La fiera di Sinigaglia

Stampa questo copione

Microsoft Word - la_fie_r.rtf

LA FIERA DI SINIGAGLIA

Carlo Goldoni

Dramma Giocoso per Musica di Polisseno Fegejo Pastor Arcade, da rappresentarsi nel Teatro delle Dame per le prime recite del Carnevale . Dedicato a Sua Eccellenza la Signora D. Maria

Marina d'Este Gran Contestabilessa Colonna.

PERSONAGGI

IL CONTE ERNESTO

Il Sig. Carlo De Cristofori. LISAURA donna nobile discaduta.

Il Sig. Gaspare Savoj. GIACINTA locandiera.

Il Sig. Giuseppe Giustinelli. LESBINA caffettiera.

Il Sig. Tomaso Borghesi. PROSPERO chincagliere.

Il Sig. Francesco Carattoli. ORAZIO mercante.

Il Sig. Gio. Loattini. GRIFFO sensale.

Il sig. Giuseppe Casaccia. Doganieri

FSaecrvcihtionriie       }       chenonparlano.

Garzoni.

L'azione si finge in Sinigaglia nel giorno che termina quella Fiera.

Compositore della Musica il Sig. Domenico Fischetti Maestro di Cappella Napolitano.


ATTO PRIMO SCENA PRIMA

Piazza o sia centro della Fiera con varie botteghe, fra le quali una bottega di caffè, una di chincaglie, una di panni e sete ecc. Da una parte locanda con finestra, dirimpetto alla bottega da caffè.

Il Conte Ernesto sedendo al Caffè, Lisaura per la Fiera, Lesbina sulla porta della sua Bottega, Giacinta alla finestra della sua Locanda, Orazio alla sua Bottega di panni, Prospero alla sua

Bottega di chincagliere, Griffo passeggiando.

TUTTI

Dove sono i tempi andati?

I negozi son spiantati,

E la Fiera - questa sera

LIS.

Bene o mal terminerà. Poverina, - son meschina,

Chi mi aiuta per pietà?

Amorosi, generosi,

ORA. PROS. GRI. LESB.

}

Fate a me la carità.
Chi vuol comprare, stringa il contratto;
a tre                L'ultimo giorno chi ha fatto, ha fatto:

Tutti procurino sollecitar. Volete caffè?

Venite da me.

Rosolio perfetto

GIAC.

LESB. GIAC.

GRI. TUTTI

Chi brama gustar? In questa locanda

Chi brama alloggiar?

Con pochi quattrini

Vi faccio scialar. È l'ultimo giorno

}

a due

Si dà a buon mercato;

E quel ch'è restato

Lo voglio donar. Venditori, - compratori,

Del sensale - principale

Vi potete approfittar. Passa il tempo, e se ne va;

E la Fiera - questa sera

CON. LIS. CON. LIS.

Ehi! dite, quella giovane. (a Lisaura, alzandosi da sedere)

Signore. Cercate un qualche aiuto?

Veramente È grande il mio bisogno, Ma son nata civile, e mi vergogno.

Bene o mal terminerà.


CON.                     Disponete di me: del conte Ernesto

Fate pur capitale:

In ricchezze e in buon cor non vi è l'eguale.

Per tutta la Romagna

Conosciuto è il mio nome, e rispettato.
GRI.                       (Sì, da tutti si sa ch'è uno spiantato). (da sé)

LIS.                        A voi mi raccomando,

Ho bisogno di tutto.
CON.                     Sì, ho capito.

Giacinta.
GIAC.                                   Che comanda?

CON.                                                            A questa giovane

Date un appartamento,

E il suo mantenimento

Datele da par mio.
GIAC.                    E chi paga, signor?

CON.                                                     Pagherò io.

GIAC.                    Ma il danar che mi deve?

CON.                                                              Eh, ragazzate! (voltandole le spalle)

Lesbina. (chiamandola)
LESB.                                Comandate.

CON.                     A questa forastiera

Date mattina e sera

E caffè, e cioccolata.
LESB.                    Saldi prima il suo conto.

CON.                                                            Eh via, sguaiata. (volgendole la schiena)

Griffo. (chiamandolo)
GRI.                                 Sono a servirla.

CON.                                                         A quella donna

Voglio fare un vestito, e regalarle

Voglio una tabacchiera.

Andate subito

Da Prospero e da Orazio;

Dite loro, in mio nome,

Che vi dian quel che occorre.
GRI.                                                                       Favorisca:

I debiti con essi ha ancor saldati?
CON.                     Non mi state a seccar, saran pagati.

Se si desta al rumor delle schiere, Stringe il ferro il guerriero più ardito; E all'invito - dell'armi - già parmi Che feroce sen corra a pugnar.

Io non sono, mia bella, così, Perché ho il cor di pietade ripieno; E vien meno - se chiedegli aita La bellezza che sa lacrimar. (parte)

SCENA SECONDA I suddetti, fuori del Conte


GRI.                       (Povera disgraziata,

Se si fida di lui). (da sé)
LIS.                                                  Son fortunata.

Trovato ho finalmente

Un signor generoso,

Facile, di buon cor, ricco e pietoso.

O voi di quest'albergo

Vaga, gentil padrona, (a Giacinta)

Permettete ch'io venga, e l'uscio aprite.
GIAC.                    Signora, compatite,

Da me non alloggiate

Se un miglior pagator non vi trovate. (entra)
LIS.                        Che maniera indiscreta! Voi, frattanto

Che torna il signor Conte,

Permettete ch'io venga a ricovrarmi. (a Lesbina)
LESB.                    Dite al Conte che venga a soddisfarmi. (entra)

LIS.                        Si usa ad un cavaliere

Sì poco di rispetto?

Fate voi quel che ha detto. (a Griffo)
GRI.                       I mercadanti

Aspettano i contanti.

Quand'egli pagherà,

Il signor Conte, se nol sapete, È un protettore senza monete, Di quei che si usano Ai nostri dì.

Ei si diletta giocare un poco: Fa il generoso, se vince al gioco; Ma quando perde, Ridotto al verde, Il suo bel spirito suole adoprar; E si diletta di stoccheggiar. (parte)

Vossignoria servita resterà.


SCENA TERZA

Lisaura, e Prospero ed Orazio nelle loro Botteghe.

LIS.                        Dunque, per quel che io sento,

Capitai molto male: Trovato ho un protettor che poco vale. La sorte mi è contraria, Se chi ha di sollevarmi il bel desio Non sa come si far; e io resto intanto Esposta all'ira del destino mio.

Sta sul lido il passaggiero, Vede il mar che sta in tempesta, Vede il misero nocchiero Coll'amato suo naviglio


Di sommerger in periglio, E soccorrerlo non sa. Tal son io; ma spero ancora Che pietosa amica stella A portar calma più bella Forse un dì risplenderà. (parte)

SCENA QUARTA

Orazio solo, dalla sua Bottega.

Van pur male i negozi. In questa sera

Terminata è la Fiera. Ho da pagare

Quattro o cinque cambiali,

E mi manca il danaro e i capitali.

Griffo vorrei veder. Quell'animale

So ch'è un bravo sensale.

Potria colla sua testa

Provvedere con arte al mio bisogno:

Ma scoprir le mie piaghe io mi vergogno.

Eccolo qui davver.

SCENA QUINTA Griffo e detto.

GRI.                                                    Signor Orazio,

La ragione cantante

Pandolfi e Malcontenti

Contro di voi esclama,

E, compatite, truffator vi chiama.
ORA.                     Come! Non ho girato

A suo favor la lettera

Sopra Isacco Valcerca in Inghilterra?
GRI.                       Questo nome inventato

Non vi è, non è mai stato.

Si sa che questo è l'uso

Di certi mercadanti,

Che per tirar innanti,

E coglier tempo da saldare i conti,

Lettere false ad inventar son pronti.
ORA.                     Di voi mi meraviglio:

Il mio stil non è questo.
GRI.                       La lettera è in protesto:

Incognito è il traente,

Sognato è l'accettante; e il giratario,

Che a voi la mercanzia

Fidò del suo paese,

Vuol da voi la valuta, e più le spese.


ORA.                     Pagherò, mi dia tempo.

GRI.                                                           È già passato

Il tempo concordato; egli sospetta

Di fraude e di malizia,

E ricorrere intende alla Giustizia.
ORA.                     Come! contro un par mio?

Non si sa chi son io?
GRI.                                                        Nessun ci sente.

Si sa, signor Orazio,

Che siete rifinito,

E che vi manca poco a andar fallito.
ORA.                     Non è ver, non è vero;

Ho roba, ho capitali,

Ho crediti, ho quattrini,

Ho pieni i magazzini,

E in dogana vi son di mia ragione

Più di sedici balle di cotone.
GRI.                       Bene, se voi volete,

Farò che in pagamento

Le balle di coton siano accettate.
ORA.                     Ehi! son ipotecate. (piano a Griffo)

GRI.                       Via, dunque, d'altri generi

Fate l'assegnamento; non diceste

Che avete i magazzini

Pieni di mercanzia?
ORA.                     Ehi! non è roba mia. (piano come sopra)

GRI.                                                      Dunque in contanti

Il debito pagate.
ORA.                     Ma voi mi tormentate.

GRI.                                                        Sì, ho capito.

Bondì a vossignoria:

Pensateci da voi, ch'io vado via.
ORA.                     No, fermate, sentite.

GRI.                                                      E che volete?

ORA.                     Aiutatemi voi, se lo potete.

GRI.                       Confidatemi il vero,

Ed io vi assisterò.
ORA.                     Sono un uomo d'onore, e pagherò.

GRI.                       Ma non basta.

ORA.                                           Cospetto!

GRI.                       Via, parlatemi chiaro:

Non avete né roba, né danaro?
ORA.                     Per dir la verità,

Or sono un poco scarso, e se potessi

Trovar delle ragioni...
GRI.                       Non potete dispor di quei cotoni?

ORA.                     Li ho disposti una volta, e ho da spedirli

A un mio corrispondente,

E ho incassato il valsente.
GRI.                       Vi dirò: in caso di bisogno

Ho veduto degli altri in vita mia

Vendere a due la stessa mercanzia.
ORA.                     Non dite mal; ma temo


Che siano i miei cotoni

Un pochino patiti, e non si possa

Col danaro esitarli.

GRI.                       Cercherò d'impegnarli.

Ritroverò qualcuno Di quei che soglion dare Al sei per cento, ma col pegno in mano.

ORA.                     Griffo, mi raccomando:

Fatemi comparir. Presentemente

Di danari e di roba io non abbondo,

Ma un mercante son io famoso al mondo.

Pochi san lo stato mio; E un mercante qual son io, In Italia non si dà. Ho negozi in quantità: Ho una casa in Barcellona, Ho del traffico in Lisbona, Ho commercio in Allemagna, Inghilterra, Francia e Spagna; E nell'Indie Occidentali Sono avvezzo a trafficar.

Ma noi altri mercadanti Ora abbiamo, or non abbiamo, E conviene strolicar. Quelle balle di cotone Procurate d'impegnar. (parte)

SCENA SESTA

Griffo, poi Prospero


GRI.                       Ei far vorrebbe il grande,

Ma si abbassa dappoi quando gli preme:

Superbia e povertà stan male insieme.

Converrà ch'io procuri

Quei cotoni impegnar; non che mi caglia

Di oprar per lui, ma la premura mia

Solo è di guadagnar la sensaria.

Io so che il signor Prospero

È un uom che ha del danaro,

Ma so che è un uomo avaro, e spesse volte

L'uccellator grifagno

Si lascia lusingar da un bel guadagno.

Ehi, dite al signor Prospero (ad una Giovane)

Che senta una parola. Con costui,

Che finge l'uom da bene,

Tutta l'arte più fina usar conviene.

PROS.                    Chi mi vuol?

GRI.                                          Compatite.

PROS.                                                        Vi saluto.


GRI.                       Sono da voi venuto

Per proporvi un negozio.
PROS.                                                          Amico caro,

Se ho da sborsar danaro,

Vel dico innanzi tratto,

Presentemente ne son senza affatto.
GRI.                       Spiacemi in verità: volea parlarvi

Di un certo negozietto

Che potea profittarvi,

Senza un menomo dubbio d'alcun danno,

Un migliaio di scudi in men d'un anno.
PROS.                    Dite davver?

GRI.                                             Mi spiace

Che non siete nel caso.
PROS.                                                        Vi dirò:

Sono senza danar, ma il troverò.
GRI.                       Se voi foste nel caso

Di prestar del contante...
PROS.                                                          Ho da prestare?

Il danar non saprei dove trovare.
GRI.                       Ma col pegno alla mano.

PROS.                                                          Ah! qualche volta

Anche con pregiudizio

Scomodarsi conviene, e far servizio.

Cosa vorriano dar per ipoteca?
GRI.                       Sedici o venti balle

Di coton di Levante.
PROS.                    Di buona qualità?

GRI.                                                    Roba perfetta.

PROS.                    Aiutar chi ha bisogno a noi si aspetta.

GRI.                       Ditemi francamente

Il vostro sentimento:

Che volete per cento?
PROS.                                                     In tai negozi

Non pretendon che il giusto i pari miei:

Mi contento del sei.
GRI.                                                      Siete onestissimo.

PROS.                    Per il prossimo mio son pietosissimo.

Il sei per cento è il frutto

Del danaro ch'io do; ma il due per cento

Vi vuol pel magazzino, e il due per cento

Per la mia provvigione

Per vendere il cotone; e s'io lo fido

Con periglio di qualche fallimento,

Mi viene anche per questo il due per cento.
GRI.                       Ma tutti questi casi

Non potriano accadere.
PROS.                                                          No, non voglio

Incontrar qualche imbroglio.

Così siam cauti il proprietario ed io,

E vo' che l'util mio mi sia pagato

Di un anno anticipato, onde ogni mille,

Che saran numerati,


Cento e venti per me siano levati.
GRI.                       Bravo, così mi piace.

Quello che si ha da far, che sia ben fatto.
PROS.                    Quando faccio un contratto,

Vi parlo schiettamente,

A me piace di farlo onestamente.

   non fo come gli avari,
Che indiscreti, che usurari,
Von la gente scorticar.

Se di più di quel che ho detto Mi vuol fare un regaletto, Non lo voglio ricusar.

   mio cor non è venale,
Son cortese e liberale,
Fo del bene a chi mi par.
Dalle balle del cotone,
Con licenza del padrone,
Per stoppino, o per filar,

Un pochin ne vo' pigliar. (parte)

SCENA SETTIMA

Griffo solo.

Ma che uomo dabbene!

Per scarso premio dei danari sui,

Il cotone vorria mezzo per lui.

Ma Orazio è in caso tale

Da far per liberarsi ogni contratto,

Ed io frattanto il mio negozio ho fatto. (parte)

SCENA OTTAVA

Lesbina sola.

I mestieri van pur male, Da far bene più non vi è. Consumato ho il capitale. Cosa mai sarà di me?

Ma son pur sfortunata. Io fo un mestiere

Che con pochi baiocchi

Tant'altri han principiato,

E veduti si sono a cangiar stato.

Tanti su questa Fiera

Arricchiti si sono, ed io meschina

Sono quasi in rovina; e pur mi pare

Non esser così brutta,


Né tanto sgrazïata,

Per vedermi da tutti abbandonata.

Prospero chincagliere

Mi vede volentier, ma è un avaraccio.

Viene alla mia bottega,

Mi fa l'innamorato:

Esser distinto nel mio cor pretende,

Ma m'incomoda molto, e poco spende.

Affé, che mi ha veduto:

Eccolo il vecchio astuto. Vo' provare

Se in qualcosa costui mi può giovare.

SCENA NONA

Prospero e la suddetta.

PROS.                    Che fate qui, Lesbina?

LESB.                    Vado a cercar fortuna. (inquieta)

PROS.                    Cosa avete, ben mio?

LESB.                                                      Batto la luna.

PROS.                    Voglio allegra vedervi.

LESB.                                                          Eh, signor sì;

Starò allegra davver, se va così.
PROS.                    Che? vi sentite mal?

LESB.                                                   No, sto benissimo.

PROS.                    Quando voi state ben, son contentissimo.

LESB.                    Anch'io sarei contenta,

Se avessi come voi danari in tasca,

E penar non dovessi il pane e il vino.

Sono senza un quattrino,

Non so come mi fare.
PROS.                    Eh, voi avete voglia di burlare.

LESB.                    Signor, dico davvero,

Fra le donne son io più sfortunate.
PROS.                    Ma che belle giornate!

Questo tempo consola.
LESB.                    Eh povera figliuola,

Da tutti abbandonata!
PROS.                    Questa sera la Fiera è terminata.

LESB.                    Voi andrete alla patria.

PROS.                                                        E voi, Lesbina,

Restate a Sinigaglia?
LESB.                                                      Io non lo so:

Dove vuole il destin mi porterò.
PROS.                    Quanto mi spiacerà, se non vi vedo.

LESB.                    Eh signor, non vi credo.

PROS.                                                          In verità,

Voi mi piacete assai... (con tenerezza)
LESB.                                                        Se fosse vero... (con tenerezza)

PROS.                    Io son un uom sincero.

LESB.                                                        Veramente


Si vede apertamente

Che mi volete bene assai, assai;

Ma un regaluccio non mi fate mai.
PROS.                    Zitto, che presto presto

Vi voglio regalar.
LESB.                                                 Davver?

PROS.                                                               Senz'altro.

LESB.                    Cosa volete darmi?

PROS.                                                   Un regalone.

LESB.                    Ma che cosa?

PROS.                                          Due libbre di cotone.

LESB.                    Io non ne so che far. Perché non darmi

Della vostra bottega

Qualche galanteria?
PROS.                    Oh, non si può toccar la mercanzia.

LESB.                    Sì, sì, vi compatisco,

La ragion la capisco. Non volete

Che vedano i garzoni

Che una donna da voi sia regalata.
PROS.                    Brava, Lesbina mia, bella e onorata.

LESB.                    Fate bene, signor; di queste cose

Niuno ha da saper niente.

Fatel segretamente. Ho da pagare

La pigion di bottega. Oh me felice,

Se dal vostro buon cor la grazia ottengo!

Dieci scudi, signore...
PROS.                                                        Eh, vengo, vengo. (verso la bottega)

LESB.                    Non vi muove a pietà lo stato mio?

SCENA DECIMA

Lesbina sola.

Oh avaro malorato,

Che tu sia bastonato: ma chi sa?

Se mi metto all'impegno,

Sottigliare saprò l'arte e l'ingegno.

Non son quella che sono,

Se nol fo delirar. Può darsi ancora

Mi riesca il vederlo,

Ad onta della perfida avarizia,

Non vil trofeo di femminil malizia.

Se una donna si mette in puntiglio, Chi è colui che non deggia cascar? Dagli strali di un tenero ciglio Cor non vi è che si possa guardar. Due parole, due vezzi, un sospiro, Un risetto, una bella smorfietta Ogni core più crudo diletta,

PROS.                    Povera figlia!... ci vedremo... addio. (parte)


Ed un sasso potrebbe spezzar. Non vo' disperar, Mi voglio provar, Quell'avaro vo' far disperar. (parte)

SCENA UNDICESIMA

Camera della Locanda.

Giacinta sola.

Oh! la Fiera quest'anno

È andata male assai;

Profitto più meschin non ebbi mai.

Se quel povero Orazio

Non mi avesse aiutato,

Di me che saria stato? Egli, meschino,

Fa quel che può, ma temo

Che poco ancora possa andare innanti,

Che stia male di roba e di contanti.

In questa mia locanda

Non si vedono più quei soggettoni

Che spendeano i dobloni...

Sento gente. Chi è qui? Oh, il conte Ernesto.

Che vuol quello spiantato?

Affé, ch'è accompagnato

Da quella forastiera. Oh, questa è vaga!

Non la voglio alloggiar se non mi paga.

SCENA DODICESIMA Il Conte Ernesto, Lisaura e la suddetta.

CON.                     Ehi, padrona, una stanza

Date alla forastiera.
GIAC.                                                   Mi perdoni,

Ho le stanze impedite.
CON.                                                         Ad un mio pari

Non si fa un'insolenza.
GIAC.                    Né si viene da me con prepotenza.

CON.                     Di voi mi meraviglio;

So che il luogo l'avete.
GIAC.                    Ella mi ha da pagar...

CON.                                                         Zitto, tacete.

(Non vorrei mi facesse

Svergognar con quest'altra). Or or vedrete

Se le stanze trovar le faccio a un tratto.
LIS.                        Non fate maggior foco:

Mi potrete condurre in altro loco. (piano al Conte)
CON.                     No, no, sono impuntato:


Esser voglio servito e rispettato. (piano a Lisaura)

Sentite. (accostandosi a Giacinta)
GIAC.                                Che comanda?

CON.                     Quanto vi devo dar? (piano a Giacinta)

GIAC.                                                   Due scudi e mezzo. (piano al Conte)

CON.                     (Eccovi cinque scudi). (glieli dà di nascosto)

Alloggiate costei. (piano a Giacinta)
GIAC.                                                 Ella è padrone. (forte)

CON.                     Più rispetto alle nobili persone. (forte)

GIAC.                    Tosto sarà servita.

CON.                     Quella donna insolente ho intimorita.

LIS.                        (Bravo, ho piacer davvero). (al Conte)

CON.                                                                Andate tosto

Le stanze a preparar.
GIAC.                                                     L'obbligo mio

Non dubiti da me sia trascurato.

Il signor Conte è un cavalier garbato.

Mi consolo con voi, signorina, Di un sì grande e gentil protettor: Di servirvi gradisco l'onor. (a Lisaura) (Fin che dura il danar che mi dié). (da sé) Dite pur, che ho da fare per lei? (al Conte) Comandate, ch'io tutto farò. (a Lisaura) Vi conosco, lo vedo, lo so. (a tutti due) Voi vi amate, furbetti, di cor: Vostra serva, vel giuro, sarò. (Quando sia generoso con me). (parte)

SCENA TREDICESIMA Il Conte, poi Lisaura

CON.                     Io poi con questa gente

Mi faccio rispettar.
LIS.                                                       Ma che diceva?

Il danaro voleva anticipato?
CON.                     A ciò non ho badato:

Se avessi udito simile insolenza,

Alla vostra presenza

L'avrei mortificata.

Basta, le stanze a preparare è andata.

Qui per or resterete,

Qui servita sarete: or or verranno

Mercanti d'ogni sorte

Con panni, e stoffe, e tabacchiere, e astucci;

Tutto quel che vi piace

Prendete pur, valetevi di me.

Ho ordinato il caffè,

Cioccolata, rosolio e zuccherini:

Ad un par mio non mancano quattrini.


LIS.                        Signor, ben obbligata.

Vi protesto un sincero aggradimento.

(Fin che la va così, non mi scontento). (da sé)

SCENA QUATTORDICESIMA Giacinta e detti.

GIAC.                    Signor, è qui venuto

Un sensal, due mercanti ed una donna

Con caffè e cioccolata. Tutta questa brigata

Di un forastier domanda,

Ch'è nella mia locanda. Da lei forse

Fu mandata a chiamar cotesta gente?

CON.                     Sì, da me fur chiamati:

Sono a tempo arrivati. Cara Lisaura, a soddisfarci andiamo. (parte)

LIS.                        Sono con voi. (Quel che si può, pigliamo). (parte)

SCENA QUINDICESIMA

Giacinta, poi Griffo, poi Orazio, poi Prospero, poi Lesbina

GIAC.                    Costor probabilmente

Ancor non sanno niente Chi sia che li ha chiamati; Quando il vedranno, resteran burlati. Orazio l'ho avvertito; Prospero è un uomo avaro, Non dà senza il danaro; ed il sensale, Che spera guadagnar la sensaria, Coi mercanti scontento anderà via. Ecco Griffo primiero: Sentir vogl'io se quel che penso è vero.

GRI.                                Bel negozio che si è fatto!

Bella cosa! Bel contratto!

Cavalier senza contante

Far l'amante - non potrà.
ORA.                               Mi perdoni, vado via; (verso la Scena)

Io non do la mercanzia

A chi soldi non mi dà.
PROS.                             Sono un povero mercante

Che ha bisogno di contante, (come sopra)

E credenza non si fa.
LESB.                             Quel spiantato, quel sguaiato

Sempre vuol venir da me.

Chi mi paga il cioccolato?

Chi mi paga il mio caffè?


GIAC.

GRI.

OPRROAS..      } adue

GIAC.

LESB.

GIAC.

LESB.

GRI.

ORA.

PROS.

LGEIASBC..      } adue

GIAC. ORA. LESB. PROS.

a due

GLEIASCB..      } GRI.

GLEIASCB..      } adue

GIAC.

LESB.

ORA.

PROS.

GIAC.

LESB.

ORA.

PROS.

LGEIASBC..      } adue

GRI. PROS.

GLI ALTRI

PROS. GLI ALTRI

PROS. GLI ALTRI

PROS. GLI ALTRI


Poverini, sfortunati,

Voi ci siete capitati.

Io pagata - sono stata,

Ma danari più non ha. Compatite, miei signori,

Dell'incomodo vi ho dato;

Sono stato anch'io burlato,

Nol sapeva in verità. Quel spiantato se ne vada.

Noi torniam per quella strada

Per cui siam venuti qua. Cos'avete voi portato? (ad Orazio) Cos'avete voi recato? (a Prospero) Vo' vedere.

Vo' sapere. Soddisfarle si dovrà. Questa stoffa di Parigi. Questa mostra d'Inghilterra. (prendono esse le cose suddette)

Bella, bella, in verità.

Avete altro? Questi galloni.

Qualch'altra cosa? (a Prospero) Questi bottoni.

Vo' vedere, date qua.

Soddisfarle si dovrà.

Belli, belli, in verità.

Questa stoffetta la voglio per me, Quest'orologio lo voglio per me. Servitevi pure. Rendetelo a me. Vo' questi galloni. Vo' questi bottoni. Per me ve li do. Io dico di no.

Li tengo per me.

Va ben, per mia fé. Rendetemi la mostra.

Rendetemi i bottoni. Con donne, perdoni,

Così non si fa. Io dico di no. Io dico di sì;

Va bene così. Oh povero me! Signor, che cos'è? Son tutto sudato. Rimedio non c'è. E viva il signor Prospero,



Che generoso è stato;
La bella ha regalato,
E non vi pensa più.
PROS.                             Oimè, non posso più.


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Luogo interno nella Bottega di caffè.

Lesbina sola.

Mi son ben divertita

Con quell'avaro ingrato;

Ma Prospero dirà ch'io gli ho rubato.

Di ciò me ne dispiace,

E, a dir ver, non ho pace

Se con lui non mi son giustificata,

E voglio comparir donna onorata.

Però mi spiacerebbe

Perdere l'orologio; de' bottoni

Poco m'importa, bastariami solo

Mi lasciasse goder quest'oriuolo.

SCENA SECONDA Prospero e la suddetta.

PROS.                    (Oh, che smania ch'io sento!

Vivere non poss'io

Se non riacquisto l'orologio mio). (da sé)
LESB.                    (Eccolo qui il volpone.

Per aver l'orologio ei venirà,

Ma mi vo' lusingar ch'ei non l'avrà). (da sé)
PROS.                    (Conviene andar bel bello).

LESB.                    (Per deluder costui ci vuol cervello).

PROS.                    Lesbina, vi saluto.

LESB.                    Mio signor, benvenuto.

PROS.                                                        Che ora abbiamo?

LESB.                    Non lo so in verità.

PROS.                                                   Non lo sapete,

E al vostro fianco l'orologio avete?
LESB.                    Oh, oh! non ci pensavo.

Non me ne ricordavo: ma siccome

La mostra non è mia,

Non l'avevo nemmeno in fantasia.
PROS.                    Eh, lo so che stamane

Meco avete scherzato, e son venuto

Da voi a ripigliarlo,

Perché pronto ho l'incontro d'esitarlo.
LESB.                    Per quanto lo vendete?

PROS.                                                        Almeno, almeno,


Per ventidue zecchini.
LESB.                                                        A questo prezzo

Anch'io lo comprerò.
PROS.                    Ma mi preme il danar.

LESB.                                                        Vi pagherò.

PROS.                    Come! se mi diceste

Che siete in povertà?
LESB.                    Sempre non si ha da dir la verità.

Se povera mi fingo,

Ho anch'io la mia ragione.

Un giorno poi

Vi narrerò il perché,

Ma l'orologio è mio.
PROS.                                                     (Povero me!)

Credo non vada bene.

Guardate che ora fa.
LESB.                                                   Sedici e mezzo. (guardando la mostra)

PROS.                    Va male, va malissimo:

Lo so ch'è imperfettissimo.

Un galantuomo io sono.

Datemi quel, ve ne darò un più buono.
LESB.                    Ma perché, se è cattivo,

Vendere lo volete

Da galantuom per ventidue zecchini?
PROS.                    Perché... perché colui

Non so chi diavol sia,

E la mia mercanzia vender mi preme.

Ma alla cara Lesbina,

Perché le voglio ben di vero core,

Ne vo' dare un più bello e assai migliore.
LESB.                    Ma quando?

PROS.                                       Presto presto.

LESB.                    Finché l'altro portate, io terrò questo.

PROS.                    Ma perder non vorrei

L'occasion d'esitarlo. In confidenza,

Siam sul fin della Fiera,

E il danar mi bisogna innanzi sera.
LESB.                    Veramente bisogno

Avete di danaro?
PROS.                                              Oh, se sapeste

Tutti gli affanni miei!
LESB.                    Se diceste davver, vi aiuterei.

PROS.                    Come?

LESB.                                Segretamente:

Già nessuno ci sente. Io mi ritrovo

Da parte del danar che non mi frutta.

Per non tenerlo in ozio,

Lo darò a voi da mettere in negozio.
PROS.                    Ma prendere il danaro

Per pagar l'interesse è uno sproposito.
LESB.                    Senza interesse vel darò in deposito.

PROS.                    Oh via, per compiacervi,

Dunque lo prenderò.


LESB.                    Vado a pigliarlo, e vel consegnerò.

PROS.                    Datemi l'orologio.

LESB.                                                 Oh, quest'è bella!

Io mi fido di voi, dandovi in mano Tutto quello che ho al mondo; e un orologio A me dunque lasciar non vi fidate?

PROS.                    Via, via, il danaro in mano mia portate.

LESB.                    Subito, immantinente

Vi porto il mio tesoro. (Credo consisterà In trenta paoli, se ci arriverà). (da sé)

Se di me voi vi fidate, Io di voi mi fiderò. Ma un tesoro ancor maggiore, La mia fede ed il mio core, A voi solo serberò.

L'orologio vagheggiando, E i minuti misurando, A voi sempre penserò.

E dirò : son fortunata, Sono stata regalata; E quel poco che potrò, Ancor io vi donerò. (parte)

SCENA TERZA Prospero, poi Griffo

PROS.                    La sua fede e il suo core,

Il suo cortese amore, Può far le voglie mie contente e liete, Ma più assai gradirò le sue monete. Chi l'avesse mai detto Ch'ella avesse danari, e si fingesse Povera a questo segno? Ma così deve far chi ha dell'ingegno.

GRI.                       Ma caro signor Prospero,

Vi cerco e non vi trovo; quell'amico, Che brama ipotecare il suo cotone, Del negozio vorria la conclusione.

PROS.                    Vi dirò: ci ho pensato.

L'altr'ieri ne ho comprato Una grossa partita da un mercante Col danaro contante. Ancor lo faccio In dogana tener per conto mio, E di più caricar non mi vogl'io.

GRI.                       Voi mi deste parola, ed i mercanti

Non deggiono mancar.

PROS.                                                        Son galantuomo,

Mancar non sono avvezzo. Mi dispiace


D'averne in quantità; ma se vi preme,

Fate che il proprietario,

Con tutte l'altre condizioni espresse,

Cresca a me qualche cosa d'interesse.
GRI.                       Volete ancor di più?

PROS.                                                     Qualche cosetta;

Di poco io mi contento:

Basta ch'egli mi cresca un due per cento.
GRI.                       Il quattordici adunque

S'ha da pagar?
PROS.                                            Che dite?

Il quattordici a me? Non son sì ghiotto:

Mi contento dell'otto; ed il restante

Voi sapete cos'è,

E un sensal come voi saprà il perché.

SCENA QUARTA

Orazio e detti.

ORA.                     Ehi, Griffo, una parola.

PROS.                    (Ecco qui lo spiantato

Che ha venduto i cotoni a buon mercato). (da sé)
GRI.                       (Siete giunto in buon'ora). (piano ad Orazio)

ORA.                     (Che Prospero non senta i fatti nostri). (piano a Griffo)

GRI.                       (Egli é colui

Che il danaro darà). (come sopra)
ORA.                                                     (Prospero?) (come sopra)

GRI.                                                                         (Appunto). (come sopra)

ORA.                     (Oimè! Gli avete detto,

Ch'io son quel che vorrebbe

La roba ipotecar?) (come sopra)
GRI.                                                    (Non l'ha saputo). (come sopra)

ORA.                     (È quegli a cui venduto

Ho lo stesso coton, come vi ho detto). (come sopra)
GRI.                       (Oh! zitto, zitto, non gli diam sospetto). (come sopra)

ORA.                     (Ora come faremo?) (come sopra)

GRI.                       (Lasciate fare a me, rimedieremo). (come sopra)

PROS.                    (Scommetto che lo sciocco

Medita col sensale un qualche scrocco). (da sé)
GRI.                       Signor Prospero caro,

Mi dispiace di darvi

Una trista novella.
PROS.                                                 E cosa è stato?

GRI.                       Voi avete comprato

Da questo galantuomo

Il cotone ad un prezzo e in tal maniera,

Che a un mercante d'onor non istà bene,

E stornare il contratto a lui conviene.
PROS.                    Ho sborsato il danar.

ORA.                                                       Cento zecchini


Mi ha pagato in contanti,

E il resto in tanti guanti

Vecchi, storpi, retenti,

Buoni soltanto da stirar gli unguenti.

Due casse egli mi ha date

D'aghi e spille spuntate,

Dei pettini di corno

Per pettini d'avorio, e sessantotto

Tabacchiere di legno, e un specchio rotto.
PROS.                    Tutta roba perfetta.

GRI.                                                      E perché mai

Per prezzo del cotone

Prendere cose tai? (ad Orazio)
ORA.                                                  Me ne vergogno,

Ma di cento zecchini avea bisogno. (a Griffo)
GRI.                       E voi vi approfittate

Delle buone occasion. (a Prospero)
PROS.                                                        Non mi seccate.

GRI.                       Signor, vi parlo schietto,

Si anderà alla Giustizia.
ORA.                     E palese farò la sua malizia.

PROS.                    Siete ladri, assassini.

GRI.                                                        Bravo, bravo!

Un galantuom voi siete.

Ma se non rifarete

Al pover venditore il prezzo onesto,

Voi andrete in prigion, ve lo protesto.

PROS.                               Tal insulto ad un mio pari?

Ho sborsato i miei danari, Ed ho fatto - quel contratto Ch'è piaciuto al venditor. (Ah, mi sento dal timor Palpitar in seno il cor). (da sé)

Ehi sentite: - senza lite Qualche cosa vi darò. (ad Orazio) Ascoltate: - non parlate, Riconoscervi saprò. (a Griffo) Se volete due zecchini... Assassini, malandrini... (Dar danari, oh questo no). (da sé)

Vi darò una tabacchiera. (a Griffo) Ci vedremo questa sera. (ad Orazio) Ah, mi sento dal tormento Che più fiato in sen non ho. Maledetti, io creperò. (parte)

SCENA QUINTA Orazio e Griffo


GRI.                       L'avaro è spaventato.

Non temete, ch'io spero

Ridurlo in caso tale

Che vi paghi il coton quello che vale.
ORA.                     Oh Griffo benedetto!

GRI.                                                        Avete ancora

Quella roba che in cambio egli vi ha data?
ORA.                     L'ho in magazzin gettata

Senza speranza di cavarne un pavolo.
GRI.                       Bene, vedrete ch'io non sono un cavolo.

ORA.                     Siete un uomo di garbo.

GRI.                                                             Ma intendiamoci:

Una man lava l'altra.
ORA.                                                       Vi ho capito.

Sì, sarete servito.

Domandatemi pur quanto volete:

Tutto dal mio buon cor, tutto otterrete.
GRI.                       Non voglio che l'onesto.

Anch'io vivo di questo, e se m'ingegno

Col mio cervello e coll'industria mia,

È di dover ricompensato io sia.

Nel mio mestiere Suole accadere Dei casi brutti: Non è per tutti Fare il sensal. Saper non basta Pesi e misure, Ma le imposture Convien saper: Saper conoscere Chi può pagare; Saper distinguere Chi vuol gabbare: Darla ad intendere All'uno e all'altro. E pronto e scaltro Per profittar, Saper discorrere, Saper trattar. (parte)

SCENA SESTA

Orazio, poi il Conte Ernesto

ORA.                     Questi son quei mezzani,

Che, per dritto o per torto, Fanno trovar contanti, E precipitan spesso i mercadanti. Ma io, per dir il vero,


Per far di più di quello

Comportava il mio stato,

Da me stesso mi son precipitato.
CON.                     Galantuom, vi saluto.

ORA.                                                       Signor Conte,

Per dir la verità,

Mi potria favorir con più bontà.
CON.                     Noi altri cavalieri

Il grado nostro sostener dobbiamo;

E non è poco se vi salutiamo.
ORA.                     Grazie di tanto onor. (con ironia)

CON.                                                       Voi specialmente

Da me non meritate

Trattamento civil.
ORA.                                                  Chiedo perdono.

Nello stato in cui sono,

Creda vossignoria,

Fidar non posso la mia mercanzia.
CON.                     Basta, vi compatisco, e non ostante

Che mi abbiate trattato un poco male,

Di voi fo capitale.
ORA.                                                  In quel che posso

Son qui per ubbidirla.
CON.                                                         Ho di bisogno

Di un abito per me,

Di uno per la mia dama, e le livree

Voglio per gli staffieri.
ORA.                     Ed io la servirò ben volentieri.

Ma, signor...
CON.                                         Vi capisco,

Povero galantuomo!

Bisogno avete di danar. Sentite,

Danar per or non vi darò alla mano;

Vi darò, se volete, tanto grano.
ORA.                     Ed io lo prenderò.

Ed io la servirò senza il danaro;

Ma mi assegni porzion del suo granaro.
CON.                     Il granar di quest'anno

Per altri è già disposto,

Ma vi farò sicuro

Promettendovi il gran l'anno venturo.
ORA.                     E se vien la tempesta?

CON.                                                         In questo caso

Vi pagherò col vino.
ORA.                                                       E se l'inverno

Fa le viti seccar?
CON.                                                  Son cavaliere:

Pagherò ad ogni patto,

E si farà il contratto,

Idest un istrumento

Di pagar l'interesse al sei per cento.
ORA.                     Coi mercanti del loco

Si può fare il contratto in tal maniera,


Ma non con quei che vengono alla Fiera.
CON.                     Ma questa è un'insolenza.

Voglio essere servito,

E se il negate, vi farò pentito.
ORA.                     Pian, pian, la non si scaldi, padron mio,

Che so scaldarmi anch'io.
CON.                                                              Maggior rispetto

Mertano i pari miei.
ORA.                     Son servitor di lei;

La venero e la stimo;

Ma se non ha denari,

Cosa val la nobiltà

Senza il lustro del contante?

Il signore ed il mercante

Non si stima, se non ha. Non ho il capo cincinnato.

Non vo' liscio né stuccato,

Ma mi faccio rispettar,

Se la quaglia fo cantar. Mi fanno ridere

Questi zerbini

Senza quattrini,

Quando pretendono

Farsi stimar.

Non se n'avvedono,

Si fan burlar. (parte)

Signor Conte padron, noi siam del pari.

SCENA SETTIMA

Il Conte solo.


Con questi impertinenti

A ragione mi sdegno.

Sono in un forte impegno,

Mi preme di servir la forastiera;

Ed in tutta la Fiera

Non trovo un sol mercante

Che mi voglia fidar senza il contante.

Ingratissima sorte, e perché mai,

Se nascer mi facesti

Di cor sì liberale,

Forza non darmi al mio costume eguale?

L'entrate ho consumate,

Le terre ho ipotecate, e i mercadanti,

Che non fanno per niente il lor dovere,

Se peggiora il mio destino, Se non cangia il crudel fato,

Fan morir di vergogna un cavaliere.


Infelice sventurato, Son costretto a disperar. Chi il natal sortì meschino, Per costume al mal s'avvezza, Ma chi è nato in splendidezza, Povertà fa delirar. (parte)

SCENA OTTAVA.

Lesbina sola.


Mi ha detto il doganiere

Che Prospero tra un po' dee qui portarsi.

Vo' aspettarlo qui intorno, e potria darsi

Che a forza di lusinghe e di moine

Mi riescisse un dì trarlo al mio fine.

Costui non mi dispiace, e i suoi contanti,

Facendomi sua sposa,

Potriano i giorni miei render brillanti.

Mi ci voglio ingegnar; sol mi dà pena,

Ch'essendo troppo avaro,

Più che a una bella ei fa corte al danaro.

Se questo all'arti mie poi non si move,

Saprò volgermi altrove.

Son giovinetta alfin, che mai sarà?

Vo cercando un buon marito; Chi mi vuole, innalzi un dito, Che star sola io più non so. Ma si sappia, ch'io lo voglio Amoroso e senza orgoglio, Né mi dica mai di no. (parte)

Forse un altro miglior capiterà.


SCENA NONA

Prospetto della Dogana della Fiera.

Prospero con Facchini, Doganiere e Ministri.

PROS.                    Via, signor doganiere,

Consegnar favorisca Le balle di coton che ho comperate,

E che colla mia marca ho già marcate. (Doganiere fa segno che se le prenda) Prendetele, facchini,

Ecco i miei magazzini. (accenna i suoi magazzini) Trasportate là dentro (principia il trasporto) Tutte coteste balle. (Parmi dietro le spalle


Aver sempre il sensal pien di malizia,

E pavento il rigor della Giustizia). (da sé)

Fate presto, vi dico. (ai Facchini)

Oimè! son nell'intrico.

Eccoli qui i bricconi.

Ah, Grifo indegno, il ciel te la perdoni.


SCENA DECIMA Griffo, Orazio, e li suddetti, e un Ministro.

GRI.                       Piano, piano, fermate. (ai Facchini)

Per ordin dei signori

Giudici della Fiera,

Da questo lor ministro,

Ad istanza d'Orazio Galavrone,

Si sequestran le balle di cotone.

(Doganiere fa cenno ai Facchini che partano)
PROS.                    (Povero me! Son morto!)

A me codesto torto?
GRI.                       Se di ciò vi lagnate,

Il di più, che gli spetta, a lui rifate.
ORA.                     I pettini e le spille,

Le tabacchiere e i guanti,

E ogni genere vostro peregrino

Resta per conto vostro in magazzino.
PROS.                    Voglio le balle mie.

GRI.                                                      Se le volete,

Fate quel che dovete.

Pagate giustamente...
PROS.                    No, non vo' dare niente,

Perfida, ingrata gente.

Da tutti assassinato,

Sono precipitato. Anche Lesbina

Mi promise il danar per ingannarmi:

Mi carpì l'orologio,

E uno scudo volea depositarmi.

Non vi è più carità, non vi è ragione:

SCENA UNDICESIMA Orazio, Griffo e li suddetti.

GRI.                       La mercanzia è fermata.

Ora vado in giudizio,

E dirò le ragioni.
ORA.                                                Un avvocato

Ritrovate per me d'abilità.

Vo' abbandonarmi alla disperazione. (parte)


GRI.                       No, che il coton nella difesa andrà.

Lasciate fare a me, so il mio mestiere, E farò il mio dovere. Io mi contento Con poco esser pagato. Povero voi, se c'entra un avvocato! (parte)

SCENA DODICESIMA

Orazio e le Persone suddette che non parlano.

ORA.                     Griffo è un uom singolare. Io son sicuro

Coll'assistenza sua tornar in piedi. Pagherò i creditori, e se non posso Al presente pagar, Griffo dabbene Troverà dei pretesti Per deluder le lettere e i protesti. Quel che più mi pesava Nella disgrazia mia era il vedere A spassarsi tant'altri, e non potere. Or che dall'usuraio Il mio restante avrò, Cospetto! io scialerò. Vo' divertirmi, Né pei debiti voglio intisichirmi.

SCENA TREDICESIMA

Lisaura e detti.

LIS.                                   Son pur nata - sfortunata:

Non so dir che mai sarà. Son da tutti abbandonata: Vo chiedendo invan pietà.

(Il Conte più non vedo;

Rifinito del tutto io già lo credo). (da sé)

ORA.                     (La povera ragazza,

Se del suo cavalier fa capitale, La passerà pur male). (da sé)

LIS.                                                         (Veramente

Io so che i mercadanti Hanno robe e contanti, e sperar posso, Con periglio minor dell'onestà, Impetrare da lor qualche pietà). (da sé)

ORA.                     (Quasi quasi davvero,

Per burlarmi del Conte, con costei

Far qualcosa di più m'impegnerei). (da sé)

LIS.                        Riverisco, signore.

ORA.                                                     Vi saluto.

Ite cercando aiuto?


LIS.                                                       Son costretta

Da barbara disdetta

Il vitto mendicar.
ORA.                                                Ma cosa siete?

Fanciulla o maritata?

Ordinaria, civil, serva o padrona?
LIS.                        Son zitella, signore, e per disgrazia

Son nata nobilmente,

Onde non so far niente: i genitori

Morti mi sono, ed io

Senza aiuto verun, senz'arte alcuna,

Cerco per onestà la mia fortuna.
ORA.                     Veramente il motivo è così onesto,

O chiedete mercé per un pretesto?
LIS.                        Giuro sull'onor mio...

ORA.                                                       Non vi scaldate:

Tutto vi crederò.

Sono un uom di buon cor, vi aiuterò.
LIS.                        Oh, lo volesse il ciel!

ORA.                                                       Ma il signor Conte

Voi dovete lasciar.
LIS.                                                       L'ho già lasciato.

ORA.                     È un povero spiantato;

Io vi farò veder come si fa,

Quando un uomo s'impegna come va.
LIS.                        Grazie alla bontà vostra.

SCENA QUATTORDICESIMA Giacinta e detti.

GIAC.                    Presto, signor Orazio,

Salvatevi e fuggite.
ORA.                                                  Cos'è stato?

GIAC.                    Voi siete ricercato.

ORA.                     Da chi?

GIAC.                                Dalla Giustizia. I creditori

Vi cercano per tutto.
ORA.                                                     Pagherò.

GIAC.                    Quando?

ORA.                                    Quando ne avrò.

GIAC.                                                            Ma intanto...

ORA.                                                                                             Intanto

Griffo dove sarà?
LIS.                        (Sono assai fortunata in verità). (da sé)

GIAC.                    Non lasciate trovarvi.

Vi consiglio celarvi. In casa mia

Venir non vi conviene:

Ma io vi voglio bene,


(Finalmente Il ciel m'ha provveduto). (da sé)
ORA.                     (Quando avrò del danar, le darò aiuto). (da sé)


Io vi nasconderò.

Se venite con me, vi salverò.
ORA.                     Andiam dove vi pare.

Ah, mi sento tremare. (vuol partire)
LIS.                                                         Signor mio, (ad Orazio, con ironia)

Gli rendo grazie della sua bontà.
ORA.                     Accettate la buona volontà. (a Lisaura)

GIAC.                    Cosa vi avea promesso? (a Lisaura)

LIS.                                                             Il suo buon core

Si esibiva di farmi il protettore.
GIAC.                    È ver? Meritereste... (ad Orazio)

ORA.                                                     Andiamo via.

GIAC.                    E voi, padrona mia, (a Lisaura)

Che i protettori ricercando andate...
ORA.                     Presto, per carità. (a Giacinta)

Siete un perfido, un ingrato. Vi dovrei abbandonar. (ad Orazio) Sulla Fiera in questo stato Non si viene a civettar. (a Lisaura) Voglio dir quel che mi pare: (ad Orazio) Vi dovreste vergognare, Questa vita non si fa. (a Lisaura) Siete ben accompagnati: Due falliti, due spiantati; (a tutti due) E la vostra falsità, No, non merita pietà. (parte, seguita da Orazio)

GIAC.                    Non mi seccate.

SCENA QUINDICESIMA

Lisaura sola.

Sempre di male in peggio

Vanno gli affari miei.

Meglio è che torni

Alla mia patria; in seno

Viver potrò de' miei parenti almeno.

Il lusso e l'ambizione

Mi han ridotta così: veder tant'altre

Vestir pomposamente, e non potere

Far lo stesso ancor io, vedermi astretta

A vivere meschina e ritirata,

Fu cagion ch'io partii da disperata.

Fra gli affetti dominanti

L'ambizione in noi prevale;

È peggior d'ogni altro male

L'infelice povertà. Senza amici e senza amanti

Soffrir può la donna altera,


Ma delira e si dispera Per l'interna vanità. (parte)

SCENA SEDICESIMA

Luogo remoto verso le mura della Città, con fabbriche rovinate.

Prospero, vestito alla greca, e Lesbina


LESB.                    Via, caro signor Prospero,

Venite, e non temete.

Già nessun sa chi siete;

Proprio parete un greco.

Non vi conosceria nemmeno un cieco.
PROS.                    Il timor mi avvilisce, e questo peso

Fa ch'io non possa accelerare il passo.
LESB.                    Cosa avete là sotto?

PROS.                                                   Niente, niente.

LESB.                    Che uomo diffidente!

Mi volete celar quel ch'io già so.

A portare il danar vi aiuterò.
PROS.                    No, bisogno non c'è:

Lo vo' portar da me.
LESB.                                                   Bella maniera!

Questo fu sempre degli avari il vizio,

Corrispondere ingrati al benefizio.

Siete da me venuto

Tremante, pauroso,

Temendo con ragione

Per gli scrocchi e le usure andar prigione.

Pietosa io vi ho assistito;

Così vi ho travestito, ed ho mandato

Una barca a cercar per andar via:

E or dubitate della fede mia?
PROS.                    No, di voi non ho dubbio; so che siete

Una donna onorata:

Ma siete delicata, e questo peso

Vi potrebbe stancar più del dovere.
LESB.                    Anzi di sollevarvi avrò piacere.

Date qui.
PROS.                                   Non vorrei

Che fossimo veduti.
LESB.                                                 Non temete:

Il loco dove siamo

Vuoto è d'abitatori,

E possiamo operar senza timori.
PROS.                    Ma per maggior cautela,

Fin che torna colui che dell'imbarco

Ci ha da recar l'avviso, entrar possiamo

Là dentro in quella fabbrica

Del tutto rovinata.


LESB.                                               Andiamo pure.

(Teme sempre l'avaro). (da sé)
PROS.                    (Celerò colà dentro il mio danaro). (da sé)

Ma quant'è che è partito

Quel marinaro che mandaste al porto?
LESB.                    Mezz'ora è già passata. (guarda l'orologio )

PROS.                    Ventun'ora è sonata?

LESB.                                                   Non ancora.

PROS.                    Lasciatemi veder. (chiede l'orologio)

LESB.                                               Guardate pure. (tenendolo al fianco)

PROS.                    Così ci vedo poco.

Lo vorrei nelle mani.
LESB.                                                   Oh, signor no:

Sta bene dove sta. Dica, signore,

Lo vorria, non è ver?
PROS.                                                   (Mi sta sul core). (da sé)

LESB.                             Così avaro, così ingrato

Con chi vi ha beneficato?

Mio signore, in verità,

Questa è troppa crudeltà.
PROS.                             Son tenuto al vostro amore,

So che siete di buon core,

Ma il destin temer mi fa

Di ridurmi in povertà.

LESB.                            Di danar voi siete pieno.

PROS.                            Non è ver, son miserabile.

LESB.                            Ma là sotto?

PROS.                                                 Non c'è niente.

LESB.                            Vo' vedere...

PROS.                                                 Sento gente.

a due                              Presto, presto, andiamo là.

SCENA DICIASSETTESIMA Giacinta ed Orazio, vestito da Capitano inglese, ed i suddetti ritirati; poi Griffo

GIAC.                             Via, venite allegramente,

Dubitar volete invano:

Un inglese capitano

Ciaschedun vi crederà.
ORA.                               Sì, mia cara, veramente

Son tenuto al vostro ingegno;

Dalle insidie, dall'impegno

Con tale arte si uscirà.
GIAC.                             Mi sarete ingrato un dì?

ORA.                               Ah, non dite a me così.

GIAC.                             Nell'imbarco che si aspetta,

Con voi pure io vo' partire.

Giusto ciel, che mai sarà? (si ritirano)


ORA.                               Sì, Giacinta mia diletta,

Voi mi fate il cor gioire.
a due                               Sempre tale, sempre eguale,

Sia la nostra fedeltà.
ORA.                               Ma vi è gente in quella parte. (osservando dove sono entrati li

suddetti)
GIAC.                             Ritiriamoci in disparte.

a due                               Non veduti, noi vedremo,

E sapremo chi sarà. (si ritirano)
LESB.                             Non temete, è un uom di mare:

Che sia quello, si può dare,

Che ci deve trasportar. (a Prospero)
PROS.                             Sì, vediam se è il marinaro.

(Ho nascosto il mio danaro,

Non mi vo' più spaventar). (da sé)
GIAC.                             È Lesbina con un greco:

Franco pur venite meco,

Non abbiam da paventar. (ad Orazio)
ORA.                               Son con voi, non ho paura,

Ma mi sento per natura

Qualche poco il cor tremar.
LESB.                             Ehi, Giacinta, chi è colui?

GIAC.                             È un inglese capitano,

Che sua sposa mi vuol far.
LESB.                             Ed il greco, ch'è qui meco,

È un mercante di Levante

Che mi vuole anch'ei sposar.
GIAC.                             Mi rallegro con Lesbina.

LESB.                             Con Giacinta mi consolo,

a due                               Bella sorte! - bel consorte!

Io mi sento giubilar.
a quattro                          Tutti quattro unitamente

Ci potressimo imbarcar.
ORA.                               Greco mercante,

Per dofe andar? (affetta l'inglese)
PROS.                             Andar Levante

Per alto mar. (affetta il greco)
ORA.                               Foler compagno

Con me fenir?
PROS.                             Stara contenta,

Se mi volir.
ORA.                              Come afer nome?

PROS.                             Star Cocomiro

Mustacostìa,

Star mio paese

Cefalonìa.

E tua persona

Come chiamar?
ORA.                               Star capitano,

Star Fanfalugh,

E mio paese

Star Malborugh.


} adue } adue

} adue } adue

} atre

}

a due

LESB. GIAC.

a quattro

GRI.

}

a due

GIAC. LESB.

PORROAS..      } adue GRI.

GIAC.

LESB.

PROS.

ORA.

GIAC.

LESB.

a due

GRI.

ORA.

PROS.

GRI.

LESB.

GIAC.

PROS.

ORA.

LESB.

GIAC.

GRI.

LESB.

GIAC.

LESB. GIAC. a due

}

a due

PROS.

ORA.

GRI.


Nomi bellissimi, Che famosissimi Per tutto il mondo Si puon chiamar.

Tutti d'accordo

Vadasi a bordo,

Lieti e contenti

Per navigar. Donne belle, donne care,

Non sapreste a me insegnare

Dove Orazio si ritrovi,

Dove Prospero sarà?

Vi è qualch'altra novità?

(Me meschin, che mai sarà?)

L'uno e l'altro si è saputo, Che fuggir voleva astuto; Ed il porto è circondato, E fuggir più non potrà.

Oh, che brutta novità!

(Me meschin, che mai sarà?)

Cosa dice il capitano? (ad Orazio) Signor greco, che pensate? (a Prospero) Che risolvere non sa. E chi son questi signori? Star inglese.

Stara greco. Non son sordo, non son cieco; Vi conosco in verità.

Cosa sento! Chi sarà?

Griffo mio, per carità! (smascherandosi)

Bella, bella, in verità.

Con Giacinta mi consolo

Del famoso capitano. Mi rallegro con Lesbina

Del suo greco veterano. Coll'inglese avrà un bel gusto. Sarà sposa di un bel fusto! Bel consorte! - bella sorte!

Che fortuna che averà! Disgraziato, - sfortunato,

Ahi, di me cosa sarà? Andiamo tosto,

Che di nascosto

Qualche ripiego


PROS.

ORA.

GRI.

PROS.

ORA.

GIAC.

GRI.

PROS.

LESB.

GRI.


}


Si troverà. (Il mio danaro

Lasciar non voglio). (da sé) (Non vi è riparo;

Son nell'imbroglio). (da sé) Venite meco;

Si penserà. Andiam di qua. (verso dove ha lasciato il danaro)

a tre           Andiam di là.

(Il mio danaro). (piano a Lesbina) (La mia porzione). (da sé) Chi può salvarsi, Si salverà.

TUTTI

Sorte crudele, destin tiranno,

Che grand'affanno - mi sento al cor! Da vari affetti turbar mi sento, E il mio spavento - si fa maggior.



ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Camera nella Locanda.

Il Conte e Lisaura vengono uno per parte.

CON.                               Oh fortuna disgraziata!

Tu vuoi farmi delirar.
LIS.                                 Oh meschina sfortunata!

Son vicina a disperar.
a due                               Nel mio stato - sventurato

Che ho da dire, e che ho da far?

LIS.                        Signore, a quel che io sento,

Voi pur vi lamentate.
CON.                     Non vengono l'entrate,

Ci rubano i fattori,

E a noi altri signori,

Che sostener dobbiamo

Il magnifico grado ed autorevole,

Qualche volta ci manca il bisognevole.
LIS.                        Io pur, che nata sono

Con qualche nobiltà...
CON.                                                       Siete voi pure

Del nobile fregiata almo decoro?

Ah! che la nobiltade è un gran tesoro!
LIS.                        È ver, ma all'occasione

Per mangiar poco vale.
CON.                                                         Gl'ignoranti,

Che non san cosa sia la nobiltà,

Non vogliono di noi sentir pietà.
LIS.                        Anch'io dal signor Conte

Qualche aiuto sperai;

Ma non può sovvenirmi, e m'ingannai.
CON.                     Se il lustro del mio sangue

Vi può giovar, ve l'offerisco in dono.

Un cavaliere io sono

Grande, illustre, famoso, e se le prove

Di vostra nobiltà voi mi darete,

Forse dell'amor mio degna sarete.

(Bramo avere una sposa ad ogni patto:

S'è nobile davver, faccio il contratto). (da sé)
LIS.                        (Si vedrebbe, s'ei fosse mio marito,

Maritarsi la fame all'appetito). (da sé)
CON.                     Su via, quai prove avete

Del sangue signoril che voi vantate?
LIS.                        Eccole qui, mirate:

I ricapiti miei, signor, son questi. (dandogli alcuni fogli)


I fogli ch'or vi mostro,

Son tutti autenticati;

E i miei fregi son veri, e son provati.
CON.                     Il vostro genitore

Nobile di Frascati? (leggendo)
LIS.                                                     Sì signore.

CON.                     La vostra genitrice,

Per quel che qui si dice,

Fu dama riminese;

Ed io son pesarese.

La nostra nobiltà

Aver potrebbe qualche affinità.
LIS.                        Ne avrei maggior contento.

CON.                     Cospetto! cosa sento?

L'avolo vostro, il conte Calandrino,

Fu del mio genitor fratel cugino.

Dunque parenti siam?
CON.                                                       Sì, siam parenti.

LIS.                        Si vede in verità,

Poiché abbiamo le stesse facoltà.
CON.                     Ah, la ragion del sangue

Moltiplica il desio

Per voi nel seno mio. Sì, mio tesoro,

Vi venero e vi adoro; ah, se volete,

La sposa mia voi siete, e il mondo avrà

Nei figli nostri il fior di nobiltà.

Idolo mio diletto, Sento scaldarmi il petto Dal più sincero amor.

LIS.                                   Se un'infelice amate,

Scopo di stelle ingrate, Vi offro la destra e il cor.

CON.                                 Sì, voi sarete mia.

LIS.                                   Ma poi di noi che fia?

CON.                                 Deh, non mi tormentate.

LIS.                                   Deh, all'avvenir pensate.

a due                                 Che barbaro tormento!

Ah, lacerar mi sento Dal mio crudel rossor!

CON.                                Cara.

LIS.                                           Mio bene.

a due                                                          Oh Dio!

SCENA SECONDA Giacinta e Griffo e Orazio, travestito come prima.

Idolo del cor mio: Siamo del fato in ira. Quel che il mio cor sospira, Non so sperare ancor. (partono)


GRI.                       Non temete di niente,

Venite francamente;

Già siete sconosciuto,

Ed io sono qui pronto in vostro aiuto.
GIAC.                    Oh, caro signor Griffo,

Anch'io vel raccomando.
ORA.                                                            Parmi sempre

Aver dietro alle spalle

Spie, sbirri, insidiatori:

Mi accompagnan per tutto i miei timori.
GRI.                       Per or non vi è pericolo.

Coi creditori vostri

Ho preso tempo, e fino a questa sera,

Sul finir della Fiera,

Ad aspettar son pronti

Che lor siano da voi saldati i conti.
ORA.                     Come li salderò,

Se danari e se roba or più non ho?
GRI.                       Lasciate fare a me: trovar io spero

La via per cui possiate

Uscir dal labirinto;

Son per impegno ad aiutarvi accinto.
GIAC.                    Gran testa è quella al certo;

Meriterebbe fra gli astuti il serto.
ORA.                     Se Prospero volesse,

Mi potrebbe giovar; ma è un avarone.
GRI.                       Con vostra permissione,

Aspettate ch'io torno.

Poco vi manca a terminare il giorno.

Degli amici sono amico, Quel ch'io faccio, quel ch'io dico, Lo fo sempre di buon cor. E quest'altra gioia bella Qualche cosa merta anch'ella, E per lei m'impegno ancor.

Non vi venga in fantasia Di provare gelosia; (ad Orazio) Qualche premio so ch'io merto, Potrei fare il bell'umor: Ma son troppo di buon cor. (parte)

SCENA TERZA

Giacinta ed Orazio

ORA.                     Griffo è un gran galantuom.

GIAC.                                                            Se vi chiedesse,

Per premio a sue fatiche,

Che a lui voi mi cedeste,


Ditemi, Orazio mio, cosa fareste?
ORA.                     Non lo so in verità:

Troppo alla sua bontà sono obbligato.
GIAC.                    Sì, gli sareste grato

Cedendogli il mio cor placidamente.

Io non feci niente,

Sciagurato, per voi?
ORA.                                                     Faceste assai,

E vi prometto non lasciarvi mai.
GIAC.                    Ma pur, se si trattasse

O d'andare in prigione, o abbandonarmi?
ORA.                     Voi volete tentarmi,

Ed io risponderò:

Prigion, signora no.
GIAC.                                                 Sì, vi ho capito:

Questo è dunque l'amor che per me avete?

Andate pur, che un perfido voi siete.

Povere femmine!

Chi sente gli uomini,

Noi siam le barbare

Senza pietà. Essi c'ingannano,

Crudeli e perfidi,

E poi ci accusano

D'infedeltà. Ma che ingiustizia!

Che crudeltà!

Maggior malizia,

No, non si dà. Noi siam le misere

Che tutto credono;

Da voi succedono

SCENA QUARTA

Orazio solo.

Oh, cospetto di bacco! Pretendono le donne

Che sacrifichi l'uom per la beltà

Vita, roba, danari e libertà?

Roba e danar pur troppo

Per donne ho consumato,

Ma se mi trovo in stato

Di bilanciar la libertà, l'amore,

Sento che dice il core:

Pria che stare in prigione una mezz'ora,

Vadan tutte le donne alla buon'ora.

Non è ch'io sprezzi

Le falsità. (parte)


Di donna i vezzi: Le donne belle Mi sono care, Ma non son rare Nei nostri dì.

Perduta quella, Si trova questa; Perduta questa, L'altra si trova. Per me mi giova Di far così.

Giovani amanti Che mi ascoltate, Se l'approvate Dite di sì. (parte)

SCENA QUINTA Griffo e Prospero collo scrigno sotto.

GRI.                       Ma che diavolo avete?

Camminar non potete?
PROS.                                                     Vado adagio

Perché sono negli anni un po' avanzato,

E poi per lo timor sono sfiatato.
GRI.                       Cosa avete là sotto?

PROS.                                                   Il fazzoletto.

GRI.                       Lo tenete sì stretto?

PROS.                                                   Non vorrei

Che rubato mi fosse.
GRI.                                                      E pesa tanto?

PROS.                    Pesa così, perché il bagnai col pianto.

GRI.                       Voi dite delle inezie

Da narrar a' bambini.

Siete fuori di voi per i quattrini.
PROS.                    Io quattrini non ho. (nel muoversi gli cade lo scrigno)

GRI.                                                    Quello cos'è?

PROS.                    Oh poverino me! (si getta in terra per coprire lo scrigno)

GRI.                       Lo scrigno vi è scappato.

PROS.                    Cosa dite di scrigno? Io son cascato.

GRI.                       Orsù, in poche parole

Pensate a risarcire

Orazio, che da voi fu assassinato;

O, vel protesto, quello scrigno è andato.
PROS.                    Povero scrigno mio!

GRI.                                                      Se vi fidate,

Farò che accomodiate

La faccenda con poco, e sparmierete

Le spese al tribunale.
PROS.                    E quanto ci vorrebbe? Ahi, mi vien male.

GRI.                       Via, con duecento scudi


Io ve l'aggiusterò.
PROS.                    Non veggo lume. Dove sia non so.

GRI.                       Sento gente. Ecco i sbirri.

PROS.                                                          Oimè! tenete.

Dentro di questa borsa

Vi son cento zecchini.

Non mi fate morir, ladri, assassini.
GRI.                       Via, fatevi coraggio;

Tutto accomoderò.

Colla nuova felice io tornerò.
PROS.                    Datemi il mio danaro.

GRI.                                                        Oibò; pensate

A conservar la libertà e la vita.
PROS.                    Ah, che per me è finita.

Sento ch'io sudo e peno.

La borsa vota riportate almeno.
GRI.                       Sì, sì, la porterò. (Con questi scudi

D'Orazio i creditori

Forse accomoderò. Col mio talento

Cercherò che ciascun parta contento). (da sé, e parte)

SCENA SESTA

Prospero, poi Lesbina

PROS.                    Ah Griffo traditore!

Mi ha portato via il core.

Il mio orologio? (furiosamente, incontrando Lesbina)

LESB.                               Piano, piano, mio signore,

Che son femmina onorata; E l'avete già provata La mia bella fedeltà.

Eccola qui la mostra:

Io non voglio rapir la roba vostra.

Anzi, per lo contrario,

Ho tanto amor per voi, che voglio darvi

Prova di quell'affetto

Che per voi chiudo in petto.
PROS.                    Non so che cosa fare

Di quest'amor sguaiato:

Son da tutte le parti assassinato.
LESB.                    (Vo' procurar l'avaro

Di pigliar per la gola).

Signor Prospero,

Voi non mi conoscete.
PROS.                    Voi pur desio di scorticarmi avete.

LESB.                    V'ingannate, signor; mi piange il core

Vedervi in questo stato,


Tradito, assassinato,

E, quel che rende il caso vostro amaro,

Ridotto in povertà senza danaro.
PROS.                    È ver, non ho un quattrino.

LESB.                    Uh! povero meschino,

Merita qualche aiuto.

Ero in qualche trattato

Di vendere il negozio

Di caffè e cioccolata.

L'occasione ho abbracciata:

Ho concluso l'affar come ho potuto,

Ed il mio capitale ho già venduto.
PROS.                    Il danaro dov'è?

LESB.                                            Lo porto meco.

PROS.                    Quanta somma sarà?

LESB.                                                   Ducento scudi.

PROS.                    (Ah, mi darian la vita, e riparato

Il danaro saria che mi han levato). (da sé)
LESB.                    Se voi foste in bisogno...

PROS.                                                          Cosa dite?

Sono in necessità.
LESB.                                               Ve li esibisco.

PROS.                    Sì, Lesbina, li accetto e li aggradisco:

Dateli qui.
LESB.                                     Ma piano:

Se li do a voi, che resterà per me?
PROS.                    Ritornerete a vendere il caffè.

LESB.                    Ma senza capitale?...

PROS.                    Eh, già me lo pensai, vuol finir male.

LESB.                    Anzi finirà bene.

Basta che voi vogliate

Fare una cosa sola.
PROS.                    E che cosa ho da far?

LESB.                                                      Prendermi in sposa.

PROS.                    Sposa?

LESB.                                Voi non avete

Nessun che vi governi. Io senza paga

Vi servirò, signore,

Da moglie, da massara e servitore.

So filar, so cucire,

So tener la scrittura, e lavo i piatti;

So cucinare, e non mi offende il foco;

E vedrete, signor, ch'io mangio poco.
PROS.                    Se tutto quel che dite

Fosse la verità...
LESB.                                               Ve lo protesto.

PROS.                    Dove sono i quattrini?

LESB.                                                      Eccoli, a voi (mostra una borsa)

Senza difficoltà li donerò.

Mi sposerete poi?
PROS.                                                 Ci penserò.

LESB.                             Quel ch'io tengo, e quel ch'io sono,


PROS.

a due

PROS. LESB. PROS.

LESB.

PROS.

LESB. PROS.

LESB. PROS. LESB.

PROS. LESB. PROS. LESB. PROS. LESB. PROS. LESB.

PROS. LESB. PROS. LESB. PROS.

LESB. PROS. LESB. a due

PROS. LESB. PROS. LESB. a due


}


a due


Tutto è vostro, mio signor;

Del danar vi faccio un dono,

E con lui vi dono il cor. Il danar contento accetto,

E son grato al vostro amor;

Ma sposarvi non prometto,

E ci vo' pensare ancor. Cosa dite?

Che vi pare? Mi potete consolare:

Ma non cessa il mio timor. Se vi prendo, che farete? Tutto quel che voi vorrete. Ritornate a replicare

Quel che voi sapete fare. Lavorare, - cucinare,

Scriver lettere e copiare,

Ed andar di qua e di là. Tutto questo va benissimo:

E mangiar?

Mangio pochissimo. Questa è grande abilità.

I quattrini dove sono? Sono pronti. (mostra la borsa)

Date qua. Ma domandovi perdono:

E la man quando verrà? La mia mano?

Signor sì. Il danaro?

Eccolo qui. (Dar la man mi converrà). (da sé) (L'avaraccio cascherà). (da sé) Mia sposina.

Sposo caro, Qua la mano. (chiedendogliela)

Qua il danaro. (chiedendole la borsa)

(Trappolarmi non potrà).

Ecco la borsa. Ecco la destra.

Non la tenete. Non ritirate. Non mi credete? Non vi fidate? Non son capace

D'infedeltà. Questa è la mano. Questa è la borsa. Dolce danaro! Sposo mio caro! Per te il mio core

Lieto si fa.

Giubilo in petto



Per il diletto:

Sì, mio tesoro,

Ti amo e ti adoro.

Il mio contento

Pari non ha. (partono)

SCENA SETTIMA

Veduta della Fiera dalla parte della marina.

Il Conte e Lisaura

LIS.                        Tant'è, marito mio, par che la sorte

Cominci a favorirci. In questo foglio Mi scrive un mio cugino Ch'è morto un ricco cavalier mio zio, E che l'erede universal son io.

CON.                     Presto a Rimini andiamo,

Non per l'avidità

Di vostra eredità, ma per supplire Con splendidezze al grado vostro eguali Alla sontuosità de' funerali.

SCENA OTTAVA Griffo, Orazio, Giacinta e detti.

GRI.                       Sì, coi ducento scudi

Giustamente all'avaro

Per il vostro coton di man levati,

I creditori vostri ho accomodati.
ORA.                     Oh Griffo benedetto,

Voi mi deste la vita. In ricompensa

Di quel che avete fatto,

Vi darò un ferraiolo di scarlatto.
GRI.                       Ed io l'accetterò che ne ho bisogno,

E di onesta mercé non mi vergogno.
ORA.                     Or voglio immantinente

Dispormi al partir mio.
GIAC.                    Voglio venire anch'io.

ORA.                                                         Venite pure.

GIAC.                    Ma dovrete sposarmi.

ORA.                     Sì, sì, vo' maritarmi;

Finor la libertà mi ha rovinato.

Forse mi cangierò, cangiando stato.
GIAC.                    Quando mi sposerete?

ORA.                     Ora ancor, se volete.

GIAC.                    Griffo, venite qua. Ehi, signor Conte,


Favorisca ella pure.

Del nostro matrimonio

Serviran tutti due per testimonio. (Si danno la mano)
LIS.                        Mi rallegro con voi. (a Giacinta)

GIAC.                                                   Povera figlia!

Mi dispiace vedervi

Raminga e sfortunata.
LIS.                        No, no, son maritata:

Il Conte è mio marito,

Ed ho avuto una pingue eredità.
CON.                     Io l'ho sposata per la nobiltà.

GIAC.                    Mi consolo davver.

SCENA ULTIMA Prospero, Lesbina e detti.

PROS.                                                   Ladri, assassini,

Datemi i miei quattrini.
GRI.                                                             Via, tacete.

Ora padron voi siete

Del cotone acquistato;

E l'avete passata a buon mercato.
PROS.                    Datemi almen la borsa.

GRI.                                                           Eccola qui:

Non val dieci quattrini.
PROS.                    Povera borsa, poveri zecchini!

LESB.                    Prospero è mio consorte. (a Giacinta)

GIAC.                    Orazio è sposo mio. (a Lesbina)

LESB.                                                   Io son contenta.

GIAC.                    E son felice anch'io.

GRI.                       Felici siano tutti

Quelli che in questa sera

Venuti sono ad onorar la Fiera! (al Popolo)

CORO

Sì famoso è questo loco, Che a supplir non basta poco All'antica maestà.

Ma conosce a sufficienza L'uditor la differenza, E il perdon ci donerà.

Fine del Dramma