1934
di Luigi Pirandello
Arnoldo Mondadori Editore - Milano
1959
PERSONAGGI (*)
La madre
Il coro delle madri
L'uomo saputo
Coro a tante voci
Una
La vicina dell'altro lato
Quella
La donna nel mezzo
Un'altra
La quarta
La quinta
Una voce
Primo contadino
Secondo contadino
Vanna Scoma
La sciantosa
L'avventore
Una delle tre sgualdrinelle
La seconda delle tre sgualdrinelle
La terza delle tre sgualdrinelle
Coro di monelli
La padrona
Gli avventori
«Figlio-di-re»
«La regina»
Marinaretti
Primo ministro
Secondo ministro
Il principe
Il maggiordomo
Il podestà
Una donna del popolo
Le altre
(*) L'elenco, meramente indicativo, è desunto dall'entrata in scena dei personaggi. Sarà il regista ad attribuire - eventualmente - più ruoli ad uno stesso interprete.
« La Favola del figlio cambiato », iniziata da Luigi Pirandello e condotta avanti fino a tutto il terzo episodio come preparazione al Mito dei « Giganti della Montagna », fu poi compiuta per la musica del Maestro G. F. Malipiero; al quale l'Autore, incapace di fornire un vero e proprio « libretto », aveva dato ampia facoltà di togliere o adattane le parole secondo le esigenze della musica. Di tale facoltà il Maestro Malipiero non volle quasi usare; ed è questa la ragione per cui il « libretto » dell'Opera, pubblicato dalla Casa G. Ricordi e C. di Milano, differisce solo in pochi tratti — per pochi versi soppressi qua e là, per il modo di designare alcuni personaggi secondarii, e per la suddivisione (che là è in tre atti, mentre qui in cinque episodii o canti) — dalla stesura originale della Favola che noi diamo, quasi a integrazione del Mito dei « Giganti ».
I
Si apre il sipario. Si vede una gran tenda nera, di là dalla quale è la vita, che la Madre, cieca nel suo dolore, non può più vedere. La tenda si potrà aprire nel mezzo e facilmente tirare quando occorrerà, ai luoghi indicati, per mostrare le scene e parti di esse, già preparate dietro, ciascuna con le luci particolari. Ora, sul fondo nero di questa grande tenda, lei sola, la Madre, che vi sta davanti, piccola e sperduta, sarà illuminata dall'alto, da un lume quasi spettrale.
Dopo un momento di pausa, la Madre, senza muoversi, si metterà a parlare con sconsolata umiltà.
La madre
Se volete ascoltare
questa favola nuova,
credete a questa mia veste
di povera donna;
ma credete di più
a questo mio pianto di madre
per una sciagura,
per una sciagura —
scoppiano dall'interno, a coro,
risate diverse,
ma tutte d'incredulità.
La Madre, con strazio,
si porta premendo le marti alla faccia;
poi dice:
Ne ridono tutti così:
la gente istruita
che pure lo vede
che piango, e non se ne commuove;
ne prova anzi fastidio, e:
« Stupida! Stupida! »
mi grida in faccia, perché
non crede che possa esser vero
che il figlio mio,
la creatura mia...
Ma voi dovete credere a me;
vi porto le testimonianze;
son tutte povere donne,
povere madri come me,
del mio vicinato,
che ci conosciamo tutte e sappiamo
che vero —
le tira in catena da dietro la tenda; son tutte un po' sbigottite e scontrose; popolane d'aspetto vario, segnate dai patimenti e dalla, miseria: alcune in capelli,lisciate troppo o tutte arruffate, altre con fazzoletti in capo di vivaci colori e con scialli: due o tre con in braccio un fagotto che finge un bambino, la testa di cera.
Ecco, venite, venite,
non abbiate paura,
dite davanti a tutti se non è vero
che ci sono « le Donne » —
Il coro delle madri
sentendo proferire « le Donne », si agita, come se un vento orribile, da cui non sappiano come ripararsi, le investa all'improvviso, si torcono, gridano a lamento:
Oòòh... Oòòh...
La madre
Ecco, vedete? non le possono sentire nemmeno nominare.
Il coro delle madri
Quelle che hanno un bambino, riparandolo subito sotto lo scialle, le altre seguitando ad agitarsi:
Nooo... Nooo...
La madre
Tant'è vero che ci sono, ci sono —
Scoppiano di nuovo dall'interno risate e dalla tenda vien fuori
L'uomo saputo
buffo, panciuto, con bombetta in capo,
mazzetta in mano,
farsetto risicato,
calzoni a tubo e corti,
da lasciargli scoperte le caviglie;
si muove a modo d'un burattino
e domanda in un inchino:
E chi sono?
Dite « Donne »... Le Dooonne... Le Dooonne... E voi chi siete?
Coro
a tante voci:
— Madri!
— creature di Dio —
— per quanto indegne
per i peccati nostri —
— e quelle « le Donne » —
— che fanno a noi madri
i malefizii —
— e sono
figlie dell'inferno —
— streghe del vento —
— streghe della notte —
— bestemmiando —
— ululando —
— sghignazzando —
— o gemendo, gemendo
con voci lunghe a lamento —
— le notti d'inverno,
le notti senza luna —
— si chiamano dai tetti —
— il vento le tira,
s'aggrappano ai camini —
rovesciano i camini
scoperchiano i tetti —
e tirano le tegole!
L'uomo saputo
Tà tà tà — la tarantella —
chi me la suona che voglio ballare?
Ma ci vuol tanto a pensare alle gatte?
Coro
Che gatte! Che gatte!
L'uomo saputo
Sui tetti! Sui tetti!
Quando sono in fregola
fregola di febbrajo,
che le fa spasimare.
Coro
con scherno
Già... già... già...
L'uomo saputo
Cinque gatti per una gatta,
cinque, pronti, tutti attorno
che si struggono agguattati
di sentirla così spasimare;
ma appena uno si muove,
tutti gli altri gli saltano addosso,
s'azzuffano, si graffiano, si mordono,
scappano, si rincorrono...
Coro
Già... già... già...
Una
scoprendo alla vicina il bambino riparato sotto lo scialle:
E sono allora le gatte
che fanno sul capo ai bambini
di questi scherzi? Guardate!
La vicina dell'altro lato
Guardate!
L'uomo saputo
Che debbo guardare?
Quella
Qua, questo codino —
La donna nel mezzo
premendo al seno la testa del bambino
No, figlio mio d'oro!
Quella
— di capelli accatricchiati:
lo vedete?
Guaj se il pettine
lo tocca,
o la forbice
lo taglia:
il bambino
ne morrebbe.
Un'altra
E sapete come si chiama
questa treccina?
la treccina delle Donne.
La quarta
Entrano di notte nelle case
per la gola dei camini,
come un fumo nero.
Una povera madre, che sa?
dorme, stanca della giornata;
e quelle, chinate nel bujo,
allungano le dita sottili
e intreccian nel sonno al bambino
la loro treccina:
o gli passano appena
sulle palpebre chiuse
la punta gelata gelata
da quelle dita; e il bambino
che non sa nulla, al mattino,
apre gli occhi:
li ha storti!
La quinta
Li ha storti!
La quarta
Li ha storti!
E quella povera mamma
si mette a gridare:
« Oh, figlio mio! oh, figlio mio!
che t'hanno fatto nel sonno,
che t'hanno fatto — »
L'uomo saputo
— le Gatte?
Coro
infuriato dalla domanda derisoria
Le Donne! Le Donne! Le Donne!
E, aizzato dalle risate che scoppiano di nuovo, più alte, dall'interno, si mettono a tempestar di pugni l'Uomo saputo.
— Vecchio imbecille!
— Vecchio scimunito!
— Forza!
— Addosso!
— Miscredente!
— Malcreato!
— Prendi!
— Prendi!
— Impara a credere!
— Stupido!
— Stupido! —
Le nostre lagrime
lo fanno ridere!
— Ci crederai,
quando sarai
a ribollire nel pecione ardente!
L'uomo saputo
che si sarà buttato a terra
Là! Là! Là!
M'arrendo! M'arrendo! M'arrendo!
E, per difendersi così da terra, dimenando le braccia, comincia a far svolazzare tutte le sottane.
Aria! Aria! Aria!
Gonfia la bocca e soffia, turandosi con due dita le nari;
fhhhhhhhhhh
Sa di rinchiuso la vostra onestà!
Il Coro si scompiglia, riparandosi, gridando, sghignazzando.
Una
Giù le mani, vecchiaccio scostumato!
Un'altra
L'onestà che troppo odora,
tàstati sulla fronte,
senti che corna t'ha fatto spuntare!
L'uomo saputo
ancora seduto a terra, si tasta prima sulla fronte, poi si odora le dita, e dice:
Ma corna profumate!
Le donne ridono, o tirano su, lo cacciano via, spingendolo,
tra risa e schiamazzi, e vanno via con lui.
Coro
Va' via! Va' via! Va' via! Va' via!
La madre
Aspetta che lo schiamazzo cessi nell'interno; poi, tentennando il capo:
Piangono, e poi tutto,
lagrime, lutto,
finisce in risa e ciarle.
Dio ci dà le pene,
e Dio la forza
di sopportarle.
Giovialità:
bella virtù, chi l'ha,
tutto gli va bene.
M'hanno lasciata qua sola.
Quello che le Donne
hanno fatto a me,
nessuno lo può credere.
Cosa, cosa che non c'è la parola
per dirla; cosa che una madre non può,
senza impazzire,
sopportare.
Ma non m'hanno levato la ragione.
La mia, non è più vita; .
sono come insordita,
insordita
dalla disperazione;
ma non sono impazzita.
Vedendo rientrare due di quelle sue vicine;
Ah, voi due almeno
siete ritornate.
Dite com'era il figlio mio,
il figlio mio che mi fu cambiato.
Cambiato,
cambiato dalle Donne:
in fasce cambiato,
una notte, mentre dormivo,
sento un vagito, mi sveglio,
tasto al buio, sul letto, al mio fianco:
non c'è;
da dove m'arriva quel pianto?
da sé,
in fasce, non poteva
muoversi il mio bambino;
non è vero? non è vero?
L'una
Vero! Vero!
L'altra
Bambino di sei mesi,
Come poteva?
La madre
Quando lo presi —
buttato — là — sotto il letto...
Dall' interno
Una voce
Caduto! Caduto!
La madre
Eh! lo so!
Così dicono: caduto.
L'una
Ma come, caduto? Può dirlo
chi non lo vide
là sotto il letto,
come fu trovato.
La madre
Ecco, ecco. Ditelo voi
come fu trovato! Voi che accorreste
le prime alle mie grida:
come fu trovato?
L'altra
Voltato.
L'una
Voltato, coi piedini verso la testata.
L'altra
Le fasce intatte,
avvolte strette
attorno le gambette.
L'una
Ed annodate con la cordellina.
L'altra
Perfette.
L'una
Dunque, preso,
preso con le mani, d'accanto
alla madre, e messo per dispetto,
là sotto al letto.
L'altra
Ma fosse stato dispetto soltanto!
La madre
Quando lo presi...
L'una
Che pianto!
L'altra
Era un altro!
Scoppiano, ancora una volta, più alte che mai, le risa dall'interno.
Le due donne si voltano e gridano:
Non era più quello! — Non era più quello!
Lo possiamo giurare!
Questo grido sarà in mezzo alle risa.
La madre
aspetterà che quelle risa cessino. E allora dirà:
Nessuno vuol capire
che se seguito a dire
che il figlio mio mi fu cambiato,
anche a costo d'udire
sempre queste risa, e di vedere
compatita così
la mia sventura —
Dio mio, se io ragiono,
se non sono impazzita,
se queste donne e le altre non sono
impazzite come me,
è segno che deve esser vero
e che devo, devo esser creduta!
Anche Dio non si vede e si crede!
E chi ora ride
certo non vide
il mio bambino com'era.
Ditelo voi che lo sapete;
com'era? com'era?
L'una
Ah, bello! bello! Biondo
come l'oro.
L'altra
Come un Gesù
bambino, di cera.
L'una
Ecco, sì, proprio il Bambinello
Gesù, che si vede
la notte di Natale,
sopra l'altare,
dormire nel cestello
di seta celeste
con la manina
sotto la guancia.
L'altra
Così!
L'una
Così!
La madre
E quello che presi da terra,
di sotto al letto, com'era?
L'UNA
Ah! brutto! brutto!
L'altra
E tutto nero!
L'UNA
Povera creatura!
Come un sole, quello,
bello in carne, tutto vivo;
e questo invece
patito patito,
un capino straziato
d'uccellino malato,
che faceva ribrezzo
a vedere e a toccare.
La madre
Non lo potei vedere,
non lo potei toccare,
lo porsi a loro e mi misi a gridare,
a gridare, a gridare,
come una pazza a gridare,
scappando nel vento,
scappando nella notte.
Si fa bujo d'un tratto. Nel bujo si sente gridare con voce che s'allontana:
Figlio mio!
Figlio mio!
II
Appare l'interno dell'abitazione di Vanna Scoma.
È Vanna Scoma una vecchia fattucchiera, che ha fama d'essere in misteriosi commerci con le «Donne ».
Vive in una casupola quasi in campagna.
Non si vedrà dell'interno altro che un rustico camino in fondo, con una grande cappa; a destra, la sola porta, d'un verde chiaro, mezz'aperta; a sinistra, una sola cassapanca, lunga e stretta come una bara, su cui è buttato, non disteso, un pezzo di stoffa rossa. Tutto il resto è nero.
Vanna Scoma è seduta davanti al camino. Immobile, con le mani posate sulle gambe, non par vera.
Avrà sul volto dapprima una maschera, per dar questa impressione di fantoccio, li posato sulle seggiola, con le sue vesti e le sue grosse scarpe.
Entrano dalla porta mezz'aperta nella notte la Madre e le due donne che l'accompagnano.
La madre
è tutta scarmigliata; è corsa nella notte, sempre gridando; ora sorretta dalle due vicine, con la testa che le ciondola dalla stanchezza, quasi senza più voce per l'affanno della corsa e il troppo gridare, ripete, entrando, come un'eco del suo grido disperato:
Figlio mio...
Figlio mio...
Le due donne la scrollano per farla tacere, quasi irose:
L'una
Zitta!
L'ALTRA
Basta,
ora!
L'una
Basta!
La madre
Perché? Dove m'avete
portata? Voglio il figlio mio...
L'ALTRA
prendendosi con la mano sinistra l'avambraccio destro levato e mostrandoglielo:
Qua, ecco
il figlio vostro!
L'UNA
Fate perdere la pazienza!
L'ALTRA
Vanna Scoma è la sola
che possa dirvi dov'è.
La madre
E svegliatela, dunque, svegliatela
che possa dirmi dov'è!
L'UNA
Svegliarla? Siete matta?
L'ALTRA
Bisogna aspettare
che si svegli da sé!
L'UNA
Che rinvenga; perché,
pare lì, ma non c'è.
L'ALTRA
Sediamo, sediamo
qua sulla cassapanca.
L'UNA
La porta, sempre aperta,
di giorno e di notte.
L'ALTRA
E la notte è così,
come un fantoccio
posato lì sulla seggiola:
e vesti, le scarpe,
le mani sulle gambe.
L'UNA
Se la toccate è di gelo.
L'ALTRA
Ma chi s'attenta a toccarla?
L'UNA
Il suo spirito
è via con le Donne.
L'ALTRA
Ogni notte
se la vengono a chiamare.
Entrano dalla porta mezz'aperta due contadini con gli scialli sulle spalle.
L'UNA
Ecco qui questi due.
Primo contadino
Contadini.
Secondo contadino
Suoi vicini.
L'UNA
Ogni notte per nome
la sentono chiamare.
L'ALTRA
È vero?
Primo contadino
È vero, sì.
L'ALTRA
E come? come?
Secondo contadino
imitando una voce misteriosa, lontana:
Vanna Scoma...
Vanna Scoma...
Primo contadino
Se la portano con loro,
chi sa dove, a far che cosa...
Secondo contadino
Solo il corpo resta lì.
Primo contadino
Ma se le mettete
sul capo codesto
panno rosso —
Secondo contadino
—alza le mani
subito, per levarselo, e si sveglia.
L'una
Proviamo?
L'altra
Proviamo.
L'una prende quel pezzo di stoffa rossa, lo stende, porgendone i due capi all'altra, e tutt'e due cautamente vanno a deporlo sul capo della fattucchiera. Questa leva subito le mani e, insieme col panno rosso, strappandosi la maschera (che vi resterà dentro nascosta), scopre la faccia viva, gridando:
Vanna Scoma
Chi è?
Primo contadino
Amici!
Secondo contadino
Amici, Vanna Scoma!
L'una
Amiche!
Siamo venute, perché... —
Vanna Scoma alza la mano a un gesto che para.
Primo contadino
subito
Zitte!
Secondo contadino
Fa segno!
Vanna Scoma
Lo so, perché.
L'altra
— a questa poveretta...
indica la Madre
Vanna Scoma
Vi dico che lo so!
L'una
Col tono di chi non può tenersi dal dire una cosa, tanto le pare crudele
— hanno cambiato il figlio!
La madre
Il figlio mio! Il figlio mio!
L'altra
—le Donne!
Vanna Scoma
irritandosi, come se non voglia saperlo:
Le Donne... le Donne...
V'empite la bocca: Le Donne!
Chi ve l'ha detto? Nessuno
può saperlo. Io so questo soltanto:
che tuo figlio l'ho veduto.
La madre
subito levandosi:
L'avete veduto?
Vanna Scoma
Veduto.
La madre
Dov'è?
Dove me l'hanno portato?
Vanna Scoma para le mani a impedire ogni domanda.
Corro anche in capo al mondo...
Primo contadino
Zitta!
Secondo contadino
Forse ve lo dice!
Attendono protesi. Vanna Scoma abbassa le mani, tace.
L'una
Dove?
L'altra
Dove?
Primo contadino
Non può dirlo.
La madre
Perché non potete? se lo sapete...
Primo contadino
Lo sa, ma non può.
La madre
Vanna Scoma, vi do
tutto quello che ho!
Ditemi dove l'avete veduto!
Vanna Scoma, che ha abbassato le mani, ne rialza una.
Secondo contadino
Vuol parlare!
Vanna Scoma
Ti dico
che tuo figlio — dov'è — sta bene.
La madre
Bene?
senza di me?
il figlio mio, senza di me?
e come volete che possa star bene
senza di me?
L'una
Se ve lo dice lei...
La madre
Ma io? ma io? Che dite!
Voglio correre subito a prenderlo!
Se l'avete veduto,
dovete pure saperlo, dov'è,
dove me l'hanno portato.
Ditemelo, Vanna Scoma!
Morrò, se non lo so!
se non me lo dite, morrò!
Vanna Scoma
Più fai così,
e più tuo figlio, là dove si trova,
s'agita e smania e soffre.
La madre
Ma come volete che faccia?
Vanna Scoma
State tranquilla.
La madre
Tranquilla? Sì, morta;
come volete che stia
tranquilla? No, no.
voglio sapere dov'è,
voglio sapere dov'è!
Vanna Scoma
In una casa di re.
La madre
In una casa di re?
mio figlio?
in una casa di re?
L'una
Se ve lo dice lei...
L'altra
... che l'ha veduto...
Vanna Scoma
In una casa di re.
Primo contadino
La sentite?
Secondo contadino
L'ha ripetuto!
La madre
Ma lo dice per burla!
me lo dice
per farmi stare tranquilla!
Primo contadino
No, ve l'ha detto — guardatela! —
ve l'ha detto perché è vero,
guardatela!
Tutti la guardano
Vanna Scoma rimane impassibile.
L'una
Vanna Scoma!
Vanna Scoma!
Vanna Scoma rimane impassibile.
Secondo
Non risponde.
Quando ha detto una cosa
vuol esser creduta.
Primo
E dopo tutto perché
non dovrebbe esser vero?
L'una
Vostro figlio era bello —
L'altra
— come un figlio di re!
L'una
È parso loro peccato —
Vanna Scoma
— che crescesse con te.
Primo
La sentite?
Secondo
Dunque, è vero!
La madre
Che crescesse con me,
il figlio mio, peccato?
Primo contadino
Non diciamo peccato,
diciamo che è segno
che l'hanno stimato
degno —
Secondo contadino
— ecco, degno
d'una sorte migliore!
L'una
Carni fine,
da indossare
camicine
delicate.
L'altra
E manine
da toccare
cose belle,
cose rare.
La madre
Il figlio mio...
Il figlio mio...
Primo
Piangete?
Secondo
Siate contenta, felice, superba,
che sia diventato
un figlio di re!
L'una
Avrà quello che vorrà!
La madre
Ma la mamma sua vera...
L'altra
Piccolino, non lo sa
che v'ha lasciata...
La madre
Ma già mi conosceva!
L'una
E domani, aprirà
gli occhi —
La madre
— e non mi vedrà,
mi cercherà —
L'altra
— si troverà davanti
una regina — che volete di più?
L'una
Una regina! E chi sa
che cose grandi vedrà —
La madre
assorta
Crescerà senza sapere
più nulla del suo stato...
Primo contadino
Ah, sì, bello stato —
Secondo contadino
— da rimpiangere davvero...
La madre
...né dov'è nato,
né chi era
la mamma sua vera...
riscotendosi
No, no, il figlio mio,
lo voglio il figlio mio,
povero come me,
ma con me, ma con me!
L'altra
E questo è tutto il bene
che gli volete?
La madre
Per il figlio mio
il mio cuore di mamma
val più d'ogni regno
e più d'ogni splendore!
L'una
Più d'una casa di re?
La madre
Casa di re, casa di re...
Che re? di che regno?
Vanna Scoma
Non stare a cercare.
La madre
Si può ben fare il conto dei re,
non ce n'è tanti poi sulla terra...
Primo contadino
Il re d'Inghilterra...
Secondo contadino
Il re di Francia...
Vanna Scoma
Sì, Francia... La Francia
non ha più re.
L'una
Non ha più re?
L'altra
S'è detto sempre il regno di Francia.
Vanna Scoma
E ora la Francia
non ha più re.
Primo contadino
alla madre
Vorreste andare per mare e per terra
in cerca di regni?
Secondo contadino
Vi figurate che vi lascino entrare
in una reggia guardata —
Primo contadino
— voi tutta stracciata,
più strapazzata
d'una scopa di forno —
Secondo contadino
— le scarpe rotte...
L'una
I guardiani...
L'altra
Linguaggi d'altro suono...
Vanna Scoma
E c'è regni in cui sono
sei mesi di giorno
e sei mesi di notte.
L'una
Lontani, lontani...
L'altra
Inutile andarlo a cercare!
Primo contadino
Non lo potrebbe mai ritrovare...
La madre
Ma allora... ma allora mio figlio non debbo
rivederlo mai più?
Vanna Scoma
Ti posso dir questo soltanto: se tu
vuoi che tuo figlio stia bene,
dipende da te.
Non vale che sia in una casa di re.
Tratta bene quest'altro che t'è
toccato in cambio. E t'avverto,
che certo
quanta più cura tu qua
avrai di quest'altro,
e tanto meglio tuo figlio
starà di là.
Bujo. La scena sparisce.
III
Caffeuccio a terreno. Porto di mare. Finestra in fondo aperta da cui si scorge il porto con le alberature delle navi ormeggiate e la torretta bianca con la lanterna rossa, piccole per la lontananza. Una leggera tendina azzurra un po' unta è alla finestra e svolazza alla brezza marina. Da fuori, lontani, arrivano suoni, canti, voci. La porta è a destra, sul davanti: e, subito dopo, una scaletta che conduce a un usciuolo a vetri con tendina verde, illuminato da dietro. Sotto la scaletta su questa parete, è un pianoforte sgangherato, su cui pesta un vecchietto capelluto e sonnolento. Una sciantosa tutta ritinta, con sottanella a ombrello di tutti i colori, canta e balla. Il banco di mescita è dirimpetto, davanti la parete sinistra, su cui è la scaffalatura con le bottiglie dei liquori. Siede al banco una femmina di rubiconda grassezza, burbera e baffuta. Buttata a terra a sedere sotto la finestra, con le gambe aperte e ì piedi nudi, sporchi di sabbia bagnata e rappresa, è una giovane scema e muta, cenciosa, sempre ingravidata, non sa mai da chi; ma questa volta, sì, pare che lo sappia: dal « Figlio-di-re », per cui la chiamano ormai « La Regina ». Scarmigliata, ha la faccia della voluttà, pallida, e tiene gli occhi chiusi; quando li apre, imbambolati, ride stupidamente d'un riso vano: largo e senza suono, da maschera. Attorno ai tavolini seggono gli avventori, gente del porto, qualche impiegato di dogana che viene a prendere il suo caffè e a leggere il giornale; tre sgualdrinelle; e si beve, si ciarla, si giuoca a dadi, a carte.
Al levarsi della tela la sciantosa sta cantando questa bella canzone:
La sciantosa
La mia vita è qua,
la mia vita è là,
trottola trottola,
requie non ha.
Sempre giro,
giro,
giro, giro sempre più.
Come sono?
bianca,
rossa,
verde,
nera?
sono di tutti i colori,
biancorossa,
verdenera,
giallolillarosablù.
E finito che ha di cantare e girare, come una matta si butta sulle ginocchia di un avventore che siede solo a un tavolino.
L'avventore
cacciandola, seccato:
Va' al diavolo!
La sciantosa
Ne vengo!
M'ha comandato lui
di venire da te
per farti compagnia.
L'avventore
Tornaci, bella mia,
e di' che lo ringrazio;
m'è bastato lo strazio
della tua melodia.
Una delle tre sgualdrinelle
alle altre due:
L'ho detto e lo mantengo:
con due ministri, bui
come la notte, e un maggiordomo nero
un Principe straniero,
figlio di re.
La seconda
L'hai visto tu, sbarcare?
La prima
L'ho visto io.
La terza
Com'era?
La prima
Malato.
Le altre due
Ah sì, malato?
La prima
Un visino di cera... Capelli biondi...
La seconda
Inglese?
La prima
Non so di che paese.
L'hanno mandato
alla nostra riviera...
La seconda
Per cura?
La prima
Ha presa stanza
alla villa sul mare.
La terza
Un principe in vacanza!
La prima
Ma temo che s'annoi!
La seconda
Cara, s'è un Principe,
non è per noi!
La terza
sbadigliando:
E s'è malato poi...
Da lontano, cadenzato, arriva un coro di monelli che dànno la baja:
Coro di monelli
Olé, olé,
figlio di re!
Olé, olé,
figlio di re!
La sciantosa, fatto il giro col piattello, si ripresenta all'avventore:
La sciantosa
Dà la mancia.
L'avventore
con una manata:
Va' via!
Intanto la padrona del caffeuccio, udendo il coro dei monelli che s'approssima, scende dal banco e va a urtare col piede « La Regina » che dorme per terra.
La padrona
Su, pancia,
su,
su,
fuori di qua!
La prima delle sgualdrinelle
E lasciala stare,
che male ti fa?
La padrona
Non la voglio qua da me,
sei contenta?
La seconda
Sempre col ventre pieno,
vergogna!
La terza
Ma un po' di carità,
se non per lei per il suo stato almeno!
L'avventore
Ne fa uno e s'addormenta;
prima di fare l'altro se lo sogna.
La padrona
Su, su, ti dico! su,
sacco d'umanità!
Tirata su, « La Regina » si guarda in giro, sbattendo gli occhi, e mostra a tutti il suo largo e vano riso da scema. Gli avventori la burlano:
Gli avventori
— Chi è stato, di'? chi è stato?
— Chi te l'ha fatto il guajo?
— Certo un soldato!
— O un marinajo!
— Nemmeno lei lo sa!
La padrona
No, chi è stato,
questa volta lo sa bene!
eccolo qua,
che viene.
Il coro dei monelli è già davanti alla porta.
Coro di monelli
Olé, olé,
figlio di re!
Olé, olé, figlio di re!
Tutti nel caffeuccio scoppiano in una lunga strepitosa risata, come, zampettando sulle gambe sbieche stirate e tutto in preda a una continua convulsione di nervi, che non gli lascia fermo un momento alcun membro, appare sulla soglia « Figlio-di-re » con una corona di cartone dorato di traverso sul capo e un mantelletto sulle spalle: mostro allegro, esultante, che stenta a parlare.
Figlio-di-re
Agghivato pe mmaghe è un ghan legno,
pfum-pfum,
pfum-pfum
pfum-pfum
bandieghe,
catene,
pennacchio di fumo,
pfum-pfum,
pfum-pfum
pottaghmi co quetta coghona
e quetta gheghina a mmio ghegno,
tira a sé la « La Regina ».
sedeghe su xxrhono!
Ogni verso è accolto dagli avventori con risate e applausi, a cui rispondono da fuori le grida dei monelli. Entrano intanto, a frotte, alcuni marinaretti stranieri, agitando i berretti e gridando:
Marinaretti
Trinchevàine! Trinchevàine!
Mit Froilàine! Mit Froilàine!
Le sgualdrinelle si lanciano nelle loro braccia, e « Fi-glio-di-re » li addita agli avventori, beato e festante:
FIGLIO-DI-RE
Ecco! Ecco!
Un avventore
Chi sono? Chi sono?
FIGLIO-DI-RE
Maghinaghi de mmio ghegno!
Maghinaghi de mmio ghegno!
facendosi loro innanzi e indicando la corona che porta in capo:
Maghinaghi de mmio ghegno,
salutate il voxxrho ghe!
I marinai ridono con gli avventori, mentre la sciantosa fa subito attaccare al vecchietto la nuova canzone per i nuovi venuti:
La sciantosa
Marinaretti che terra toccate,
sempre trovate le belle figliole...
Ma la padrona non ne può più, manda a gambe all'aria il vecchietto e dà un urlone alle spalle alla sciantosa, poi si fa in mezzo, gridando:
La padrona
Basta!
Basta!
Basta!
Basta!
Non do spettacoli
in casa mia!
ricacciando « La Regina »
E tu intanto, via,
via col tuo re!
Figlio-di-re
rivoltandosi feroce:
Ghispetta la coghona!
L'avventore
interponendosi
Via, padrona,
siate buona,
e tutti gli altri del caffè ripetono:
buona,
buona,
e l'Avventore riprende:
Via padrona,
e ancora gli altri:
buona,
buona.
e di nuovo l'Avventore:
Lasciateci onorare
la nuova dinastia;
ma diteci chi è
questo novello re!
Entra all'improvviso, fosca come una bufera, Vanna Scoma. Tutti si scostano, facendo silenzio.
Vanna Scoma
Chi è? La follia
d'una ignorante. La cerco. Dov'è?
Non voglio che si dia
di quanto è avvenuto,
di quanto potrebbe avvenire,
la colpa a me!
La padrona
Non siete andata ogni notte a vedere
il suo figliuolo alla reggia?
Vanna Scoma
Per quietarla!
La padrona
No, per frodarla!
« Come cresce? com'è? »
« Cresce bene, col re, ch'è un piacere,
come ci gioca, come lo vezzeggia ».
E questo sciagurato,
intanto eccolo qua,
cresciuto
come un bruto, zimbello
d'ogni monello.
Il coro dei monelli
davanti alla porta:
Olé, olé,
figlio di re!
Olé, olé,
figlio di re!
La padrona
Eccoli, li sentite?
Vanna Scoma
Perché voi non capite!
Fu sapiente carità la mia.
La padrona
Pretesto di scrocco,
ecco quello che fu.
L'avventore
Brava, padrona,
pretesto di scrocco!
Vanna Scoma
prima all'una, poi all'altro:
Sciocca! Sciocca! — Sciocco
anche tu!
Feci dipendere il bene di quello
dal bene di questo,
e voi dite pretesto
di scrocco,
la carità mia!
Non è colpa mia
se poi questo è cresciuto
com'un allocco
o com'un bruto!
La padrona
E se ognuno lo burla
con quella corona?
Se dietro gli s'urla
ch'è figlio di re?
Vanna Scoma
Doveva la Madre
sapere
tacere.
La sciantosa
che guarda dalla porta:
Eccola! vien di corsa!
La padrona
Anche lei qua da me?
La sciantosa
Oh Dio, pare morsa
dalla tarantola! Fa
con le braccia così — così — così...
agita in aria le braccia.
La padrona
urlando
Via tutti! Via tutti!
Fuori di qui!
Non voglio scandali,
non voglio ambasce
nel mio caffè!
Entra, seguita da alcune donne del popolo, la Madre delirante.
LA MADRE
È arrivato! è arrivato
il figlio mio, malato,
il figlio mio che in fasce
mi fu cambiato!
È arrivato! è arrivato!
L'avventore
Il figlio vostro? E questo
allora che cos'è?
non basta che ve l'abbiano
incoronato re?
LA MADRE
No, non è questo, no!
questo mi fu lasciato!
Pallido, come un morto,
questa mattina all'alba,
nel porto,
il figlio mio,
il figlio mio,
guardate,
eccoli i marinai,
me l'han portato loro,
questa mattina all'alba,
sopra una nave tutt'argento e oro!
È il figlio mio, non è
un Principe straniero!
Dicono c'ha bisogno
di sole. Non è vero.
Ha bisogno di me,
della sua mamma,
e non lo sa!
Qualcuno in sogno
gli ha certo parlato,
ed è venuto qua,
malato.
Andate a dirglielo, voi marinai,
andate a dirglielo ch'io sono qua,
io, la sua mamma
che lo guarirà!
Poi, rivolgendosi al mostro incoronato:
E tu, a casa! a casa!
FIGLIO-DI-RE
rivoltandosi, comico e brutale:
No!
Io sono il ghe!
E quetta la gheghina!
Tutti di nuovo scoppiano a ridere.
L'avventore
Vero, verissimo,
Signori, ormai
nessun di noi
lo potrà più negare.
E dunque a voi,
Maestà,
a voi, Regina,
devotamente,
ognun di noi
s'inchina!
Inchino grottesco di tutti, tranne della Madre e di Vanna Scoma, e « Figlio-di-re » e «La Regina » a braccetto escono. Mentre il buffo corteo sfila,
Vanna Scoma
dice alla Madre:
Non attentarti
a dire al Principe arrivato
quello che hai detto qua:
Bada — è malato —
te lo farò morire.
IV
Giardino della villa sul mare, la terrazza. Ajuole, statue, sedili di marmo. Il giovine Principe è sdraiato su uno dei sedili; i due Ministri sono dietro la spalliera, che si guardarla tra loro, perplessi nella contrarietà in cui si trovano. Fulgido mattino. Silenzio di paradiso.
Primo ministro
facendosi coraggio
Vostra Altezza (ma già
possiamo quasi dire
Vostra Maestà...
Il secondo
Ecco, già:
Maestà, Maestà!)
Il primo
Dovrebbe capire...
Il secondo
Ecco capire...
Il primo
...capire che questa indolenza...
Il principe
...di dama sdrajata seminuda...
Il primo
scandolezzato:
Oh, no, che dice, Altezza!
Il principe
Dico che mi godo
questo tepore che da
un'ebbrezza, un'ebbrezza
che ne vorrei morire.
Questo veramente si chiama
sentirsi felice.
Il regno, non c'è modo
di lasciarlo per ora appeso a un chiodo,
come un mantello che mi metterò
sulle spalle, venuta la sera?
Non mi dite di no.
Lasciatemi per ora
guardare la bella riviera,
il cielo, il mare;
godere la prodigalità
di questo sole, divina,
che incoraggia alla vita.
Qua non si muore. Basta
non cessare d'accogliere in sé
questo palpito continuo
di luce, di foglie, di acqua,
e non si muore.
S'alza.
Ho accolto qua rutto,
l'aria, ogni aspetto di cose
vicine, lontane,
con un consentimento
così rapido e tenero,
che è stato per l'anima
come una nascita nuova
o ritrovata da un sogno
d'infanzia, chi sa?
come se qua
già fossi nato una volta, in un'altra
vita, di cui solamente
l'alba e null'altro
mi possa sovvenire.
Il primo
Ma è, veda, che gravi
notizie son giunte,
Altezza; complicazioni...
Il secondo
E ragioni di Stato...
Il primo
Il fardello dei re...
Il principe
Senza peso,
per carità, senza peso!
Quest'è saggio:
albergare di passaggio
nell'anima del popolo.
Il secondo
Son già pronti i bagagli...
Il principe
No, senza bagagli,
via tutti i bagagli! A tracolla
un tascapane
pieno di frottole amene,
e a braccetto una bella fanciulla
naturale come un fiore,
per cui nel regno,
vedendoci passare,
tutti possano esclamare:
« Ecco un uomo d'ingegno
e una donna di cuore! »
Non cercate, non vi travagliate,
non c'è bisogno di nulla:
tutto alla fine verrà come in sogno
da sé:
voi, ministri; ed io, re.
Il primo
Ma vostro padre, Altezza...
Il secondo
Il cuore ci si spezza...
Il principe
Vedo mio padre nella sua reggia
in un fastoso deperimento.
Addormentata nel capo ogni idea,
nel petto ogni sentimento,
nel fegato ogni ira,
con gli occhi pieni di sonno si stira
distratto sul mento
la barbetta profumata:
« Niente di nuovo nella giornata? »
La voce di mio padre, per me,
è come vedere
uno specchio nell'ombra.
Si turba; domanda prima all'uno e poi all'altro:
Allibito? Allibito?
Il primo
Ma anche voi, Altezza, anche voi,
delle vostre stesse parole...
Il principe
No, sono stupito
che fossero in me,
tante e si giuste,
senza ch'io lo sapessi.
Vi siete guardati negli occhi;
v'è parso
che non parlassi più io,
ma un altro; e anche a me
è parso così: ma con questa
gjoia di liberazione.
Ah, perdere la testa,
non aver più la ragione!
Canto di merlo in gabbia.
Parole fruste,
Inchiostro
sparso.
Re, col Dio
che ci vuole.
Dente che duole.
E tutti dietro uno scudo.
E mai un viso nudo,
fino all'anima nudo,
come vorrei vederlo:
un sorriso, ma vostro;
e non fatto per me;
e come parlate
dentro di voi; ma questo
forse non lo sapete
nemmeno voi stessi.
Si muove per andare e subito torna indietro per domandare ai due Ministri sbalorditi, con estrema malizia:
Vorrei sapere dell'acqua del mare,
se invecchia, se muore!
ci sarà la più giovane,
quella che più viva si muove?
e l'altra, quella che spuma,
quella che stracca s'abbatte alla spiaggia,
è forse la vecchia? Vi fa
ridere questo pensiero
dell'acqua bambina,
dell'acqua vecchia del mare?
Li guarda un po', cosi sbalorditi, scoppia a ridere e se ne va.
Il primo
Ohé, dico, gli ha dato
di volta il cervello?
Il secondo
Direi che piuttosto
con quel girarrosto
di finto rovello
di noi s'è beffato.
Il primo
O fors'anche ha voluto...
Sopravviene il Maggiordomo.
Il maggiordomo
Eccellenze, il mio saluto.
Il secondo
Comprendo e non comprendo.
Il primo
al Maggiordomo:
Siamo a un bivio tremendo:
Partire — morire,
Restare — abdicare.
Il maggiordomo
Comprendo e non comprendo.
Il primo
Chiaro, e tondo,
chiaro, e tondo,
il medico ha parlato:
« Se voi, Eccellenze,
all'esigenze
del caso v'arrendete,
per mia quiete
dichiaro che più non rispondo
della vita del Principe ammalato ».
Il secondo
Intanto
lo schianto
del trono è imminente lassù;
il re, scampato
a un attentato,
non so che guasto
al sangue n'ha avuto,
e ancora vivo
ai vermi in pasto
par sia caduto.
Bisogna partire,
partire!
Il primo
Scrivo, riscrivo,
qua privo
d'ajuto...
Il secondo
Nessuno più
risponde.
Il primo
Il finimondo
è lassù.
Il secondo
Saccheggi!
Il primo
Incendii!
Il secondo
Scioperi e tumulti
e ribellati tutti
a ogni legge degli uomini e di Dio!
Il primo
al Maggiordomo:
In tanto scompiglio, il vostro consiglio?
Maggiordomo
Ah, se volete il mio: restare!
Il secondo
E allora, abdicare? abdicare?
Maggiordomo
Se partire è morire...
Ma — attendete —
forse partire bisogna;
di là
c'è una donna;
delira o sogna,
non so; pare una strega;
vi prega
che la vogliate ascoltare.
Va a prendere Vanna Scoma per introdurla alla presenza dei due Ministri.
Il primo
Una donna?
Il secondo
Chi sarà?
Rientra il Maggiordomo con Vanna Scoma, tutta scombuiata.
Il primo
Parlate, chi siete?
Vanna Scoma
Ho veduto.
Il primo
Veduto?
Il secondo
che,
veduto?
Vanna Scoma
Il vostro re.
Maggiordomo
Vaneggia.
Il primo
Come?
Il secondo
Dove?
Maggiordomo
Sorto
da lontano?
toccato con la mano?
Vanna Scoma
Morto.
Nella sua reggia.
Il primo
Ma questa donna chi è?
Il secondo
Il vostro nome!
Maggiordomo
E le prove!
Vanna Scoma
Il mio nome?
Qua tutti lo sanno.
Le prove? Vi dico: ho veduto.
Presto saprete che non v'inganno.
Veduto tutto:
la reggia in lutto,
il Re disteso
sul catafalco.
La faccia spenta gli s'è allargata
in un sudore di cera,
e qua nel solco sotto lo zigomo
gli s'è franata.
Vi han sopra steso, a nasconderla,
un velo nero.
Lo vedo! Lo vedo!
Il mascellare coi denti
sta per scoprirsi, e sgomenti
gli alabardieri
lo sbirciano,
sull'attenti,
tra i ceri,
attorno al catafalco.
Signori sparuti, in marsina, con trame
d'argento e dame
basite si guardano tra loro
sotto il palco
tutt'in giro
dei velluti a frange d'oro.
A questo segno
mi crederete.
Se al Principe volete
salvare il regno,
accorrete! accorrete!
A questo punto si sente crescere tutt'intorno alla villa un mormorio confuso di folla, come un vasto brusio d'alveare.
Primo ministro
costernato
Che è questo fermento
di folla attorno alla villa?
Il secondo
S'è sparsa a tradimento
la notizia?
Vanna Scoma
Non sono stata io!
Maggiordomo
Mormorio, mormorio,
stia tranquilla,
Eccellenza: la vita dei re
è sempre in mezzo alle favole; e qua
una ne è nata
(fors'anche da questa megera)
che la villa circonda,
come fa l'onda inquieta
un'isola di pace. Leggera
brezza, chiacchiera infondata...
Il secondo
Eh, tanto leggera non pare...
E come un fragore di mare...
Udite? Udite?
Il primo
a Vanna Scoma
Che intrico
è questo? che favola
è nata? Parlate!
Vanna Scoma
Non parlo!
Vi dico:
partite!
IL PRIMO
Ma il principe dov'è?
Bisogna andare a cercarlo,
a cercarlo!
Maggiordomo
A diporto
sarà nella villa...
Il primo
Se il Re
sta per morire, o è già morto,
bisogna partire, partire...
V
Lato opposto del giardino, verso l'entrata della villa. Sul davanti è il viale che porta al cancello. In fondo è una proda in pendio, con una fontanella e un sedile di marmo. La proda è cinta da un'alta siepe, in cui si vede uno sforo.
Appare in esso, tra qualche foglia pendula, il viso della Madre, che spia.
Il giovane Principe è seduto sul sedile, assorto. Poco dopo, si alza smanioso.
Il principe
Insoddisfazione! Non trovo
più requie in alcun posto,
e più pace non ho!
Sento vicino,
accosto,
il mio destino, e non so
come ghermirlo!
Voltandosi, scorge quel volto che lo spia dallo sforo della siepe.
Che fai tu lì?
chi sei?
perché mi guardi così?
La madre
Non posso dirlo.
Il principe
Piangi, con occhi
che ti ridono; è strano;
perché?
La madre
Non posso dirlo.
Il principe
Nemmeno chi sei?
La madre
Una donna di qui,
che aveva un tempo un figlio...
Il principe
E io gli somiglio?
La madre
Sì.
Il principe
Sento che con gli occhi,
guardandomi, mi tocchi
come con la mano.
La madre
Invidio tua madre
ch'ebbe questa fortuna.
Il principe
Mia madre? Mia madre morì:
— una bara — una cuna.
La madre
Morì? Tua madre?
Il principe
Sì,
come nacqui.
Piansi, e lei lì muta.
Non l'ho conosciuta.
Ah, non fummo felici
né lei di morire,
né di nascere io.
La madre
Oh Dio, oh Dio,
ma allora perché
l'hanno fatto?
Il principe
Che dici?
Di che ti dài pena?
Una regina, da tanto
scomparsa dalla scena
del mondo... E questo tuo pianto
per me... Che vuol dire?
La madre
Ma se...
ma se non lo fecero
per darla a un'altra
la gioja d'averti...
perché?
Il principe
Tu farnetichi...
La madre
Almeno questo conforto
per me, qua meschina,
saperti...
Il principe
Oh bella! Tu mescoli
la tua storia e la mia...
La madre
È crudele! È crudele!
Il principe
T'è morto il figlio?
La madre
No! non sia mai!
Ma sento che non hai
avuto mamma! Ed a me,
quel fiele, fiele nel seno,
- il latte mi si fece!
Credevo che invece
tu almeno
al seno di quella...
d'una regina...
la vita bella...
ricchezze... la reggia...
Il principe
È il sole! Sì, colpa del sole
dev'essere, io penso.
Qua tutti si vaneggia.
Donna, non colgo senso
nelle tue parole:
Tuo figlio non è più con te?
Dov'è?
La madre
Mi fu rapito
in fasce, e portato, mi dissero,
in una casa di re.
Il principe
Ah, e forse — ho capito —
tu credi che possa esser io?
A questo punto, dalla fontana dietro alla quale si teneva nascosto, scatta addosso al Principe con un pugnale brandito « Figlio-di-re ».
FIGLIO-DI-RE
No! Io,
io sono il Ghe!
E tu, l'usuxxpatoghe!
Sta per colpirlo alla nuca; ma al grido della Madre, nel vederlo apparire, il Principe, voltandosi, può schermire il colpo e attanagliare i polsi del mostro.
Il principe
ghermendolo
Oh! Guarda! Tu... buffo!
Mentre la Madre, sempre gridando, accorre per entrare dal cancello nella villa, da dietro la fontana sopravvengono, gridando anch'essi, i due Ministri e il Maggiordomo col Podestà del luogo, che ha recato, col corriere diplomatico, l'annunzio della morte del re.
I ministri, il maggiordomo e il podestà
accorrendo
— Che cos'è?
— Che cos'è?
— Maestà!
— Maestà!
— Un attentato anche qua?
Il principe
No, niente, un tuffo
di sangue alla testa: passato!
Ecco: guardatelo!
incoronato!
è l'attentato
d'un re!
Primo ministro
Questo mostro chi è?
Il podestà
Lo zimbello del nostro
paese; vi dirò...
Il maggiordomo
Io lo so,
gli s'è lasciato credere...
Il podestà
Ecco, una favola
che da tant'anni qua
gira tra il popolo...
FIGLIO-DI-RE
Sono
ghe! Sono ghe!
Entra la Madre, osannata dalla corsa, e si butta in ginocchio.
La madre
Perdono!
Perdono! Non sono
colpevole!
Il podestà.
saltandole addosso
Via! Via! Levatevi!
Non siete colpevole?
Le donne ciarliere...
Il principe
trattenendolo
Aspettate! Che favola?
Io voglio sapere.
Primo ministro
supplichevole
Maestà! Maestà!
Secondo ministro
Non c'è tempo: si sta
per partire!
Maggiordomo
È arrivato l'annunzio di morte...
Il principe
... del Re?
E resta a lungo, compunto e pensieroso, nel silenzio di tutti, mentre a poco a poco il viale sottostante si va riempiendo di gente del popolo, in massima parte donne, ansiose e sgomente, entrate appresso alla Madre. Il Principe, dopo aver compianto il padre in quel silenzio, si volta ai Ministri e dice:
L'annunzio
allora, anche per me
d'andare a morire...
La madre
con un grido, dalle visceri
No, figlio! No, figlio!
Una donna del popolo
Tu bello
resti qua con tua madre!
Le altre
È tua madre! È tua madre!
La donna
indicando il mostro
Ed è quello
il figlio del re!
Le altre
Quello! Quello!
La donna
E andrà quello! Tu resta
qua!
Le altre
Resta! Resta! Resta!
La madre
Qua, figlio, con me!
Il principe
esilarato
La favola è questa?
Primo ministro
supplichevole
Maestà... Maestà...
La madre
Non è favola?
È verità!
Le donne del popolo
Verità! Verità!
La madre
Sono tua madre!
Le donne
È tua madre! è tua madre!
Il podestà
investendole
Via di qua! Via di qua! Via di qua!
Primo ministro
E voi Maestà
non date ascolto!
bisogna partire!
Secondo
Partire!
Le donne
rifacendosi avanti, a più voci
— Le fosti cambiato!
— Cambiato con quello!
— Rubato!
— Rubato
di notte!
— Portato
lontano! Tu bello!
— E quello brutto
lasciato!
— Qua tutto
il paese lo sa!
Primo ministro
Non date ascolto, Maestà!
Secondo
Non date ascolto!
Il podestà
a gran voce
È una favola!
Tutte le donne
con voce più grande
Verità! Verità!
La madre
semplice e piana
Figlio, è la verità.
Non devi andare a morire.
Mi fosti rapito;
mi sei ritornato.
Ora sei malato,
e ti debbo guarire.
Il principe
Ho rischiato,
signori Ministri,
di morire anche qua.
Non vi pare che possa bastare?
Primo ministro
Ma Vostra Maestà...
Secondo
... vorrà dare
importanza a una burla?
Il principe
Una burla?
la voce del popolo ch'urla
— non avete sentito? —
che è quello il figlio del re?
Le donne
Quello! Quello! Quello!
Il principe
rivolgendosi a « Figlio-di-re »
Altezza reale, alla gogna
qua da tant'anni esposto,
fate conto che a costo
del vostro misfatto
m'abbiate qua morto.
Ecco, io piglio
il vostro posto!
E, da umile figlio
di questa povera donna,
vi chiedo perdono del torto
che v'è stato fatto.
Signori Ministri,
non mi guardate con occhi sinistri:
Eccovi il Re!
Tutti
tranne i Ministri, il Maggiordomo e il Podestà
Viva il Re! Viva il Re!
Olé, olé!
Olé, olé!
Viva il Re! Viva il Re!
I Ministri, il Maggiordomo, il Podestà
Eresia! Eresia!
Cacciateli via
Chiudete il cancello!
Eresia! Eresia!
Il principe
Credete a me,
non importa che sia
questa o quella persona:
importa la corona!
Cangiate questa di carta e vetraglia
in una d'oro e di gemme di vaglia,
il mantelletto in un manto
e il re da burla diventa sul serio,
a cui voi v'inchinate.
Non c'è bisogno d'altro, soltanto
che lo crediate.
Primo ministro
Ma come vuole, Vostra Maestà,
che possiamo...
Il principe
Che cosa? Credere?
Si può sempre! Si può tutto!
Maggiordomo
Ma questo, no, perché sappiamo
che non è vero!
Il principe
Ma niente è vero,
e vero può essere tutto;
basta crederlo per un momento,
e poi non più, e poi di nuovo,
e poi sempre, o per sempre mai più.
La verità la sa Dio solo.
Quella degli uomini è a patto
che tale la credano, quale
la sentono. Oggi così,
domani altrimenti. Credete,
credete che questa
vi può convenire assai più della mia.
Io, ora, la so,
la mia verità.
Ero piccolo qua,
con questa madre, nato a questo sole;
povero, ma che importa?
con quest'amore di madre
e questo cielo e questo mare
e la salute e la gioja
di vivere la mia,
la « mia » vera vita per me!
Davanti a questo mare, a questo cielo
vedo anche le case
sollevarsi a un respiro di sollievo!
e ogni casa, per umile che sia,
diventa una reggia del sole!
Veder tutto ai miei piedi?
Preferisco sentire
qualcosa sopra di me!
Pigliatevi, portatevi
lontano il vostro re!
Ora bisogna ch'io trovi
nel calore carnale
di quest'amore di madre,
nell'odore di questa tua veste,
madre.
La madre
sì, figlio, sì;
Il principe
e della tua casa,
La madre
sì, figlio,
Il principe
nel sapore dei cibi
che mi darai a mangiare
La madre
sì, sì;
Il principe
il sentimento perduto
della tua naturale umiltà.
Vado a tuffar le mani
in quella fontana!
Voglio che la vita
si rifaccia in me nuova
come un'erba d'aprile!
Via la nebbia amara, e quel fumo,
quel fumo forato da lampade,
architetture di ferro,
forni, carbone, città
affaccendate da cure
cieche e meschine,
formicai! formicai!
Ho perduto l'amore che avevo
della mia sconsolata tristezza!
Ora son pieno di quest'ebbrezza
di sole d'azzurro di verde di mare!
Signori Ministri
il vostro re l'avete.
Lo porge loro.
Al popolo:
Eccolo! Fategli onore!
Morto il Re, viva il Re!
Tutti
Viva il Re! Viva il Re!
Il Principe, mentre tutti gridano e ridono, butta le braccia al collo della madre.
La madre
Figlio mio! Figlio mio!