La fidanzata di Cesare

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LA FIDANZATA DI CESARE

Commedia in tre atti e un sogno

di SILVIO ZAMBALDI

PERSONAGGI

Cesare

FEDERICO

GUIDO

GIUSEPPE, domestico di Federico

CARLO, domestico di Cesare

Due garzoni mobilieri

NELLY

TITINA

GIULIETTA, cameriera

Prima collegiale

Seconda collegiale.

Terza collegiale

Epoca presente - Il secondo atto è diviso in due quadri.

ATTO PRIMO

Saletta di passaggio in casa dì Federico, aperta in fondo a destra sull'anticamera che ha due usci laterali: la comune e l'uscio di servizio. In fondo a sinistra la finestra. Sul da­vanti, a destra, l'uscio delle stanze destinate a Nelly, a sinistra quello delle stanze di Federico. La saletta è ancora in disordine; manca parte dell'arredamento.

Giuseppe                         - (sale e ridiscende da una doppia scala por­tatile, appendendo alla parete di fondo alcuni quadretti, dopo d'averli spolverati).

Giulietta                          - (di messa età, viene da destra recando uno specchio da toilette) Signor Giuseppe, il sostegno s'è staccato. Miracolo non mi sia caduto lo specchio!

Giuseppe                         - (accenna a un tavolino) Lasciate lì, faremo aggiustare. Avete finito?

Giulietta                          - Le stanze della signorina sì.

Giuseppe                         - Qui è inutile mettercisi fin che il mobiliere non porta il resto.

Giulietta                          - Avete bisogno d'aiuto?

Giuseppe                         - Spolveratemi le cornici. E già che ci siamo mettiamoci d'accordo. Qui è terreno neutro: per il ri­manente io alle dipendenze del signore, voi a quelle della signorina. Voi di li (accenna a destra), io di qua (accenna a sinistra). E nessuno ficchi il naso nelle fac­cende dell'altro.

Giulietta                          - Non dubiti; so stare al mio posto.

Giuseppe                         - Così s'andrà avanti. In questa casa ci sono da tanti anni, quasi quanti ne potete aver voi e non si son mai avute storic. scopa nuova scopa bene, ma con me deve sempre scopar bene.

Giulietta                          - Non brontoli, signor Giuseppe. Conosco il servizio e so il mio dovere, ripeto. I miei ben serviti parlan chiaro. Ho incominciato da ragazzetta, ho sposato, si può dire, in cucina, benché avessi idee più alte...

Giuseppe                         - Quelle di sposare un padrone?

Giulietta                          - Ho dovuto scansarmi anche da questi quand'ero più giovine e più fresca.

Giuseppe                         - Questo non m'interessa, e ormai è un peri­colo che non correte più. Da quanto tempo siete vedova?

Giulietta                          - Cinque anni a novembre. sono stata disgra­ziata: prima mi era morto il figliolo, poi i pochi ri­sparmi se ne sono andati per la malattia del marito. Così, rimasta sola, ho dovuto riprendere il mestiere benché non mi mancassero le proposte. Ma quando si è state scottate una volta... Mica perché lei sia un uomo, ma dagli uomini è meglio stare alla larga.

Giuseppe                         - Anche dalle donne.

Giulietta                          - Lei lo dice adesso.

Giuseppe                         - E vi dico anche che meno chiacchiere farete meglio sarà.

Giulietta                          - Vengo da una casa dove non si dicevan tre parole in un giorno.

Giuseppe                         - Brava! Qui son troppe due.

Giulietta                          - Diavolo! La signorina non sarà come la mia ultima padrona che passava le giornate col rosario in mano e accarezzando la schiena del gatto.

Giuseppe                         - La signorina farà quel che vuole. E siccome ci sarà già lei ad empire la testa, ragione di più perché non ce ne sia un'altra. Abbiamo scelto una donna an­ziana per questo.

Giulietta                          - Anziana per modo di dire.

Giuseppe                         - E per modo di vedere.

Giulietta                          - Caro lei, come ci vede male!

Federico                          - (viene da sinistra) Non sono venuti?

Giuseppe                         - Non ancora.

Federico                          - Bisogna sollecitarlo questo mobiliere. È già quasi sera. Io voglio che oggi sia già tutto in ordine.

Giuseppe                         - (a Giulietta) Fateci una corsa. La bottega è nella strada in fondo a sinistra, sull'angolo della piaz­zetta. Non si può sbagliare.

Federico                          - E non muovetevi di là finché non vedete ca­ricata la roba.

Giulietta                          - Mi cambio e vado.

Giuseppe                         - Non perdete tempo. Date a me cuffia e grem­biule. Tanto non vi guarda nessuno.

Giulietta                          - Non per farmi guardare, ma... (si toglie cuffia e grembiule).

Giuseppe                         - Spicciarsi, spicciarsi (le prende cuffia e grembiule).

Giulietta                          - (via dalla comune).

Federico                          - (alludendo a Giulietta) Come va?

Giuseppe                         - Non ci pensi, signor Federico. La faccio an­dar io. Del resto le informazioni sono buone.

Federico                          - Mi fido dì te.

Giuseppe                         - E ho più interesse io di lei.

Federico                          - Ne ho già abbastanza di preoccupazioni,

Giuseppe                         - Perché s'affanna? Dovrebbe anzi essere col tento.

Federico                          - Contento fino a un certo punto. Non che mi dispiaccia d'avere con me mia sorella, ma è il fatto di è un po' imbarazzante. Eravamo cosi bene abituati senza dorme.

Giuseppe                         - Io. Non lei.

Federico                          - Quelle non contano. Quelle non avevano bi­sogno di essere custodite. Dimmelo tu se mi ci vedi in veste di padre di famiglia.

Giuseppe                         - Bisogna adattarsi, signor Federico.

Federico                          - Qui la difficoltà. Tutti i padri fanno una specie di tirocinio prima di diventar tali, ci si preparano giorno per giorno, si abituano all'idea a poco a poco; io invece lo divento di punto in bianco. Domani.

Giuseppe                         - Non lo sa da oggi che la signorina vieni domani.

Federico                          - Lo sapevo sì; ma mi pareva che quel domani fosse sempre lontano. Sino a ieri mi pareva così quasi non ci pensavo. Ma adesso è il dover mutare tutta d'un tratto il sistema di vita che mi scombussola. San peggio che se avessi preso moglie.

Giuseppe                         - Che idee!

Federico                          - Ma certo. Le mogli si può lasciarle andar sol o piantarle in compagnia di un amico qualsiasi; u: ragazza no, ci vogliono riguardi, fuori bisogna tenersela appiccicata alle costole, in casa badare ai discorsi, e cure e sorveglianze... Che castigo di Dio, una sorella minorenne e orfana che esce dal collegio!

Giuseppe                         - La penitenza dei suoi peccati, signor Fede­rico.

Federico                          - Ma io non ho nessuna intenzione di rinunciare ai peccati.

Giuseppe                         - Avrà anzi il vantaggio di mettersi a far l'uomo sul serio. Scusi la confidenza, ma io sono vecchio, l'ho tenuto in braccio e mi permetto di parlare.

Federico                          - L'uomo sul serio alla mia età è troppo presto.

Giuseppe                         - E in casa tornerà a esserci un po' di regola.

Federico                          - Regola con Nelly? Se è sempre stata una sbarazzina e una disordinata!

Giuseppe                         - Adesso non è più una bambinetta.

Federico                          - Non si rimetterà a far le capriole, ma vedrai che combinerà di peggio. A diciotto anni sono più peri­colose che non a otto. Basta: domattina prendo il treno delle nove e prima di pranzo son di ritorno con Nelly. Tu ci vieni incontro alla stazione.

Giuseppe                         - Preparo anche il pranzo?

Federico                          - Sei contento di riprendere le tue antiche fun­zioni. Di' la verità, Giuseppe.

Giuseppe                         - Cercherò di farmi onore. E lei, signor Fede­rico, creda a me, starà meglio.

Federico                          - Che Dio me la mandi buona! (una scampanellata) Cesare! fallo passare.

Giuseppe                         - (esce dalla comune, introduce Cesare e via).

Federico                          - Scusa se ti ricevo in mezzo al disordine.

Cesare                              - Figurati. So tutto il da fare che hai. E con questo caldo!

Federico                          - Ti dò subito un rinfresco.

Cesare                              - Ti ringrazio, ma il mio stomaco è meglio lasciarlo stare.

Federico                          - Un rinfresco intellettuale. Metto a profitto la tua scienza contabile.

Cesare                              - Povera la mia scienza!

Federico                          - Non hai studiato ragioneria?

Cesare                              - Come tu hai studiato giurisprudenza.

Federico                          - Non esercitiamo per un riguardo agli eventuali clienti. Tu devi sapere press'a poco come si tiene un'amministrazione privata e come si fa un rendiconto.

Cesare                              - Fin lì ci arrivo.

Federico                          - Benissimo, lo invece ho sempre odiato le cifre. Siccome intendo di presentare a mia sorella il prospetto esatto della sua parte, tu me lo compili. Ho già preparato tutto l'occorrente sulla mia scrivania; in men di mezz'ora te la cavi. È un incarico di fiducia che ti do.

Cesare                              - Dice lo stesso mio zio quando ha bisogno di quattrini.

Federico                          - Ma io non te ne chiedo. Hai notizie di quello scavezzacollo, come lo battezzi senza rispetto al pa­rentado?

Cesare                              - Nessuna.

Federico                          - Non sei in pensiero?

Cesare                              - Al contrario. Quando non si fa vivo è segno che non fa pasticci e che spende onestamente i suoi quattrini.

Federico                          - Altrimenti...?

Cesare                              - Altrimenti le sue avventure si sentono al polso: Caro nipote, cinquemila, diecimila, ventimila.

Federico                          - Costano.

Cesare                              - (ironico) Lui tratta sempre con gran dame.

Federico                          - E tu paghi.

Cesare                              - Con il suo, fin che dura.

Federico                          - Così perdi anche la speranza d'ereditare.

Cesare                              - Non l'ho mai coltivata. È più probabile anzi che la coltivi lui su di me. Alla buon'anima del mio nonno materno che cos'è venuto in mente di riprender moglie e di regalarmi uno zio di quel genere?!

Federico                          - E tu non segui il buon esempio del nonno?

Cesare                              - Rimango scapolo per protesta. Ad esser però giusti, mio zio non ha che un difetto.

Federico                          - Quello di piacere alle donne.

Cesare                              - E di soffiarmele via. Non mettevo l'occhio su d'una, non avevo ancora mosso un passo, che me lo trovavo già tra i piedi... Meno male che adesso è non sodove.

Federico                          - Ciò non toglie che ti sia capitata la disavven­tura di far la corte a una signora e di trovarti fra le braccia la cameriera.

Cesare                              - Pur troppo non ho fortuna. Ma questo incerto mi ha servito per rinunciare a ogni velleità e per non cullarmi in certe illusioni. Ho chiuso bottega.

 Federico                         - Pensa, Cecè, che dovrò chiuderla anch'io.

Cesare                              - Farai molto bene.

Federico                          - Tu il guaio di uno zio, io quello più grosso d'una piccola scimmia che mi ballerà qui dentro chissà fin quando.

Cesare                              - Hai comprato una scimmia?

Federico                          - Dico mia sorella.

Cesare                              - Tua sorella viene con una scimmia?

Federico                          - Che duro di comprendonio! Non sono un po' tutte scimmie a quell'età?

Cesare                              - Caspita, spiegati meglio. Vuoi dire che è nell'età né carne né pesce.

Federico                          - Ha dodici anni meno di me: fa il conto.

Cesare                              - Brutto vizio quello di far figliuoli a lunga di­stanza!

Federico                          - Sono del tuo avviso. Le sorprese toccano dopo a noi. A venti anni mi sono trovato con la respon­sabilità di una creatura piccina così, l'ho messa dalle dame inglesi.; mi pareva d'essermene liberato, e invece adesso me la restituiscono alta così, con esigenze, con pretese e Dio sa con quali capricci. Ecco la storia.

Cesare                              - C'è da grattarsi in testa.

Federico                          - Il problema sarebbe stato risolto con una vec­chia parente che durante le vacanze la voleva sempre con sé, e presso la quale mia sorella rimaneva molto volentieri. Nossignore; mi va proprio a morire l'inver­no scorso.

Cesare                              - Ce ne sono di questi parenti dispettosi!

Federico                          - Oppure se mia sorella fosse stata un'oca, al­meno avrebbe dovuto ripetere qualche classe e restare in collegio qualche altro anno. Niente! Pare che sia più intelligente di noi due insieme.

Cesare                              - Che disgrazia!

Federico                          - Adesso come me la cavo? Per forza dovrò mutar vita, rinunciare alla libertà, a quella magnifica cosa che è la nostra libertà di giovinotti che hanno voglia di vivere e di godere.

Cesare                              - Insomma una piccola scimmia attaccata al piede, che non ti permetterà d'averne altre ancora più scim­mie attaccate al braccio.

Federico                          - Press'a poco.

Cesare                              - Ti compiango; ma non so che farci.

Federico                          - Fammi il favore che t'ho chiesto. Siedi alla mia scrivania. Se hai caldo ti spogli; trovi un mio spol­verino, te lo metti. Io intanto mi occupo di altre cose. Quand'hai finito, usciamo insieme. E grazie, Cecè.

Cesare                              - Ti pare? Tra amici....

Federico                          - Il giorno che piglierai moglie ti farò un bel regalo.

Cesare                              - Grazie, Federico, risparmia la spesa: preferisco ancora le mogli degli altri.

Federico                          - Bravo: siamo dello stesso avviso (ridono).

Federico                          - (fa passare Cesare nello studio) Buon diver­timento (chiude l'uscio).

Titina                               - (dalla comune) Sì può?

Federico                          - Come mai a quest'ora?

Titina                               - Ti dispiace?

Federico                          - Al contrario.

Titina                               - Vengo per annunciarti che sono libera cittadina.

Federico                          - Partito il tuo fidanzato?

Titina                               - Torno dalla stazione, dove l'ho messo in treno, gli ho sventolato il fazzoletto con indicibile commo­zione, ed eccomi qua. (porgendogli la guancia) Mi dici grazie?

Federico                          - (baciandola) Ecco.

Titina                               - Così poco? Non sei energico, oggi.

Federico                          - È il caldo.

Titina                               - La notte però fa fresco. E Titina ti offre Va. sua compagnia fino a domani.

Federico                          - In compenso stasera ti offro una cena d'addio.

Titina                               - D'addio come?

Federico                          - Lo sai pure che con domani la faccenda si

fa seria.

Titina                               - Arriva proprio?

Federico                          - Domattina vado a prenderla.

Titina                               - Allora dovremo alzarci presto.

Federico                          - Cominciano i sacrifici...

Titina                               - E dopo?

Federico                          - Mah! Non ho ancora trovato una via d'uscita.

Titina                               - Non dicevi dì volerne aprire una dal tuo studio direttamente sulla scala?

Federico                          - Ciò risolve poco o niente. La questione è che non siamo più nel quartierino di uno scapolo che può fare quel che vuole o ricevere chi vuole...

Titina                               - Ma come avvocato...

Federico                          - Gli avvocati non danno udienza di notte.

Titina                               - Mi metti in grave pensiero. E di giorno?

Federico                          - Occorrono molti riguardi.

Titina                               - Tutto ciò diventa noioso. Non c'è modo...?

Federico                          - Un modo sarebbe che tu sposassi subito il tuo commesso viaggiatore. Capirai che è sempre più pulito ricevere una donna maritata che non una ragazza ap­pena fidanzata.

Titina                               - Comprendo; sono più rispettate le convenienze. Ma il mio fidanzato non ha ancora una posizione si­cura e bisogna pazientare. sono già tre anni che ho questa pazienza.

Federico                          - Quanto tempo perduto!

Titina                               - Il mio tempo non lo perdo lo stesso.

Federico                          - Infatti

Titina                               - Ma quando mi avrà sposata, sarò una moglie saggia come poche e non bazzicherò per lo studio degli avvocati né dì notte né di giorno. Non tanto per la sua gelosia, quanto per il mio amor proprio di don­na onesta.

Federico                          - Si capisce. È geloso il commesso viaggiatore?

Titina                               - Come una tigre.

Federico                          - In guardia!

Titina                               - Naturalmente, se vedesse o se venisse a sa­pere. Ma tu certo non glielo vai a dire e, quando viaggia, lui non può vedere. sta pur tranquillo; fino a dopo domani sera non torna.

Federico                          - La mia tranquillità finisce domattina.

Titina                               - Ti accompagnerò alla stazione.

Federico                          - Così non perdi la buona abitudine svento­lerai anche a me il fazzoletto.

Titina                               - Scioccone, con te è un altro affare. Ma io come impiegherò tutto il resto della giornata?

Federico                          - Non hai altre distrazioni?

Titina                               - Prego credere che tu sei l'unica. Proprio non ci voleva questo contrattempo; adesso che m'ero affezionata a te, che mi pareva quasi, venendo qui, d'entrare in casa mia....

Federico                          - Che attaccamento!

Titina                               - Voialtri uomini certe cose non le sapete ap­prezzare. Non siamo insensibili, noi, non siamo fred­de, malgrado il caldo, come certa gente. Credi che non me ne sia accorta?

Federico                          - È che oggi ho i nervi.

Titina                               - Mi viene un'idea. La devo dire?

Federico                          - Purché non sia una delle solite tue!

Titina                               - Me l'hai fatta venire tu quando mostravi chi l'aver a che fare con una signora è più decente, pia! nelle convenienze che non con una signorina.

Federico                          - Dilla.

Titina                               - Se mi sposassi tu?

Federico                          - Lo sapevo. Quand'hai un'idea c'è da tremare,!

Titina                               - Non sarei una moglie graziosa, bellina, abbastanza elegante? Non ti farei fare buona figura?

Federico                          - Oh, buonissima!

Titina                               - Del resto, non saresti tu il primo che sposa l'amante.

Federico                          - Appunto; mancherei d'originalità.

Titina                               - Sono matrimoni che alle volte riescono meglio! di quando si prende una ragazza non mai veduta prima in camicia.

Federico                          - È vero. Ma io sono molto scrupoloso e mi! guarderei dal far questo torto al tuo fidanzato che in camicia ti deve conoscere meglio di me.

Titina                               - Falso! Per tua regola e norma lui non ha mal veduto niente. sarei proprio senza criterio. Gli uomini fanno come te: quando sì son levati la curiosità e l'appetito, addio cara, anche senza la cena.

Federico                          - Almeno questa io te l'offro.

Titina                               - In fondo ti capisco e ti compatisco. Lo so che ' pena è il dover far da angelo custode a una sorellina. È toccato anche a me.

Federico                          - Hai una sorella?

Titina                               - Non te ne ho mai parlato? Avessi visto che ragazza coi fiocchi, per la strada si voltavan tutti, Io non facevo che raccomandarle: - Teresina, filai dritto!-  e lei, un bel giorno, è filata via con un signore molto chic. Adesso, di tanto in tanto, mi manda una cartolina illustrata per dire che sta bene e che spera di star meglio. Ci riuscirà. È svelta.

Federico                          - È della tua scuola?

Titina                               - E no, io dò troppo retta al cuore. Mia madre, povera santa donna, me lo ripeteva sempre: - Col sentimento non farai mai carriera.

Federico                          - Era filosofa!

Titina                               - Sì. Studiava sempre il libro dei sogni.

Federico                          - Ed è morta studiandolo?

Titina                               - Soffriva d'asma, non poteva salir le scale...

Federico                          - Povera santa donna, gliele hanno fatte di­scendere!

Cesare                              - (appare sull'uscio dello studio, insaccato nella giacca di Federico. Scorgendo Titina fa per ritirarsi) Pardon!

Federico                          - Volevi?

Cesare                              - Consigliarti la spesa di un ventilatore. si sof­foca nel tuo studio.

Federico                          - Non ci badare, (presentando) L'amico Cesare Carelli, mio amministratore particolare. La signorina Clementina, ovverosia Tìtina, mia cliente

Cesare                              - Particolare?

Federico                          - Particolarissima.

Cesare                              - Congratulazioni all'avvocato, e altrettanto alla signorina che s'è affidata in così buone mani.

Federico                          - Cecè, ti prego, non fare dell'ironia e non screditarmi nella professione.

Cesare                              - Me ne guardi il cielo! Un avvocato come te, che non tiene il ventilatore nello studio, mostra di avere idee sempre fresche, (a Tìtina) Mi dispiace, signorina, d'esserle presentato in simile abbigliamento. La colpa è di Federico che mi fa insaccare in questo suo cencio.

Titina                               - È capace dì tutto quest'uomo!

Cesare                              - Si vede che lo conosce a fondo.

Titina                               - Non si conosce mai abbastanza.

Federico                          - Quando avete finito di farmi complimenti, mi avvertite, (a Cesare) Bada che non t'invito a cena, stasera.

Cesare                              - Non parlo più.

Titina                               - Sì. Venga con noi.

Cesare                              - Lusingatissimo.

Titina                               - Porti anche la sua signorina.

Cesare                              - Dolente di non aver signorine a mia disposizione.

Tìtina                               - Dice per burla,

Cesare                              - Sono piuttosto le donne che si burlano di me.

Titina                               - Il signore ha moglie?

Cesare                              - Per carità!

Titina                               - Così come si esprimeva...

Federico                          - Ha poca fortuna lui. Non fa colpo che sulle cameriere, quando vuol farlo sulle padrone.

Cesare                              - Non esageriamo!

Titina                               - Qualche volta c'è da trovarsi meglio.

Federico                          - A proposito, t'avverto che adesso ho assunto una cameriera anch'io. Non sedurmela.

Cesare                              - Ti rivali per mortificarmi in faccia alla signo­rina, (a Titina) Non gli creda; ho gusti ben più delicati.

Titina                               - Del resto può rifarsi alla prima occasione; corteggiando la cameriera per arrivare alla padrona.

Cesare                              - Ho già rinunciato a tutto.

Titina                               - E’ tanto simpatico lei'

Cesare                              - Non ho vinto premi a concorsi di bellezza, ma vedo che pure la signorina ha molto buon gusto.

Federico                          - Non commuoverti troppo, Cecè. Bada che Titina ha un fidanzato, terribilmente geloso.

Cesare                              - (con intenzione) Lo sarei anch'io se avessi una fidanzata... tua cliente.

Titina                               - Gentile!

Cesare                              - E’ una delle, mie qualità.

Federico                          - (a Titina) Impertinente, devi dire.

Cesare                              - È una delle sue qualità. Con permesso (via nello studio).

Titina                               - Perché dargli dell'impertinente?

Federico                          - Non hai capito la sua allusione?

Titina                               - L'ho capita. Ma l'ha fatta con garbo, come un complimento.

Federico                          - Se ti è tanto simpatico, te lo regalo.

Titina                               - Esageri in generosità.

Federico                          - Sei tu che sdilinquì.

Titina                               - Allora il geloso sei tu. (ride) Lo faccio ap­posta. Mia madre, povera santa donna, diceva sempre...

Federico                          - Lascia in pace la povera santa donna e va a prepararti. Fra un'ora ti vengo a prendere.

Titina                               - Porti anche i nervi?

Federico                          - Li deporrò in guardaroba.

Titina                               - Non essere in collera, Federico, (l'abbraccia) Sei odioso, ma ti voglio bene. E speriamo di trovare il modo di volercene sempre, (a un tratto) Un'idea!

Federico                          - Non averne più, Titina!

Titina                               - Questa è la giusta. Perché non mariti tua so­rella?

Federico                          - Così presto?

Titina                               - Eh, io alla sua età!...

Federico                          - Tu è un'altra cosa.

Titina                               - Siamo tutte lo stesso, per questo.

Federico                          - E poi, con chi? Dove glielo pesco il marito?

Titina                               - Conosci tanta gente, hai tanti amici!

Federico                          - Proprio gli amici! Non ne troverei più nem­meno uno.

Titina                               - Nemmeno quello? (indica lo studio).

Federico                          - Peggio degli altri. Hai udito la sua escla­mazione di spavento quando gli hai attribuito una moglie!

Titina                               - Eppure, se lo osservi bene, trovi che ha tutta la figura, la complessione, il tipo d'un marito.

Federico                          - Si vede che non l'ho mai guardato.

Titina                               - Quelli che si spaventano di più, sono i più facili a cascarci. Lo diceva anche...

Federico                          - ... quella santa donna. Ma Cecè, con le donne, hai sentito, non sa fare...

Titina                               - Ragione di più se non sa fare. Prova, prova. Pensa che bella soluzione per tc. se non con lui, con un altro. Con la buona volontà si riesce a tutto.

Federico                          - Non è mestiere mio; ho la più grande ripu­gnanza per l'istituto del matrimonio.

Titina                               - Non si tratta del tuo.

Federico                          - Sono certo, ripeto, che mi formerei il vuoto intorno.

Titina                               - Se ti tieni una zitella in casa, il vuoto si for­merà di più. Pensaci, pensaci bene, Federico, e non dimenticarti di venire a prendermi fra un'ora.

Federico                          - Son belle fantasie le tue (l'accompagna alla comune).

Titina                               - Fantasie pratiche (via).

Federico                          - (rimane un momento pensieroso, quindi, pri­ma con titubanza, poi con risolutezza, va all'uscio del­lo studio e chiama:) Cecè.

Cesare                              - (d. d.) Non farmi perdere il filo. C'è una tale confusione nei tuoi registri!

Federico                          - Sbroglierai dopo. Ho da parlarti di cose serie.

Cesare                              - (apparendo) A me?

Federico                          - Più serie di quelle che spifferavi poco fa a Titina. Per fortuna è più bestia di te e non c'è ar­rivata.

Cesare                              - Se sono bestia, perché sfrutti la mia in­telligenza? (si toglie la giacca) Riprendi i tuoi stracci e rifatteli da te quei conti che si vergognerebbe di tenere l'ultimo dei pizzicagnoli. La contabilità non è un'opinione, o avvocato dalle... allegre clienti.

Federico                          - Se avessi tenuto i conti in regola, non avrei pregato te di regolarmeli, o contabile dei miei stivali!

Cesare                              - Almeno quelli li tieni più netti delle tue cifre.

Federico                          - Sarebbe un'insinuazione?

Cesare                              - È una constatazione. Lì mi specchio, là mi ci appanno.

Federico                          - Non arrabbiamoci, Cecè.

Cesare                              - Sei tu che provochi.

Federico                          - Diventiamo biliosi come due vecchi scapoli.

Cesare                              - (ride) Fai presto tu a dir vecchi.

Federico                          - Si fa presto a diventarlo.

Cesare                              - Ti garantisco che io non ho fretta.

Federico                          - Intanto il tempo passa e gli acciacchi vengono.

Cesare                              - Sei funereo come un trappista. Che malanno ti prende?

Federico                          - Nessuno, per ora. Ma a rifletterci... Fa ve­ramente tristezza, a trent'anni il pensiero di quando se ne avrà sessanta.

Cesare                              - Ce n'è di strada!

Federico                          - Siamo già a mezza. E che scopo abbiamo noi della nostra esistenza?

Cesare                              - Il mio è di passarmela il più quietamente possi­bile.

Federico                          - Senza ideali, senza vasti orizzonti?

Cesare                              - Non servono a niente.

Federico                          - Come la lumaca che si gode di stare nel suo guscio.

Cesare                              - Vada per la lumaca!

Federico                          - Tanto fa allora prender moglie.

Cesare                              - Hai delle fissazioni, oggi. .Sposi la cliente?

Federico                          - Dico a te.

Cesare                              - Che la sposi io?

Federico                          - Ma no. Tu con un'altra.

Cesare                              - Leggi, studia la storia naturale: le lumache non hanno bisogno d'accoppiarsi.

Federico                          - Eppure a guardarti bene tu hai le caratte­ristiche, la figura, il tipo, hai tutte quelle qualità ne­gative che occorrono per fare un marito positivo.

Cesare                              - O bella! Hai scoperto adesso?

Federico                          - È un pezzo che osservo. Tant'è vero che ti avevo promesso un regalo per le tue eventuali nozze. E anche Titilla...

Cesare                              - L'hai giudicata benissimo. È più bestia di me, è bestia come te.

Federico                          - Non ischerziamo.

Cesare                              - Perché son queste le cose serie che avevi da dirmi? Addio!

Federico                          - (trattenendolo) Si ragiona. Se fai un pro­fondo esame di coscienza, a che conclusione vieni? Non hai vizi, perciò ti annoi; non hai scopi né am­bizioni, perciò sei malcontento; non hai passioni, perciò sei come sperduto...

Cesare                              - E che altro?

Federico                          - Hai una casa e la tieni vuota; hai denaro e, per non saperlo spendere, finisci col fartelo mangiare... A proposito di denaro, avrai già. potuto capire che a mia sorella spetta una bella cifra...

Cesare                              - Sulle trecento mila.

Federico                          - Aggiungi la sua giovinezza, la sua intelli­genza, la sua educazione, dico anche la sua grazia e fa il conto.

Cesare                              - Sono sempre trecento mila.

Federico                          - E tu che l'hai conosciuta...

Cesare                              - lo mai.

Federico                          - Mai?

Cesare                              - Dove, quando?

Federico                          - Domani te la presento.

Cesare                              - Con tutto piacere.

Federico                          - E la sposi.

Cesare                              - Federico, avevamo anche stabilito di non arrabbiarci.

Federico                          - T'arrabbi alla maggior prova d'amicizia e' ti do? Ma che cosa pretendi?

Cesare                              - Non ho nessuna pretesa, io.

Federico                          - Nelly è la donna nata e ratta per te.

Cesare                              - Perbacco!

Federico                          - E, nota che non è il fratello che parla, l'amico sincero che ti offre la miglior garanzia p la tua felicità avvenire.

Cesare                              - Federico, scorgo in te uno slancio cosi non e un'abnegazione così grande, che mi rimprovera tutta la vita se ne approfittassi senza alcun merito parte mia.

Federico                          - Il merito l'avresti. C'è un'orfanella ignara d mondo, unicamente affidata da domani a un uomo pieno di deplorevoli tendenze che, per non saper rinunciare a queste, finirà col lasciarla abbandonata a sé stessa proprio nel momento che ha il massimo bisogno d'es­sere sorretta e guidata...

Cesare                              - Infelice!...

Federico                          - Non ridere. Tu invece, metodico come un vecchio pensionato, ligio alle tradizioni famigliari ben­ché senza famiglia...

Cesare                              - Ho lo zio.

Federico                          - Quello non conta, è via, lascialo perdere. Tu per il primo devi sentir il dovere di metterti a di­fesa dì questa creatura, di sottrarla al malefico influsso del mio pessimo esempio. Cecè, tu che non vuoi muo­verti rimproveri, fa mente locale al terribile rimorso ' che avresti se Nelly dovesse cader vittima della mia trascuratezza e della sua inesperienza.

Cesare                              - Il rimorso sarebbe tuo, non mio.

Federico                          - L'egoista!

Cesare                              - Oh senti: di servizi agli amici son sempre pronto a renderne, ma nessuno nel chiedermene si è mai spinto fino alla tua indiscrezione. Federico . Sei un ingrato che scorda tutti i benefici ri­cevuti.

Cesare                              - Da chi?

Federico                          - Da me.

Cesare                              - Quali, quali?

Federico                          - E quando, in compenso, ti si chiede un pic­colo favore, tu rispondi picche, (gli ributta la giacca) Va, va a fare il contabile. La tua anima non si sol­leverà mai. (si mette il cappello e si avvia verso la comune) Giuseppe, esco. Domattina mi svegli alle set­te e mezza.

Giuseppe                         - (d. d.) Sissignore.

 

Federico                          - (a Cesare) Mai un palmo più in su si solleverà (via).

Cesare                              - (solo) Se la mia anima non si solleva, la tua sprofonda, (toma a indossare la giacca) Oh, guarda che tipo! Capace di aver premeditato: farmi fare i conti per farmi venir la gola. Nossignore. Il giorno che dovessi commettere la bestialità, una in camicia magari, ma me la scelgo io, e quella che piace a me. (va alla finestra e parla come se Federico l'ascoltasse) Sissignore. In camicia, senza fratelli intermediari. E mutile correre e far finta di non sentire. Il conto della dote te lo metto insieme, o pasticcione, per mostrarti che me ne infischio. Ma non sono questi i tiri da fare agli amici, vigliacco! (ritorna nello studio).

Giuseppe                         - (viene per riprendere il lavoro interrotto, ed ecco risuona una scampanellata. Supponendo sia il mobiliere) Finalmente vengono! (va alla comune e ha un'esclamazione di stupore: Nelly entra in abito da collegiale, valigetta a mano) La signorina?!

Nelly                                - Come mai nessuno alla stazione?

Giuseppe                         - Lei arriva adesso?

Nelly                                - E il mio telegramma d'urgenza?...

Giuseppe                         - Qui nessun telegramma, signorina; posso as­sicurarle. Il signor Federico è uscito in questo momento lasciandomi ordine di svegliarlo domattina pel treno.

Nelly                                - Dov'è finito il mio telegramma? Annunciavo che per alcuni casi di scarlattina ci facevano partire oggi in fretta e furia. Le mie compagne hanno, trovato i loro parenti a riceverle, io sola nessuno. Mi sono ver­gognata.

Giuseppe                         - Ha ragione, signorina. Ma la colpa non è nostra.

Nelly                                - Sono saltata in una vettura e via, stringendomi in un angolo per farmi vedere il menò1 possibile. Nem­meno il tempo di ricambiarci in collegio. Tutta la roba ficcata nel baule e via! Giuseppe, corri subito a riti­rarmelo. Ecco lo scontrino. Voglio mostrarmi a Frifrì in istato decente.

Giuseppe                         - A Frifrì?

Nelly                                - A Federico, (si toglie il cappelluccio e la mantellina). Presto, Giuseppe.

Giuseppe                         - Signorina, la lascio sola in casa.

Nelly                                - Non c'è la cameriera?

Giuseppe                         - È dal mobiliere.

Nelly                                - Frifrì vuol fare le cose da gran signore. Chissà com'è contento d'avermi finalmente insieme!

Giuseppe                         - Contentissimo.

Nelly                                - La sorellina che gli terrà buona compagnia, che si farà condurre a spasso, che gli preparerà i buoni pranzetti... Ti rubo il mestiere, Giuseppe; in collegio ci hanno insegnato tanti piattini... Frirì è sempre go­loso?

Giuseppe                         - Non lo so. Non mangia mai in casa.

Nelly                                - Dove va?

Giuseppe                         - Cogli amici al ristorante.

Nelly                                - Allora a pranzo non viene?

Giuseppe                         - Credo di no.

Nelly                                - A che ora tornerà?

Giuseppe                         - Tardi.

Nelly                                - A mezzanotte?

Giuseppe                         - Anche dopo.

Nelly                                - Anche dopo? Come faccio a rimanere sveglia? È dalle cinque di stamane che siamo in piedi. Giuseppe, gli facciamo una burla. Non gli dici nulla; domattina tu lo chiami come niente fosse, lo lasci vestire, e quan­do esce di camera gli compaio davanti. Immagini la sua sorpresa e la festa che mi farà?

Giuseppe                         - Altro che

Nelly                                - La mia camera è pronta?

Giuseppe                         - Camera e salottino.

Nelly                                - Anche il salottino! (s'affaccia a destra) Che lusso! Tutto nuovo. Riceverò le mie amiche. Tutti i giorni, Giuseppe, drin: - C'è la signorina? - Drin: - C'è Nelly? - Drin: - C'è la Passeretta? - Era il mio soprannome in collegio: avevamo tutte quello d'una be-stiolina. Passeretta perché dicono che, invece di cam­minare, salto, zampetto. Pare anche a te? Ma d'ora in poi camminerò come una gran dama. Così. Però adesso faccio io qui, sbrigo io; la divisa più la sciupo più ne ho piacere. Tu intanto vai a prendermi il baule. (scorgendo la cuffia e il grembiule che Giuseppe ha lasciato appesi alla scala) Roba della cameriera?

Giuseppe                         - Sì.

Nelly                                - Pulita? (la guarda) Abbastanza, (indossa) La mattina, in collegio, appena alzate, ci mettevamo tutte così per la pulizia alle camere. Come si chiama la ca­meriera?

Giuseppe                         - Giulietta.

Nelly                                - Giovine? bella?

Giuseppe                         - Niente dì straordinario; una donna di mezza età.

Nelly                                - Non sarà mica una brontolona? Non le posso soffrire. In collegio le chiamavamo «fisarmoniche». Avrei preferito una ragazzona da poterci ridere e scher­zare. Pazienza! Se non la digerisco, fila. Stavi riap­pendendo i quadretti? Continuo io (monta sulla scala).

Giuseppe                         - Badi di non farsi male, signorina.

Nelly                                - Dieci in ginnastica! Va, va, Giuseppe, E por­tami via quell'abat jour e quel paramosche (allude al suo cappelluccio e alla mantellina). Al fuoco o in bene­ficenza. Il baule, aspetto il baule.

Giuseppe                         - (raccoglie) Vado.

Nelly                                - Di corsa, marsc.

Giuseppe                         - (tra sé) Il diavolo in corpo ce l'ha sempre, benedetta! (via dalla comune).

Nelly                                - (ritta sulla scala, festosa) Casa mia, casa mia! (bacia un quadretto) Mio anche tu! Ma senza la pol­vere (si pulisce la bocca e spolvera il quadretto col grembiule. Quindi sì sporge a guardarsi nello specchio sottoposto) Sei contenta, passeretta? Povera passeretta, forse non lo vedrai più. Bisogna non pensarci'. Addio. (butta un bacio in aria).

Cesare                              - (riappare, sorprendendo l'azione di Nelly).

Nelly                                - (spaventata) Un ladro... Aiuto...

Cesare                              - Buona, buona, ragazza. Non ho la faccia da ladro, io. Sono di casa. Desidero un bicchier d'acqua fresca e chiamo Giuseppe.

Nelly                                - (con un fil di voce) Giuseppe è via.

Cesare                              - Non distoglietevi dal vostro lavoro. Ci vado da me. Ho pratica (via in fondo a destra).

Nelly                                - (sola) Che spavento ho preso! È il mobiliere, si vede subito. Che stupido! mi ha scambiata per la cameriera. Glielo lascio credere.

Cesare                              - (torna) "Fatto, Ho avuto l’inavvertenza di mangiare, a colazione, del prosciutto salato. Per il mio stomaco non va perché soffro di dilatazione.

Nelly                                - È un brutto inconveniente.

Cesare                              - Conseguenza delle gastriche fatte da piccino.

Nelly                                - Era tanto ingordo?

Cesare                              - Un po' il difetto di tutti i ragazzi. Sarà ca­pitato anche a voi.

Nelly                                - Mai gastriche. Digerisco anche i sassi.

Cesare                              - In campagna è un'altra cosa... polenta, latte, e avanti. Venite dalla campagna, vero?

Nelly                                - (esita un momento, poi) Sissignore.

Cesare                              - E forse siete anche al vostro primo servizio.

Nelly                                - Primo, primo.

Cesare                              - Strano che v'abbian presa! Qui ci voleva una persona esperta.

Nelly                                - Perché?

Cesare                              - Perché la signorina non sa niente di casa.

Nelly                                - Chi glielo dice?

Cesare                              - Come tutte le ragazze che escono di collegio. Se non conoscete il mestiere sarà un affar serio per voi e per lei. Il servizio non consiste solo nel mandar baci in aria.

Nelly                                - Scusi, invece di badare a me, non può badare al suo di mestiere?

Cesare                              - Ci bado per forza, e il mio è più complicato del vostro.

(Una scampanellata).

Nelly                                - Hanno suonato.

Cesare                              - Ho inteso. (Nelly non si muove) Andate a vedere.

Nelly                                - Io?

Cesare                              - Io, forse? Avete paura di scendere? Vi tengo la scala, (eseguisce) Fate piano. Per essere di cam­pagna avete i piedi abbastanza piccoli.

Nelly                                - (saltando a terra) È un bel curioso!

Cesare                              - Li tenevo sotto al naso, (altra scampanellata) Perdono la pazienza. Bisogna abituarsi svelte.

Nelly                                - (esce di corsa dalla comune).

Cesare                              - (solo) Come ragazza non sarebbe da buttar via; ma come cameriera ho i miei riveriti dubbi. S'arrangino loro! (sì avvia verso lo studio).

Nelly                                - (rientra agitando il telegramma) L'urgente che arriva adesso! Spesi bene quei soldi!

Cesare                              - L'avete aperto?

Nelly                                - È mio.

Cesare                              - Vi permettete il lusso di ricevere telegrammi?

Nelly                                - Riceverli, spedirli.

Cesare                              - Al fidanzato?

Nelly                                - Magari!

Cesare                              - Tutte più o meno ce l'hanno o se l'inventano,

Nelly                                - Che lingua hanno i mobilieri!

Cesare                              - Che c'entra il mobiliere?

Nelly                                - Non è il suo mestiere?

Cesare                              - Ci mancherebbe! Prima ladro, poi mobiliere. Distinguete, ragazza: sono il miglior amico del vostro padrone.

Nelly                                - Oh! mi scusi tanto.

Cesare                              - Bisogna compatirvi. Venendo dalla campagna, non avete ancora l'occhio per giudicare le persone. Vi posso essere sembrato per questa roba che non mi va: ma guardate il resto:  è distinto.

Nelly                                - Perché allora indossa quella palandrana?

Cesare                              - Me l'ha prestata il signore, per mettermi in libertà mentre lavoro per lui, anzi per la signorina.

Nelly                                - Lei lavora per la signorina?

Cesare                              - Sto compilando l'ammontare della sua dote.

Nelly                                - Per farne?

Cesare                              - Quante domande! Non è affare che vi riguardi.

(per andarsene).

Nelly                                - (richiamandolo) Signore...

Cesare                              - Ancora?

Nelly                                - Lei vede oggi il... signore?

Cesare                              - Non lo so. Dovevo cenare con lui, poi è nata questione per là piccola scimmia... cioè per la signorina

Nelly                                - Lei la chiama piccola scimmia?

Cesare                              - È Un modo di dire del fratello.

Nelly                                - Che complimento!

Cesare                              - I padroni sono padroni di esprimersi come vogliono... non tocca alla servitù di far osservazioni. Piut­tosto, se volete un suggerimento, siccome mi sembrate una ragazza ancora molto ingenua, state voi in guardia da certi scimmioni: in città ce ne sono di pericolosi,!

Nelly                                - Dove?

Cesare                              - Da per tutto. Qui e fuori di qui.

Nelly                                - Qui non c'è che lei.

Cesare                              - Io sono una persona seria e so mantenere le di­stanze; ma c'è chi approfitta di ogni occasione. Ma tanto avete un padrone giovine...

Nelly                                - (inavvertitamente) Frifrì.

Cesare                              - Che cosa?

Nelly                                - (riprendendosi) Dico frifrì. Vuol dire così: (ap­poggia il pollice al naso e agita le altre dita).

Cesare                              - Può essere un gesto espressivo, benché volgaruccio, e può valere al vostro paese, ma in città non sempre basta far frifrì. Ci vuol altro! Volete far la furba, ma non siete che un po' idiota. E ciò è doppia mente pericoloso.

Nelly                                - Quanti pericoli.

Cesare                              - Per evitarli non c'è che che trovarvi presto un buon marito. Raccomandatevi al vostro padrone: è già in caccia di un merlo, può farlo per due.

Nelly                                - Un merlo? per chi lo cerca?

Cesare                              - Non se la sente di fare il padre nobile alla sorellina e di rompere le sue abitudini. E il merlo la troverà, perché una buona dote è sempre un buon ri­chiamo. Vedere se la signorina sarà contenta. Pur di sposare, con la smania che avete tutte... (vivamente) Io no.

Cesare                              - Voi come le altre. Del resto, sono il primo ad augurare che ci riesca.

Nelly                                - Che interesse ha lei?

Cesare                              - Mi rendo ragione delle sue preoccupazioni. Noi s'andava e veniva senza tanti riguardi: casa mia era casa sua e viceversa, completamente liberi, e il nostro comodo prima di tutto. Invece, se c'è di mezzo una ra­gazza, ogni cosa si guasta e si corre rischio di guastarci anche il sangue, come poco fa.

Nelly                                - Causa la signorina? Se non c'è ancora !

Cesare                              - La prima proposta è venuta a me.

Nelly                                - Di sposarla?

Cesare                              - Precisamente.

Nelly                                - E lei? ... Ora capisco: lei è il merlo che è scap­pato (ride). Benissimo ' La piccola scimmia ha fatto il  suo primo fiasco.

Cesare                              - Che vi salta di ripetere certe parole? Guardatevene bene.

Nelly                                - Lo so: è mancanza di rispetto.

Cesare                              - Meno male che ci arrivate. Come vi chiamate?

Nelly                                - Io gli chiamo.... (s'interrompe cercando).

Cesare                              - Non sapete il vostro nome? .

Nelly                                - Ne ho diversi; ma non so con quale mi vor­ranno chiamare. Là, in campagna ero... cosa... ah, ecco, Giulietta. Io non ho una grande memoria.

Cesare                              - Che oca non ricordarsi...

Nelly                                -  È la soggezione, signore.

Cesare                              - Io vi faccio soggezione?

Nelly                                - Oh, tanta!

Cesare                              - Non mi pareva.

Nelly                                - Poi mi chiamavano anche passeretta.

Cesare                              - Un po' del passero ce l'avete. Non state mai ferma un momento. Allora, passerella, attenta ai pas­serotti. Ma quanto tempo m'avete fatto buttar in chiac­chiere!

Nelly                                - È lei che rimane. Non sono io che la trattengo.

Cesare                              - Addio, Giulietta.

Nelly                                - Riverito.

Cesare                              - (sull'uscio dello studio) Vista in distanza e ve­stita un po' meglio potreste anche non esser presa per una di servizio.

Nelly                                - Lei però m'ha presa.

Cesare                              - Piuttosto voi un'altra volta non scambiate me pel mobiliere.

Nelly                                - Abituerò l'occhio.

Cesare                              - Rimanendo in città v'incivilirete e sarà un van­taggio per voi.

Nelly                                - Farò il possibile.

Cesare                              - Buona volontà e sopra tutto meno smorfie. Ad­dio, Giulietta. E Giumea attenta ai Rolietti... cioè: Giu­lietta attenta ai Romei (via).

Nelly                                - (sola) Auff! (facendogli una smorfia alle spalle) Ti riprenda la gastrica per tutte le stupidaggini che hai dette! Ah, sono la serva io, sono la scimmia, e Frifrì è in caccia di un merlo per me? Va bene. Gli risparmio la fatica, (si teglie cuffia e grembiule e li cal­pesta) Torno dalle Dame Inglesi, mi piglio la scarlattina e levo il disturbo a tutti.

Giulietta                          - (dalla comune, facendo strada ai garzoni, che cominceranno a portare le varie suppellettili, 'tra cui un divanetto e un basso paravento da salotto, sor­prende l'atto di Nelly) Che fa con la mia roba?

Nelly                                - Siete Giulietta?

Giulietta                          - Per servirla.

Nelly                                - Sono la signorina.

Giulietta                          - Quale signorina?

Nelly                                - La sorella del signore, la vostra padrona.

Giulietta                          - Quella che deve arrivar domani?

Nelly                                - Che invece è arrivata oggi.

Giulietta                          - (incredula) Oh!

Nelly                                - Non vi persuade? Eppure lo sono. Ma che fa Giuseppe che non torna col baule? Vestita così nes­suno mi vuol riconoscere. Che rabbia, che rabbia, che rabbia! (via a destra).

Giulietta                          - Che sia scappata dal manicomio? (ripulisce e si mette cuffia e grembiule).

Federico                          - (dalla comune. Ai garzoni) Bravi, occorreva il rimorchiatore per voialtri. Su, tutto a posto come era prima, (va all'uscio dello studio) Cecè, andiamo.

Cesare                              - (d. d.) Non ho finito.

Federico                          - Non importa, (a Giulietta) Ricordate a Giusep­pe di svegliarmi domattina.

Giulietta                          - Sissignore. Altri ordini?

Federico                          - Da me ne riceverete pochi. Voi dovete tenervi a completa disposizione della signorina.

Giulietta                          - (tra sé) È proprio lei! (via a destra).

Cesare                              - (entrando) Pronto, (vede Giulietta che esce e indicandola a Federico) Non ti sembra troppo acerba per il servizio?

Federico                          - Troppo acerba la cameriera?

Cesare                              - Sì, Giulietta.

Federico                          - Sai già anche il nome? Sei meglio informato di me. Perché dici acerba?

Cesare                              - È quasi una bambina.

Federico                          - Una bambina quella là? Sei orbo?

Cesare                              - L'ho veduta bene.

Federico                          - (spingendo verso la comune) Vieni via, buf­fone. Una bambina con vent'anni per gamba. Bisogna essere degenerati! Ti offro mia sorella e ti attacchi alla cameriera. È proprio vizio.

Cesare                              - (rifacendo il gesto di Nelly) Vent'anni per gam­ba! Frifrì! (escono mentre i garzoni continuano il loro trasporto).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

PRIMO QUADRO

Un giardino cintato chiude la scena finendo in un cancello. Si sparge una luce diafana, una lenta sinfonia si smorza lontano. Lo spettatore deve avere immediatamente l'impressione die­siamo nel sogno, non nella realtà, un rintocco di campanella, segnale di collegio e, mentre la sinfonia cessa, comincia l'azione.

(Le tre collegiali, in azzurro e qrembiuletto bianco, ir­rompono allegramente in scena).

1° collegiale                     - Mezz'ora d'aria!

2° collegiale                     - Di luce!

3° collegiale                     - Di libertà!

1° collegiale                     - Passeretta dov'è?

2° collegiale                     - Laggiù.

1a e 2° collegiale             - (chiamando) Passeretta, Passeretta!

3° collegiale                     - Lasciatela sospirare in pace per il suo spasimante.

1° collegiale                     - (alla 3a) L'hai visto tu?

3° collegiale                     -  È un bel giovine ammodo. Si mette ogni mattina alla finestra, là di fronte, e finge di leggere il giornale.

1° collegiale                     - Sei sicura che sbircia Passeretta?

3° collegiale                     - Le ha fatto persino cenno.

1° collegiale                     - Chesfacciato!

2° collegiale                    - Senti chi parla. È invidia la tua; perché non hai nes­suno che ti faccia la corte.

3° collegiale                     - È vero, è vero: nessuno.

1° collegiale                     - Che ne sapete voi altre? I miei affari di cuore non confido, (alla 2°) Non come te che ti fai bella di quel che sogni, (alla 3° collegiale) O come te che ti mostri a smaniare per il fratello d'Ester, quando è in parlatorio, e vuoi far credere che ti corrisponda.

3° collegiale                     - Invidia, sempre invidia la tua, perché lo vorresti per te.

1° collegiale                     - Neanche coperto d'oro!

3° collegiale                     - Che cosa diceva la volpe dell'uva?

2° collegiale                     - Diceva: « Cucù, se me la prendo, non la restituisce più ». (alla l") Cara mia, i miei sogni hanno un bel paio di baffetti in punta che t'infilzerebbero l'anima, noi non abbiamo bisogno di sfogarci scrivendo letteroni senza ricapito.

3° collegiale                     - O facendo raccolta di cartoline illustrate con due che si baciano.

1                                      -  Quanto siete stupide! (alla 2a) Del resto lo conosciamo il famoso paio di baffetti in punta. Spuntano solo adesso sulla bocca del cuginetto. Per tua norma i cugini non sposano mai.

2° collegiale                     - Vedremo chi sposa prima.

1° collegiale                     - Ne tieni di voglia in corpo.

3° collegiale                     - Ci danno tanta educazione, tanta istruzione appunto per prepararci a diventare buone mogli. Ora che si esce di collegio dobbiamo pur pensare ai casi nostri.

2° collegiale                     - E non fare le cose avventatamente, (alla 1) Anche ieri notte mi è parso di muovermi da padrona ' in una bella casa grande grande, con un salone da ballo tutto , specchi e tappezzerie in damasco e con tre bimbi, uno più carino dell'altro.

3° collegiale                     - Troppi! troppi! Bastati due: un maschietto e una femminuccia. Non bisogna sciuparsi.

1° collegiale                     - Come la mamma della Gallucci: sette figli e pare la loro nonna.

3° collegiale'                    - La mia invece la credono mia sorella. E se sapeste quanti corteggiatori!

1° collegiale                     - Io, per i primi cinque anni non voglio figli. Coi figli non si può più divertirsi. Addio feste, teatri, viaggi!...

2° collegiale                     - Zitte. Passa la direttrice.

(Le tre ragazze si mettono in fila e fanno un profondo inchino; quindi riprendono il cicaleccio).

 3° collegiale                    - Che sussiego!

2° collegiale                     - Cammina impalata come un soldato tedesco.

1° collegiale                     - Chissà se è stata innamorata!

2° collegiale                     - Col naso rosso.

3° collegiale                     - E gli occhiali a stanghetta, (facendo la caricatura) T'amo, t'adoro!

2° collegiale                     - Bellezza, tesoro! Mio angelo d'oro! (ridono) La maestra di pianoforte ha avuto tre fidanzati.

3° collegiale                     - E con tre è rimasta zitella.

2° collegiale                     - Chi troppo vuole nulla stringe.

3° collegiale                     - Ecco Passeretta che viene.

2° collegiale                     - Nelly, siamo qua.

1° collegiale                     - Guardate che superbia!

2° collegiale                     - Com'è felice!

3° collegiale                     - Com'è raggiante! (corrono incontro a Nelly).

Tutte tre                           - Racconta, racconta!

Nelly                                - Curiosone, c'è niente da raccontare.

1° collegiale                     - La misteriosa I Vuol tenere i segreti con noi.

3° collegiale                     - Sappiamo che ha il guardo fiero!

2° collegiale                     - Il portamento nobile.

1° collegiale                     - Forse un principe.

3° collegiale                     - O il Cavaliere della Rosa.

2° collegiale                     - Attenta che non ti rapisca a volo.

Nelly                                - Non dite spropositi.

1° collegiale                     - Hai paura di volare?

2° collegiale                     - Se avessimo l'ali, voleremmo tutte come passere.

3° collegiale                     - Chissà sin dove.

Nelly                                - Eppure sarà doloroso distaccarci.

1° collegiale                     - Per te più che per noi, se non vedrai più il bello alla finestra.

2° collegiale                     - Ma egli la seguirà.

Nelly                                - (vivamente) Credi?

2° collegiale                     - Se ti vuol bene, naturalmente.

3° collegiale                     - E allora c'incontreremo al braccio dei nostri fidanzati.

Nelly                                - Il tuo...?

3° collegiale                     - Il mio sarà biondo.

2° collegiale                     - Io lo preferisco bruno, (alla 1) E tu?

1° collegiale                     - Non lo so ancora. Tre volte ho fatto il gioco di pa­zienza e tre volte m'è riuscito di colore diverso.

3° collegiale                     - Sarà rosso o bianco.

1° collegiale                     - Basta che sia molto ricco.

2° collegiale                     - Passano, passano i nostri fidanzati (tutte corrono al cancello spiando).

3° collegiale                     - Ecco il mio.

2° collegiale                     - No, il mio.

1° collegiale                     - Torna la direttrice.

(Tutte, eccetto Nelly che rimane con le spalle appog­giate al cancello, s'allontanano di corsa con piccoli gridi)

Guido                              - (appare dietro il cancello, mormora) Signorina...

Nelly                                - (tremante, senza vece) Vada via, vada via!

Guido                              - Una parola....

Nelly                                - Non parli, non parli.

Guido                              - Una parola soia.

Nelly                                - Nessuna parola.

Guido                              - Per dirle l'impressione profonda che ha destato nel mio cuore.

Nelly                                - Non posso udire.

Guido                              - Non parlerò. Ma mi lasci rimanerle presso un istante, mi lasci respirare in silenzio il suo profumo.

Nelly                                - Io tremo tutta. (sporgendo la mano attraverso le sbarre del cancello) Senta, senta, signore, non ho più sangue nelle vene.

Guido                              - (prende la mano e la bacia).

Nelly                                - Che fa, signore?

Guido                              - Bacio le piccole mani che stringono tutta l'anima mia.

Nelly                                - Non si può, non si può. Se vedessero...

Guido                              - Nessuno vede. Una nuvola ci avvolge.

Nelly                                - Infatti mi si oscura la vista, non scorgo più nulla intorno.

Guido                              - Eppure i tuoi occhi illuminano la mia vita.

Nelly                                - Non ho mai udito dire simili cose.

Guido                              - Ho camminato tanto per le vie del mondo per giungere sino a te. Già stanco e quasi senza speranza, mi riposai in un albergo. La mattina, spalancando la finestra, un fiume di luce mi percosse e in quella luce era il tuo sorriso...

Nelly                                - Io sorridevo contenta che s'avvicinasse il giorno di abbandonare il collegio per tornare nella casa dove un fratello tanto buono m'aspetta.

Guido                              - Vuoi che t'accompagni io da lui e gli dica: «Voglio questa passeretta per me »?

Nelly                                - Ohibò! Mio fratello sgriderebbe. Non ho che lui.

Guido                              - Io devo esser tutto per te, (entra).

Nelly                                - Ho paura.

Guido                              - Di che?

Nelly                                - Non so: il cuore mi batte forte forte.

Guido                              - È l'amore.

Nelly                                - 11 volto mi brucia.

Guido                              - È l'amore.

Nelly                                - Le gambe non mi reggono.

Guido                              - Appoggiati a me. È l'amore.

Nelly                                - Che vergogna!

Guido                              - Che ebbrezza! Sei morbida e leggera come il volo d'una farfalla.

Nelly                                - Non stringa, non stringa. Soffoco.

Guido                              - Le tue labbra sono vellutate come petali di rosa. Che io v'imprima la mia bocca.

Nelly                                - No. È peccato.

Guido                              - Il bacio è il dono più bello e più grande dell'amore.

Nelly                                - Lo so, lo so; ma non è permesso.

Guido                              - Prima di giungere sino a te, prima d'incontrare il mio sguardo nel tuo, io ero infinitamente solo, but­tavo inutilmente la mia giovinezza e mi perdevo nel buio della notte. Ora è il paradiso che s'apre e se tu rispondi: « t'amo » è la voce degli angeli che canta la mia felicità.

Nelly                                - Ancora, ancora !

Guido                              - Passeretta, mi ami?

Nelly                                - Non oso.

Guido                              - Io t'amo tanto.

Nelly                                - Proprio tanto?

Guido                              - Sino a morirne.

Nelly                                - Oh, non vorrei.

Guido                              - M'ami anche tu?

Nelly                                - È la prima volta, signore...

Guido                              - Non dirmi signore. Chiamami col mio nome.

Nelly                                - E il nome?

(Le voci delle compagne d. d.)

Le tre                               - Passeretta! Passeretta!

Nelly                                - Fuggi!

Guido                              - A domani!

Nelly                                - Domani.

Guido                              - Per sempre.

Nelly                                - Per sempre.

(Si scambiano un lungo, bacio).

Le voci delle tre              - (più vicine) Nelly, Nelly!

Guido                              - Amore!

Nelly                                - Amore!

Guido                              - (scompare).

(Le tre compagne corrono in scena).

Le tre                               - Che t'ha detto?

Nelly                                - Chi è?

1° collegiale                     - Abbiamo veduto.

Nelly                                - Non è vero.

2° collegiale                     - Sì. È fuggito dal cancello.

3° collegiale                     - E tu sei rossa come il fuoco.

1° collegiale                     - Gli occhi ti splendono.

2° collegiale                     - Il petto ti balza.

3° collegiale                     - Sembri un'altra.

Le tre                               - Sei un'altra. Che t'ha detto, che t'ha detto?

Nelly                                - Una parola che non avevo mai udita.

1° collegiale                     - Una parola bella?

Nelly                                - Più del cielo.

2° collegiale                     - Una parola dolce?

Nelly                                - Più del miele.

3° collegiale                     - Una parola ardente?

Nelly                                - Più del sole,

1° collegiale                     - La parola che aspettiamo tutte.

2° collegiale                     - Che va nel sangue.

3° collegiale                     - Che va nell'anima.

1° collegiale                     - Che ci fa piangere.

2° collegiale                     - Che ci fa ridere.

Nelly                                - Vivere e morire.

3° collegiale                     - Tutta un palpito.

2° collegiale                     - Tutta un fremito.

1° collegiale                     - Tutta uno spasimo.

Nelly                                - Amore!.

Tutte tre                           - (comprimendosi il cuore) Che bellezza! (ri­mangono un momento come incantate, poi con una risatella si prendono tutte per mano e girano in tondo)

Tutte                                - Giro girotondo giriamo intorno al mondo.

1° collegiale                     - Il re sposa la regina;

2° collegiale                     - La regina sposa il re.

3° collegiale                     - Sul pollaio la gallina fa tre volte coccodè.

Nelly                                - E col suo chicchirichì dice il gallo: « sono qui ».

Tutte                                - Giro girotondo giriamo intorno al mondo, eh,; in carrozza e chi a pie, una volta due e tre. Oggi a me, domani a te. (Si sciolgono e si disperdono continuando l'allegra ri­sata, mentre riprende la musica, quindi i rintocchi del l'orologio battono distintamente le sei ore e mezza).

SECONDO QUADRO

La scena del primo atto completamente arredata. Tra l'u­scio e la finestra chiusa, il paravento nasconde il divanetto su cui dorme Cesare. È la mattina dopo.

Giuseppe                         - (dal fondo a destra precede Giulietta che reca il servizio da caffè e latte per Nelly e apre la fi­nestra, da cui entra il sole) Le sei e mezza. Voi, dopo servita la signorina, date una ripulita qui.

Giulietta                          - Il signore non dev'essere venuto a casa solo, stanotte.

Giuseppe                         - Con qualche amico.

Giulietta                          - M'è sembrato d'udire una voce di donna.

Giuseppe                         - (brusco) Ma che donna! Non dite scemità. (toglie dal tavolino bicchieri e liquori rimasti e tra se) Bell'affare quello di non avvisarlo che c'è la signorina! Purché non succeda un guaio!

 (Nelly appare sull'uscio in accappatoio).

Giulietta                          - S'è levata, signorina?

Nelly                                - A quest'ora in collegio s'era già anche vestite.

Giuseppe                         - (che è già in fondo) Buon giorno, signorina.

Nelly                                - Buon giorno, Giuseppe. Non l'hai mica svegliato?

Giuseppe                         - È ancora presto. Faccio tempo d'andare per le provviste. Tanto, minuto prima minuto dopo, ora­mai fa lo stesso.

Nelly                                - Dev'essere rientrato ben tardi.

Giuseppe                         - Al suo solito.

Nelly                                - Malgrado la mia buona intenzione d'aspettarlo, mi sono addormentata e non ho sentito più niente. Ero tanto stanca!

Giuseppe                         - (fra sé) Meno male!

Nelly                                - Ma stamattina ci divertiamo, Giuseppe.

Giuseppe                         - Se invece non mi guadagno una sgridata!

Nelly                                - Sgriderò io lui.

Giuseppe                         - Speriamo bene (via).

Nelly                                - (si avanza. A Giulietta) Mangio qui.

Giulietta                          - (depone sul tavolino) Ha dormito bene, si­gnorina?

Nelly                                - Un sonno solo. Mi sono svegliata che stavo so­gnando d'essere ancora  in collegio in mezzo alle mie compagne. Un sogno bello... Peccato sia stato appena un sogno.

Giulietta                          - Le dispiace d'aver lasciato il collegio?

Nelly                                - Sì e no.

Giulietta                          - Da piccola sono stata dalle monache; sempre chiusa dentro. Una malinconia!

Nelly                                - (sgranocchiando un biscotto) Da noi tutt'altra cosa: aria e sole. Un giardino grande, di fronte un grande albergo, sempre pieno. D'inverno vedevamo persino i saloni illuminati dove ballavano... (è andata a tentar l'uscio dello studio) S'è chiuso a chiave. Bi­sognerà bussar forte perché senta. E mi sentirà il si­gnore! (come parlasse a Federico) Bravo, lei gira di giorno, di sera, di notte, lasciando sola la sorellina che, nel frattempo, ne ha sapute di crude e di cotte sul suo conto..'., (sternuto di Cesare. Nelly, credendo sia stata Giulietta:) Felicità!

Giulietta                          - (che sta ripulendo il. tavolino, credendo a sua volta sia stata Nelly) Felicità a lei, signorina.

Nelly                                - (tornando) Giulietta, dovete farmi un favore, il mio vestitino nuovo, ficcato com'era nel baule, ha preso qualche piega; dategli due colpi di ferro.

Giulietta                          - Subito, signorina.

Nelly                                - Voglio mettermi in pompa magna e mostrarmi a mio fratello in modo da fargli subito ottima impres­sione. Che veda che non sono più una collegiale.

Giulietta                          - Faccio presto, (via a destra).

Nelly                                - (siede al tavolino, si versa il caffè e latte) Che sogno! che sogno! se avvenisse, che gioia!

Cesare                              - (sì solleva a sedere, mostrandosi così al pubbli­co) Che piombo nella testa! (se la fascia nel fazzo­letto e si rimette in piedi) Ahi, le mie reni!

Nelly                                - (scorgendolo, quasi soffocata dal boccone che stava inghiottendo) Aiut...

Cesare                              - Giulietta? Ma dove sono io?

Nelly                                - Lei mi fa prendere spaventi a tutte le ore. Che cosa fa lì?

Cesare                              - Dove sono?

Nelly                                - In casa mia.

Cesare                              - Se sono in casa vostra non sono nel mio letto.

Nelly                                - Anche la notte ha passato?

Cesare                              - La notte... Infatti adesso è giorno... Spiegatemi voi, Giulietta, come può esser giorno e io qui...

Nelly                                - Spieghi lei.

Cesare                              - Devo aver sbagliato strada... Non m'era mai capitato di sbagliar strada andando a casa. Sono cose terribili quando non si spiegano. Giulietta, un caffè, vi prego. Ho il tossico in gola (per uscire dal paravento).

Nelly                                - (avviluppandosi nell'accappatoio) Non si muova, non guardi. Sono svestita.

Cesare                              - Io dormivo vestito; voi vegliate svestita. Il pro­blema diventa sempre più difficile. Un caffè, Giulietta.

Nelly                                - Non mi muovo se prima lei non chiude gli occhi.

Cesare                              - Se chiudo gli occhi mi gira di più la vista.

Nelly                                - Si volti dall'altra parte.

Cesare                              - Dov'è Federico?

Nelly                                - Dorme. .

Cesare                              - Dorme... perché dorme mi lascia qui solo? Oh, la mia testa! Giulietta, se state ferma, non mi porte­rete mai il caffè.

Nelly                                - Si metta a sedere e mi alzo io.

Cesare                              - Come l'altalena. Mi dà il mal di mare, (risiede sul divano) Giù, giù, mi par di sprofondare nell'abisso.

Nelly                                - (via rapidamente dal fondo a sinistra).

Cesare                              - (solo. Allacciandosi il colletto e la cravatta) È triste vestirsi senza essersi spogliati, avere il piombo nel cervello e l'aloe in gola. Se dovessi vivere sempre così, sono certo che morirei di dolore. Giulietta, avete portato il caffè? Chi tace conferma. (si alza e si avvia verso il tavolino) Cammino adagio perché credo di avere qualche cosa di rotto nella schiena, (sorseggia nella tazza di Nelly) No, latte no. Ho fatto indigestione di latte a balia e il mio stomaco non lo più.  Oh, come sono infelice! (piega la testa fra le braccia con un altro sternuto).

Giulietta                          - (che reca il caffè) Salute, signore.

Cesare                              - (senza mai voltarsi) Non ne ho più.

Giulietta                          - (servendolo) Dolce o amaro?

Cesare                              - (accarezzandole la mano) L'amaro l'ho in bocca!

Giulietta                          - Allora dolce (versa lo zucchero).

Cesare                              - Siete un angelo, Giulietta!

Giulietta                          - (lusingata) Il signore è molto buono.

Cesare                              - Sì; troppo buono. E tutti ne approfittano. Peccato abbiate le mani così ruvide.

Giulietta                          - È il mestiere che le sciupa.

Cesare                              - Perché cambiate voce?

Giulietta                          - Non la cambio. È la mia voce.

Cesare                              - Avete presa la raucedine. Fate male a gira mezza nuda con le finestre aperte. Io non vi guardo ma vi potrebbe vedere la gente dirimpetto. Qui non siamo in campagna.

Giulietta                          - Non sono mezza nuda, signore.

Cesare                              - Avete fatto bene a coprirvi, (sorbe il caffè) troppo amaro.

Giulietta                          - Aggiunga zucchero.

Cesare                              - (dopo d'avere eseguito) È amaro anche lo zucchero. Giulietta, è vero che siete vedova?

Giulietta                          - Lo sono da parecchi anni.

Cesare                              - Non l'avrei mai creduto. Per una giovine vedova, in città specialmente, le vie del peccato sono infinite come quelle della misericordia.

Giulietta                          - (ha un sospiro profondo).

Cesare                              - E i sospiri non servono.

Giulietta                          - (sempre più lusingata e premurosa) Il signore desidera ancora caffè?

Cesare                              - No, grazie. Mi brucia troppo lo stomaco. Ohi la mia testa, la mia testa! (la piega nuovamente fra le braccia).

Giulietta                          - (fra se) Poverino, mi fa pena! La signorina dice ch'è matto: a me sembra tanto gentile (via).

Titina                               - (dopo qualche istante s'affaccia dall'uscio dello studio. È in pigiama) Dorme anche lui (gli si avvicina piano piano, l'accarezza leggermente sui capelli).

Cesare                              - Sì, così.

Titina                               - (gli tira un orecchio).

Cesare                              - No, così. Non approfittate del mio malessere per prendervi confidenza.

Titina                               - Tanto Federico' russa come un treno merci in salita.

Cesare                              - (solleva il capo, scorge Titina, si soffrega stupito gli occhi) Vedo o stravedo?

Titina                               - Sono io.

Titina                               - (siede al tavolino e si serve della tazza di Nelly)

Cesare                              - In codesto costume girate per le vie?

Titina                               - Non m'arrischierei certo. È un pigiama di Federico. Non ho trovato altro da coprirmi. Anche tu ieri..."

Cesare                              - Perché del tu a me?

Titina                               - Ce lo siamo dato anche iersera.

Cesare                              - C'è un vuoto nel mio cervello. E più aumenta I il vuoto, più cresce il peso contro ogni legge fisica.

Titina                               - Hai forse bevuto un po' troppo.

Cesare                              - Impossibile: sono astemio.

Titina                               - Alla grazia! Un bicchiere dopo l'altro, e Federico si divertiva a versare, obbligandoti ogni volta a fere un brindisi.

Cesare                              - L'assassino!

Titina                               - Ne hai fatto uno a me tanto grazioso. Me lo ri­cordo, sai: «A Titina, .stella mattutina- astro serotino... ».

Cesare                              - (correggendo) Serotino.

Titina                               - Hai detto serotino per far rima con: «bevo questo bicchier di vino». osare- (con orrore) Io? Io!...

Titina                               - Non volevi più distaccarti da me. Hai voluto accompagnarmi a ogni costo, salire con noi, poi mi hai sbracciata piangendo.

Cesare                              - (c. s.) lo?... E Federico?

Titina                               - Federico dopo se l'è presa con me. (si scopre sul petto) Osserva i lividi.

Cesare                              - Via quell'esposizione. Ci vedo già doppio.

Titina                               - Sono pizzicotti.

Cesare                              - Roba da galera, pizzicare una donna inerme!

Titina                               - Quel che ha soggiunto è peggio.

Cesare                              - Che cosa ha soggiunto lo sciagurato?

Titina                               - « Stupida! non illuderti che Cecè abbia voluto rimaner qui per i tuoi begli occhi! ».

Cesare                              - È la verità. .

Titina                               - Aspetta. « Vedrai che cercherà d'andare a letto con la mia cameriera».

Cesare                              - (insorgendo) Calunnie, infamie!

Titina                               - Questa non è la verità?

Cesare                              - Una madre di famiglia vedova, orbata dei figli e con le mani ruvide come la pelle d'un rinoceronte: giammai!

Titina                               - Eppure...

Cesare                              - Giuro!

Titina                               - Dunque non le hai queste tendenze? Infatti non devi esser nato per quel genere.

Cesare                              - Io ero nato per essere una persona per bene, ma ora m'accorgo che Federico mi va depravando e che finirò i miei giorni nel modo più ignominioso, (sternuta) Ecco il principio della fine!

Titina                               - Avrai dormito con le finestre aperte. Vuoi che chiuda?

Cesare                              - Aria, aria!

Titina                               - Mangia un biscotto (gli offre quello che sta mordendo)

Cesare                              - Sarebbe veleno entro il mio petto!

Titina                               - Anche se te l'offro io?

Cesare                              - Non faccio eccezioni.

Titina                               - Pensare che iersera ti sei mostrato tanto gar­bato, tanto amabile, tanto premuroso, da persuadermi che tu provassi veramente una grande simpatia per me. Ma hai un grande difetto, Cecè: sei troppo riguar­doso, dovrei dire timido.

Cesare                              - Sono rispettoso, non timido.

Titina                               - Hai torto. Invece un uomo che si dichiara senza tanti complimenti, che ci pianta gli occhi negli occhi, che ci mette le mani addosso, e all'occorrenza va anche più in là, quest'uomo prende subito il sopravvento, c'impressiona, ci suggestiona, e noi povere donne, che siamo tutte deboli, caschiamo là come salami, (gli si butta un po' addosso).

Cesare                              - Adagio, mi fai perdere l'equilibrio.

Titina                               - Vivere così, appoggiati l'una all'altro! (gli ap­poggia un braccio sulla spalla).

Cesare                              - Fa caldo.

Titina                               - È il calore del sangue. sentirsi sicura fra le sue braccia, sentirmi toccare le corde del cuore con la stessa delicatezza e la stessa passione con cui tu piz­zichi le corde del mandolino. Cecè, quando suoni sei straordinario!

Cesare                              - Mi hai udito?

Titina                               - Non ricordi? C'era un mandolino nella saletta del ristorante, l'hai distaccato dalla parete, ti sei messo sulla spalliera della mia sedia, e, plim plirn plim, l'Avemaria di Gounod.

Cesare                              - È il mio pezzo forte.

Titina                               - Tanto forte che mi pareva di sentirmi traspor­tata dagli angeli in paradiso; mi sono alzata, la sedia si è rovesciata e tu sei andato lungo disteso per terra.

Cesare                              - Ora mi spiego il dolore alle reni.

Titina                               - Federico è scoppiato dalle risa. Proprio non ha sentimento.

Cesare                              - È sempre stato un animale!

Titina                               - Mia madre, povera santa donna, diceva: «.Non fidarti mai- degli uomini che ridono troppo. Sono più traditori di quelli che non ridono mai ». Io son certa adesso ch'egli sta prendendo a pretesto l'arrivo della sorella per piantarmi.

Cesare                              - La sorella che arriva!... Ecco perché ho voluto tornar qui, ecco perché ho la testa in tanta malora: io devo aver passato la notte a ordinare la contabilità. Sicuro! Avevo preso l'impegno con Federico. La prova eccola: il dito ancora  sporco d'inchiostro e che mi duole.

Titina                               - Questa è l'ammaccatura di quando sei ruzzo­lato dalla sedia. Per calmare il dolore hai intinto il dito nel mio bicchiere e hai detto una frase che mi ha tutta commossa.

Cesare                              - Le ho io le frasi che toccano. Ed era...?

Titina                               -Per te, Titina, non il dito, tutto il pugno ci terrei immolato come Orazio Coclite.

Cesare                              - Muzio Scevola.

Titina                               - Hai detto Orazio Coclite.

Cesare                              - Che sbornia vergognosa!

Titina                               - Adesso ti dispiace?

Cesare                              - Adesso... non è più ieri sera.

Titina                               - (con un sospiro) Ah, e io che m'ero illusa!

Cesare                              - Non mangio nel piatto degli altri, io.

Titina                               - Come sei schifiltoso! (gli butta le braccia al collo).

Federico                          - (dallo studio. È in maniche di camicia. Sor­prende l'atteggiamento di Titina e ironico a Cesare:) Figli maschi!

Cesare                              - Grazie. Non ci tengo.

Federico                          - Ti basta tenere Titina.

Cesare                              - Te la restituisco completa nel tuo pigiama. Non sono più ubriaco e adesso so quello che faccio.

Federico                          - Me lo mostri quello che fai!

Titina                               - Si sente poco bene. Gli sorreggevo la testa che è piena di piombo.

Federico                          - Taci tu, che non ti fai nemmeno riguardo della mia roba per le tue espansioni!

Cesare                              - Federico, non cadiamo in equivoco.

Federico                          - E non basta: vi servite del mio latte, vi servite del mio caffè. Che altro posso offrirvi? Una carrozza per condurvi a casa...

Titina                               - Io non la rifiuto.

Cesare                              - (forte) Io dico invece che...

Federico                          - Non alzare la voce, Cecè, e cerca d'essere meno ridicolo quando tradisci l'ospitalità.

Cesare                              - (smorzando) lo dico che...

Titina                               - (all'orecchio di Cesare) Usiamo prudenza.

Federico                          - Tanto le vostre giustificazioni sono inutili.

Titina                               - E forse tu non desideri di meglio.

Federico                          - Vatti a rivestire, ranocchia!

Titina                               - È la prima parola gentile che mi rivolgi da ieri sera (via a sinistra).

Federico                          - (con altro tono) Adesso mi renderai conto...

Cesare                              - Ah no! Che io debba passare gli ultimi giorni della mia vita a renderti i conti, che tu debba, abusare delle mie deplorevoli condizioni fisiche, per i tuoi sco­pi, non lo tollero più.

Federico                          - Perché t'arrabbi? Sono arrabbiato io forse?

Cesare                              - Insomma, a che giuoco giuochiamo?

Federico                          - Veramente il giuocato sarei io; ma non me l'ho a male; anzi ti ringrazio. È un vero servizio d'a­mico che mi fai.

Cesare                              - Quale servizio?

Federico                          - Mi liberi di Titina.

Pesare                              - T'inganni, ripeto.

Federico                          - Non pretenderai di godertela alle mie spalle. sarebbe troppa indiscrezione da parte tua.

Cesare                              - (ride nervosamente).

Federico                          - Lasciami finire. Titina non è una ragazza esigente e non ti sposterà molto dal tuo metodo di vita economico e ordinato.

Cesare                              - Hai finito?

Federico                          - Per me non ho altro.

Cesare                              - Allora parlo io?

Federico                          - Parla.

Cesare                              - Senti, Federico. Io sono astemio e tu mi hai fatto bere; io sono  solito d'andare a letto presto e tu non mi ci hai fatto andare del tutto. Tu sai che sono di complessione delicata e mi hai ridotto a passar la notte con la finestra aperta e col rischio di buscarmi una polmonite. Tu sai che sono un uomo morale e m'hai trasformato in un bruto...

Federico                          - Un momento...

Cesare                              - Lascia finire anche me. Ora, se mi fosse venuto il cattivo gusto di scroccarti le amanti e di sedurti le vedove fantesche, se avessi presa la cattiva abitudi­ne di sorbire il tuo caffè e di sgranocchiare i tuoi bi­scotti, non ti restituirei che in minima parte il danno che mi hai recato.

Federico                          - Con queste chiacchiere credi di rivalerti?

Cesare                              - Non mi rivalgo. Salvo che, per un caffè a base di cicoria, ti fo credito di tutto il resto e ti lascio tanti saluti.

Federico                          - Non la intendo così.

Cesare                              - Intendila come vuoi, ma lasciami andare. Per­metti solo che mi dia una rinfrescata alla faccia e ti levo il disturbo (s'avvia a sinistra).

Federico                          - (sbarrandogli il passo) Nossignore, di là c'è quell'altra. Fuori, padroni di rinfrescarvi, di ri­scaldarvi, di farvi anche arrestare per offesa ai buo­ni costumi; qui no.

Cesare                              - (fa per replicare, ma lo sternuto glielo impedisce).

Federico                          - Prosit (via a sinistra).

Cesare                              - (solo) Un minuto di più che rimango ed esplodo. (cerca la sua paglietta ruzzolata in qualche angolo, se la calca in testa senz'accorgersi che ci ha ancora il fazzoletto legato, e si avvia verso la comune).

Nelly                                - (da destra, graziosamente vestita) Se ne va?

Cesare                              - Per sempre.

Nelly                                - Come i messicani?

Cesare                              - Se i messicani, quando se ne vanno, vanno per sempre, io sono messicano.

Nelly                                - Ma le rideranno dietro con quel fazzoletto sotto il cappello!

Cesare                              - (togliendosi il fazzoletto) È la testa che mi fanno perdere. Grazie, Giulietta. In contraccambio vi lascio un utile suggerimento: per le mani usate la pasta di mandorle.

Nelly                                - La pasta di mandorle?

Cesare                              - È indicatissima per il vostro inconveniente.

Nelly                                - Che inconveniente hanno le mie mani?

Cesare                              - Guardatevele.

Nelly                                - Sono bianche, morbide, lisce... (mostra le mani).

Cesare                              - Strano!

Nelly                                - È tempo che Io scherzo finisca. Non s'accor­ge lei?...

Cesare                              - (interrompendola) Io non m'accorgo più di niente, io non mi rendo ragione più di niente. Giu­lietta, con chi ho dormito stanotte?

Nelly                                - A me lo chiede?

Cesare                              - Siete certa che non sono stato con voi?

Nelly                                - (offesa) Oh, che cose!

Cesare                              - È il vostro padrone che ci calunnia...

Nelly                                - Frirì?

Cesare                              - I vostri frirì non servono a niente. Badate piuttosto che non inediti di far lui quello che attri­buisce agli altri; ora specialmente che vuol liberarsi di Titina.

Nelly                                - Chi è Titina?

Cesare                              - Quella che era qui poco fa.

Nelly                                - C'era una donna?

Cesare                              - Una delle sue tante amanti.

Nelly                                - (turandosi gli orecchi) Che robe! che robe!

Cesare                              - Meglio le sappiate prima che sia troppo tardi: perché voialtre siete facili a farvi impressionare, a essere suggestionate e cascate là, come salami. Ora che vi vedo bene, non sembrate più una cameriera e molto meno una vedova prolifica; così agghindata vi si potrebbe anche credere di buona famiglia....

Nelly                                - Lo sono.

Cesare                              - Lo dicevo io! Di buona famiglia decaduta: so­no disgrazie a cui bisogna rassegnarsi. Comprendo però come dev'essere doloroso il ridursi a servire!

Nelly                                - Non mi adatterei mai!

Cibare                              - Motivo di più per non rimanere in questa casa.

Nelly                                - Che dice?

Cesare                              - Lasciatemi riflettere.

Nelly                                - Rifletta pure: ma badi di non continuare nell'errore.

Cesare                              - Rifletto appunto per non farvi commettere qualche grosso errore. Perciò vorrei farvi una pro­posta.

Nelly                                - Dovrò poi riflettere io prima di accettarla.

Cesare                              - Siete logica.

Nelly                                - Logica, grammatica, sempre dieci.

Cesare                              - Anche istruita?

Nelly                                - Un pochette

Cesare                              - (deciso) Ciò mi conferma nella persuasione che questa non è casa per voi.

Nelly                                - Proprio?

Cesare                              - Tanto è vero che scappo anch'io.

Nelly                                - E se scappo dove vado?

Cesare                              - Il mondo è grande.

Nelly                                - Ma le case sono poche.

Cesare                              - Una più pulita si trova sempre. Venite con me.

Nelly                                - Scommetto che pensa alla sua.

Cesare                              - Sia pure la mia: ma senza seconde intenzioni. Vi procurerò un impiego più dignitoso. Dattilografa, per esempio.

Nelly                                - Non so nemmeno da che parte s'incomincia.

Cesare                              - Conoscete la computisteria?

Nelly                                - Odio le cifre.

Cesare                              - (quasi fra se) Come Federico.

Nelly                                - Siamo della razza, si vede.

Cesare                              - C'è una bella diversità. In ogni modo avete abbastanza intelligenza, potrete imparar presto.

Nelly                                - Non ne ho proprio voglia.

Cesare                              - Con quali inclinazioni siete nata?

Nelly                                - Con quelle di fare la signora.

Cesare                              - Bellissima occupazione, ma bisogna sapersela guadagnare. Venite con me.

Nelly                                - Per guadagnarmela?

Cesare                              - Il sangue dei vostri avi, che fu fors'anche ver­sato nelle crociate, non vi ribolle di sdegno sotto le vesti ancillari.

Nelly                                - Prego, signore; quello di ieri si poteva con­fondere; ma questo è un vestitino ultimo modello, nien­te affatto ancillare.

Cesare                              - Vi sta bene, mi piace; come mi piacereste voi se non fosse per il vostro passato.

Nelly                                - Ne ho così poco di passato alla mia età!

Cesare                              - Ma a sufficienza per creare un precedente che non si distrugge. L'aria della campagna vi ha con­servata così fresca da ingannare anche un occhio esperto; non avvizzite dunque in questo ambiente me­fìtico. Con me, Giulietta (la prende per mano quasi a trascinarla).

Nelly                                - (resistendo) Lei è proprio matto da legare!

Federico                          - (ritorna. È completamente vestito).

Nelly                                - (liberandosi da Cesare e saltando al collo di Fe­derico) Oh, Frirì!

Federico                          - (al colmo dello stupore) Tu?

Nelly                                - Io, io che ti aspetto da ieri. Se sapessi, se sa­pessi quante cose ho da dirti.

Cesare                              - (fra sé) È un'indecenza! Hanno già attaccato!

Federico                          - Cara, cara la mia piccola!

Nelly                                - .... scimmia!

Federico                          - (indicando Cesare) Èlui che t'ha ripetuto? Cecè, sei indelicato... A mia sorella...

Cesare                              - (con uno scossone) Eh!...

Federico                          - La mia Nelly che ,mi fa questa sorpresa, (a Nelly) Conosci già Cesare?

Nelly                                - È da ieri che lo conosco.

Federico                          - (a Cesare) E sei stato zitto, brigante?

Nelly                                - Il signore non sapeva che sono Nelly.

Cesare                              - (fra sé) Sono o non sono ancora ubriaco?

Federico                          - Quando sei arrivata?

Nelly                                - Ieri; tu eri appena uscito. Il telegramma che t'avevo mandato la mattina è giunto dopo di me; guar­dalo (mostra il telegramma).

Federico                          - (legge. Poi) C'è la scarlattina?

Nelly                                - Puoi abbracciarmi impunemente: sono disin­fettata, (a Cesare) Non abbia apprensione nemmeno lei. (a Federico) Dunque arrivo, mando Giuseppe a ritirare il mio baule; trovo che qui c'è ancora tutto in disordine, mi ci metto io e il signore mi sorprende con la cuffia in testa e il grembiule di Giulietta. Sono rimasta interdetta. Non ho più saputo che dire, mi son lasciata prendere per la cameriera.

Federico                          - Per questo trovava Giulietta tanto giovine e carina! (ride).

Nelly                                - Bontà sua.

Cesare                              - Imbecillità mia.

Nelly                                - Non mi trova più né giovine né carina?

Cesare                              - Signorina, non mi mortifichi oltre.

Nelly                                - Dopo non ho più avuto coraggio di farlo ricre­dere. L'ho tentato or ora, ma egli non me ne ha la­sciato modo...

Cesare                              - Signorina, la prego, non faccia caso a tutte le sciocchezze che possono essermi sfuggite poco fa.

Nelly                                - E nemmeno a quelle di ieri?... Oh, pardon!

Cesare                              - A tutte, a tutte.

Titina                               - (sopraggiunge, a sua volta, completamente rive­stita. Momento d'imbarazzo generale).

Federico                          - La signorina... la signorina... la fidanzata di Cecè.

Cesare                              - Oh!

Nelly                                - (guarda successivamente i tre, ha un sorriso in­tenzionale) Felicissima, signorina, di conoscerla e di vederla in casa nostra. Io sono la sorella di Federico (s'inchina).

Titina                               - Ah!

Federico                          - Come avvocato sto sbrigando alcune loro pra­tiche, perciò dò appuntamento nel mio studio. Vero, . Cecè.

Cesare                              - Già, già.

Nelly                                - Appuntamenti molto mattinieri!

Federico                          - Per far presto. Hanno tanta smania di spo­sarsi. La mamma è giù che li attende. La povera santa donna soffre d'asma e non può salire le scale. su, ragazzi, non fatela attendere e portatele i miei saluti.

Titina                               - Corriamo, Cecè (gli si attacca al braccio).

Cesare                              - (vorrebbe replicare ma un ultimo sternuto gli stronca la parola in bocca. S'inchina goffamente a Nelly mentre Federico lo spinge verso la comune).

Federico                          - (congedandoli) Felicitazioni e auguri, (chiude la comune e torna verso Nelly che dà in un'allegra ri­sata).

Federico                          - Perché ridi?

Nelly                                - Perché ora capisco la smania che t'è venuta di dar marito anche alla tua sorellina.

Federico                          - Che fantasia ti prende? ,

Nelly                                - Nessuna. La cameriera dev'essere al corrente del­le abitudini del padrone.

Federico                          - È stato Cecè?

Nelly                                - A cui, benché abbia già la fidanzata, proponevi la povera Nelly, pur di levartela presto d'attorno.

Federico                          - È un bell'asino! Gliel'avevo detto per burla.

Nelly                                - Arlecchino, per burla, diceva la verità. E tu sei cattivo, Federico, se hai pensato che Nelly potesse ingombrarti tanto. Ma non darti pena; il primo bel gio­vinetto che: trovo, ti saluto. E chissà non sia più bello del tuo Cecè.

Federico                          - (ridendo) Già in vista?

Nelly                                - Mah! Perché mi guardi?

Federico                          - Sei tutta trasformata. Così ti giudico degna di un principe.

Nelly                                - Allora non me lo vuoi far trovare più.

Federico                          - Io voglio solo che tu sia felice. E sino a quel momento, sarai la cara monelluccia che terrò stretta con orgoglio e con piacere al mio braccio.

Nelly                                - (con slancio, riabbracciandolo) Frirì, l'hai detta la parola buona che aspettavo da te!

Federico                          - (siede, temendola sulle ginocchia) Adesso rac­contami della tua partenza, del tuo arrivo...

Nelly                                - Dunque, sappi...

(Giuseppe viene dalla comune sostenendo Cesare, di cui porta il cappello ammaccato. Cesare si comprime un occhio col fazzoletto).

Federico                          - Che c'è?

Giuseppe                         - Rientravo, quando ho veduto il signore alle prese con un individuo che s'è subito allontanato...

Cesare                              - Un pugno, un maledetto pugno.

Federico                          - Chi te l'ha dato?

Cesare                              - Non ho veduto che le stelle e non ho udito che un vocione che gridava: « A te. » (accorgendosi di Nelly) eccetera, eccetera...

Federico                          - Eccetera, eccetera non dice niente.

Cesare                              - Non posso ripetere.

Federico                          - Mostra. (Cecè scopre l'occhio pesto) Perdiana! Nelly, nel mio studio c'è una cassetta di pronto soc­corso: togline la boccetta d'acqua d'arnica e l'involto delle bende.

Nelly                                - (via per tornare a tempo).

Federico                          - (o Cesare) T'ha gridato?...

Cesare                              - « A te, brutto porco! » A me!

Federico                          - E Titina?

Cesare                              - Più vista nemmeno lei.

Giuseppe                         - Ho seguito l'individuo: un giovane robusto e barbuto con una valigia a mano.

Federico                          - Il commesso viaggiatore! Ma doveva tornare solo domani!

Cesare                              - Tutti, adesso, arrivano in anticipo!

Federico                          - Capisci, è il fidanzato di Titina.

Cesare                              - E se la prende con me?

Federico                          - Non si può proprio fare nessun assegnamento su di te.

Cesare                              - Federico, ringrazia il cielo che non ci vedo più. Ma neanche tu vedrai più me. Mi metto nel primo treno, al primo porto m'imbarco sul primo vapore e vado a vivere fra gli Zulù che sono più civili e più coscien­ziosi di tutti voialtri, figli di...

Nelly                                - Se permette, la medico io. In collegio ci hanno insegnato anche questo.

Cesare                              - La ringrazio, signorina; sono nelle sue mani,

Federico                          - (a Nelly che sta inzuppando il cotone) La mamma della fidanzata s'è inquietata per il loro ritardo, è sorto un piccolo battibecco e Cecè è rimasto inavvertitamente colpito...

Nelly                                - Da un pugno addirittura?

Federico                          - No, dall'ombrellino, (a Cesare) Vero, l'om­brellino?

Cesare                              - Sì, col manico di pugno... (correggendosi) di corno.

Nelly                                - Povero signore! Vediamo di rimediare (si pre­para ad applicargli il batuffolo imbevuto).

Cesare                              - Brava signorina, rimedi lei a tutti i malanni che mi procura suo...

Nelly                                - (interrompendolo) Sua suocera. Abbia pazienza. (gli applica il cotone) Questo le farà bene.

Cesare                              - Ahi!

Nelly                                - Le fa male?

Cesare                              - Brucia.

Federico                          - È la prima impressione.

Cesare                              - Ti dico che brucia maledettamente.

Federico                          - Nelly, ti sei sbagliata: hai preso la soluzione fenica.

Cesare                              - (balzando in piedi) Accecato del tutto! (verso il fondo) Acqua! acqua! Ho dentro il fuoco!

Giulietta                          - (accorrendo) C'è il fuoco? (alla finestra) Fuoco! fuoco!

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

 

Lo studiolo di Cesare, aperto in fondo su d'un terrazzino, da cui si entra e si esce. Sul davanti l'uscio a sinistra mette nella camera da letto, quello a destra serve a passaggio di servizio.

Cesare                              - (da sinistra, in veste da camera, guardandosi in uno specchietto a mano) Il livido comincia ad an­darsene. Purché non se ne vada anche l'occhio, (chia­ma:) Carlo!

Carlo                                - (accorre da destra) Bene alzato. Il signore ha fatto una bella dormita. Sono le quattro del pomeriggio.

Cesare                              - Perbacco! (si copre l'occhio sano) Fa una smorfia.

Carlo                                - (eseguisce).

Cesare                              - (cercando d'imitarlo) Hai fatto così.

Carlo                                - Nossignore, (si avvicina ripetendo la smorfia) Così.

Cesare                              - Ci perdo l'occhio, garantito. Non basta un ma­scalzone che, prendendomi in isbaglio, mi prende giu­sto con un maledetto pugno, c'è l'acido fenico invece dell'arnica, e c'è mio zio che capita tra capo e collo. Che t'ha detto precisamente?

.Carlo                               - Che aveva assolutamente bisogno di parlarle.

Cesare                              - (fra sé) Ho capito: quattrini, (forte) Che aria aveva?

Carlo                                - M'è sembrato inquieto, nervoso.

Cesare                              - Ahi! Torno a ficcarmi in letto e non ricevo nessuno.

Carlo                                - Il signore non vuol mangiare qualche cosa?

Cesare                              - No. Sì. Una tazza di cioccolata.

Carlo                                - Subito?

Cesare                              - Più tardi (siede e pizzica il mandolino).

Carlo                                - Signore...

Cesare                              - Di'.

Carlo                                - Permette che stanotte m'assenti io?

Cesare                              - Il cattivo esempio! Che hai da fare?

Carlo                                - Una visita...

Cesare                              - Di notte?

(Una scampanellata).

Cesare                              - Non esisto per nessuno.

Carlo                                - Nemmeno per il suo signor zio?

Cesare                              - Se è lui, bisogna che me lo digerisca (mentre Carlo esce dal terrazzino egli continua a pizzicare il mandolino).

Carlo                                - (tornando poco dopo) Signore, come posso so­stenere che lei non esiste se si fa sentire a suonare? C'è una signorina che insiste per parlarle.

Cesare                              - Non conosco signorine. Via.

Titina                               - (presentandosi) Non mi vuoi ricevere?

Cesare                              - (dì sobbalzo) Carlo, guarda se c'è il boxeur.

Titina                               - Sono sola, Cecè.

   

 Cesare                          - Chiudi bene la porta.

Carlo                             - (con intensione) Non dubiti. Il signore non sarà disturbato, (via).

Cesare                           - Chi vi ha dato il mio indirizzo?

Titina                             - Tu, iersera.

Cesare                           - "Niente tu e niente confidenza. Non mantengo relazioni con persone che si fanno spalleggiare dai tep­pisti.

Titina                             - "Un deplorevole equivoco del mio fidanzato. So­no qui per questo (si avanza).

Cesare                           - Non ammetto equivoci di tal sorta.

Titina                             - La gelosia gli ha fatto perdere il lume degli occhi.

Cesare                           - H lume d'un occhio l'ha fatto perdere a me.

Titina                             - La fatalità! le apparenze! Tu... voi... lei mi teneva gentilmente al braccio.

Cesare                    - Non si risponde a un atto di cortesia con un pugno a tradimento...

Titina                             - Aveva dei sospetti, ha anticipato il suo ritorno e scendendo dalla stazione va proprio ad imbattersi in noi che uscivamo innocentemente. Ho tentato di di­mostrargli il suo errore, ma non ha voluto persuadersi.

Cesare                           - Testardo!

Titina                      - « Se fra voi due non ci fosse stato proprio niente - ha detto - egli avrebbe reagito come gli altri ».

Cesare                           - Quale altro?

Titina                             - Due altre volte ha fatto la stessa scenata a torto.

Cesare                           - Recidivo anche!

Titina                             - Sono le sue fissazioni.

Cesare                           - Se io non ho reagito è perché non me ne ha lasciato il tempo. Non s'acceca prima un uomo...

Titina                             - (gli, guarda l'occhio) Che razza di francobollo!

Cesare                           - Appiccicato senza economia.

Titina                             - (con compiacimento) Ha i muscoli d'acciaio. Viaggia in articoli pesanti e s'allena portando il campionario.

Cesare                           - II campione l'ho ricevuto io.

Titina                             - Ma io ho avuto di peggio. Adesso non vuoi più saperne di me; s'è ripreso la sua parola e mi ha re­stituito la mia.

Cesare                           - D'altronde, quando si ha un fidanzato, si fa la sua brava fidanzata e non si va a fare la cliente di certi avvocati.

Titina                             - II fidanzato non è il marito. Mia madre, povera santa donna, ci ripeteva sempre: « Ragazze, aspettando l'incerto, non perdere mai di vista il certo ».

Cesare                           - il certo era Federico?

Titina                             - Non parliamo di lui. È stato il più grande spro­posito della mia vita. Colpa dell'inesperienza.

Cesare                           - Cara quell'inesperienza in pigiama!

Titina                             - Dovevo forse presentarmi in camicia? Gli uo­mini tutti uguali in certe cose!

Cesare                    - Morale della favola: da una parte un pugno e buonanotte, dall'altra un congedo e buongiorno. Inu­tile continuare a discorrere.

Titina                             - Intanto siamo compromessi tutti e due.

Cesare                           - Io non ho che l'occhio compromesso.

Titina                             - Davanti alla sorella di Federico siamo fidanzati.

Cesare                           - Ah no!

Titina                             - Come sono disgraziata! (piange).

Cesare                           - Anche le lagrime, adesso! Io non posso ve piangere!

Titina                             - {sollevando il viso) Se neanche mi guardai

Cesare                           - Ho l'occhio contuso.

Titina                             - Con l'altro. Per guardare basta uno solo.

Cesare                                    - Non c’è necessità.

Titina                             - Tanto ripugno?

Cesare                           - Non intendo ciò. Ma ho altro da fare in questo momento.

Titina                             - Che ha da fare? Stava suonando. Non sono io che le impedisco di suonare; anzi mi piace tanto.

Cesare                           - Di giorno non suono mai: è stato uno strappo alla regola.

Titina                             - Prosegua nello strappo.

Cesare                           - Quando vado contro la regola mi toccano tutti gli accidenti.

Titina                             - Per cui sarei anch'io un accidente? Questo me l'aveva ancora detto nessuno.

Cesare                           - Santa pazienza; nemmeno io lo dico! Siete perla delle ragazze, avete tutte le virtù del mondo, ma con me non attacca.

Titina                             - Io invece mi attacco sempre a chi mi dimostri un po' di benevolenza, un pochino d'affezione. Ho tanto bisogno d'essere compresa! Tanto, tanto bisogno di raggio di felicità! Dove, dove scoprirlo?

Cesare                           - Si gira, si cerca: chi cerca trova. Se non trova, si fa senza (si muove).

Titina                             - (lo segue) Non è facile rinunciare, quando sente un'attrazione... (guarda nell'uscio a sinistra) È camera da letto?

Cesare                           - Pare.

Titina                             - Sua?

Cesare                           - Mia.

Titina                             - Lei dorme in un letto così piccolo?

Cesare                           - Per me è sufficiente.

Titina                             - Quando ci sta solo...

Cesare                           - Non alloggio persone.

Titina                             - Si può avere lo stesso un letto più grande, muoversi, per stirarsi...

Cesare                           - Quando dormo non mi stiro.

Titina                             - La notte scorsa pensavo con tanta pena a te rannicchiato su quel divanetto.

Cesare                           - Se dormivo è segno che non ci pensavo io

Titina                             - Però stamattina stava male.

Cesare                           - Ora sto benone, (a un tratto) Tanto bene esser stufo di fare l'imbecille. Da oggi in poi voglio darmi alla pazza gioia. Titina, t'invito a cena.

Titina                             - Che gioia. Quando?

Cesare                           - Stasera.

Titina                      - E dopo?

Cesare                           - Dopo... sarà quel che sarà.

Titina                      - Con un letto così piccolo?

Cesare                           - Andiamo subito a comperare una piazza d'a Aspettami: in due minuti mi vesto (via a sinistra)

Titina                             - (sola) Quando un uomo mi prega non sono capace di rispondere di no. Mia madre, povera s donna, lo diceva sempre: « Titina, tu hai troppo re ». (guarda intorno) Come localino non c'è male par già d'essere la padrona di casa, (va sul terra Anche un bel giardinetto, (a un tratto un'esclamazione di sorpresa, cui risponde, quasi contemporaneamente, un’altra di Nelly, che si presenta accompagnata da Giulietta).

Nelly                                - C'è il signor Cesare?

Titina                               - Si. S'accomodi, signorina (confusa).

Nelly                                - Grazie, (a Giulietta) La signorina è la fidanzata del signor Cesare.

Giulietta                          - (con stizza) Non l'avrei mai creduto.

Nelly                                - (piano) Nemmeno io. (a Titina) Avrò anche il piacere di conoscere la sua signora mamma?

Titina                               - (c. s.) Veramente la povera santa donna...;

Nelly                                - Sempre l'asma?

Titina                               - Sì, per quello...

Nelly                                - Ne sono dolentissima. Ma quando c'è la signo­rina posso rimanere anch'io, non è vero?

Titina                               - Prego...

Nelly                                - Se non disturbo.

Titina                               - No, no...

Nelly                                - Allora, Giulietta, potete lasciarmi qui tranquil­lamente, Ritornate fra mezz'ora, non più tardi.

Giulietta                          - (tra sé) Giuda! E faceva l'asino a me! (via).

Nelly                                - [venendo avanti) Come sta il... suo fidanzato?

Titina                               - Sta... vestendosi.

Nelly                                - E l'occhio?

Titina                               - La signorina ha saputo?...

Nelly                                - Vengo appunto per chiedere notizie.;

Titina                               - L'occhio va molto meglio.

Nelly                                - Sono contenta, come sono contenta di aver tro­vato lei, signorina.. La sua presenza qui dimostra che l'increscioso incidente non ha avuto seguito.

Titina                               - Infatti, tutto accomodato.

Nelly                                - La mamma, per la prima, si sarà dispiaciuta dell'atto certamente involontario.

Titina                               - (che non capisce) La mamma di Cecè?

Nelly                                - La sua, signorina. Merita ogni scusa per le sue condizioni dì salute. Avevo anch'io una istitutrice in collegio che soffriva dello stesso male e, in quei momenti, diventava irritabile, irascibile: a una mia compagna, una volta, tirò addosso un Fanfani.

Titina                               - Un Fanfani?

Nelly                                - Il vocabolario. Così sì spiega il colpo che ha tirato al suo fidanzato. .

Titina                               - L'istitutrice?

Nelly                                - Parlo sempre di sua madre: il colpo all'occhio. Il suo fidanzato dev'essere molto buono.

Titina                               - È un mascalzone.

Nelly                                - Il signor Cesare?

Titina                               - Ahi lei parla di Cecé... Questo no; questo pare una brava persona.

Nelly                                - Quanti ne ha di fidanzati?

Titina                               - Uno, uno... Io credevo che alludesse a quell'al­tro che ho lasciato andare.

Nelly                                - E con questo sì sposerà presto?

Titina                               - Ma... dipende...

Cesare                              - (di dentro) Mi pettino, e vengo, Titina. ..

Nelly                                - Titina si chiama?

Titina                               - Clementina veramente.

Nelly                                - 8con intenzione) Più carino Titina. Anche mio fratello ha il debole per una Titina,

Titina                               - Ce n'è molte.

Nelly                                - Ora escono?

Titina                               - Si. Andiamo a comperare il letto.

Nelly                                - La camera da letto? Dunque proprio presto le nozze. (Si ode Cesare fischiettare) Sente com'è allegro! Dev'essere proprio bello avere un vero fidanzato.

Titina                               - Così così... Degli uomini c'è sempre poco da fi­darsi. Uno se ne prende e due scappano. Proverà anche lei, signorina.

Nelly                                - Ma se io lo prendo, non me lo lascio scappare di sicuro.

Cesare                              - (entrando, strabilia alla vista di Nelly) Giul.... La signorina qui?

Nelly                                - Buongiorno.

Cesare                              - Chi l'ha portata?

Nelly                                - Mi son fatta condurre dal rimorso e accompa­gnare da Giulietta. Poi la presenza della sua amabile fidanzata m'ha confortata a rimanere.

Cesare                              - Le sarei stato molto più obbligato; signorina, se non avesse seguito il suo rimorso. E si metta bene in mente che io non ho fidanzate, che non ne ho mai avute né mai ne avrò.

Titina                               - Oh, Cecè...?

Cesare                              - Non c'è Cecè che tenga.

Nelly                                - Non s'arrabbi così, signore. Che colpa può avere la signorina se sua madre è un po' vivace?

Cesare                              - Non voglio madri né vive ne vivaci. Quando sì ha in famiglia roba di quel genere non si offre più nes­suna garanzia per l'incolumità personale; e io tengo moltissimo alla mia. (a Titina) Dirò come quell'altro: tutto è rotto fra noi.

Titina                               - Che le dicevo, signorina? Promesse, giuramenti e un piccolo contrattempo manda tutto in fumo, (iro­nica) Capisco che adesso sono di troppo qui.

Nelly                                - Non se ne varia, signorina. Sarei addoloratissima dì dover assistere a questa rottura. Non sia per­maloso, signor Cesare; è un piccolo malinteso, dopo tutto.

Cesare                              - Ah, lei chiama un piccolo malinteso ì pugni negli occhi? Allora è un piccolo malinteso anche l'aci­do fenico.

Nelly                                - Non perdona neppure a me. Com'è cattivo! (a Titina) Senz'averlo voluto, siamo due grandi colpevoli,

Titina                               - Ma con lei s'arrenderà. Buona fortuna, signo­rina (s'avvia).

Nelly                                - No, signorina, rimanga.

Cesare                              - La lasci andare. Tanto, la strada non la perde; incontra sempre qualche commesso viaggiatore con ar­ticoli pesanti che gliel'insegna.

Titina                               - Se credi con questo di dirmi un'insolenza, la sbagli di grosso. Meglio incontrare una persona ener­gica che una marionetta!

Nelly                                - Si freni anche lei, signorina. "Non faccia come la sua mamma. Ricordi che devono uscire insieme per comperare il letto matrimoniale!

Cesare                              - (a Tifino) Il ritegno….. Dov’è il ritegno? Piuttosto sulla paglia.

Titina                               - Ci stai bene, tu. Signorina, glielo raccomando quell'individuo (via).

Cesare                              - È il colmo della sfacciataggine!

Nelly                                - L'ha trattata male.

Cesare                              - Dovrei trattar male anche lei per le imprudenze che commette. Ma è alle Dame Inglesi che le hanno insegnato a correre per le case?

Nelly                                - È stato lei ad invitarmi.

Cesare                              - Mai inteso di dire...

Nelly                                - Si smentisce così? (rifacendolo) Non dovete av­vizzire in quest'ambiente mefitico. Il sangue dei vostri avi non ribolle dì sdegno"?

Cesare                              - Chiacchiere! quando m'ha fatto credere che lei non era lei... Che disinvoltura la sua!

Nelly                                - Che colpo d'occhio il suo!

Cesare                              - Ne sono stato castigato.

Nelly                                - Dalla suocera (ride).

Cesare                              - Non rida. Perché se conoscesse certi tipi di suocera...

Nelly                                - Com'è?

Cesare                              - Se lo faccia descrivere da Federico; io non ho avuto tempo di vedere quel muso. Signorina, se lei non mi avesse lasciato nell'inganno, tutto il seguito non sarebbe avvenuto.

Nelly                                - Perciò mica la colpa anche della rottura anche del fi­danzamento...

Cesare                              - Questo è il meno dei mali. "Ma se sopraggiunge Federico, se la scopre qui sola...

Nelly                                - Anche questo è il meno dei mali. "Son siamo stati soli anche ieri?

Cesare                              - Ieri è un altro paio di maniche. Oggi lei è qui sola nella casa di «no scapolo.

Nelly                                - E anche ieri non eravamo in casa di uno scapolo?

Cesare                              - O Signore Iddio, rischiarale tu la mente!

Nelly                                - Se ha tanti scrupoli, perché, non ha trattenuto la sua fidanzata? Corra, la raggiunga, la riconduca.

Cesare                              - Non si faccia venire, queste idee.

Nelly                                - Allora bisogna rassegnarsi ad aspettare che tor­ni Giulietta a prendermi.

Cesare                              - Quella Giulietta, quante corbellerie fa e m'ha fatto dire e fare! Però, signorina, ammetta che anche nell'equivoco mi sono comportato da gentiluomo.

Nelly                                - Se lo è stato con una supposta cameriera, può continuare ad esserlo con una autentica signorina, e non aver quindi apprensioni se la ospita. Ma perché non vuol anche continuare ad esser gentiluomo con la sua fidanzata?

Cesare                              - Non insista su questo argomento, la prego,

Nelly                                - Anzi, mi sento in dovere d'insistere.

Cesare                              - È una cosa che non va.

Nelly                                - Dica almeno perché non va.

Cesare                              - Se lo faccia dire da suo fratello.

Nelly                                -  Certo che glielo chiedo. Mi mette in curiosità.

Cesare                              - La curiosità è un brutto difetto. Nella vita degli individui, come nella vita delle nazioni, punti che la storia fa bene a saltar via.

Nelly                                - (furbescamente) Credo anch'io.

Cesare                              - S'accontenti di ciò, dunque.

NEW                               - Allora perché lei tra iersera e stamane mi ha messo al corrente su certi punti che la storia sarebbe bene a saltar via nella vita di mio fratello?

Cesare                              - Ho scherzato, pensando sempre di non avere a che fare con lei.

Nelly                                - Bel servizio che rende agli amici infornale a quel modo la loro servitù.

Cesare                              - Il mio torto principale è stato quello di pren­dermi a cuore il suo finto caso, vedendola così giovane, così bellina.

Nelly                                - E Frifrì è proprio così terribile?

Cesare                              - Il famoso Frifrì! Me ne ha inventate lei!

Nelly                                - E lei non me ne inventava sul conto di  lui. Persino le Titine...

Cesare                              - Oh, qui c'è da discorrere...

Nelly                                - Discorriamo pure.

Cesare                              - Ma è meglio non discorrerne più.

Carlo                                - (bussa discretamente dall'uscio dì servizio

Nelly                                - (impressionata) Qualcuno.

Cesare                              - E’ il mio servo. "Avanti.

Carlo                                - Centra con due tazze dì cioccolata e nari biscotti)  Oh., guarda, un'altra... (depone. Piano a Cesare)  Perdue. Ho fatto bene!

Cesare                              - (lo congeda col gesto").

Carlo                                - (fa un profondo inchino a Nelly, poi, fra sé) Si diverte lui, mi voglio divertire anch'io (via).

Nelly                                - Ha un domestico molto intelligente.

Cesare                              - Come lo può giudicare?

Nelly                                - Perché ho proprio fame.

Cesare                              - Si serva.

Nelly                                - E servo lei. (eseguisce) Mi restituisco il e latte che mi ha mangiato stamane.

Cesare                              - Non io.

Nelly                                - Un altro . (correggendosi) Cioè un'altra (rio

Cesare                              - (pure ridendo) Però è buffa. Ieri non ci conoscevamo, e oggi siamo qui come due vecchi amici. la verità, lei è la prima signorina che io ho l'onore' ricevere.

Nelly                                - La prima signorina? Se .poco fa c'era la ex fidanzata!

Cesare                              - Quella non conta.

Nelly                                - Allora dovrà cercarsene un'altra...

Cesare                              - Può darsi.

Nelly                                - Per loro uomini dev'essere facile.

Cesare                              - Secondo.

Nelly                                - Quante volte s'è fidanzato, signore?

Cesare                              - Una volta. Cioè quella...

Nelly                                - Che non conta.

Cesare                              - Appunto, è stato un incidente involontario. Capita di trovarsi improvvisamente impegnato senza saper come, o per rendere un favore o per salvare una situazione. Per fortuna si fa anche presto a liberar­sene,

Nelly                                - Ho visto. Lei va per le spicce. Come sarà la prossima fidanzata?

Cesare                              - Una graziosissima creatura.

Nelly                                - Che le vuol bene?

Cesare                              - Magari mi volesse bene!

Nelly                                - E lei la sposerebbe senza prima sincerarsi di! questa cosa che è la più importante?

Cesare                              - Naturalmente prima mi sincererei.

Nelly                                - E se l'esito fosse negativo?

Cesare                              - Mi dispiacerebbe molto.

Nelly                                - Ma metterebbe il cuore in pace.

Cesare                              - Chissà?,.. Sono sempre stato così poco fortunato!

Nelly                                - Vuol che le dica un'impressione curiosa? Guardando lei mi sembra d'averla già conosciuta altrove.

Cesare                              - Non saprei.

Nelly                                - Forse qualcuno che le rassomiglia.

Cesare                              - Che mi rassomiglia un po' alla lontana non ho che uno zio.

Nelly                                - È strano. Già, tutto mi appare strano dalla mia uscita dal collegio; sono piombata in un mondo tutto diverso e ho le idee confuse.

Cesare                              - Anche le mie cominciano a confondersi. Nes­suno le ha mai detto che occhi ha?

Nelly                                - Occhi come tutti gli altri. Piuttosto, le brucia ancora il suo?

Cesare                              - Sono i suoi che bruciano.

Nelly                                - (ridendo) Questo me l'ha detto anche un vecchio signore ieri in treno. Ho cambiato subito di posto.

Cesare                              - I vecchi sono sempre impertinenti.

Nelly                                - S'è un'impertinenza, perché me la ripete?

Cesare                              - Perché io non sono vecchio, e lei non sente il bisogno di cambiar di posto. Ora penso che non è una cattiva idea quella di Federico.

Nelly                                - Che idea?

Cesare                              - Di maritarla presto.

Nelly                                - Gli è passata.

Cesare                              - La riprendo io.

Nelly                                - Che c'entra lei? E con chi mi vorrebbe maritare?

Cesare                              - Con me.

Nelly                                - A momenti mi fa strozzare dal biscotto. Ah, è dunque questa l'occupazione più dignitosa che mi offre?

Cesare                              - (con trasporto) Nelly... (Carlo ribussa).

Cesare                              - (irritandosi) Che c'è ancora?

Carlo                                - (sporgendosi dall'uscio) Sta venendo il suo si­gnor zio. Che gli devo dire?

Cesare                              - Che torni più tardi.

Nelly                                - No. Piuttosto me ne vado io. (Scampanellata).

Cesare                              - Peggio. S'incontrerebbero e chissà che cosa potrebbe pensare.

Nelly                                - Allora lo riceva. Non mi mangerà.

Cesare                              - (o Carlo) Fallo entrare.

Carlo                                - (attraversa ed esce dal terrazzetto).

Cesare                              - Badi, signorina; mio zio è un ragazzaccio poco raccomandabile.

Nelly                                - Così non mi terrà in soggezione.

Guido                              - (dal terrazzetto) Finalmente ti pesco.

Nelly                                - (scorgendolo, soffoca un piccolo grido e vor­rebbe quasi nascondersi).

Guido                              - Non sei solo?

Cesare                              - La signorina Nelly Armani, sorella dell'avvo­cato...

Guido                              - (viene avanti) Signorina, la sorpresa, l'emozio­ne m'impediscono di esprimere...

Cesare                              - La conoscevi già? La signorina s'è fatta ac­compagnar qui... per una cosa...

Nelly                                - (vergognosa) Ma nemmeno io potevo immagi­nare...

Guido                              - Signorina, dopo la sua improvvisa partenza, m non mi sono dato più pace. Ho saputo finalmente che lei era sorella a un amico di mio nipote...

Nelly                                - (guarda incredula ora l'uno ora l'altro).

Cesare                              - Più vecchio, ma suo nipote: uno sproposito di mio nonno.

Guido                              - La cosa migliore che abbia fatto mio padre: perché ora sono l'uomo più felice del mondo, (a Ce­sare) Farai il piacere di presentarmi oggi stesso all'avvocato Armani. Perdonami se ho mantenuto con te un così lungo silenzio, ma io son vissuto fuori del mondo, vicino al paradiso.

Nelly                                - Non dica....

Cesare                              - Che storia è questa?

Guido                              - La storia più semplice e più bella.

Cesare                              - Sentiamola.

Nelly                                - Non racconti...

Guido                              - Me lo permetta, signorina. Mi permetta di ri­cordare come ho veduto saltellare in un giardino una passeretta, e come io rimanevo intere mattine a una finestra per sorprendere i suoi giochi e udire i suoi trilli festosi, seguendola ovunque con lo sguardo, col pensiero, col desiderio d'impossessarmene, di ornare la mia casetta, di farla compagna di tutta la mia vita.

Nelly                                - (turandosi le orecchie) Non ascolto!

Guido                              - Ieri mattina attesi invano la passeretta; era im­provvisamente volata via per non più tornare. La mia angoscia fu grande, ma la speranza, la certezza di ri­trovarla non mi abbandonarono; seguii la sua strada e la fortuna m'ha favorito.

Cesare                              - Passeretta? (a Nelly) Chiamavano lei così, m'ha detto, (a Guido) Ma tu, ragazzo, di chi parli?

Nelly                                - Non parli. .

Guido                              - (a Cesare) Non sono più un ragazzo: sono un innamorato.

Cesare                              - Della signorina? (o Nelly) Mi spieghi lei...

Nelly                                - Non so niente io.

Guido                              - Lei lo sa. La mia muta adorazione è stata com­presa e il più dolce sorriso m'ha fatto intendere che era accolta. Non è un sogno il mio, benché mi sem­brasse di sognare. Quando lei scompariva con le sue compagne, udivo ancora la sua voce più alta, più squil­lante di tutte, quasi ella volesse farla giungere a me come una promessa.

Cesare                              - Insegnano proprio tutto alle Dame Inglesi!

Nelly                                - (sempre vergognosa) Insegnano tutto quanto occorre per diventare buone spose.

Guido                              - La mia sposa!

Cesare                              - Che furia, Guido! Non ci sei tu solo al mondo. (a Nelly) Lei dà retta alle chiacchiere di costui?

Nelly                                - Che cosa mi consiglia lei? Non avevo mai ascol­tato simili parole e tremo tutta. Senta la mia mano.

Guido                              - (prevenendo Cesare, s'inginocchia e baciando la mano di Nelly:) La mano che stringe il mio cuore e tiene in pugno tutto il mio avvenire.

Nelly                                - (tra sé, estasiata) Il sogno, il sogno...

Cesare                              - (tra sé) Canaglia, anche questa mi porta via! È destino!

Carlo                                - (dal terrazzetto) L'avvocato Armani.

Cesare                              - Avanti tutti oramai. (Guido sorge in piedi).

Nelly                                - (andando incontro a Federico) Non sgridarmi, Frifrì....

Federico                          - (severo) Sapevo di trovarti. Ho incontrato Giulietta e mi meraviglio...

Nelly                                - Di vedermi qui? Tu pure sei venuto col rimor­so d'essere un po' causa della sua disavventura, (ac­cenna a Cesare) aggravata dal mio involontario errore. Era quindi nostro dovere d'accorrere...

Federico                          - Dovere o no...

Nelly                                - Concedi prima al tuo amico di presentarti suo zio. Eravamo in famiglia.

Federico                          - Lo zio di Cecè? (porgendogli la mano) Feli­cissimo.

Guido                              - Io più di lei, avvocato, avendo l'onore di chie­derle la mano di sua sorella.

Federico                          - Come, come?...

Guido                              - Non si meravigli della mia domanda... (Nelly vuol interromperlo).

Cesare                              - (piano a Federico) Volevi maritarla subito, ec­coti servito.

Federico                          - Mi spiegherai invece...

Cesare                              - Guardali, si spiegano tra loro. È una storia semplice e bella; anzi la storia più semplice e bella Lui, mentr'io non sapevo dov'era, stava a una finestra a guardar saltare una passeretta, che è quella lì.., Il resto viene da sé.

Federico                          - Ma è serio tutto ciò?

Guido                              - Mio nipote è un vecchio brontolone che mi avrà dipinto come un giovine sconsigliato e avventuroso; ma ora, mentre egli sta perdendo il giudizio in vagabondaggi notturni, io l'ho messo seriamente. Amo pro­fondamente Nelly e mi fo garante della sua felicità.

Federico                          - (a Nelly) E tu non avevi detto nulla...

Nelly                                - (radiosa) Dovevo aspettare che parlasse lui.

Cesare                              - Perciò gli diceva: « Non parli, non parli! »

Nelly                                - Temendo che le sue parole potessero dispiacerle,

Cesare                              - E così, caro Federico, ci ha fatto frifrì a tutte due.

Guido                              - Attendo la sua risposta, signor Armani.

Federico                          - La cosa è tanto precipitosa e inaspettata che mi trovo imbarazzato. È la prima volta che mi trovo in questa situazione.

Nelly                                - La prima no, Frifrì. Puoi fidanzare lo zio dopo! d'aver fidanzato il nipote.

Guido                              - (a Cesare) Anche tu?

Cesare                              - Tutto a monte, per grazie di Dio.

Nelly                                - (a Cesare, mentre Guido e Federico si appartano a parlare) Lei non è contento?

Cesare                              - Contentissimo.

Nelly                                - Eppure non lo dimostra. Ma non voglio avere un nipote in collera.

Cesare                              - Perbacco, non ci avevo pensato. Ecco, dimostri! subito la mia contentezza (abbraccia Nelly).

Guido                              - Che fai?

Cesare                              - Bacio la zia.

FINE