La fiaba dei Re Magi

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LA FIABA DEI RE MAGI

Commedia in tre atti

Di G.ZORZI e G. SCLAFANI

PERSONAGGI

DAISY

MADAME GERARD

GUIDO

IL COMMENDATORE

IL MARCHESE

LA CONTESSA

MADEMOISELLE NORINA

CARLINO

TERESA

NELLA

UN FATTORINO

IL PARRUCCHIERE

IL DOTTORE

LAURA

AMBROGIO

Un salotto Luigi XVI. Nella parete di fondo, a destra, la comune. A sinistra una porta che dà agli appartamenti di Madame Gerard. Nella parate di destra una porta. Nella parete di sinistra due. porte. Sulla scena due ricchi tap­peti e molti cuscini ammucchiati intorno a pic­cole tavole basse che reggono servizi per bere, per fumare e vasi pieni di fiori. Qua e là lam­pade con paralume. Pochi mobili di stile Lui­gi XVI. Nella parete di sinistra, fra le due por­te, una tavola con specchiera. Nella parete di fondo, fra le due porte, un ritratto a ingrandi­mento, di un vecchio generale russo.

Carlino                          - (domestico in casa di Madame Gerard. Quarantenne: giacca di tela a righe, pantaloni neri. Piccola voce, piccole mosse, piccoli nervi. Compone delle rose in un vaso) Come sono belle queste rose! (Le odora voluttuosamente) Io adoro le rose! Hanno un profumo che ine­bria. (Sospiro lungo) Aaah!

Teresa                            - (cameriera in casa Gerard. Sessan. tenne: incipriata, pretenziosa. Mosse da vec­chia cocotte) Io invece avevo un debole per le gardenie. Il principe me ne mandava, tutte le mattine, mazzi così. (Largo gesto).

Carlino                          - Sicché eravate la « signora dalle gardenie ». Ah! Ah!     - (Ride).

Teresa                            - C'è poco da ridere. Avrei voluto vederli ai miei tempi i signori che veggono qui...

Carlino                          - (in falsetto) Uh! Uh!

Teresa                            -... Loro che trovano belle queste robette. Oggi: due stinchi in croce, ecco una donna!

Carlino                          - (con sussiego) Che cosa volete... Adesso piace il tipo falso magro.

Teresa                            - Ah! ma anch'io era slanciata. Mi diceva sempre il principe: « Sembri la Venere di Botticelli ».

Carlino                          - Di chi?

Teresa                            - Ma sì... Botticelli... quel pittore che sta a Firenze.

Carlino                          - Mi pare che abbiano suonato. (Esce dalla comune).

Teresa                            - (che in quel momento, per combina, zione, si trova davanti alla specchiera, si accomoda le ciocche e, umettando di saliva Vin­dice, lo passa sulle sopracciglia).

Norina                           - (trentenne. Elegante. Si sforza di parlare Vitaliano con accento francese) Oh, bon jour, Teresa.

Teresa                            - Mademoiselle Norina? Già di ri­torno?

Norina                           - Da due giorni. Ho pollato delle cose deliziose. (A Carlino e al fattorino che portano due scatoloni da sarta) Qua.

Teresa                            - Vado a chiamare Madame Gerard: chissà come sarà contenta. (Via dalla porta in fondo a sinistra).

Norina                           - (slacciando uno degli scatoloni) E dite, mon Carlino, nessuna novità?

Carlino                          - Oh, purtroppo quello che pre­vedevo, signorina.

Norina                           - Che cosa?

Carlino                          - Ma la principessa russa...

Norina                           - Con Walter? Fuggita?

Carlino                          - Peggio: arrestata.

Norina                           - Ah, mon Dieu!

Carlino                          - Era un topo d'albergo.

Norina                           - Ah! quelle horreur! (Levando dal­lo scatolone alcuni generi di moda, fra i quali una bella pelliccia, una volpe argentata, vari cappellini, dice al fattorino) Jack, telefonate alla signora Altieri che fra poco saremo da lei per ritirare i modelli che le lasciammo ieri.

Il fattorino                    - Va bene. (Esce).

Norina                           - (dispone in ordine i generi di moda).

Carlino                          - (che ha nelle mani la volpe argen­tata) Che bella volpe!

Norina                           - Oh! magnifica! Di primissima scelta: non c'è che Patou che ne abbia uguali.

Carlino                          - (è andato davanti allo specchio, ha messo intorno al collo la volpe e si specchia torcendosi un po' sul fianco) Argentò?

Norina                           - (levando la roba dall'altro scatolone)

                                      - Parfaitement!

Gerard                           - (sui cinquantacinque anni. Elegante. Atteggiamenti dignitosi, quasi aristocratici. Oc-chialetto con lunga catena. Gioielli è cipria. Parla Vitaliano con leggero accento francese)

                                      - Cara... cara signorina.

Norina                           - (come saluto) Voilà, madame, tut­ta Parigi ai vostri piedi.

Carlino                          - (ha subito deposto la volpe e si ferma lisciandola).

GERARD                     - (osservando con Vocchialetto) -    - Oh, che cose superbe! Quanto tempo vi siete fer­mata?

Norina                           - Due settimane. Ho portato dei mo­delli d'una bellezza fantastica e li ho io sola. C'è la Golfieri di'è verde dalla bile! Non ha saputo portare niente. Vous savez, non cono­sce Parigi. S'è dovuta adattare coi modelli del­la Chavannes, che non vale più niente. A terra completamente, Chavannes, completamente!

Gerard                           - (rigirando fra le mani un cappellino) Grazioso.

Norina                           - E' di Georgette.

Gerard                           - Volevo dirlo. Ma c'è tutta Geor­gette, qua, tutta!

Norina                           - E costa niente: seicento.

Gerard                           - Oh, ma è regalato... regalato! (Vedendo Carlino) Che cosa fate là, Carlino? Sapete che il vostro posto non è qui. Sono le quattro ore. Andate.

Carlino                          - Eh! Vado... vado. (Si avvia).

Gerard                           - Un momento. Fate attenzione. Og­gi ricevo soltanto la piccola Daisy, che sarà qui all'istante, e la contessa... e se venisse sul tardi quella signora della settimana scorsa, fatela entrare nel sai Ottino turco e avvertitemi.

Carlino                          - Sta bene.

Gerard                           - No, non sta bene ancora. Deve venire il commendatore, che sarà qui all'istan­te, e se venisse sul tardi quell'inglese alto...

Carlino                          -...pelato, con la caramella...

Gerard                           - Ecco: introducetelo nel salottino turco e avvertitemi all'istante.

Carlino                          - Sta bene.

Gerard                           - Ecco: adesso andate.

Carlino                          - (via dalla comune).

Norina                           - (che ha disposto sulla sedia i vari capì di vestiario) Et voilà!

Gerard                           - (guardando) Oh bene, molto be­ne! (Sollevando la pelliccia) Che meravigliosa pelliccia!

Norina                           - L'ultima creazione di Loirier.

Gerard                           - Quanto?

Norina                           - iE' un'occasione: quarantamila.

Gerard                           - Oh, ma come si fa a cedere un capo così bello per così poco di danaro!?

Norina                           - Ma, bien entendu, sono prezzi che faccio per voi sola. (Levando dalla borsetta una busta e dandola alla Gerard) Anzi ecco qua la nota. E questa volta invece del venti, vi lascio il venticinque.

Gerard                           - (deponendo la nota) Questo è mol­to gentile.

Carlino                          - (dalla comune) C'è... è arrivata...

Gerard                           - (andandogli vicino) Chi?

Carlino                          - (sottovoce) La contessa...

Gerard                           - Ah, ma Perché ora? Be', fate en­trare...

Carlino                          - (via dalla comune).

Gerard                           - (andando verso Norina e sospingen­dola a sinistra) Un momento... scusate...  (La fa uscire dalla prima porta a sinistra).

La contessa                   - (ventottenne. Serpentina, fatale, elegantissima) Sono in ritardo?

Gerard                           - Ma niente affatto: anticipate...

La contessa                   - Ma... verrà?

Gerard                           - Lasciate fare. (Sospingendola a destra) Entrate qua... (La fa uscire dalla porta di destra).

Carlino                          - (dalla comune) C'è il fattorino di mademoiselle che vuole...

Gerard                           - Ma sì, fa' entrare.

Carlino                          - (via dalla comune).

Gerard                           - (andando rapida alla prima porta di sinistra) Mademoiselle...

Norina                           - (uscendo) Me voilà...

Gerard                           - Allora è inteso: il venticinque.

Norina                           - Parfaitement!

Carlino                          - (introduce il fattorino ed esce).

Norina                           - (al fattorino) Be', hai telefonato?

Il fattorino                    - La signora Altieri dice che la roba vuol tenerla sino a domani per farla vedere a suo marito.

Norina                           - Ma no, ma no... per carità! (Alla Gerard) Perché sapete come fanno queste signore? Tengono i modelli, li fanno copiare e poi niente comprano queste signore. Niente comprano! Mai! Andiamo, andiamo... presto, Allora passerò dopodomani.

Gerard                           - Va bene.

Norina                           - Oh, dimenticavo... (Cercando fra la roba) Dove l'ho messa? (Ha trovato una borsetta che dà alla Gerard) Ecco. A voi. E' di Cartier, Rue de la Paix.

Gerard                           - Oh, grazie.

Norina                           - Ma niente: è una piccolezza. A dopodomani.

Gerard                           - Addio, cara. Arrivederci.

Norina                           - Allons... (Via dalla comune seguita dal fattorino).

Gerard                           - (andando alla porta di destra) Venite... venite, con tessa.

La contessa                   - (entra fumando la sigaretta in un lungo bocchino) Chi era? Mademoiselle Norina?

Gerard                           - Sì... Guardate che belle cose.

La contessa                   - (mettendosi il cappello di Norina) Carino.

Gerard                           - E' di Georgette.

La contessa                   - (specchiandosi) Come mi sta?

GERARD                     - Sembra fatto per voi.

La contessa                   - Quanto?

Gerard                           - Uhm, poco... ottocento.

La contessa                   - Posso tenerlo?

GERARD                     - Ma sì, cara.

La contessa                   - Ma voi sapete... nel mo­mento.

Gerard                           - Per carità! Fra noi...

Carlino                          - (entra e si ferma titubante).

Gerard                           - Che c'è? Venite avanti.

Carlino                          - C'è... c'è... Lo faccio entrare?

Gerard                           - Ma chi?

Carlino                          - Sa... quel hel giovanotto... il si­gnor Guido.

Gerard                           - Che succede oggi? Che succede? Questo mi arriva all'improvviso... (Alla con­tessa) Voi anticipate...

Guido                            - (ventisei anni. Bel giovanotto. Vestito bene, ma senza ricercatezza. Entra dalla co­mune sorridente) Madame Gerard, non ar­rabbiatevi: siete sempre così buona...

Gerard                           - Qui la bontà non c'entra, mio caro. Qui si tratta della serietà della mia casa.

Carlino                          - (via dalla comune).

Guido                            - Ma più serio di me? Sottocassicre ai conti correnti speciali! (Cosi dicendo, va verso la contessa che. gli offre la mano solle­vata da baciare; ma lui invece gliela stringe cordialmente).

La contessa                   - Avete proprio dei modi da sottocassiere.

Guido                            - Simpatico, però.

Gerard                           - Farceur! E' inutile; non gli si può chiudere la porta di casa.

Guido                            - Entrerei dalla finestra.

Gerard                           - (alla contessa) Però è un bravo ra­gazzo, sapete? Ha avuto un'eredità da uno zio e se la viene a consumare molto gentilmente da me.

Guido                            - Il male è che siamo agli sgoccioli.

Gerard                           - Di già?

Guido                            - Eh, cara madame Gerard, l'eredità era troppo piccola per resistere a queste feb­brili speculazioni a tempo perduto.

La contessa                   - Per fortuna, j rimorsi delle vostre cattive speculazioni, non spettano a me.

Guido                            - Oh, contessa! Io sono come... nel Rigoletto: (Canticchiando) Questa o quella per me pari sono...

La contessa                   - Già... purché... questa... quella o quell'altra si chiamino Daisy.

Guido                            - (a Gerard) Verrà?

Gerard                           - Oh, che noioso!

Guido                            - Ah, be'... io non mi muovo.

Gerard                           - Mancherebbe altro!

Guido                            - (offrendo il portasigarette alla contes­sa) Posso?

 La contessa                  - Grazie. Fumo soltanto le grandi marche.

Guido                            - (offrendo a Gerard, che accetta) Male: le « Macedonia » fanno bene alla salute e alla tasca.

La contessa                   - Che peccato!

Guido                            - Che cosa?

La contessa                   - Un così bel ragazzo, così po­co elegante.

Guido                            - Però a quattr'occhi, mia cara...

La contessa                   - Volete piuttosto essere ca­rino? Offritemi questo cappello.

Guido                            - Quanto?

La contessa                   - Uhm!... poco... mille.

Guido                            - (si guarda nello specchio)

La contessa                   - Beh?

Guido                            - (continuando a specchiarsi) Eppu­re oggi non ho la faccia dell'imbecille.

Gerard                           - Ah, qu'il est charmant, qu'il est charmant!

La contessa                   - E pensare che invece l'ho già pagato, mio bel sottocassiere ai conti speciali. (Esce dalla seconda porta di sinistra invitante e felina).

Gerard                           - (a mezza voce) Perché non vi pia­ce la contessa?

Guido                            - Dite, verrà Daisy?

Gerard                           - No.

Guido                            - Che bugia!

Gerard                           - Vi dico di no.

Guido                            - Ma se vi si legge in faccia! Voi avete due occhi così chiari, un volto così sem­plice, così onesto...

Gerard                           - Beh, adesso non fate l'imbecille.

Guido                            - Andiamo: a che ora sarà qui?

Gerard                           - Ma ve l'ho detto...

Guido                            - (prendendola per i gomiti) Mada­me Gerard, vi dò un bacio!... Siate buona!... Pensate che l'eredità dello zio è per finire. Fra poco non vi seccherò più...

Gerard                           - Ma, ragazzo mio, voi venite qui, sconvolgete tutto, portate la rivoluzione e... et rien ne va plus.

Guido                            - Messieurs, faites vos jeux!

Gerard                           - (conquistata, ridendo) Sciocco!

Carlino                          - (dalla comune) C'è il commen­datore.

Gerard                           - Ecco, vedete? Lo dicevo: la rivo­luzione! Scomparite, scomparite! (Indica la porta a destra) Di qui.

Guido                            - (avviandosi) Però, badate, che poi... la rivoluzione la faccio sul serio.

Gerard                           - Via, via!

Guido                            - (scompare da destra).

Gerard                           - (a Carlino) Fai entrare.

Il commendatore           - (sui 55 anni. Bell'uomo, prosperoso, elegante e disinvolto. Faccia chiara e ridente) Cara, cara, la nostra cara Gerard.

Gerard                           - Commendatore, ben arrivato.

Il commendatore           - Ma sapete che avete un bel coraggio?

Gerard                           - Che cosa?

Il commendatore           - Ma come si fa ad anda­re in giro per il Corso con quella brutta mac­china? E' un'offesa alla mia marca.

Gerard                           - E' la mia vecchia De Dion.

Il commendatore           - Per vostra norma le au­tomobili sono come le donne: quando sono vec­chie, in rimessa! (Battendo la mano sulla spalla alla Gerard) A meno che noni siano donne come la nostra cara Gerard, la cui cilin­drata è sempre perfetta.

Gerard                           - Ah, flatteur!

Il commendatore           - No, no... con quella macchina non voglio ipiù vedervi, pivi... asso­lutamente! Vi daremo una nostra sei cento ven­tisette, otto cilindri, freni anteriori, valvole in testa, carrozzata berlina...

Gerard                           - Ma commendatore, le sue auto­mobili sono troppo care per la mia borsa.

Il commendatore           - Ma noi, cara amica, non domanderemo niente alla vostra borsa; sappiamo quali sono le alte benemerenze della Casa Gerard verso il consigliere delegato della « Omicron-Beta » e...

Gerard                           - (confusa) Commendatore!...

Il commendatore           - Fra una settimana la avrete.

Gerard                           - Ma io sono confusa... non so che dire.

I commendatore            - Non dite niente... Piut­ tosto c'è nessuno?

Gerard                           - Oh! prego! Quando c'è lei la mia casa è deserta: è un chiostro. (Va a suonare).

II commendatore          - E la piccola?

Gerard                           - Non capisco: dovrebbe essere già qui.

Teresa                            - (dalla porta, a sinistra, del fondo).

Gerard                           - (a Teresa) Portate i liquori.

Teresa                            - (vìa).

Il commendatore           - Sapete, madame Gerard, che a quella ragazza finisco per pensare un po' troppo?

Gerard                           - Davvero? Ma non bisognerà dir­glielo.

Il commendatore           - Oh, credo bene. Ma in­discutibilmente ha dei nùmeri.

Gerard                           - E per fortuna non li conosce.

Il commendatore           - Però li conoscete voi: e come!

Gerard                           - Via, commendatore, non si la­menti.

Il commendatore           - Non so... ci penso... ci penso troppo, e sento che... comincia a rom­permi un po' troppo le scatole.

Gerard                           - E' una frase un po' rude, ma che rivela un temperamento ancora molto giovane.

Il commendatore           - Oh, cara Gerard, pur­troppo siamo in quell'età, in cui per sentirci giovani bisogna essere in due.

Gerard                           - (guardando l'orologio da polso) Ebbene, commendatore, è questione di pochi minuti.

Teresa                            - (da sinistra in fondo, con i liquori).

Gerard                           - Mettete qua.

Il commendatore           - Sempre vispa la nostra Teresa.

Teresa                            - Eh, signor commendatore, comin­cio a invecchiare...

Il commendatore           - Diamine! Cominciate?

Teresa                            - (confidenziale) Lo dico a lei: sono ormai 42 compiuti. (Esce vispa e saltellante da dove è entrata).

Gerard                           - (versando i liquori) Vecchia pazza!

Il commendatore           - Invece è saggia; Perché la nostra vispa Teresa ha afferrato con la fan­tasia la farfalla della giovinezza e non se la lascia scappare.

Gerard                           - (offrendogli un bicchierino) A vous.

Il commendatore           - Grazie. (Beve).

Daisy                             - (di dentro) Ma non far storie!

Carlino                          - (di dentro) Ma io debbo...

Daisy                             - (d. d.) Devi che cosa?

Carlino                          - (d. d.) Debbo annunziare.

Gerard                           - Che succede?

Daisy                             - (entrando, a Carlino che vuole impe­dirle il passaggio) Ma fammi il piacere...

Gerard                           - Che c'è? Daisy!

Daisy                             - Ma è quello lì che ha sempre la manìa di annunziare! La serietà della casa... entra qui, entra là... i soliti sotterfugi.

Carlino                          - (esce dalla comune con gesti di di­sperazione).

Gerard                           - Ebbe'? Non si è sempre fatto così? Che novità sono queste? Se bai i nervi ne ab­biamo colpa noi?

Il commendatore           - (facendo atto di versarle il liquore) Posso offrirti un calmante?

Daisy                             - (quasi senza voce) No, grazie. (Si siede, ha le lagrime agli occhi).

Gerard                           - Ma che cos'hai, Daisy?

Il commendatore           - Piccola...

Gerard                           - Che c'è?

Daisy                             - Niente, niente...

Gerard                           - No, qualche cosa ci dev'essere.

Il commendatore           - Che succede? Io che speravo di trovare la mia pupetta allegra come il solito.

Gerard                           - Daisy?

Il commendatore           - E' una cosa tanto grave che valga la pena di piangere?

Daisy                             - Eh, sì... è grave.

Gerard                           - Hai questionato eoi tuoi di casa?

Daisy                             - No, no.

Gerard                           - E allora? Non t'ho mai veduta co-sì strana. Vuoi parlare?

Daisy                             - E' una cosa che...

Gerard                           - Sentiamo.

Daisy                             - Una cosa... (Piange).

Gerard                           - Ma Daisy, andiamo! Hai davanti a te delle persone che ti vogliono bene.

Il commendatore           - Molto bene.

Gerard                           - Non sono una tua amica, io?

Daisy                             - E' una cosa... una cosa... che era da prevedere. Prima non si pensa, ma poi...

Gerard                           - Ma poi...?

DaIsy                            - Una di quelle cose che capitano... (Alla Gerard) Scusi, sa... ma che capitano a fare questa bella vita.

Gerard                           - Ma benedetta creatura, se non ti spieghi...

Daisy                             - Sì, sì, mi spiego... Sono... Sono... non sono più sola, ecco!

Gerard                           - Ma sei proprio sicura?

Daisy                             - Purtroppo. Avevo dei sospetti... so­no andata dalla signora Apollonia e...

Gerard                           - E t'ha detto...?

Daisy                             - Che è così.

Gerard                           - Quando ci sei stata?

Daisy                             - Ieri. Capirete... adesso cambia tut­to. Gli zii... quelli là... brava gente: i cappel­lini, le pellicce, tutte cose naturali: vengono fuori dalla dattilografìa. Ma il bambino... E quando lo sapranno chissà che cosa succede.

Gerard                           - E che hai pensato di fare?

Daisy                             - Che ho pensato di fare? Come vuole che lo sappia io. Ero venuta per domandare a lei che cosa si può fare.

Gerard                           - A me? O bella!... Che cosa c'en­tro io?

Daisy                             - Eh! Mi sembra che un po' di colpa, scusi, sa...

Gerard                           - Ah no, cara. Parliamoci ben chiari subito. Non facciamo delle storie. Sono faccende nelle quali io non voglio mescolarmi: in­tendiamoci bene.

Daisy                             - Ah, l'intende così lei?

Gerard                           - L'intendo come dev'essere intesa.

Daisy                             - Ah, vada, ch'è una brava persona.

Gerard                           - Ma, mia cara, hai sì o no l'età della ragione?

Daisy <                         - Ah, vuol dire che sono maggioren­ne? Si sa difendere lei.

Gerard                           - Affatto, cara, Perché non ho pro­prio bisogno di difendermi.

Daisy                             - Già... Perché io sono una povera ragazza senza nessuno che prenda la sua parte.

Gerard                           - E per questo dobbiamo pensar noi...?

Daisy                             - Eh, cara signora, il bambino c'è e bisogna pure che qualcuno ci pensi.

Gerard                           - Ma scusa, cara...

Il commendatore           - (alla Gerard) Un mo­mento, vi prego.

Daisy                             - Se non era questo maledetto' po­ sto

Il commendatore           - Andiamo, piccola, cal­mati, mettiti tranquilla: parlando a questo mo­do vi guastate il sangue e non venite a capo di nulla. Adesso calmati, andiamo di là...

Daisy                             - (interrompendolo) Di là dove?

Il commendatore           - Dicevo « di là » per parlare un momento soli, non sono un ragazzo.

Gerard                           - Ma se volete, io... (Accenna a uscire).

Daisy                             - (alla Gerard) Dove vuole andare? Misteri fra noi non ce ne sono. Se c'era qualche cosa da nascondere era prima.

Il commendatore           - (dopo una pausa) Cer­to, non è una cosa semplice.

Daisy                             - Eh, purtroppo per me.

Gerard                           - (breve silenzio) Oh Dio, potrebbe essere anche semplice: se hai un po' di fiducia in me... e un po'... di coraggio...

Daisy                             - Cosa vuol dire? No, sa! Certe bric­conate io non le faccio.

Gerard                           - Le fanno anche le persone oneste.

Daisy                             - Oneste a modo loro.

Il commendatore           - Be', lasciamo andare: sono discorsi idioti e di più inutili. (Breve si­lenzio) Tu sei proprio sicura che tuo zio non ti voglia più in casa?

Daisy                             - Capirai... deve rigar dritto: ha la concessione di una ricevitoria del lotto...

Il commendatore           - Allora gli domanderai i numeri.

Daisy                             - Non scherzare, ti prègo. Vorrei ve­derti nelle mie condizioni...

Il commendatore           - Sarei meno carino di le.

Daisy                             - Smettila, andiamo.

Il commendatore           - Ma se cerco di calmarti. Tanto più che con le tragedie non si viene a capo di nulla. Ti sembra?

Daisy                             - Eh, lo so.

Il commendatore           - Oh brava! E allora cer­chiamo d'essere pratici. Tu dunque sei sicura che questa signora Apollonia è infallibile?

Daisy                             - Purtroppo!

Il commendatore           - E sei anche sicura che gli zii non ti terrebbero in casa?

Daisy                             - Eh... (come dire certissima).

Il commendatore           - Sicché dovresti andare a star sola.

Gerard                           - Una casa a questi chiari di luna...

Daisy                             - Non pretenderà che venga ad allog­giare da lei.

Gerard                           - Hai un bel modo di trattare dopo che ti si è fatto del bene.

Daisy                             - Lo chiama bene? Volevo anzi dirle che sono venuta a prendere la mia roba.

Gerard                           - Ma prendila pure la tua roba.

Il commendatore           - Be', finiamola, eh? (Un silenzio) Cerchiamo piuttosto di decidere: o bene o male, ma decidere. Voi, cara Gerard, m'avete sempre detto che Daisy qui dentro veniva a trovare solamente me.

Gerard                           - Infatti...

Il commendatore           - (alla Gerard) Un mo­mento. (A Daisy) E' così?

Daisy                             - (accennando alla Gerard) Non hai sentito?

Il commendatore           - Del resto, di fronte a questa tua... chiamiamola così, disgrazia, non avrei nemmeno la voglia di approfondire. E poi quando mi metto sulla strada di credere, preferisco credere e buona notte. Quindi credo a te e a madama Gerard.

Gerard                           - (con un lieve sospiro) Merci...

Il commendatore           - Tuttavia c'è un « ma », un « ma » al quale tu sola puoi rispondere: fuori di qui non c'è nessuno?

Daisy                             - Ma che cosa vuoi che ci sia, per l'amor di Dio...

Il commendatore           - Perché... bada, i ro­manzetti mi seccherebbero.

Daisy                             - Sì... i romanzetti coi tempi che cor­rono!

Il commendatore           - E allora non c'è più niente da dire: domani telefonami in fabbrica, ci troveremo fuori e tutto sarà accomodato.

GERARD                     - Oh!...

Daisy                             - Accomodato, come?!

Il commendatore           - (alla Gerard) Spiegateglielo voi.

GERARD                     - Ma non capisci? Vuol dire che sei a posto.

Il commendatore           - Come una signora che deve aspettare il suo piccolo bebé.

Daisy                             - Ti ringrazio. Però... è vero?... Non mi metterete in un albergo?

Il commendatore           - Albergo?

Daisy.                            - E nemmeno in una casa di salute?

Il commendatore           - Ma che casa di salute! Avrai un appartamento.

Daisy                             -?!...

Il commendatore           - Sì, un appartamento. E vorremo che sia comodo... con delle perso­ne che ti servano e una brava cuoca che faccia dei buoni pranzetti, ai quali, spero, mi invi­terai qualche volta. Sei contenta?

Gerard                           - Ma Daisy?

Daisy                             - Ma... (Ha un leggero sorriso) Gra­zie, sai... Io non so...

Il commendatore           - Dimmi se sei contenta.

Daisy                             - Sì...

Il commendatore           - E non mi dici altro?

Daisy                             - (si alza e con un dolce sorriso gli va vicino, lo bacia) Grazie.

Gerard                           - (si asciuga le lagrime).

Il commendatore           - (a Daisy, accarezzandola) Sei più tranquilla?

Daisy                             - Sì... Ora sì.

Il commendatore           - Povera, povera piccoli] na! Vedi come si fa presto ad appianare ogni cosa, a far tornare un po' di sereno?

Gerard                           - Eh, il commendatore ha l'abitu­dine di andare alla velocità di cento chilome­tri.

Il commendatore           - Già, sarà per questo. (A Daisy) E ora vai, vai da Madame Gerard: voglio vedervi far la pace.

Daisy                             - (si avvicina a Madame Gerard) Mi scusa, eh?

Gerard                           - (abbracciandola) Ma cara! Ma non parliamone nemmeno. Tu sei e sarai sempre la mia piccola e cara figliuola.

Daisy                             - (al commendatore) E tu sei... pro­prio contento... proprio?

Il commendatore           - Sì... Sono contento: fra qualche settimana può darsi che lo sia « pro­prio ».

Daisy                             - Perché?

Il commendatore           - Niente: malinconie di chi ha vissuto di più. (Alla Gerard) Come vedete, cara Gerard, non tutte le brutte sorpre­ se vengono per nuocere.

Daisy                             - (al commendatore) E di' un po': il posto di dattilografa potrò lasciarlo?

Il commendatore           - Ah, che disastro! (Al­la Gerard) Bisognerà addirittura rifarle un'edu­cazione!

Daisy                             - (avvicinandosi a lui) Vedrai come sarò educata, quando sarò nella mia casa!

Il commendatore           - (stringendola a se) Spe­riamo. Intanto dammi un altro bacetfco.

Daisy                             - A te! (Lo bacia).

Il commendatore           - E ora, a rivederci.

Gerard                           - Vuol andare?

Il commendatore           - Eh, cara Gerard, sono decisioni che reclamano almeno cinque mi­nuti di meditazione.

Daisy                             - E allora come restiamo?

Il commendatore           - Te l'ho detto: mi tele­foni domani.

Daisy                             - A che ora?

Il commendatore           - Alle dieci. Dentro do­mani sera l'appartamento dev'essere trovato. (Salutando) Cara Gerard...

Gerard                           - lo veramente sono confusa...

Il commendatore           - Di che?

Gerard                           - Ma... che nella mia casa le sia capitato...

Il commendatore           -... di fare un po' di be­ne? Capita così di rado. (A Daisy) Allora, pic­cola; a domani. Ciao. (Via dalla comune).

Daisy                             - Madame Gerard... che cosa le sem­bra tutto questo?

Gerard                           - Ma una cosa magnifica, mia ca­ra! Meglio di così non potrebbe essere.

Daisy                             - E dire che ero così disperata.

Gerard                           - Be', ora non pensarci più. Co­mincia piuttosto a riflettere che sei nelle mani di un uomo di gran sentimento, generoso, di impulsi, di uno di quegli uomini di cui pur­troppo si va perdendo lo stampo. Certo, biso­gnerà avere molto tatto e molta prudenza; Perché gli uomini di questo genere sono molto buoni, ma non tre volte, intendiamoci bene. Eh, io ho la mia esperienza, mia cara, doloro­sa esperienza. (Accennando alla fotografia del generale russo) Lo vedi quello là?

Daisy                             - Chi è?

Gerard                           - Uno che aveva lo stesso carattere del commendatore: il re di Georgia.

Daisy                             - Ebbe'?

Gerard                           - Guarda me. Avrei potuto essere la regina di Georgia...

Daisy                             - Eli?!.,.

Gerard                           -... Perché quel gran re mi fece le stesse proposte del commendatore. Ma io per mia disgrazia non avevo vicino nessuno che potesse consigliarmi... E così perdetti un tro­no. Pensa, figlia mia: il trono di Georgia! Ma per fortuna, questa persona d'esperienza tu l'hai. E' qui: la tua Gerard: una madre. (La accarezza) Per te comincia una nuova vita: la vita della signora! Occorre presenza di spirito, senso diplomatico e soprattutto sacrificio della nostra bella, semplice, naturale spontaneità... Perché mia cara, è stato per troppa... sponta­neità che io ho perduto il trono di Georgia.

Daisy                             - Povera madame Gerard!

Gerard                           - (core un sospiro) Ma non pensia­moci più. E ora non perdiamo tempo: vai a prendere la tua roba, Perché d'ora in avanti al­tra sarà la mia missione presso di te. (La ba­cia in fronte) Vai, cara...

Daisy                             - (avviandosi saltellando alla comune) Teresa... Teresa!...

Gerard                           - (avviandosi verso sinistra) Anche questa se ne va. Mah!... Tout passe, tout las­se, tout casse et pas tout se remplace. (Apren­do la porta in fondo a sin.) Contessa... (Esce).

Guido                            - (s'affaccia dalla porta a destra).

Daisy                             - (di dentro) Teresa! (Rientrando dalla comune) Teresa! (Vedendo Guido si fer­ma di botto) Ah sei qui?

Guido                            - Sì... ero di là.

Daisy                             - Hai saputo?

Guido                            - Che ^osa?

Daisy                             - Non hai udito?

Guido                            - No.

Daisy                             - Ah, mio caro, grandi novità!

Guido                            - Quali novità?

Daisy                             - Non ho tempo. Fattele spiegare da madame Gerard... (Esce dal fondo a sinistra strillando) Teresa! Teresa! Teresa!

Guido                            - (resta interdetto).

La contessa                   - (entra da sinistra, seguita dalla Gerard) Dio, come urla! Chissà che cosa crede di essere.

Gerard                           - E' felice la pauvre. E io sono ve­ramente commossa. Vi assicuro, commossa. (Vedendo Guido) Che cosa fate voi qui?

Guido                            - Niente: a star di là m'annoiavo.

La contessa                   - E potrete continuare ad an­noiarvi.

Guido                            - Perché?

La contessa                   - Perché la vostra Daisy ha trovato finalmente un imbecille che la mantiene.

Guido                            - Ah?

Gerard                           - Imbecille? Oh, prego! Il com­mendatore è tutt'altro che un imbecille. Non lo conoscete! Solamente è di quegli uomini che non stanno a cercare il pelo nell'uovo. Ha misurato d'un colpo la situazione e ha deciso. Da un lato ci sono dei milioni, dall'altro c'è una povera ragazza vittima d'un incidente mol­to comune; e lui ha pensato che una piccola parte di quei milioni può ben essere rivolta a circondare di quiete e di comodi questo mi­racolo della natura.

Guido                            - Ma che succede?

La contessa                   - Non avete capito? Il pupo!

Guido                            - Eh?

Gerard                           - Sì... un petit enfant, mio caro. Daisy è d'un mese. E di fronte a una tale si­tuazione... capirete...

La contessa                   -... sarà meglio che voi pen­siate a impiegare l'eredità dello zio in altre combinazioni meno sballate, Perché ormai la vostra Daisy...

Gerard                           - La sua Daisy? Ah, prego! Per vo­stra norma, d'ora in avanti, per tutti, Daisy in onesta casa non ha conosciuto che il commen­datore. (A una smorfia della contessa) Soltan­to il commendatore! (A Guido) Non è vero, signor Guido?

Guido                            - (seccato) Ma lasciatemi stare!... Che cosa c'entro io?

Gerard                           - (alla contessa) Ecco!... Vedete? « Che cosa c'entra lui ». Comprende la situa­ zione: è un gentiluomo.

Carlino                          - (dalla comune, annunziando ad al­ta: voce) Il signor marchese.

Gerard                           - Il marchese?

La contessa                   - (ironica) Ecco! Che cosa c'entra quest'altro?

Gerard                           - (a Carlino) Dite che non ci sono, che non ricevo!

Il marchese                    - (sui 58 anni, eleganza aristo­cratica, un po' vecchiotta, monocolo e ghette. Modi cavallereschi. Molta impulsività, poca ri­flessione) Madama Gerard!

Gerard                           - Ma Perché, marchese? Non vi aspettavo. Perché siete qua? che c'è?

Il marchese                    - (levando una lettera e conse­gnandola alla Gerard) Leggete. L'ho ricevuta stamane. Sono fuori di me.

Gerard                           - (scorrendo la lettera) « Venite al­le cinque da madama Gerard. Sono madre ». (Rivolgendosi al marchese) Eh?! Voi?!

Il marchese                    - (con gesto di fatalità) lo!

Gerard                           - (fra sè) (Ma non è possibile... non è possibile!).

Il marchese                    - Eppure quella lettera è chiara.

 La contessa                  - Ma... scusate... di che si tratta?

Il Marchese                   - Oh, contessa... perdonate. Ma sono così confuso, così turbato...

Gerard                           - No, no, marchese... non facciamo pettegolezzi!

Il marchese                    - Pettegolezzi? ma...

Gerard                           - Ma sì! Pettegolezzi! (Alla con­tessa e Guido) Anzi, vi prego, andate, lasciate­ci soli.

LA contessa                  - Oh figuratevi! Ora che le cose sono così bene a posto... (Esce dalla comune drappeggiandosi).

Guido                            - (con un inchino leggermente ironico, esce a destra).

Gerard                           - (al marchese) Questa lettera non ha importanza.

Il marchese                    - Come non ha importanza?

Gerard                           - Non deve avere importanza!

Il marchese                    - Ma come? Il grido di dolore di una povera figlia...

Gerard                           - Ma lasciamo stare la figlia, per carità!

Il marchese                    - Ma se lei riconosce che io...

Gerard                           - Voi, che cosa?

Il marchese                    -... che io sono il padre!...

Gerard                           - Padre! Padre! Ma che cosa vuol dire padre? Padre! Così... all'improvviso, senza nemmeno il tempo di riflettere! Ma da quando in qua...

Il marchese                    - Eppure mi sembra...

Gerard                           - Vi sembra! Ma, caro mio, non bastano le apparenze per sentirsi padre!

Il marchese                    - Le apparenze? Voi mi avete assicurato che quella piccina veniva qua sola­mente per me; fuori di qui la sua condotta è serissima.

Gerard                           - Sì, va bene, è la verità, ma...

Daisy                             - (entra canterellando dal fondo a sini­stra. Porta una valigetta e alcuni indumenti).

Il marchese                    - (andandole incontro) Daisy...

Daisy                             - (contrariata) Ah...

Gerard                           - (a Daisy, aggressiva) Che cos'è questa lettera?

Daisy                             - Ah!... Ma...

Gerard                           - (con maggior forza) Che cos'è que­sta lettera?

Il marchese                    - (alla Gerard) Non confon­detela.

Gerard                           - Una lettera stupida, sciocca!

Il marchese                    - Non fatela piangere!

Gerard                           - Mi spiegherai.

Daisy                             - (scattando) Ebbene, sì, le spiegherò. Intanto si calmi Perché se seguita a urlare la pianto qua e me ne vado.

Il marchese                    - Ma sì, Gerard, restate tran­quilla.

Gerard                           - Ma io vorrei sapere, per quale idea luminosa...

Daisy                             - 0 bella! C'entra o no lui in tutto questo?

Il marchese                    - Perbacco!

Daisy                             - E allora si prenda la sua parte di responsabilità!

Il marchese                    - Ma sì, calmatevi, cara Ge­rard. Agitato dovrei essere io. E veramente vi confesso che quando ho ricevuto quella lettera al primo momento ho provato un soprassalto... Ma poi ho riflettuto, mi sono calmato e ho det­to: caro marchese di Vallestretta, se è vero che la sorte vi riservava un piccolo successore, ben venga il piccolo successore, il futuro marchese di Vallestretta.

Gerard                           - (ironica, ridendo nervosa) Ma be­ne, benissimo. (A Daisy) Ecco! Ecco che cosa succede a scrivere queste lettere! Che si crea­no i conti, i principi, i marchesi così come niente. Benissimo!

Il marchese                    - Gerard! Voi non sapete che nel secolo XV un mio antenato ebbe l'audacia di innestare nel tronco illustre della famiglia un figlio nato... nato insamma da un momento di distrazione. Ed eravamo nel secolo XV! Ma non perdiamosi in chiacchiere, per carità. Sia­mo pratici, pratici e fattivi. Agire, agire bi­sogna: mettiamoci a sedere. (Accosta qualche sedia) Sediamoci qui e parliamo. (A Daisy) Sie­di', cara. Sedete, madama Gerard.

Gerard                           - (sedendo) Però, se manca il suo consenso...

Il marchese                    - Il suo consenso? Ma scatu­risce dai fatti! Questa lettera non è forse sua?

Gerard                           - (a Daisy) Ma di' almeno qualche cosa tu!

Daisy                             - Che cosa vuol che dica? Parla tanto lei.,.

Gerard                           - (ironica e fremente) E allora, be­ne, benone! La parola al signor marchese. (Prende dal tavolino un ventaglio portato da mademoiselle Norina. e comincia a sventolarsi furiosamente).

Il, marchese                   - Il signor marchese ha ben poche parole da dire. (A Daisy) Due parole. Io conosco madama Gerard da anni, da molti an­ni; ne so la serietà e la sincerità; e quando lei affidandoti a me, mi rassicurò che tu qui... sì... era soltanto per me... capirai... va da se.

 Gerard                          - (ironica) Ah, va proprio da sé!

Daisy                             - (alla Gerard) Lei, per esempio, po­trebbe fare a meno di lare dello spirito, lei!

Il marchese                    - Ma sì, Gerard, state tran­quilla! (A Daisy) Fuori di qui - credo di conoscerti bene per ritenerti sincera, e non mi passa neppure per la testa di mettere in dubbio le tue affermazioni. E allora?... E allora che cosa andiamo cercando, amiche mie? E' cosa fatta! C'è un responsabile; e io sono qui per riconoscere piena, intera la mia responsabilità.

Gerard                           - (ridendo ironica) Benissimo!

Il marchese                    - E non crediate che questo ani, dia il minimo pensiero. Oh, tutt'altro! (Commovendosi) Perché... Perché voi non sa­pete... voi non sapete, amiche mie... non sapete come questo avvenimento venga a cancellare, ad annientare di colpo tante, tante torture del mio passato. (Concitandosi, con gli occhi al cielo). Ma io vi vorrei qui, suocera mia. Vi vor­rei qui davanti a questa creatura per chieder­vi finalmente: « Ma dunque la sterile chi era? Io o vostra figlia? ». (Asciuga le lagrime) Ma basta, non pensiamoci più. (A Daisy) Dimmi tutto quello che vuoi, bada, tutto! Io sono qua per questo.

Daisy                             - Io però... se mi permetti...

Il marchese                    - Non dire niente: affidati a me, piccola.

Daisy                             - Va bene... ma...

Il marchese                    - Affi'dati a me! E quando Bonifacio di Vallestretta ha detto questo mi pare che basti!

Gerard                           - (sventolandosi) Benissimo, bene, benissimo.

Il marchese                    - (a Daisy) Prima di tutto, che cosa facevi con questa roba? (Indica la vali­getta e il resto).

Daisy                             - Ero venuta a prenderla per...

Gerard                           - (ironica)... per una decisione pre­cedente.

Il marchese                    - Ah, brava. Perché qui na­turalmente... Brava! Ma fuori di qui, hai ben pensato.

Daisy                             - (breve) Ma sì, ho pensato, ho pen­sato.

Gerard                           - Oh, pensaiissimo!

Il marchese                    - (a Daisy) Che cosa hai pen­sato, sentiamo. Dove andrai, cosa farai?

Daisy                             - Ma non so... non so ancora.

Gerard                           - Ecco; non sa. Sa e non sa.

Il marchese                    - Eh! Ed è così, cara Gerard, è così che queste creature si perdono.

Gerard                           - Eh, proprio così! Proprio!

Il marchese                    - (a Daisy, affettuoso) E inve­ce ascolta, ascolta me. Bisogna che a questa mammina e al suo bambino sia preparato un bel nido dove, senza pensieri, possano tutte e due attendere il lieto evento.

Gerard                           - Magnifico! Occorrerà un apparta­mento, è vero?

Il marchese                    - Certo.

Gerard                           - Con delle persone di servizio...

Il marchese                    - Si capisce.

Gerard                           -... e una brava cuoca che prepa­ri dei buoni pranzetti ai quali voi sarete in­vitato.

Il marchese                    - Ma almeno io spero.

Gerard                           - Ecco, hai sentito Daisy? Proprio quello che volevi.

Daisy                             - Oh, insomma, vuol finirla lei?

Gerard                           - (ride e si sventola) Ah, ah, ah.

Daisy                             - Sono nervosa: ne ho abbastanza!

Il marchese                    - (facendo atto con le mani) Zitta! per carità: potrebbe farti male.

Daisy                             - (cominciando a girare nervosamente per la camera) Il male me lo fate voi! Voi mi fate il male.

Il marchese                    - (seguendola) Ma calmati!... Daisy!... Calmati... Non sbatacchiariti qua e là, a codesto modo! Pensa al tuo stato che è sacro, figliola mia, sacro...

Daisy                             - Vuoi smetterla? Vuoi farmi il pia­cere di andartene?

Il marchese                    - Oh Dio! Ma che hai? Vado, vado...

Daisy                             - Oh bravo! Vattene e lasciami in pace.

Il marchese                    - (alla Gerard) Madama Ge­rard, ma che ha?

Gerard                           - Il ballo di san Vito.

Il marchese                    - (a Daisy) A domani, ti tele­fonerò domani...

Daisy                             - Ooooooh!

Il marchese                    -... ci metteremo d'accordo su tutto.

Daisy                             - Uuuuh!

Il marchese                    - (soffiamlo i monosillabi) No, no... sssc... sssstt. (Si allontana in punta di piedi ed esce).

Gerard                           - Ecco, ecco quel che succede a fal­le cose senza testa.

Daisy                             - Vuol smetterla di seccarmi?

Gerard                           - Vorrei sapere la bella idea di seri-vere quella lettera.

Daisy                             - Un'idea che sarebbe venuta anche a lei.

Gerard                           - A me?!

Daisy                             - Era il più stupido: ho scritto a lui, ì Poi sono venuta qua e c'era quell'altro...

GERARD                     -... e hai fatto il resto. Ma doman-do ora come farai, come farai?

Daisy                             - Eh, che gran fatto! Invece di un papà ce ne saranno due, e non sarà una novità.

Gerard                           - Ah! ragioni così? ragioni così?

Daisy                             - Ragiono come voglio! E lei non se ne occupi.

Guido,                           - (durante le parole di Daisy si è affac- , ciato sulla soglia di destra, ha la sigaretta in | bocca e sorride).

Gerard                           - (indicandolo) E allora prenditi! anche questo! Ah! ah! Bènissimo! Non mi ci voglio più mescolare. Prenditi la tua roba e che non ti veda più. E che sia finita! Che sia finita! (Via dal fondo, arrabbiatissima).

Daisy                             - (comincia a mettere dentro la valigetta la sua roba).

Guido                            - (dopo un silenzio, sorridendo) Di'... mi sembra che ti sei messa in una curiosa trap­pola.

Daisy                             - Hai da dire qualche cosa anche tu?

Guido                            - Ah, niente!... Prego!... Faccia I pure...

Daisy                             - (continuando a mettere la sua roba con stizza nella valigia) Una trappola dove starò beniasimo.

Guido                            - Te l'auguro.

Daisy                             - E gli altri creperanno di rabbia.

Guido                            - Speriamo di no. (Dopo un breve silenzio) Sicché tu qua... più?...

Daisy                             - Vorrei vedere! Per chi mi prendi? Credi che non conosca i doveri della famiglia? (Le viene quasi da ridere).

Guido                            - (dopo un silenzio) E va be'. (Altro silenzio) Allora ci possiamo salutare.

Daisy                             - (asciutta) Buona sera.

Guido                            - (lentamente si avvia verso la comune… Si ferma un istante sulla soglia... poi esce senza voltarsi).

Daisy                             - (ha chiuso la valigetta. Va a prendere \ il suo cappellino; ma fra quelli di Norina nev vede uno che le piace. Getta il suo e mette l'altro. Poi vede la pelliccia, la prende, l'indos­sa. Va allo specchio, si guarda).

Gerard                           - (dal fondo a sinistra) Ma Daisy! j Sono quarantamila lire! Che fai?

Daisy                             - Oh, bella! Faccio la signora, e fac-ciò la marchesa: la signora marchesa. (Prende la valigetta e si avvia verso la comune). Buon giorno!

Gerard                           - Daisy!...

Fine del primo atto

SECONDO ATTO

Grande camera da letto ottagonale adattata a salotto. Nella parete di fondo l'alcova sepa­rata da un tendaggio. Nella parete di sinistra un gabinetto di teletta. Nella parete di destra una vetrata oltre la quale è un salotto dove si immagina la comune. Tappezzerie chiare, mo­bili comodi e di lusso.

Daisy                             - (nel gabinetto di teletta seduta da­vanti allo specchio).

Il parrucchiere               - (reggendo uno specchio a mano dietro la nuca di Daisy) Va bene?

Daisy                             - (accennando a un lato della capiglia­tura) Ecco... qua... direi...

Il parrucchiere               - Le faccio notare che è l'ultimo strillo della moda.

Daisy                             - (alzandosi e venendo avanti) E allora vada per lo strillo! (Leva l'accappatoio che getta su una sedia e appare in elegantissima vestaglia. S'inoltra nella scena; va a guardarsi a uno specchio e con la mano accenna a miglio­rare l'acconciatura).

Il parrucchiere               - Per carità, non tocchi!

Daisy                             - (voltandosi come impaurita) Che cosa c'è?

Il parrucchiere               - Loro signore hanno quella benedetta mania di toccare...

Daisy                             - Non pretenderete che stia tutto il giorno così... come una mummia.

Il parrucchiere               - Ma almeno in mia pre­senza non guasti l'opera d'arte.

Daisy                             - E va bene, non diamo dispiaceri al caro Emilio.

Il parrucchiere               - (levando una fattura) Avevo portato... come lei m'aveva detto.

Daisy                             - Ah sì, date. (Prende la fattura e legge) Ma come? In quindici giorni seicento-eirquanta lire! I dispiaceri li date voi a me.

Il parrucchiere               - Se osserva vi sono com­prese le tre boccette che lei m'incaricò di portare a madame Gerard.

Daisy                             - Ah, già.

Il parrucchiere               - Sono l'ultima creazione di Fourrè.

Daisy                             - (andando a prendere il danaro da un mobiletto) E come va madame Gerard?

Il parrucchiere               - Bene. Ma credo che vo­glia ritirarsi a vita privata.

Daisy                             - Davvero? (Ritorna) E come mai? (Gli dà un biglietto da 500 e due da 100 lire).

Il parrucchiere               - Mah! dice che la con­correnza dei grandi alberghi è insostenibile. (Ha levato un biglietto da 50 lire che porge a Daisy) A lei.

Daisy                             - (rifiutandolo) Prego: è il giorno di Natale.

Il parrucchiere               - Grazie, signorina.

Nella                             - (giovane cameriera di Daisy) C'è l'autista che aspetta gli ordini.

Daisy                             - Sì, sì, esco subito: di' che si tenga pronto. Allora, Emilio, a domani.

Il parrucchiere               - (saluta ed esce dalla co­mune).

Nella                             - (sottovoce) Badi che c'è di là quel signorino che venne a salutarla un'altra volta.

Daisy                             - Ah! Guido! E dove l'hai messo?

Nella                             - Nel salottino.

Daisy                             - Be', fallo passare.

Nella                             - Ma... scusi, se poi ritarda a uscire?

Daisy                             - E' vero. Uffa! che seccatura.

Nella                             - (guardando l'orologio a pendolo) Ormai sono le tre, e lei sa ohe il signor mar­chese...

Daisy                             - Già... (Riflette) Be', Jo sbrigo su­bito. Sarà venuto per gli auguri. Intanto por­tami la pelliccia e il cappello.

Nella                             - (via dalla comune).

Daisy                             - (va in gabinetto di teletta, prende un vestito ed entra nell'alcova lasciando il tendag­gio semiaperto).

Guido                            - (affacciandosi) Si può?

Daisy                             - (togliendosi la vestaglia) Avanti.

Guido                            - (avanzando) Che anticamera!

Daisy                             - Voltati in là che mi vesto.

Guido                            - Esci?

Daisy                             - Purtroppo. E' necessario.

Guido                            - Auguri.

Daisy                             - Grazie. (Infilando il vestito) Met­titi a sedere e accendimi una sigaretta.

Guido                            - (cercando) Dove le hai?

Daisy                             - No, no: delle tue, mi piacciono di più.

Guido                            - (levando il portasigarette e sedendo) Bada che io continuo a essere fedele alle più economiche. (Accende una sigaretta).

Daisy                             - (avanzando, già vestita) E fai be­ne. Del resto che cosa credi? Dacché ho una casa, anch'io ho imparato l'economia. (Pren­dendo la sigaretta accesa) Grazie. Ma dimmi di te: ti si vede così di rado.

Guido                            - Che vuoi? Esco dall'ufficio nelle ore in cui è impossibile vederti.

Nella                             - (entra dalla comune con una pellic­cia e un cappellino che depone su una poltro­na. Poi va nel gabinetto di teletta a mettere un po' d'ordine).

Daisy                             - Perché impossibile?

Guido                            - Capirai, con quei tuoi due gani­medi...

Daisy                             - (sorridendo) E' vero... Ma ti dirò che hanno ore quasi fisse. Io e Nella abbiamo fatto i nostri studi.

Guido                            - Ah, sì?

Daisy                             - Certo! per regolarci nelle manovre. Lo zio marchese, che non lavora, va all'antica: arriva prestino, all'ora del caffè; lo zio com­mendatore, che lavora, arriva all'ora del tè.

Guido                            - Ma che bravi zii!

Daisy                             - Non ci sono che i giorni di festa in cui regna l'anarchia; e possono capitarmi qua tutti e due insieme. E allora sai che cosa taccio? Per superare l'ostacolo, prendo il volo.

Guido                            - Sicché oggi è giornata di volo.

Daisy                             - E infatti...

Nella                             - (attraversa la scena ed esce).

 Guido                           - E come va la salute?

Daisy                             - Benone! (Rigirandosi con grazia) Non vedi?

Guido                            - (con intenzione, sorridendo) Veramente... non vedo ancora nulla.

Daisy                             - Che fretta avete tutti che diventi! brutta!

Guido                            - Perché bruita?

Daisy                             - Va' là, non ci posso pensare! Quando non sarò più presentabile mi chiuderò casa e nessuno mi vedrà più.

Guido                            - Nemmeno i signori zii?

Daisy                             - Nemmeno loro. Del resto che cosa credi? Vengono qui solo per farmi un inchino,  portarmi dei quattrini e baciarmi la mano.

Guido                            - Non potrebbero essere più galanti e discreti.

Daisy                             - Io, poi, sai, li tratto con la massima) giustizia: se uno paga l'affitto di casa, lo pagaj anche l'altro. E così per tutto: gas, luce, servitù; note della sarta, della modista, benzina, scoppio di pneumatici... Però di' la verità: che brutta cosa i quattrini!

Guido                            - Brutta quando non si hanno.

Daisy                             - Ma vai! Per esempio tu: ne hai pochi, ma vorresti dire di non essere felice? La voti, non hai bisogno di nessuno, ti diverti.., A proposito: vorrei sapere una cosa, signorino.

Guido                            - Che cosa?

Daisy                             - Andate più da madame Gerard?

Guido                            - A far che?

Daisy                             - Ma caro!... tesoro!... Lo saprai tu...

Guido                            - No, non ci vado!

Daisy                             - Come stiamo diventando, virtuosi?

Guido                            - Peggio.

Daisy                             - Che cosa?

Guido                            - Sentimentali.

Daisy                             - Eh, che brutta malattia! (Prendendo una scatola di dolci lì presso) Vuoi un) confetto?

Guido                            - (accettando) Grazie.

Daisy                             - (mangia dei dolci) Vedi? Quando) io cado nel sentimento, mangio dei confetti, e mi passa. (Sentenziosa) I confetti sono... il piramidone del sentimento.

Guido                            - E allora dammene un'altra cartina.

Daisy                             - (offrendo) Dio, che malato grave!

Nella                             - (dalla comune) Signorina, glielo dicevo?

Daisy                             - Il marchese?

Nella                             - No.

Daisy                             - Il commendatore?

Nella                             - Il dottore.

Daisy                             - Oh che seccatura! Anche il giorno di Natale.

Nella                             - Gliel'ho detto. Ma è armato d'un mazzo di fiori e non se ne vuol staccare.

Daisy                             - Be', fallo passare.

Nella                             - (via dalla comune).

Daisy                             - (a Guido) E tu va' di là. (Lo so­spinge verso il fondo) Vedi? E' coirne da Ma­dama Gerard: si deve nascondere la gente...

Guido                            - Ma chi è questo dottore?

Daisy                             - Me lo manda il marchese: cin­quanta lire per visita: così viene tutti i giorni. Ma presto, fila! (Lo sospinge dentro l'alcova e tira la tenda. Poi venendo verso la comune) Oh dottore! Quanto è caro!

Il dottore                       - (sessantenne. Barba. Modi com­passati e di vecchia maniera. Entra dalla co­mune con un mazzo di fiori) Signora, non ho voluto lasciar passare questo giorno di mi­stica letizia senza venirle a porgere i miei au­guri. (Offrendole i fiori) Buon Natale.

Daisy                             - Com'è gentile, dottore. (Prende i fiori e li ripone senza riguardo).

Il dottore                       - Oh ma, ma, ma che fa?

Daisy                             - Oh Dio, che ho fatto?

Il dottore                       - (prendendo i fiori e rinfrescan­ doli con le dita) lo che ho camminato fin qui in punta di piedi Perché non si sciupas­ sero

Daisy                             - Oh, povero dottore... mi perdoni. (Fa per riprendere i fiori).

Il dottore                       - (consegnandole i fiori come una reliquia) Capirà, vengono dalla riviera e sotto Natale costano un occhio! (Riprendendo­si) E' ben vero che per lei si dovrebbero sac­cheggiare interi giardini!

Daisy                             - (andando a mettere i fiori in un vaso) Dice bene: saccheggiare! Così costerebbero meno di un occhio.

Il dottore                       - (ridendo) Ah, come ha ra­gione il marchese quando dice ohe lei è piena di spirito...

Daisy                             - (accomodando i fiori) Ecco... qua... così... E ' content o?

Il dottore                       - Grazie. E come va? Come va?

Daisy                             - Mah! Mi sembra bene.

Il dottore                       - (con apprensione) Ah, ah, ah, ah... le sembra! Allora vediamo, vediamo su­bito. (Leva di tasca uno stetoscopio).

Daisy                             - Dottore, per carità! Ma se sto benis­simo! Che cosa vuol visitare?

Il dottore                       - Lei ha detto: « Mi sembra », badiamo, « mi sembra di star bene »; quindi è un'incertezza, un pressapoco che bisogna eliminare subito, cancellare! Lasci fare, lasci fare: una piccola ascoltatimi ed è fatto.

Daisy                             - (sospirando) Ebbe', s'accomodi. (Gli presta il fianco).

Il dottore                       - (chinandosi ed adattando lo ste­toscopio allo spazio in corrispondenza del cuore del feto) Tanto più che con le vesti leggere che avete oggi voi signore, si può far tutto con la massima facilità. (Avendo trovato il posto e applicando l'orecchio allo stetoscopio) Ecco, ci si anno... Ecco... benissimo... Sì... sì... Si comincia a sentire perfettamente il battito di questo nuovo cuoricino.

Daisy                             - Però dovrei sentirlo battere anch'io.

Il dottore                       - (sempre ascoltando) Oh, per carità! Non è possibile. Invece a lei sarà pos­sibile presto un'altra cosa. Lei sentirà presto muovere, ecco, muovere la sua creatura.

Daisy                             - Davvero?

Il dottore                       - Sì: avviene verso la fine del terzo mese. Piuttosto, io credo di poter prono­sticare...

Daisy                             - Che cosa?

Il dottore                       - Potrebbe trattarsi di un maschietto.

Daisy                             - Davvero? Ma come si capisce?

Il dottore                       - Eh! Il cuore ideile donne va sempre più in fretta! Ma per carità non di­ciamo niente al marchese... E' fin troppo emo­zionato. Sa che mi telefona tutti i giorni? Oh! Questo avvenimento lo assorbe come... come uno studente che si prepari agli' esami di ma­turità. E" ringiovanito, ha lo sguardo più vivo, più diritto, la parola timbrata, il gesto ener­gico... insomma e''è qualcosa di... di virile in quell'austero gentiluomo.

Daisy                             - Credo che verrà oggi.

Il dottore                       - Ah sì? E allora, se permettete, mi fermo per rendergli un devoto omaggio. (Si siede).

Daisy                             - E' che... vede... stavo di là... c'è il parrucchiere..

Il dottore                       - (si alza) Cediamo il posto al parrucchiere che presso le belle signore ha di­ritti maggiori di quelli del medico. E allora, signora, a domani. Ma intendiamoci: domani visita generale, non natalizia.

Daisy                             - Ancora? Ma non le sembra che esa­geriamo?

Il dottore                       - (avviandosi alla comune, seguito da Daisy) No, no, no. Le precauzioni non sono mai troppe. Tanto più che m'è parso di udire qualche disordine nei toni... (Esce con­tinuando a parlare con Daisy).

Guido                            - (mette fuori la testa dal tendaggio e resta così ad ascoltare).

Daisy                             - (rientrando dalla comune, a Guido) Vieni, vieni.

Guido                            - (avanza)

Daisy                             - E' noioso, eli, che si debbano na­scondere gli amici come se fossero degli amanti.

Guido                            - E di più nel proprio letto.

Daisy                             - Già. E poi mi dicono che bisogna imparare dalle signore. Ma una signora che cosa avrebbe fatto al mio posto? T'avrebbe presen­tato al dottore come un amico di casa...

Guido                            -...salvo andare a letto dopo con tutta tranquillità.

Daisy                             - Ecco: proprio così. Ma va' là! Non ci vuol niente a far la signora.

Guido                            - Ci vuole un marito-.

Daisy                             - Ecco: un appoggio morale! Invece io ho quei due là... Almeno potessi mandarne a spasso uno... Ma con questa bigamia... Perché, vedi, il commendatore è una bravissima persona; ma quel marchese. Ora poi con la sto­ria della paternità, è qui tutti i momenti. D'al­tra parte come si fa a dire a un padre: va' fuori dei piedi? Bisognerebbe essere senza cuore... (Cosi dicendo prende un dolce e lo mangia; poi ne offre a Guido).

Guido                            - (prende un dolce, lo mangia) E il pranzo di Natale con chi lo fai: con l'industria o eon l'aristocrazia?

Daisy                             - Né con l'una né con l'altra, spero, Perché inviti finora non ne ho avuti e... (A un tratto ricordando) A proposito! E' Fiora di prendere il volo, se no mi arrivano, e patatrac! (Prende il cappello e va allo specchio) Scusa, sai...

Guido                            - E allora, senti, Perché non faccia­mo una cosa?

Daisy                             - Quale?

Guido                            - Se scarti l'industria e l'aristocrazia, Perché non accetti un invito dall'alta banca?

Daisy                             - (indossando la pelliccia) Dov'è l'alta banca?

Guido                            - Oh bella! Qua, davanti a te.

Daisy                             - Aaah! Ma bada che io sono un com­mensale pericoloso per un cassiere onesto.

Guido                            - Eh, ma ti metto a razione, sai...

Daisy                             - Quasi quasi accetto.

Guido                            - E' detto?

Daisy                             - Piuttosto hai un posticino un po' fuori mano, alla chetichella?

Guido                            - Quanti ne vuoi! Ma c'è un guaio...

Daisy                             - Che cosa?

Guido                            - Quella pelliccia...

 Daisy                            - Ah già... (Riflette) Aspetta che ti tiro fuori un capo proprio degno della situa­zione. (Corre in gabinetto di teletta).

Guido                            - Mi dispiace che per colpa mia...

Daisy                             - Non dire sciocchezze... (Ritorna d portando ancora appeso a un appendipanni un cappotto modesto) Eccolo qua! Va bene?

Guido                            - Magnifico!

Nella                             - (concitata dalla comune, sottovoce) C'è il commendatore!

Daisy                             - Accidenti!

Nella                             - Sale le scale.

Daisy                             - (a Nella, levando in fretta la pelliccia e il cappello) Va', non farlo aspettare.

Nella                             - (via dalla comune).

Daisy                             - (a Guido) Subito là, presto... (In­dica l'alcova).

Guido                            - Ancora là? Ma...

Daisy                             - (sospingendolo verso l’alcova) Sì, Perché qui non ci vengono mai.

Guido                            - (scompare dentro l'alcova).

Daisy                             - (avanza rapida di qualche passo poi si ricompone).

Il commendatore           - (dalla comune) Come! va la nostra piccola?

Daisy                             - (dandogli le mani) Quanto sei carino d'essere venuto così presto...

Il commendatore           - (carezzandole le mani) Davvero ti fa piacere?

Daisy                             - Perché non dovrebbe farmi piacere?

II commendatore          - (osservandola) Come siamo belle, oggi.

Daisy                             - Ti sembra?

Il commendatore           - Ma sei pallida.

Daisy                             - Pallida? Nooo!

Il commendatore           - Del resto è naturale: finché c'è quell'ometto nascosto...

Daisy                             - (allarmata) Che ometto?

Il commendatore           - (sorridendo indica il grembo di Daisy) Ma quello lì!...

Daisy                             - (ridendo, agitata) Ah già... è vero! Anzi... sai il medico...

Il commendatore           - Che medico?

Daisy                             - (riprendendosi) Ma sì... volevo dire la signora Apollonia... (ormai rassicurata) sai, quella cara signora Apollonia che mi dette la notizia la prima volta...

Il commendatore           - Ebbe'?

Daisy                             - Mi ha visitato poco fa...

Il commendatore           - Ah! E che dice la si­gnora Apollonia?

Daisy                             - Oh, cose simpaticissime: che tutto va bene, che tutto funziona perfettamente...

Il commendatore           - Perbacco!

Daisy                             - E poi, figurati, ha anche detto che c'è probabilità che sia un maschio.

Il commendatore           - Ecco, che ci sia proba­bilità ci arrivavo anch'io. Ma mettiamoci a se­dere. (Seggono unodi faccia all'altra) Là... così, che ti veda bene in faccia.

Daisy                             - (dopo qualche attimo d'imbarazzo ci­vettuolo) C'è niente da criticare?

Il- commendatore         - Niente: tutto simpatico, seducentissimo, perfetto.

Daisy                             - Ma sei stato molto carino d'arrivare così presto.

Il commendatore           - E tu sei gentile a ripe­termelo. (Prendendole, le mani) E vedi?

Daisy                             - Che cosa?

Il commendatore           - Se ogni bel gioco comin­cia da un bel mattino, questa tua frase può essere il bel mattino della mia giornata.

Daisy                             - (ridendo) Oh Dio! mi fai il poeta?

Il commendatore           - Eh, ho fatto tanti me­stieri... Ma aspetta che completiamo la poesia. (Leva di tasca un astuccio) A te... (Glie l'offre).

Daisy                             - Ooooh! (Apre l'astuccio) Aaaah!

Il commendatore           - Sono un bravo poeta?

Daisy                             - Ah, Ruggero... (Levando dall'astuc­cio un anello e infilandolo a un dito) Vuoi che te lo dica? Sei un genio.

Il commendatore           - Meno male.

Daisy                             - (sollevando la mano per ammirare l'anello) Magnìfico, veramente! Grazie!...

Il commendatore           - E adesso lasciamo stare l'anello e ascoltami un po'.

Daisy                             - Che cosa?

Il commendatore           - Ho da farti un lumgo di­scorso.

Daisy                             - A me?

Il commendatore           - Sì, a te.

Daisy                             - E di che? Mi fai paura.

Il commendatore           - E tu sarai tanto gentile d'ascoltarmi sino in fondo e poi rispondermi con la massima sincerità.

Daisy                             - Cominci in un anodo che mi dà sog­gezione.

Il commendatore           - E, può darsi che la sog­gezione di una donnina giovane come te a un uomo d'età come me, abbia la sua importanza in tutto questo.

Daisy                             - Non ti capisco.

Il commendatore           - Non mi capisci Perché non ho ancora cominciato. Ma comincio subito.

Daisy                             - Di' pure...

Il commendatore           - Dunque... (Una pausa) Andiamo qualche passo indietro: devi sapere che sette od otto giorni fa, nell'alzarmi da tavola, ho sentito dei piccoli doloretti insistenti qua al ginocchio e al polso...

Daisy                             - Davvero? Oooh!...

Il commendatore           - (continuando)...Doloretti che si sono divertiti a tormentarmi tutta la notte. Mi sono un po' preoccupato e ho chia­mato il medico. E il medico, con quel garbo fra il cinico e il galante che hanno tutti i dottori bene educati, mi ha detto: « Eh, commenda­tore mio, siamo alle porte della vecchiaia! E' un piccolo attacco di gotta ».

Daisy                             - Gotta?

Il commendatore           - Sì, gotta.

Daisy                             - Si muore?

Il commendatore           - No, non si muore, ma è un male che ci accompagna con discreta fedeltà sino all'ultimo.

Daisy                             - Ma scusa, tu lo dici con tanta tran, quillità?...

Il commendatore           - Eh, dal momento che non c'è niente da fare... E poi, vedi, da un male può nascere un bene.

Daisy                             - Non so che cosa...

Il commendatore           - Lasciami andare avanti e te lo dimostro subito. Il male è la gotta; il bene eccolo qua: che il medico mi ha ordinalo di fare del moto, di camminare. Tanto che sta­mattina ho dato vacanza all'autista e ho fatto nientemeno che tutta via Manzoni a piedi...

Daisy                             - Che bravo!

Il commendatore           - E ti assicuro che ho provato una certa soddisfazione, Perché mi sono accorto - io che da anni non mi muovevo che in treno, in auto, in ascensore - che è interes­sante (muoversi coi propri piedi; anche Perché camminando si pensa, si medita; cosa che in automobile non avviene. L'automobile vi scuote, vi sballotta come poveri bambini nelle braccia di una balia impaziente... Ma tiriamo via... E ho riflettuto. Prima riflessione: vediamo se l'indovini?

Daisy                             - (sorridendo, modesta) Oh, Dio... Ruggero... avrai pensato a me.

Il commendatore           - No: tu non sei una ri­flessione; tu, se mai, puoi essere una distra­zione.

Daisy                             - (con convinzione) Oh! quanto sei gentile!

Il commendatore           - La prima riflessione ec­cola: una parola: è Natale. Credo che se l'a­vessi pensata in automobile: punì... paff... due scossoni, sarebbe passata così, senza conseguen­ze. E invece camminavo e l'ho ripetuta: già, è Natale. Il Natale dei ricordi, quando col babbo e con la mamma si faceva proprio via Man­zoni per recarci in galleria. E sono entrato in Duomo, come ai bei tempi... L'organo suona­va... (Interrompendosi) Ma... Daisy... dormi?

Daisy                             - No, caro... sei arrivato all'organo che suonava.

Il commendatore           - Oh! brava. Sull'altare, fra le candele, c'era un bambino. Un bambino che mi guardava e, veramente, pareva mi pren­desse un po' in giro e dicesse: «Ma di': che cosa fai? Hai lavorato, hai accumulato delle ricchezze, ma non sai a chi darle. Da me, un giorno, vennero i Re Magi».

Daisy                             - I Re Magi?

Il commendatore           - Sì, gli offrirono l'oro, l'incenso e la mirra. « C'è forse un bambino che è povero com'ero io, al quale tu potresti dare il tuo oro? ». Insomma, cara Daisy, il ri­sultato di tutto questo: che sono andato a ca­sa, ho fatto colazione in fretta, nervoso, e poi eccomi qua...

Daisy                             - Ebbene?

Il commendatore           - Ebbene, piccola mia, io non bo che da dirti una parola: che cosa dire­sti se io offrissi la mia ricchezza al tuo bam­bino dicendo alla sua mamma: « Piccola ami­ca, volete diventare... la mia signora? ».

Daisy                             - Oh, ma... No, no, Ruggero mio... Mi dici una cosa... Non so quello che provo... Tu sei troppo generoso: ecco, troppo...

Il commendatore           - No... Se pensi bene, non sono generoso: ti offro meno infatti di quello che hai ora.

Daisy                             - Ah, no, scusa, mi dai una situa­zione duratura; sicura...

Il commendatore           - Sì, ma la situazione l'hai lo stesso: non sarò certo io a lasciarti. Piuttosto rifletti: ora sei l'amante di un uomo ricco, ihai una posizione dignitosa; domani di­venteresti la moglie di un marito vecchio... la posizione potrebbe essere un po'... ridicola.

Daisy                             - Ah, Ruggero, non dirlo: tu sei an­cora un uomo... in gamba.

Il commendatore           - Sono sempre raso, pu­lito... ho bei gilè... cravatte fresche... insomma tutto un guardaroba confacente... Ma... il tem­po? Dove lo metti il tempo? Pensa con quanta facilità l'avrà vinta sui gilè e sulle cravatte... E allora? (Con una certa gravità) Perché... na­turalmente bisogna pensare anche a questo: restando libera avresti sempre il diritto di tro­varti un uomo più ricco di me, mentre sposan­doti non avresti più il diritto di cercarti... un uomo più giovane.

Daisy                             - (dopo un attimo di riflessione) Già...

Il commendatore           - Ecco. Per questo ti prego di riflettere. Non rispondermi subito. Pen­sa solamente che io offrendoti la ricchezza so bene di poter pretendere, al più, un po' di onesta riconoscenza e, se me lo saprò meritare, anche un po' di affetto.

Daisy                             -. Ecco, vedi, tu dici delle cose che! poi, in fondo, finiscono per commuovere... Perché, per esempio, cihe colpa ne hai tu se non  sei più giovane?

Il commendatore           - Già... che colpa ne ho io. Vedi, se quando fossimo marito e moglie! tu pensassi ogni tanto a questo, diventeresti una mogliettina perfetta.

Daisy                             - Ma, caro, ci penserò sempre!

Il commendatore           - Sempre poi...

Nella                             - (affacciandosi alla comune) Signorina...

Daisy                             - Che c'è?

Nella                             - C'è lo zio.

Daisy                             - Ah no! Ora proprio no!

Nella                             - L'ho già messo nel salottino.

Daisy                             - Ma che cosa vuole? Dio, che secca­tura!

Il commendatore           - Vorrà farti gli auguri di Natale.

Daisy                             - Ti assicuro che questi parenti, quan­do cominciano a essere affettuosi...

Il commendatore           - Ma, scusa, Perché non me lo fai conoscere?

Daisy                             - Conoscere? Ah, no, Ruggero, abbi pazienza...

Il commendatore           - Perché? Ormai...

Daisy                             - No, ti prego, non insistere... Tu stesso mi hai pregato di riflettere e, capirai, metterti in seno alla famiglia... così... Poi, lo zio, tu lo sai, ha le sue idee intransigenti...

Il commendatore           - Basta, basta!... Non par. liamone più. Addio, cara.

Daisy                             - Addio, Ruggero, a domani. (A Nella) Accompagnalo e dopo fai passare lo zio...

Il commendatore           - Ciao... (Via dalla comune seguito da Nella).

Guido                            - (mette fuori la testa dal tendaggio) Rallegramenti!

Daisy                             - (facendogli cenno con la mano) Ssst! (Un silenzio) Ma di', chi poteva pensare una cosa simile? Sai che è ricco sfondato? Milioni!!

Guido                            - Lo so.

Daisy                             - Purché non se ne penta!... Ma ora come faccio con quest'altro? Che seccatura! E' una curiosa situazione, eh! Ma bisogna uscirne!

Guido                            - Come io vorrei uscire di qua.

Daisy                             - Ah no, cario; ora sei in trappola e devi starci. Ti prego anzi di ritirarti...

Guido                            - Uffa! che noia! (Si ritira).

Daisy                             - Vuoi un confetto? (Prende la sca­tola, corre all'alcova, scosta la tenda e butta la scatola sul letto) Ecco, a te, divertiti...

Il marchese                    - (di dentro) E' permesso?

Daisy                             - (subito si siede e comincia a dondolare nervosamente una gamba sull'altra) Avanti.

Il marchese                    - (entra con una bella scatola ro­tonda avvolta in carta bianca) Come va? Co­me va?      - (Osservandola) Come siamo nervose!

Daisy                             - Un po': abbi pazienza. Scusa, sai, se t'ho fatto aspettare, ma c'era lo zio e...

Il marchese                    - Sai che l'ho visto?

Daisy                             - (di scatto) Chi?

Il marchese                    - Lo zio... ina di dietro. Ho scostato un momento la porta.

Daisy                             - (alzandosi, stizzita) Ma Perché que­ste stupide curiosità?

Il marchese                    - Calma, calma: lui non se n'è accorto...

Daisy                             - Va bene! Ma poteva accorgersene; e mi sarebbe seccato. (Camminando in lungo e in largo) Sono imprudenze che è meglio rispar­miarsele.

Il marchese                    - Stai sicura che in seguito...

Daisy                             - Anzi, visto che mi dai l'occasione, ti dirò subito che ho da parlarti di una cosa molto seria, di una cosa grave. Ecco Perché so­no nervosa.

Il marchese                    - Una cosa grave?

Daisy                             - Lo zio, oggi, mi ha fatto un lungo discorso, un discorso importante, decisivo. E poveretto bisogna convenire che non ha tutti i torti.

Il marchese                    - Ma quale discorso?

Daisy                             - Sai... lui vede la vita che faccio... e veramente da un pezzo va dietro con le sue prediche.

Il marchese                    - Prediche?

Daisy                             - Ma sì... A te non volevo dirtele per-che era inutile guastare prima del tempo la buona armonia che c'è sempre stata fra noi... Ma ora, capirai... Ha cominciato col tirar fuo­ri, giustamente, bisogna riconoscerlo, la sua di­gnità di capo famiglia... Poi l'onore... i sani princìpi... la morale che corre... Insomma, mio caro, questo mantenimento non gli va più: ec-co. E ho dovuto promettergli di dirtelo... (Cer­cando di commuoversi) Volevo rimandare que­sta spiegazione dolorosa dopo le feste; ma, capirai, tu mi sci capitato qua... le parole sono come le ciliegie: una tira l'altra... Così, insom­ma, è stato giocoforza...

Il marchese                    - Daisy! Ma lo zio arriva a proposito!

Daisy                             - Eh?

Il marchese                    - Ma la predica dello zio va a pennello!

Daisy                             - Come?

Il marchese                    - A pennello!

Daisy                             - Allora anche tu avevi deciso?...

Il marchese                    - Sicuro! Anch'io! Anch'io avevo deciso!

Daisy                             - Oli, vedi; meno male! Così con me­no discussioni, da buoni amici...

Il marchese                    - Ecco, brava, da buoni amici. E allora fammi il piacere, ascoltami bene.

Daisy                             - Però, Bonifacio, ti prego, evitiamo i discorsi commoventi.

Il marchese                    - (sorridendo) Ma no, cara, nessun discorso commovente. Un discorso solo, anzi, semplicissimo. E... per prima cosa, ceco... (Le porge la scatola) A te.

Daisy                             - (senza entusiasmo) Ma Perché? Grazie...

Il marchese                    - No, no, no, no! Non sono io. I ringraziamenti non debbono essere rivolti a me.

Daisy                             - (soppesando la scatola) Ma che cos'è?

Marchese                       - Che cos'è? Io te lo dò su mille a indovinare olle cos'è.

Daisy                             - (cercando di aprire la scatola) Oh, io faccio presto.

Il marchese                    - (fermandola) Un momento!

Daisy                             - Saranno dolci.

Il marchese                    - Va bene, dolci. Ma sentia­mo: chi te li manda?

Daisy                             - Non saprei... Credevo che fossi tu...

Il marchese                    - Nossignore.

Daisy                             - E chi allora?

Il marchese                    - Chi? (La guarda e sorride) Questi, devi sapere, sono i cosidetti « sospiri d'angelo » e « dita di apostolo » che la mia si­gnora zia suor Petronilla, badessa del convento di Santa Deipara, si compiace di mandarti'.

Daisy                             - (stupita) A me?

Il marchese                    - Sicuro, a te. E ti prego di considerare l'alto significato di codesto dono natalizio...

Daisy                             - Ma scusa, sospiri, dita d'apostolo a me? Io sono confusa... Tua zia è molto cari­na, ma...

Il marchese                    - (interrompendo) Carina? La zia, mia cara, è donna di alto senno e di austero discernimento; e in questo dono ti pre­go di considerare tutta la generosa benevolenza della quale ella ti circonda. Da tempo, vedi, io l'avevo informata di te, del tuo smarrimento passato, della tua vita presente, tutta intesa a quei sani princìpi di prudenza che portano gli eletti sulle vie del bene; e la zia Petronilla ha voluto proprio con le sue mani e con quelle delle pie compagne di clausura prepararti que­sti «sospiri d'angelo », e queste « dita di apo­stolo » che, dopo quanto ti ho detto, mi sembra acquistino il valore di un simbolo.

Daisy                             - Simbolo? Ma simbolo di che cosa?

Il marchese                    - Te lo dirò. Ma lasciamo da parte la signora zia. Daisy, guardami in faccia.

Daisy                             - Ebbene?

Il marchese                    - Perché, sai, c'è anche il mio regalo.

Daisy                             - Oh, ma no... ma no. Perché? Dopo quello che t'ho detto, mi sembra ormai...

Marchese                       - E anche questo te lo dò a indo­vinare su mille.

Daisy                             - Che cos'è? Un anello?

Il marchese                    - Uhm!

Daisy                             - Orecchini?

Il marchese                    - Uhm!!

Daisy                             - Una collana di perle?

Il marchese                    - Uuuhm!!!

Daisy                             - Oh Dio, che cos'è allora?

Il marchese                    - Che cosa? (Leva di tasca una busta, lacerata, con sigilli di ceralacca) Ecco qua!

Daisy                             - Oh, Bonifacio!... ma Perché? Il tuo testacmento?

Il marchese                    - (con forza) Ma che testamen­to! Io non voglio morire!

Daisy                             - E allora?

Il marchese                    - (grave) E' una lettera.

Daisy                             - Ah, lo vedo che è una lettera. (Fa per prenderla).

Il marchese                    - Un momento. Ascolta: è una lettera vergata di tutto pugno e carattere dello zio cardinale di Sacra Rota, monsignore Fede­rigo di Vallestretta, fratello del mio comipianto padre, e considerato da tutti noi come il capo della famiglia.

Daisy                             - E che cosa vuole?

Il marchese                    - Che cosa vuole? (Apre la lettera con sommo riguardo) A te: leggi.

Daisy                             - (leggendo in fretta, senza dare impor­tanza al contenuto della lettera) « Amatissi­mo nipote, nel rispondere alla vostra lettera del ventotto spirato mese, faccio appello... ».

 Il marchese                   - Ma, ma, ina, ima ti pare che! si debba leggere a quel modo la lettera di un alto prelato?

Daisy                             - Scusa, come debbo leggerla?

Il marchese                    - Dai qua, dai qua... piccola incosciente. (Riprende la lettera e, meglio in­castrando il monocolo) Dunque... E stai bene attenta Perché ogni parola è una gemma, ogni frase un cesello. Dunque... (Legge lentamente, con tono predicatorio) « Amatissimo nipote, nel rispondere alla vostra lettera del ventotto spirato mese, faccio appello alla Grazia Divina acciò illumini la mia mente onde il consiglio che sto per prendere, dando quiete alla mia coscienza, vi sia d'ausilio nell'attuale il volere di Chi tutto dispone. Con così ornate e sua­denti parole voi m'avete descritta l'umile crea­tura che la Provvidenza ha messo sul vostro cammino che il mio animo accoglie di buon grado la vostra deferente richiesta ». (Lascian­do di leggere, guarda Daisy) Che ne dici?

Daisy                             - (non dà segno d'aver compreso).

Il marchese                    - Ma senti qui... senti qui. (Aggiusta il monocolo e continua a leggere) « Più smarrita è la pecorella e più degno è il pastore che saprà ricondurla all'ovile; più pentita la Maddalena, maggiore arra ne avrà il compagno che le farà offerta di purissimo amore. Iddio benedica il vostro santo propo­sito! Epperò con animo ricolmo di letizia inter­cedo per voi e per essa le inestimabili dovizie del cielo, non disgiunte dalla mia paterna be­nedizione. Vostro affezionatissimo zio... (Fa­cendo vedere la firma a Daisy) Firmato: Cardi­nal Federigo di Vallestretta ».

Daisy                             - Amen.

Il marchese                    - Come « amen »?

Daisy                             - Eh, pare una predica!

Il marchese                    - Una predica?! Ma non hai capito?

Daisy                             - Che cosa?

Il marchese                    - Ma è il consenso!

Daisy                             - Consenso di che?

Il marchese                    - Ma come? Oh, benedetta creatura! Ma il consenso al matrimonio.

Daisy                             - Matrimonio?

Il marchese                    - Il nostro! E' il mio regalo di Natale!

Daisy                             - Il tuo regalo?

Il marchese                    - Ma sì... (Galante, inchinan­dosi) E io voglio fin d'ora salutarvi marchesa di Vallestretta, dei conti di Collodio e di Grame-gna, patrona delle Cappellanie di Vico e di Corbano.

 

Daisy                             - Ma di', scherzi?

Il marchese                    - No, cara! Sono titoli va gliati e riconosciuti dalla commissione araldica, tutti spettanti alla mia famiglia per linea pri­mogenita; titoli che io, con tutti i miei beni terreni, mobiliari e allodiali, depongo ai tuoi piedi e a quelli del piccolo ecede nascituro.

Daisy                             - Ma io dico che diventi matto!

Il marchese                    - Matto?

Daisy                             - Ma è possibile che tu debba sem­pre capitarmi con queste lettere?

Il marchese                    - Ma che lettere?

Daisy                             - Anche da madame Gerard...

Il marchese                    - Ah, prego: quella era tua.

Daisy                             - E va bene: era mia... ma anche al­lora... Lettere insomma inopportune, stupide...

Il marchese                    - Questa?!

Daisy                             -...che vengono a portare il finimon­do, l'anarchia.

Il marchese                    - L'anarchia? Una lettera santa!

Daisy                             - Oh, non capisci proprio niente!

Il marchese                    - Ah, sì, veramente m'accorgo di non capir niente...

Daisy                             - Oh, bravo!

Il marchese                    - C'è in te qualche cosa di così strano, di così... impreveduto e sibillino che non so capacitarmi.

Daisy                             - Malissimo! Perché dovresti capire che non si viene qui all'improvviso, senza nem­meno dare il tempo di riflettere, a scombusso­lare ogni cosa.

Il marchese                    - Ma che scombussolare? Che ti prende? Se ti offro...

Daisy                             - Lo so: mi offri un'infinità di belle cose, e ti ringrazio; ma capirai... Dio, Dio, Dio... (Passeggia).

Il marchese                    - Dio... che cosa?

Daisy                             - (fermandosi) Ma non capisci che queste offerte di matrimonio mi costringono a pensare, a decidere, a pesare il prò e il contro?

Il marchese                    - Ma che prò e contro?

Daisy                             - Sicuro. Ora sono l'amante di un uo­mo ricco: ho una posizione dignitosa... domani diventerei la moglie di un marito vecchio...

Il marchese                    - Vecchio? Prego...

Daisy                             -...e la posizione diventerebbe ridi­cola.

Il marchese                    - Ma fermati, sciagurata! Ma ridicola come? Diventi marchesa!

Daisy                             - Ma appunto! Come si fa così all'im­provviso?... come posso così a un tratto tras­formarmi in una marchesa? Chi me lo dà il sangue blu?

 Il marchese                   - Ah, ecco: questo, vedi, è un sentimento che altamente ti onora. Ma per met­terti tranquilla ti dirò che già nella nostra fa­miglia, un'Ildegonda di Vallestretta, presa in moglie dopo infinite traversìe dal marchese Ur­bano, non era die un'umile tessitrice; e andò per tutta la vita così adorna di virtù che dopo cent'anni dalla sua morte poco mancò venisse processata per diventare santa.

Daisy                             - Anche processata? Grazie tante...

Il marchese                    - Ah, come ti attacchi a tutto per farmi dispiacere!

Daisy                             - Be' senti, Bonifacio, concludiamo: la tua offerta è così grave che io ho bisogno di riflettere, ecco.

Il marchese                    - Riflettere?

Daisy                             - Sì.

Il marchese                    - Ma se non è che questo, ma rifletti quanto vuoi! Io non ho fretta. Capirai, siamo nel terzo mese.

Daisy                             - Oh bravo. E allora lasciami tran­quilla.

Il marchese                    - Tranquilla?

Daisy                             - Sì, tranquilla. Già questa scena... sì, insomma, questa faccenda del matrimonio mi ha mezzo scombussolata. Sto male. (Siede).

Il marchese                    - Oh, Dio! Stai male?

Daisy                             - Sì, male.

Il marchese                    - Cara, vuoi che ti metta a letto?

Daisy                             - (allarmata) Macche letto! Voglio star sola, non voglio altro.

Il marchese                    - Sola? Ma se stai male?

Daisy                             - Oh Dio, non insistere, ti prego! La­sciami in pace... Troppo, troppo si pretende dai nervi di una povera donna!

Il marchese                    - No, no, cara; resta tranquil­la: me ne vado. Eh! conosco... conosco questi misteri dell'anima femminile... Be', addio... Più tardi telefonerò...

Daisy                             - Sì, telefona, bravo.

Il marchese                    - (la bacia in fronte, si avvia alla comune, si volta, le getta un bacio, sussurra) Mia marchesa. (Scompare).

Guido                            - (mette fuori la testa dalla tenda e sot­tovoce) E' andato?

Daisy                             - Ssstt! (Breve silenzio) Hai udito?

Guido                            - (venendo avanti sorridente) Ho udito.

Daisy                             - Intanto fammi il piacere di non ri­dere.

Guido                            - Hai ragione: la cosa è seria.

Daisy                             - Io mi domando Perché quell'imbe­cille debba ogni volta mettermi i bastoni fra le ruote. Mi porta i sospiri, le dita della zia! Ma se li tenga lui! Avevo l'offerta del commen­datore che andava così bene... Come debbo fa­re? Dimmi tu. Il commendatore: un uomo sim­patico, quattrini fin che se ne vuole...

Guido                            - Be': decidi per lui...

Daisy                             - Decidi? Una parola! Se si trattasse di me sola... Ma c'è il bambino, capisci? C'è l'avvenire, la... la... come si dice quella là... la prosapia: ecco. Perché si ha un bel dire, la democrazia, ma quando ti capitano qua con le badesse, i cardinali, i castelli, una filza di titoli tutti primogeniti, riconosciuti dalla Commissio­ne... capirai... Poi, li ho visti, sai, gli antenati un giorno che mi portò nel suo palazzo: certi guerrieri...

Guido                            - E allora decidi per il marchese...

Daisy                             - Quello scemo? Grazie.

Guido                            - E allora...

Daisy                             - Eh, lo so. Credi che non capisca? Io mi trovo come... dentro un dilemma. (Un si­lenzio) Oh, be'... sai come faccio? Finisco per metterli tutti e due in un bussolotto... una scos-settina... e il primo che salta fuori... Ti pare?

Guido                            - Eh, è un modo di decidere anche questo.

Daisy                             - Vedi, se quel commendatore fosse anche marchese... (Un silenzio) Ma non pen­siamoci più, Perché con tutte queste dichiara­zioni ne ho piene le scatole. (Prende la scatola portata dal marchese e comincia a toglierne le legature) Bel Natale! (Apre la scatola, prende un dolce, lo osserva, lo assaggia. A Guido) Vuoi un sospiro o un dito?

Guido                            - Un sospiro.

Daisy                             - (dandogli un dolce) Sono buonini... (Aspetta che Guido l'abbia assaggiato) Eh?

Guido                            - Sì.

Daisy                             - Non lavoiano mica male queste ba­desse! (Pausa) Be', e noi che cosa facciamo? Pranziamo poi insieme?

Guido                            - Per me... purché la signora com-mendatora o la signora marchesa si adatti...

Daisy                             - Ah, sola oggi non ci sto! E poi, muovermi, prendere un po' d'aria, mi farà bene: mi calmerà. Dove andiamo?

Guido                            - (levando l'orologio) Guarda... ci dev'essere un tram alle cinque e un quarto...

Daisy                             - Dove?

Guido                            - A Como. Ti va?

Daisy                             - A Como? Ma per tornare indietro?

Guido                            - Hai l'orario?

Daisy                             - Sì, è qui... aspetta. (Corre alla scri­vania, prende l'orario, ritorna) Ecco.

Guido                            - Vediamo. (Sfoglia l'orario).

Daisy                             - Guarda però che vi sia anche la corsa di ritorno.

Guido                            - Dunque... dunque... ceco... proprio; come dicevo: Milano ore diciassette e ventiduc arriva a Como alle diciotto e quindici...

Daisy                             - E per il ritorno?

Guido                            - Ritorno... Como... Como... venti­due e trenta. A mezzanotte e sei a casa.

Daisy                             - Ma intendiamoci...

Guido                            - Che cosa?

Daisy                             - Senza complimenti, eh? Non spen­derai mica troppo?

Guido                            - Perché?

Daisy                             - Eh! il viaggio... poi il resto...

Guido                            - Cosa credi, che un bancario non sappia fare i coniti?

Daisy                             - Questo è vero: mi dimentico sem­pre che sei bancario. Allora mi vesto?

Guido                            - Un momento. Ma per uscire di qui?

Daisy                             - Ah, già! (Riflette) Senti, facciamo così; poi io mi faccio condurre con la mac­china... (S'interrompe) No. Aspetta. (Va a premere il campanello) L'autista è meglio man­darlo via. Ma di': se poi quando siamo là... sai, Como... si possono fare anche degli in­contri di gente che si conosce.

Guido                            - Il giorno di Natale? Ma qual'è il milanese ch'e mangia il panettone fuori di casa?

Daisy                             - Hai ben ragione, veli! bisogna es­sere dei senza famiglia come siamo noi.

Nella                             - (entra dalla comune).

Daisy                             - (a Nella) Senti, di' a Giacomo che è libero. Io poi, sai... pranzo fuori... da una mia amica...

Nella                             - (guarda Guido e sorride).

Daisy                             - E ti prego di non rìdere! Dopo, andato via Giacomo, mi vai a prendere una autopubblica. Hai capito?

Nella                             - Benissimo. (Via dalla comune).

Daisy                             - (a Guido) Così, vedi, appena arriva l'auto, tu te ne vai per conto tuo, io mi fac­cio condurre alla stazione... Metto un velo... un velo un po' di contrabbando... Aspetta, che anzi debbo averne uno qui che va benis­simo... (Fa alcuni passi per dirigersi al ga­binetto di teletta ma per una sensazione im­provvisa è costretta a fermarsi e ad appoggiar­si allo schienale di una poltrona).

Guido                            - (senza agitazione) Che c'è? Non ti senti bene?

Daisy                             - ...No... non so... Una cosa stra-

Guido                            - (alzandosi) Vuoi prelùdere qualche cosa?

Daisy                             - No, no... (Breve pausa) Ma che cosa stupida... Non capisco...

Guido                            - Mettiti a sedere. (La fa sedere) Tempo ne abbiamo. (Un silenzio). Passa?

Daisy                             -...Sì, sì. Sarà il nervoso che mi hanno fatto venire quei due là. Perché, io, sai, ho l'aria di prendere tutto in ridere, ma poi...

Guido                            - Be', ora non pensarci. (Un silen­zio) Vuoi un po' di liquore?

Daisy                             - Sì, forse... Guarda lassù. (Accen­na a un mobile).

Guido                            - (va a prendere il liquore, ne versa un bicchierino, ritorna).

Daisy                             - Grazie. (Comincia a sorseggiare)

Guido                            - Va meglio?

Daisy                             - Sì... (Un silenzio) Cosa vuoi, se ci penso, potrei restare anche così.

Guido                            - Che cosa?

Daisy                             - Sì... pensavo a quei due... Dicevo che potrei restare anche così, con la mia li­bertà. Ma come si fa? C'è il bambino: bisogna un po' pensare anche a lui.

Guido                            - E' giusto.

Daisy                             - (breve silenzio) E poi anche per me... Un matrimonio è sempre qualche cosa.

Guido                            - (dopo un silenzio) Del resto... Sai ch'è una cosa che penso di fare anch'io?

Daisy                             - (con semplicità) Davvero?

Guido                            - Che vuoi? Non posso mica andare avanti così per tutta la vita.

Daisy                             - Eh, già. (Breve silenzio) E l'hai in vista?

Guido                            - No, no. Oh, quella che sposerà me, poverina, dovrà adattarsi a fare un po' di penitenza.

Daisy                             - Penitenza?

Guido                            - Eh, coi tempi che corrono e con quel po' po' di rendite che ho io...

Daisy                             - Be', una brava ragazza, modesta...

Guido                            - Trovarla. (Un breve silenzio) Perché, vedi, io dalla banca ho novecent'oeinquan-ta lire... mettici le gratificazioni... andrò a mille e qualche cosa. Ora poi, è vero, c'è una pasticceria che pare voglia darmi da tenere i registri... Poi un negozio di calze... Non so... potrò andare a millecinquecento al più...

Daisy                             - Be', è già qualche cosa.

Guido                            - Oh Dio... accontentandosi... (Breve silenzio, poi sorridendo, quasi fra se) Certo bisognerà che la signora s'adatti ad andar lei in cucina a fare quel po' di colazione e di pran­zo... a lavare le stoviglie... La sei-a ogni tanto a un cinematografo... nei secondi posti... La vita, insomma, degli iinpicgatini.

Daisy                             - Oh, senti: quando due si vogliono bene...

Guido                            - (breve silenzio) Del resto io potrò anche ridurre di poco le mie spese... Ora, per esempio, mi faccio qualche vestito un po' di­screto, ma quando c'è la moglie se ne può an­che fare a meno. Poi fumo. Si può stare anche senza fumare.

Daisy                             - Un bel sacrificio, però.

Guido                            - Eh, che vuoi: uno più uno meno... (Dopo una pausa, quasi fra se). L'importante non è mica lì.

Daisy                             - (un lungo silenzio) Allora usciamo?

Guido                            - Sì, sì.

Daisy                             - (senza fretta si alza, va a prendere il velo, ritorna, mette il cappotto, prende il cappello: ma quando sta per metterlo, è ri­presa dalle sensazioni di prima. Ripone lenta­mente il cappello).

Guido                            - Ancora?

Daisy                             - (si siede).

Guido                            - (alzandosi) Ma che cos'è?

Daisy                             - (con un gesto tenue gli fa un cenno di tacere. Abbassa il capo quasi volesse ascol­tare dentro di se. Un silenzio) Di'... che cosa si sente quando il bambino si muove per la prima volta?

Guido                            - (sorridendo) Ah, non so. Che cosa vuoi che sappia io?

Daisy                             - (fa un nitro cenno breve di silenzio. Ascolta più intensamente, piena di emozione).

Guido                            - (una pausa. Sottovoce) Ebbene?

Daisy                             - (a un tratto si accascia poggiando là fronte, al dorso della mano).

Guido                            - Daisy...

Daisy                             - (con voce breve, dolce, sommessa) Vai via...

Guido                            - (non si muove) Vuoi che chiami Nella?

Daisy                             - (c. s.) Vai via... vai via... lasciami sola.

Guido                            - (non osa avvicinarsi. Dopo qualche momento d'incertezza) Ma...

Daisy                             - (senza sollevare la testa fa un gesto lieve, per allontanarlo).

Guido                            - (lentamente si avvia alla comune. Esce. Un silenzio. Sipario).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Il cortile di una villetta di campagna. A de­stra la facdiata della villa con entrata a gra­dini. A sinistra la casa colonica nella quale si apre l’arco dell'androne, che comunica con la via. I due fabbricati sono uniti, nel fondo, da un muretto di cinta, nel mezzo del quale si apre un cancello rustico. Oltre e. al di là del muretto, si vede la campagna. Nel cortile al­beri da frutta e piante sempreverdi. Sul da­vanti, a destra; un tavolinetto contornato di poltroncine di vimini. Sul tavolino un lavoro femminile incominciato, un ombrellino, una borsetta da signora.

(All'alzar della tela Lama, la nutrice - sui venticinque anni, sana e prosperosa campagno­la - verso il fondo a sinistra, sta sciorinando a una cordicella tesa fra due alberi la bian­cheria di un neonato: cor pettini, braghette, magliette, fasce, pannolini, ecc. Da sotto l'an­drone della casa colonica si ode il lento scal­pitìo di un cavallo sull'acciottolato e la voce di Ambrogio, il colono).

Ambrogio                      - (di dentro) Oheee... bonooo!

Laura                             - (chiamando) Ambrogio?

Ambrogio                      - (c. s.) Uhi, sora Laura?

 Laura                            - Che novità di Milano?

Ambrogio                      - (c. s.) Tutto di bello.

Laura                             - Il Duomo è sempre iati piedi?

Ambrogio                      - (c. s.) Sempre.

Laura                             - E i tranvai girano?

Ambrogio                      - Girano.

Laura                             - L'avete portala la frutta?

Ambrogio                      - Sì, l'ho qui. Metto dentro il cavallo e vengo. Oheee! Jiilh! (Si ode lo scal­pitìo del cavallo che entra nella stalla) Gigiooo!

Laura                             - (continua nel suo lavoro. Canterella sottovoce).

Ambrogio                      - (entra dall'arco. E' un giovane sui ventisei anni; indossa la giacca e il cappello coinè sono soliti i contadini quando vanno1 in città. Reca un cestello ricolmo di pesche e. di pere coperte da un tovagliolo. Mostrando il cestello a Laura) Eccola qua.

Laura                             - (sollevando il tovagliolo) Che bella!

Ambrogio                      - E' bella, sì.

Laura                             - Ma che campagna la vostra, che bisogna andare a prendere la bella frutta a Milano.

Ambrogio                      - Però i begli uomini le milanesi li vengono a cercare in campagna.

Laura                             - Belli come voi?

Ambrogio                      - Belli e... simpatici. (Così di­cendo azzarda una carezza).

Laura                             - Ohe! Giù quelle mani e niente confidenza.

Ambrogio                      - Cos'è che ci vuole a voi? Un autista?

Laura                             - (riprendendo il suo lavoro) -caro mio, mi basta mio marito.

Ambrogio                      - E dire che a me non basta mia moglie.

Daisy                             - (si affaccia alla porta della villa. Por­ta un abito semplice e fresco da campagna) Sei arrivato, Ambrogio?

Ambrogio                      - Sì, signora: ecco la frutta.

Daisy                             - (scendendo i gradini e avvicinandosi al tavolino) Bravo, porta qua.

Ambrogio                      - (portando il cesto con le frutta) Eccola.

Daisy                             - Così facciamo i conti. (A Laura) Bada, Laura, che s'è svegliato e ha bisogno di te.

Laura                             - Vengo subito. (Termina di stendere la biancheria al sole).

Ambrogio                      - (mostrando la frutta) Va bene?

Daisy                             - Molto bene. Bravo. E quanto ti deb. bo? (Prende la borsetta eh'è sul tavolino).

Ambrogio                      - Le pesche sono due chili a cin­que lire il chilo.

Daisy                             - Dieci. (A Laura che sta per entrare nella villa) Oh, bada, ora niente latte, ohe poi gli prendono i doloretti.

Laura                             - Lo so, lo so.

Daisy                             - No, cara, non sai niente, Perché tu all'orario non ci stai mai. (Guarda l'orologio al polso).

Laura                             - Ma se piange...

Daisy                             - Lascialo piangere, bisogna che s'abi­tui. C'è più di mezz'ora.

Laura                             - Allora posso portarlo con me che vado dalla mamma? Così il latte glielo dò là.

Daisy                             - Sì, sì. Prendi la carrozzina e coprilo bone.

Laura                             - (entra nella villa).

Daisy                             - (ad Ambrogio) Dunque, dicevamo?

Ambrogio                      - Dieci le pesche e poi due chili di pere a quattro lire, e il giornale... (Così di­cendo leva dalla tasca un giornale milanese e lo depone sul tavolino).

Daisy                             - Ci sono anche le uova di ieri.

Ambrogio                      - Quelle le sa la mia donna.

Daisy                             - Allora ecco, a te. (Gli dà due mo­nete da dieci) Il resto per i toscani.

Ambrogio                      - Grazie. (Fa per avviarsi a de­stra).

Daisy                             - O senti, fammi un piacere.

Ambrogio                      - Comandi.

Daisy                             - Dovresti attaccare un'altra cordi­cella a quei due alberi, Perché al signorino cre­sce ogni giorno l'appetito e... (sorridendo) in­somma quella corda non basta più.

Ambrogio                      - Eh, cosa vuole, in campagna si fa tutto in abbondanza...

Daisy                             - (spiegando il giornale) Ah, ah!

Ambrogio                      - (andando sotto Varco) Del resto è tanta salute... (Via).

Daisy                             - (scorre il giornale).

Laura                             - (di dentro, canticchia).

Nella                             - (entra dall'arco recando pacchi e pac­chettini) Signorina, eccomi qua.

Daisy                             - Oh, brava. Ma hai fatto un po' tardi.

Nella                             - Colpa, sa di chi? del signor mar­chese. L'ho incontrato in corso Vittorio. E quando incomincia... Per fortuna ohe ho tro­vato il tram che partiva e...

Daisy                             - Hai preso tutto?

Nella                             - (deponendo i pacchi) Sì, tutto. Ma cordellina bianca come voleva lei, non ne ho trovata. (Strappando l'involucro d'un pacchet­to) Questa è un pochino più larga, vede?

Daisy                             - Sì, ma... può andare.

Ambrogio                      - (esce dall'arco e comincia ad attaccare una cordicella fra due alberi, presso l'altra).

Nella                             - (indicando i pacchi) Qui c'è la la­na, i due uncinetti di legno... Questo è il tal­co... qui ci sono i fiori di camomilla...

Daisy                             - Gialli?

Nella                             - Sì, proprio come li voleva lei.

Daisy                             - Va bene.

Nella                             - E la peretta... (Svolgendo un pac­chetto e levando una peretta da clistere) Ma mi pare piccola...

Daisy                             - (comprimendo la peretta) Eh, po­vero pancino! Cosa vuoi metterci?

Laura                             - (passando al di là del cancelletto e sospingendo una carrozzella da bimbo col man­tice alzato) Signora...

Daisy                             - Te ne vai? Aspetta. (Avviandosi verso il fondo) L'hai coperto bene?

Laura                             - Sì, sì, benissimo.

Daysy                            - (esce dal cancelletto, raggiunge la car­rozzella e accomodando la copertina) Picci­nino della tua mamma, toh! gioia...

Nella                             - (raccogliendo i pacchetti e avviando­si) Allora, signorina, porto tutto in casa?

Daisy                             - (volgendosi) Sì, sì... Aspetta. (A Laura) Mi raccomando, eh? Appena il sole ca­la, ritorna. (Rientra).

Laura                             - Non dubiti. (Si avvia cantic­chiando).

Daisy                             - (raggiungendo Nella sulla soglia della villa) Quel pacco che portò il commendato­re, dove l'hai messo?

Nella                             - E' nella cesta della biancheria, ira. il muro e l'armadio.

Daisy                             - L'ho cercato tutta mattina. (Entra nella villa continuando a parlare con Nella. Si ode il canto sommesso di Laura che si allon­tana).

Ambrogio                      - (che ha terminato di attaccare la cordicella, va sulla soglia del cancelletto) Uhi, Lama?

Laura                             - (di fuori, lontana) Cosa volete?

Ambrogio                      - I miei ossequi al marito.

Laura                             - (c. s.) Crepa!

Guido                            - (entra dall'arco, si ferma guardando Ambrogio).

Ambrogio                      - Cerca qualcuno?

Guido                            - Sta qui una signorina che ha un bambiriio?

Ambrogio                      - La signora Daisy?

Guido                            - Sì, ecco.

Ambrogio                      - E' in casa: vuole che la chiami?

Guido                            - Se mi fate il piacere...

Ambrogio                      - Che debbo dire?

Daisy                             - (appare sulla soglia della villa recan­do una cesta di biancheria di bucato) Toh! chi si vede!

Guido                            - Oh! (Andandole incontro) Co­me va?

Daisy                             - (poggiando la cesta sul tavolino) L'hai trovata la strada?

Guido                            - (stringendole la mano) Benissimo: il tuo biglietto era meglio di una carta topo­grafica. Ma guarda dove ti sei cacciata!

Daisy                             - Quiete, mio caro! Lontana da tutte le rotture di scatole... Appena mi sono messa in piedi sono venuta qua. E' una settimana. Ti piace?

Guido                            - (guardando intorno) Mi piace, sì. E' romantico.

Daisy                             - Ah, t'assicuro che averla una ca­setta così ci1 sarebbe da non muoversi più. (Accennando) Guarda: io dormo là.

Guido                            - Dove?

Daisy                             - La seconda finestra. Subilo dopo c'è la camera della balia e quella di Nella. Giù poi c'è una bella saletta d'ingresso, la stanza da pranzo, uno studiolo, la cucina e gli accessori.

Guido                            - Benissimo. E il pupo com'è?

Ambrogio                      - (rientra sotto Varco).

Daisy                             - Bello. A parte la modestia, ma è proprio mio figlio. Mettiti a sedere. E' con la balia che è andata da sua madre, qua vicino.

Guido                            - Lo mandi già fuori?

Daisy                             - Perché? E' campagna, sai: non ci sono mica i microbi qui. Permetti, eh, che pieghi questa roba?

Guido                            - Fai1 pure.

Daisy                             - Se no resto in arretrato e... Poi, magari, andremo tutti e due a vederlo...

Guido                            - (sollevando una braghetta) Cos'è. Il corredo?

Daisy                             - Sì, ma a momenti non gli va più niente: tutto diventa stretto.

Guido                            - Di già?

Daisy                             - Eh, cresce più di quaranta grammi il giorno!

Guido                            - E' molto?

Daisy                             - Moltissimo. Come si vede che non te ne intendi! Pesa più di cinque chili e sei­cento.

Guido                            - Caspita! Il gigante Golia!

Daisy                             - Sai che t'aspettavo prima?

Guido                            - Ah già, non t'ho detto: ero fuori. A Genova per un incarico. Sono rientrato in sede ieri, dopo una settimana.

Daisy                             - Tutta genovese?

 Guido                           - Sì. Figurati che ho fatto anche i bagni.

Daisy                             - Davvero? Io invece, quest'anno, i bagni di mare... li farò nella Lina.

Guido                            - Non li muoverai?...

Daisy                             - Oh, no: lui qui sita tanto bene!... E poi dove vuoi che vada? Qui ho latte buonis­simo, verdura fresca, aria eccellente, siamo vi­cini alla città...

Guido                            - Così puoi fare anche delle corse.

Daisy                             - Io? Con questo caldo? Ci va Nella tutti i giorni. (Piegando un corpetlino) Già, con questo signorino tempo ce n'è poco. E' piccolo, ma del daffare ne dà.

Guido                            - E che nome gli hai messo?

Daisy                             - Ah, è stata una tragedia! Figurali che il marchese lo voleva chiamare Marcanto­nio come un suo antenato, il commendatore Cristoforo, che è il santo delle automobili; io allora, per contentarli tutti e due, gli ho mes­so nome Mario. Bello, eh?

Guido                            - Sì: mi piace... Mario.

Daisy                             - Vedi... non so... è un nome robusto. Tutti quelli che si chiamano Mario me li im­magino con un torace così e certi pugni...

Guido                            - Cosa vuoi farne? Un pugilista?

Daisy                             - Magari! Oggi, sai, coi pugni si può fare della strada...

Guido                            - Eh già: coi pugni... e coi quattrini.

Daisy                             - I quattrini... sì... anche con quelli.

Guido                            - Il resto... l'ingegno, l'onestà, il lavoro... belle cose, ma che... hanno fatto il loro tempo.

Daisy                             - Sei tornato dai bagni di mare con la malinconia?

Guido                            - No... affatto.

Daisy                             - Oh, bravo! Se mai fattela passare, Perché qui si deve stare allegri. (Avendo fini­to di piegare la biancheria) Ecco fatto. Voglia­mo andare a vedere il bambino?

Guido                            - Sì.

Daisy                             - (si alza, prende Vombrellino e, accen­nando al cancellettó) Usciamo di là. (Si av­via. Passando sotto la villa) Nella?

Nella                             - (di dentro) Comandi?

Daisy i                           - Vado dal bambino. Raccogli la biancheria ch'è qua fuori e portala in casa.

Nella                             - (c. s.) Va bene.

Daisy                             - (esce dal cancellettó seguita da Guido Scompaiono).

Nella                             - (esce dalla villa. Va al tavolino e co­mincia a riporre la biancherìa nella cesta).

(Si ode il rumore di un'automobile che en­tra sotto Vandrone e si ferma).

Nella                             - (osserva e, subito agitata, lascia di ri­porre la biancheria e si dirige all'arco).

Il commendatore           - (entra dall'arco).

Nella                             - Signor commendatore, ben arrivato.

Il commendatore           - Dov'è la signora?

Nella                             - E' uscita per la campagna... ma se vuole clic la chiami... (Fa per dirigersi verso il cancelletto).

Il commendatore           - (fermandola con un gesto) No: aspettate: è inutile chiamarla. Ritorne­rà. Piuttosto venite qua un momento e ascolta­temi bene. Fra poco sarà qui un signore... il signor... marchese di Vallestretta...

Nella                             - (ha come un sussulto).

Il commendatore           -... Ho oltrepassato ora la vettura.

Nella                             - (come trasognata) Il signor mar­chese... ma...

Il commendatore           - (con calma) Sì, lo co­noscete bene, cara Nella. E' quel signore che voi chiamiate... « lo zio ».

Nella                             - (paralizzata) Ma...

Il commendatore           - Non agitatevi...

Nella                             - Creda, signor commendatore, che io...

Il commendatore           - Lo so; voi avete scrupo­losamente e intelligentemente eseguito gli ordini della vostra padrona. E del resto io non potrei volervene Perché, in fondo, debbo alla vostra prudenza e alla vostra finezza se ho vis­suto per qualche tempo in una ben ordinata e serena tranquillità.

Nella                             - Signor commendatore...

Il commendatore           - (accennandole di tacere) Voi, vedete, cara figliola, appartenete a quel­la categoria di persole che compiono vari atti di illuminata provvidenza e purtroppo non so­no mai abbastanza valutate e ricompensate...

Nella                             - Signor commendatore, lei è molto buono...

Il commendatore           - (c. s.) Siate, allora, voi ugualmente buona con me: appena sarà qua il signor marchese di Vallestretta, andate a chiamare la vostra padrona.

Nella                             - E' uscita poco fa... col bambino.

Il commendatore           - E dite: la signora vuol molto bene al bambino?

Nella                             - Oh, lo adora!

Il commendatore           - E il piccolo, cresce, cresce bene?

Nella                             - Oh, benissimo! E' robusto, colo­rito... Pesa quasi sei chili. E' veramente sareb­be un peccato che ora...

 Il commendatore          - (interrompendola) Be', non esageriamo con le vostre preoccupazioni. (Una vettura a cavalli entra sotto l’androne) E' il marchese: andate a chiamare la signora.

Nella                             - (prende la cesta della biancheria, la porta nella villa).

Il marchese                    - (entra dall'arco) Ho visto la sua automobile, che mi ha sorpassato...

Il commendatore           - Già. Volevo anzi fer­marmi per pregarla di salire... ma poi ho pen­sato che era meglio arrivar qua separati, e...

Il marchese                    - Giustissimo. E dov'è?

Il commendatore           - Fuori col bambino: ora andranno a chiamarla.

Il marchese                    - Sa, commendatore, che da ieri sera io sono un altro? Non so capacitarmi, ecco. Mi sembra così inverosimile...

Il commendatore           - Eppure...

Il marchese                    - Gli zìi!... Noi... gli zii! Ri­cevitori del lotto!

Il commendatore           - (sorridendo) Già. Ci ripensavo questa notte...

Il marchese                    - Anche lei non ha dormito?

Il commendatore           - (sorridendo) Poco, lo confesso. Ci ripensavo... Conveniamo che la trovata è stata abbastanza originale.

Il marchese                    - Chiamiamola originale.

Il commendatore           - Nella mia lunga vita d'i affari non m'era mai capitato di trovarmi coin­volto in ima società come questa: società... ano­nima, nella quale io e lei, caro marchese, per dieci lunghi mesi abbiamo acquistato, pagando­le abbastanza care, le nostre... cattive azioni.

Il marchese                    - Fossero state cattive! Ora sa­rebbe meno doloroso. Perché debbo confessar­le che io per mio conto sono stato trattato con la massima cordialità, è vero, ma... in quanto...

Il commendatore           - A onore del vero, lo «tesso trattamento è stato usato anche a me.

Il marchese                    - Meno male. (Breve silenzio) E ora... come ci regoliamo appena sarà qua? Perché io ho riflettuto. Crede opportuno farle una scena?

Il commendatore           - Non direi... E poi può essere pericoloso.

Il marchese                    - Certo questa situazione che stiamo per creare, è abbastanza strana.

Il commendatore           - E' umana, caro mar­chese.

Il marchese                    - Ma che si debba, dopo aver ricevuto simile offesa, che si debba essere cle­menti al punto... da eleggerla ad arbitro...

Il commendatore           - Dal momento che né io né lei abbiamo la forza di staccarcene...

Il marchese                    - E' umiliante.

Il commendatore           - E' umiliante, lo so; ma è anche questo un regalo degli anni: non è stra­no che alla nostra età l'egoismo... vada fino alla clemenza.

Il marchese                    - (sospirando) Eh già!... E' così. (Un silenzio) Però... commendatore... mi permette un apprezzamento?

Il commendatore           - Dica pure.

Il marchese                    - Resta convenuto che Daisy giudicherà, farà la sua scelta: non può essere che lei; ma... queste povere ragazze, vede, che hanno vissuto una- vita relativamente interes­sata, possono cadere facilmente in un errore.

Il commendatore           - Quale?

Il marchese                    - Questo: di scambiare per un sentimento sincero... per esempio... il miraggio della ricchezza.

Il commendatore           - Non... afferro.

Il marchese                    - Ecco, mi spiego. Il mio pa­trimonio, vede, è... è vasto: ipotecato, ma grandioso. Sto insomma in piedi. Tuttavia lei - badi, con tutto il rispetto che ho per gl'indu­striali, che considero i veri fattori della ricchez­za di un popolo, - tuttavia, in questi ultimi tempi... lei deve aver racimolato parecchi mi­lioni. E... mi capisce: Daisy potrebbe soffo­care un sentimento sincero per...

Il commendatore           -... per i milioni che ho racimolato in questi ultimi tempi... Ma, vede, per la stessa ragione io potrei dire a lei che queste ragazze del popolo, abituate a vedere i conti, i duchi, i marchesi, di cui è pieno il cinematografo, possono, per il miraggio dell'aristocrazia - che io, badi, con tutto il rispetto considero la vera fautrice della storia dei po­poli, - possono, ripeto, per diventare mar­chese o che so io, soffocare, come lei dice, un sentimento sincero.

Il marchese                    - Giustissimo: il suo ragio­namento è diritto come una lama.

Il commendatore           - E allora mi sembra che non vi sia che attendere il giudizio di... Salomone.

Il marchese                    - Già... (Un silenzio) Sicuro...! sicuro...(Fa qualche passo fischiettando).

Il commendatore           - (accende un grosso sigaro e sbuffa ampie fumate).

Il marchese                    - (si ferma davanti al commen­datore e dopo un momento di perplessità) Però... vede, pensando appunto al giudizio di Salomone, m'è venuta in mente un'altra cosa che avevamo deplorevolmente dimenticata.

Il commendatore           - E sarebbe?

Il marchese                    - Quel bambino. Quello, ve­de... nemmeno Salomone è riuscito a tagliarlo in due! E allora come facciamo? Lui non può scegliere.

Il commendatore           - Sceglierà sua madre...

Il marchese                    - Sì... ma... (Dopo un momen­to d'imbarazzo) Commendatore, io bisogna che le dica una cosa molto importante. Quel bambino, vede... Insomma, commendatore, io appartengo a un'illustre famiglia, antichissima^ e a me incombe il dovere sacro che la prosapia non si estingua. E quel bambino, vede, sarebbe un magnifico rampollo da innestare nel ceppo dei Vallestretta.

Il commendatore           - Sì, ma... anch'io ho una famiglia da mandare avanti.

Il, marchese                   - Oh, ma ammetterà che la còsa... insomma, è diversa.

Il commendatore           - Diversa, Perché?

Il marchese                    - Ma sì... Le loro famiglie, che j vuole? Badi, con tutto il rispetto che ho per le industrie, ma le loro famiglie, vede... sono co­me dire... delle famigliole; non hanno, insom­ma, necessità di perpetuarsi. Per loro, vede, J l'importante è la ditta: ecco, la ditta, non la famiglia.

Il commendatore           - Mi sembra, tuttavia, che I anche per loro l'importante sia la ditta.

Il marchese                    - Come sarebbe a dire?

Il commendatore           - Sì, Perché, ad esempio, j lei ora per la ditta « Marchesi di Vallestretta  non esiterebbe a innestare nel ceppo illustre un rampollo la cui provenienza, confessiamolo, non è documentata.

Il marchese                    - Ah, ma vede, qui sta il ro­stro eroismo! Quante volte, se sapesse, nelle famiglie aristocratiche, Perché il nome non va­da estinto, si sono, al momento opportuno, sa­puti chiudere gli occhi!

Il commendatore           - Comprendo: Perché l'al­bero genealogico metta una fogliolina si arriva persino a sostituire la radice.

IL marchese                  - Appunto. Per questo le di­cevo: lei ci tiene proprio tanto... lei che non ha bisogno di discendere.

Il commendatore           - Che vuole, caro mar­chese, se lei ha bisogno di discendere, io potrei aver bisogno di salire. Per mia disgrazia, ho raccolto molti (milioni e penso che quel bam­bino potrebbe essere un gagliardo dissipatore della ricchezza...

Il marchese                    - (sorridendo ironico) Non di­rà, spero: ricchezza... paterna.

Il commendatore           - Potrei per un momento sobbarcarmi anch'io gli eroismi (con gesto verso il marchese) della sua casta.

Il marcese                      - (quasi scattando) Così noi dob­biamo proprio considerarci dei nemici?

Il commendatore           -... No... non dica nemici: adoperiamo una parola più moderna...' spor­tiva: siamo né più né meno che dei concor­renti: fra poco entrerà la giuria e deciderà.

Il marchese                    - (con un. sospiro di rassegnazione) E va bene, va bene.

Daisy                             - (s'affaccia al cancelletto e si ferma).

Nella                             - (sopraggiunge dietro di lei e prosegue dentro la villa).

Daisy                             - (dopo un silenzio, avanzando) Eh... era da prevedere. Del resto, forse, è meglio così. (Li guarda sorridendo appena) Però, eh? non mi sgriderete mica troppo.

Il commendatore           - Nooo... è vero, mar­chese?

Il marchese                    - Ma... veramente...

Daisy                             - Che cosa volete... quel giorno da madame Gerard...

Il commendatore           - Lo so.

Il marchese                    - Lo sappiamo.

Il commendatore           - Ieri, quando ho appre­so... questa... faccenda... sono andato infatti da madame Gerard; e mi ha spiegato.

Daisy                             - La colpa è mia, ne convengo: m'è mancato il coraggio di mettere le cose a posto, subito. Del resto, vorrei che mi credeste, è sta­to peggio per me che per voi, sapete. Perché per voi, in fondo... venivate là... facevate quat­tro chiacchiere... mi portavate dei regali... Ma per me? per me e per Nella? « Signorina, c'è lo zio!, c'è il dottore dello zio!, c'è l'autista dello zio! »... Credete, c'era da diventar ne­vrastenici.

Il commendatore           - Ti credo.

Il marchese                    - Certo, fissiamo bene questo punto: io non avrei perduto così il mio tempo se da madame Gerard non mi fosse stato detto che certe... graziose visite erano solamente per me: ecco.

Daisy                             - Avete ragione. Ma ammetterete che da madame Gerard le bugie erano... come di­re... all'ordine del giorno.

Il commendatore           - Già:... facevano parte della serietà della casa.

Il marchese                    - Però mi sembra che una vol­ta nato il bambino si sarebbe dovuto allora sen­tire la responsabilità, tutta la responsabilità di un simile stato di cose...

Daisy                             - (interrompendolo) Ma se ti dico che hai ragione! che cosa vuoi che dica? Ci pen­savo sempre... ma quando poi capitavate là... tutti a due buoni, gentili... pieni di premure... che aspettavate quel bambino, non so... come una cosa... soprannaturale... credete, mi man­cava il coraggio. E poi, si ha un; bel dire: che cosa potevo decidere io? Avrei dovuto per la felicità di uno, fare l'infelicità dell'altro. Cre­dete che, in certi casi, se si pensa bene è an­che questione... non so... di coscienza.

Il marchese                    - Però...

Il commendatore           - (interrompendolo) Mar­chese... io direi di troncare la discussione: tanto più che è inutile. Quel che è stato è stato, e non pensiamoci più. (A Daisy) Del resto, te ne sarai accorta, noi non siamo venuti per farti dei rimproveri: siamo qua per un'altra ragio­ne... una ragione... un po' penosa... ma non volgare. Nonostante tutto ci sentiamo ancora molto attaccati a te.

Daisy                             - Siete buoni.

Il commendatore           - Merito tuo, in fondo, che ci hai dato per qualche mese... l'illusione di essere quasi felici'. Ora, mia cara... forse an­che in grazia d'un'altra cosa... di quel regime... diciamo così... platonico, che tu, giustamente del resto, avevi adottato dacché ti eri accorta d'essere'mamma, ora non hai più davanti a te due uomini accesi dal loro egoismo di ma­schi, ma due buoni amici ispirati da un vero sentimento d'affetto: due uomini ugualmente esclusivi ed egoisti, è vero, ma pronti a sotto­mettersi a quella che sarà la tua decisione.

Daisy                             - Decisione?

Il commendatore           - Sì... Perché noi, vedi, cara Daisy, siamo venuti qua con l'intenzione di farti decidere. Tu ci conosci già abbastanza, conosci le nostre condizioni... E' vero, mar­chese?

Il marchese                    - (sottovoce, con emozione) Mi associo...

Il commendatore           - Quindi siamo noi ora a dirti: scegli, liberamente, senza esitazioni, sen­za riguardi. Quel bambino ha bisogno d'un so­stegno, d'una guida... Guarda te quale di noi due ti convenga. Vedi, dove potresti trovarli due uomini più remissivi di così? La parola quindi a te.

Daisy                             - (dopo un breve silenzio) Già... Eh, è così... E' giusto, del resto. Io allora debbo decidere?

Il commendatore           - Sì, decidere.

Il marchese                    - Insomma... quale è il pre­ferito.

Daisy                             - (dopo un silenzio) Ebbene, sentite... Vi ringrazio d'essere stati molto buoni con me e d'esserlo ancora, ma... in quanto a decidere... Che volete che vi dica? Lo capite anche voi.

Il commendatore           - Che cosa?

Il marchese                    - Si sceglie.

Daisy                             - No. Non vogliatemene.

Il commendatore           - Ma come?

Il marchese                    - Non...?

Daisy                             - Del resto... doveva finire così. Da qualche tempo sentivo, non so... che tutto que­sto diventava quasi... inverosimile. Non so Perché. Mi sono cambiata. Per me ormai non c'è più ohe una cosa: tutte le altre sono... come delle stonature insopportabili. Ho bisogno di star sola.

Il marchese                    - (stupito) Oh...

Il commendatore           - Ma... cara figliola... hai ben pensato? Sola... La vita è piena di difficoltà.

Il marchese                    - Ecco.

Daisy                             - Lo so. Ma non mi perdo mica di co­raggio. Vengo dal popolo, sapete: non ho pau­ra dei sacrifici.

Il commendatore           - E' bello... ma... di fron­te alla realtà...

Daisy                             - Bisogna sperare un po' anche nella fortuna.

Il commendatore           - Sicché sei proprio de­cisa?

Daisy                             - Sì.

Il marchese E sarebbe finito tutto... così?

Daisy                             - Eh, già... così.

Il commendatore           - Tuttavia, Daisy... io vor­rei... (Sorridendo con imbarazzo) Oh Dio, mi togli quasi il coraggio con le tue parole. Io vorrei...

Daisy                             - Che cosa?

Il commendatore           -... Siccome penso che a ricominciare la tua strada, così da sola... un piccolo aiuto potrebbe esserti necessario... ti pregherei d'accettare...

Il marchese                    - Ah sì, anch'io!

Daisy                             - (con un tenue gesto di diniego) Grazie.

Il commendatore           - T'offendi?

Daisy                             - No. Sarebbe ridicolo. Piuttosto, guardate: se davvero m'accorgerò di non poter proprio tirare avanti, allora mi ricorderò di voi: riceverete un bigliettino di Daisy che vi domanderà un po' di aiuto. Va bene?

Il commendatore           - (rassegnato) E va bene.

Il marchese                    - Allora non resta che dirci addio. (Le offre la mano).

Daisy                             - Mi perdonate, è vero?

Il marchese                    - Perdonarti? Cara Daisy, tra i miei castelli tu resterai sempre il mio castello in aria: il più bello.

Il commendatore           - Certo, il più restaurato.

Il marchese                    - Ben detto!

Il commendatore           - E allora qua, signor marchese, da bravi avversari diamoci finalmen­te la mano. (Gli offre la mano).

Il marchese                    - Commendatore (Gliela stringe con forza).

Il commendatore           - (mascherando la commozio­ne) Vuole approfittare della mia automobile per giungere più presto?

Il marchese                    - Volentieri.

Il commendatore           - (a Daisy) Allora, buona fortuna, Daisy!

Il marchese                    - Che Dio vi assista, signorina.

Daisy                             - Grazie.

Il commendatore           - (dando il passo al marche­se) Marchese...

Il marchese                    - Prego... (Escono insieme dal­l'arco).

Daisy                             - (usciti i due resta alquanto pensierosa; riprende a lavorare al corpettino di lana del bambino).

Guido                            - (uscendo dalla villa con voluta disin­voltura) Ho visitato la casa: è bella.

Daisy                             - Sì... è bella, la casa.

Guido                            - (un silenzio) Sono andati via?

Daisy                             - Sì.

Guido                            - (dando un'occhiata alla facciata della casa) E ci starai molto qua?... Fino all'au­tunno?

Daisy                             - Non... so... ora vedremo...

 Guido                           - (dopo un momento di leggera indeci­sione) Sai... non t'ho ancor detto... avevamo costituito la Cooperativa dei bancari... e presto avrò una casa mia.

Daisy                             - (senza interesse) Davvero?

Guido                            - Oh piccola, s'intende... una casetta, ma... Vuoi che ti faccia la piantina?...

Daisy                             - (sopra pensiero) Sì.

Guido                            - (levando un libretto d'appunti, si sie­de vicino a lei) E' al secondo piano. (Dise­gnando) Qui, vedi, c'è l'ingresso... piccolino: due per due e ottanta... Questa parete è tutta libera e si può mettervi l'attaccapanni... Qui c'è la cucina: una bella oucinetta con le matto­nelle di maiolica. Vorrò metterla bene, sai... con gli armadietti e tutti i barattoli con le scrit­te: zucchero, caffè, farina... Deve sembrare un salottino.

Daisy                             - (sempre attenta al disegno comincia a lacrimare in silenzio).

Guido                            - Qui c'è il bagno... e di qua si va nella camera da letto... che è grande: cinque per cinque e trenta. Ha due belle finestre... questa col balcone, dove la sera d'estate si può stare a prendere il fresco... (Breve silenzio). E' una casa modesta ma... quando c'è il necessa­rio...

Daisy                             - (un silenzio. Asciuga lentamente le la­grime).

Guido                            - (un silenzio. Facendo macchinalmente dei segni sulla carta) E' bello, sai... il bam­bino.

Daisy                             - E' bello sì... e poi... (con un nodo alla gola) è ben nutrito.

Guido                            - Lo guardavo... Può essere... un'il­lusione... ma... gli occhi...

Daisy                             - (dopo un silenzio, con voce breve e sommessa) No, no: non è un'illusione.

Guido                            - (guardando a terra, dopo una esitazio­ne) Non m'avevi detto nulla.

Daisy                             - E nemmeno... te l'avrei detto.

Guido                            - (molto commosso, riprendevo a dise­gnare) Vedi?... qui avevo pensato di mettere l'armadio a specchio... qui il cassettone... qui il letto... e qui... vicino, nell'angolo... la culla.

Daisy                             - (è presa da un singhiozzare breve e sommesso. Volge il capo dall'altra parte, quasi vergognandosi).

Guido                            - (con la mano accarezza la mano di lei inerte sul tavolino. A voce bassa, quasi senza colore) Su, su, coraggio...

FINE