La fastidiosa

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LA FASTIDIOSA

Commedia in tre atti

di FRANCO BRASATI

PERSONAGGI

RUDI LAURINO

LIDIA LAURINO

MARCO LAURINO

TOMMASO

STELLA VARON

MAMMA VARON

IL GENERALE

LA SUORA.

Commedia formattata da

 

ATTO PRIMO

Una musica sacra squillante, fragorosa. Altissimo in fondo al palcoscenico, unico punto luminoso sulla scena ancor buia, un gruppetto di novizie sta cantan­do le lodi del Signore. Visione e musica dissolvono lentamente, mentre la scena s'illumina. Venezia, un Convento. Ciò che vediamo è la parte aperta al pub­blico, una specie d'immensa anticamera. Dalla sinistra si accede a una piazzetta, visibile in parte attra­verso una finestra. Nel fondo, un gran muro bianco (che ha preso consistenza con l'illuminarsi della sce­na) ci nasconde ora l'interno della chiesa e il coro. A destra, una porticina conduce nel Convento vero e proprio. Di proscenio, sempre sulla destra, un'altra uscita. Una sedia nell'angolo sinistro del proscenio. Al centro della stanza, lunghissimi e stretti, un tavo­lo e una panca.

Seduti sulla panca in un mattino di sole, stanno Rudi e suo figlio. Rudi è vestito con estrema elegan­za, giovanile e fuori moda. Fuma. Volto alla platea, Marco porge l'orecchio alla musica che si spegne. Il coro è scomparso. Un silenzio, poi Marco esclama con leggerezza:

Marco                              - Quello che non capisco, è perché mammà vuol farsi monaca.

Rudi                                - Tua madre?! E chi lo dice?

Marco                              - Se sta là dentro...

Rudi                                - A riposarsi! È stata allevata qui, ha stu­diato qui, è cresciuta qui. Niente di strano, che una signora per bene vada ogni tanto a ritrovare le sue amiche.

Marco                              - Le signore per bene non si ritirano più nei conventi, papà.

Rudi                                - Ti sbagli! (Si china all'orecchio del figlio, fatuo) In ritirata ovunque, su tutti i fronti... (Balza in piedi come un galletto) Ah, perdio! Non una che ti offra ancora il gusto della sorpresa, dell'assedio, dell'attacco. Che deserto, figliolo... Come mi trovi?

Marco                              - Bene.

Rudi                                - Invecchiato?

Marco                              - Ringiovanito.

Rudi                                - (illuminandosi) Davvero?

Marco                              - Alla tua età... Non si può far altro. (Rudi sta per offendersi, ma si mette a ridere, sicuro di sé)

Rudi                                - Stupido!... Stupido, stupido. Sapessi!... (Marco gli sorride, complice, per indurlo a confi­darsi)

Marco                              - Ah si?

Rudi                                - Avessi tu, il nervo di tuo padre! Oh, non dico, capiteranno anche a te chi sa quante avven­ture. Giovane, ricco...

Marco                              - (dolcemente) No, papà.

Rudi                                - Come?

Marco                              - Niente prestiti, oggi.

Rudi                                - E chi ti chiede nulla? Sei d'una volgarità, figliolo. Io ho la mia fortuna dentro. Non farei il cambio con te per tutto l'oro del mondo.

Marco                              - Ricordalo, al momento degli addii.

Rudi                                - Oh, puoi ripartire tranquillo. Straccia an­che la mia lettera, se vuoi... La lettera di un padre!

Marco                              - (sorpreso) Mi hai scritto?

 Rudi                               - Due giorni fa. Avevo bisogno... Di un pic­colo aiuto. (Scruta il figlio) Piccolo. (Marco resta impassibile. Il padre conclude eroico) Che però ades­so rifiuto, categorico!

Marco                              - Papà.

Rudi                                - Si?

Marco                              - Che hai fatto, alla mamma? (Rudi scop­pia a ridere, "innocente")

Rudi                                - Io?!... Ah, questa è straordinaria. Perché dovrei averle fatto qualcosa? (Indica la porta) Appe­na arriva la interroghi tu stesso, d'accordo? (Si met­te a passeggiare) Io voglio bene, a tua madre. È una donna sublime. Solo che... Alle volte... Trent'anni di sublime... Prende alla gola.

Marco                              - E allora?

Rudi                                - Allora penso a te lontano, nella tua bella casa di Roma... (Con altro tono, volubile) Come va tua moglie?

Marco                              - Bene.

Rudi                                - Sempre puttana?

Marco                              - Papà...

Rudi                                - Oh, è notorio. Perché non vi separate?

Marco                              - Ci siamo separati. Un anno fa.

Rudi                                - Ah già. Mi spiace, figliolo. Ti sono vicino.

Marco                              - Grazie, papà.

Rudi                                - (riprendendo) Oppure esco a far due passi, fino alla Giudecca. (Disperato) Venezia, d'inverno!... Gesù. Qui li vorrei, i turisti, quando non ci sono più turisti! Un tanfo, una tristezza... E una voce che chiama, di là dal mare "Rudi, Rudi, son qua... Sono a Rio".

Marco                              - Ma che dici?!

Rudi                                - Ti ho raccontato la storia di quella dama che salvai da un canale, anni fa. Alta, bianchissima... Sta in Brasile. A Rio. (Marco scatta, gridando)

Marco                              - A quest'ora, papà!... Sarà morta!!

Rudi                                - Perché? Son forse morto, io?... (Vorrebbe ridere, ma un nodo gli stringe la gola. Ripete, scru­tando il figlio) Eh? Son... Forse... Morto? (Un silen­zio, Marco gli mette le mani sulle spalle, sorridendo)

Marco                              - Caro papà. Caro, vecchio, giovane papà. Come ci saremmo divertiti, se fossimo cresciuti as­sieme. (Rudi si riprende. La commozione gli è già passata)

Rudi                                - Ah, puoi dirlo. Io ho il gusto, della vita. Ricca, polposa... (Sottovoce, guardandosi attorno) Di' un po', ti piacciono le bionde?

Marco                              - Certo...

Rudi                                - Vien qua. (Torna a sedersi sulla panca, ti­rando il figlio accanto a sé) Anche quelle piccole, nostrane?

Marco                              - (sorridendo) Certo.

Rudi                                - Allora ascolta... (Ma non finisce. La porta si apre, e appare una suora)

Suora                               - Rudi. (Il padre si volta di scatto. Marco si alza)

Rudi                                - Ma no... Suor Iginia. Ancora viva!

Suora                               - Con l'aiuto di Dio. (Rudi le prende le mani, festoso)

Rudi                                - E che bella donna! (In fretta) Si si, mi scusi... (Indicando Marco) Lei ricorda mio figlio?

Suora                               - Tommaso. (Marco corregge, sorridendo)

Marco                              - Marco.

Suora                               - Ah già, Marco. Tommaso era il tuo ami­co, quello...

Marco                              - Quello buono.!

Suora                               - Oh, eri buono anche tu. Solo un po'... [Intrigante. (Gli punta un dito contro, affettuosa) Lo sei ancora? (Rudi spiega, alle spalle della suora)

Rudi                                - Marco vive a Roma. Fa un sacco di quat­trini. (La suora perde ogni speranza) i

Suora                               - Capisco.. (Si riprende, cordiale) Accomodatevi, accomodatevi. Lui vorrà vedere sua madre, immagino?

Rudi                                - Credo bene. Torna a Venezia si e no due volte all'anno, e...

L

Suora                               - Il fatto è che adesso non vorrei distur­barla. Riposa.

I Marco                            - (ansioso) Sta male?

[

Rudi                                - Daccapo! Glielo dica lei, sorella, che è [normalissimo per Lidia venire qua. C'è già stata altre volte, no?

| Suora                             - (pensosa) Si, un anno fa. (A Rudi) Fu quando lei...

f Rudi                              - (in fretta) Lasci perdere, sorella!... C'è sta­lla, questo è il punto. (A Marco) Ed era sana allora, com'è sana adesso!

Suora                               - L'ultima volta soffriva un po' al ginocchio.

Rudi                                - Infatti! Infatti! Poi s'è messa nel fango, è guarita. Soffre ancora, al ginocchio?

Suora                               - No.

Rudi                                - (al figlio) Vedi? (Alla suora, incalzante) Fegato, reni?

Suora                               - Neanche.

Rudi                                - Il cuore?

Suora                               - Bene.

Rudi                                - E nel complesso?

Suora                               - Muore. (Un silenzio)

Rudi                                - Come, muore?! (Prevenendo il figlio) Zit­to! (Alla suora) Come, muore?! Che significa "muo­re"?!

Suora                               - È stanca, è inquieta... Non ce la fa più. (Rudi scatta, furioso)

Rudi                                - Ah no, eh! Niente ricatti! (Ironico) Si muore cosi, in buona salute!... Oh, perdio!... L'ho ac­compagnata io stesso fin qua. Era allegra, di buon umore...

Suora                               - Lidia non dice tutto quello che pensa. E sente più di quel che si crede.

Rudi                                - Non facciamo i gesuiti, sorella! Sta bene, o no. E come tatto nel dare le notizie, rallegramen­ti!... "Muore".

Suora                               - Mi scusino. Ho usato un'espressione trop­po forte.

Rudi                                - (a Marco) Lo riconosce. (Alla suora, indi­cando il figlio) Guardi che faccia. Ancora un po', e | me lo ammazza... Due, in un colpo!

Marco                              - Sta' zitto, papà. (Sforzandosi alla calma) Suor Iginia, quando crede che posso rivederla?

Suora                               - Appena si sveglia. Se vogliono accomo­darsi di là...

Marco                              - Perché?

Suora                               - Questo è il lato aperto al pubblico. Ora siamo fuori stagione, e non viene nessuno. Ma ve­dessero che folla, l'estate.

Rudi                                - Si sveglìerà prima dell'estate, immagino! i

Suora                               - Oh, è questione di poco. Li avvertirò io. (Si avvia. Si ferma). Hanno sentito il coro dalla chiesa? Stanno provando gli Inni di Pasqua.

Rudi                                - Si si, sentiamo, sentiamo. "Gloria, Allelu­ia"... Sembrano allegre, le ragazze. (La suora ha un i debole sorriso)

Suora                               - Già. Mi scusino. (Esce, richiudendo la porta)

Rudi                                - (disinvolto) Che matta. (Il figlio lo guarda in silenzio. Rudi distoglie gli occhi, imbarazzato. Fa un mezzo giro per la stanza, lancia di nuovo un'oc­chiata a Marco che continua a fissarlo. Tira un cal­cio alla panca. Di colpo si affloscia sul tavolo, e si j mette a piangere. Un pianto breve, secco, rabbioso) Non posso, non posso, non posso perderla!... (Marco [ gli si avvicina, un po' commosso)

Marco                              - Papà...

Rudi                                - è importante, per me... È la mia vita!

Marco                              - La suora esagera, papà. Sai come si spic­ciano, loro, in due parole.

Rudi                                - Io l'amo, l'amo, l'amo!

Marco                              - (dolcemente) Anche la mamma, lo sa... (Rudi alza di scatto la testa, con tutt'altro tono)

Rudi                                - È appunto quello che mi preoccupa. Come ha fatto, a saperlo?

Marco                              - (sorpreso) Ma di chi parli?

Rudi                                - (quasi fra sé, brontolando) Le avevo tan­to raccomandato di non telefonarmi a casa!

Marco                              - Di chi parli, papà?!

Rudi                                - Di Stella, no?... Non te l'ho detto?... Beh, stavo per farlo. (Marco lo guarda esterrefatto poi, a poco poco, si mette a ridere. Ride sincero, liberato da un peso)

Marco                              - Tutto qui?!... Tutto qui... Dio sia lodato!... E io temevo... Chi sa che cosa!... (Divertito, un po' sfottente) Come si chiama?... Stella?

Rudi                                - Perché? non ti va?

Marco                              - Sili!... Alta? Bianchissima?... Una gran da­ma, papà?

Rudi                                - Ti sorprenderebbe?

Marco                              - Conoscendo i tuoi gusti...

Rudi                                - Rispetta almeno tua madre, imbecille!

Marco                              - E tu?

Rudi                                - Io l'ho sposata. È un'altra cosa. (Marco prende un tono magico, sottovoce)

Marco                              - Eppure l'amavi, un tempo. "Mi sono per­duto in lei come un bambino nel bosco" dicevi...

Rudi                                - (come in sogno) Io?

Marco                              - Si.

Rudi                                - Però.

Marco                              - E aggiungevi "Il matrimonio è stato la mia favola".

Rudi                                - (risvegliandosi) Eh, una favola contro na­tura, figliolo! Sposi la farfalla, e dopo una stagione te la ritrovi bruco. (Arrabbiandosi con l'invisibile co­ro) Ah, per Giove! Altro che musica e alleluia -Pianti, ci vorrebbero! (Si volta, angosciato) Marco, è vero che l'Uomo sta per esplorare l'Universo?

Marco                              - Dicono.

Rudi                                - Bene. Pensa che tua madre e io, non uscia­mo più alla sera!

Marco                              - (dolcemente) Cosa fate, papà?

Rudi                                - Niente. Io guardo la televisione, oppure siedo alla finestra quella in corridoio, sai...

Marco                              - Non vedi niente, da li.

Rudi                                - Beh... I figli dell'architetto. Hanno molte relazioni... Ballano... (A poco a poco la luce isola Ru­di dal resto della scena. Si ode una musichetta. Rudi è di proscenio, volto alla platea, come contemplasse, oltre un'invisibile finestra, la festa nel palazzo di fronte. Sospira) La gioventù!... (Si riscuote, amaro) Naturalmente tua madre sta in camera sua e soffre.

Marco                              - Per Stella.

Rudi                                - Macché. Non la conoscevo ancora. (In fret­ta, imbarazzato) Una storia d'assegni... Lei non è d'accordo sulla mia firma... Dice che non avrei do­vuto... Insomma, sciocchezze. (Riprendendo) Che fai? La lasci là, a straziarti l'anima? Musica, e rimorsi?... Non puoi. Fai un colpo di telefono, e ordini due rose. (Con altro tono) Ho giù il conto, al negozio.

Marco                              - Dopo, papà. (Rudi riprende, con slancio)

Rudi                                - Beh, lo crederesti?... Io le respiro ancora. Tanfo, freddo, nebbia... Niente, niente. Quelle due rose - sono anni che non compro un fiore a tua madre - galleggiano sulla mia vita, la profumano di buono... (Tende l'orecchio, chiude gli occhi) Ecco. Il garzone del fioraio sale le scale... Sbatte sul terzo gradino, ma si riprende... Non suona perché ho la­sciato aperto io... Entra... (Nel cerchio di luce che sottolinea il ricordo, alle spalle del padre, appare una ragazza bionda. Chiede con grazia)

Ragazza                           - Scusi, signore. Sono per lei, queste ro­se? (Lentamente, Rudi riapre gli occhi, fissando im­mobile la platea. Lo si direbbe trafitto da un richia­mo celeste. Dalla immaginaria casa di fronte, il bal­labile continua. Rudi si volta adagio. La ragazza leg­ge l'indirizzo sul cartellino del fioraio) "Casa Lauri­no"(Rudi non risponde. Le si avvicina, incantato, e comincia a girare intorno. Poi si avvicina al figlio che per tutta la scena rimarrà nella zona d'ombra ed esclama con comica gravità, indicando la ragazza)

Rudi                                - Hai capito?... Cosi! (Si scuote di colpo e si precipita, agitato e confuso, a toglierle i fiori di mano) Dia dia dia... Non si stanchi.

Ragazza                           - Per due rose?

Rudi                                - Due di qua, due di là... Sommando le cor­se di una giornata... (La invita a sedere) Prego.

Ragazza                           - Ma io non sono stanca! E non sono neppure il garzone del fioraio. Il garzone è malato, il proprietario è mio amico, e cosi mi sono offerta... Passavo per caso.

Rudi                                - (fissandola) Per caso. (Di scatto, aggressi­vo) Io mi chiamo Rudi.

Ragazza                           - (un po' sorpresa) Ah.

Rudi                                - E lei?

Ragazza                           - Io?... Devo andare. È tardi. (Si avvia. Rudi le sbarra il passo)

Rudi                                - Aspetti! Non ho pagato.

Ragazza                           - Non deve pagare a me.

Rudi                                - Non posso darle la mancia.

Ragazza                           - Non gliela chiedo. (Rudi grida, dispe­rato)

Rudi                                - Non so il suo nome!

Ragazza                           - Il mio nome?... Mi chiamo Stella. Per­ché?

Rudi                                - Perché volevo dirle... Stella... (Si guarda intorno, perduto, non sa cosa trovare. Finalmente esclama, trionfante) Stella, se lei siede vicino alla finestra, può vedere i figli dell'architetto. Ricevono delle amiche, ballano... Le piace ballare? (Finalmente la ragazza ha un sorriso divertito)

Stella                               - Si. E a lei?

Rudi                                - Sono stato un campione, ai miei tempi. (Dal fondo della scena, Marco esclama)

Marco                              - Non è vero! (Rudi si volta di scatto)

Rudi                                - Come non è vero?

Marco                              - Non è vero, non è vero. Ballavi malissimo. (Rudi gli si avvicina, stizzito. Hanno il tavolo in mezzo)

Rudi                                - Che ne sai, tu?

Marco                              - Lo ricordo, papà. Eri costretto a tirar fuori le tue ferite, per restare seduto... (Indica la nuca) La calotta d'argento!

Rudi                                - Le parlerò anche di quella, stai tranquillo!

Marco                              - Dicendo la verità?

Rudi                                - Certo! Precipitato in aereo durante un vo­lo sulle Alpi!

Marco                              - Ma quando, papà?! Non l'ha mai saputo nessuno!

Rudi                                - O insomma! È mia o tua, 'sta calotta?!

Marco                              - (indicando Stella) Oggi non si riesce più, con quei trucchi... Bisogna farle ridere!

Rudi                                - (gridando) Lo so benissimo! (S'interrom­pono: seduta nell'angolo illuminato dal proscenio, volta alla platea, Stella è scoppiata in una risata al­legra. Ride di cuore, asciugandosi le lacrime ai bordi degli occhi. Il padre esclama, vittorioso) La senti?... Imbecille.

Marco                              - (piano) Ride di te, papà.

Rudi                                - (amaro) Che importa. Io rido dopo. (E staccandosi dal figlio, torna vicino a Stella che conti­nua a ridere. Afferra passando uno sgabello, e siede accanto a lei, quasi ai suoi piedi. Lei lo guarda, si porta una mano alla bocca, e ride più forte. Com­piacente, ride anche lui. È come un dialogo muto, fatto solo di risate. Ora ridono tutti e due a piena gola, mentre Rudi, senza smettere, si volta verso Marco facendogli un gesto, compiaciuto e un po' scocciato nello stesso tempo, come dicesse "Hai vi­sto?... Qui non la finiamo più". Invece, a poco a po­co le due risate si spengono. Rudi dice all'improvvi­so) Mia moglie è malata.

Stella                               - (trasalendo) Oh! È in casa?

Rudi                                - Si, ma non può venire di qua. Male al gi­nocchio.

Stella                               - Grave?

Rudi                                - Quanto basta. Mi parli di lei.

Stella                               - Vuol bene, a sua moglie?

 Rudi                               - Son cosi solo.

Stella                               - Non ha figli?

Rudi                                - Uno. Vive a Roma.

Stella                               - Che tipo è?

Rudi                                - Oh... Un mascalzone. (Si volta) Scusa, Marco...

Marco                              - Ti pare, papà.

Rudi                                - Ma è per creare un po' di...

Marco                              - Capisco benissimo. (Rudi torna a voltar­si verso Stella)

Stella                               - Non è bello parlare cosi di suo figlio.

Rudi                                - Crede che non mi piacerebbe parlarne di­versamente? Era cosi caraccio, da piccolo. Poi ha cominciato a disprezzarmi, a ridere...

Stella                               - Perché?

Rudi                                - I figli. Si fanno un'idea del padre, e gli serbano rancore se non le rassomiglia.

Stella                               - Ma dovrebbe esser fiero, di lei, con tutte le cose che ha fatto! Sportivo, audace... (Gentile, in­dicando la nuca) Le fa male, la testa?

Rudi                                - La testa, il cuore, le gambe... Mi fa male tutto. Mi fa male di vivere.

Stella                               - Oh! Come può dire cosi?

Rudi                                - Sa che ho tentato di uccidermi?

Stella                               - Lei! In che modo?

Rudi                                - (spiegando) Quand'ero ragazzo, amavo molto Lord Byron... (Stella non dà segni di conoscer­lo) Byron! Il poeta! (Idem. Rudi passa oltre, impa­ziente) Beh insomma, un tale... Che usava, benché zoppo, andare a nuoto da San Marco fino al Lido. E io facevo altrettanto, ogni mattina... (Si volta a prevenire il figlio, lamentoso) Lo so, lo so!... Lascia­mi dire.

Marco                              - Non apro bocca, papà.

Rudi                                - (a Stella, riprendendo) Ora è passato del tempo, naturalmente, e ho smesso. Ma l'altro giorno pioveva. Sono tornato fin là, e mi son detto "Se mi buttassi in acqua?... Cosi come sono           - vecchio, ama­ro... Vestito."

Stella                               - (ansiosa) E... s'è buttato?

Rudi                                - No.

Stella                               - Ha fatto bene. (Si alza) Alle volte penso anch'io che tutto sia finito, che non valga più la pe­na di vivere...

Rudi                                - Alla sua età!

Stella                               - Oh, son vecchia, sa? Ho 21 anni.

Rudi                                - Bambina mia.

Stella                               - ... E invece no. La vita è bella, se la pren­diamo dalla parte giusta.

Rudi                                - Bisognerebbe credere in qualcosa.

Stella                               - Ma io sono cattolica! Porto la croce.,

Rudi                                - (sorpreso) La croce?

Stella                               - Vuol vederla? (Rudi gira attorno lo sguardo, cercando)

Rudi                                - Prego... (Stella si slaccia tranquillamente l'abito accollato, e se lo apre sul petto, dove brilla una croce)

Stella                               - È d'oro. (Rudi alza appena una mano)

Rudi                                - Posso?

Stella                               - Prego,      - (con dita leggere, esitanti, treman­ti, Rudi solleva la croce, facendo scorrere lieve la catenella. Sospira)

Rudi                                - Eh... La Fede! (Lascia ricadere la croce, ed esclama con tutt'altro tono) Vuol bere qualcosa?

Stella                               - Io? Per carità... Debbo andare. (Si rial­laccia in fretta l'abito. Tutta la scena diventa conci­tata, convulsa)

Rudi                                - Come! Adesso?

Stella                               - Non ci conosciamo nemmeno...

Rudi                                - Appunto! Diamoci il tempo!

Stella                               - Oh, con quei modi... Non mi fido.

Rudi                                - Stella!

Stella                               - Mi lasci... (Marco ride)

Marco                              - Visto? Hai corso troppo.

Rudi                                - Se non le dicevo niente se n'andava lo stesso! Come si fa?... (Alla ragazza, affannoso) La prego! Aspetti ancora un minuto! Non sparisca cosi... Lei è tanto giovane... Giovane, giovane... Debbo ri­vederla!

Stella                               - Ma io sono fidanzata!

Rudi                                - E io sono sposato! Vede bene che siamo fatti l'uno per l'altra.

Stella                               - Non è vero. Lei appartiene a un altro mondo.

Rudi                                - (disperato) Vuol dire a un'altra età?...

Stella                               - No, no... A un altro mondo. È, un signore.

Rudi                                - (gridando) No! Son povero! Ho fame!

Stella                               - Ha fame?

Rudi                                - Stella!... Mi dica che la rivedrò. Sul pon­te, davanti al fioraio?

Stella                               - Come osa?!... Li mi conoscono tutti... Più in là, se mai.

Rudi                                - In piazza! Alle quattro?

Stella                               - No, non ci pensi!... Mi lasci andare!... Alle quattro?

Rudi                                - Alle cinque, alle sei, di giorno, di notte-Quando vuole!

Stella                               - (avviandosi) Non è possibile, mi creda! Non è possibile!

Rudi                                - Stella! (Stella si volta)

Stella                               - Si?

Rudi                                - I fiori. Sono per lei. (Prende le rose dal tavolo e gliele porge. Lentamente, Stella allunga le mani, stringe il mazzo a sé. Luce e musica si stanno spegnendo)

Stella                               - Grazie... A domani.

Rudi                                - A domani. (Scompaiono nel buio. Si accen­de fulminea la luce oltre il muro di fondo, ed esplo­dono fragorosi, trionfali, coro e musica rapiti in un unico "alleluja". Dissolvono, e tutta la scena s'illu­mina di nuovo. La ragazza è scomparsa, ma Rudi è rimasto immobile, come inseguisse con la memoria l'immagine perduta)

Marco                              - Papà. (Il vecchio si riscuote, infastidito)

Rudi                                - Oh, tu e i tuoi "papà"!... Sembri un clac­son. Lo so, lo so. È finita.

Marco                              - Fossi stato più cauto...

Rudi                                - Sarei scappato! Magari a Roma, eh?... No caro, no. Io butto il mio cuore oltre l'ostacolo, sem­pre!... Son le gambe, che fan fatica a seguire.

Marco                              - (divertito) E la ragazza?

Rudi                                - (esausto) Oh, quella è un camoscio!... Mi telefona, mi spia, mi rincorre. Sa dove sono, dove vado, con chi, quando...

Marco                              - (concludendo) Ti ama!

Rudi                                - (vanitoso) Beh insomma... Piange. (Marco prende un tono da dottore in visita)

Marco                              - Spesso?    - (Rudi riflette, preoccupato)

Rudi                                - Meno, da qualche tempo.

Marco                              - (severo) Come mai?

Rudi                                - Le donne!... Ho buttato all'aria il suo matrimonio, d'accordo. Ma lei non perde occasione, per ricordarmelo!

Marco                              - Che sfacciata.

Rudi                                - (incoraggiato dalla complicità del figlio) Dice che toccava a me, evitarle il peggio...

Marco                              - Pure.

Rudi                                - Che sono io, il più vecchio, e avrei dovuto guidarla...

Marco                              - Non ti merita, papà!

Rudi                                - Dici?

Marco                              - Ti ha ingannato!

Rudi                                - (commosso) Ah, Marco... Dovrei vederti più spesso!

Marco                              - Papà! (Si abbracciano. Ma cosi facendo, il padre getta involontariamente un'occhiata fuori dalla finestra, sulla piazzetta. Subito sussurra a Mar­co con aria misteriosa, agitato)

Rudi                                - Non voltarti.

Marco                              - Come?

Rudi                                - Non voltarti, non voltarti. (Si stacca dal figlio, e muove verso l'altra estremità della stanza. Gira appena la testa) Guarda fuori. (Marco obbe­disce)

Marco                              - È lei?

Rudi                                - Si.

Marco                              - Ti sta aspettando.

Rudi                                - Che ti dicevo?

Marco                              - (allegro) Meglio, no?... Cosi le parli, e chiudi. (Rudi impallidisce)

Rudi                                - Come, chiudo?

Marco                              - Vuoi che la mamma torni a casa, si o no?

Rudi                                - Certo...

Marco                              - O preferisci finirla cosi, a fuoco lento?

Rudi                                - Ah, adesso capisco perché m'incoraggiavi a parlar male di Stella! Volevi prepararmi.

Marco                              - Un taglio netto, papà. Una piaga pulita.

Rudi                                - Sul corpo mio!

Marco                              - Anche sul suo, stai tranquillo.

Rudi                                - E tu?

Marco                              - Che c'entro io?

Rudi                                - Ah, lo so. Tu non c'entri. Sei allegro. Ti diverti. (Scattando) Se venissi io, a Roma, a farti le piaghe pulite?!

Marco                              - (piano) Avresti dovuto, papà. Ma quando ero ragazzo. (Sorride, vivace) Da bravo, su... Chiamala. (Rudi è preso dal panico)

Rudi                                - Adesso?!

Marco                              - Certo.

Rudi                                - Ma è pazzesco!... Io... Io non ho il coraggio di affrontarla cosi!...

Marco                              - Lo so, ci penso io. Tu aspetterai fuori. (Lo spinge verso l'uscita)

Rudi                                - (resistendo) Domani...

Marco                              - Domani parto.

Rudi                                - E tua madre?

Marco                              - Sa già tutto!... Poi la suora ci avverte, non temere. (Si stacca dal padre, va alla finestra e chiama) Signorina!... Si, lei. Mi scusi. Un minuto. (Dalla soglia, Rudi si volta ancora)

Rudi                                - Marco.

Marco                              - Si?

Rudi                                - (timidamente) Parlale bene, di me. Dille che se faccio soffrire non è per cattiveria. Ma perché sono debole.

Marco                              - D'accordo.

Rudi                                - (con slancio) Dille che è bella, fresca!

Marco                              - Si.

Rudi                                - E che le manderò due fiori, appena posso.

Marco                              - Questa volta avrebbe l'aria di un funera­le, papà.

Rudi                                - Hai ragione... Niente fiori.

Marco                              - Niente fiori. (Rudi esce. Giunge dal caffè sulla piazza la musica di un'orchestrina. Marco apre la porta del convento, dà un'occhiata, richiude con cura, poi si affretta verso l'ingresso, allungando lo sguardo fuori scena, ed esclamando ad alta voce, con un sorriso) Avanti, signorina. (Stella entra. Porta un abito diverso da quello che indossava nella scena evocata dal padre. Marco le indica la panca, cordia­le) Non abbia paura. Noi non ci siamo mai visti, ma ci conosciamo già. Sono Marco Laurino. (La ragazza lo guarda, poi siede sul bordo della panca, dicendo educata)

Stella                               - Stella Varon.

Marco                              - Varon? Di Padova?

Stella                               - Treviso.

Marco                              - Io conoscevo un Amilcare Varon.

Stella                               - Figlio di Benedetto.

Marco                              - Il dentista. Parenti?

Stella                               - Lontani.

Marco                              - Come sta?

Stella                               - È morto.

Marco                              - E gli altri?

Stella                               - Bene, credo.

Marco                              - Mi rallegro. (Riprende il tono ufficiale, amabile) Signorina, se ho chiesto di vederla qui, non è per gusto sacrilego. Fuori c'è mio padre, di là mia madre, e, li dietro, Dio. Ho bisogno in un certo sen­so di tutta la famiglia, per essere alla sua altezza. (Sorride. Stella lo fissa immobile, e non apre bocca. Lui riprende, lirico) Lei è come l'uccellino che il guar­dacaccia raccoglie sull'erba in un mattino invernale. Lo stringe nella sua grossa mano per riscaldarlo, fors'anche con tenerezza, - quel tanto di tenerezza-che hanno... i guardacaccia           - ma in realtà è lui, a riceverne calore. A meno che un goffo impulso non lo induca a soffocare        - bestia! bestia! ciò che dovrebbe proteggere. (La guarda. Lei tace) Sia­mo stupidi, vili, egoisti. Mio padre come gli altri, e io quanto mio padre... No, non protesti! (Con altro tono) E poi lei non protesta, vedo. (Stella non batte ciglio. Marco riattacca, sempre più malsicuro) Signorina... Mio padre... E il guardacaccia... (Scat­tando) O insomma! Dica qualcosa! Non sente le be­stialità che mi escono dalla bocca?

Stella                               - A me sembrano bellissime. (Marco sor­ride, un po' ironico, un po' compiaciuto)

Marco                              - Davvero? Cosa... Le è piaciuto di più?

Stella                               - L'odore di bosco. Mentre parlava senti­vo proprio... Un odore di bosco.

Marco                              - Povero Cappuccetto, cui non basta un lupo.

Stella                               - Oh, non creda, So vivere.

Marco                              - (con affettuosa ironia) Certo, ha 21 anni... Me ne ha parlato, mio padre.

Stella                               - Anche di lei mi ha parlato. Abita a Roma.

Marco                              - Si.

Stella                               - Dove?

Marco                              - A San Filippo.

Stella                               - Sul Gianicolo!

Marco                              - L'Aventino.

Stella                               - Davanti alla fontana!

Marco                              - Più in su.

Stellla                              - Ai Cavalieri di Malta?

Marco                              - Brava.

Stella                               - (sospirando) Io non sono mai stata, a Roma. (Fortunatamente spiega, dopo una pausa) Pe­rò leggo le Guide. (Un silenzio) Quelle azzurre, sa. (Un silenzio) Signor Laurino...

Marco                              - Marco. (Stella ringrazia con un triste sor­riso. Abbassa gli occhi)

Stella                               - Volevo dirle... È finita, tra me e suo pa­dre?

Marco                              - Si.

Stella                               - Dovrei piangere.

Marco                              - Non è necessario. Le basti pensare che noi non nutriamo un solo affetto per volta. Ma due, tre, quattro... Mascherati d'odio, o viceversa. Non è semplice.

Stella                               - No.

Marco                              - Anche mia madre pesa, su questa storia. Un'ombra bianca... Che contro le leggi della prospet­tiva, ingigantisce allontanandosi. Ora è enorme.

Stella                               - S'io fossi stata Rudi, avrei voluto bene a mia moglie.

Marco                              - Anche lui, avrebbe "voluto"... (Con altro tono) Allora, Stella? Chiudiamo? C'è altro, da dire?

Stella                               - No. (Riflette) Il bambino.

Marco                              - Che bambino?

Stella                               - (candida) Il mio. Quello che aspetto. (Un silenzio. Marco la guarda inebetito. Poi volta la te­sta... Ma già, preceduto dallo scricchiolio delle scar­pe troppo lucide, è riapparso Rudi. Preciso, tranquil­lo, al momento suo, come la statuetta di un orologio a carillon. Fa due o tre passi, e si ferma all'altra estremità della scena. Ha l'aria più assente che col­pevole. Lo sguardo vago, le mani allacciate dietro la schiena, sembra un cameriere in attesa di ordini, o un soldato in visita. Marco gli si avvicina a gran passi, gli si ferma davanti. Rudi gli lancia una bre­vissima occhiata, poi gira la testa verso la platea, raschiandosi la gola come fanno i cani)

Marco                              - (furibondo) Ah beh, insomma!... è enor­me, ecco!... Alla tua età!... Ma non ti vergogni?!

Rudi                                - Si. (Marco indica la porta del convento)

Marco                              - E gliel'hai pure detto, alla mamma!

Rudi                                - Si.

Marco                              - (incalzante) A che scopo? Per cattiveria, per vigliaccheria?!

Rudi                                - Mi sentivo solo.

Marco                              - Adesso, lo sarai!... Altro che fegato, reni, ginocchia... Muore di te!

Rudi                                - Forse anche tu c'entri un pochino.

Marco                              - Io non faccio figli! (Ai due) Ne siete cer­ti, almeno?

Rudi                                - Si.

Marco                              - (indicando Stella) L'ha vista, un dottore?

Rudi                                - Qualche giorno fa. (Si sporge un po' in avanti per chiedere a Stella, da lontano) No?

 Stella                              - Si.

Rudi                                - Come stai, oggi?

Stella                               - Bene.

Rudi                                - Fa caldo, eh?

Stella                               - È umido.

Marco                              - Se vi sembra il momento, di scambiarvi i bollettini! (A Stella) Anche lei non m'incanta, sa!... La scusa del fioraio, e intanto ci si introduce nelle case dei vecchi... (Guarda Rudi) O dei bambini... Dio sa cos'è.

Rudi                                - (nobile) Tuo padre.

Marco                              - Eh!... (Scattando, a Stella) La faccia to­sta, poi, di seguirlo fin qua!

Stella                               - Ma io non l'ho seguito!

Marco                              - Ah no, eh? Le è parso normale, trovare mio padre in un convento di monache.

Stella                               - Credevo fosse lui a seguire me!... Lo fa sempre. (Marco si volta di scatto verso il padre. Ru­di fa per aprire bocca, ma il figlio lo previene)

Marco                              - Dopo. (A Stella, indicando la piazzetta) Mi spieghi allora cosa faceva seduta a quel Caffè! (Stella esita, imbarazzata)

Stella                               - Aspettavo... Il mio fidanzato.

Marco                              - Un altro! (A Rudi) Siete in tre.

Stella                               - (confusa) Nooo!... Oh Dio... £ sempre quello di prima!... Stavamo già per sposarci, quando incontrai Rudi.

Marco                              - Che scusa gli ha dato?

Stella                               - Nessuna... È povero.

Marco                              - (indicando Rudi) Oh sa. Nel cambio...

Stella                               - Ma lui non vuol rassegnarsi! Dice che il danaro non conta, quando si ama.

Marco                              - Gli ha mai parlato di mio padre?

Stella                               - (virtuosa) Oh no!.,. Non starebbe bene.

Marco                              - Che brava ragazza.. (Batte una mano sulla spalla di Rudi) Sei salvo, vecchio mio! Hai una for­tuna... (Spiega) Stella incontra il fidanzato, lo sedu­ce di nuovo - ormai è pratica - e lo sposa. Cosi lei trova un marito, lui l'amore, il figlio un padre, e tu torni da mammà! (A Stella) Il danaro non conta, quando si ama.

Stella                               - (esterrefatta) Ma cosa dice, signor Mar­co?!... Sposarlo? Adesso?! (Punta il braccio verso la piazza, alludendo al fidanzato) Il figlio non è suo!

Marco                              - (severo) Pensi al Vangelo, signorina. Co­mincia eguale.

Stella                               - (sconvolta) Ma non è la stessa cosa!... Fra noi sarebbe ignobile!... Ingannare cosi... (In cer­ca d'aiuto) Rudi!

Rudi                                - Io non so, Stella... (Abbassa gli occhi) Ve­ramente non so... (Confuso) Perdonatemi. (Le volta le spalle, e si allontana verso il centro della stanza. Stella si guarda attorno, smarrita. Si ode nitida nel silenzio la musica che sale dalla piazza. Lentamente, Stella si avvicina alla finestra e guarda fuori)

Marco                              - (piano) È già arrivato?

Stella                               - Si.

Marco                              - Cosa fa?

Stella                               - L'impiegato.

Marco                              - Adesso, dico!

Stella                               - Ah... Niente. Ascolta la musica dell'orche­strina. Ora fa un cenno al cameriere.

Marco                              - Gli vorrà chiedere di lei.

Stella                               - Il cameriere non capisce... (Soffoca una mezza risatina) È d'un sordo!... (Si ritrae di scatto dalla finestra) Oh, Dio, guardano qua. Non voglio che mi trovi con voi!... (Indica il lato destro della scena) Si può uscire, da quella parte?

Marco                              - (sorridendo) A che scopo?

Stella                               - (con eccitazione infantile) Mi faccio ri­trovare al caffè. Do del bugiardo al cameriere. Se lui non mi crede, piango. E poi... (Si affloscia di col­po) E poi?... Cosa gli dico?... Le cose di prima?

Rudi                                - (amaro) Quelle che dicevi a me.

Stella                               - (candida) Non serve, sono le stesse... Che stupida! Che disastro!

Rudi                                - Stella...

Stella                               - Zitto tu. Sposato!

Rudi                                - Lo sapevi anche prima.

Stella                               - No, invece... L'ho saputo poco fa, quando ti ho visto di spalle. (Al figlio) Addio, signor Marco... Ci incontreremo ancora?

Marco                              - Si sposi, signorina. Poi si vedrà. (Stella esce da destra. Con slancio improvviso, Rudi si butta dietro di lei, ma il figlio lo acchiappa al volo)

Rudi                                - Lasciami.

Marco                              - Non essere ridicolo.

Rudi                                - Toglimi le mani di dosso. (Gridando) Esi­go il tuo rispetto! (Si guardano negli occhi e Rudi si corregge) Beh, insomma... Che tu sia gentile. (Sup­plice) Voglio solo guardarli, Marco!... Da lontano. (Marco lo lascia. Rudi ha un sorriso umile) Grazie. (E corre via. Con una punta di amara pietà, il figlio grida dietro)

Marco                              - Sii cauto, papà.... Non serve a niente, sof­frire! (Alle sue spalle, all'altra estremità della scena, appare un giovanotto. Chiede ansioso)

Giovane                           - Scusi. Non ha visto entrare, poco fa... (Marco si volta, e la frase muore sulla bocca dell'al­tro, i due si fissano in un lungo, meravigliato silen­zio. Poi, mentre il visitatore rimane immobile, Mar­co fa qualche passo verso il centro della stanza. Si ferma, e mormora piano)

Marco                              - Tommaso. (Anche Tommaso parla sotto­voce, guardandolo esterrefatto)

Tommaso                         - Cosa fai qui?

Marco                              - Aspetto mia madre. (Tommaso lancia un'occhiata sospettosa verso destra)

Tommaso                         - Parlavi con qualcuno.

Marco                              - Io?... Ah, si... Niente. Un padre... Che ho avuto da bambino. (Esplode, festoso) Tommaso!... Quanti anni sono che...

Tommaso                         - (gelido) Non abiti più a Venezia.

Marco                              - No. Te l'ho scritto!...

Tommaso                         - Come vivi?

Marco                              - Cosa immaginavi che sarei diventato, al­lora?

Tommaso                         - Prima della guerra, un fascista.

Marco                              - (allegro) Ecco!... Io lo sono stato dopo. Rende altrettanto. (Tommaso gli volta le spalle e va alla finestra. Marco ride) Scherzo!... Ho solo un pic­colo giro. E sono ancora l'amico che invidiava la tua modestia, i tuoi silenzi... Davvero, sai? Soffrivo di non assomigliarti. (Tommaso risponde senza voltar­si, piano)

Tommaso                         - Pagliaccio.

Marco                              - Te lo giuro!... Ah, tu mi serbi rancore, ecco la verità. Si, si, per questo non m'hai risposto!... Una storia vecchia, Tommaso. Due ragazzi. Fragili, esaltati... Era più che umano, da parte mia. (Entra suor Iginia con un paniere)

Suora                               - Marco. (Marco si volta) Ho avvisato tua madre, viene subito, Senti, queste sono arance di Sant'Orsola. Le ricordi, eh?... Bene. Portale a casa, ma non mangiarle tutte. Sono anche per Lidia. Ca­pito?

Marco                              - (commosso) Le arance di Sant'Orsola... Ne coltivate ancora. (Prende in mano un frutto e si volta sorridendo per mostrarlo all'amico. Ma Tomma­so è già uscito. Marco corre verso sinistra) Tomma­so... (Grida) Tommaso! (Con rabbia crescente) Imbe­cille. Guarda come fila!... Senza una parola.

Suora                               - Era Tommaso? (Marco si volta di scatto)

Marco                              - Si, si!... Quello "buono", come dice lei!

Suora                               - L'hai detto tu.

Marco                              - Bene, ho sbagliato! E con questo? Basta guardarlo! Grasso, bolso, opaco.. Ecco quel che resta, del suo Arcangelo!... Perde i capelli. E stupido, per di più! Si dà delle arie. Con me! (Urla, verso sini­stra) Io me ne frego, della tua amicizia! (Alla suora) Scusi l'espressione, sorella... Lo credevo morto, pen­si un po', e campavo benissimo! (Rifacendogli il ver­so) "Come vivi, come non vivi, pagliaccio, non pa­gliaccio"... (A sinistra, urlando) Vivo bene, se ti fa comodo! (Alla suora) Glielo dica, Suor Iginia, glielo dica, se lo rivede, che vivo bene... (La suora lo guar­da esterrefatta. Marco strappa nervosamente la buc­cia dell'arancia) Gesù! Eravamo come fratelli!... E coi soldi che mio padre aveva allora, potevo sceglier­mi di meglio, eh. Ma mi piaceva, 'sto ragazzo retto, pulito... (Si interrompe colpito da un'idea) Un mo­mento! (Corre alla finestra, tenendosi però di sbieco per non essere veduto. A poco a poco si mette a ri­dere, incantato) Le prende la mano. (Alla suora) Le prende la mano! (Torna a guardare) E dai! Corag­gio!... "No" "Si" "Oh Dio non ci credo" "Te lo giu­ro" "Stella" "Tommaso"... Stella piange... (Alla suora) Gliele raccomando, le ingenue! (Torna a guardare) E lui la bacia! (Alla suora) Sorella, la bacia!! (Si stac­ca dalla finestra, esplodendo di gioia) È fatta!... Si sposano a Pasqua! (Ride, guarda la suora) Mi cre­de matto, eh?... Un giorno torno qua, e le spiego tut­to in confessione. Già, lei non confessa... E allora mi creda sulla parola: E stata una buona giornata, suor Iginia! Per me, per mio padre, per mia madre... E per la santità del matrimonio! (Si ficca in bocca un pezzo d'arancia. Sulla porta appare Lidia. È ancora una bella donna, semplice e dolce. Marco vorrebbe esclamare "mamma!", ma ha la bocca piena e arri­va appena a un confuso mugolio. La donna corre ver­so il figlio, stringendolo a sé)

Lidia                                - Figliolo caro!... Come stai? Perché non mi hai avvisato? Bastavano due righe, un telegram­ma...

Marco                              - Dove, mammà? In sagrestia? (Lidia si finge scandalizzata)

Lidia                                - Marco!

Marco                              - (allegro) Oh, suor Iginia ne ha sentite di peggio, poco fa! (Alla suora) Mi perdona?

Suora                               - Non spetta a me. Io posso solo pregare.

Marco                              - Giusto. Ciascuno il suo mestiere.

Lidia                                - Insomma! (Alla suora) Non gli badi, eh. Sono chiacchiere.

Suora                               - (avviandosi) Io vi lascio soli.

Marco                              - Grazie per le arance, sorella!

Suora                               - (sorridendo) Oh... (Marco aggiunge serio, sottovoce)

Marco                              - E grazie per mia madre. (La suora lo fis­sa un attimo, poi esce. Marco si volta, festoso)

Marco e Lidia                  - Come stai? (Si fermano, ridendo)

Marco                              - Sei tu l'ammalata, non io!

Lidia                                - (un po' troppo innocente) Di che?

Marco                              - Me lo domando, mamma.

Lidia                                - Oh Marco, se credi a tutto quello che dice papà... Io sto benissimo. (Marco prende un tono leg­germente ironico, pur secondando il gioco di lei)

Marco                              - Davvero?

Lidia                                - In casa fa caldo, ci sono gli operai del te­lefono...

Marco                              - Quel telefono!

Lidia                                - Non funziona mai.

Marco                              - O funziona troppo.

Lidia                                - (sorpresa) Come?

Marco                              - Vai avanti.

Lidia                                - Tu stai a Roma, e mi sono detta "Se Mar­co avesse intenzione di tornare, ci avvertirebbe"... Co­si ho fatto la valigetta, e son venuta qua.

Marco                              - In cerca d'allegria.

Lidia                                - Beh... Di fresco. E di silenzio.

Marco                              - (indicando il muro di fondo) L'ho senti­to. Cantano a squarciagola.

Lidia                                - Solo al mattino!

Marco                              - Mentre alla sera si ride. Chi sa che pepe, le barzellette delle monache.

Lidia                                - (cercando di essere divertente) Eeeh... Più di quel che credi.

Marco                              - E non hai paura?

Lidia                                - Di cosa?

Marco                              - Dell'Inferno. Chi dice bugie...

Lidia                                - Ma io ti... (Si ferma. Pensa di buttarla sul ridere) Beh, non ho paura!

Marco                              - (la incalza, ridacchiando) Allora non ci credi?

Lidia                                - Marco!...

Marco                              - Non ci credi, mammà!... Sii onesta... (Li­dia si porta la mano alla bocca, ridacchiando)

Lidia                                - Cosi... (Marco ride, minacciandola

Marco                              - Se ti sente suor Iginia! (Lidia ride, presa dal gioco)

Lidia                                - Non ci crede neanche lei...

Marco                              - All'Inferno?...

Lidia                                - No...

Marco                              - Huuh!... E la Superiora?...

Lidia                                - Quella si... Per forza... È cattiva...

Marco                              - E cattiva!... La Sup... Ah! Ah! (Ridono come matti, piegandosi in due. Ma all'improvviso Marco stringe al petto la testa della madre, ed escla­ma disperato) Oh, mammà!... Perché passa, il tempo? Perché invecchi? (La donna si libera. I due si guar­dano negli occhi)

Lidia                                - Ma io... Che hai, tesoro?... Che ti succede?... (Marco si allontana di qualche passo, poi si volta, iroso)

Marco                              - Perché racconti queste frottole miserabi­li? Chi credi d'ingannare?

Lidia                                - Non mi piace il tono, Marco.

Marco                              - Lascia perdere il tono! Veniamo al cuore.

Lidia                                - Il tuo? Il mio?

Marco                              - Il tuo! il tuo!... Mamma, anch'io sono cre­sciuto. Ho scambiato gli anni con papà, e con te il peso. Io ingrosso, e tu... Sfumi. Fa' che ti senta, nel­la mano. Dimmi la verità. (Lidia lo guarda, poi escla­ma con decisione)

Lidia                                - Tu sei malato.

Marco                              - Come?

Lidia                                - (alzandosi) Sei malato, non ci sono dubbi. Adesso telefono al dottor Lupi, e tu mi fai il santo piacere di vederlo immediatamente.

Marco                              - (sospirando) Oh Dio

Lidia                                - Hai fatto le iniezioni che t'ho spedito?

Marco                              - (scattando) No!

Lidia                                - (in tono di rimprovero) E dormi con le fi­nestre aperte.

Marco                              - Sempre!

Lidia                                - In pigiama.

Marco                              - Nudo! Quando son solo.

Lidia                                - Non ti ho chiesto particolari.

Marco                              - (ironico) Chiedili!... Sono piccolo, vizio­so, inerme. Devi essere al corrente, per proteggermi.

Lidia                                - Oh, per questo... Sai nasconder bene. (Mar­co si abbuia, ostile)

Marco                              - Che cosa? (Lidia gli mette una mano sul­la fronte)

Lidia                                - Tu scotti. (Marco si libera con uno strat­tone)

Marco                              - Che cosa nascondo?

Lidia                                - Basta Marco!... Sono stanca. (Si allontana di qualche passo, poi si volta, conciliante) Se fossi malata avrei scelto una clinica, no?

Marco                              - Oh, nella tua farmacia anche il Buon Dio ha uno scaffale!... (Son un sorriso) Scusami. (La fis­sa) Stai bene davvero?

Lidia                                - E tu?

Marco                              - Mamma...

Lidia                                - Sì si si si!... (Con forza) Sto bene. (Marco esclama piano, con un sorriso amaro)

Marco                              - Averlo saputo prima... Non li avrei fatti sposare.

Lidia                                - Chi?

Marco                              - (allegro, riprendendosi) Una storia lun­ga, mammà!... Te la spiego un'altra volta. Vuoi un'a­rancia? (Lidia lo scruta, serissima)

Lidia                                - Dov'è tuo padre?

Marco                              - Adesso arriva. Sta' buona.

Lidia                                - Suor Iginia m'ha detto ch'era qui anche lui.

Marco                              - "Era". Te la sbuccio io?

Lidia                                - Come l'hai trovato?

Marco                              - Papà?... In casa. Nascendo.

Lidia                                - Marco...

Marco                              - O insomma! Perché ci pensi tanto?

Lidia                                - Io? (Con una strana risatina) Io penso che il periodo più felice fu quando tu... (Si confonde) No, non eri tu... Non ricordo più s'era Pasqua, o Na­tale. (Marco smette lentamente di sbucciare l'aran­cia, e la guarda. Lidia riprende monotona, come re­citasse una litania in una stanza vuota) Ad ogni mo­do si viveva in Austria... Perché in Austria c'è un al­tro clima, un'altra aria... Tutto è più fresco, là. (Mar­co le si avvicina, sgomento)

 

Marco                              - Mamma? Cosa dici?... Non hai mai vissu­to, in Austria.

Lidia                                - (arrossendo) Che stupida... Pensavo a mia sorella... Tu ricordi, la zia?

Marco                              - Beh?

Lidia                                - Era una brava donna... Simpatica.

Marco                              - Si, ma... Che c'entra?

Lidia                                - (nervosa) Non c'entra nulla!... Si parla co­si... Del più, del meno... (Un silenzio. Poi Marco but­ta via l'arancia, si avvicina alle spalle della madre, e l'abbraccia quasi selvaggiamente, stringendole le ma­ni nelle sue e baciandole i capelli)

Marco                              - (piano) Torna a casa, mamma.

Lidia                                - (facendo l'allegra) Certo che torno. Dove vuoi che vada?

Marco                              - E non serbargli rancore.

Lidia                                - Io? A chi? (Senza scioglierla dall'abbrac­cio, Marco le parla all'orecchio, sforzandosi di esse­re calmo, persuasivo)

Marco                              - Eh no, furbacchiona... Ormai sappiamo benissimo di cosa stiamo parlando. Ti sei tradita.

Lidia                                - (sorridendo) Ho perso un po' la testa, eh?... Cosa ho detto dell'Austria?

Marco                              - Che ricordavi d'averci abitato con papà.

Lidia                                - (vergognosa) O Gesù!

Marco                              - "0 Gesù!"... Lo dici come lui. Lo dico anch'io qualche volta.

Lidia                                - Ce lo saremo passati in famiglia.

Marco                              - Già. La nostra Comunione... (Staccando­la da sé) Su, mamma. Vai a far la valigia.

Lidia                                - (inquieta) Subito?

Marco                              - E che aspetti?

Lidia                                - Quando riparti, tu?

Marco                              - Domani sera, ma io non c'entro. (Piano, sillabando) È papà, che ha lasciato quella ragazza. (Lidia distoglie lo sguardo) Non mi credi? Ti do la prova: Stella si sposa, mamma. E non con un uomo di paglia, eh. Uno che non sa nulla, né di Rudi né del bambino. (Pallida, quasi spaventata, Lidia si vol­ta di scatto verso Marco che continua a sorridere, ma sempre meno sicuro) Beh?... Non ti va? È un'ot­tima soluzione. (Lidia lo fissa, sgomenta)

Lidia                                - L'hai suggerita tu.

Marco                              - Io... Tutti... (Scatta, irritato) Oh Dio! Co­sa c'è, adesso? Cosa vorresti?

Lidia                                - (c. s.) Vorrei conoscerti bene.

Marco                              - Lo sapevo!... (Rabbioso) Prima tutta fra le nuvole, e adesso eccola qua, pronta a scavarmi nel cuore come un cane nella sabbia... attenta, mammà! È salato.

Lidia                                - Cosa fai, a Roma?

Marco                              - Ci siamo. (Gridando) Quel che mi pare!

Lidia                                - Non urlare, ti prego. Ho mal di testa.

Marco                              - Storie, sembri un fiore!... Non lavoro, mammà. Presento della gente a dell'altra, telefono, raccomando... Vado al mio piccolo trotto di corrut­tore, come tutti.

Lidia                                - Non tutti!

Marco                              - Io si.

Lidia                                - (disperata) Neanche tu! C'era un tempo...

Marco                              - , Un tempo, mammà! Un tempo!

Lidia                                - ... Vedo ancora tuo padre accanto all'au­tomobile...

Marco                              - E dalli!

Lidia                                - ... Noi due a passeggio fra gli alberi... Ri­cordo anche una voce, dal grammofono!

Marco                              - (esasperato) La Patti!

Lidia                                - ... Poi ti ho preso la testa fra le mani, e guardandoti negli occhi ho visto un'acqua... Cosi lim­pida.

Marco                              - E sai cosa pensavo io, in quel momento? "Dio, se la smettesse di frugarmi dentro!"

Lidia                                - (incredula) Avevi otto anni, Marco.

Marco                              - (urlando) Lo so! (Un silenzio. Marco cer­ca di dominarsi. Allunga la mano con dolcezza) An­diamo, su. Quel ch'è stato è stato, non serve ripen­sarci... Ma ti giuro che troverò un'altra soluzione, per Stella. Va bene? Chiara, onesta... Vedrai. Non siamo cosi neri. (Lidia si volta all'improvviso contro il muro per nascondere un accesso soffocato di pianto. Marco rimane un attimo sorpreso, poi le accorre vicino) Mamma... Oh Dio, ma è esasperante.'... Per chi piangi, adesso?... Per me? Per lui? Per il mondo?... (Lidia si libera dal braccio di Marco) Dove vai?... (La donna scompare oltre la porta, mentre Marco le gri­da dietro) Ti aspetto, eh?... Mamma!... Ti aspetto qua!... (Torna indietro, esausto) Chi me l'ha fatto fare!... Ma è l'ultima volta, eh. Lo giuro. Io, a Vene­zia... Nicht mehr! Mica è detto che le famiglie deb­bano stare unite. Possono star benissimo divìse. Pos­sono anche smettere d'esistere. Possono scomparire, per quel che mi riguarda!... (Si china e raccogliere l'arancia caduta) Papà somiglia a un frigorifero che avevo a Roma. S'era messo a scaldare come una stufa, in pieno Agosto... Davvero. "Onora il padre e la madre"... E il figlio? Chi l'onora, il figlio? (Siede sulla panca, volta alla platea, i gomiti e la schiena ap­poggiati al tavolo dietro di lui) ...Nessuno - dice lei - perché non ha più quell'aria limpida... (Butta in aria l'arancia, sospirando) Lei vede il mondo co­si... Tutto in bianco. (La luce è andata a poco a poco attenuandosi. Ora è illuminata solo la faccia di Mar­co, rovesciata un po' all'indietro. E al di là del mu­ro, nella profondità massima del palcoscenico, è ap­parso un quadretto da "Dejeuner sur l'herbe": un lembo di prato, un vecchio grammofono che suona, un'automobile ferma. Appoggiato all'automobile, in maniche di camicia, fumando, sta seduto sull'erba Rudi. Un Rudi giovanile di molti anni fa. Ma è cosi lontano. Ora appaiono, ballando, Lidia con un gran cappello estivo, e un ragazzino. Lidia s'interrompe, si china sul piccolo, e gli prende la testa fra le mani. Ma invece del bambino, è il Marco di oggi che ri­sponde, senza voltarsi, alle domande di lei)

Lidia                                - Marco,

Marco                              - Si, mamma.

Lidia                                - Guardami negli occhi. (7/ piccolo ubbidi­sce. La donna lo stringe a sé, con slancio) Oh! Come vorrei che tu non cambiassi!... Non importano i quat­trini, ricordalo. Neanche l'amore... Importa essere un uomo.

Marco                              - Si.

Lidia                                - Non puoi capirlo, adesso. Ma promettilo egualmente alla mamma.

Marco                              - Prometto.

Lidia                                - Perché le vuoi bene.

Marco                              - Si mamma. (Rudi si sporge in avanti, e dà scherzosamente una sculacciata al piccolo. La ma­dre, per proteggerlo, lo solleva in alto, girando su se stessa. Il padre li insegue, il piccolo ride, la mamma anche. Si allontanano quasi ballando fino a scompa­rire nel buio. Restano la musica, e un ultimo raggio sul volto rovesciato di Marco. Poi si spegne anche quello)

ATTO SECONDO

Interno piccolo borghese, dove si respirano una po­vertà dignitosa, e l'odore dell'acqua stagnante nei canali. Un'arcata che conduce nell'ingresso. Una por­ta. Al muro, il ritratto di un ufficiale sui 40 anni, in uniforme.

La musica di un grammofono. A lunghi, lenti pas­si ritmati dalla musica, Stella avanza verso uno spec­chio appeso alla parete. In capo, stretto da una co-roncina appassita, ha un gran velo nuziale. Ne regge i lembi con le braccia aperte, in modo da tenderlo in tutta la sua larghezza. S'interrompe un attimo volgendosi verso la porta, eh'è socchiusa.

Stella                               - Sono qua, mamma!... Come? Sto metten­do in ordine la stanza. (Ride) Che idee! Perché do­vrei frugare nell'armadio?... Io non tocco mai nien­te senza il tuo permesso, lo sai. Si, mamma. Stai tranquilla. (Va all'armadio, e comincia a farne volar via, estraendoli alla rinfusa, una quantità di vecchi indumenti femminili. Se ne adorna a casaccio) Come? È la musica del grammofono, mamma! Che c'entra il Generale? Ah. Allora digli che piace a me e basta. (Grida sorridendo) Senza offesa, Generale! (Alla madre) Ma no, tesoro, sento benissimo il cam­panello. E poi ho lasciato aperto io. Per gli odori. (Più forte) Gli o-do-ri! Si, mamma. Anche sotto i mo­bili. Tutto pulito. (Ora ha il velo in capo, un boa at­torno al collo, e nella destra un vecchio parasole di seta bianca che apre davanti allo specchio. Dietro di lei, sotto l'arcata, appaiono Marco e Rudi. Stella si volta di scatto, soffocando un grido. La voce del grammofono riempie il silenzio)

Marco                              - (sorridendo) Buongiorno.

Stella                               - Cosa fate qua?

Marco                              - Posso entrare? Ho suonato a lungo, ma non vedevo nessuno...

Stella                               - Oh, Dio! (Si strappa di dosso velo e boa, spegne il grammofono, corre alla porta e la chiude. Si volta tutta agitata, confusa, cercando di parlare a bassa voce) Come v'è saltato in testa, signor Marco?... C'è mia madre, di là!

Marco                              - (cordiale) Spero di conoscerla.

Stella                               - (con un grido, precipitosa) No!... Adesso no. È occupata. Sta giocando a palla.

Marco                              - Prego?

Stella                               - I figli dei vicini, sa... Quando i genitori...

Marco                              - (ridendo) Non sia cosi nervosa, Stella. Le assicuro che non c'è motivo. Anzi!... (Si guarda at­torno) Simpatica, la sua casa.

Rudi                                - Trovi? (Marco si volta di scatto) Va be­ne!... Taccio.

Marco                              - (indicando il ritratto) Suo padre?

Stella                               - (nervosa) Si.

Marco                              - Colonnello, vedo. Bell'uomo. Robusto.

Stella                               - è morto.

Marco                              - Oh. (A Rudi) Potevi anche dirmelo!

Rudi                                - Io taccio.

Stella                               - Ero cosi piccola, sa.

Marco                              - Non lo rimpiange?

Stella                               - Qualche volta. Con tutte le sconfitte che ha subito, povero papà, oggi poteva essere Generale-Guardi i suoi colleghi. Ma lui si buttava sempre in prima linea...

Rudi                                - (maligno) Che era poi l'ultima...

Stella                               - (candida) Si, insomma, quella più vici­na al nemico... (A Marco) E cosi gli han dato solo una medaglia. D'oro. (Con altro tono, gettando una occhiata inquieta alla porta) Mi scusi, signor Mar­co, ma...

Marco                              - (allegro) Va bene, Stella, va bene... Ecco qua. Buone notizie! (Le prende le mani) Abbiamo scelto la soluzione più semplice, più onesta. Lei non ha nulla da vergognarsi. Alleverà il suo bambino in casa sua, a testa alta, senza imbrogliare nessuno. Ru­di l'aiuterà. Quanto a me, rinuncio a vendicarmi... Anche l'astinenza ha un sapore.

Stella                               - Non capisco.

Marco                              - Quando io le ho chiesto di raggiungere Tommaso...

Stella                               - Lo conosce?!

Marco                              - Lei mi ha ubbidito...

Stella                               - Certo.

Marco                              - Ma nell'istante preciso in cui sedeva di fronte a lui, al tavolo di quel Caffè, non ha sentito una voce gridare "Fermati, Stella. Sei ancora in tem­po. È ignobile"...?

Stella                               - Beh, sa. Stavo cosi vicino all'orchestra... (Si illumina di colpo) La mia coscienza, vuol dire?

Marco                              - Brava. (Stella respira, sollevata)

Stella                               - Oh! Se è per quello non si preoccupi, si­gnor Marco! A me non dà fastidio.

Marco ~                           - Stella...

Stella                               - Le assicuro! Le cose che non si vedono, col tempo...

Marco                              - Ma io vedo la mia!... Occhi, capelli, ossa. La guardo allontanarsi da noi... (Indica Rudi) ...A po­co a poco, in silenzio, come quei cani che vanno a morire dietro una siepe. Solo che in lei non si tratta di fame, ma di disgusto.

Stella                               - (sforzandosi di capire) Di disgus... (A Rudi) Tua moglie!

Rudi                                - Grazie.

Stella                               - Ed è per lei che...

Marco                              - (dolcemente) Per tutti. (Stella esita un attimo, poi esclama con forza)

Stella                               - No!... No no no. Non è vero. Cosa vuo­le che importi di me, a sua madre? Purché io spa­risca!... No. Lo fa per lui. (Indica Rudi) Lui crede che se io non sposassi Tommaso... Eh? Ti sbagli, Ru­di! È finita! (Rudi risponde piano, immobile sulla sedia, gli occhi fissi davanti a sé)

Rudi                                - Lo so.

Stella                               - (quasi piangendo) Finiti i trucchi, i ba­ci, la calotta d'argento!... (A Marco) Perfino un ami­co zoppo, m'aveva tirato in ballo!

Rudi                                - Un poeta, Stella. La gamba era il meno.

Stella                               - E allora imitalo! Buttati! Nuota più lon­tano che puoi, da me! Oltre il Lido, guarda... Fino al mare!

Rudi                                - Sono vecchio. Affogherei prima.

Stella                               - Perché quando mi hai incontrato cos'eri? Un ragazzo?

Rudi                                - Si.

Stella                               - (a Marco) Lo sente?

Rudi                                - (sognante) Avevo 18 anni. Davo una festa. Ti ho offerto dei fiori. (Si riscuote, alzandosi) E non è detto che ciò non si rinnovi! Occorrono altri cieli, altri orizzonti... Fra due giorni sono a Rio.

Marco                              - Con che soldi, papà? (Rudi ha un gesto di stizza)

Rudi                                - Eh, lo so!... (Sospira) Manchiamo d'ali. (Torna a sedersi, avvilito. Un silenzio)

Stella                               - (piano) Mi spiace, Rudi. In fondo ti vo­glio bene.

Rudi                                - Anch'io.

Stella                               - Ma dovete capire che non posso torna­re indietro. (A Marco, indicando la porta) Io non ho detto nulla, del bambino!

Marco                              - (rassicurante) Lo diremo noi.

Stella                               - A mia madre?

Marco                              - Non morirà per questo.

Stella                               - La sua si, e la mia no?

Marco                              - Santo Cielo! Non faremo la gara a chi muore di più, adesso?!

Stella                               - Ma io devo sposarmi, ecco!... Lo voglio.

Marco                              - Si sposerà anche lei. Stia tranquilla.

Stella                               - Nelle mie condizioni?

Marco                              - Oh! Troverà qualcuno che ci casca.

Stella                               - Appunto, dico! L'abbiamo già...

Marco                              - (scattando) Basta, Stella! Stiamo diven­tando ridicoli! Sono venuto qua a compiere una buo­na azione, io! Leale! Non capita mica spesso, sa?... Avanti. Su. Chiami sua madre.

Stella                               - Mi ascolti...

Marco                              - Va bene. La chiamerò io. (Si avvia. Stel­la gli si butta addosso, cercando di trattenerlo)

Stella                               - No! Aspetti! La supplico! C'è il Gene­rale, di là! Un amico del babbo...

Rudi                                - Starà giocando a palla anche lui. Povero Occidente.

Marco                              - (lottando) Mi lasci andare! Stella! La smetta! (La porta si spalanca e appare mamma Varon. Vestita di nero, la medaglia d'oro sul petto. Die­tro di lei seguirà il Generale, in borghese. Un bell'uomo abbastanza elegante che si appoggia al ba­stone. Stella si stacca subito da Marco a si allonta­na come spaventata. La vedova fissa gli ospiti, e chie­de calma)

Mamma Varon                - Sono loro?

Stella                               - Si, mamma. Padre e figlio. (Un silenzio. Marco esclama, stupefatto)

Marco                              - Ma come? (A Stella) Lei giurava che sua madre non sapeva...

Mamma Varon                - (intervenendo) Lasci perdere, si­gnor Marco. Stella è una bambina.

Rudi                                - Ha 21 anni, signora!

Mamma Varon                - E lei?

Rudi                                - (confuso) Appunto, dico... L'età non conta. (Al generale) Permette? Laurino.

Generale                          - Generale Balestra.

 

Rudi                                - Piacere.

Generale                          - Molto lieto. Vogliamo accomodarci?

Mamma Varon                - (nobile) Certe situazioni, Genera­le, si affrontano in piedi.

Generale                          - Quando si hanno due gambe, Adele. Nel mio caso...

Mamma Varon                - Ah già. Mi perdoni. (Agli altri, spiegando) Il Generale è un po' diminuito. (Voleva dire "invalido", ma nessuno ci bada e tutti si siedono. Stella soltanto rimane in piedi, appoggiata al muro)

Marco                              - Dunque, signora... (S'interrompe, guar­dando il generale)

Generale                          - Io sono di casa.

Marco                              - Ah. (A mamma Varon, riprendendo) Lei conosce i fatti - dicevo - ed è inutile tornarci so­pra. Aggiungo che io avevo suggerito a Stella - con molta leggerezza - di sposare Tommaso, ingannan­dolo. Mostruoso!... Lo riconosco. Mia madre infatti...

Mamma Varon                - (a Rudi) È al corrente?

Rudi                                - Certo. È lei che si oppone al matrimonio.

Mamma Varon                - Vendicativa?

Rudi                                - Malata. Preferisce le soluzioni oneste.

Marco                              - Mio padre è tutt'altro che ricco, ma farà ogni sforzo per venirvi incontro, quando na­scerà il bambino.

Mamma Varon                - Capisco. (Una pausa) E l'onore?

Marco                              - Prego?

Mamma Varon                - Resta l'onore.

Rudi                                - A chi?

Marco                              - Papà...

Rudi                                - Eh no, scusa, vorrei chiarirla, 'sta fac­cenda!... Non l'ho mai capita bene. A chi resta l'o­nore, signor Generale?

Generale                          - In guerra, ai vinti.

Rudi                                - Perché?

Generale                          - Perché i vincitori hanno di meglio.

Rudi                                - E in pace?

Generale                          - In pace è la stessa cosa.

Rudi                                - Quand'è cosi... (.4 mamma Varon) Senza rimpianti.

Mamma Varon                - Perché volete togliercelo, allora?

Marco                              - Noi?! Al contrario...

Mamma Varon                - (alzandosi) Sapesse cosa signifi­ca l'onore, per me!

Marco                              - Appunto...

Mamma Varon                - In questa casa!

Marco                              - Lo so...

Mamma Varon                - Ho sposato mio marito senza passione, per forza... (A Marco) Come suggeriva lei a Stella!

Marco                              - Non più, signora, non più!...

Mamma Varon                - "Col tempo - mi dicevo - co­noscendolo meglio..." (Sarcastica) Si! Era un uomo d'onore, lui!... Un ufficiale. Non faceva in tempo a posare il berretto in anticamera - ma che dico, signor Laurino? - a girare la chiave nel portone! E la Patria si metteva a chiamarlo. Spagna! Africa! Grecia!... Pareva di star in cucina con un cameriere, quando la padrona ha i nervi e suona il campanello.

Generale                          - Adele!

Mamma Varon                - Ero giovane, graziosa... Sono ar­rivata ad augurarmi che mi lasciasse libera... Nien­te! Manco una scalfittura. Allora cambio idea. De­cido di aspettarlo. "Avremo vissuto a rovescio," mi dico "lontani da giovani, felici da vecchi..." Due anni dopo, muore.

Marco                              - Signora...

Mamma Varon                - Discorsi, fanfare, medaglia. Io naturalmente non riesco a piangere. L'odiavo trop­po, ormai!... Il mio contegno viene scambiato per coraggio, e mi assegnano questo appartamento. Gratis.

Marco                              - Era già qualcosa.

Mamma Varon                - No! Ci tenevano, alla mia di­sgrazia! Guai, se cercavo di uscirne!... Tutto il quar­tiere a divertirsi, a far quattrini, l'amore... Io qua, a custodire il ritratto! Mi regalano un orticello, delle fragole... Il macellaio si offende se fingo di pagare... E alla fine, mi spediscono i bambini.

Rudi                                - Che bambini?

Mamma Varon                - I loro. Con la scusa di farmi compagnia... Non hanno colpa, poveri piccoli, s'io li detesto. Ma certe volte, quando sono obbligata a far loro il bagnetto, e l'acqua è abbastanza alta... Delle tentazioni, sapesse! Delle tentazioni!...

Marco                              - Ma allora...

Mamma Varon                - Allora niente! Mi vestono, mi nutrono, mi alloggiano! Sono diventata "Mamma Varon", capisce! Io!... Metto pace fra gli sposi, io che non ho dormito col mio due notti di seguito! Do consigli alle ragazze, io che non ho saputo al­levare la mia!... Mi spiace, signor Laurino. Mamma Varon non può permettersi il lusso di uno scandalo.

Marco                              - Cosa vuol dire?

Mamma Varon                - La miglior cosa, per Stella, è di sposare Tommaso!

Stella                               - Mamma?!...

Mamma Varon                - Quanto a sua madre, signor Lau­rino... A sua moglie... Ditele ch'io la penso come lei. Ma spiegatele anche - è una donna, capirà     - che per l'onore vero, l'onore sino in fondo, noi - come dire?             - noi... Non abbiamo i mezzi! (Stella si butta fra le braccia della madre. Marco si è alzato di scatto. Il generale è a bocca aperta. Rudi si riscuote per primo, e si mette a ridere. Ride senza voce, piegandosi in due)

Marco                              - Papà...

Rudi                                - (senza smettere) Non arrabbiarti, figliolo... L'idea era tua... Ti stanno dando ragione.

Marco                              - Non voglio, aver ragione!... Qui non si tratta più di me o di mia madre. Tommaso era un amico. Gli volevo bene.

Mamma Varon                - (indicando Stella) Gliene vorrà anche lei.

Marco                              - (sarcastico) Ma la guardi!... Correva al matrimonio come un gattino alla ciotola del latte. Cieca, seguendo l'odore!... Le sembra capace di ama­re qualcuno? (Invece della madre risponde Stella, improvvisamente cupa, gli occhi bassi)

Stella                               - Ancora no.

Marco                              - (c. s.) E quando, Stella? Domani? Fra un anno?

Stella                               - Quando sarò vecchia.

Marco                              - Aspetterà un pezzo, povero Tommaso! (Mamma Varon corre alla figlia, l'abbraccia)

Mamma Varon                - Non dargli retta!... Sapessi cosa conta, un uomo tuoi Gli sarai grata d'avere un cor­po, gli vorrai bene solo perché c'è... Non tutt'a un tratto, naturalmente! A poco a poco... La tua vicina ch'è rimasta sola... Il suo passo per le scale, una sera... (Tende l'orecchio) "Perbacco!" dirai "Non lo ricordavo cosi!... Dovrei guardarlo in faccia, una buona volta. Dovrei conoscerlo meglio."           - (Mentre parla, la luce è andata concentrandosi in un angolo del proscenio, alle sue spalle, attorno a due sedie e un tavolino. Entra Tommaso, come Stella immagina che farà tra molti anni. Butta una cartella sul ta­volo e siede, spiegando il giornale) "...Non è colpa sua, se io l'ho sposato per salvarmi." (Stella fìssa Tommaso, oltre la spalla della madre)

Stella                               - (piano) Com'è cambiato, mamma.

Mamma Varon                - Gli anni passano.

Stella                               - Non ha nessuna voglia di parlarmi.

Mamma Varon                - Sarà stanco.

Stella                               - Cosa gli dò?

Mamma Varon                - Quello che senti. Coraggio. (Stella fa un passo. Si ferma. Chiama)

Stella                               - Tommaso. (Tommaso risponde con un grugnito, continuando a leggere) Tommaso.

Tommaso                         - (senza alzare gli occhi, infastidito) Che c'è?

Stella                               - (voltandosi) È un bel villano, mamma!

Mamma Varon                - (dolcemente) No, figliola. È spo­sato. (Stella si avvicina al tavolo. A voce alta, un po' stonata)

Stella                               - Oggi non sono uscita di casa. (Pausa. Tommaso legge) Ho appeso le tendine nel bagno e ho ordinato la cera liquida. Non mi andava, di sen­tire la radio. (Tommaso legge. Stella si siede) Ha telefonato Maria Grazia. Suo cognato, sai... Non quel­lo grosso, l'altro... Dice che non c'è più speranza. Lascia tre bambini. (Tommaso legge) Tommaso. (Tommaso abbassa il giornale, irritato)

Tommaso                         - Madonna! Che vuoi?!

Stella                               - Maria Grazia...

Tommaso                         - Ho capito! Suo cognato muore e la­scia tre bambini! Che dovrei fare? Seguire l'esempio?

Stella                               - Tu non hai tre bambini.

Tommaso                         - Appunto!... Non posso. (Si rimette a leggere. Stella lo guarda, e osserva dolcemente)

Stella                               - Forse non ne hai neppure uno. (Dal buio, mamma Varon esclama, allarmata)

Mamma Varon                - Stella, no! Questo no!... (Tom­maso riabbassa il giornale, stupefatto)

Tommaso                         - Si può sapere cosa stai dicendo, adesso?

Stella                               - Io potevo benissimo essere incinta di un altro, quando mi hai sposata.

Tommaso                         - E allora?

Stella                               - Il figlio non sarebbe tuo. (Tommaso so­spira, paziente)

Tommaso                         - Senti, Stella. C'è rimasto poco, al mondo, di cui io mi senta sicuro. E quel poco non è allegro. Ma per fortuna, la Natura fornisce delle prove, qualche volta: Il giovanotto assomiglia a me!Su questo non ci sono dubbi!

Stella                               - Nessuno?

Tommaso                         - (gridando) No!

Stella                               - Meglio cosi (Tommaso riprende il gior­nale. Ma ormai è innervosito, e non riesce più a leggere. Lo riabbassa)

Tommaso                         - E poi, dico, che discorsi idioti!... Per­ché si deve star li a...

Stella                               - È tanto tempo che non parliamo più.

Tommaso                         - Si. Vent'anni, per essere esatti!... Tan­to vale continuare. (Riprende il giornale)

Stella                               - Io odio il silenzio. In casa della mamma, almeno, ci sono le campane. (Tommaso riabbassa il giornale, suo malgrado)

Toaimaso                         - Che campane?

Stella                               - Al tramonto, no?... (Sorridendo) Tutte le campane di Venezia sembrano concentrate li. Forse è il vento. 0 forse l'ubicazione, chi sa... Certo è un bel fastidio, per la mamma. (Tommaso alza le spalle, gli occhi al giornale)

Tommaso                         - Era sorda!...

Stella                               - Mia madre?!

Tommaso                         - Si, si. Negli ultimi tempi, era sorda! O almeno fingeva di esserlo, quando io le parlavo di te.

Stella                               - (cominciando a capire) "Negli ultimi tempi?..." "Era?..." Significa che lei... (Si volta e chiama, angosciata) Mamma! (Mamma Varon ri­sponde dall'ombra, sorridendo)

Mamma Varon                - Per forza, figliola. Tra 20 anni...

Stella                               - (sgomenta) Oh Dio. Oh Dio. (Si gira di scatto verso il marito) Non lasciarmi sola, Tom­maso! Ti supplico! Non lasciarmi sola!

Tommaso                         - (sorpreso) Stella...

Stella                               - È tuo dovere!

Tommaso                         - Che cosa?

Stella                               - L'hai giurato!

Tommaso                         - Io? Dove? A chi?

Stella                               - Davanti a Dio!

Tommaso                         - (con un gesto di sollievo) Ah!... Cre­devo parlassi sul serio.

Stella                               - Non puoi abbandonarmi.

Tommaso                         - (distogliendo lo sguardo) Lo so. È troppo tardi.

Stella                               - (sbiancandosi) Ci hai pensato?!...

Tommaso                         - (quasi fra sé) Qualche volta.

Stella                               - Ci hai pensato!... Per chi, Tommaso? Per chi?

Tommaso                         - (e. s.) Per me stesso.

Stella                               - Non eri felice!

Tommaso                         - Santo Dio, Stella! Facciamo dello spi­rito?

Stella                               - Ma sei stato buono, con me. Paziente.

Tommaso                         - (quasi scusandosi) Eri giovane.

Stella                               - Anche tu!

Tommaso                         - Non del tutto. Io ero anche onesto. (Un silenzio. Poi Tommaso chiede con voce sorda) Perché mi hai sposato, Stella? (Un silenzio) Eh? (La guarda) Perché? (Stella lo fissa a lungo. Si direbbe che stia per rispondergli. Invece abbassa gli occhi e dice)

Stella                               - Sono stanca. Vorrei dormire.

Tommaso                         - (disperato) Avessi lasciato uno spira­glio!... Mi sarei contentato di aspettare.

Stella                               - (alzandosi) L'hai fatto. Tu non hai nulla da rimproverarti.

Tommaso                         - (c. s.) Ma non ho visto niente, Stella! Mai niente! Un filo di luce... Niente! La porta era chiusa!

Stella                               - (allontanandosi) Come sono stupidi gli uomini. Si apriva dall'interno, Tommaso!... Sono io, che mi son chiusa fuori. (Tommaso la segue con lo sguardo. Quando Stella ha quasi raggiunto l'altra estremità del palcoscenico, balza in piedi, la supera, e si volta verso di lei. Stella alza gli occhi, sorpreso,. Si scrutano in silenzio. Poi Tommaso, lentamente, prende la mano di lei e se la porta al petto. Dice piano, con pudore, quasi timido, stringendola fra le sue e sorridendo appena)

Tommaso                         - Lascia ch'io vada a dormire per primo. Cosi... Quando verrai... Vedrai ch'è ancora fa­cile, entrare. (Si stacca a poco a poco da lei, le lascia la mano, ed esce. Stella è rimasta senza fiato. Si direbbe che fatichi a capire. Finalmente s'illu­mina, e fa per slanciarsi dietro il marito)

Stella                               - Tommaso! (Ma in quel momento si ode fortissima la voce di Rudi che grida)

Rudi                                - No! (Mentre la luce rischiara di nuovo tutta la scena. Stella si ferma e si volta. Rudi è fuori di sé) Basta!... Basta. È ridicolo. Chiacchiere! Fantasie!... (Indica Stella) Se l'immagina lei, che la storia finirà cosi!... No! Non si parla a quel modo, quando si è vecchi! Non si ama a quel modo!... (Gri­dando) E soprattutto, non si è felici! Sono felice, io?!... Allora!

Marco                              - Papà...

Rudi                                - E poi è indecente, ecco. Se finisse cosi... (Cupo, con gelosia sincera) Sarebbe anche peggio. (Indica il lato del palcoscenico da dove è uscito Tommaso) Quel cretino!... Ostinato ad amarla a qual­siasi età... Senza pudore, senza orgoglio... (A Stella) Prova a dirgli la verità! Prova! E allora vedrai co­me fila!... No, no. (Si volta) Mi appello a lei, Ge­nerale! Fra mutilati...

Generale                          - Perché anche lei?...

Rudi                                - Alla nuca. In aereo.

Generale                          - Al ginocchio. In automobile.

Rudi                                - (un po' deluso, guardandogli la gamba) Ah. Non è... per fatto d'arme?...

Generale                          - (scusandosi) Purtroppo no.

Rudi                                - Vorrei egualmente che...

Generale                          - (cordiale) Certo! Io ho taciuto finora per rispetto alla memoria d'un amico. (Indica il ri­tratto) Ma è penoso, vedervi agitare tanto senza tro­vare una via d'uscita!

Marco                              - Le sembra facile? (Il Generale ha un lieve sorriso)

Generale                          - Quando la diplomazia fallisce, signor Laurino, parla il cannone. Se loro mi consentono...

Marco                              - Dica, dica.

Generale                          - Difficoltà: Pochissime. Tempo d'esecu­zione: Minimo. Mezzi operativi: Adeguati. In altre parole: Il bambino... (Fa il gesto di spazzare qual­cosa con violenza) Via! (Un silenzio)

Marco                              - Tipica idea da Generale. Far ammazzare degli innocenti per salvare la faccia.

Generale                          - Badi come parla, giovanotto!

Marco                              - Che fa? Mi bombarda?

Generale                          - La prendo a calci!

Marco                              - Con quale gamba?

Stella                               - (con un grido d'esasperazione) Ah! Finitela! (Getta con forza un oggetto che teneva in mano ed esce correndo)

Mamma Varon                - Stella! Stella!... (Si volta, esausta) Non ne posso più! Una donna senza difesa...

Generale                          - Ci sono io, Adele.

Mamma Varon                - Ah! Vali molto.

Marco                              - (sarcastico, sorridente) Come? Gli dà del tu?

Generale                          - (imbarazzato) Che c'è di male? Un vecchio amico...

Marco                              - Prima non lo faceva.

Mamma Varon                - (confusa) Certo! Davanti a...

Marco                              - Davanti a Stella!

Mamma Varon                - (scattando) Ah senta, signor Lau­rino! Che siate proprio voi due, a farci la morale!...

Marco                              - Io?! Per carità. Volevo solo applicarla.

Mamma Varon                - (con forza) Chiami sua madre, allora! Che venga qua, a vedere i risultati! Avanti! La chiami! (Stella, che è riapparsa sulla porta, dice con calma)

Stella                               - Non c'è più bisogno, mamma. Sta arri­vando. (Tutti si voltano esterrefatti verso di lei)

Marco                              - Cosa?!

Stella                               - Le ho telefonato io.

Rudi                                - Gesù! A mia moglie?!

Stella                               - Sembrava molto gentile. (La luce - col tramonto - è andata a poco a poco attenuandosi, in modo che solo i personaggi - in piedi, immobili, faccia a Stella che sostiene bravamente gli sguardi - sono illuminati uno per uno. Un suono di campane, che si era udito vagamente durante le ultime bat­tute, prende a poco a poco consistenza, diviene fra­goroso, mentre la luce scompare del tutto. Il suono raggiunge il massimo d'intensità sulla scena buia - si attenua, scompare. Quando la luce ritorna, è or­mai sera. In mezzo alla scena, bianca, timida eppure imponente al lume d'una lampada che la sottolinea in modo particolare, sta seduta sul divano Lidia. Alla sua destra stanno il generale e Rudi. Alla sinistra, mamma Varon e Stella. Marco è l'unico in piedi, ora, e passeggia su e giù lungo il proscenio, sotto gli sguardi sospesi degli altri. Finalmente si ferma, e si volta)

Marco                              - Dunque.

Lidia                                - Si, Marco.

Marco                              - È molto imbarazzante vederti qua, e ti assicuro che tranne lei... (Indica Stella) Nessuno avrebbe osato. (Con tenerezza) Come ti senti?

Lidia                                - (sorridendo) Bene.

Marco                              - Sembri pallida.

Lidia                                - è la luce.

Marco                              - Fragile.

Lidia                                - Che idee!

Marco                              - Hai un'altra faccia.

Rudi                                - (con un lieve scatto, spazientito) Ma no, figliolo, no!... Ti assicuro... Sempre quella! (Cercan­do di riparare, amabile) Caso mai, un pochino più distesa, più viva... (A Lidia) No?

Marco                              - Ho mantenuto la promessa, mammà. E non serve a niente. C'è qualcosa cui la signora... (In­dica mamma Varon) Stella, il Generale, tengono più del dovere...

Generale                          - No!

Marco                              - (gentilmente) Mi lasci dire... È umano.

Generale                          - Io sono un militare!

Marco                              - Appunto. Non la riguarda.

Generale                          - Grazie!

Marco                              - Prego. (Alla madre, riprendendo) Più del dovere - dicevo - più di tutto. Loro vorrebbero... Come si fa a spiegarlo?... (Sorride, scusandoli) Esser felici!

Lidia                                - (con semplicità) Ma è la stessa cosa.

Marco                              - Lo dici tu!... Se la ragazza non sposa subito, ne soffrono lei, sua madre, il Generale... Le nostre azioni non sono buone o cattive, mammà. Di­pendono dai risultati.

Lidia                                - Marco...

Marco                              - (irritandosi) Lo so, che non lo credi! Ma è cosi! (Rudi lo ferma con un gesto)

Rudi                                - Lascia stare, figliolo!... Ci penso io. (Alici moglie) Lidia, quando tuo padre faceva il giro dei suoi malati, non ti portava con sé.

Lidia                                - No...

Rudi                                - Ma certe volte, il mattino, veniva a pren­derti a scuola. E se gli restava ancora qualche vi­sita - da noi, per esempio, in campagna - lasciava che tu lo aspettassi fuori, nella vettura aperta, all'ombra di un albero o di un muro. (Con struggi­mento) Bene. Sei ancora là. Io non ho mai cessato di amare quella ragazza, spiandola - come facevo - dall'alto del granaio. Solo che... Con gli anni... Di tanto in tanto... Lei ha cambiato nome.

Marco                              - Papà?

Rudi                                - (a Lidia, disperato) È per restarle fedele, ch'io ti sono mancato.

Marco                              - Ma cosa dici?

Rudi                                - (c. s.) Tu l'hai tradita. Non io.

Marco                              - Basta, papà! Che c'entra, adesso?!...

Rudi                                - (riscuotendosi) C'entra, c'entra!... (Indica Stella) Se Tommaso tiene tanto a sposarsela... Che provi! L'inganno di oggi è niente, di fronte a quello che lo aspetta!

Marco                              - Non badargli, mammà!

Lidia                                - (sorpresa) Tommaso?!

Marco                              - Si.

Lidia                                - Non è certo il tuo...

Marco                              - Si, mammà. Proprio lui. (Lidia s'illumina tutta)

Lidia                                - Ma allora... (Porta le mani alla faccia, coprendosi la bocca, gli occhi ridenti. Sussulta senza voce)

Rudi                                - Gesù un attacco! Ora ci lascia.

Lidia                                - (senza smettere) Scusatemi... Sono i nervi che... (Mamma Varon e Stella si avvicinano)

Mamma Varon                - Vuole qualcosa, signora?

Stella                               - Un liquore?

Lidia                                - (c. s.) No, no!... Niente!...

Mamma Varon                - (a Stella) Telefona al bar! Svelta!

Lidia                                - (c. s.) La prego! Non si disturbino!... (Ma Stella è già corsa via) Com'è possibile... Che non sia venuto in mente?... A nessuno?...

Mamma Varon                - Che cosa?

Lidia                                - (a Marco, eccitata) L'ho incontrato un mese fa. Mi viene incontro, saluta... Non invecchia, sai? (La faccia di Marco comincia a chiudersi. Ostile)

Marco                              - E allora?

Lidia                                - Ditegli la verità.

Rudi                                - Lidia...

Lidia                                - (con slancio) Lo conosco bene, Rudi!... Se Tommaso ama la ragazza, non si tira indietro! (Marco allunga la mano, cercando di dominarsi)

Marco                              - Sei stanca, mammà. Torniamo a casa.

Lidia                                - (ostinata) Signora Varon...

Marco                              - Tu ricordi un bambino che non c'è più.

Lidia                                - Ti dico che l'ho appena rivisto!

Marco                              - Per strada. Un minuto.

Lidia                                - Ma gli occhi...

Marco                              - (scattando) Ah no, eh! Basta, con le "acque limpide"!... Ne ho fin qua. Chi credi che sia, Tommaso? Un uomo come gli altri. Pieno di ran­cori, d'invidie. Non ha perdonato me!... (Indica Stella che è rientrata) Figuriamoci lei.

Lidia                                - Gli hai parlato?!

Marco                              - (distogliendo lo sguardo) Si.

Stella                               - (che non capisce) Di che cosa?

Marco                              - (leggero, sorridente) Niente, Stella!... Sciocchezze. Due esaltati che si buttano alla campa­gna, l'ultimo anno di Guerra, armati d'uno schioppo e un coltello da cucina. I fascisti li acchiappano, e li mettono sotto chiave. Che fa un ragazzo, in quelle circostanze? Trema. Ha paura. Ho corrotto la sen­tinella, e son scappato.

Rudi                                - Da solo.

Marco                              - (con forza) Da solo, d'accordo!... Ma mica l'han fucilato, lui! E allora?... Son passati mille an­ni! (Indica la vedova) Chiedi a "Mamma Varon" come avvizzisce presto, l'eroismo!

Generale                          - Signor Laurino...

Marco                              - (prevenendolo) Senza offesa, Generale. Lei sa che non la riguarda. (Stancamente) Andiamo, su. Vorrei far la valigia. Vorrei partire. (Un silenzio)

Mamma Varon                - (a Lidia) Mi spiace che l'abbiano disturbata. Vedrà che riusciremo a cavarcela da soli.

Lidia                                - (quasi fra sé) Non si tratta di questo.

Mamma Varon                - Lo so. Ma lei ha troppa fiducia, negli uomini. Non sono quelli che crede. (Lidia alza gli occhi)

Lidia                                - Come sono? (Un silenzio. Angosciata) Marco... (Il Generale interviene con slancio)

Generale                          - Belli, signora! Sono belli! A imma­gine di Dio. E quando io li vedo tradirsi, mentire, diventar vili... Dico a me stesso "Non conta! È un incidente! "

Rudi                                - D'auto.

Generale                          - Prego?

Rudi                                - (a Lidia) Andiamo, cara.

Generale                          - (sospettoso) Cosa ha voluto dire?...

Rudi                                - (annoiato) Niente, Generale. A quest'ora!... (Porge la mano a Lidia) Coraggio. Qui non hanno bisogno di noi. Io sono troppo vecchio, e tu stai nel­la luna. (Si ode il campanello d'ingresso)

Mamma Varon                - (gridando) Avanti! (A Lidia) Per­ché non resta ancora un minuto? Saranno quelli del bar... (Lidia rifiuta con un cenno, alzandosi)

Lidia                                - Grazie.

Mamma Varon                - Non le abbiamo offerto nulla... (Ma le parole le muoiono in gola. Sotto l'arcata è comparso Tommaso. Ha in mano un mazzo di fiori. Si ferma stupefatto a guardare gli ospiti, che fanno altrettanto)

Stella                               - Oh Dio. (Lidia si volta di scatto verso Marco, eccitata, quasi felice)

Lidia                                - Ora si, eh!... Ora per forza!... (Si avvi­cina al giovanotto sorridente, confusa) Tommaso... (Non trova le parole. Gli prende i fiori di mano. A Stella) Guardi che bei fiori le ha portato, signorina! (A Tommaso) Eh? Sono per Stella?

Tommaso                         - Si.

Lidia                                - (a Stella) Cosa le dicevo, io?... (A Tom­maso) So che ti sorprende trovarci qui. Ma tu hai fiducia in me. Un tempo mi volevi bene.

Tommaso                         - Si.

Lidia                                - Allora ti prego: Lascia che sia Marco a spiegarti. Noi aspetteremo di là, guarda... Tutti as­sieme.

Rudi                                - Ma è ridicolo, scusa! (Lidia si volta) Che facciamo, di là? Un coro? (Arrendendosi) Va bene, va bene. Come vuoi.

Generale                          - (indicando la porta) Prego.

Rudi                                - (a Marco) Sii cauto, figliolo. In fin dei conti, si tratta sempre di parole.

Marco                              - (fissando Tommaso) Sta' tranquillo, papà. (Escono tutti, tranne Marco e Tommaso. La porta viene chiusa)

Tommaso                         - Allora?

Marco                              - Hai fretta?

Tommaso                         - (riflettendo) No.

Marco                              - Come mai?

Tommaso                         - Ho un senso d'oppressione, d'angoscia. Vorrei respirare.

Marco                              - Rimandiamo.

Tommaso                         - Appena avrai aperto bocca, mi trove­rò in un'altra vita...

Marco                              - (sorridendo) Non esagerare, Tommaso.

Tommaso                         - (guardandosi attorno) Vorrei ricor­darmi bene com'era questa. Se ero felice o no.

Marco                              - Al posto tuo, io sarei impaziente.

Tommaso                         - Cerco di resistere. Dovrebbe farti pia­cere.

Marco                              - Sciocchezze!... Non mi rallegra affatto darti una cattiva notizia. Ammesso che sia cattiva, eh. Non ho detto niente.

Tommaso                         - Ti hanno raccomandato di esser cauto...

Marco                              - (con slancio) Non ce n'era bisogno! Io sono con te! (Distoglie lo sguardo) È un istinto che mi possiede fin da piccolo. Un giorno mi sono com­prato una maglietta blu, con le maniche corte, che a me stava malissimo, solo perché tu ne avevi una eguale. Ho sempre girato, per cosi dire, dalla parte altrui... Dalla parte bianca.

Tommaso                         - Come, bianca?

Marco                              - Tu, sei bianco. Mia madre è bianca. Ma con lei è diverso. Il fatto d'avere lo stesso sangue m'imbarazza, m'irrita. A te invece non dovevo nien­te, e soprattutto, non avevo niente in comune, con te. Se fossi riuscito ad assomigliarti, sarei veramente rinato. (Una pausa) Non mi credi.

Tommaso                         - No.

Marco                              - Meglio. Finirai per farmi sentire inno­cente.

Tommaso                         - (guardandolo) Sembra impossibile che siamo stati amici.

Marco                              - Negherai anche quello.

Tommaso                         - Io? Perché?... Sarebbe stupido.

Marco                              - (sorpreso) Davvero?... (Agitato) Oh! Co­me diventa rischiosa, ogni parola, quando si sa che non ce ne saranno altre!... Non vorrei sbagliare... Visto che tu hai pazienza, e mi dai un'occasione... (Con forza) L'incidente era stupido! Ammettilo! Non giustificava il tuo accanimento!

Tommaso                         - Cosa devi dirmi?

Marco                              - Eh?

Tommaso                         - Cosa devi dirmi?

Marco                              - Ah no, ti prego! Prima hai chiesto tu un po' di respiro. Ora tocca a me.

Tommaso                         - (infastidito) Ma a che scopo? Erava­mo amici, non lo siamo più. Tutto qua. Crudele, da parte mia? Eccessivo?... Tanto peggio. Chi vuol bene perdona. Si vede che non ti volevo bene.

Marco                              - (gridando) Non è vero!

Tommaso                         - Ti ammiravo. Hai un certo fascino, piaci alle ragazze... Eri ricco... Ah! Sapessi cosa si­gnifica, per chi vive in due stanze e ha i fratelli da mantenere!... Non sono mica cosi "bianco", sai. Il danaro m'incanta. Tu l'avevi. Eri un dio.

Marco                              - Tutto qua?

Tommaso                         - C'era la giovinezza, il bisogno d'un amico...

Marco                              - Nient'altro?

Tommaso                         - E poi eri divertente. Nessuno te lo nega.

Marco                              - Abbiamo fatto delle risate, assieme.

Tommaso                         - Certo!... Mi vergogno a dirlo, ma quando mori... Come si chiamava? Stava in classe con noi...

Marco                              - Biancale?

Tommaso                         - Biancale!... Bravo. (Comincia a ride­re) C'incaricarono di portare le condoglianze alla famiglia, ricordi?... Arrivammo fino al pianerottolo...

Marco                              - (cominciando a ridere) Gesù!...

Tommaso                         - (ridendo) Cosa ci prese?...

Marco                              - (ridendo) Un attacco isterico!...

Tommaso                         - (c. s.) E si che gli volevo bene...

Marco                              - (c. s.) Anch'io...

Tommaso                         - (c. s.) Poi quella apri la porta...

Marco                              - (c. s.) Già!...

Tommaso                         - (c. 5.) E ci trovò seduti sulle scale, che ridevamo fino alle lacrime...

Marco                              - (c. s.) È, vero, è vero!...

Tommaso                         - (c. s.) Che vergogna!...

Marco                              - (c. s.) Io non riuscivo a frenarmi...

Tommaso                         - (c. s.) Neanch'io... (Ridono tutti e due. Marco pensa di approfittarne, o forse s'illude dav­vero. Dice affannoso, con calore)

Marco                              - Ascolta, Tommaso. Io vivo a Roma, co­me sai, e me la cavo bene. Ma... Niente di definito, eh, niente di... Molto chiaro... Se noi ci mettessimo assieme!... Con tutte le conoscenze che ho, potrei fare la tua fortuna... Cinque, sei volte quello che guadagni oggi... In cambio, tu mi spingeresti a la­vorare sul serio, a trovare una strada... Tommaso       - Io?

Marco                              - Si.

Tommaso                         - Perché?

Marco                              - Ma perché... Siamo amici.

Tommaso                         - Ti bastano due risate, eh?

Marco                              - (sorpreso) Io credevo...

Tommaso                         - Come quando facevi la corte alle ra­gazze. "Se riesco a farle ridere," dicevi. "Ci stanno!..."

Marco                              - Che c'entra...

Tommaso                         - Anch'io voglio darti credito. Forse è vero che cercavi di assomigliarmi. Senza un soldo, meno intelligente di te, avevo però una qualità che non ti dava pace: Ero un altro. Da quel ladro che sei, vorresti rubar tutto al prossimo, perfino le sue virtù. Lo dico senza astio, sai. Anzi, con una certa tenerezza. Poiché una dote vera ce l'hai, e mi fa molta pena: Tu non ti piaci. Di autentico, in te, non c'è che l'odio per te stesso. E molto, eh, in un mondo pieno di soddisfatti. Ma la gente diffida di chi non si ama. Per questo non avrai amici, e nes­suno ti vorrà realmente bene, tranne tua madre, che però ti rompe le scatole come un rimorso. Gli altri, uomini e donne, potranno cascarci, essere af­fascinati da te, innamorarsi di te, ma una volta spen­ta la passione, se ne vergogneranno e te ne serbe­ranno rancore. Cosi, di successo in successo, finirai solo. E senza nemmeno la pietà altrui, poiché cre­deranno che l'hai voluto tu. Se ti metterai a pian­gere, penseranno a una truffa. Se ti suicidi, a un errore.

Marco                              - E tu?

Tommaso                         - (dolcemente) Io sono un mediocre. È diverso.

Marco                              - (con odio) Ah si? Allora ascolta, medio­cre, come ti vogliono bene...

Tommaso                         - Ci siamo.

Marco                              - (incalzante) Hai paura?

Tommaso                         - Si.

Marco                              - (scattando) L'hai voluto tu! Bastava niente, un minimo di comprensione...

Tommaso                         - Vuoi dire compromesso.

Marco                              - Anche! I rapporti umani sono fatti an­che di quello!

Tommaso                         - Chiedilo a tua madre.

Marco                              - Hai scelto giusto! Vi assomigliate! Duri, ostinati, senza pietà... Ma quando si è cosi, bisogna aver coraggio! Non potete concedervi il lusso di tremare. Mia madre, ancora... È una donna. Ma tu!

Tommaso                         - Avanti.

Marco                              - Stella ti ha piantato perché era cascata nelle braccia di un vecchio, e precisamente in quel­le di mio padre. No! Non ho finito!... È rimasta incinta. Senza sapere che si trattasse di te, le sug­gerisco di riacchiappare il fidanzato e di sposarlo in fretta. Ha accettato subito, sai. Subito, manco le avessi chiesto di andarmi a comprare il giorna­le... Aspetta! Veniamo qui a riparare, e sai chi si oppone? Stella. Trova che ormai le cose vanno be­nissimo cosi, e che non c'è nessun motivo di far marcia indietro, visto che tu l'hai bevuta. Come ti suona, adesso il suo nome? Meglio del mio? Eh? Stella Stella Stella...

Tommaso                         - (urlando) Stella!

Marco                              - Bravo, chiedile un parere. Ne vale la pena. (Entra Stella) Eccola. (A Tommaso) Mi spiace vederti soffrire. Ma almeno questo, in comune, ades­so ce l'abbiamo. (A Stella) Lei chiami, se succede qualcosa. Io sarò dietro la porta. (Esce. Stella chie­de allarmata)

Stella                               - Perché dice cosi?... Cosa vuoi fare? (Tommaso la fissa in silenzio. Stella sospira) Oh! Tommaso! Ti prego!... Eri più bello da vecchio.

Tommaso                         - Cosa?

Stella                               - (spiegando) Ho provato a immaginare la nostra vita in comune. Un giorno m'avresti per­donata, e ci saremmo amati sul mio letto di morte... (Si confonde) No, prima... (Spazientita) Beh, insom­ma, sarebbe finita bene.

Tommaso                         - Mi chiedo se tu non sia pazza.

Stella                               - Io?

Tommaso                         - Ti sei comportata come una puttana.

Stella                               - Ma lo sono, Tommaso!... Non sarebbe onesto, da parte mia, comportarmi diversamente.

Tommaso                         - Un vecchio!...

Stella                               - Oh, basta! I vecchi, i giovani!... Che dif­ferenza c'è, per chi non li vede?! Io non li vedo, Tommaso, ti giuro! Neanche adesso, neanche te... So­no stanca, sono sorda, sono... Niente. Vorrei... Ecco. Questo si.

Tommaso                         - Vorresti?...

Stella                               - Ricordi quando si litigava, e io mi met­tevo a piangere? Posso piangere a comando, in qual­siasi momento... Ma oggi sono sincera. Vorrei tirar fuori un grido lungo... Lungo come un coltello che mi tagliasse in due per vedere cosa c'è dentro... E invece niente. Manco una lacrima, manco una goc­cia. Credimi, Tommaso, non è per cattiveria, ma perché sono vuota. (Si guarda il ventre, e aggiunge in un soffio, angosciata) Mi chiedo se mio figlio non avrà paura, li dentro.

Tommaso                         - Io, ho paura.

Stella                               - Di che? Non mi vedrai più.

Tommaso                         - Ti pare che basti.

Stella                               - Ma cosa dovrei fare, Santo Cielo?!... Se la colpa non fosse mia?! (Prevenendolo) Non di quel ch'è successo, eh!... Del fatto ch'io sono... Cosi cieca. Forse, se qualcuno facesse un gesto, una cosa... Ab­bastanza grandi... Potrei vederlo, potrei gridare.

Tommaso                         - E allora? (Stella si stringe nelle spalle con pudore, quasi vergognandosi)

Stella                               - Gli vorrei bene.

Tommaso                         - Tu?! (Stella lo guarda avvilita. Tom­maso si avvia) Addio, Stella.

Stella                               - Tommaso!

Tommaso                         - Si?

Stella                               - Aspetta un minuto. In fondo è la prima volta che siamo soli.

Tommaso                         - Ci sono cinque persone, nell'altra stanza.

Stella                               - Appunto...

Tommaso                         - E siamo stati soli tante volte.

Stella                               - Ma non cosi!... Dammi ancora un minu­to. Sai il tuo amico credeva e anch'io, eh! Anch'io! che ti saresti messo a urlare, che m'avresti presa a schiaffi... E invece sei li tranquillo, cosi... Soffri molto?

Tommaso                         - Si.

Stella                               - Per me?

Tommaso                         - Si.

Stella                               - (con slancio) Ecco, vedi?... Basta questo a renderti simpatico! (Prevenendolo) Lo so lo so, ho detto un'altra stupidaggine!... Ma è vero. Se in que­sto momento dovessi correre da qualcuno per raccontargli tutto il male che ti ho fatto e chiedergli consiglio... Verrei da te.

Tommaso                         - Perché mi hai ingannato, Stella?

Stella                               - Non lo so.

Tommaso                         - Ti piaceva quell'altro?

Stella                               - No!... Era divertente.

Tommaso                         - "Divertente".

Stella                               - Mi faceva sentir libera, leggera... Con te, è come entrare al buio in una stanza piena di mobili. Non fai un passo, che ti arriva uno spigolo negli stinchi. (Tommaso le si avvicina)

Tommaso                         - Ero noioso.

Stella                               - No

Tommaso                         - Pesante.

Stella                               - Qualche volta...

Tommaso                         - Non sapevo farti ridere.

Stella                               - Si, ma... Non apposta.

Tommaso                         - E sai perché?

Stella                               - Perché è il tuo carattere...

Tommaso                         - No. Perché ti amavo. (Stella lo fissa, poi gira di scatto la testa. Dice piano)

Stella                               - Vai via, Tommaso.

Tommaso                         - (incalzante, disperato) Ogni goffaggi­ne, ogni silenzio, perfino l'impazienza di separarmi da te, certe volte, erano dovute a quello. Avevo un tal bisogno di pensare a te, che anche la tua pre­senza disturbava... Mi allontanavo, ed ero felice.

Stella                               - Ammetti che non è allegro...

Tommaso                         - E chi ti ha detto, stupida, che la fe­licità sia allegra?!

Stella                               - Di solito..,

Tommaso                         - (indicando la porta) Per quel vec­chio, forse! Alla sua età si è liberi!... Ma io, spo­sando te, mi assumevo anche gli anni a venire, i figli che avremmo avuto, la tua vecchiaia, la mia... Ti pare che si possa ridere, con tutta questa roba sulle spalle?!

Stella                               - Ora sei libero.

Tommaso                         - (con uno scatto di rabbia) Potessi ca­pire, almeno! Trovarci un senso!... Mi odiavi?

Stella                               - No.

Tommaso                         - Volevi vendicarti di qualcosa?

Stella                               - No.

Tommaso                         - Ti ha offerto del danaro?

Stella                               - Rudi?... Non lo conosci.

Tommaso                         - E allora?!

Stella                               - Non lo so.

Tommaso                         - (gridando) Ma io devo saperlo, per decidere!

Stella                               - Hai già deciso. (Tommaso appare im­provvisamente stanco, esausto)

Tommaso                         - No. Lo faccio adesso. (La fissa) Quan­do t'ho incontrata, eri giovane, eri sana, eri intatta... Ora sei vecchia, e guasta... Come potrei, amarti meno! Io ti sposo. (Stella si porta le mani alla fac­cia. I muscoli le si irrigidiscono. Trema. E di colpo, quasi sorprendendola, le esce dal profondo un grido convulso. Sembra una bestia al mattatoio, ed è lei stessa il coltello che la spacca in due "per vedere cosa c'è dentro". Arretra di qualche passo, mentre Tommaso, spaventato, esclama) Stella... (Lei si sottrae, Tommaso la segue) Stella... Ti prego... (Stella cade in ginocchio, nascondendo la faccia. Questa volta ar­riva anche il pianto. A torrenti, squassandola tutta, come una massa d'acqua che abbia finalmente rotto la diga, esplodendo. Tommaso le gira intorno, vor­rebbe toccarla, esita, allunga la mano e la ritrae. La porta si spalanca e appare Marco. Avanza inquieto, il suo sguardo chiede a Tommaso "Che le hai fatto?" In quel momento la ragazza rialza la testa, si butta contro Tommaso, e gli afferra una mano, coprendola di baci e di lacrime. Marco è impietrito dallo stu­pore. Tommaso si china sulla ragazza) Basta, Stella... Alzati.

Stella                               - (singhiozzando) Non è perché... mi spo­si... Ma perché... Ora... Ti vedo!!! (Tommaso ride con tenerezza)

Tommaso                         - Va bene, va bene...

Marco                              - (esterrefatto) La sposi?!

Tommaso                         - Si. (Aiuta Stella ad alzarsi e l'accom­pagna verso il divano) Vieni qua, tesoro... Vieni.

Marco                              - (scattando) Ma è grottesco! Non potreste mai vivere a Venezia, dopo quel ch'è successo! Vi rideranno dietro!

Tommaso                         - Lo fanno già. (A Stella) Siediti, cara. Da brava... Cosi. Ora ti metto un po' di musica, eh? Va bene?

Marco                              - Tommaso!

Tommaso                         - Un momento. Marco, un momento. (Avvia il grammofono. Stella chiama, la faccia na­scosta fra le mani)

Stella                               - Tommaso.

Tommaso                         - (premuroso) Eccomi, cara. Son qua. Come?... (Si china, mettendo un orecchio davanti al­la bocca di lei. Ride) No, tesoro. Stai tranquilla... Non cambio idea. Aspetta. (Siede a sua volta sul di­vano, sdraiandosi un po' all'indietro, mentre Stella si rannicchia di traverso e appoggia il capo sul petto di lui, gli occhi chiusi)... Ecco, cosi. (L'accarezza, e riprende a voce alta, rivolto a Marco che sta alle sue spalle, ma senza voltarsi, gli occhi fissi al soffit­to) Sai, Marco. Può darsi che sia questo calore, a indebolirmi. Ma io comincio proprio a pensare di essere stato ingiusto. Devo imparare ad aprirmi, San­to Dio, a capire!... Quali sono i principi cui valga la pena di sacrificare la vita, oggi? Eh? Chi ci crede più?... Un briciolo d'indulgenza, un compromesso!... Non sono poi la fine del mondo.

Marco                              - Per te, si. (Tommaso ride, appena appena)

Tommaso                         - Neanche per me... È ancora valido, il tuo invito a Roma?

Marco                              - No.

Tommaso                         - (leggero) Peccato. Ora avrei potuto accettarlo. (Di scatto, Marco fa un passo avanti. Ma subito si ferma, diffidente) Che fai, li?

Marco                              - Vi guardo.

Tommaso                         - Vieni avanti. (Lentamente, come temes­se di cascare in una trappola, Marco fa il giro del divano, e avanza verso Tommaso che, sempre steso supino, ora può vederlo. Si fissano. Poi Tommaso alza il braccio, e gli tende la mano. Ha il pudore di dare al suo gesto un che di enfatico, di scherzoso, di sportivo, per togliergli importanza. Lentamente, Mar­co allunga la propria, e gliela stringe. I due sorrido­no, poi ridono. La risata si fa nervosa, allegra, un po' isterica, come ai tempi del "povero Biancale".)

ATTO TERZO

Terrazza di casa Laurino. Non la vediamo tutta, poiché una piccola parte di essa continua a destra, oltre il palcoscenico. A sinistra la casa. È una bella notte d'estate. Una tavola imbandita per quattro. Un divano a dondolo, da giardino. Una gran poltrona di vimini a schienale alto.

Entra Rudi con dei libri sottobraccio. Indossa una giacca da casa. Ha l'aria un po' trasandata, ma se­rena.

Rudi                                - Domato il pungolo dei sensi, tranquillo, studioso, ho scoperto nella rassegnazione una felici­tà naturale. Ogni età ha il suo equilibrio. Lo spirito non ha limiti, il corpo si. Immobile il corpo, salpa la nave. Il mio viaggio comincia adesso. Godo d'una li­bertà infinita, se mi governo. Illusoria, se abbando­no le redini...

Voce di Lidia                  - (dalla casa) Rudi.

Rudi                                - Cara?

Voce di Lidia                  - Hanno portato il burro?

Rudi                                - Non ancora.

Voce di Lidia                  - Con chi stai parlando?

Rudi                                - (sorridendo) Da solo. Mi confido.

Voce di Lidia                  - (ridendo) Se ti vede l'architetto...

Rudi                                - Oh! Pensi ai suoi figli, lui invece di spiare sulle terrazze degli altri! (Verso destra, ad alta voce) Chiaro e tondo, architetto! (Al pubblico) L'architet­to non c'è. Ma gli direi cosi, se osasse. Le buone let­ture, la pace dell'animo, mi hanno reso più forte. Quasi... Aggressivo. E invece niente. Mai. Non    - s'af­faccia      - mail... E si che qui si vive, perdio, si parla, andiamo, veniamo... Come non ci fossimo!... Chissà cosa si crede, per quattro cubi di cemento che fra l'altro, secondo gli esperti, hanno rovinato il volto storico di Venezia. (Verso destra, gridando) Se li va­da a costruire a Mestre, i suoi casermoni! A Milano, a New York, a Rio... (Al nome "Rio" si ferma, penso­so. Chiama) Lidia!

Voce di Lidia                  - Si?

Rudi                                - Dove sta, l'architetto?

Voce di Lidia                  - Non saprei.

Rudi                                - (al pubblico) Sarà in viaggio. Lui fa cosi. Intasca, e viaggia. (Verso destra, con fiera ironia) Va', caro, va' va'... Io resto! (Apre un libro. Ma subito lo riabbassa, chiedendo) Quanti anni ha, il minore?

Voce di Lidia                  - Come?

Rudi                                - Il più giovane, là...dei...

Voce di Lidia                  - Diciannove, credo.

Rudi                                - (irridendo) Diciannove! (Pensoso) Dician­nove... (Al pubblico) Ed è fidanzato!... Io ormai vedo le cose con indulgenza, grazie a Dio, con distacco. Ma insomma... Le vedo. Non fanno niente di male, eh. Lui suona - il flauto, questione di gusti - e lei... (Nervoso) Lei ascolta, che deve fare?! (Con slancio) Ma la gioia, d'esserne fuori!... I giovani là, e io qua. Finiti il chiasso, le battaglie, le ansie... La pace! Gesù. È perfin troppo bello. (Si rimette a leggere. Entra Lidia con dei fiori per il tavolo da pranzo. Per tutta la scena seguente sarà affaccendata nei preparativi, felice, distratta)

Lidia                                - Ti rovini gli occhi, caro, a legger tanto.

Rudi                                - (voltando pagina) Sono affamato.

Lidia                                - Un po' di pazienza. Il treno arriva alle otto.

Rudi                                - Non parlavo di cibo. Sai quanti sono i comunisti, sulla terra, a 40 anni dalla Rivoluzione Russa?

Lidia                                - (disponendo i fiori) Dimmelo.

Rudi                                - Un miliardo e mezzo. E i cattolici, dopo duemila anni? Quattrocento milioni. La Chiesa è un fallimento, Lidia.

Lidia                                - Avrai letto male, tesoro.

Rudi                                - Ma io amo il mio mondo. (Al pubblico) Il nostro... (Con ottimismo) Unico, eterno... Forse che affonda, Venezia?... Sembra!

Lidia                                - (uscendo) Dici?

Rudi                                - Sembra, ma non affonda!... E cosi noi. (Sarcastico) Si, si, seguitino pure, i falsi profeti, a guardare a Oriente! (Rifa il verso a qualcuno) "Una nuova concezione dell'Uomo, tutte le classi unite nel­la gioia di costruire..."       - (Realistico) Balle!... La fami­glia, ecco il pilastro. Tante piccole famiglie... Ciascu­na con la sua casetta... Isolate... Come in un alveare... (Si spaventa della sua stessa immagine, vorrebbe contraddirsi) E poi, "isolate, isolate"!... Abbiamo la Radio, la Televisione... Le nostre mogli si parlano al telefono... (Con improvvisa angoscia) Lidia.

Lidia                                - (rientrando) Caro?

Rudi                                - Non chiama più nessuno, qua!

Lidia                                - (che non capisce) Chi dovrebbe chiamare, tesoro? Marco ha telegrafato che arriva alle otto con Tommaso. Non c'era motivo di confermare.

Rudi                                - (scattando) E gli altri, Santo Dio?!,.. Il mondo è pieno, di gente! Miliardi! Non si fa in tem­po a sfamarli!... Ma se ti aspetti una telefonata, un cenno, un sorriso...

Lidia                                - Rudi...

Rudi                                - Zitta! (Tende l'orecchio) Zitta. (Si ode dolcissima, dalla casa dell'architetto, la musica di un flauto)

Lidia                                - Cos'hai, tesoro? (Rudi ascolta) Ti senti male? (Rudi ascolta) Rudi!

Rudi                                - (come risvegliandosi) Eh?

Lidia                                - Cos'hai? (Rudi la guarda fisso, quasi met­tesse del tempo a riconoscerla. E di colpo la stringe a sé, disperato, nascondendo la faccia contro il cor­po di lei, baciandola, accarezzandola)

Rudi                                - Oh! Tienimi stretto, Lidia, amore mio! Mio porto, mia salvezza! Tienimi stretto, coprimi le orecchie! Fa' ch'io non senta che te!... Buona, dolce, paziente, mia... Mia mia mia.

Lidia                                - Rudi...

Rudi                                - Eccolo, il mio Cielo! Cosa ho fatto, per meritarlo? Nient'altro che spremerti, ridurti un'om­bra, un gemito... Sono passato su te come un eser­cito nemico, bruciando, devastando, distruggendo... E ora che sono esausto, che dovrei morirci di sete, il mio deserto rifiorisce cosi, un miracolo... Perché, Lidia? Perché non mi hai abbandonato?

Lidia                                - (sorridendo) Perché sono tua moglie.

Rudi                                - Non basta!

Lidia                                - Perché sei mio marito.

Rudi                                - Ma sono anche un pagliaccio! Un bugiar­do! Un vile!

Lidia                                - Un uomo.

Rudi                                - No! Un vecchio non è un uomo! Si man­dano a morire di nascosto, i vecchi, come gli elefan­ti! Si sotterrano vivi! Si bruciano!... Sono fiacco, so­no molle, sono sordo... (Con tutt'altro tono, scattan­do) Sordo un corno! (Grida verso l'invisibile casa dell'architetto) Quando la smette, quell'imbecille?!... Basta!

Lidia                                - Ti prego...

Rudi                                - Eh, la Madonna! Non se ne può più... Ti pare decente, che una ragazza sia lasciata sola con un bandito di 19 anni? Flautista!... Il padre via, e loro là?

Lidia                                - Non fanno niente di male.

Rudi                                - Parole! Va' a vedere. Mica chiudono le fi­nestre, sai.

Lidia                                - (sorridendo) Fin che lui suona il flauto, Rudi, si può stare tranquilli. (Rientra in casa)

Rudi                                - (calmandosi) Questo è vero. Fin che suona... Ma intanto scoccia. Esistono altre vite, ol­tre la loro, altri destini!... Cos'è (Chiede subito, ve­dendo Lidia rientrare con un piatto)

Lidia                                - Lingua.

Rudi                                - In gelatina?

Lidia                                - Sì.

Rudi                                - Perché la porti tu? Tocca alla serva.

Lidia                                - Ha la febbre.

Rudi                                - Daccapo! O sono in permesso, o sono stan­che, o hanno la febbre. Mi chiedo cosa le paghiamo a fare.

Lidia                                - Rudi...

Rudi                                - La paghiamo, si o no?!

Lidia                                - No.

Rudi                                - Come no?

Lidia                                - È dal mese di marzo che...

Rudi                                - (in fretta) Va bene, non insista!... Mica scappiamo. (Polemico) Se andasse all'Ospedale, an­che una serva dovrebbe pagare qualcosa, no? Qui niente. Può aver la febbre gratis. E allora!... (Con­ciliante) Venderò un po' di terra, va. Troverò un impiego. (Trasalendo) Oh Dio!

Lidia                                - Che c'è? (La musica era cessata. Ora ri­prende)

Rudi                                - (sollevato) Niente. Il flauto. S'era interrot­to. (Pizzica qualcosa da un piatto) Cosa fa, Marco?

Lidia                                - In che senso?

Rudi                                - È una fortuna che si sia messo con quel Tommaso. Ragazzo retto... Idee ampie... Simpatico. Peccato che stiano a Roma. Non li vediamo mai.

Lidia                                - Lavorano, e questo mi basta!

Rudi                                - Ah si si, non dico... (Siede sul divano a don­dolo) Sono contento anche per Stella, poveretta. Se non si sbrigava a sposarsi, finiva sbandata, quella ra­gazza. In mano a chi sa chi. Mi spiace solo per... (Si interrompe)

Lidia                                - Per?...

Rudi                                - Niente. Divagavo.

Lidia                                - (avvicinandosi) Pensi al bambino.

Rudi                                - Qualche volta.

Lidia                                - È stato meglio cosi, Rudi. Chiamandolo a sé - mi vergogno a dirlo, è crudele - il Signore ha fatto bene. Poteva essere un'ombra, fra loro, un ve­leno.

Rudi                                - Forse. (Cordiale) Hai finito?

Lidia                                - Si.

Rudi                                - Vien qua. (Lidia si abbandona sul divano accanto a lui, sospirando)

Lidia                                - Oh!... Finalmente.

Rudi                                - Non devi affaticarti cosi. Quando hai bi­sogno di un aiuto, "Rudi!" grida. E Rudi scatta. (Le passa un braccio attorno alle spalle) Eh, vecchietta mia! Cosi è la vita... (Fa oscillare il divano) Dondo­la, vita!... Dondola, amore!... Dondola, dondola... Sen­ti. Sembra che suoni per noi.

Lidia                                - (Rovesciando indietro la testa) Già.

Rudi                                - Uno di questi giorni, mi metto a studiar musica.

Lidia                                - (sognante) Chi l'avrebbe detto, che tutto s'arrangiava cosi! Ho creduto realmente che ci sa­remmo dispersi, lasciati, perduti,..

Rudi                                - (canticchiando) Perduti, perduti...

Lidia                                - E invece no All'improvviso, dal nulla... (Ru­di si drizza a metà col busto, l'orecchio teso)

Rudi                                - Senti?

Lidia                                - Cosa?

Rudi                                - Ha smesso. (Lidia annuisce vaga, senza dargli importanza)

Lidia                                - Si. (Riprende) Ma in fondo al cuore una speranza l'ho sempre avuta, sai. Incerta, nebbiosa... Ma c'era.

Rudi                                - Scusa un momento. Do un'occhiata. (Esce da destra, sulla parte invisibile della terrazza. Lidia continua)

Lidia                                - Che senso avrebbero le cose che ci han­no insegnato, se tutto dovesse finire cosi... Marcio, guasto, infetto? Marco sbaglia a dire che si giudica dai risultati. Quello che è giusto, è giusto sempre. (Ridacchia) Ma certo contano, i risultati!... Non sia­mo mica dei santi. (Si alza) E io ho fiducia nei miei... Dicano quello che vogliono, scrivano quello che vogliono... Il fondo è sano! (Lentamente, a de­stra, riappare Rudi. Ha l'aria inebetita, sfatta, suda­ta, come emergesse da un corpo a, corpo. Si ferma in silenzio a contemplare la moglie. Si ode un campa­nello dall'interno della casa. Lidia si riscuote, alle­gra, volgendosi a Rudi) Il telefono! Forse son loro. (Esce di corsa. Nel silenzio assoluto che si fa subito dopo, Rudi gira appena lo sguardo, come osservasse il suo mondo per la prima volta. Fa qualche passo, avvicinandosi ai libri. Con gesto improvviso, li spaz­za via. Si volta, e spazza via i fiori. Si butta rabbio­so sul tavolo, e a gran manate fa volar via piatti e bicchieri, mosso da una furia crescente e disperata. Alla fine si accascia in un angolo, di spalle. Rientra Lidia festosa) Era Mamma Varon! Vuol venirci a trovare... (Si ferma, stupefatta, guardandosi attorno. Si avvicina al marito) Rudi... (Rudi balza in piedi, allontanandosi)

Rudi                                - No!... Basta. Basta. Ce le ho addosso da 30 anni, le tue mani!... Qua. Alla gola.

Lidia                                - (sbiancandosi) Cosa... Ti ho fatto?...

Rudi                                - Mi guardi! Azzurri, grigi, bianchi gli occhi hanno cambiato colore... Ma non si stancano. Mai!

Lidia                                - Rudi...

Rudi                                - Ai morti, li chiudono, quando non serve più!... Eppure sanno, ch'è una tortura. Si sbatte in faccia all'imputato, la luce, per farlo confessare!... Bene, Lidia. Mi arrendo anch'io. Confesso.

Lidia                                - (sbalordita) Che... cosa?

Rudi                                - Di essere un altro. Non quello che t'ha sposata. Un altro. Non quello che legge libri. Un altro. Non aspetto mio figlio, non amo mia moglie, non abito qua! Vivo altrove, (Indica verso destra) Perfino in casa sua, guarda! E Dio sa che m'è anti­patico, l'architetto!... Dappertutto. Vivo dappertutto. Ma non qua! (Con un gemito) Qua... Muoio.

Lidia                                - (con un filo di voce) Per colpa mia.

Rudi                                - Si. M'avessi lasciato una zona d'ombra! Poco, sai... Un angolino... Ce l'avrei fatta, a non ve­dermi. Ma lei no!... Perfetta, implacabile, dolorosa. Marco è filato via come un razzo, appena s'è accorto, crescendo, di vivere sotto un Faro!

Lidia                                - Marco è cambiato.

Rudi                                - Tanto meglio! Lui arriva, e io parto. Ci guadagni.

Lidia                                - Dove vuoi andare?... (Rudi alza le spalle. Poi, di colpo, si mette a piangere, nascondendo la faccia. Lidia gli accorre vicino) Rudi... Amore mio... (Rudi si copre le orecchie, urlando)

Rudi                                - No, Baastaa!

Lidia                                - (sgomenta) Ma cosa... Dovrei dirti?...

Rudi                                - Che non lo credi neppure tu. Dimmelo, te­soro. Dimmelo, cara. Dimmi che non lo credi, che ci si possa amare tutta la vita!

Lidia                                - (smarrita) Ma io... Ti amo...

Rudi                                - Anch'io. E non perché sono obbligato, eh Uno si sposa e ama. È la legge No, no. Perché hai 16 anni, tutti i capelli, i denti bianchi. Ti amo perché non ti ho mai visto prima, vorrei piacerti e non oso. Ti amo perché non ho mai vissuto con te... (Le lacrime cominciano a scendere sulle guance di Lidia) ... e non ti ho ancora sacrificato nulla. Per­ché non mi hai chiesto di esserti fedele, e non hai sofferto delle mie infedeltà. Perché non ti apparten­go, e non debbo quindi vergognarmi, davanti a te, d'essere piccolo, di essere... Niente!

Lidia                                - (piano, disfatta) Se anche fosse vero, non è colpa tua.

Rudi                                - (allontanandosi) D'accordo. Non è colpa mia. Ma io non l'accetto, il ruolo della scimmia! O cambiano le leggi, o mi insegnano come si fa ad es­sere un uomo. Un uomo, non un ipocrita. Fino allo­ra... Rifiuto! (Sulla soglia della casa, appaiono Marco e Tommaso. Si fermano, un po' sorpresi)

Marco                              - (allegro) Papà. (Rudi continua, senza cam­biar tono)

Rudi                                - Rifiuto, figliolo, rifiuto! Il matrimonio, i frigoriferi, la democrazia... Perfino la luna, guarda! Non la voglio, io, la luna! Non ci vado!... Uo­mo, si. Scimmia... Preferisco gli alberi. (Scosta vi­gorosamente Marco e Tommaso, e scompare nella casa. Marco lo segue con gli occhi, incerto se essere allarmato o divertito. Poi si avvicina alla madre che è rimasta immobile, affranta, gli occhi nel vuoto)

Lidia                                - L'ho perduto.

Marco                              - (allegrone) Chi? Papà?

Lidia                                - Si.

Marco                              - Vuoi scherzare. Mica prenderai sul serio un discorso sulla luna?!

Lidia                                - Non mi perdonerà mai d'avermi sacrificato qualcosa.

Marco                              - Se l'ha fatto, è perché ti voleva bene, no?

Lidia                                - Allora si. Oggi mi odia.

Marco                              - E va bene! D'accordo. Ti odia. Ma io no. Io non ti odio. E allora? Me lo si dà, un bacio? (Lidia gli getta le braccia al collo, con slancio)

Lidia                                - Almeno tu, figliolo! Almeno tu!

Marco                              - (ridendo) Certo, mammà! Bianco come la neve, forte come un leone! Oh Dio Dio Dio.. Quant'è leggera, la signorina! Vola... Vola vola!

Lidia                                - Lasciami, Marco!

Marco                              - Là... Fine del viaggio. (Indicando Tom­maso) Lo conosci, questo signore?

Lidia                                - (confusa) Oh! Mi scusi. Ero cosi agitata che...

Tommaso                         - (sorridendo) Per carità.

Lidia                                - La trovo bello, elegante. Tutto...

Marco                              - Tutto nuovo!

Tommaso                         - Si direbbe. Mi dà del "lei"...

Lidia                                - (sorpresa) Io? O Gesù! Come mai?... E si che... (Lo fissa) Tommaso.

Tommaso                         - Prego?

Lidia                                - Sei Tommaso.

Tommaso                         - (stupefatto) Certo...

Lidia                                - Appunto. (Un silenzio, che Marco si af­fretta a interrompere, festoso)

Marco                              - Allora?! Si mangia, o dobbiamo tornar­cene alla stazione?

Lidia                                - (riscuotendosi) Perdonami, caro!... È colpa mia... (Si affanna a mettere ordine)

Marco                              - (aiutando) Guarda un po' che casino han combinato! Alla loro età!... (Alla madre, scherzoso) Vergogna!

Lidia                                - (arrossendo) Marco! Ti prego! (A Tomma­so) La cameriera sta poco bene, e...

Tommaso                         - Si, si, l'abbiamo vista, è venuta ad aprirci.

Marco                              - (buffone) Brutta, mio Dio! Brutta!... (Al­la madre, indicando il pavimento) Attenta ai vetri.

Tommaso                         - (aiutando) Lasci, signora...

Lidia                                - Ora prendo uno straccio...

Marco                              - Vado io! Aspetta! (Entra nella casa, men­tre, Lidia gli grida dietro)

Lidia                                - Nel terzo cassetto! In corridoio! (A Tom­maso) Avevo arrangiato tutto cosi bene...

Tommaso                         - Non si preoccupi, signora. È, già a po­sto. (Raddrizza un vaso) Ecco fatto. Volevamo por­tarle dei fiori, ma era chiuso.

Lidia                                - (fissandolo) Sembri più alto.

Tommaso                         - (ridendo) È il vestito! Marco ha volu­to che andassi dal suo sarto.

Voce di Marco                - (dalla casa) Tommaso!

Tommaso                         - Si?

Voce di Marco                - Dove hai messo il disco?

Tommaso                         - Nella borsa!

Lidia                                - (a Tommaso) E Stella?

Tommaso                         - Stella? Va bene.

Lidia                                - Non l'hai portata con te.

Tommaso                         - Beh, sa. Pensavo che...

Lidia                                - Hai ragione, hai ragione! (Con altro tono) Vi siete sposati in fretta.

Tommaso                         - No...

Lidia                                - Voglio dire... Avete aspettato molto, ma poi è stato fulmineo.

Tommaso                         - Abbiamo deciso cosi. All'improvviso.

Voce di Marco                - Mamma!

Lidia                                - Caro?

Voce di Marco                - Cosa c'è, nel cassone?

Lidia                                - Roba di papà, tesoro. Lascia stare. (Tom­maso sorride, alludendo a Marco)

Tommaso                         - Qualche buffonata. Non invecchia mai.

Lidia                                - Ha sofferto molto per il bambino?

Tommaso                         - Chi? Stella? No, no... Se fosse nato, forse. Ma cosi...

Voce di Marco                - Siete pronti?

Tommaso                         - Pronti a cosa?

Voce di Marco                - Adesso vedi.

Tommaso                         - Va bene. Pronti.

Voce di Marco                - Via, allora! (Due squilli allegri d'orchestra. Poi comincia una canzonetta, facile fa­cile, leggera, maliziosa, che ricorda un po' i ritmi del '35. Evoca file di ballerine in frac, sorridenti at­torno al divo di cui imitano i passi. È di Gilbert Becaud, e si chiama "Dans ces moments là". Appare Mar­co. Ha infilato i guanti in pelle bianca di Rudi, av­volto attorno al collo la sua sciarpa di seta 'bianca, calzato in testa il suo cilindro. E in mano, facendolo piroettare con una certa grazia per un dilettante, ha un bastone d'ebano dal pomo bianco, che Rudi usa­va in altri tempi con l'abito da sera. Poche cose, quindi, non un travestimento. Eppure Marco riusci­rà senza volerlo - nel breve intervallo del gioco in cui balla e canta - ad evocare il padre, ad essere per il momento il padre, il suo tempo, la sua alle­gria)

Marco                              - Quand la nuit se promène / Sans s'oc-cuper de moi / Alors je pense à elle / Alors je la revoie... (Fa un cenno a Tommaso che si unisce a lui, ridendo)

Marco e Tommaso           - Ah! Come elle était / Dans ces moments-là!...

Marco                              - Tout le meilleur du monde / Elle me le donnait / Alors; à la seconde / Où ses yeux se fer-maient... (Cenno a Tommaso)

Marco e Tommaso           - Ah! Comme elle était / Dans ces moments-là!... (Marco gira intorno alla madre, sorridente, buffone. La donna lo segue con gli occhi, immobile, trasognata)

Marco                              - Que reste-t-il d'un ange / Quand il s'est envolé? / Trois, quatre plumes blanches / Sur un grand lit fané... / Ah!... (Ma non arriva a ripetere il refrain. Lidia si lascia cadere sulla poltrona di vimi­ni. Disperata, raccogliendosi tutta in se stessa. Mar­co s'interrompe. Dall'interno della casa, la musica continua, sciocca, abbandonata) Mamma!... Cosa c'è, adesso?... Eh?... E per papà?... Ti ho ricordato papà? (La donna tiene la faccia nascosta fra le mani. Mar­co fa un cenno a Tommaso, che entra in casa a fer­mare il disco) Smettila, su!... Non è dignitoso. (Li­dia lo guarda) Certo!... Perché dovremmo buttar in faccia a Tommaso gli affari nostri?... Sei cambiata, mammà. Ti lasci andare.

Lidia                                - Lo scopri adesso.

Marco                              - Cos'è? Un rimprovero?

Lidia                                - Oh...

Marco                              - Colpa tua, se le cose sono arrivate a 'sto punto.

Lidia                                - Mia?

Marco                              - Hai messo papà con le spalle al muro, l'hai obbligato a scegliere: O un pagliaccio, o un vecchio. Si vede riflesso in te come in un vetro - orrendo - e te ne serba rancore. Possibile che tu non lo capisca, mammà? Vuol essere libero.

Lidia                                - Da me.

Marco                              - Da tutto!... Vuole mentirsi, respirare. E alla tua altezza è difficile. Manca l'aria.

Lidia                                - Per questo sei scappato.

Marco                              - (sorridendo) Se credi che bastino mille chilometri, a soffocarti la voce!

Lidia                                - Vi do fastidio.

Marco                              - (con calore) No! A me no!... Può darsi che tu abbia fallito con papà. Non lo credo eh. Lascia ch'io gli dica due parole...

Lidia                                - Marco.

Marco                              - Va bene, va bene! Starò zitto. (Ripren­dendo) Ma ad ogni modo, l'altra metà dell'esercito è salva. (Mette un ginocchio a terra, spalanca le braccia) Eccola qua. Giovane, affamata... (Sorriden­do) Vogliamo nutrirla? (Lidia non può fare a meno di sorridere a sua volta) Si o no?

Lidia                                - (accarezzandolo) Certo...

Marco                              - Oh! Finalmente! (Balza in piedi e urla, allegro) Tommaso! (Annusa fra i piatti) Mmm... Ro­ba fredda, vedo.

Lidia                                - Credevo che tu...

Marco                              - Certo, mammà, certo! D'estate... (Prende in mano una bottiglia, esagera la sorpresa) Oh Dio!... E questo cos'è?... Champagne?!

Lidia                                - (sorridendo) Si. (Marco si volta verso Tommaso che è rientrato)

Marco                              - Hai capito? Champagne! (Buffone) Ma allora ditelo, scusa! Ditelo, che siete abituati alle orge! Almeno uno si regola... (Butta ridendo la bot­tiglia a Tommaso) Aprila! (Prende un piatto e le po­sate. Alla madre) Ti servo io, eh!

Lidia                                - Quanti giorni rimani?

Marco                              - (riempiendo il piatto) Pochi, pochi!... Giu­sto il tempo di dirti due bugie... Pollo, mammà? Lin­gua? Arrosto?

Lidia                                - Mangiate all'aperto anche a Roma?

Marco                              - Non in casa mia. Tommaso, ha un ter­razzino.

Tommaso                         - Piccolo, sa. Senza fiori, senza niente... (Sorridendo) C'è solo un divano a dondolo, come quello.

Marco                              - Ecco qua! (Porge il piatto alla madre) Va bene cosi? Ho messo un po' di tutto.

Lidia                                - Grazie.

Tommaso                         - (versandole da bere) Signora...

Lidia                                - (schermendosi) Basta, figlioli, basta. Pen­sate a voi.

Marco                              - Stai tranquilla! (Addenta qualcosa, strap­pa la bottiglia dalle mani di Tommaso) Signori! Pri­ma che la fame riporti mio padre fra noi - cosa che ritengo inevitabile entro dieci minuti al massi­mo - io levo alto il bicchiere...

Tommaso                         - è una bottiglia.

Marco                              - Fa lo stesso. (Riprendendo) Alto, e dico... (S'interrompe, guardando allarmato verso l'interno della casa) O Gesù!... Sta arrivando la Patria. (Tom­maso e Lidia seguono il suo sguardo. Sulla soglia compare mamma Varon)

Mamma Varon                - (senza sorridere) Buonasera.

Lidia                                - (alzandosi) Signora...

Mamma Varon                - Spero di non disturbare. (Marco interviene allegro, sfottente)

Marco                              - Per carità! Aspettavamo lei. (Alla madre, seccato) Chi gliel'ha detto, del nostro arrivo?

Lidia                                - Io. (A mamma Varon) Si accomodi.

Mamma Varon                - Grazie.

Lidia                                - Prende qualcosa?

Marco                              - Un goccio di champagne? (Mamma Varon fa cenno di no)

Mamma Varon                - Io non ho nulla da festeggiare.

Marco                              - (allegro) E chi lo sa? Vuole che non ci sia nel nostro calendario una battaglietta, un mas­sacro, di cui proprio oggi...

Lidia                                - Basta, Marco! (A mamma Varon) Un po' di dolce?

Mamma Varon                - Vorrei solo parlare con Tomma­so. (Questa volta Marco interviene brusco)

Marco                              - No, signora! No. Mi dispiace. Siamo ve­nuti qui per trovare mia madre, e non...

Tommaso                         - (interrompendolo) Lascia perdere!... Tanto, prima o poi... (A mamma Varon) Dica.

Mamma Varon                - Dov'è Stella?

Tommaso                         - A Roma.

Mamma Varon                - No! (sconvolta) Mi ha chiamato questa notte da un porto... Da una nave... Non so, non ho capito. Piangeva nel telefono... Rideva... Urla­va... Dov'è? (Un silenzio, durante il quale Tommaso continua a guardare mamma Varon con occhi inter­rogativi, quasi ascoltasse un suono lontano. Poi dice a voce bassa)

Tommaso                         - Non lo so.

Mamma Varon                - Com'è possibile?...

Tommaso                         - S'era messa in testa che io rimandavo il matrimonio per via del bambino... Che ci avevo ripensato, non lo volevo più, l'avrei amata meno... E cosi... Ha fatto in modo che non venisse al mondo.

Mamma Varon                - Lei?!

Tommaso                         - (a Lidia, con calore) È, stato proprio quel gesto - mi creda- a darmi un senso di repul­sione!... Altrimenti... (Debole, un po' vile, quasi sup­plichevole) Vi assicuro... Io... Io l'avrei sposata.

Mamma Varon                - Non l'hai sposata?!

 

Tommaso                         - No. (Mamma Varon scatta con vio­lenza, incredula)

Mamma Varon                - Ma come?!... Se me l'ha scritto lei!... Me l'ha raccontato lei!... (Fruga nella borsetta) Ah, perdio!... Non sono mica pazza!... Ecco qua... (A Lidia, eccitata) Senta, signora! Senta! (Ha estratto una lettera, legge) "Finalmente, mamma. È accadu­to oggi, all'improvviso. A dir la verità, lo sentivo nell'aria. Sai quelle giornate di sole leggere, che sembra­no riflesse in un palloncino?... Mi pareva"... (Volta pagina, febbrile, ripetendo) Mi pareva... (Improvvisa­mente, Tommaso attacca con voce lontana, a me­moria)

Tommaso                         - "...Di essere tornata a casa, quando aprivo le finestre, al mattino, e chiedevo al Cielo un ' miracolo..." (Mamma Varon a poco a poco tace, stu­pefatta, mentre Marco continua al posto di Tomma­so, ma più vivace)

Marco                              - "...Bussano alla porta. Apro. È Tomma­so..." (La luce si è andata concentrando su di un an­golo della terrazza, intorno al divano a dondolo, men­tre i personaggi scompaiono nell'ombra, e la voce di Marco continua) "...Oh, mamma! Credi a quel che ti scrivo!... Non mi capiterà mai più, mai più, mai più, una giornata cosi felice!" (Nel cerchio di luce compare Stella, piangendo. Si affloscia sul divano) "Spero di vivere a lungo, e di ricevere ancora molte belle sorprese. Ma una gioia come questa - lo so, lo sento - non si ripeterà." (Tommaso entra nel cer­chio di luce)

Tommaso                         - Stella. (La ragazza si affretta a tirar­si su, asciugandosi gli occhi e il naso)

Stella                               - Oh! Scusami... Scusa, Tommaso.

Tommaso                         - Ti rendi conto che è esasperante?

Stella                               - (umile) Mi ha preso cosi... D'un tratto.

Tommaso                         - (cercando di dominarsi) Per che cosa?

Stella                               - Non lo so. Forse la nostalgia. Forse...

Tommaso                         - Forse?

Stella                               - (cercando di sorridere) Mi sento un po' sola.

Tommaso                         - Se ti vedo tutti i giorni!

Stella                               - Tu, si. Ma io...

Tommaso                         - (ironico) Non mi vedi più.

Stella                               - Appena appena. In una nebbia.

Tommaso                         - Cosa dovrei fare? Sdraiarmi ai tuoi piedi, tenerti la mano, lasciarmi morire?

Stella                               - Chi ha detto questo...

Tommaso                         - Mi rimproveri di esser giovane?

Stella                               - Oh, no! Se tu fossi giovane...

Tommaso                         - Avanti.

Stella                               - Non avresti questa smania di godere il tempo perduto. I giovani fanno dei sacrifici. Tu li hai fatti, per me!... È adesso, che hai voglia di divertirti. È adesso che invecchi.

Tommaso                         - E ha il coraggio di dirmelo! Lei!

Stella                               - Lo so, lo so...

Tommaso                         - (gridando) Anche volendo, non avrei potuto sposarti, fino ad oggi!... Devo prima crearmi una base...

Stella                               - Perché mi hai fatto venire a Roma?

Tommaso                         - Perché ce l'avevo, l'intenzione! E ce l'ho ancora!... Solo, che ho bisogno di mezzi... Di lavorare...

Stella                               - (stancamente) Lascia perdere, Tommaso.

Tommaso                         - (offeso) Che significa?... Io non la­voro? Marco non lavora?

Stella                               - No.

Tommaso                         - Ah, no?... E cosa facciamo, di grazia?

Stella                               - Molte telefonate.

Tommaso                         - Cosi! Nell'aria?! (Stella si alza, esausta)

Stella                               - Oh, Tommaso! Basta! Ti prego... Ogni parola che dici... Mi sembra... Il fischio di un treno. Io vado, e tu ritorni. Ora ci stiamo incrociando. Ma tra un mese, sentirò appena l'eco... E fra due, sarò sola. (Tommaso esclama, supplichevole)

Tommaso                         - Perché non mi lasci vivere, Stella? Perché non vuoi avere pazienza? Perché dramma­tizziamo? Mi sono un po' allentato... Un po'... Ab­bandonato, cosi... La città è bella, la gente facile, abbiamo degli amici...

Stella                               - Voi, li avete.

Tommaso                         - Non pretenderai di starmi aggrappa­ta al braccio tutto il giorno?!

Stella                               - No, certo...

Tommaso                         - Poi li hai anche tu... (sorridendo) At­traverso di me.

Stella                               - E cosi, per procura, conosco tutta Ro­ma. (Tommaso ride)

Tommaso                         - Ecco, vedi? Adesso mi piaci. Quan­do hai ancora le tue uscite strambe, le tue... Ciò che mi attirava, in te, era proprio la leggerezza, una specie di aria... (L'attira a sé) Vien qua, mio pallon­cino. Vieni, cavallo a dondolo. Vieni, odor d'estate. Lasciati coccolare un po', e dimmi che mi perdoni. Io ti perdono.

Stella                               - (sbiancandosi) Che cosa?

Tommaso                         - (precipitoso) No, no!... Non parlavo di quello... Ormai è superato.

Stella                               - Ma non lo dimentichi.

Tommaso                         - Si, invece!

Stella                               - (disperata) È, stato Marco, a convincer­mi che non avresti sopportato il bambino!

Tommaso                         - (in tono di rimprovero, leggero) Stel­la...

Stella                               - Ti giuro!

Tommaso                         - (spazientito) Non è vero!... L'hai pen­sato tu. Troppo comodo, buttargli tutto sulle spal­le! (Torna affettuoso, le parla all'orecchio come si fa coi bambini per convincerli) Marco è un amico.... Ci vuole bene.

Stella                               - Se dicessi cosa ha tentato con me.

Tommaso                         - (scattando) Ah no, eh! Basta. È spor­co, questo continuo insinuare! Sleale!... Se io fac­cio la pace con qualcuno, la faccio sino in fondo: Marco mi ha dato i soli momenti liberi della mia vita. La sola vacanza!

Stella                               - Questo è vero.

Tommaso                         - (incalzante) C'è qualcosa di male?

Stella                               - No... Se non fosse una vacanza di bam­bini.

Tommaso                         - Oh! Quante storie! Sarei il primo ad accorgermene, se Marco cercasse di nuocermi. L'ho tenuto lontano per anni, sai. In quarantena!

Stella                               - E lui s'è vendicato.

Tommaso                         - (con foga, sincero) La Madonna!... Ci aiuta! Paga! Mi troverà un lavoro...

Stella                               - (ironica) Quando?

Tommaso                         - (in fretta) Presto, presto... (Conti­nuando) ...E lo chiami vendicarsi questo?!... Sotto­scrivo subito. Vendicatori cosi, tutta la vita! (Più. calmo) Ah! La verità è che tu sei accecata, Stella. Accecata. (Con altro tono) Che ora è? Son fuori a pranzo.

Stella                               - Tommaso... (Tommaso si china a slac­ciarsi le scarpe)

Tommaso                         - Ti dispiacerebbe, tesoro, cercarmi le scarpe nere? Non so più dove le ho ficcate.

Stella                               - ... Se io me ne andassi col primo venu­to, per liberarti di me e del rimorso, ne soffriresti ancora? (Tommaso alza la testa)

Tommaso                         - Eh? (Stella lo guarda in silenzio) Non ho capito, scusa! (Stella tace. Spazientito) E va be', tesoro, come vuoi... (Sorridendo) Le scarpe. Ti prego. (Stella esce. Entra nel cerchio di luce, al­le spalle di Tommaso che è tornato a chinarsi, Mar­co, in punta di piedi, con una scatola legata da un gran nastro rosa. La batte per gioco sulla testa di Tommaso, che subito si raddrizza, trasalendo. Mar­co gli allunga la scatola sotto il naso)

Marco                              - Per Stella. (Tommaso prende la scatola)

Tommaso                         - Oh! Grazie... Cioccolatini. (Polemico) Cosi vedrà, quella stupida!...

Marco                              - Che cosa?

Tommaso                         - Niente, niente. Siamo in ritardo?

Marco                              - No... (Siede, di buonumore, versandosi da bere) Ma siamo nei guai. (Tommaso lo guarda, allarmato) Stella è qui?

Tommaso                         - Si. (Marco si sporge un po' in avan­ti, abbassando la voce)

Marco                              - Mamma Varon. Ha telefonato da Vene­zia.

Tommaso                         - A te?

Marco                              - Vuol sapere come vanno le cose... Per­ché non vi siete ancora sposati... Minaccia di tira­re in ballo mia madre... Insomma, bisogna calmarla. Devi partecipare il matrimonio.

Tommaso                         - Io?

Marco                              - Le carte erano pronte da un pezzo. Un bel mattino sei passato a prendere Stella... E avete concluso tutto. Cosi. All'improvviso.

Tommaso                         - Io non lo dirò mai.

Marco                              - Non tu! Lei. Lo scrive lei, alla madre. Noi l'aiutiamo. (Tommaso lo fissa, Marco ride) Tom­maso!... Hai intenzione di sposarla, si o no?

Tommaso                         - Certo.

Marco                              - Oh!... Niente te lo impedirà. Dici solo d'averlo già fatto. Tu prendi respiro, e liberi me dalle inchieste familiari. (Un silenzio. Poi Tommaso distoglie lo sguardo, e chiede piano)

Tommaso                         - Marco.

Marco                              - Si?

Tommaso                         - Sono molto cambiato, in questi tem­pi? (Marco esita un attimo. Dice allegro)

Marco                              - Certo che sei cambiato. Ti sei fatto più umano, più simpatico, più tollerante... Più... Più ita­liano, ecco! Hai imparato a sorridere. Ne avevi bi­sogno.

Tommaso                         - Credi.

Marco                              - (ridendo) O Gesù!... Sembravi un prete.

Tommaso                         - Però mi ammiravi.

Marco                              - Per le tue qualità! Quelle restano. So­lo... Che le hai un po' arrotondate, le hai rese più gradevoli... Tu stesso ti senti meglio, va'! Sii sin­cero.

Tommaso                         - Non sempre.

Marco                              - Eh, ci vuol tempo!... Tutto sta a comin­ciare.

Tommaso                         - Quando, è cominciato?

Marco                              - Quando hai perdonato me. Quando hai capito che i giorni dell'ira sono finiti da un pez­zo, e che la vita è fatta per sorridere, per capirsi. Nessuno ha l'obbligo di mettere il cilicio, in un mon­do che si diverte, e può pure saltare in aria. Le hai mai viste in giro, tu, le réclames dell'anima? Io no. Io non vedo che materassi e gommapiuma... Si ve­de che il sedere è più importante. (Tommaso sor­ride)

Tommaso                         - Cosa dovrebbe scrivere, Stella?

Marco                              - Quello che direbbe se fosse vero! "È sta­ta una sorpresa... Una gioia come questa... Infanzia addio..."  - (Entra Stella, portando le scarpe nere e un abito stirato. Marco tace di colpo)

Stella                               - Le tue scarpe, Tommaso.

Tommaso                         - Grazie.

Marco                              - (allegro, marcato) Buonasera!

Stella                               - (gentile) Buonasera, Marco. (Si avvici­na ai due, si china, mette le scarpe ai piedi di Tom­maso, aggiusta un cuscino, depone con cura l'abito sulla spalliera della sedia, raccoglie i bicchieri sporchi dal tavolo. I due uomini la seguono con lo sguardo, in silenzio. Quando Stella sta per uscire, Tommaso chiama)

Tommaso                         - Stella. (Stella si ferma, senza voltarsi)

Stella                               - Si?

Tommaso                         - Fatti vedere. (Stella si volta)

Stella                               - Cosa c'è? (Sorride appena, nervosa. Lei è di faccia alla platea, i due uomini di spalle. A po­co a poco la luce si spegne) Eh?... Cosa c'è, Tom­maso?... (Si ode ancora la sua voce chiedere, con una risatina inquieta) Tommaso!... Volete spiegar­mi?... (Poi tutto piomba nel buio. Quando la scena si illumina di nuovo completamente, Stella è scom­parsa. Mamma Varon, Lidia, e Tommaso, sono im­mobili, assorti. Marco si alza, e viene ad accender­si una sigaretta al proscenio. Finalmente Lidia dice con voce sorda)

Lidia                                - Vai via, Tommaso.

Tommaso                         - (riscuotendosi) Io?... Perché? Cosa le ho fatto?

Lidia                                - Vai via.

Tommaso                         - Senta, signora... Credo d'avere il di­ritto... (Marco si affretta a intervenire)

Marco                              - Lascia perdere, Tommaso... Vieni... Ti ac­compagno... (Cerca di prenderlo per il braccio, ma Tommaso si libera, furioso)

Tommaso                         - E piantala, perdio! Sempre 'ste mani addosso!... Voglio sapere di che mi accusa, tua ma­dre!

Marco                              - (spingendolo verso la casa) Ma di nien­te... È nervosa... Andiamo, su... Ti prego... (Tommaso comincia a gridare, mentre Marco lo spinge via)

Tommaso                         - Se avessimo avuto a che fare con una santa, vero... Capirei!... Ma non è proprio il caso mi sembra!... Mamma Varon!... (Mamma Varon tace, immobile) Vuole che ricordiamo assieme tutta la storia? ...Eh?... Io ho fatto molto più del mio dove­re!... Molto, molto, molto di più!

Marco                              - (spingendolo) D'accordo, d'accordo... An­diamo... (Tommaso urla, con un groppo alla gola)

Tommaso                         - E non lo dimenticate, questo! (Marco è riuscito a spingerlo in casa. Si ode ancora la voce di Tommaso che continua dall'interno, allontanando­si) Capito?!... Non lo dimenticare mai! (La voce si perde. Lidia è chiusa nei suoi pensieri, disfatta, an­nientata. Mamma Varon è la prima a riaversi)

Mamma Varon                - Coraggio, coraggio... Non se la prenda. Doveva ben finire cosi, quella stupida. Do­mando io!... Innamorarsi! (Con angoscia, dubitosa) Pur che si rifaccia viva...

Lidia                                - (piano) Ho sbagliato tutto.

Mamma Varon                - Ah, questo può dirlo! La colpa è sua. È stata lei, il primo motore. (Ironica) Andare sino in fondo! Cambiare per forza la testa della gen­te!... (A Lidia) Chi glielo chiedeva, scusi?... A parte il bambino, sono convinta che Stella andava benis­simo, con un vecchio.

Lidia                                - Sposato.

Mamma Varon                - (spazientita) Oh! Senta!... In ca­sa nostra, c'era una zia - brutta, fra l'altro       - che ha avuto per quindici anni una relazione con un pre­te. Beh? Dove lo trovava, uno più rispettabile?... È stata felicissima. Nessuno ha mai scoperto niente, e quando è morta, il Vescovo le ha fatto avere una be­nedizione speciale per la sua "assiduità alla chiesa". Capirà. C'era andata due volte al giorno, per quindi­ci anni! (Con forza) L'importante è salvare le appa­renze, signora mia, per il semplice fatto che dietro non c'è più niente! Ma lei no. Lei si ostina ad ar­rampicarsi nel vuoto, ed ecco qua: Marco ha man­giato Tommaso che ha mangiato Stella che mangerà me... Sembra una storia di pesci. E chi sa, forse ci stiamo, sott'acqua. Di aria ne sento poca. Le auguro d'aver almeno riconquistato suo marito, cara signo­ra! Altrimenti... Scusi, sa... Ma può anche chiuder bottega! (Prende la borsetta per andarsene, ma si ferma, rabbiosa) E poi, dico! Santo Cielo! In nome di che?l Di che cosa?!... Della morale? (Ironica) "Eterna, naturale"?... E i figli di Adamo, allora? Di Adamo ed Eva. Erano fratelli e sorelle. Su questo, cre­do, non ci sono dubbi. Ma se hanno creato una di­scendenza, qualcosetta l'avranno pure combinata, fra loro. Lo Spirito Santo non usava ancora ch'io sap­pia... E allora? Cos'è, questa morale, se oggi l'incesto è mostruoso, mentre allora era necessario? Una bur­letta, che cambia cosi, da un secolo all'altro!... Cam­biamola anche noi. Niente di male. Facciamone una più adatta alla Repubblica, come la Costituzione!... E non mi venga a dire che certi principi sono sacri perché durano da tre, quattro o cinquemila anni! Anche la peste era molto antica, e adesso non c'è più. (Quasi gridando) E allora? E allora?! Di che parlano?! Di che parliamo?! Si apre la bocca a dire cheli (Sulla soglia della casa compare Rudi, in ve­staglia)

Rudi                                - Ho fame.

Mamma Varon                - (indicandolo) Ecco!... Solo que­sto! (Cupa) Ma è da un pezzo, che io ho lo stomaco in disordine. Non mi va più... Arrivederci, signora. Arrivederla, signor Laurino. (Esce. Rudi la segue un momento con lo sguardo. Poi, gettando appena un'oc-chiatina ostile alla moglie, si avvicina al tavolo e co­mincia a piluccare qua e là. Lidia si è girata verso di lui, e lo fissa in silenzio. In questo momento, sta facendo il bilancio della sua vita)

Rudi                                - (innervosito, ma evitando gli occhi di lei) Beh? Cosa c'è da guardare?... Mangio come parlo. Con le mani. (Rientra Marco) Oh! Eccolo qua. (Leg­gero) Dov'è Tommaso?

Marco                              - È andato via.

Rudi                                - (c.s.) Cosi presto?... Ho sentito una bella canzoncina, poco fa. Perché non la rimetti?

Marco                              - Dopo.

Rudi                                - Dopo che? (Alza la testa e nota che Lidia e Marco si stanno guardando. Un po' offeso) Oh!... Scusate. Forse sono di troppo. Se dovete parlarvi... (Marco si avvicina al tavolo)

Marco                              - Credo di no. (Alla madre) Vero? (Disin­volto) Sono un mostro, papà! Degno del fuoco e del­la pece. Ormai è assodato, e non c'è più niente da dire. (Mangia qualcosa, ed esclama rivolto alla ma­dre, in tono di rimprovero) Ma io ti avevo avvertito, eh! Sin da quando ero piccolo. "Non obbligarmi, a guardare dentro di me!... Non obbligarmi!"... Ora abbiamo visto chiaro. (Indicando il piatto del padre) Cos'hai lì?

Rudi                                - Ne vuoi?

Marco                              - un pezzetto.

Rudi                                - Certo! (Serve il -figlio, e intanto gli chiede sottovoce, alludendo a Lidia) Si può sapere perché non parla?

Marco                              - Mah! (Si volta, e dice gentilmente) Vuoi qualcosa, mammà? Eh? Mangia qualcosa? (Lidia ta­ce) Non stare in piedi, almeno! Ti stanchi. Ecco, guarda... La tua poltrona. To'! (Mette la poltrona di vimini al centro della terrazza, volta verso il pub­blico. Lidia siede) Oh! Brava. Hai freddo? Vuoi uno scialle?... (Scattando) Mamma!

Rudi                                - Lasciala stare, figliolo. Non torturarla.

Marco                              - Potrebbe almeno dire "no", se permetti!

Rudi                                - Lo dice, Marco, lo dice. Sembra, che stia zitta. Ma dice "no". Sempre. (Marco si avvicina alla madre. Dolcemente)

Marco                              - Vuoi che giochiamo a carte assieme?

Rudi                                - (eccitato come un bambino) Io, Marco! Io! Io!

Marco                              - (c.s.) Ci mettiamo al tavolino, e facciamo una bella partita, come una volta. (Lidia scuote ap­pena la testa)

Lidia                                - Grazie.

Marco                              - (a Rudi) Ha detto "grazie"!

Rudi                                - Grazie noi... (Corre al tavolino di prosce­nio) Vieni, vieni. Gioca con me.

Marco                              - (voltandosi) Quanto? (Rudi tira fuori le carte dal cassetto)

Rudi                                - Quello che vuoi. Purché metti i soldi sul tavolo.

Marco                              - E tu?

Rudi                                - Mettili sul tavolo.

Marco                              - I tuoi soldi, dico.

Rudi                                - (urlando) Mettili sul tavolo!!... Me li pre­sti tu, no?

Marco                              - (con ironica deferenza) Oh, scusa... Non avevo capito. (A Lidia) Gioco con papà, ma in nome tuo, eh. La vincita è tua.

Rudi                                - (mischiando) Dai, dai, Marco. Muoviti. (Marco si avvicina)

Marco                              - Chi fa il mazzo?

Rudi                                - Io.

Marco                              - Perché?

Rudi                                - Perché sono tuo padre.

Marco                              - (sedendosi) Ti pare che basti?

Rudi                                - Alle carte, sì. Taglia. (Marco taglia) Quan­to ti giochi?

Marco                              - Cinquemila.

Rudi                                - (inesorabile) Vedere. (Sospirando, Marco mette mano al portafoglio, mentre Rudi distribuisce le carte)

Marco                              - Hai capito, mammà? Gioca contro di me coi soldi miei, e ancora non si fida. (Mette sul tavolo 5000 lire) To'.

Rudi                                - (fiero) Io non mi fido di nessuno! (Marco gioca)

Marco                              - Re.

Rudi                                - Mica sono tua madre, sai... Io so vivere. (Gioca) Quattro.

Marco                              - (gioca) Dieci.

Rudi                                - Vero che anche lei, per questo... (A voce alta, insolente) Come va la salute, Lidia? (A Marco, ma senza abbassare molto la voce) È incredibile, sai, quanto s'è ripresa negli ultimi tempi!... Ginocchia, cuore, pressione... Niente, niente. Tutto a posto.

Marco                              - (gioca) Donna.

Rudi                                - Naturalmente la cosa non è definitiva, e c'è sempre la possibilità di una ricaduta... (Ferma la mano di Marco) Che fai?

Marco                              - Prendo.

Rudi                                - Con che?

Marco                              - Con l'asso.

Rudi                                - L'asso non prende più.

Marco                              - Da quando?

Rudi                                - Da un mese.

Marco                              - Sei impazzito?

Rudi                                - O insomma! L'ho inventato io, 'sto gioco, si o no? Cambio le regole come mi pare.

Marco                              - Ma devi dirmelo.

Rudi                                - Te l'ho detto.

Marco                              - Prima!

Rudi                                - Prima o dopo... Marco!... Non essere scor­retto... Molla, molla. (Marco lascia la presa, esterre­fatto. Con la massima disinvoltura, Rudi riprende a giocare, e intanto osserva, con altro tono) Sai cosa stavo pensando, figliolo?... Che in via eccezionale - solo per qualche giorno, eh - tu potresti forse in­vitare...

Marco                              - (deciso) No.

Rudi                                - Cosa, no? (Marco indica Lidia)

Marco                              - Lei. A Roma. Non posso. (Alla madre) Scusa sai, mammà!... Ma non è proprio il momento. (Al padre) Parlassi meno! (Gioca)

Rudi                                - Allora invita me.

Marco                              - Per quale motivo? (Rudi gli stringe il braccio, infantile, disperato)

Rudi                                - Regalami una settimana di respiro, Mar­co... Di libertà... Una sola... Te ne sarò molto grato, ti giuro... Molto, molto grato... (Marco lo fissa. Sor­ride)

Marco                              - Se ti comporti bene, farò anche di più. (Rudi si sporge in avanti, ansioso)

Rudi                                - Cosa?

Marco                              - Ti mando a Rio. (Rudi si sente mancare, dalla gioia)

Rudi                                - Marco?!... O Gesù!... Non stai illudendo­mi?... Eh?... Sei un tale mascalzone...

Marco                              - Gioca, gioca. (Rudi butta le carte, balza in piedi)

Rudi                                - Ma chi se ne infischia, del gioco! ... (In esta­si) Mio Dio... Fosse vero... Via di qua... Via di qua... (Si volta verso Lidia e le grida in faccia, all'improv­viso) Viaaa! (A Marco) Posso mettere il tuo disco?

Marco                              - Devi prima finir la partita. Stai perdendo.

Rudi                                - Appunto, non m'interessa più... Scusa, sai!... Ma sono cosi eccitato... Che non riuscirei... (En­tra nella casa)

Marco                              - Papà!... Fermati, papà!... (Si alza) Ah, perdio... Ogni volta 'sta storia... Possibile che... Tor­na qui! (Gli vien da ridere)^ Papà!... Papà!... (Entra nella casa. Ma la sua voce è già coperta dallo scoppio allegro dell'orchestra, e dalla canzonetta di Becaud che risuona di nuovo, leggera, nella notte d'e­state. Lidia è rimasta sola sulla terrazza, seduta nel­la poltrona di vimini, faccia al pubblico. Immobile, ha assistito alla partita di carte. La musica si addi­ce poco alla sua figura misera, smarrita, ora che la luce, molto, molto lentamente, comincia ad andarse­ne dalla scena, raccogliendosi tutta sulla sua perso­na. Poi anche le gambe entrano nell'ombra, le mani, il busto. Non resta più che un lumicino sul viso, e alla fine scompare anche quello. La musica sopravvi­ve alla luce per 20-30 secondi. Quando tutto è di nuo­vo silenzio, un certo chiarore torna sulla scena. Ma è livido, irreale. La scena stessa è totalmente deserta. Non un tavolo, non una sedia, non un oggetto. Solo la poltrona di vimini è ancora là, alta, diritta, faccia al pubblico. Vuota. Entra Marco, vestito di nero. Si ferma ad una estremità della scena, fissando la pol­trona. Dopo un attimo entra Rudi, anch'egli vestito di nero, e si ferma un passo dietro il figlio, guar­dando la poltrona. Mostrano alla platea i loro pro­fili, e immersi in quel chiarore lattiginoso, sembra­no invecchiati, come le loro voci)

Marco                              - Ricordi, papà?

Rudi                                - Si.

Marco                              - L'ultima volta che sono stato a casa...

Rudi                                - Lei sedeva li.

Marco                              - Mi chiedo se in fondo...

Rudi                                - No, figliolo, no!... Tu non hai colpa. (Mar­co gira la testa verso di lui)

Marco                              - Neanche tu.

Rudi                                - Era stanca, malata. (Marco torna a guar­dare davanti a sé)

Marco                              - E nello stesso tempo, ricca di un vigore straordinario.

Rudi                                - Vedeva le cose in un modo solo.

Marco                              - Ed è questo che le ha reso la vita difficile.

Rudi                                - "Difficile"... Sapeva d'essere amata, mal­grado tutto.

Marco                              - Credi?

Rudi                                - Senza dubbio.

Marco                              - Ora però sei libero.

Rudi                                - Io?

Marco                              - Puoi correre, viaggiare.

Rudi                                - Sciocchezze. Prima, potevo lasciarla. Ora mi seguirebbe.

Marco                              - Hai ragione.

Rudi                                - Che ne sai, tu?

Marco                              - Ti sto dando ragione.

Rudi                                - Non la vedevi mai.

Marco                              - Senti, papà...

Rudi                                - Oh! Non ho voglia di discutere. (Si avvi­cina alla poltrona, la esamina) Dovrò dar via questa roba.

Marco                              - (trasalendo) Cosa?...

Rudi                                - Ha preso l'acqua. Marcisce. (Solleva il cu­scino) Guarda qua.

Marco                              - (scattando) Lascia stare! (Rudi si volta verso di lui) Rimetti giù quel cuscino.

Rudi                                - (ostile) Perché?

Marco                              - Rimetti giù quel cuscino. (Con un gesto di sfida, Rudi lo sbatte a terra. Marco fa un passo avanti) Raccoglilo.

Rudi                                - No. (Marco gli corre addosso, lo afferra per la giacca)

Marco                              - Raccoglilo! Raccoglilo!

Rudi                                - (lottando) Lasciami andare! (Marco grida, scuotendolo)

Marco                              - Papà pagliaccio! Papà buffone! Papà buf­fone! Papà buffone!

Rudi                                - Levati, perdio!

Marco                              - Raccogli 'sto cuscino... Raccoglilo... (S'in­ginocchia, cercando di trascinare il padre con sé. Ma Rudi resiste)

Rudi                                - Non voglio sentirmi queste mani addos­so!... Capisci?! (Riesce a liberarsi. Indietreggia, an­sante)... Mi fanno senso. (Marco dice esausto, quasi supplichevole)

Marco                              - Papà...

Rudi                                - (piano) Nascondile, Marco. Da' retta a me... Nascondile... (Esce. Marco rimane a terra, smarrito, seguendolo con lo sguardo. Poi gira gli occhi sul cu­scino, lo solleva, lo pulisce, lo rimette a posto. In gi­nocchio, accanto alla poltrona alta e dritta, sembra davvero ai piedi di una donna seduta. La sua faccia è all'altezza del cuscino. Adagio, con dolcezza, comin­cia a strofinarvi contro la fronte. E appoggiato a quel modo, come un cane colpevole che affondi il muso nel grembo del padrone, solo il movimento delle spalle, o un gemito che in ogni caso il cuscino soffocherebbe, potrebbero dirci, mentre il sipario chiude lentissimo, s'egli pianga, o no)

FINE