è riservata ad altri.

Browning                      - Vostro padre?

Elisabetta                      - (in fretta, nervosa) Sì. Oh, è dif­ficile da spiegarsi a chi non conosce tutte le cir­costanze... vedete, papà mi vuole molto bene, ma...

Browning                      - Vi vuol bene...?

Elisabetta                      -  Mi vuol molto bene e tiene mol­tissimo alla mia compagnia. Se io restassi assente sei mesi...

Browning                      - (sì controlla)  Miss Barrett... posso parlare francamente?

Elisabetta                      - (nervosamente) A che scopo? Più o meno, so che cosa pensate in proposito. Ma non vi rendete conto della situazione? Come potrete?

Browning                      - (con impeto) Bene, allora non dirò nulla. Mi avete detto che non capisco! Infatti. Non riesco a capire! Dite che vi vuol bene. Non capisco un affetto che chiede tutto, prende tutto e non dà nulla in cambio; non capisco un affetto che si manifesta con la tirannia, non si arresta neanche dinanzi a quello che è il pericolo della vostra morte, pur di soddisfare il suo colossale egoismo! Affetto! Preferisco a un affetto simile un odio schietto ed onesto!

Elisabetta                      - Signor Browning... devo pregarvi...

Browning                      - Perdonatemi... ma non posso tacere più a lungo! Anche prima di conoscervi, sapevo che la malattia non era la sola ombra triste della vostra vita. Ma ora non sono soltanto in gioco la vostra felicità e il vostro benessere. E' la vostra vita stessa. Ed io vi proibisco di giocare con la vostra vita. Ed ho il diritto di proibirvelo.

Elisabetta                      - No, no, no... per carità, non dite altro!...

Browning                      - (con ardore crescente) Il diritto. Al vostro primo incontro mi proibiste di parlare d'amore: non doveva esservi altro - fra noi due -che amicizia. Vi obbedii. Ma sapevo benissimo, lo sapevamo tutti e due, che per voi sarei stato molto più che un semplice amico! Anche prima di entrare qui, prima che i miei occhi vi vedessero per la prima volta vi amavo ed ho continuato ad amarvi, ed ora vi amo più che qualunque parola possa dire e vi amerò fino alla fine e più in là. Lo sapete, non è vero? Lo avete sempre saputo.

Elisabetta                      - (con voce spezzata)  Sì, sì... l'ho sempre saputo... ed ora, per carità... per carità... lasciatemi.

Browning                      - No.

Elisabetta                      - Vi prego... Vi prego... Lasciatemi. Andate via. Non dobbiamo vederci mai più.

Browning                      - Non vi lascerò mai, mai.

Elisabetta                      - Oh, Roberto... Abbiate pietà di me...

Browning                      -  Elisabetta, amore mio...

Elisabetta                      - Oh, Roberto, vi amo... Vi amo... Vi amo...

Browning                      - E ora mi dirai ancora d'andarmene, di uscire dalla tua vita?

Elisabetta                      -  Sì, Roberto. Perché, che cosa potrei darvi? Ho così poco di tutto ciò che l'amore ri­chiede... Non ho bellezza, né salute e non sono più giovane da un pezzo...

Browning                      - Ti amo.

Elisabetta                      - (con frenata passione spirituale) Avrei dovuto rifiutare di rivedervi dopo il nostro primo incontro. Perché vi amai subito allora, ben­ché lo negassi, anche a me stessa... Oh, Roberto, credo che Eva deve aver sentito ciò che sentii io, quando la prima aurora illuminò il Paradiso Ter­restre: il terrore, la meraviglia, la gloria di quella luce. Ero smarrita, paralizzata da una felicità che non avevo mai sognato di poter provare... E' la mia sola scusa, e Dio sa se ne ho bisogno, per non avervi subito respinto.

Browning                      - Ti amo.

Elisabetta                      - Ormai non aspettavo che la fine e veniste voi! Roberto, sapete ciò che avete fatto per me? Mi sarei messa a ridere quando il dottor Chambers ha detto che ero guarita perché avevo avuto il desiderio di vivere! Aveva ragione! E come aveva ragione! Ma non sapeva che cosa c'era dietro alle sue parole! Ho desiderato di vivere di­speratamente, appassionatamente e solo perché la vita significava voi... Voi... Vedere il vostro volto, udire la vostra voce, toccare la vostra mano. E tanto, tanto più di questo! Dopo avervi visto, l'aria era più soave al respiro e il mondo era nuovamente bello e pieno di fiori.

Browning                      - E con queste parole che mi can­tano nel cuore dovrei voltare le spalle e andarmene?

Elisabetta                      - Ma non vedete, Roberto... che è impossibile...

Browning                      - Vi amo... e vi voglio avere per moglie.

Elisabetta                      - Roberto, non posso sposarvi...

Browning                      - Non oggi e neanche domani.

Elisabetta                      - Non vi potrò mai sposare. Guarda­temi come sono. Vi amo troppo' per permettere che sciupiate le vostre forze per inseguire il pallido spettro di una donna.

Browning                      - Credete che io sia un ragazzo a cui si può imporre di mutare strada? O un sentimen­tale sognatore, cieco dinanzi alla realtà? Vi dico con tutta schiettezza che ho bisogno di voi così violentemente... come voi avete bisogno di me. Se la vostra debolezza richiede la mia forza come sostegno, la mia forza chiede la vostra debolezza per completare la mia vita e me stesso.

Elisabetta                      - (dopo una pausa) Roberto, avete pensato che cosa sarebbe la vostra posizione qui se voi continuaste a venirmi a vedere, dopo la giornata di oggi?

Browning                      - Sì.

Elisabetta                      - (in fretta) Dovremo conservare con tutti il segreto del nostro amore perché non ne giunga un sussurro all'orecchio di mio padre.

Browning                      - Lo so.

Elisabetta                      - E voi che siete schietto e sincero come la luce del giorno come potrete sopportare i sotterfugi, gli inganni che saremo costretti ad usare?

Browning                      - Li detesterò, li odierò con tutto il cuore e con tutta l'anima. E ringrazio Dio per questo!

Elisabetta                      - Ma Roberto...

Browning                      - Perché è giusto, è meraviglioso che io debba soffrire almeno qualche disagio, per avere una simile ricompensa. Nessuno ha mai ottenuto l'immortale corona d'alloro senza stenti e senza fatica!

Elisabetta                      - (amaramente) Immortale! Oh, Ro­berto, è corona che appassisce, se non è già ap­passita! Ma, io... (Egli sta per protestare) No, non parlate! Non parlate! (Si alza, va alla finestra, guar­da in istrada' con occhi che non vedono. Dopo un momento si volge a lui) ...Roberto, se oggi ci di­cessimo addio, non avremmo sino alla fine dei nostri giorni che un meraviglioso ricordo uno dell'altro. Potremmo essere infelici, ma vi sono molte specie di infelicità. La nostra sarebbe l'infelicità di coloro che hanno allontanato l'amore per il bene dell'amore stesso. Non vi sarebbero delusioni, né amarezze, né rimorsi.

Browning                      - (con voce bassa e intensa) Siete voi che parlate?

Elisabetta                      - Che volete dire?

Browning                      - (in primo piano) Allora non vi co­nosco. Credevo che aveste un coraggio capace di osare tutto. Ma qui è la vita, la vita che ci offre il meglio che essa può dare e voi non osate afferrarlo per timore che diventi cenere nelle vostre mani! Ah non vi riconosco. Non avevo mai creduto che aveste paura!

Elisabetta                      - (fieramente indignata) Codarda? (Con subito mutamento di voce) Sì, Roberto, sono vile... vile... vile... ma non è per me che ho paura.

Browning                      - (dolce) Lo so, cara.

Elisabetta                      - Che cos'è un'altra sconfitta, grande o piccola, per me che non ho conosciuto che scon­fitte nella vita? Ma voi siete nato per la vittoria; nato per la vittoria e per i trionfi. Se per mia colpa doveste conoscere la sconfitta...

Browning                      - Sì, sono nato per vincere, ma sono stanco di combattere solo. Ho bisogno di un com­pagno che combatta accanto a me... Quale migliore compagno di voi potrei desiderare?

Elisabetta                      - Ma, Roberto...

Browning                      - No.

Elisabetta                      - Ma, Roberto...

Browning                      - No. (E le chiude la bocca con un bacio, mentre cala il sipario).

Fine del terzo atto

ATTO QUARTO

(Stessa scena: qualche settimana dopo. Entra Arabella portando Flush. E' vestita per uscire, con la cuffia).

Ara

Bella                              - (sulla soglia della porta aperta e par­lando verso l'interno) Avresti fatto meglio, Ba, a farti aiutare da Wilson per gli ultimi gradini.

Elisabetta                      - (di dentro) No! No, Wilson, non mi toccate!

Ara

Bella                              - Ma tesoro... (Elisabetta entra, vestita per uscire e con la cuffia. E' trafelata ma trion­fante. Wilson la segue),

Elisabetta                      - Ecco! Tutte le scale da me, senza fermarmi e senza nessun aiuto! E mi sento be­none... solo un po' d'affanno... (Vacilla un poco. Wilson e Arabella tendono le braccia per sorreg­gerla) No, non mi toccate! Sto benissimo... (Va fino al divano e siede. Durante il seguito sì toglie le cuffia e i guanti) Non è stato un magnifico trionfo? E sapete, Wilson, che sono scesa dalla carrozza, al Parco, e ho camminato per quasi due miglia!

Wilson                           - Dio benedetto, signorina!

Ara

Bella                              - Ba, cara...

Elisabetta                      -  Be', sarà stato un miglio. Ad ogni modo, questo è quello che dirò al dottor Chambers. Oh, è venuta la posta? Fammi il favore, cara, dam­mi quelle lettere. (Wilson esce).

Ara

Bella                              - (porgendole le lettere)  Questa è la calligrafia del signor Browning. Scusami, Ba: l'ho visto senza volere. Ma non lo aspettavi, oggi?

Elisabetta                      - (come assente) Sì... (Apre la busta e legge la lettera sorridendo fra sé) Sì, mia cara; sarà qui fra poco... Questa è solo per augurarmi la buona notte.

Ara

Bella                              - La buona notte.

Elisabetta                      - Sì, è stata scritta ieri sera.

Arabella                        - Oh...

Elisabetta                      - (guardando le altre lettere) Il si­gnor Haydon... Miss Martineau... Mister Home... Oh!... (La sua voce muta aspramente) Questa è di papà.

Arabella                        - (ansiosa) Di papà! Ma deve tornare oggi-

Elisabetta                      - Forse è stato trattenuto... (Apre la lettera).

Arabella                        - (piena di speranza) Credi?

Elisabetta                      - (scorre rapidamente la lettera. Quindi costernata) Oh... oh, Arabella!

Arabella                        - Che c'è?

Elisabetta                      - Andiamo via.

Arabella                        - Via?

Elisabetta                      - Sì, via da questa casa. Via da Londra. Ascolta...

Enrichetta                     - (Russando di fuori) Posso entrare, Ba?

Elisabetta                      -  Vieni, cara. (Mormora in fretta ad Arabella) Non ne parlare, adesso.

Enrichetta                     - (entra eccitata) Oh, Ba, bisogna che tu lo veda subito! Bisogna!

Elisabetta                      - Vederlo?...

Enrichetta                     - E' in gran tenuta. E' stato a Saint James per ricevere... come si dice... la nomina ad aiutante, o qualcosa del genere, dalla Regina Vit­toria in persona. E' bellissimo! Magnifico! Posso farlo salire per fartelo vedere?

Elisabetta                      - Ma...

Enrichetta                     -  Papà non lo saprà mai. Oh, Ba, lascialo salire!

Elisabetta                      - Ma ora non posso, tesoro. Aspetto il signor Browning da un momento all'altro.

Enrichetta                     - (scoraggiata ma rassegnata) Oh, al­lora è impossibile... Ma sai cosa farò, Ba? Cercherò di trattenerlo finché il signor Browning se n'è andato. Non credo che gli dispiacerà. (Si affretta alla porta e dice ancora, voltando la testa) Puoi trattenere il tuo poeta quanto vuoi. (Esce).

Elisabetta                      - (con un breve riso che termina in un sorriso)  Sì, fa bene a godersi il suo soldato fin che può, povera cara. Non credo che potrà vederlo molto in avvenire. (Riprende la lettera di Barrett).

Ara

Bella                              - Dimmi subito, Ba...

Elisabetta                      - Scrive da Dorking. (Legge) « La presente per informarti che lasceremo Londra lu­nedì 22. Ho preso una casa ammobiliata a Bookham, nel Surrey, a circa 28 miglia da Londra e a sei miglia da Loatherhead. Non ho ancora deciso se faremo la nostra abitazione permanente. Ad ogni modo, vi trascorreremo l'inverno. Tu avrai così il beneficio dell'aria di campagna e della completa esclusione delle tue nuove conoscenze. Sento da qualche tempo che il tuo attuale modo di vivere febbrilmente irrequieto finirebbe, se conti­nuasse, col nuocerti fisicamente e moralmente. Scri­vo questa lettera perché tu possa informare i tuoi fratelli e le tue sorelle della mia decisione e dir loro che rifiuto assolutamente di discuterla al mio ri­torno a casa, domani». Cioè oggi. (Legge) «La cosa è decisa, e tutti voialtri farete i preparativi occorrenti per la partenza».

Arabella                        - Oh, Ba!...

Elisabetta                      - (amaramente) Non è tutto. Ter­mina con un umorismo caratteristico.

Arabella                        - Umorismo?

Elisabetta                      - Sì. Si firma « Il tuo affezionatis-simo babbo».

Arabella                        -  Il 22. Fra quindici giorni.

Elisabetta                      - (con impeto) Il «mio modo di vi­vere febbrilmente irrequieto». Qualche passeggiata, qualche visita alle mie amiche, qualche visitatore... Ha reso impossibile la mia andata in Italia. Ed ora mi toglie tutte le piccole gioie che avevo co­minciato a trovare qui.

Arabella                        -  Per me, il cambiamento non ha molta importanza. Non ho altri legami a Londra che la mia opera presso la Missione e le mie visite ai poveri. Ma tu ed Enrichetta... (Esito).

Elisabetta                      - Ebbene?

Arabella                        - (con subita serietà) Non ti arrab­biare, Ba, se ti dico che questa partenza può, col tempo, essere una fortuna per te.

Elisabetta                      - Una fortuna. E perché?

Arabella                        - In casa ognuna di noi finge di igno­rare i fatti degli altri, eccetto quelli della povera Enrichetta. E' meglio così. Eppure, sappiamo tutti che tu e il signor Browning...

Elisabetta                      - (fieramente)  Sì, lo amo ed egli mi ama. E con questo? Non ho il diritto di amare e di essere amata come qualunque altra donna?

Arabella                        - Sì, sì, cara... Ma come andrà a finire? Finché papà sarà vivo, nessuno di noi si potrà sposare col suo consenso... E poi anche se stai meglio e sei più forte... e come hai salito le scale or ora... Ma... ma...

Elisabetta                      - Ma anche se posso salire le scale da sola, questo non vuol dire che potrò mai es­sere in condizione di prender marito... E' questo che intendi dire?

Arabella                        - E' perché ti voglio tanto bene, mia diletta Ba, e non voglio che tu soffra, che mi sto sforzando a parlare. So ben poco sugli uomini, eccetto che tutti desiderano di sposare le donne di cui si innamorano. Non... non conosco affatto il signor Browning... ma... ma anche i grandi poeti desiderano un giorno o l'altro di sistemarsi e di avere una casa, una moglie... e dei bambini...

Elisabetta                      - (balzando in piedi) Taci, taci! Cre­di che non abbia pensato a tutto questo, centinaia di volte? (Va alla finestra e guarda fuori).

Arabella                        - Ti chiedo scusa... non volevo essere indiscreta. Non desidero altro che risparmiarti qualsiasi... (Si accorge che Elisabetta non la sta ascoltando ma sta facendo cenno con la mano a qualcuno in istrada, col volto trasformato dalla gioia) Oh... (Si alza e scivola silenziosamente fuori dalla stanza senza che Elisabetta se ne accorga).

Elisabetta                      - (voltandosi) Il signor Browning sta... (Si accorge della stanza vuota) Oh... (I suoi occhi cadono sulla lettera di Barrett sgualcita sulla griglia del caminetto. La raccoglie. La stira. Il suo volto si è oscurato. La colloca sul caminetto. Bus­sano alla porta) Avanti.

Browning                      - Amor mio.

Elisabetta                      - Roberto... (Si baciano).

Browning                      - (allontanandosi) Hai l'aria stanca, tesoro. Che hai fatto?

Elisabetta                      - (con leggerezza forzata) Sono uscita per fare una passeggiata in carrozza, e ho cam­minato un po' nel parco. E quando sono tornata, ho salito tutte le scale da me, senza aiuto e senza fermate.

Browning                      -  Ma brava! E' una magnifica im­presa, mia cara, e sono orgoglioso di te... Vieni a sederti. Non hai esagerato un pochino?

Elisabetta                      - Non mi pare... Mi sento così bene...

Browning                      - Guardami. Che cosa c'è?

Elisabetta                      - Nulla.

Browning                      - E' tornato tuo padre!

Elisabetta                      - No. Lo aspettiamo oggi.

Browning                      - Questi tuoi occhi che parlano ti impediscono di fingere. Vi è qualche cosa che non va. Che cosa? Devi dirmelo.

Elisabetta                      - Leggi quella lettera che è sul ca­minetto, Roberto.

Browning                      - (va a prendere la lettera) Di tuo padre?

Elisabetta                      - Sì. (Egli legge la lettera quindi la fissa con uno strano sorriso) Ebbene? Capisci che cosa vuol dire per noi?

Browning                      - (con forzata indifferenza) Sì, e forse lo capisco meglio di te.

Elisabetta                      -  Meglio di me? Oh, Roberto, fra breve mi sarà completamente impossibile vederti...

Browning                      - Può darsi che questa preziosa lettera voglia dire questo. Ma vuol dire anche molto di più; e tu non sei stata capace di comprenderla.

Elisabetta                      - Molto di più?

Browning                      - Vuol dire che prima della fine del mese tu sarai in Italia.

Elisabetta                      - (mormora) In Italia?...

Browning                      - Sì... e con me.

Elisabetta                      -  Roberto...

Browning                      - Vuol dire che dobbiamo sposarci subito!

Elisabetta                      - (alzandosi)  Sai che cosa stai di­cendo?

Browning                      -  Sì, lo so benissimo. E lo ripeto. Dobbiamo sposarci subito. (Le va vicino) Ascoltami, amor mio...

Elisabetta                      - (indietreggiando) No! Non mi toc­care! E' una pazzia, Roberto, è inutile illuderci. Per quanto io possa diventare più forte, rimarrò sempre un'invalida. Se diventassi tua moglie, sarei ossessionata giorno e notte dal pensiero di tutte le magnifiche cose che godresti se non ci fossi io, libertà, avventure, spensieratezza, e l'amore appas­sionato che io non potrei mai soddisfare...

Browning                      -  No, no, ascolta...

Elisabetta                      - (con tutta l'anima nella voce) Ro­berto, sarei ossessionata dai fantasmi dei nostri bim­bi non nati... Quando ho letto quella lettera, mi è sembrato che il mio cuore cadesse a pezzi... Ma ora ringrazio Dio che sia giunta mentre siamo ancora liberi e abbiamo ancora la forza di strin­gerci la mano e dirci addio... (Gli tende la mano).

Browning                      - Sì, mi pare che questo sia il miglior piano di guerra. Dunque la famiglia partirà il... (consulta la lettera) il 22. Abbiamo quindi sol­tanto due settimane per sbrigare tutto. Mi dicesti la settimana scorsa che il signor Hedley ha invi­tato le tue sorelle ad un pic-nic nel parco di Rich­mond, per sabato prossimo. La casa sarà dunque vuota. Ci troveremo alla Chiesa di Mary-le-Bene e ci sposeremo tranquillamente, a un'ora qualunque della mattina. Mi occuperò subito della licenza e parlerò col Vicario.

Elisabetta                      - Roberto...

Browning                      - (come prima) Sarebbe una follia la­sciare l'Inghilterra lo stesso giorno. Ti occorrerà tutto il riposo e tutta la tranquillità possibile, prima di intraprendere il viaggio. Perciò credo che sarà meglio subito dopo sposati, che tu torni qui e rimanga quieta un paio di giorni. Ne avrai sei, se partiamo il sabato seguente. Ora... (Trae di ta­sca un foglio).

Elisabetta                      - Basta, basta! Non posso ascoltarti!

Browning                      - Ho preso nota delle partenze da Southampton, in caso di una simile eventualità. Il postale parte ogni sabato alle nove. Dobbiamo prendere il diretto delle cinque alla stazione di Wauxhall. Arriva a Southampton alle otto.

Elisabetta                      - Oh... (Ride di un riso isterico che si muta in singhiozzi).

Browning                      - Elisabetta! (La prende tra le braccia e la trae accanto a sé sud divano. I singhiozzi si cal­mano a poco a poco. Ella parla con voce rotta).

Elisabetta                      - E... ho sempre creduto che papà fosse l'uomo più insopportabile del mondo...

Browning                      - (sorridendo) Eppure, ormai mi cono­sci abbastanza.

Elisabetta                      - Roberto... Hai mai pensato che le forze potrebbero venirmi meno durante il viaggio?

Browning                      - Sì.

Elisabetta                      - Pensa... se dovessi... morire fra le tue braccia?

Browning                      - Hai paura, Ba?

Elisabetta                      - (fieramente, indignata) Paura? Io? Sai che non ho paura di nulla! Sai che preferirei morire accanto a te piuttosto che vivere mille vite senza di te... ma... ma tu, che cosa proveresti se io morissi...? E che cosa si direbbe di te?

Browning                      - Sarei considerato press'a poco un as­sassino. E quanto a ciò che proverei, te lo lascio immaginare...

Elisabetta                      - E ciò nondimeno mi chiedi di ve­nire con te?

Browning                      - Sì, sono /pronto a mettere a repenta­glio la tua vita, che mi importa più della mia, pur di portarti via da questa orribile casa, .portarti nel sole e averti per mia moglie.

Elisabetta                      - Mi ami tanto?

Browning                      - Ti amo tanto. (Lunga pausa).

Elisabetta                      - Roberto... vuoi... vuoi concedermi un po' di tempo?

Browning                      - Il tempo è breve, mia cara.

Elisabetta                      - Lo so, ma ho bisogno di un po' di tempo. Non posso decidere ora. Non oso... Sento che deve accadere qualche cosa che mi indicherà definitivamente la via... dammi qualche ora. Prima di andare a letto, stasera, ti scriverò per dirti la mia decisione... Te ne prego... Roberto.

Browning                      - Me lo prometti?

Elisabetta                      - Te lo prometto.

Browning                      - Bene.

Elisabetta                      - Grazie.

Browning                      - Devo andar via adesso?

Elisabetta                      - E' meglio. (Egli si inginocchia, le prende le mani e le preme con passione sulle lab­bra. Pila riceve la carezza passivamente. Browning sì alza e lascia la stanza in silenzio. Elisabetta ri­mane immobile con lo sguardo fisso dinanzi a sé. Una pausa. Un picchio leggero alla porta. Un'altra pausa. Un picchio più forte. Elisabetta sobbalza) Avanti.

Enrichetta                     - (entrando) Ho visto il signor Brown­ing che scendeva... Posso farlo entrare?

Elisabetta                      - Chi?

Enrichetta                     - E' qui fuori sul pianerottolo... (Scuote leggermente Elisabetta) Svegliati, Ba. Sto parlando di Surtees.

Elisabetta                      - Ah, sì... Ma non fa lo stesso, un altro giorno?

Enrichetta                     - No, no. Ti ho detto che è in uni­forme. Hai promesso di vederlo, Ba!

Elisabetta                      - (con un sospiro)  Va bene, cara...

Enrichetta                     - (la bacia impetuosamente, poi va alla porta e la apre. Parlando verso l'interno) Venite, Surtees. (Entra il capitano Surtees Cook: un bel­l'uomo col volto schietto. E' in tutto lo splendore della grand!uniforme. Porta il kepi sotto il braccio) Ba, il capitano Surtees Cook. Mia sorella Elisabetta. (Elisabetta si è alzata per riceverlo. Cook batte i tacchi rigidamente).

Cook                             - Vostro servo, miss Barrett.

Elisabetta                      - (porgendogli la mano) Molto lieta.

Cook                             - (prendendole la mano e curvandosi sudi essa) Sono molto onorato, miss Barrett, parola d'onore. So che non ricevete nessuno.

Enrichetta                     - No davvero, Surtees! Eccetto i pa­renti, ben pochi uomini hanno il permesso di en­trare in camera di Ba.

Cook                             - Doppiamente onorato in una sola gior­nata. Prima da Sua Maestà, ora da voi, miss Bar­rett. Non so1 che cosa ho fatto per meritarlo.

Elisabetta                      - Ah, già dimenticavo! Venite da Palazzo Reale. Non ho mai visto la regina. Com'è?

Cook                             - Piccolina di statura, ma regale in tutto e per tutto.

Enrichetta                     - Surtees, non avete sciabola?

Cook                             - - Vi ho detto che l'etichetta non permette di tenerla in luogo chiuso.

Enrichetta                     - Oh, che m'importa dell'etichetta! Desidero che Ba vi veda in tutto il vostro splen­dore. Dove l'avete lasciata?

Cook                             -  In anticamera.

Enrichetta                     - Vado a prenderla. (Corre alla porta).

Cook                             - Ma no... miss Barrett non ha bisogno... (Enrichetta è già uscita)..

Elisabetta                      - Ma sì, capitano, mi fa piacere. Credo di non aver mai veduto un ufficiale... in gran tenuta, meno alle riviste e alle cerimonie; e questo è stato parecchi anni fa.

Cook                             - Davvero? (Dopo una breve pausa) Hm... Miss Barrett.

Elisabetta                      - Dite...

Cook                             - Miss Barrett.

Elisabetta                      - (incoraggiattolo) Dite, capitano Cook...

Cook                             - Volevo dire, miss Barrett...

Elisabetta                      - Volete dirmi qualche cosa riguar­dante Enrichetta?

Cook                             - (agitato) Proprio così, miss Barrett... Sì, sì. Precisamente. Voi sapete, miss Barrett... sapete... (E' incapace di proseguire).

Elisabetta                      - (con bontà) Sì, capitano Cook, lo so. E benché io non abbia alcuna possibilità di prestare aiuto, pure vi prego di credere alla mia cordiale simpatia. (Gli dà la mano).

Cook                             - (prendendola nelle sue) Grazie. Non merito tanto. Grazie, miss Barrett. Sapete, non vi è stata mai al mondo una fanciulla simile... voglio dire come Enrichetta. Non so cosa ho fatto per meritare... (Entra Enrichetta con la sciabola. Elisa­betta e Cook sono ancora con la mano nella mano).

Enrichetta                     - Ah, sì: ho immaginato anche che avrebbe colto l'occasione per dirti qualche cosa mentre io non ero presente. Vi è riuscito?

Elisabetta                      - (sorridendo) Quasi. Vero, capitano Cook?

Cook                             - Ma... sapete... hm... sicuro...

Elisabetta                      - Sì, ho capito. (Baciando Enrichetta) Cara, come vorrei poter fare qualche cosa per voialtri!

Enrichetta                     - Neanche tu che sei la figlia pre­ferita! No, nessuno può far nulla. (Siede con la sciabola sulle ginocchia) Surtees vuol chiedere la mia mano a papà... come si usa normalmente. Non riesco a fargli entrare in testa che queste sono cose semplicemente impossibili al numero cin­quanta di via Wimpole.

Elisabetta                      - (seria) Credetemi, capitano Cook, sa­rebbe perfettamente inutile! Sareste messo alla porta senza complimenti... e non so che cosa sarebbe di Enrichetta!

Cook                             - Mi rendo conto che non sono un bel partito, miss Barrett. Sono un povero uomo. Ho poco più del mio stipendici. Però... una persona per bene. Buona famiglia. Se fosse necessario, potrei abbandonare l'esercito e mettermi in qualche im­presa per far quattrini, ma...

Enrichetta                     - Fareste un bell'affare, povero caro!

Cook                             - Già, non sono molto sicuro di riuscire. Ammetto che il servizio militare è quello in cui riesco meglio. Temo di non avere una grande intel­ligenza per fare qualcos'altro. Però, non si può mai sapere che cosa un uomo è Capace di fare quando la ricompensa dei suoi sforzi è Enrichetta. Che cosa dite voi, miss Barrett?

Enrichetta                     - Ba, cerca di fargli capire... io non posso!

Elisabetta                      - Capitano Cook, se voi foste un principe dell'Eldorado e veniste qui a far la corte ad Enrichetta portando in una mano l'albero ge­nealogico della vostra discendenza da qualche so­vrano della luna e nell'altra un certificato di buona condotta della più severa e più rigorosa delle chie­se... ebbene, anche allora papà vi metterebbe alla porta! Ora avete capito?

Cook                             - Non troppo.

Enrichetta                     - Ad ogni modo, non dovete parlare a papà e vi proibisco di abbandonare il servizio militare. Ora che vi ho visto in tutta la vostra gloria, potete immaginare che vi accetterei senza unifor­me? Alzatevi. Voglio affibbiarvi la sciabola.

Cook                             - Insomma... (Si alza sorridendo un po' gof­famente).

Enrichetta                     - (accingendosi all'opera) Ba ritiene che i poeti siano il fiore dell'umanità... Almeno, un certo poeta. Voglio mostrarle che è in errore...

Cook                             - Sì, ma sbagliate. La sciabola deve stare a sinistra.

Enrichetta                     - Perché?

Cook                             - Ma... (Barrett entra e scorge la scena con sorpresa: il suo volto si indurisce istantaneamente in un'espressione di gelido scontento, he due figlie rimangono costernate a guardarlo. Cook è rigido e immobile).

Elisabetta                      - Papà... Siete... siete arrivato più pre­sto di quanto vi aspettassi, papà.

Barrett                           - Non credo di avere il piacere di cono­scere il signore.

Enrichetta                     - Capitano Cook, posso presentarvi mio padre? Papà... il capitano Cook.

Cook                             - Vostro servo, signore. (I due uomini s'in­chinano rigidamente).

Enrichetta                     - (dopo una breve pausa) Il capi­tano Cook è grande amico di Giorgio e di Otty.

Barrett                           - Davvero? (A Cook) I miei figli sono raramente in casa, a quest'ora.

Cook                             - Ecco... stavo passando... ho pensato che forse avrei avuto la fortuna... di trovarne uno... e...

Barrett                           - Capisco.

Elisabetta                      - (dopo una breve pausa dì disagio) Il capitano Cook viene da Palazzo Reale... ed Enrichetta ha pensato che mi sarebbe piaciuto vederlo in tutto lo splendore della grande uniforme.

Barrett                           - Ah, ecco. (Trae l'orologio e lo guarda).

Cook                             - Solo per vedere... alle signore piacciono i colori vivi e... hm... Per Giove, si sta facendo tardi!

Barrett                           - (rimettendo l'orologio in tasca) Di­ciannove minuti e mezzo dopo le cinque.

Cook                             - Per Giove! E' ora che vada via... (Bar­rett suona il campanello due volte) Buon giorno, miss Barrett.

Elisabetta                      - Buon giorno, capitano. (Gli dà la mano).

Cook                             - Buon giorno, miss Enrichetta.

Enrichetta                     - Vi accompagno fuori. (Cook si avvia seguito da Enrichetta).

Cook                             - (a Barrett) Servitore vostro, signore. (Barrett ricalca l'inchino in silenzio. Cook esce. Enri­chetta sta per seguirlo. Barrett la trattiene con un gesto).

Barrett                           - Ci penserà la cameriera. (Chiude la porta e in silenzio va verso il caminetto. Si colloca dinanzi ad esso. Parla dritto dinanzi a sé) Sembra che la lista dei tuoi visitatori maschi si vada allun­gando, Elisabetta.

Elisabetta                      - E' la prima volta che ho avuto il piacere di conoscere il capitano Cook.

Barrett                           - Davvero. Ma da quanto ho visto nell'entrare, pare che la conoscenza di Enrichetta sia di data alquanto anteriore. O mi inganno?

Enrichetta                     - E' già qualche tempo che conosco il capitano Cook.

Barrett                           - Ah. E da quando hai l'abitudine di affibbiargli i suoi armamenti?

Enrichetta                     - Non l'ho mai veduto in uniforme prima di oggi.

Barrett                           - E credo improbabile che tu lo veda ancora, per l'avvenire, né in uniforme né in bor­ghese.

Enrichetta                     - (con voce strana) Perché?

Barrett                           - (senza rispondere)  Posso ingannarmi anche in questo, Elisabetta, ma mi pare che avrei dovuto essere avvertito prima che degli estranei ve­nissero a farti visita.

Elisabetta                      - Un amico di Giorgio non può es­sere considerato proprio come un estraneo, papà.

Enrichetta                     -  Si dovrà vietare al capitano Cook di tornare qui, soltanto perché io l'ho aiutato ad affibbiarsi la sciabola?

Barrett                           - (ignorando la domanda, a Elisabetta) Hai ricevuto la mia lettera?

Elisabetta                      - Sì.

Barrett                           - Ciò che è avvenuto or ora mi con­ferma la saggezza della mia decisione. Questa casa sta diventando il rendez-vous di mezza Londra. Non ho né tempo né voglia di sincerarmi se tutte le persone che vengono qui sono conoscenze desi­derabili per i miei figlioli. Fortunatamente la no­stra nuova casa è così lontana dalla città che pro­babilmente i vostri amici di Londra non ci distur­beranno, almeno durante l'inverno.

Enrichetta                     - (con voce sorda) La nostra nuova casa?

Barrett                           - (a Elisabetta) Non lo hai detto alle tue sorelle?

Elisabetta                      - Arabella lo sa.

Enrichetta                     - Non capisco. Dobbiamo... dob­biamo lasciare la via Wimpole?

Barrett                           - (senza guardarla) Ho preso una casa a Bookham, nel Surrey. E partiamo il ventidue.

Enrichetta                     - Perché?

Barrett                           - Non ho l'abitudine di dar conto delle mie azioni a nessuno, meno che a chiunque, ai miei figli.

Enrichetta                     - Ma ho il diritto di chiederti una cosa, papà. Se al capitano Cook sarà proibito ve­nirci a far visita, è perché lo avete trovato qui nella stanza di Ba, e mi avete visto affibbiargli la scia­bola?

Barrett                           - (dopo breve pausa, fissandola) Mi pare che tu abbia detto che il capitano Cook è amico di Giorgio e di Otty.

Enrichetta                     - Sì... ed è anche mio amico.

Barrett                           - Ah!

Enrichetta                     - Sì, e siccome sono stata io a chie­dergli di venire a salutare Ba, e a pregarlo di mo­strarmi come si affibbia la sciabola, non trovo giusto infliggergli una pena...

Elisabetta                      - (ammonendola) Enrichetta...

Barrett                           - (a Enrichetta, con voce aspra e bassa) 1 Vieni qui.

Enrichetta                     - (fa qualche passo verso di lui. Un po' affannata).            - Ebbene, papà?

Barrett                           - (la fissa sotto le ciglia aggrottate e per un istante, quindi indicando il pavimento ai suoi piedi) Vieni qui. (Ella gli va vicino respirando in fretta. Sgomentata. Egli continua a tenerle gli occhi fissi in volto. Quindi a voce bassa e minacciosa) Che cosa è per te, quell'individuo?

Enrichetta                     - Vi... vi ho detto... E' un nostro amico.

Barrett                           - Che cosa è per te?

Enrichetta                     - Un... un amico.

Barrett                           - Nient'altro?

Enrichetta                     - Nient'altro.

Barrett                           - (afferrandole a un tratto il polso. La sua voce sembra il sibilo di una frusta)  Bugiarda!

Elisabetta                      - (impetuosa) Papà!

Enrichetta                     - (gemendo) Lasciatemi!

Barrett                           - (stringendola più forte) Che cos'è quell'uomo per te? Rispondi. (Enrichetta cerca di libe­rarsi e grida) Rispondi.

Enrichetta                     - Babbo... vi.prego...

Barrett                           - Rispondi...

Enrichetta                     - No... no...

Barrett                           - Rispondi...

Enrichetta                     - (con voce strozzata)  E'... è... oh. Papà, lo amo...

Barrett                           - Ah... (Fra i denti, mentre le afferra l'altro polso e la costringe a inginocchiarsi) Ah... tu... tu... tu... (Ella getta un grido di dolore).

Elisabetta                      - (afferrando il braccio di suo padre) Lasciatela! Papà! Non voglio! Lasciatela subito! (Barrett respinge Enrichetta, la quale ricade su se stessa, in un groviglio e singhiozza col volto fra le mani).

Barrett                           - (volgendosi ad Elisabetta) E tu... tu sapevi questa... sudiceria?

Elisabetta                      - Sapevo da qualche tempo che Enri­chetta amava il capitano Cook e le ho dato tutta la mia simpatia.

Barrett                           - Osi dirmi...

Elisabetta                      - Sì, e l'avrei anche aiutata, se fosse stato necessario.

Barrett                           - Con te parlerò più tardi. (A Enri­chetta) Alzati.

Enrichetta                     - (afferrando a un tratto le sue ginoc­chia e parlando con voce appassionata) Oh, papà, ascoltatemi, ve ne scongiuro... ascoltatemi. Non... Non sono una ragazza cattiva... ve lo giuro. So che vi ho ingannato... e vi domando perdono... domando perdono... Ma non ho potuto far diversa­mente. Lo amo, ci amiamo... e se voi lo aveste saputo, lo avreste messo alla porta... Non potete capire... cercare di capire? E' povero... non pen­siamo di poterci sposare subito... ma è buono... e non può essere un male volergli bene. Le altre donne amano... perché per me deve essere vietato? Ho bisogno di amare... Non posso vivere senza amore. Ricordatevi quanto avete amato la mamma, e quanto ella vi amò... e... comprenderete e avrete pietà di me...

Barrett                           - (inesorabile) Alzati.

Enrichetta                     - Pietà di me, babbo...

Barrett                           - Alzati. (Libera con forza le ginocchia dalla sua stretta. Enrichetta si alza vacillando) Siedi qui. (Le indica una sedia. Enrichetta piomba siala sedia con la testa bassa) Da quanto dura?... (Enrichetta tace) ... Hai sentito? Da quanto tempo va avanti questa storia?

Enrichetta                     - Lo... lo conosco da un po' più di un anno.

Barrett                           - Lo hai visto spesso?

Enrichetta                     - Sì.

Barrett                           - Sola?

Enrichetta                     - Sì.

Barrett                           - Dove?

Enrichetta                     - Sì... lo vedevo al Parco, e... e...

Barrett                           - Qui?

Enrichetta                     - Sì.

Barrett                           - Qui. E sola? (Enrichetta tace) Lo hai visto in questa casa, da sola?

Enrichetta                     - Sì.

Barrett                           -  Brava. Impudicizia furtiva sotto il mio tetto... e compiuta da una che credevo casta e buona...

Enrichetta                     - No, no!

Elisabetta                      - (fieramente) Come osate, papà?

Barrett                           - Silenzio! (A Enrichetta, con voce dura e glaciale) Bada a me. Uno o due anni fa avvenne qualcosa di simile, ed io credetti allora di averlo schiacciato il demone in te. Mi ingannavo. Oc­correvano misure più severe di quelle che avevo avuto il coraggio di usare... Perciò ora a meno che io non abbia la tua parola d'onore che non vedrai mai più quell'uomo, né avrai alcuna comunicazione con lui, lascerai la mia casa immediatamente; così come sei, senz'altro che l'abito che hai addosso. Sarai padrona di te stessa e potrai andare alla per­dizione come crederai meglio. Ma di una cosa po­trai essere certa. Una volta che avrai oltrepassato la mia porta, non rientrerai più, finché io viva, sotto alcun pretesto. Credo che ormai avrai impa­rato che non ho l'abitudine di pronunciare vane minacce e che non torno mai su ciò che ho detto. Dunque, puoi scegliere.

Enrichetta                     - (dopo un'angosciosa lotta mentale) E non vi importa nulla che io... che io possa odiarvi per questo fino alla morte?

Barrett                           - Meno di nulla.

Enrichetta                     - Ma... ma devo far sapere al capi­tano Cook che...

Barrett                           - Informerò io il capitano Cook.

Enrichetta                     - (disperatamente) Ma papà...

Barrett                           -  Mi dai la tua parola d'onore di non vedere mai più quell'uomo e di non avere alcuna comunicazione con -lui?

Enrichetta                     - (dopo una pausa, con voce spenta) Non... non ho altra scelta.

Barrett                           - Dammi la tua Bibbia, Elisabetta.

Elisabetta                      - Perché?

Barrett                           -  Non mi basta la semplice promessa di tua sorella. Ma credo che anche lei esiterebbe a mancar fede ad un giuramento pronunciato con la mano posata sul libro del Signore. Dammi la tua Bibbia.

Elisabetta                      - La mia Bibbia apparteneva alla mamma. Non posso farla adoperare per questo scopo.

Barrett                           - Dammi la tua Bibbia.

Elisabetta                      - No.

Barrett                           -  Rifiuti?

Elisabetta                      -  Sì. (Barrett tira il cordone del cam­panello. Una pausa. Nessuno si muove e parla. Entra Wilson).

Barrett                           - Desidero che andiate in camera mia a prendere la mia Bibbia. Avete le mani pulite?

Wilson                           - (guardandosi le mani) Le mani?

Barrett                           -  Sono pulite?

Wilson                           - (con una punta di amarezza) Sì, si­gnore. Ho aiutato a fare il bagno a Flush.

Barrett                           - Troverete la Bibbia sul tavolino ac­canto al letto.

Wilson                           - Bene, signore. (Esce. Tutti e tre ri­mangono immobili e silenziosi sino al suo ritorno. Wilson rientra con la Bibbia di Barrett. Gliela dà ed esce).

Barrett                           - (a Enrichetta, collocando- la Bibbia con rispetto sulla tavola) Vieni qui. (Enrichetta si alza e va vicino alla tavola) ...Metti la mano sul libro. (Enrichetta eseguisce) ...Ripeti dopo di me: «Vi dò la mia parola che non vedrò più il capi­tano Cook, né avrò alcuna comunicazione con lui ».

Enrichetta                     - (con voce incolore) « Vi dò la mia parola che non vedrò più il capitano Cook né avrò alcuna comunicazione con lui ».

Bakbett                         - Ora andrai in camera tua e vi rimarrai finché ti darò il permesso di uscirne. (Enrichetta esce senza una parola, ma a testa alta. Dopo una pausa) ...Hai qualcosa da dirmi, Elisabetta?

Elisabetta                      - No.

Barrett                           - Allora ti lascio sotto il peso del mio grave corruccio. Non ti rivedrò e non avrò rap­porti con te finché Dio non ti avrà toccato il cuore e tu non sarai pentita della tua cattiveria ed avrai chiesto il Suo perdonò... e il mio... (Prende la Bib­bia ed esce).

Elisabetta                      - (appena egli chiude la porta, si alza e tira il cordone del campanello. Ha l'aspetto de­ciso. Una pausa. Entra Wilson) Chiudete la porta. (Impulsiva) Wilson, mi siete amica?

Wilson                           - (stupefatta) Amica, signorina?

Elisabetta                      - Sì, amica. Ho un immenso bisogno di amicizia in questo momento.

Wilson                           - No... non capisco1, miss Ba... Ma le voglio molto bene, farei qualsiasi cosa per aiutarla,

Elisabetta                      - Davvero? Posso fidarmi di voi?

Wilson                           - Sì, signorina, davvero.

Elisabetta                      - Wilson, sabato prossimo sposerò il signor Browning.

Wilson                           - (con un sobbalzo) Sposerà...

Elisabetta                      - Sssss... Sì, nessuno in casa lo sa... e nessuno deve saperlo.

Wilson                           - Dio mio... senza dubbio!

Elisabetta                      - Ci sposeremo segretamente alla chiesa di Mary-le-Bene. Verrete con me?

Wilson                           - Io, signorina? Sì, signorina... con molta gioia...

Elisabetta                      - Subito dopo torneremo qui per pochi giorni e...

Wilson                           - (enormemente sbalordita) Qui? Col signor Browning?

Elisabetta                      - (con un riso isterico) No, no, no!... Sola con voi... Poi l'altro sabato, raggiungeremo il signor Browning e partiremo per l'estero... Andre­mo in Italia. Volete venire con noi?

Wilson                           - (in un sussurro) In Italia?

Elisabetta                      - Sì, verrete con me?

Wilson                           - Signorina... non vedo come potrei farne a meno. Non che l'estero mi metta pensie­ro... Ma, maritata o no, la signorina non arriverà mai in Italia senza di me.

Elisabetta                      - Allora verrete? Verrete? Oh come sono contenta! Lo dirò subito al signor Browning... glielo scriverò. E voi porterete subito la lettera alla posta. Andate a prepararvi. Intanto io scrivo.

Wilson                           - Sì, signorina. (Esce. Elisabetta prende penna e carta e comincia a scrivere in fretta men­tre si chiude il sipario).

Fine del quarto atto

ATTO QUINTO

Quadro primo

(Elisabetta, inginocchiata accanto a Elush, sta chiu­dendo il suo collare. Gli accarezza la testa distrat­tamente. Si alza. Prende sulla tavola alcune lettere già nelle loro buste; le scorre e va a posarle sul caminetto. Quindi con un sospiro e un brivido, va verso la finestra, torcendosi le mani nell'agita­zione. Dopo essere rimasta qualche istante alla fi­nestra, sospira di nuovo, torna al caminetto, ri­prende le lettere e le rimette una ad una sulla ta­vola. Sul letto sono il suo cappello, il mantello, i guanti, ecc. Wilson entra in fretta portando sul braccio due coperte da viaggio).

Wilson                           - Oh, miss Ba, quanto mi dispiace! Nella fretta di portare il bagaglio alla stazione ieri, di-I monticai di mettere dentro queste due coperte.

Elisabetta                      - Se anche abbiamo dimenticato, poco male. Il signor Browning insiste perché portiamo il minor bagaglio possibile. Compreremo a Parigi tutto ciò di cui possiamo aver bisogno.

Wilson                           - Dio, Dio, pare impossibile che domani saremo a Parigi!

Elisabetta                      - No... (Consulta l'orologio) Come va adagio il tempo. Ancora un'ora e mezzo di que­sta atroce attesa.

Wilson                           - ...e dopo, il signor Browning si oc­cuperà di tutto. (La sua voce si abbassa in tono!  più confidenziale) Suo marito, cara miss Ba...

Elisabetta                      - Zitta, zitta! Non dite quella parola qui...

Wilson                           - Ma, signorina...

Elisabetta                      - Mi sembra che anche le pareti ci  ascoltino. So che in casa non c'è nessuno, eccetto Enrichetta... e anche lei dovrebbe essere uscita. Oh, Wilson, non riesco a credere che fra poco più di un'ora avrò lasciato questa stanza, per non rivederla, probabilmente, mai più.

Wilson                           - Credo che ne sarà ben contenta, miss Ba.

Elisabetta                      - Sì e no... Sono stata molto infe­lice, qui dentro, e anche molto felice... Oh, vorrei-che fosse ora di andare! Quest'attesa mi uccide!

Wilson                           - Ha finito di scrivere le lettere?

Elisabetta                      - (quasi istericamente) Sì, sì.

Wilson                           - So che non dovrei dirlo, miss Ba... ma pagherei non so cosa per essere qui stasera quando il padrone leggerà la sua lettera e saprà che è una signora sposata da quasi una settimana...

Elisabetta                      - (in fretta) No, Wilson no! Il solo pensiero mi atterrisce! Vedo il suo viso... odo la sua voce... Grazie a Dio, saremo a molti chilometri di distanza... (Guarda l'orologio) Ancora un'ora e venti minuti. Non passerà mai il tempo?

Wilson                           - (dopo una pausa) Perché non scrive qualche poesia, signorina?

Elisabetta                      - (sconcertata) Poesia?...

Wilson                           - Sì, signorina. Così le passerebbe il tempo. (Elisabetta prorompe in una risata isterica. Entra Enrichetta con scialle e cuffia. Ha in mano una lettera. Elisabetta interrompe improvvisamente la sua risata e la fissa con gli occhi spaventati).

Elisabetta                      - Credevo... credevo che tu fossi uscita.

Enrichetta                     - Wilson, ho bisogno di parlare con miss Ba.

Wilson                           - Sì, signorina. (Esce).

Enrichetta                     - Stavo per uscire, quando ho incon­trato sulla porta un fattorino. Ha portato questa lettera per te.

Elisabetta                      - Del capitano Coolt?

Enrichetta                     - Sì. Cosa dice?

Elisabetta                      - Aprila.

Enrichetta                     - (apre la lettera e legge) « Cara miss Barrett, so che faccio molto male immischian­dovi ancora una volta nelle faccende mie e di Enrichetta. Ma la cosa è tanto urgente che certa­mente mi perdonerete. Il mio reggimento è tra­slocato a Someret e parte fra pochi giorni, ed io devo assolutamente vedere Enrichetta prima di par­tire». Ricordi, Elisabetta, che papà minacciò di scacciarmi di casa se io non giuravo sulla Bibbia di non vedere Sortees e di non scrivergli?

Elisabetta                      - Sì.

Enrichetta                     - (ardita) Ebbene, oggi romperò il giuramento fatto sulla Bibbia.

Elisabetta                      - (tranquilla) Davvero, cara?

Enrichetta                     - (con aria dì sfida) Sì... e me ne farò una gloria! Sortees mi dice che si troverà... non importa dove!... dalle quattro alle sei, che sono le sole sue ore libere, ogni giorno, fino a merco­ledì, il giorno della sua partenza. Lo vedrò tutti e due i giorni. E se papà mi domanderà dove sono stata... mi deciderò a mentire più spesso e più sfac­ciatamente che potrò.

Elisabetta                      - (tranquilla) Capisco. Ma perché mi dici tutto questo?

Enrichetta                     - (bellicosa) Perché voglio che tu dica che sono cattiva, ingannatrice, spergiura, a-bietta, in modo che io possa ributtarti in faccia tutte queste parole! (Le getta ad un tratto le brac­cia al collo) Ba cara, perdonami! Non sono più io... Sono tutta odio e amore... e non so quale sia la tortura peggiore...

Elisabetta                      - (con tenerezza appassionata) Cara, cara, credi che non ti capisca! Ti comprendo! E ti compatisco con tutto il cuore!... Non posso far nulla per aiutarti. Non oso neppure consigliarti... Ma non devi mai perder la speranza... mai perdere il coraggio... mai... (Wilson entra a precipizio, è agitatìssima e non sa dominarsi).

Wilson                           - Oh, miss Ba! Miss Ba!... (Le due so­relle la fissano. Enrichetta attonita, Elisabetta at­territa).

Elisabetta                      - Che c'è, Wilson? (A Enrichetta) Chiudi la porta!

Wilson                           -  Il padrone, miss! E'... è rientrato in questo momento...

Elisabetta                      - (in un sussurro) . Papà...

Wilson                           - Sì... proprio ora... Deve aver saputo... qualcuno deve avergli detto...

Elisabetta                      - Tacete.

Enrichetta                     - (che ha guardato sbalordita l'una e l'altra) Ma che diamine succede, Ba?

Elisabetta                      - Niente. Niente.

Enrichetta                     - Sei bianca come un cencio. Che ha voluto dire Wilson? Ba, non posso far nulla?...

Elisabetta                      - (dolcemente, intensamente) No, no, no! Non parlare, non chiedermi niente. Non sai nulla, hai capito? Nulla... nulla.

Enrichetta                     -  Ma...

Elisabetta                      - No. (A Wilson) Quelle coperte... (Wilson le prende. Bussano alla porta. Wilson sus­sidia. Elisabetta parla in un sussurro) ...Avanti. (Si schiarisce la voce. Quindi più forte) Avanti! (Entra Barrett) Siete tornato a casa presto, papà... (Senza rispondere, Barrett le guarda una ad una, quindi va al caminetto. Wilson, evidentemente ter­rorizzata, scivola via dalla stanza portando via le coperte).

Barrett                           - (a Elisabetta) Che cos'ha quella ra­gazza?

Elisabetta                      - Wilson?

Barrett                           - Sì... E tu?

Elisabetta                      - Nulla, papà...

Barrett                           - (dopo averla fissata acutamente per qual­che istante, si volge a Enrichetta) Dove sei stata?

Enrichetta                     - In nessun luogo.

Barrett                           - Dove vai?

Enrichetta                     - A'prendere il tè con la zia Hedley.

Barrett                           - E' la verità?

Enrichetta                     - Sì.

Barrett                           - Ti ricordi il giuramento?

Enrichetta                     - Sì.

Barrett                           - Lo hai mantenuto?

Enrichetta                     - Sì.

Barrett                           - Lo manterrai?

Enrichetta                     - Sì.

Barrett                           - (dopo averla fissata un istante) Desi­dero parlare con tua sorella. Puoi andare. (Enri­chetta esce senza uno sguardo all'uno né all'altra. Elisabetta siede calmissima, aspettando. Barrett va fino alla finestra. Poi torna accanto a lei) ...Sai per­ché sono tornato a casa così presto?

Elisabetta                      - (in un sussurro) No, papà.

Barrett                           - (con voce bassa, intensa) Perché non potevo più sopportare... sono dieci giorni che non ti vedo. Mi domando, figlia mia, se in questi dieci giorni sei stata infelice come tuo padre!

Elisabetta                      - Infelice, papà?

Barrett                           - Credi che io sia felice quando sono amaramente allontanato da tutto ciò che amo al mondo? Sai che ogni sera ho dovuto fare appello a tutta la mia volontà per trattenermi dal venire a perdonarti?

Elisabetta                      - Papà...

Barrett                           - Tutta la mia forza di volontà, ti dico, tutto il mio senso del dovere e della giustizia... Ma oggi non ho potuto più sopportare. Il bisogno del tuo volto e della tua voce è diventato un tormento. Son dovuto venire.

Elisabetta                      - No, no! (A un tratto si alza e gli mette le mani sulle sfalle) Ma non vedete, papà, non riuscirete mai a vedere che la forza può es­sere debolezza e che il vostro senso della giustizia e del dovere può essere tutto errore e incompren­sione?

Barrett                           - (rauco, togliendosi le mani di lei dalle spalle) Errare e incomprensione? Che vuoi dire? Non sai ciò che dici.

Elisabetta                      - Se volete ascoltarmi, papà...

Barrett                           - No.

Elisabetta                      - Ma, babbo...

Barrett                           - No. (Va verso la finestra e rimane im­mobile. Col viso volto a metà. Una pausa. Si vol­ta verso di lei) Se vi fosse in ciò che tu dici solo un barlume di verità, tutta la mia vita sarebbe una orribile mistificazione. Perché attraverso tutte le mi­serie e tutti gli affanni, io sono sempre stato so­stenuto dal sapere senza alcun dubbio ciò che era giusto e dal compierlo inflessibilmente. La mia croce è stata questa: che tutti coloro ai quali sono stato assegnato come guida, hanno sempre lottato contro ciò che io sapevo essere giusto e che avevo il dovere di imporre. Perfino te. Perfino tua madre.

Elisabetta                      - (in un sussurro) Mia madre?

Barrett                           - Sì, tua madre... Ma non da principio... Tu, la mia prima figliola, sei nata dall'amore, sol­tanto dall'amore... Ma gli altri... molto tempo pri­ma che nascessero, l'incrinatura fra tua madre e me aveva cominciato ad aprirsi. Non che ella si sia mai opposta a me: ma l'amore era morto... e il terrore aveva preso il suo posto... il terrore...

Elisabetta                      - No, no!

Barrett                           - E tutto perché io vedevo ciò che era giusto... e lo compivo.

Elisabetta                      - (a voce bassa, con lo sguardo fisso di­nanzi a sé) Dio... quanto deve aver sofferto...

Barrett                           - Lei?... Lei?... Ed io?... Io?

Elisabetta                      - Voi?... Oh, papà, voi... voi l'ama­vate ancora, dopo che il suo amore per voi era morto?

Barrett                           - (con voce soffocata, guardando altrove) Amore?... Che cos'è l'amore? Era mia moglie... Tu... non capisci...

Elisabetta                      - (inorridita, in un sussurro) E tutti quei figli... nati nel terrore... Oh, è atroce... (Con un singhiozzo che la scuote tutta, si copre il volto con le mani).

Barrett                           - (stupito e confuso) Ba cara, non pian­gere... no... Non avrei dovuto parlare... Non avrei dovuto dirti tutto questo... Dimenticalo, figliola... (Le si avvicina) Togliti le mani dal viso... (Le toc­ca dolcemente i polsi. Ella indietreggia, fissandolo con gli occhi spalancati, pieni di spavento) ...Non guardarmi così. (Con voce bassa, un po' rauca, guardando altrove) Tu non capisci. Come potresti capire? Non sai nulla della brutale tirannia della passione... e che anche i migliori e i più forti vi sono trascinati, per opera del demonio. Avresti in­coraggiato tua sorella nel suo...

Elisabetta                      - (arditamente) L'amore di Enrichetta... Come osate parlarne nello stesso momento in cui...

Barrett                           - (brutalmente) Il suo amore? Stupidirla ignorante! Che cosa sai dell'amore? Amore! La concupiscenza dell'occhio... il bisogno più basso del corpo...

Elisabetta                      - (balzando in piedi) Non voglio ascoltarvi!

Barrett                           - (afferrandole i polsi e obbligandola a se­dere di nuovo) Devi ascoltarmi! E' tempo che un po' di realtà entri nella tua vita fatta di sogno. Credi che io avrei guardato la mia casa da questo cosiddetto amore se non avessi saputo per espe­rienza tutto ciò che esso contiene di crudeltà, di maledizione, di degenerazione, di rimorsi? (Rimet­tendosi) Con l'aiuto di Dio, attraverso anni di tor­mentosa astinenza l'ho soffocato in me stesso. E finché avrò respiro, lo terrò lontano da coloro che devo guidare e proteggere. Capisci?

Elisabetta                      - (a voce bassa, fissandolo arditamente) Sì... vi capisco... vi capisco...

Barrett                           - Bene. (Una pausa. Elisabetta siede guardando dinanzi a sé. Quando egli parla nuo­vamente, la sua voce è mutata) E' stata un'orribile necessità. Ho dovuto parlare chiaramente. Ora dobbiamo voltare questa brutta pagina... e dimenti­care ciò che vi era scritto... (Le prende la mano) Sei fredda come il ghiaccio... Perché tremi?

Elisabetta                      - (ritirando la mano) Non dimenti­cherò mai ciò che avete detto.

Barrett                           - Non lo dimenticherai... Eppure... (A un tratto) Ma per l'amor di Dio, mia cara, non fare che questo crei una barriera fra di noi! Il tuo amore è tutto ciò che mi è rimasto al mondo.

Elisabetta                      - Una volta avevate l'amore della mamma. Avreste potuto avere l'amore di tutti i vostri figli.

Barrett                           - Sì, se fossi stato un vile e avessi evi­tato di fare il mio dovere, rendendo 'la mia vita più facile. Preferirei essere odiato da tutto il mon­do, piuttosto che acquistare l'amore a quei prezzo.

Elisabetta                      - (con voce spezzata) Oh papà... non sapete quanto mi fate pena...

Barrett                           - (aspramente) Pena?... Non so che far­mene della tua compassione. Ma se dovessi mai perdere te o il tuo affetto... (Le afferra le mani che tentano di ritirarsi) Figlia mia cara, la settimana prossima avremo lasciato questa casa. Nella nostra nuova casa saremo più vicini. Tu devi appoggiarti a me... Devi dividere con me i tuoi pensieri, le tue speranze, i tuoi timori, le tue preghiere. Io voglio tutto il tuo cuore e tutta la tua anima... (ha tiene stretta con passione; ella si piega all'indietro, il volto pieno di spavento e pena).

Elisabetta                      - (singhiozza) Non posso... non pos­so più sopportare... Lasciatemi, babbo... lasciatemi, ve ne supplico... (Egli allenta il suo abbraccio. Ella indietreggia, coprendosi il volto col braccio. Egli si alza e si curva su di lei).

Barrett                           - Perdonami, cara. Ho detto troppo. Mi son lasciato trasportare. Ora ti lascio.

Elisabetta                      - (mormorando) Sì...

Barrett                           - Ti rivedrò stasera?

Elisabetta                      - (c. s.) Stasera no...

Barrett                           - Pregherò per te.

Elisabetta                      - (quasi fra sé) Pregare per me?... Stasera... (Si volge e lo guarda) Sì, pregate per me stasera... (Barrett esce. Elisabetta si alza in fretta. Prende dall'armadio il suo mantello e la cuffia. Wilson entra, furtiva e frettolosa, con le coperte sul braccio).

Wilson                           - E' andato in studio.

Elisabetta                      - (mettendo la cuffia) Dobbiamo an­dare ora. Subito.

Wilson                           - Ma...

Elisabetta                      - Subito. Aiutatemi a mettere il mantello.

Wilson                           - (aiutandola) Ma la carrozza non ci sarà ancora. Manca ancora un'ora. E poi...

Elisabetta                      - Passeggeremo per le strade. Non posso rimanere qui. Ho paura. Ho paura. Andate a prendere il vostro mantello e la cuffia.

Wilson                           - Passeggiare, signorina? E poi il... il padrone è in casa. Può vederci uscire. Per carità, signorina...

Elisabetta                      - Dove ho messo quelle lettere? Ah eccole... (Le sparpaglia sulla tavola) Andate a pren­dere il vostro mantello. Presto.

Wilson                           - Ma se ci vede?

Elisabetta                      - Papà non può trattenermi. Wilson, sono successe fra mio padre e me delle cose che mi costringono a lasciare questa casa immediatamente. Fino ad oggi... non lo conoscevo. Egli non è come gli altri uomini. E'... è terribilmente diverso... Non... non posso dire altro... Se volete ritirare la vostra pro­messa, non importa, ma io devo andare via subito.

Wilson                           - Vado a prendere il mio mantello, si­gnorina. (Elisabetta le mette un braccio attorno al collo e la bacia) Oh, miss Ba... (Esce in fretta. Eli­sabetta sparpaglia ancora le lettere sulla tavola. Poi trae dal seno l'anello nuziale che ha appeso ad un nastro. Lo infila al dito. Lo guarda un momento. Poi infila i guanti. Wilson rientra, piano e in fret­ta. Ha il mantello e la cuffia).

Elisabetta                      - Prendete le coperte, Wilson. Io porterò Flush.

Wilson                           - (affannata) Sì, signorina.

Elisabetta                      - Ora andate un momento giù e guardate se la porta dello studio è chiusa.

Wilson                           - Sì, signorina. (Esce, lasciando la porta aperta. Elisabetta prende in braccio Flush e poi si guarda attorno, con un'espressione indescrivi­bile. Wilson rientra. In un sussurro) La porta è chiusa... tutto è tranquillo.

Elisabetta                      - Bene. (Esce. Wilson la segue e chiude dolcemente la porta. Per un istante la ca­mera rimane vuota. Poi lentamente il sipario).

Quadro secondo

 (Il velario si apre sulla scena ancora vuota. Sono passate circa due ore. Il cielo visto attraverso la finestra, è nello splendore del pomeriggio. Una pausa. Entra Ambella).

Arabella                        - (entrando) Scusami, Ba, ma vorrei... (Si accorge che la stanza è vuota e si guarda at­torno stupita. I suoi occhi cadono sulle lettere che Elisabetta ha lasciate. Lasciando la porta aperta va alla tavola e le guarda. Ne prende una e mormora, agitata) Per me... Che vuol dire? (Apre la lettera e la legge con piccole esclamazioni convulse) Oh!... No, no!... Sposata!... No!... Oh... Oh... (Alza gli occhi col volto trasformato dal terrore e dall'ecci­tazione. Quindi subitamente siede sul divano e prorompe in grida e scoppi di risa isteriche. E' im­pressionante. Dopo un momento si sentono passi e voci dal di fuori. Giorgio, Carlo e Ottavio entrano quasi simultaneamente. Giorgio è vestito per il pranzo; gli altri due non hanno ancora finito la loro toilette).

Giorgio                          - Arabella!

Carlo                             -  Che diavolo c'è?

Ottavio                          - Che succede? Per Bacco. (Arabella ride).

Giorgio                          - (prendendole una delle mani e battendole il palmo) Basta, Arabella! Basta, per carità! Arabella (mezzo convulsamente, mezzo gridando) Sposata... partita... sposata... partita... (Un altro scroscio di risa).

Giorgio                          -  Calmati! Andate a prendere un po' d'acqua uno di voi...

Ottavio                          - Acqua di colonia... (Alfredo, Settimo ed Enrico, due vestiti, l'altro senza giacca e senza colletto, entrano in fretta).

Alfredo                         - Che è successo?

Enrico                           -  Ba sta male? Arabella!

Arabella                        - (convulsa) E' sposata... è partita... si è sposata... è partita. (Entra Enrichetta; ha il mantello e la cuffia. Per un momento rimane im­mobile, con gli occhi spalancati, cercando di capire) Sposata e andata via... sposata e andata via... (Comincia a singhiozzare. I fratelli cominciano ad afferrare la realtà). Carlo           - Che vuol dire? Dov'è Ba?

Settimo                         - Sposata e partita... E' pazza!

Giorgio                          - Arabella... che diamine dici?

Ottavio                          - Sposata! (Enrichetta a un tratto si scosta. Afferra Arabella per le spalle e la scuote vigorosamente ).

Enrichetta                     - (quasi senza voce) Sposata! (Co­sternazione generale ed esclamazioni sgomente: «Sposata... Sposata...». «Non può esser vero». «Roberto Browning! ». «Dio mio!»... Enrichetta ad Arabella che continua a singhiozzare) Dov'è?

Arabella                        - E'... è andata via... quella lettera... ha scritto... ad ognuno di noi... E'... è partita...

Ottavio                          - Enrichetta, per te. Giorgio. Enrico. Alfredo. Settimo. Carlo. (Pausa) Dio. Impossibile! Sposata! Da una settimana!

Giorgio                          - Sì, si è sposata sabato scorso.

Ottavio                          - (sollevando una lettera) Q-questa lettera è p-per papà. (Un silenzio piomba su tutti. Solo En­richetta guarda dinanzi a sé con un sorriso di sfinge).

Arabella                        - (tremante, in un sussurro) P-p-papà...

Settimo                         - E' in casa?

Giorgio                          - Si sta vestendo per il pranzo.

Ottavio                          - Che c-cosa b-bisogna fare?

Enrico                           - Qualcuno deve dargli la lettera di Ba.

Enrichetta                     - (con voce chiara) Datela a me. Lo farò volentieri.

Arabella                        - (terrorizzata) Sssst... ssst... (Indica la porta. Tutti trattengono il respiro. Nella pausa si ode il rumore di passi che si avvicinano. Quindi appare sulla soglia Barrett, in abito da sera. Guarda la famiglia riunita, sorpreso e molto serio. Nessuno batte palpebra).

Barrett                           - Che significa ciò? (Nessuno risponde né si muove). Chi stava facendo tanto chiasso, poco fa? (C. s.) Dov'è Elisabetta? (Egli entra. Arabella con un grido soffocato, si alza e si aggrappa al braccio di Enrichetta) ...Avete sentito? (Ad En­richetta) Dov'è tua sorella?

Enrichetta                     - (liberandosi da Arabella e prendendo la lettera) Vi ha lasciato questa lettera.

Barrett                           - Mi ha lasciato... che vuoi dire?

Enrichetta                     - Ha lasciato una lettera per cia­scuno di noi. Questa è la vostra. (Con gli occhi fissi sul volto di lei, egli prende lentamente la let­tera dalle sue mani. Sta per aprirla, quando ad un tratto ella afferra con passione il suo braccio. Im­plorando appassionatamente) Dovete perdonarla, pa­pà... dovete perdonarla... non per lei, ma per voi! Credevo di odiarvi ma non è vero... Mi fate pietà... pietà... E se anche voi avete pietà di voi stesso, per­donatela... (Egli la fissa duramente per un mo~\ mento. Quindi la allontana. Apre la lettera e la legge. Solo il suo respiro più celere rivela la tem­pesta di emozioni che si agitano in lui. Il suo volto, quando finalmente lo solleva dalla lettera, è una maschera bianca. Rimane immobile con lo sguardo fisso dinanzi a sé, piegando e ripiegando macchinal­mente la lettera).

Barrett                           - (mezzo fra sé voltandosi verso la stanza) Sì, sì... Il suo cane... (Un sorriso orribile di in­descrivibile cattiveria, gli attraversa il volto) Sì.., voglio il suo cane... Ottavio.

Ottavio                          - Papà?

Barrett                           - Bisogna fare uccidere il suo cane. Su­bito.

Enrichetta                     - Ma...

Barrett                           - (alzando un poco la voce) Lo porterai al veterinario stasera... hai capito? Stasera. (Una pausa) Hai capito?

Ottavio                          - (disperatamente) Veramente n-non ve­do che c-cosa ha f-fatto quella -povera bestia p per...

Barrett                           - (minaccioso) Hai capito?

Enrichetta                     - (cercando vanamente di dominare la nota di trionfo che è nella sua voce) Nella sua lettera a me, Ba scrive che ha portato via Flush... (Un silenzio; Barrett rimane calmo, fissando lo sguardo dinanzi a sé e stracciando macchinalmente la lettera di Elisabetta, a pezzettini che gli cadono ai piedi).

FINE