La figlia di Iorio

Stampa questo copione

GABRIELE D'ANNUNZIO

GABRIELE D'ANNUNZIO

La figlia di Iorio

tragedia pastorale di tre atti (1904)

ALLA TERRA D'ABRUZZI

ALLA MIA MADRE ALLE MIE SORELLE

AL MIO FRATELLO ESULE AL MIO PADRE SEPOLTO

A TUTTI I MIEI MORTI A TUTTA LA MIA GENTE

FRA LA MONTAGNA E IL MARE

QUESTO CANTO

DELL'ANTICO SANGUE

CONSACRO


Le persone della tragedia

Lazaro di Roio

Candia della Leonessa

Aligi

Splendore - Favetta - Ornella

Maria di Giave - Vienda

Tedula di Cinzio

La Cinerella - Mnica della Cogna

Anna di Bova - Felvia Ssara

La Catalana delle Tre Bisacce

Maria Cora

Mila di Codra

Femo di Nerfa

Ienne dell'Eta

Iona di Midia

La vecchia dell'erbe

Il cavatesori

Il santo dei monti

L'indemoniato

Un pastore - un altro pastore

Un mietitore - un altro mietitore

La turba

Il coro delle parenti

Il coro dei mietitori

Il coro delle lamentatrici

Nella terra d'Abruzzi, or molt'anni.


ATTO PRIMO

Si vedr una stanza di terreno in una casa rustica. La porta grande sar aperta su l'aia assolata; e vi sar tesa una banda di lana scarlatta per traverso, a impedimento del passo, e alla banda saranno poggiati un bidente e una conocchia; e presso un degli stipiti pender una croce di cera, contro i malefizii. Un uscio chiuso, con l'architrave adornato di mortella, sar nella parete a man dritta; e lungh'essa la parete saranno tre arche di legname. A manca, nella grossezza del muro, sar un camino con la sua cappa molto prominente; e, poco pi in l, un usciuolo; e, quivi presso, un telaio. E vi saranno nella stanza varii utensili e suppellettili, ai loro luoghi, come stipi, scance, trespoli, aspi, fusi, matasse di canapa e di lana appese a una cordella tirata fra due chiodi, mortai, boccali, scodelle, alberelli e fiasche fatti di zucche votate e secche. E vi sar una madia vecchissima che porter scolpita l'imagine di Nostra Donna; e vi sar l'orcio dell'acqua, e il desco. Al soffitto sar sospesa con funi una lunga tavola carica di caci. Due finestrette inferriate, alte dal terreno quattro o cinque braccia, faranno lume ai lati della porta grande; e ciascuna avr la sua spiga di meliga rossa, contro i malefizii.

Scena prima

Splendore, Favetta e Ornella, le tre sorelle, saranno in ginocchio davanti alle tre arche del corredo nuziale, chine a scegliere le vestimenta per la sposa. La loro fresca parlatura sar quasi gara di canzoni a mattutino.

SPLENDORE: Che vuoi tu, Vienda nostra?

FAVETTA: Che vuoi tu, cognata cara?

SPLENDORE: Vuoi la veste tua di lana?

o vuoi tu quella di seta

a fioretti rossi e gialli?

ORNELLA (cantando): Tutta di verde mi voglio vestire,

tutta di verde per Santo Giovanni,

ch in mezzo al verde mi venne a fedire...

Oil, oil, oil!

SPLENDORE: Ecco il busto dei belli ricami

con la sua pettorina d'argento,

la gonnella di dodici tli,

la collana di cento coralli

che ti diede la madre tua nova.

ORNELLA (cantando): Tutta di verde la camera e i panni.

Oil, oil, oil!

FAVETTA: Che vuoi tu, Vienda nostra?

SPLENDORE: Che vuoi tu, cognata cara?

ORNELLA: I pendenti e la collana

e il nastrino chermis.

Ora suona la campana,

la campana di mezzod.

SPLENDORE: Ora viene il parentado

a portarti le canestre,

le canestre di grano trimestre;

e tu, ecco, non sei pronta!

ORNELLA: Tonta e pitonta,

la pecora pel monte

il lupo per la piana

va cercando l'avellana,

l'avellana pistacchina:

questa sposa mattutina,

mattutina come la talpa

che si leva all'alba all'alba,

come il ghiro e il tasso cane.

Senti senti la campana!

(Ella dir la cantilena rapidamente; poi romper in un gran riso e le altre rideranno con lei).

LE TRE SORELLE: Oh Aligi, Aligi, e tu?

SPLENDORE: Di velluto ti vestirai?

FAVETTA: Vuoi dormir settecent'anni

con la bella sonnacchiosa?

SPLENDORE: Il tuo padre a mietitura,

fratel caro; e la stella diana

s' mirata nella falce,

nella falce che non riposa.

FAVETTA: E la tua madre ha messo la sapa

nel vino, e l'nace nell'acqua,

e il garofalo nella carne,

e nel cacio il timo trito.

SPLENDORE: E una pecora abbiamo uccisa,

una pecora grassa d'un anno

che avea capo pezzato di nero,

per la moglie e pel marito.

FAVETTA: E la scapola mancina

per Ustorgio l'abbiamo serbata,

per il vecchio della Fara

che ci fa la profezia.

ORNELLA: E domani San Giovanni,

fratel caro; San Giovanni.

Su la Plaia me ne vo' gire,

per vedere il capo mozzo

dentro il sole, all'apparire,

per veder nel piatto d'oro

tutto il sangue ribollire.

FAVETTA: Su, Vienda! Su, capo d'oro!

Guardatura di vinca pervinca!

Or si falcia alla campagna

quella spiga che ti somiglia.

SPLENDORE: La madre ci disse: Andate.

Tre olive avevo con meco.

Or m'ho anche una susina.

Ho tre figlie ed una figlia.

ORNELLA: Su, Vienda, chiara susina!

Che t'indugi? Scrivi al sole

una lettera turchina

perch oggi non si colchi?

(Rider, e le sue sorelle con lei rideranno).

Scena seconda

Dall'usciuolo entrer la madre loro, Candia della Leonessa.

CANDIA DELLA LEONESSA: Ah cicale, mie cicale,

una a furia di cantare

scoppiata in cima al pioppo.

Or non cantano pi i galli

a destar chi dorme troppo.

Ora cantan le cicale,

tre cicale di mezzogiorno,

che m'han preso un uscio chiuso

per un albero di fronda!

Ma la nuora non ascolta.

Oh Aligi, Aligi figlio!

(L'uscio si aprir. E apparir lo sposo imberbe; che dar il suo saluto con voce grave ed occhi fissi, religiosamente).

ALIGI: Laudato Ges e Maria!

E voi, madre che mi dste

questa carne battezzata,

benedetta siate, madre.

Benedette voi, sorelle,

fiore del sangue mio.

Per voi, per me, la croce mi faccio

in mezzo al viso dove non passi

il falso nemico n morto n vivo,

n fuoco n fiamma,

n veleno n fattura;

n malo sudore lo bagni n pianto.

Padre, Figliuolo e Spirito Santo!

(Le sorelle si segneranno e passeranno la soglia recando le vestimenta. Aligi si appresser alla madre, come trasognato).

CANDIA: Carne mia viva, ti tocco la fronte

con questo pane di pura farina

intriso nella madia che ha cent'anni

nata prima di te, prima di me

spianato sopra l'asse che ha cent'anni

da queste mani che t'hanno tenuto.

Io ti tocco la fronte che sia chiara,

ti tocco il petto che sia senz'affanni,

e questa spalla ti tocco e quest'altra

che ti reggan le braccia alla fatica

e la tua donna vi posi la gota.

E che Cristo ti parli e che tu l'oda!

(Con un panello la madre far il segno della croce sul figlio che sar caduto in ginocchio dinanzi a lei).

ALIGI: Io mi colcai e Cristo mi sognai.

Cristo mi disse: Non aver paura.

San Giovanni mi disse: Sta sicuro.

Senza candela tu non morirai.

Disse: Non morirai di mala morte.

E voi data m'avete la mia sorte,

madre; la sposa voi l'avete scelta

pel vostro figlio nella vostra casa.

Madre, voi me l'avete accompagnata

perch dorma con me sopra il guanciale,

perch mangi con me nella scodella.

Io pascevo la mandra alla montagna,

alla montagna debbo ritornare.

(La madre gli toccher la fronte con la palma, come per cacciarne un'ombra funesta).

CANDIA: lzati, figlio. Come strano parli!

La tua parola cangia di colore,

come quando l'ulivo sotto il vento.

(Il figlio s'alzer, smarrito).

ALIGI: E il mio padre dov', che non lo veggo?

CANDIA: A mietitura con la compagnia,

a far mannelle, in grazia del Signore.

ALIGI: Io ho mietuto all'ombra del suo corpo

prima ch'io fossi cresimato in fronte,

quando il mio capo al fianco gli giungeva.

La prima volta mi tagliai la vena

qui dov' il segno. Con le foglie trite

fu ristagnato il sangue che colava.

Figlio Aligi mi disse figlio Aligi,

lascia la falce e prenditi la mazza;

fatti pastore e va su la montagna.

E fu guardato il suo comandamento.

CANDIA: Figlio, qual la pena che t'accora?

Il sogno incubo forse ti fu sopra?

La tua parola come quando annotta

e sul ciglio del fosso uno si siede

e non segue la via perch conosce

che arrivare non pu dov' il suo cuore,

quando annotta e l'avemaria non s'ode.

ALIGI: Alla montagna debbo ritornare.

Madre, dov' la mazza del pastore,

che giorno e notte sa le vie dell'erba?

Io l'abbia, quando viene il parentado,

che la veda com'io la lavorai.

(La madre andr a prendere la mazza poggiata in un canto, presso il focolare).

CANDIA: Eccola, figlio. Guarda. Le sorelle

per San Giovanni te l'hanno fiorita

di garofali rossi e spicanardi.

ALIGI (mostrando l'intaglio): Io nel legno del snguine le ho meco

sempre, e per mano, le mie tre sorelle,

che m'accompagnan su le vie dell'erba.

Guardate, madre, son tre verginelle,

e tre angeli volano su loro,

e tre stelle comete e tre colombe,

e per ciascuna ho fatto anche un fioretto,

e questo il sole con la mezzaluna,

questo il pianeta, e questo il Sacramento,

e questo il campanile di San Biagio,

e questo il fiume e questa la mia casa.

Ma chi questa che sta su la porta?

CANDIA: Aligi, Aligi, perch vuoi ch'io pianga?

ALIGI: E quaggi, verso il ferro ch'entra in terra,

e quaggi son le pecore e il pastore,

le pecore il pastore e la montagna.

E alla montagna debbo ritornare,

anche se piangi, anche se piango, madre.

(Egli si appogger alla mazza con ambe le mani, e chiner il capo assorto).

CANDIA: Ma la Speranza dove l'hai tu messa?

ALIGI: La faccia sua non la potei 'mparare

per lavorarla, madre, in verit.

(Si udr lontano un clamore selvaggio).

Madre, e chi che grida cos forte?

CANDIA: I mietitori fanno l'incanata.

Dalla pazzia del sole Iddio li scampi,

figlio, e dal sangue li guardi il Battista!

ALIGI: E chi mai tese quella fascia rossa

a traverso la porta della casa

e vi pose il bidente e la conocchia?

Perch non entri la cosa malvagia,

ah, ponete l'aratro e il carro e i buoi

contro la soglia, e le pietre e le zolle,

e la calce di tutte le fornaci,

il macigno con l'orma di Sansone,

la Maiella con tutta la sua neve!

CANDIA: Figlio, che nasce nell'anima tua?

Cristo ti disse: Non aver paura.

Sei desto? Guarda la croce di cera:

fu benedetta il giorno dell'Ascensa.

Su i crdini fu sparsa l'acqua santa.

La cosa trista qui non entrer.

Le tue sorelle han tesa la cintura,

quella cintura che da te fu vinta

prima che tu pastore ti facessi,

vinta alla gara del solco diritto;

te ne ricordi, figlio? Tesa l'hanno

pel parentado che deve passare,

che per passare doni a piacimento.

Perch domandi, se tu sai l'usanza?

ALIGI: Madre, madre, dormii settecent'anni,

settecent'anni; e vengo di lontano.

Non mi ricordo pi della mia culla.

CANDIA: Figlio, che hai? Tu parli per farnetico?

Vin negro ti vers la sposa tua

forse, e a digiuno te lo tracannasti,

sicch tratto tu sei di sentimento?

O Vergine Maria, datemi grazia!

LA VOCE DI ORNELLA (dalla camera nuziale): Tutta di verde mi voglio vestire,

tutta di verde per Santo Giovanni,

ch in mezzo al verde mi venne a fedire...

Oil, oil, oil!

Scena terza

La sposa apparir su la soglia, vestita di verde, sospinta dalle tre cognate.

SPLENDORE: Ecco la sposa. L'abbiamo vestita

con l'allegrezze della primavera.

FAVETTA: L'oro e l'argento nella pettorina,

ma nel resto color d'erba serena.

ORNELLA: Voi prendetela nelle vostre braccia,

o cara madre, e voi la consolate!

SPLENDORE: Su la proda del letto a lacrimare

noi la trovammo, a piangere di pianto

pel pensiere di quella che deserta.

ORNELLA: Pel vaso di garofali che soffre

sul davanzale ov'ella non s'affaccia.

Voi prendetela nelle vostre braccia!

CANDIA: Nuora, nuora, segnai con questo pane

il sangue mio; ed ecco, ora lo spezzo,

lo spezzo sul tuo capo rilucente.

Fa crescere la casa d'abondanza,

come il livito buono che ogni volta

fa traboccar la pasta dalla madia.

Portami pace e non portarmi guerra.

LE TRE SORELLE: Cos sia, madre. Baciamo la terra.

(Si chineranno, toccheranno la terra con la destra, e questa recheranno alle labbra. Aligi sar prostrato come chi prega, in disparte).

CANDIA: O nuora mia, per la tua casa nova

sii come per il fuso il fusaiuolo,

come per la matassa l'arcolaio,

come per il telaio la navicella.

LE TRE SORELLE: Cos sia, madre. Baciamo la terra.

CANDIA: Nuora Vienda, per l'anima tua,

ecco, io ti metto in mezzo al pane mondo.

Le mura della casa, i quattro canti

- l il sole in Dio si leva e l si colca,

quello bacio e quello solato -,

il colmigno e la gronda col suo nido,

gli alari e le catene del camino

chiamo, e il mortaio che pesta il sale bianco

e l'alberello che lo custodisce,

o nuora, chiamo a testimonianza:

come t'ho messa in mezzo al pane mondo

cos ti metto in mezzo al core mio,

per questa vita e per la vita eterna.

LE TRE SORELLE: Cos sia, madre. Baciamo la terra.

(La nuora chiner il volto lacrimoso sul petto della suocera che la cinger con ambe le braccia tenendo tuttavia nell'una mano e nell'altra le due parti del pane. Si udranno le grida dei mietitori. Aligi trasalter, e andr verso la porta. Le sorelle accorreranno).

FAVETTA: I mietitori il gran sole gli impazza,

e come cani abbaiano a chi passa.

SPLENDORE: I mietitori fanno l'incanata.

Nel vino rosso mai non metton acqua.

ORNELLA: E per ogni mannella una sorsata,

e il piede della bica la caraffa.

FAVETTA: Ges Signore, che vampa d'inferno!

Comare Serpe si morde la coda.

ORNELLA: Ahi merc, spiga spiga, paglia paglia,

la falce pria v'abbrucia e poi vi taglia.

SPLENDORE: Ahi merc, padre, per le braccia tue

che son piene di vene alla bisogna.

ORNELLA: O Aligi, Aligi, annuvolato sposo,

il sonno nelle nari t' rimaso.

FAVETTA: Tu la sai bene la canzon rovescia.

Il tuo pan tu l'hai messo nella fiasca

ed il tuo vino dentro la bisaccia.

SPLENDORE: Ecco le donne! Ecco le donne! Vengono.

Su, su, Vienda. Ascigati le lacrime.

Madre, che fate? Vengono. Scioglietela.

Su, capo d'oro. Ascigati le lacrime,

ch troppo hai pianto e i belli occhi ti soffrono.

(Vienda s'asciugher il volto col grembiale. Poi nel grembiale, preso per le cocche, ricever dalla suocera il pane spezzato).

CANDIA: In sangue e latte me lo devi rendere!

Ora, su, vieni. Siediti sul trespolo.

Oh Aligi, e tu anche. Vieni. Svgliati.

L'una di qua, l'altro di l. Sedetevi

qui, figli, all'uscio della vostra camera,

che bene aperto sia, ch s'ha da scorgere

il letto grande, grande che per empiere

il sacco, dico, io ebbi a manomettere

tutto un pagliaio e ci rimase l'anima,

lo stollo nudo con in vetta il pntolo.

(Ella e Splendore porranno due trespoletti contro gli stipiti, e spravi faranno sedere gli sposi, che composti e immobili si guarderanno. Ornella e Favetta spieranno dalla soglia della porta esterna, al sole ardente).

FAVETTA: Ecco, vengono su per la viottola,

tutte in fila: Tedula di Cinzio,

la Cinerella, Mnica, Felvia,

la Catalana delle Tre Bisacce,

Anna di Bova, Maria Cora... E l'ultima?

CANDIA: Vieni, Splendore, aiutami a distendere

meglio la coltre; che di seta doppia

io te l'ho fatta, nuora cara, e vrzica

come un pratello d'erba vetturina

dove tu sei la pecchia mattutina.

(Entrer con Splendore nella camera nuziale).

ORNELLA: Non t'apponi, Vienda? Chi l'ultima?

Nella canestra ha oro di calbigia,

oro che brilla. Chi pu esser mai?

Sotto la spara la sua tempia grigia

come le piume che fa la vitalba.

FAVETTA: La tua vecchia, Vienda, la tua vecchia!

(Vienda si lever, tratta dal balzo del cuore, come per correre in contro; ma nel movimento si lascer sfuggire dal grembiale il pane spezzato. S'arrester, sbigottita. Si udranno, di dentro, i colpi dati con la mano aperta a sprimacciare le materasse).

ORNELLA (con la voce soffocata): Ah! Libera nos, Domine! Raccatta,

raccatta e bacia, che mamma non veda.

(Vienda, come impietrita dal terrore superstizioso, non si chiner a raccogliere ma guater con occhi sgomenti i due pezzi del pane caduti a terra. Aligi, levatosi, occuper il vano dell'uscio come per impedire la vista alla madre).

FAVETTA: Raccatta e bacia, ch l'Angelo piange.

Fa un vto muto, il pi grande che puoi.

Chiama San Sisto, se vedi la morte.

(S'udranno i colpi delle sprimacciate. Verranno sul vento, di men lungi, le grida dei mietitori).

ORNELLA: San Sisto, San Sisto,

lo spirito tristo

e la mala morte,

di giorno e di notte,

tu caccia da questa

tu caccia da noi;

tu strappa e calpesta

ogni occhio che nuoce.

Qui faccio la croce.

(Mormorando lo scongiuro, ella raccatter rapidamente i due pezzi del pane, li premer l'un dopo l'altro su la bocca della cognata, poi li riporr nel grembiale, col pollice vi far il segno. E trarr gli sposi a risedre, mentre la prima delle donne con l'offerta frumentaria apparir nel vano della porta soffermandosi dinanzi alla cintura tesa).

Scena quarta

Le donne porteranno sul capo una canestra di grano adorna di nastri variati e sul grano un pane e fitto nel pane un fiore. Ornella e Favetta prenderanno le estremit della banda vermiglia, cui rimarran poggiati il bidente forbito e la conocchia col pennecchio; e le terranno in pugno a precludere il passo.

TEDULA DI CINZIO: Oh, chi guarda il ponte?

FAVETTA E ORNELLA: Amore e Ciecamore.

TEDULA: Io passare lo voglio.

FAVETTA: Voler non valore.

TEDULA: Ho pur passato il monte,

ho pur passato il piano.

ORNELLA: La piena ha rotto il ponte,

il fiume va lontano.

TEDULA: Passami con la barca.

FAVETTA: La barca mi fa acqua.

TEDULA: Ti do io stoppa e pece.

ORNELLA: La barca ha sette falle.

TEDULA: Ti do sette tornesi.

Passami con le spalle.

FAVETTA: No, no, non mi conviene.

E dell'acqua ho pavento.

TEDULA: Passami con le schiene.

Ti do un tar d'argento.

ORNELLA: poco: otto baiocchi.

Non basta pel ristoro.

TEDULA: Su, ndati i ginocchi.

Ti do un ducato d'oro.

(La donna dar una moneta a Ornella, che la ricever nella palma sinistra, mentre le altre portatrici di canestre sopraggiunte si aduneranno sul limitare. I due sposi resteranno seduti su i trespoli aspettando in silenzio. Candia e Splendore esciranno dalla stanza nuziale).

ORNELLA E FAVETTA: Passate, Signoria,

con vostra compagnia.

(Ornella riporr in seno il tributo e toglier la conocchia. Favetta toglier il bidente, poggiando contro gli stipiti i due emblemi rurali. Ornella trarr verso di s la cintura che, agitata, serpegger nell'aria come un vessilletto. Le donatrici entreranno l'una dopo l'altra, in fila, con le canestre sul capo).

TEDULA DI CINZIO: Pace a te, Candia della Leonessa.

Pace al figlio di Lazaro di Roio.

Pace alla sposa che gli ha dato Cristo.

(Ella deporr la sua canestra ai piedi della sposa; prender un pugno di grano e lo sparger sul capo di lei; ne prender un altro pugno e lo sparger sul capo del giovine).

Questa la pace che vi manda il Cielo.

E che i capegli vi si faccian bianchi

su l'istesso guanciale, in gran vecchiezza!

E che tra voi non sia colpa e vendetta,

non sia menzogna, n cruccio n guasto,

d per d, sino all'ora del trapasso!

(La seguente ripeter la cerimonia; le altre resteranno in fila aspettando la lor volta, con le canestre sul capo. L'ultima, la madre della sposa, star ancra presso la soglia, soffermata; e col lembo del grembiale si asciugher le gocce del sudore e del pianto. Crescer la sciarra dei mietitori e sembrer avvicinarsi. Vi si mescer, or s or no, il suono delle campane).

LA CINERELLA: Questa la pace e questa l'abondanza.

(Scoppieranno d'improvviso grida di donna nell'aia riarsa).

LA VOCE DELLA SCONOSCIUTA: Aiuto, per Ges Nostro Signore!

Gente di Dio, gente di Dio, salvatemi!

Scena quinta

In corsa, ansante di fatica e di spavento, coperta di polvere e di pruni, simile alla preda di caccia inseguita dalla muta, una donna col volto tutto nascosto dall'ammantatura entrer per la porta aperta e si ritrarr in un canto, dalla parte avversa a quella degli sposi, presso il focolare inviolato.

LA SCONOSCIUTA: Gente di Dio, salvatemi voi!

La porta! Chiudete la porta!

Mettete le spranghe! Son molti,

hanno tutti la falce. Son pazzi,

son pazzi di sole e di vino,

di mala brama e di vituperio.

Mi vogliono prendere, me

creatura di Cristo, me

sventurata che male non feci.

Passavo. Ero sola per via.

Allora le grida, gli insulti,

le zolle scagliate, la corsa...

Ah, son come cani furenti.

Mi vogliono prendere. Strazio

faranno di me sventurata.

Mi cercano. Gente di Dio,

salvatemi! La porta, chiudete

la porta! Son pazzi. Entreranno.

Di qui mi strapperanno, dal vostro

focolare (Dio non perdona),

dal focolare benedetto

(Dio tutto perdona e non questo).

Sono un'anima battezzata.

Aiuto, per Santo Giovanni,

per Maria dei Sette Dolori,

per l'anima mia, per l'anima vostra!

(Ella star sola presso il focolare. Tutte le altre donne saranno adunate dalla parte avversa. Vienda sar stretta al fianco della sua madre, e da presso avr la sua matrina Tedula di Cinzio. Aligi sar in piedi, fuori dello stuolo donnesco; e guater senza batter ciglio, poggiato alla sua mazza. Subitamente Ornella si precipiter alla porta, chiuder le imposte, metter la spranga. Un mormorio inimichevole correr nel parentado).

Ah, dimmi come ti chiami,

ch'io possa lodare il tuo nome

quando me n'andr per la terra,

tu che alla piet fosti la prima,

tu che sei la pi giovanetta!

(Affranta ella si lascer cadere su la pietra del focolare; e, tutta curva in s medesima, con il viso quasi tra le ginocchia, romper in singhiozzi. Ma le donne resteranno adunate, in guisa di greggia, diffidenti. Soltanto Ornella far un passo verso la sconosciuta).

ANNA DI BOVA (a bassa voce): Chi costei, santa Vergine?

MARIA CORA: Or s'entra cos nelle case

della gente di Dio timorata?

MNICA DELLA COGNA: E tu, e tu, Candia, che dici?

LA CINERELLA: Or lascerai chiusa la porta?

ANNA DI BOVA: All'ultima di tua figliuolanza

or passata la signoria?

LA CATALANA DELLE TRE BISACCE: Ti reca la mala ventura

la cagna randagia, per certo.

FELVIA SSARA: Hai tu visto? Entrata nel punto

che la Cinerella spargeva

su Vienda il pugno di grano,

n Aligi avuto ha la sua parte.

(Ornella far un altro passo verso la dolente. Favetta escir dallo stuolo e la seguir ).

MNICA: E noi? come siam noi qui rimase

con in capo le nostre canestre?

MARIA CORA: Gran malaugurio sarebbe

se ora ce le volessimo trre

del capo senza fare l'offerta.

MARIA DI GIAVE (stringendo la sposa): Figliuola mia, San Luca ti guardi

e San Matteo con Sant'Antonino!

Crcati lo scapolare in seno,

digli tre ave e tinilo forte.

(Anche Splendore escir dallo stuolo e seguir le sue sorelle. Le tre giovanette staranno in piedi davanti alla sconosciuta che rester curva nell'ambascia).

ORNELLA: Affannata sei, creatura.

Sei piena di polvere, e tremi.

Non piangere pi, ch sei salva.

Di sete ardi e bevi il tuo pianto!

Vuoi un sorso d'acqua e di vino?

Ti vuoi rinfrescare la faccia?

(Ella prender un boccaletto, attinger l'acqua dall'orcio, verser il vino dalla fiasca, mescendoli).

FAVETTA: Sei di questo paese? o di dove?

Venivi di molto lontano?

E dove andavi, creatura,

tu sola cos, per la terra?

SPLENDORE: Forse hai qualche male, meschina!

Hai fatto un vto di dolore.

Andavi forse all'Incoronata,

o a Santa Maria della Potenza?

La Vergine ti faccia la grazia!

(La donna sollever a poco a poco la faccia nascosta ancra dall'ammantatura).

ORNELLA (offrendole il ristoro): Bevi, creatura di Cristo.

(S'udr venire dall'aia uno scalpicco di piedi scalzi, e un voco confuso. La straniera, ripresa dal terrore, non berr ma poser il boccaletto su la pietra del focolare. Balzer in piedi, e si rifuger di nuovo nel canto, con gran tremito).

LA SCONOSCIUTA: Eccoli! Eccoli! Vengono. M'hanno

cercata. Mi vogliono prendere.

Non parlate, non rispondete,

per misericordia! Crederanno

la casa deserta, e se n'andranno

senza far male. Ma se odono

parlare, se voi rispondete,

se sanno per certo ch'entrata

sono, forzeranno la porta.

Son pazzi di sole e di vino,

cani furenti. E qui c' un uomo;

ed essi son molti, e hanno tutti

la falce... Per misericordia!

Per queste giovanette innocenti!

Per voi, serve di Dio, donne sante!

IL CORO DEI MIETITORI (davanti la porta): - La casa di Lazaro! Certo

che qui entrata la femmina.

- Hanno chiusa la porta, hanno chiusa.

- Cercate per questi pagliai.

- Cerca l nel fenile, Gonzelvo.

- Ah! Ah! Nella casa di Lazaro,

nella gola del lupo! Ah! Ah! Ah!

- O Candia della Leonessa!

- Cristiani, oh, siete morti?

(Batteranno alla porta).

- O Candia della Leonessa,

ricetto tu di a bagasce?

- Or ti sei data a fornire

di mala carne tu stessa

il tuo uomo che se ne sazia?

- Se c' la femmina, aprite,

cristiani, e datela a noi

che la mettiam su la bica.

- Menatela fuori, menatela,

ch la vogliamo conoscere.

- Alla bica! Alla bica! Alla bica!

(Batteranno e schiamazzeranno. Aligi si mover, e andr verso la porta).

LA SCONOSCIUTA (implorando sommessa): Giovine, giovine, abbi piet!

Abbi piet! Non aprire!

Non per me, non per me, ma per tutte,

ch non prenderanno me sola.

Imbestiati sono. Li senti

alle voci? Il demonio li tiene,

il demonio di mezzod,

la contagione dell'afa.

E, se entrano, tu che farai?

(Un gran furore agiter le donne del parentado, ma elle si ratterranno).

LA CATALANA: Or vedi a che siamo ridotte

noi gente di pace, per una

che si nasconde la faccia!

ANNA DI BOVA: Apri, Aligi, apri la porta

per quanto ci passi costei.

Afferrala e cacciala fuori.

Poi richiudi e spranga. E laudato

sia Ges Nostro Signore.

E sabato sia, per le streghe.

(Il pastore si volger all'ammantata, irresoluto. Ornella si frapporr e l'arrester; far il segno del silenzio, andr alla porta).

ORNELLA: Chi che batte alla porta?

IL CORO DEI MIETITORI: - Silenzio! Silenzio! Silenzio!.

- Di dentro qualcuno risponde.

- O Candia della Leonessa,

sei tu che rispondi? Apri! Apri!

- Siamo i mietitori di Norca,

la compagnia di Cataldo.

ORNELLA: Non sono Candia. Candia ha faccenda.

Uscita per tempo stamane.

UNA VOCE: E tu? tu allora chi sei?

ORNELLA: Io sono di Lazaro, Ornella.

Il mio padre Lazaro di Roio.

Ma voi perch siete venuti?

UNA VOCE: Apri, ch vogliamo vedere.

ORNELLA: Aprire non posso. La mia madre

m'ha chiusa, e col parentado

uscita se n'; ch abbiamo

le sposalizie. Il mio fratello

Aligi, il pastore, ha tolto moglie,

ha tolto Vienda di Giave.

UNA VOCE: Non hai tu aperto a una femmina,

or poco, che aveva paura?

ORNELLA: A una femmina? Andate con pace,

mietitori di Norca. Cercate

altrove. Io mi torno al telaio,

ch ogni mandata di spola

perduta non pi si racquista.

Dio vi guardi dal fare peccato,

mietitori di Norca; e a voi doni

la forza di mietere il campo

innanzi sera infino alla proda,

a me poverella di trarre

la penerata dai licci.

(D'improvviso, in alto, alla finestra inferriata, si vedranno due mani villose afferrare le sbarre e la faccia bestiale di un mietitore apparire).

IL MIETITORE (urlando): Capoccio, la femmina c'!

dentro, dentro! La zita

ci volea gabbare, la zita.

La femmina c'. Ecco, l,

l nel canto. La vedo, la vedo.

E ci sono gli sposi, ci sono,

e il parentado c' con le dnora,

c' la raunanza del grano.

Uh, capoccio, quante pollanche!

IL CORO DEI MIETITORI: - Se c' la femmina, aprite,

ch vi fa vergogna tenerla.

- Menatela fuori, menatela,

ch le daremo la sapa.

- Aprite, aprite, su, e a noi datela.

- Dtecela ch la vogliamo.

- Alla bica! Alla bica! Alla bica!

(Picchieranno e schiamazzeranno. Dentro, le donne si agiteranno sbigottite. La sconosciuta rester laggi nell'ombra, sembrer che si sforzi di seppellirsi nel muro).

IL CORO DELLE PARENTI: - Aiutaci, Vergine santa!

- Ci di tu questa vigilia,

o Santo Giovanni Battista!

- Questo danno ci di, questo scorno

ci di, Decollato, oggi in punto!

- Candia, t' fuggita la mente?

- O Candia, che fai, che aspetti?

- Divenuta sei fuori di senno,

Ornella, e le tue suore con teco?

- Gi fu sempre mezzo pazziccia.

- Ma datela dunque, ma datela

a questa mala razza incanita!

IL MIETITORE (aggrappato alle sbarre): Pecoraio, pecoraio Aligi,

ti piace alle tue sposalizie

tenerti la pecora marcia,

la pecoraccia scabbiosa?

Bada non t'infetti il tuo branco

e a mglieta non dia contagione.

O Candia della Leonessa,

sai tu chi ricetti in tua casa

con la tua nuora novella?

La figlia di Iorio, la figlia

del mago di Codra alle Farne,

bagascia di fratta e di bosco,

putta di fenile e di stabbio,

Mila, intendi?, Mila di Codra,

la svergognata che fece

da bandiera a tutte le biche.

Ogni compagnia la conosce.

Or venuta la volta

dei mietitori di Norca.

Menatela fuori, menatela,

ch la vogliamo conoscere.

(Aligi pallidissimo si avanzer verso la misera che star rannicchiata nell'ombra; e le strapper di dosso l'ammantatura scoprendole il volto).

MILA DI CODRA: No, no, non vero. Menzogna!

Menzogna! Non gli credete,

non gli credete a quel cane.

il maledetto suo vino

che gli fa regurgito in bocca.

Se Dio l'ha udito, in sangue

nero glie lo converta e l'affoghi!

No, non vero. menzogna.

(Le tre sorelle si copriranno gli orecchi con ambe le palme quando il mietitore riprender a dir vitupro).

IL MIETITORE: O svergognata, ti sanno

ti sanno le prode dei fossi.

Sotto di te mille volte

bruciata la stoppia, magalda.

Gli uomini t'hanno giocata

a colpi di falce e di forca.

Aspetta, aspetta, Candia, il tuo uomo:

e vedrai. Bendato ei ti torna,

certo. Stamane, nel campo

di Mispa, Lazaro ha fatto lite

con Rainero dell'Orno,

per chi? per la figlia di Iorio.

Or tinitela tu nella casa,

fa che qui se la trovi il tuo uomo,

mettila a giacitura con lui.

Aligi, Vienda di Giave,

datele, datele il vostro letto.

E voi del parentado, comari,

versatele il grano in sul capo.

E noi torneremo co' suoni,

pi tardi, tornerem per la fiasca.

(Il mietitore lascer le sbarre e scomparir, saltando a terra, tra lo schiamazzo della compagnia).

IL CORO DEI MIETITORI: - Dateci la fiasca! l'usanza.

- La fiasca, la fiasca e la femmina!

(Aligi star con gli occhi fissi a terra, ancor tenendo pel lembo l'ammantatura ch'ei tolse).

MILA: Innocenza, innocenza di queste

giovanette, tu udito non hai,

l'iniquit udito non hai.

Ah dimmi che udito non hai,

almeno tu, Ornella, almeno

tu che volevi salvarmi!

ANNA DI BOVA: Non t'accostare, Ornella! Ti vuoi

tu perdere? figlia di mago,

fa nocimento a chiunque.

MILA: S'accosta perch dietro me

vede piangere l'Angelo muto,

il custode dell'anima mia.

(Aligi si volger subitamente verso di lei e la guarder fiso).

MARIA CORA: Ah sacrilegio, sacrilegio!

LA CINERELLA: Ha biastemato, ha biastemato

contro l'Angelo del Paradiso!

FELVIA: Ti sconsacra il tuo focolare,

Candia, se tu non la cacci.

ANNA DI BOVA: Fuori, fuori! tempo. O Aligi,

afferrala e gettala ai cani.

LA CATALANA: Ti conosco, Mila di Codra.

Alle Farne t'han per flagello.

Io ben ti conosco. Sei tu,

sei tu che facesti morire

Giovanna Camtra e il figliuolo

di Panfilo delle Marane,

e Afuso togliesti di senno,

e dsti il mal male a Tillra.

E di te mor anco il tuo padre,

che in dannazione e ti danna!

MILA: Che Dio abbia l'anima sua!

Che la raccolga Dio nella pace!

Ah, tu ora hai fatto biastema

contro l'anima del trapassato.

Che la tua parola ricada

sopra di te, davanti alla morte!

(Candia sar seduta su una delle arche nuziali, taciturna in gran tristezza. Si alzer, passer per mezzo allo stuolo iracondo, e s'avanzer verso la perseguitata, lentamente, senza ira).

IL CORO DEI MIETITORI: - Oh! Oh! Quanto s'aspetta?

Avete voi fatto consiglio?

- O pecoraio, pecoraio,

dunque te la vuoi tenere?

- Candia, e se Lazaro torna?

- Uscire non vuole? Aprite,

aprite, che vi diamo una mano.

- Dateci intanto la fiasca.

- La fiasca, la fiasca! l'usanza.

(Un altro mietitore s'aggrapper all'inferriata e mostrer la faccia tra le sbarre).

IL MIETITORE: Mila di Codra, escire t' meglio,

ch oggi scampare non puoi.

Or ci mettiam qui sotto la querce

a giocarti con gli aliossi,

che ciascun giochi la sua volta.

Per te non faremo noi lite

come Lazaro con Rainero.

Non ti darem sangue ma caglio.

Per, quando l'ultimo cui tocca

giocato abbia, se uscita non sei,

e noi sforzeremo la porta;

poi faremo le cose alla grande.

Or tieniti per avvisata,

Candia della Leonessa.

(Si ritrarr, saltando a terra. Lo schiamazzo si placher alquanto. S'udr, nei silenzii intermessi, lo scampanio lontano delle pievi).

CANDIA: Creatura, io sono la madre

di queste tre giovanette

e di questo giovane sposo.

Nella nostra casa eravamo

in pace, con la grazia di Dio,

a santificare le nozze.

Vedi le canestre del grano

e il fiore nel pan benedetto!

Entrata tu sei d'improvviso

a darci travaglio e corruccio.

La visita del parentado

tu l'hai rotta, e un tristo presagio

hai messo nel cuore di tutti;

e mi piangon le viscere mie,

e mi piange l'anima dentro.

Pula fatto il buono frumento!

E di venire a peggio si teme.

Or necessit che tu vada,

che tu vada con Dio, che per certo

ti aiuter se tu ti confidi.

Creatura, ogni male ha cagione.

Volont ci fu di salvarti.

Or vattene co' piedi tuoi lesti,

perch di noi niuno ti tocchi.

Il figliuol mio t'apre la porta.

(La vittima ascolter con umilt, a capo chino, tutta tremante e sbiancata. Aligi andr verso la porta a origliare. Pel volto gli si manifester la grande ambascia).

MILA: Madre cristiana, la terra

io bacer sotto il tuo passo.

E perdno ti chiedo, perdno,

con l'anima mia nella palma

della mia mano, per questa

pena che ti reco io sciagurata!

Ma non io la tua casa cercai.

Cieca, cieca io era di spavento.

Su la via dello scampo condotta

fui dal Signore che vede,

perch presso il tuo focolare

io perseguitata trovassi

la piet che santifica il giorno.

Abbi piet, madre cristiana,

abbi piet; e per ogni granello

del frumento che in quelle canestre

Dio te ne render pi di mille.

LA CATALANA (a bassa voce): Non l'ascoltare! Chi l'ascolta

si perde. la falsa nemica.

Io so che il suo padre, per farle

dolce la voce, le dava

la rdica della sterlndia.

ANNA DI BOVA: Non vedi come Aligi la guata?

MARIA CORA: Bada! Bada che non gli s'appicchi

la mala febbre, Dio liberi!

FELVIA: Udito non hai il mietitore,

quel che diceva di Lazaro?

MNICA: Resteremo noi fino a vespro

con queste canestre sul capo?

Ora getto in terra la mia.

(Candia star intenta al suo figliuolo. Subitamente paura e sdegno l'assaliranno. Ed ella grider forte).

CANDIA: Vattene, vattene, figlia

di mago. Vattene ai cani.

Nella mia casa io non ti voglio.

Aligi, Aligi, apri la porta!

MILA: Madre di Ornella, madre d'amore,

Dio tutto perdona, e non questo.

Se mi calpesti, Dio ti perdona.

Se mi strappi gli occhi e la lingua,

se le mani mi tagli, che credi

malvage, Dio ti perdona.

Se mi sffochi, Dio ti perdona.

Se mi stronchi, e Dio ti perdona.

Ma se ora (ascolta, ascolta

la campana che suona per Santo

Giovanni) se ora tu prendi

questa povera carne di doglia

che fu battezzata in Ges,

la prendi e la getti su l'aia,

sotto gli occhi delle tue figlie

immacolate, la prendi

e la getti su l'aia allo strazio,

alla mala brama degli uomini

la di, all'immondizia e alla rabbia,

o madre di Ornella, madre

d'innocenza, se tu questo fai,

se fai questo, Dio ti condanna.

LA CATALANA: No, non ha avuto il battesimo.

Il suo padre non fu seppellito

in campo santo; ma sotto

un mucchio di selci. L'attesto.

MILA: Il demonio dietro di te, donna,

e hai la bocca nera di frode.

LA CATALANA: O Candia, la senti, la senti?

Anche c'ingiuria! Fra poco

ti caccer dalla casa,

e t'accadr senza fallo

quel che il mietitore ti disse.

ANNA DI BOVA: Su, Aligi, trascinala fuori!

MARIA CORA: Non vedi Vienda, non vedi

la tua sposa che par che si muoia?

LA CINERELLA: Che uomo sei tu? T' fuggita

dalle tue ossa la forza,

e nella tua bocca la lingua

seccata s', che non fiati?

FELVIA: Svanito tu sembri. Smarristi

su la montagna il tuo sentimento,

e il tuo senno gi pel tratturo?

MNICA: Non vedi che ancra non lascia

il fazzuolo, da poi che l'ha tolto?

Appiccato gli s' alle dita.

LA CATALANA: Divenuto ti mentecatto

il tuo figlio, Candia, Dio t'aiuti!

CANDIA: Aligi, Aligi, non odi?

Che fai? Dove sei? Fuor di mente?

Che nasce nell'anima tua?

(Ella gli toglier dalla mano il panno e lo getter a terra, verso la sbandita).

Aprir io la porta; e tu fa

ch'ella esca, tu spingila fuori...

Aligi, a te parlo, m'intendi?

Ah, dormito tu hai veramente

settecent'anni, settecent'anni;

e non hai conoscenza di noi!

Donne, piace a Dio di disfarmi.

Io mi credea che in questi due giorni

piacesse a Dio darmi una posa,

tanto che inghiottir mi potessi

meno amara almen la saliva.

Figlie, prendetemi nell'arca

la mantelletta mia nera

e copritemi il capo, ch'io faccia

lamento nell'anima mia.

(Il figlio scoter il capo. Un misto di demenza e di sgomento gli sconvolger la faccia rigata dal sudore. Parler come chi delira).

ALIGI: Or che volete da me, madre?

Io pur dissi: Ponete

contra la soglia l'aratro,

il carro, i buoi, le pietre, le zolle,

la montagna con tutta la neve...

Io che vi dissi? voi che diceste?

Ecco, s, la croce di cera

benedetta il d dell'Ascensa,

l'acqua santa nei crdini. Madre,

che volete ch'io faccia? Era notte,

era prima dell'alba, era notte

quando per venire si mosse.

Profondo, profondo era il sonno,

o madre. Per non m'avevate

voi messo papavero nel vino.

E fallito quel sogno di Cristo.

Io so questa cosa onde viene;

ma ratterr la mia bocca.

Femmine, che volete da me?

ch'io l'afferri per i capegli?

ch'io la trascini su l'aia?

ch'io la getti ai cani affamati?

Bene, s, lo far. Far questo.

(Quando egli si avanzer verso Mila di Codra, ella si rifuger presso il focolare).

MILA: Non mi toccare! Peccato fai

contro la legge del focolare,

tu fai peccato grande mortale

contro il tuo sangue, contro la legge

della tua gente, de' vecchi tuoi.

Io su la pietra del focolare

il vino verso che mi fu dato

da una sorella della tua carne.

Se tu mi tocchi, se tu m'offendi,

tutti i tuoi morti nella tua terra,

quelli degli anni dimenticati,

i pi lontani, i pi lontani,

settanta braccia sotto la zolla

avranno orrore di te in eterno.

(Preso il boccale, ella verser il vino su la pietra inviolabile. Le donne allora getteranno alte strida).

IL CORO DELLE PARENTI: - Ahi, che ha magato il camino!

- Ha messo mistura nel vino

l'ho vista, l'ho vista, in un lampo.

- Prendila, prendila, Aligi,

e toglila di su la pietra.

- Acciuffala per i capegli.

- Aligi, non avere paura

ch l'iscongiuramento non vale.

- Di l toglila e spezza il boccale,

tu spezzalo contro un alare.

- Spicca la catena e mttigliela

al collo e girala tre volte.

- Ha magato, ha magato il camino!

- Ahi, ahi, che la casa d crollo!

Ahi, quanto pianto qui sar pianto!

IL CORO DEI MIETITORI: - Oh, oh, attaccate riotta?

- Noi siam qui, siam qui che s'aspetta.

- L'abbiamo giocata e siam pronti.

- Pecoraio, mnala fuori!

- Su, su, che sfondiamo la porta.

(Picchieranno e schiamazzeranno).

ANNA DI BOVA: Ecco, ecco, prendete pazienza

anche un poco, buoni uomini. Aligi

la tira. Mo mo voi l'avete.

(Forsennato il pastore prender per un de' polsi la vittima che si divincoler gridando).

MILA: No, no, no! Ti danni, ti danni.

Piuttosto tu schiacciami il capo,

tu battimi il capo alla spranga,

poi gettami morta di fuori.

No, no! Su te il castigo di Dio!

Ti nasceranno le serpi

dal ventre della tua donna.

Non dormirai, non dormirai

pi mai; non avrai pi riposo;

i cigli ti sanguineranno.

Ornella, Ornella, difendimi

tu, aiutami tu! Abbi ancra

piet! Sorelle in Cristo, aiutatemi!

(Ella si svincoler dalla stretta, e fuggir verso le tre sorelle che le faranno riparo. Cieco di furore e d'orrore, Aligi lever la sua mazza sul capo di lei per colpirla. Subitamente le giovanette romperanno in gran pianto. Egli s'arrester, al suono del pianto; lascer cadere a terra la mazza; si gitter ginocchioni, a braccia aperte).

ALIGI: Merc di Dio! Fatemi perdonanza!

L'Angelo muto ho visto, che piangeva;

che lacrimava come voi, sorelle,

che lacrimava e mi guardava fiso.

Lo vedr fino all'ora del trapasso

e ancra lo vedr nell'altra vita.

Io ho peccato contro il focolare,

contro i miei morti e contro la mia terra

che pi non mi vorr tenere seco,

che non vorr sepolto il corpo mio.

Sorelle, per lavarmi del peccato,

nella cenere sette e sette giorni

tante croci far con la mia lingua

quante sono le lacrime versate

dagli occhi vostri, e l'Angelo le conti

e il novero mi metta nel mio cuore.

Voglio cos pigliare perdonanza

davanti a Dio, sorelle; e voi pregate,

pregate per Aligi fratel vostro

che alla montagna deve ritornare.

E quella che pat l'onta e l'ambascia

consoler voi. Datele a bere,

toglietele la polvere, con l'acqua

e con l'aceto i suoi poveri piedi

confortate, che forse le dorranno.

Io non volea recarle onta, ma tratto

fui dalle voci; e chi mi trasse al male

gran dolore n'avr per i suoi giorni.

Mila di Codra, mia sorella in Cristo,

donami perdonanza dell'offesa.

Questi fioretti di Santo Giovanni

io tolgo dalla mazza del pastore

e te li metto qui davanti ai piedi.

Io non ti guardo, ch me ne vergogno.

Dietro di te sta l'Angelo dolente.

Ma questa mano trista che t'offese,

col tizzo brucer questa mia mano.

(Trascinandosi su i ginocchi andr verso il focolare e, stando carpone, cercher un tizzo ancra acceso, lo prender con la manca, ne porr la punta nel cavo della destra mano).

MILA: T' perdonato! No, non ti bruciare!

Da me t' perdonato, e Dio riceva

il pentimento. Lvati dal fuoco!

Uno solo il Signore del castigo;

quello che ti diede la tua mano

per guidar le tue pecore nei paschi.

E come pascerai tu la tua mandra

se la tua mano ti s'inferma, Aligi?

Da me t' perdonato in umilt.

E del tuo nome io mi ricorder

a mezzod, ma pure mane e sera

quando pasturerai su la montagna.

IL CORO DEI MIETITORI: - Ehi l, ehi l, che questo?

- Cos ci volete gabbare?

- E noi vi sfondiamo la porta.

- Su, su, pigliamo la trave!

- Su, su, quel timone d'aratro!

- Pecoraio, tu non ci gabbi.

- Su, su, quel pezzo di mcina

rotta e gettiamola a sfascio!

- O pecoraio Aligi, rispondi!

Una due tre volte, e poi gi!

(S'udr il grido roco ond'essi accompagneranno lo sforzo dell'alzare il peso).

ALIGI: Per te, per me, per tutta la mia gente

io mi faccio la croce. E cos sia.

(Si alzer, andr verso la porta, e chiamer).

Mietitori di Norca, apro la porta.

(Risponderanno gli uomini con un clamore concorde. Il suono delle campane continuer sul vento. Aligi toglier la spranga; si segner in silenzio; poi spiccher dal muro la croce di cera, la bacer).

Serve di Dio, segnatevi e pregate.

(Tutte le donne si segneranno e s'inginocchieranno, mormorando la litania).

IL CORO DELLE PARENTI: Kyrie eleison.

Christe eleison.

Kyrie eleison.

Christe audi nos.

Christe exaudi nos...

(Il pastore deporr la croce di cera su la soglia, tra la conocchia e il bidente; poi spalancher la porta. Si vedr nel vano divampare il sole terribile su i mietitori vestiti di lino).

ALIGI: Cristiani di Dio, questa la croce

benedetta nel giorno dell'Ascensa.

Posta l'ho su la soglia della porta

perch vi guardi dal fare peccato

contro la poverella di Ges

ch'ebbe rifugio in questo focolare.

(I mietitori ammutoliti si scopriranno il capo).

Io ho veduto dietro le sue spalle

l'Angelo muto che la custodisce.

Con questi occhi che debbono morire,

piangere io l'ho veduto, in ferma fede,

cristiani di Dio. Perci l'attesto.

Tornate al campo a mietere il frumento.

Non fate male a chi non fece male.

E che il falso nemico non v'inganni

con i suoi beveraggi un'altra volta!

Mietitori di Norca, il Ciel v'aiuti

e vi cresca alla mano le mannelle.

E San Giovan Battista Decollato

vi mostri il capo suo nel sol levante,

se questa notte andate su la Plaia.

E non vogliate male a me pastore,

a me Aligi povero di Cristo.

(Le donne sempre inginocchiate seguiranno sommessamente la litania. Candia dir la invocazione, l'altre risponderanno).

CANDIA E IL CORO DELLE PARENTI: Mater purissima, ora pro nobis.

Mater castissima, ora pro nobis.

Mater inviolata, ora pro nobis...

(I mietitori si chineranno, allungheranno la mano a toccare la croce, porteranno la mano alle labbra; e s'allontaneranno silenziosi per la campagna ardente. Poggiato allo stipite, prono, il pastore li seguir con lo sguardo. Nel silenzio s'udranno voci giungere dal sentiero).

UNA VOCE: O Lazaro di Roio, torna indietro!

UN'ALTRA VOCE: Lazaro, non andare, non andare!

(Il pastore sussulter. Sollevandosi, facendosi schermo delle mani, guater per la luce del mezzod).

CANDIA E IL CORO DELLE PARENTI: Virgo veneranda, ora pro nobis.

Virgo prdicanda, ora pro nobis.

Virgo potens, ora pro nobis...

ALIGI: Padre, padre, che hai? Perch bendato

sei? Tu sanguini, padre. Su, parlate,

o uomini di Dio! Chi lo fer?

(Lazaro di Roio si presenter davanti alla porta, col capo bendato, sostenuto alle ascelle da due uomini vestiti di lino come i mietitori. Candia interromper la litania con un grido e balzer in piedi, guatando).

Padre, aspetta. La croce su la soglia.

Non puoi passare senza inginocchiarti.

Se il sangue ingiusto, tu non puoi passare.

(I due uomini sosterranno il ferito barcollante, che piegher i ginocchi).

CANDIA: O figlie, figlie, era vero, era vero!

Piangiamo, figlie. Il lutto sopra noi.

(Le figlie abbracceranno la madre. Le donne del parentado poseranno a terra le canestre, prima di rialzarsi. Mila di Codra raccoglier il suo panno; e, stando ancra prostrata, se l'avvolger intorno al capo per nascondersi la faccia. Poi quasi strisciando sul terreno, andr verso la porta, presso lo stipite opposto a quello ove sar il pastore. Muta e rapida si drizzer in piedi addossandosi al muro. Quivi, immobile e coperta, aspetter il momento per dileguarsi).

ATTO SECONDO

Si vedr una caverna montana, in parte rivestita di assi, di stipa, di paglia, largamente aperta verso un sentiere petroso. Si discopriranno per l'ampia bocca i pascoli verdi, i gioghi nevati, le nuvole erranti. Vi saranno giacigli di pelli pecorine, deschetti di rozzo legname, bisacce, otri vuoti e pieni, un panconcello per lavorar di tornio e d'intaglio, con suvvi l'asce, il pialletto lunato, il coltello a petto, la lima, il tagliolo, altri strumenti, e da presso le cose lavorate: conocchie, fusa, mestole, cucchiai, mortai, pestelli, cennamelle, sfoli, candellieri; un ceppo di noce che in basso apparir ancra informe nella sua corteccia e in alto porter di tutto tondo la figura di un angelo appena digrossata fino alla cintola dallo scalpello ma gi con le ali quasi rifinite. Una lampanetta di olio d'oliva arder dinanzi all'imagine di Nostra Donna, in una incavatura della rupe come in una nicchia. Una cornamusa pender quivi accanto. S'udranno i campani delle mandre nel silenzio della montagna, declinando il giorno, poco dopo l'equinozio autunnale.

Scena prima

Malde, il cavatesori, e Anna Onna, la vecchia dell'erbe, dormiranno su le pelli di pecora, stesi nei loro cenci. Cosma, il santo, vestito d'una melote, anche dormir, ma accosciato, con le braccia intorno ai ginocchi e su i ginocchi il mento. Aligi sar seduto sopra un deschetto, intento a intagliare con suoi ferri il ceppo di noce. Mila di Codra sar seduta di contro a lui e lo guarder.

MILA: Ma sti mutolo il patrono

ch'era di ceppo di noce,

sordo fue il legno santo,

Sant'Onofrio non rispose.

E disse allora la terza

(miserere di noi, Signore!)

e disse allora la bella:

Ecco pronto lo mio cuore.

Se vuol sangue a medicina,

prendetelo dal cuor mio;

ma di questo ei non s'avveda,

ma di questo ei non s'adda.

Sbito il legno getta un ramo,

getta un ramo dalla bocca,

getta un ramo per ogni dito.

Sant'Onofrio rinverdito!

(Ella si chiner a raccattare le schegge e i trcioli intorno al ceppo lavorato).

ALIGI: O Mila, e questo anche un ceppo di noce.

Rinverdir, Mila, rinverdir?

MILA (china a terra): Se vuol sangue a medicina,

prendetelo dal cuor mio...

ALIGI: Rinverdir, Mila, rinverdir?

MILA: Ma di questo ei non s'avveda,

ma di questo ei non s'adda.

ALIGI: Mila, Mila, il miracolo ci assolva!

L'Angelo muto ci protegga ancra,

ch per lui non m'adopro co' miei ferri

ma s m'adopro con l'anima in mano.

E tu che cerchi, l? che hai perduto?

MILA: Io raduno le schegge; e le arderemo,

e un granello d'incenso con ognuna.

Affretta, Aligi, ch il tempo sen viene.

La luna di settembre menomante

e i pastori cominciano a partire:

chi verso Puglia va, chi verso Roma.

E dove l'amor mio far viaggio?

Dov'ei far viaggio gli sien prata

dinanzi e fonti d'acque, e non sia vento,

e di me gli sovvenga quando annotta!

ALIGI: Verso Roma far viaggio Aligi,

andr dove si va per tutte strade,

con la sua mandra verso Roma grande,

a pigliar perdonanza dal Vicario,

dal Vicario di Cristo Signor Nostro,

perch quegli il Pastore dei Pastori.

Non in terra di Puglia andr uguanno:

ma a Nostra Donna della Schiavonia

ei mander per man d'Ali d'Averna

questi due candellieri di cipresso

con due ceri mezzani in compagnia,

che di lui peccatore non si scordi

Nostra Donna che guarda la marina.

Poi quest'Angelo, come sia finito,

ei lo caricher sopra una mula

e passo passo ei se lo porter.

MILA: Affretta, affretta, ch il tempo sen viene.

Dalla cintola in gi l'Angelo preso

ancor nel ceppo, i piedi ancor legati

ha nei nocchi, e le mani senza dita,

e gli occhi si pareggian con la fronte.

Indugiato ti sei a fargli l'ale

penna per penna, ma volar non pu.

ALIGI: M'aiuter Gostanzo il dipintore,

Gostanzo di Bisegna il dipintore

che lavora d'istorie per le carra.

Accordato io mi sono gi con lui

ed ei mi metter colori fini;

e forse alla Badia m'avr dai frati

per un agnello un poco d'oro in foglio

da mettere nell'ale e alla gorgiera.

MILA: Affretta, affretta, ch il tempo sen viene

e gi la notte pi lunga del giorno,

e su dalla pianura monta l'ombra

all'improvviso quando non s'attende,

s che l'occhio non guida pi la mano

e al ferro cieco non soccorre l'arte.

(Cosma si agiter nel sonno e si lamenter. Si udr giungere di lontano la cantilena sacra dei pellegrinaggi).

Cosma si sogna. E chi sa che si sogna!

Odi odi il canto della compagnia

che varca la montagna per andare

forse a Santa Maria della Potenza,

Aligi, verso la tua terra, verso

la tua casa dov' la madre tua:

e forse passer poco discosto,

e la madre l'udr, l'udr Ornella

forse, e diranno: Questi pellegrini

scesero dagli stazzi dei pastori

e alcun saluto non ci fu mandato!

(Aligi sar curvo a digrossar con l'asce il basso del ceppo. Dato un colpo, abbandoner il ferro nel legname; e si sollever ansiosamente).

ALIGI: Ah, perch tocchi dove il cuore dole?

Mila, corro e li giungo sul cammino

e fo priego al crocifero che porti

l'imbasciata... Ma come gli dir?

MILA: Gli dirai: Buon crocifero, ti priego,

se passi pel vallone di San Biagio,

per la contrada detta l'Acquanova,

domanda della casa d'una donna

chiamata Candia della Leonessa

e fa sosta, ch certo avrai da lei

un boccaletto per ristoro e forse

pi altro avrai, fa sosta e dille: - Il figlio

Aligi ti saluta, e le sorelle

con te anche, e Vienda anche, la sposa,

e ti promette che discender

per essere da te ribenedetto

in pace, prima della dipartita,

e t'assicura ch'ei fu liberato

d'ogni male e periglio, liberato

della falsa nemica ultimamente,

e non sar mai pi cagione d'ira

e non sar mai pi cagion di pianto

alla madre, alla sposa, alle sorelle.-

ALIGI: Mila, Mila, qual vento ti combatte

l'anima e te la volge? Un vento sbito,

un vento di paura. E ti si spegne

la voce in bocca e il sangue se ne va

dalla tua faccia... Perch vuoi ch'io mandi

messaggio di menzogna alla mia madre?

MILA: In verit, in verit ti parlo,

o fratel mio, caro della sorella,

quant' vero che non commisi fallo

con te ma stetti accesa come un cero

dinanzi alla tua fede e fui lucente

d'amore immacolato al tuo conspetto.

In verit, in verit ti parlo

e dico: Va, va, corri sul cammino

e cerca del crocifero che porti

il saluto di pace all'Acquanova.

Venuta l'ora della dipartita

per la figlia di Iorio. E cos sia.

ALIGI: Per certo hai tu mangiato miel selvaggio

che ti turba la mente! E dove andrai?

MILA: Andr dove si va per tutte strade.

ALIGI: Ah, verrai meco, dunque, verrai meco!

Assai lungo il cammino. Ma te anche

io metter su la mia mula. E andremo

con la speranza, verso Roma grande.

MILA: Convien ch'io vada dall'opposta parte

co' pi miei lesti e senza la speranza.

ALIGI (vlto alla vecchia che dorme): Anna Onna, su, svgliati, su, lvati,

e vammi in cerca d'ellboro nero,

che il senno renda a questa creatura!

MILA: Non t'adirare, Aligi. E se t'adiri

anche tu contro a me, come vivr

io fino a sera? Sotto il tuo calcagno

il mio cuore non lo raccoglier.

ALIGI: Nella mia casa non ritorner

se non con te, con te, figlia di Iorio,

Mila di Codra, mia per sacramento.

MILA: Aligi, e passer la soglia stessa

ove fu posta la croce di cera?

E un uomo v'appar, che sanguinava;

e disse allora il figlio di quell'uomo:

Se il sangue ingiusto, tu non puoi passare...

Era di mezzod, nella vigilia

di San Giovanni. Era la mietitura.

Pace ha la falce appesa alla parete,

il grano si riposa nei granai,

mentre il dolore seminato s'alza.

(Cosma si agiter nel sonno gemendo).

ALIGI: Ma sai tu chi ti condurr per mano?

COSMA (gridando): Non lo sciogliere! No, no, non lo sciogliere!

Scena seconda

Il santo aprir le braccia sollevando il volto di su i ginocchi.

MILA: Cosma, Cosma, che sogni? Di': che sogni?

(Cosma si sveglier e si lever).

ALIGI: Che hai veduto? Di': che hai veduto?

COSMA: Spaventi si son vlti contro a me.

Io ho veduto... Ma non debbo dire.

Ogni sogno, che vien da Dio, purgato

sar col fuoco prima d'esser detto.

Io ho veduto, e certo parler.

Ma ch'io non usi indegnamente il Nome

dell'Iddio mio per giudicare, quando

la caligine ancra sopra a me.

ALIGI: O Cosma, tu sei santo. Per molt'anni

ti sei lavato con acque di neve.

Con l'acque che traboccano dai monti

dissetato ti sei davanti al Cielo.

Oggi dormito hai nella mia caverna,

sul vello della pecora mondato

col solfo perch l'Incubo si fugga.

Nel tuo sonno hai veduto visioni.

Lo sguardo del Signore sopra a te.

Soccorrimi del tuo intendimento.

Or io ti parler, e tu rispondimi.

COSMA: Imparata non ho la sapienza,

giovine, e non ho pur l'intendimento

che ha il sasso nel cammino del pastore.

ALIGI: O Cosma, uomo di Dio, stammi a sentire.

Io ti priego per l'Angelo che chiuso

in quel ceppo e non ha orecchi e ode!

COSMA: Parla parole diritte, pastore;

e la tua confidanza non in me

poni ma nella santa verit.

(Malde e Anna Onna si desteranno e si leveranno sul cubito ad ascoltare).

ALIGI: Cosma, questa la santa verit.

Dal piano di Puglia mi tornai a monte

con la mia mandra il d del Corpusdomini.

Com'ebbi preso luogo d'addiacciare,

scesi alla casa per i miei tre giorni.

E trovo nella casa la mia madre

che mi dice: Figliuolo, voglio darti

donna. Io le dico: Madre, guardo sempre

il tuo comandamento. Ella mi dice:

Bene, questa la tua donna. Si fanno

le sposalizie. Il parentado viene

e m'accompagna la sposa alla porta.

Io era come un uomo all'altra riva

d'una fiumana, che vede le cose

di l dall'acqua e tra mezzo passare

vede l'acqua, che passa eternamente.

Cosma, fu la domenica. Bevuto

io non avea papavero nel vino.

Tuttavia perch mai s grande sonno

mi venne sopra il cuore ismemorato?

Io credo che dormii settecent'anni.

Il luned ci alzammo a ora tarda.

E la mia madre ruppe il suo panello

sul capo della vergine che pianse.

Io non l'avea gi tocca. E il parentado

venne con le canestre del frumento.

Ma io muto mi stava in gran tristezza

come fossi nell'ombra della morte.

Ed ecco d'improvviso entrare quivi

tutta tremante questa creatura.

I mietitori la perseguitavano,

cani!, che la volevano conoscere.

Ed ella ci pregava la salvezza.

E niuno di noi, Cosma, si mosse.

Sola la mia pi piccola sorella

corre e s'ardisce chiudere la porta.

Ed ecco che la porta da quei cani

percossa con ogni vitupro.

E s'apre contro questa creatura

bocca di frode con parole d'odio.

E il parentado vuol gittarla al branco.

Ed ella trista presso il focolare

chiede piet, che non ne faccian strazio.

Ma io stesso l'afferro e la trascino,

per odio e frode: e trascinar mi sembra

il mio cuore di quando era fanciullo.

Ed ella grida, ed io sopra di lei

levo la mazza. E le sorelle piangono.

Ed ecco, dietro a lei, Cosma, con queste

pupille vedo l'Angelo che piange!

Lo vedo, o santo! L'Angelo mi guarda

e piange, e tace. Io cado ginocchioni.

Perdno chiedo. E, per punire questa

mia mano, prendo di sul focolare

un tizzo ardente: No, non ti bruciare!

grida la creatura. E poi mi dice.

O Cosma, o santo, con acque di neve

tu ti sei battezzato alba per alba;

e tu, vecchia, conosci tutte l'erbe

che snano la carne cristiana,

sai la virt di tutte le radici;

e tu, Malde, con quella tua forcina

tu saper puoi dove i tesori sien

nascosti a pi dei morti che son morti

or cent'anni, or mill'anni, vero?..

e profonda, profonda la montagna.

Or io vi chieder: Voi che sentite

venir le cose di tanto lontano

quella voce di qual mai lontananza

venne e parl perch l'udisse Aligi?

Rispondetemi voi! Ella mi disse:

E come pascerai tu la tua mandra

se la tua mano ti s'inferma, Aligi?

E con questa parola ella mi colse

l'anima mia di dentro le mie ossa

cos, come tu, vecchia, cogli un semplice!

(Mila pianger silenziosamente).

ANNA ONNA: V' un'erba rossa che si chiama Glaspi

e un'altra bianca che si chiama Egusa,

e l'una e l'altra crescono distanti;

ma le rdiche loro si ritrovano

sotto la terra cieca e l s'annodano,

tanto sottili che neppur le scopre

Santa Lucia. Diversa hanno la foglia

ma fan l'istesso fiore, ogni sett'anni.

E questo anche scritto nelle carte.

Cosma sa le potenze del Signore.

ALIGI: Ascolta, Cosma. Il sonno d'oblianza

m'era stato mandato al capezzale,

da chi? La mano innocente aveva chiuso

la porta di salute; e m'era apparso

l'Angelo del consiglio; e una parola

di labbra s'era fatta pegno eterno.

Qual era dunque la mia donna, innanzi

al buon frumento, al pane mondo e al fiore?

COSMA: Pastore Aligi, la stadera giusta

e le giuste bilance son di Dio.

Tuttavia prendi pure intendimento

da Colui che t'ha fatta sicurt;

prendi pegno da Lui per la straniera.

Ma quella che non fu tocca, dov'?

ALIGI: Mi partii per lo stazzo dopo vespro,

la vigilia di San Giovanni. All'alba

io mi trovai di sopra a Capracinta

e stetti ad aspettare il sole. E vidi

dentro dal cerchio sanguinare il capo

del Decollato. Poi venni allo stazzo,

ripresi a pasturare e a dolorare.

E mi parea che mi durasse il sonno

e la mandra brucasse la mia vita.

Allora il cuore mio chi lo pes?

O Cosma, vidi prima l'ombra e poi

la sua persona, l, sul limitare.

Era il giorno di Santo Teobaldo.

Stava seduta questa creatura

sopra la pietra; e non pot levarsi

ch i piedi eran piagati. Disse: Aligi,

mi riconosci? Io dissi: Tu sei Mila.

E non parlammo pi, ch pi non fummo

due. N quel giorno ci contaminammo

n dopo mai. Lo dico in verit.

COSMA: Pastore Aligi, tu hai certo accesa

una lmpana pia nella tua notte

ma tu l'hai posta in luogo di quel termine

antico che inalzarono i tuoi padri.

Tu rimosso hai quel termine sacrato.

E se questa tua lmpana si spegne?

Il consiglio nel cuor dell'uomo un'acqua

profonda; e l'uomo pio l'attigner.

ALIGI: Io prego Iddio che ponga sopra a noi

il suggello del sacramento eterno!

Vedi che faccio? Con l'anima in mano

lavoro questo legno, a simiglianza

dell'Angelo apparito. Incominciai

nel giorno dell'Assunta, pel Rosario

lo vo' compire. Or ecco il mio disegno.

Caler con la mandra verso Roma;

e porter quest'Angelo con meco

sopra una mula. Andr dal Santo Padre

nel nome di San Pietro Celestino

che sul Morrone fece penitenza,

me n'andr dal Pastore dei Pastori

con questo vto a chiedere dispensa,

perch colei che non fu tocca torni

alla sua madre, sciolta dal legame,

ed alla mia conduca io la straniera

che sa piangere senza farsi udire.

Ora domando al tuo conoscimento,

Cosma: La grazia mi sar concessa?

COSMA: Tutte le vie dell'uomo sembran dritte

all'uomo; ma il Signore pesa i cuori.

Alte mura, alte mura ha la Citt,

e gran porte di ferro, e intorno intorno

gran sepolture dove cresce l'erba.

L'agnello tuo non bruchi di quell'erba,

pastore, Aligi. Interroga la madre...

UNA VOCE (di fuori gridando): Cosma, Cosma! Se sei l dentro, esci!

COSMA: Chi m'ha chiamato? Avete udito voce?

LA VOCE: Esci, Cosma, pel sangue di Ges!

O cristiani, fatevi la croce!

COSMA: Eccomi. Chi mi chiama? Chi mi vuole?

Scena terza

Appariranno alla bocca della caverna due pastori vestiti di pelli, tenendo fermo tra loro un giovinetto magro e verdastro come una locusta, che avr le braccia constrette contro i fianchi da pi giri di corda passati intorno al tronco seminudo.

L'UN PASTORE: O cristiani, fatevi la croce!

Il Signore vi salvi dal Nemico.

Per guardarvi la bocca, dite un pater.

(Tutti i presenti si segneranno).

L'ALTRO PASTORE: O Cosma, questo giovine ha i demonii.

Or tre giorni che l'hanno invasato.

E vedi vedi come lo travagliano!

Ed egli schiuma e stride e si fa verde.

Noi l'abbiamo legato con le corde

per portartelo. Tu gi liberasti

Bartolomeo del Cionco alla Petrara.

Uomo di misericordia, anche questo

libera! Tu fa che escano da lui!

Tu cacciali da lui, e lo guarisci!

COSMA: Qual il suo nome e il nome del suo padre?

L'UN PASTORE: Salvestro di Mattia di Simeone.

COSMA: Salvestro, vuoi tu essere sanato?

Sta di buon cuore, figliuolo. Abbi fede.

Io te lo dico: Non temere. E voi

perch l'avete legato? Scioglietelo.

L'ALTRO PASTORE: Cosma, vieni con noi alla cappella.

L noi lo scioglieremo. Qui ci fugge:

e sempre ha frenesia di rotolarsi

e di precipitare; e schiuma. Vieni!

COSMA: Verr con Dio. Sta di buon cuore, figlio!

(I due pastori trascineranno l'indemoniato. Malde e Anna Onna li seguiranno per un tratto; si soffermeranno a guatare: il cavatesori, roso dal suo pensiero di sotterra, tenendo in mano un ramo sfrondato d'ulivo terminante in forcina, fornito d'una pallottola di cera all'estremit pi robusta; la vecchia dell'erbe poggiata alla sua stampella, con la sua sacca di semplici penzoloni sul ventre. In breve, anch'essi scompariranno. Il santo si volger dal limitare, verso l'ospite).

Vado con Dio. Pastore Aligi, sii

rimeritato del conforto ch'ebbi

nel ricovero tuo. M'hanno chiamato

ed ho risposto. Prima che tu prenda

la via nova, considera la legge.

Chi perverte la via, sar fiaccato.

Guarda il comandamento di tuo padre.

Segui l'insegnamento di tua madre.

Tienli sempre legati in sul tuo cuore.

E Dio guidi il tuo pi, che non sia preso

nei lacci e non incappi nella brace.

ALIGI: Cosma, hai tu bene udito? Io sono puro.

Non mi contaminai ma ebbi fede.

Hai bene udito i segni che l'Iddio

altissimo ha mandati verso me?

Attendo quel che giusto, e mi mortifico.

COSMA: Io te lo dico: Interroga il tuo sangue,

prima di condur teco la straniera.

UNA VOCE (di fuori gridando): Cosma, non t'indugiare! Ora l'uccide.

COSMA (vlto a Mila): Pace a te, donna. Se il bene sia teco,

fa che da te si versi come il pianto,

senza che s'oda. Forse torner.

ALIGI: Vengo, ti seguo, ch tutto non dissi...

MILA: Aligi, vero: tutto non dicesti!

Va sul cammino e cerca del crocifero

e pregalo che porti la parola.

(Il santo si allontaner per i pascoli. Si udr, or s or no, il cantare dei pellegrini).

Aligi, Aligi, tutto non dicemmo!

E meglio m' avere nella bocca

un buon pugno di polvere o una pietra

che me la chiuda. Ascolta solo questo

da me, Aligi. Io non ti feci male;

male non ti far. Santi sono

i miei piedi, e conoscono la via.

Venuta l'ora della dipartita

per la figlia di Iorio. E cos sia.

ALIGI: Io non so, tu non sai l'ora che viene.

Rimetti l'olio nella nostra lmpana.

Prendi l'olio dall'otro. Ancor ve n'.

E aspettami, che vado dal crocifero.

Bene ho pensato quel che gli dir.

(Si volger per andare. La donna, vinta dallo sgomento, lo richiamer).

MILA: Aligi, fratel mio! Dammi la mano.

ALIGI: Mila, il cammino l, poco lontano.

MILA: Dammi la mano tua, ch'io te la baci.

il sorso che concedo alla mia sete.

ALIGI (appressandosi): Mila, col tizzo io la volli bruciare.

quella mano trista che t'offese.

MILA: Non mi rammento. Io son la creatura

che trovasti seduta su la pietra,

che veniva chi sa da quali strade.

ALIGI (appressandosi ancra): Su la tua faccia il pianto non s'asciuga,

creatura. Una lacrima ti resta

nei cigli; trema, se parli; e non cade.

MILA: S' fatto un gran silenzio. Aligi, ascolta.

Non cantan pi. Con l'erbe e con le nevi,

siamo soli, fratello, siamo soli.

ALIGI: Mila, tu sei come la prima volta

l su la pietra, quando sorridevi

con gli occhi e avevi i piedi sanguinosi.

MILA: E tu, tu non sei quello inginocchiato

che i fioretti di San Giovan Battista

pos per terra? Ed una li raccolse

e se li porta nello scapolare.

ALIGI: Mila, una risonanza nella voce

tu hai, che mi consola e mi contrista

come d'ottobre quando con le mandre

si cammina cammina lungo il mare.

MILA: Camminare con te per monti e spiagge,

vorrei che questa fosse la mia sorte.

ALIGI: O compagna, preprati al viaggio.

Lungo il cammino, ma l'amore forte.

MILA: Aligi, passerei sul fuoco ardente,

e che l'andare non avesse fine!

ALIGI: Pei monti coglierai le genzianelle

e per le spiagge le stelle marine.

MILA: Se dovessi pontare i miei ginocchi

nelle tue pste, mi trascinerei.

ALIGI: Pensa ai riposi, quando far notte!

La menta e il timo avrai per origlieri.

MILA: Non penso, no. Ma lascia, anche per questa

notte, ch'io viva dove tu respiri,

ch'io t'ascolti dormire anche una volta,

che anch'io vegli per te come i tuoi cani!

ALIGI: Tu lo sai, tu lo sai quel che s'attende.

Con te partisco l'acqua il pane e il sale.

E cos partir la giacitura

fino alla morte. Dammi le tue mani!.

(Si prenderanno per le mani guardandosi fisamente).

MILA: Ah, si trema, si trema. Tu sei freddo,

Aligi, tu ti sbianchi... Dove va

il sangue del tuo viso che si perde?

(Ella si scioglier e con le mani gli sfiorer le gote).

ALIGI: O Mila, Mila, sento come un tuono...

E tutta la montagna si sprofonda.

Dove sei? dove sei? Tutto si perde.

(Anch'egli tender le mani verso di lei, come uno che brancoli. E si baceranno. Poi cadranno entrambi in ginocchio, l'uno di contro all'altra).

MILA: Miserere di noi, Vergine santa!

ALIGI: Miserere di noi, Cristo Ges!

(Sar grande silenzio).

UNA VOCE (di fuori cruda): Pecoraio, ti cercano all'addiaccio.

Una pecora nera s' sciancata.

(Aligi si alzer vacillando, e andr verso il richiamo).

Il massaro ti cerca, che tu corra.

E dice che c' una con la cscina,

non so chi sia, che ti va dimandando.

(Aligi volger indietro il capo a guardare la donna rimasta in ginocchio; e il suo sguardo abbraccer tutte le cose).

ALIGI (a bassa voce): Mila, rimetti l'olio nella lmpana

che non si spenga. Vedi ch'arde appena.

Prendi l'olio dall'otro. Ancor ve n'.

E aspettami, che arrivo fino al giaccio.

Paura non avere. Dio perdona;

perch tremammo, Maria ci perdona.

Rimetti l'olio, e prega per la grazia.

(Si allontaner per i pascoli).

MILA: Vergine santa, fatemi la grazia,

ch'io mi rimanga con la faccia in terra

freddata qui, ch'io sia trovata morta,

di qui rimossa per la sepoltura.

Non fu peccato, sotto gli occhi vostri.

Non fu peccato. Voi lo concedeste.

Non furono le labbra (siete voi

testimone) non furono le labbra.

Posso morire sotto gli occhi vostri.

Forza non ho d'andarmene, Maria.

E vivere con lui Mila non pu!

Madre clemente, malvagia non fui.

Fui una fonte calpestata. E troppo

mi fu fatta vergogna innanzi al Cielo.

Ma chi mi tolse dalla mia memoria

la mia vergogna, se non voi, Maria?

Rinata fui quando l'amore nacque.

Voi lo voleste, Vergine fedele.

Tutte le vene di quest'altro sangue

vengono di lontano di lontano,

dal fondo della terra ove riposa

quella che m'allatt (fate che anch'ella

ora mi vegga!), dalla pi lontana

innocenza. O Maria, voi lo vedete.

Non le labbra, dianzi (siete voi

testimone) non furono le labbra.

E, s'io tremai, ch'io porti nel trapasso

il tremito con me nell'ossa mie.

Mi chiudo gli occhi miei con le mie dita.

(Con l'indice e il medio di ciascuna mano si premer le plpebre; e curver la faccia sino a terra).

Sento la morte, me la sento appresso.

Cresce il tremito. E il cuore non si ferma.

(Si lever impetuosamente).

Ah sciagurata! Quel che mi fu detto

non feci, e per tre volte me lo disse:

Rimetti l'olio. Ed ecco, ora si spegne!

(Correr verso l'otro, appeso a un asse, ma vigilando con l'occhio la fiammella tremula dinanzi all'imagine e cercando di sostenerla con la preghiera mormorata).

Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum...

(Spiccher l'otro che le si affloscer tra le mani. Cercher la caraffa per versarvi l'olio; ma non potr dall'otro spremuto trarre se non qualche stilla).

vuoto! vuoto! Vergine, tre gocce,

che mi sien sante per l'estrema Unzione,

due per le mani, l'altra per la bocca

e tutt'e tre sopra l'anima mia!

Ma se ancra son viva, quando torna,

che gli dir, Madre, che gli dir?

Certo che, prima di veder me, vede

che la lmpana spenta. E se l'amore

non mi valse a tenerla accesa, Madre,

che mai varr per lui quest'amor mio?

(Ella spremer anche una volta l'otro, frugher una bisaccia, capovolter gli orciuoli, mormorando la preghiera).

Fate che v'arda, Madre intemerata,

ancra per un poco, ancra quanto

dura un'Avemaria, dura una Salve

regina, Madre di misericordia!

(Nella ricerca affannosa ella andr verso il limitare, udr un passo, scorger un'ombra. Si far a chiamare, gridando).

O donna, buona donna, cristiana,

accstati, che Dio ti benedica!

Accstati, ch forse Dio ti manda.

Che porti nella cscina? Hai un poco

d'olio? Per carit, dmmene un poco!

Poi entra e scegli e piglia quel che vuoi:

cucchiai mortai conocchie fusi, tutto!

Bisogno c' per la Signora nostra,

per rimettere l'olio nella lmpana

che non si spenga; ch, se mi si spenge,

non vedo pi la via del Paradiso.

M'intendi, cristiana? Me la vuoi

tu fare questa carit d'amore?

(La donna apparir sul limitare, col volto coperto dall'ammantatura nera, si toglier dal capo lo staio di legno, senza dir parola, e lo poser a terra; di sopra vi toglier il pannolino, cercher dentro, prender un utello pien d'olio e lo porger a Mila di Codra).

Ah benedetta, benedetta! Dio

ti rimeriter in terra e in cielo.

Tu l'hai, tu l'hai! Vestita a lutto sei;

ma la Madonna ti conceder

di riveder la faccia del tuo morto

per questa carit che tu mi fai.

(Ella prender l'utello e si volger con ansia per correre alla lmpana moribonda).

Ah, perdizione sopra me! S' spenta.

(L'utello le sfuggir dalle mani e si spezzer sul suolo. Ella rimarr immobile per alcuni attimi, stretta dall'orrore dei presagi. La donna ammantata si chiner con un atto rapido e tacito verso l'olio sparso, toccandolo con le dita della destra e poi segnandosi).

Scena quarta

Mila guarder la donna con una tristezza composta, e la rassegnazione disperata far sorda e tarda la sua voce.

MILA: Perdno, passeggiera di Cristo.

La tua carit non mi valse.

L'olio sparso, e rotto l'utello.

La mala ventura su me.

Dimmi che vuoi. Queste cose

le ha lavorate il pastore.

Una conocchia nuova col fuso

vuoi? Vuoi mortaio e pestello?

Dimmi tu, ch io nulla so.

Ormai son nel mondo di gi.

L'AMMANTATA (con la voce tremante): Figlia di Iorio, venni per te,

e ti portai questa cscina,

per dimandarti una grazia.

MILA: Ah voce di cielo, nel mezzo

dell'anima mia, sempre udita!

L'AMMANTATA: Per te venni dall'Acquanova.

MILA: Ornella! Ornella tu sei!

(Ornella si scoprir la faccia).

ORNELLA: Sono la sorella di Aligi,

sono la figliuola di Lazaro.

MILA: Ti bacio i tuoi piedi umilmente,

che ti portarono a me

perch'io rivedessi il tuo viso

nell'ora dell'ambascia mortale.

Tu alla piet fosti la prima

ed ora sei l'ultima, Ornella!

ORNELLA: Se la prima fui, penitenza

grande n'ho fatta. Te lo dico

in verit, Mila di Codra.

E la penitenza mi dura.

MILA: Ti trema la voce tua dolce.

Nella piaga il coltello che trema

fa pi strazio, ah quanto pi strazio!

E tu non lo sai, giovanetta.

ORNELLA: Sapessi quale ho io dolore!

Sapessi quanto male rendesti

per quel poco di bene ch'io feci!

Dalla casa mia desolata

venni, dove si piange e perisce.

MILA: Perch vestita sei a lutto?

Chi ti mor? Tu non rispondi.

Forse... forse... la cognata tua?

ORNELLA: Ah quella vorresti tu morta!

MILA: No, no. Dio mi vede. Ho temuto,

ho avuto spavento di dentro.

Dimmi, dimmi: Chi dunque? Rispondi,

per Dio e per l'anima tua!

ORNELLA: Nessuno ancor ci mor,

ma tutti il lutto si fa

del caro che andarsene volle

in ruina del capo suo.

Per se vedessi tu quella,

se tu la mia madre vedessi,

tremito ti prende. Per noi

venne la state nera, venne

l'autunno amaro intoscato,

ch pi tristo l'anno bissesto

non poteva a noi essere. Pure,

quand'io chiusi la porta a salvarti,

in ruina del capo mio,

tu non parevi gi dispietata,

tu che ci pregavi piet.

E tu mi dimandasti il mio nome

per volermi in lode nomare!

E al mio nome fatta vergogna

mane e sera nella mia casa,

e vituperata e cacciata

io sono in disparte, ch ognuno

grida: Eccola dunque colei

che mise la spranga alla porta

perch dentro restasse il malanno

appiattato nel focolare.

E pi non posso. E dico: Piuttosto

cavate le vostre coltella

e a pezzi stracciatemi. Questa

la merc, Mila di Codra.

MILA: giusto, giusto che tu

mi percuota, giusto che tu

m'abbeveri in questa amarezza,

con questo patimento accompagni

la mia colpa nel mondo di gi.

Forse per me il sasso e la stipa

e la paglia e il legno insensato

parleranno, e l'Angelo muto

che al fratel tuo vivo in quel ceppo

e la Vergine senza il suo lume

parleranno; e non io parler.

ORNELLA: Creatura, ora sembra che a te

l'anima tua sia vestimento

e ch'io possa toccarla stendendo

verso te la mia mano di fede.

Or come tu sai tanto male

gettare alla gente di Dio?

Se Vienda nostra vedessi,

tremi tutta. Fra poco la pelle

le si schianta su l'ossa per l'arido,

e le sue gengive pi bianche

son che i denti nella sua bocca.

E, come cadeva la prima

pioggia, sabato, mamma ci disse

piangendo: Ecco, ecco, ora sen va,

nella frescura si piega e si disfa.

Ma non piange il mio padre: il suo fiele

ei mastica senza far motto.

Gli s'invelen la ferita.

La resipola trista lo colse

(San Cesidio e San Rocco ci guardi!)

e nell'enfiagione la bocca

gli lasci per d e notte latrare.

Tutto un fuoco scuro eragli il capo.

E incanito le grandi biasteme

ei facea, da scuoter la casa:

e noi sbigottivamo... Tu batti

i denti, creatura. Hai la febbre,

che cos ti ricorre riprezzo?

MILA: Sempre, a calata di sole,

m'entra addosso il freddo; ch usa

non sono alla sera dei monti.

A quest'ora s'accendono i fuochi.

Ma parla, parla senza piet.

ORNELLA: Ieri da un motto compresi

ch'ei s'era messo in pensiero

di salire quass allo stazzo.

Tornar non lo vidi iersera,

e il sangue mi si ferm.

Allora apprestai questa cscina.

M'aiutarono le mie sorelle;

ch tre siamo, nate di madre,

tutte e tre segnate al dolore.

E stanotte lasciai l'Acquanova,

passai il fiume alla scafa

e la montagna pigliai...

Ah, creatura di Cristo,

a questa pena non reggo.

Che posso io fare per te?

Or tu tremi pi malamente

che quando eri presso il camino

e i mietitori incanivano.

MILA: E tu l'hai scontrato? Tu sai

che venuto egli allo stazzo?

Sei certa, Ornella, sei certa?

ORNELLA: Non l'ho pi veduto. N so

s'egli siasi partito per monte.

So che anco aveva faccenda

al Gionco. E forse non viene.

Non isbigottire! Ma sentimi,

sentimi. Per l'anima tua

salvare, Mila di Codra,

abbi pentimento e rimuovi

questo malificio da noi.

Ridnaci Aligi: e con Dio vatti,

che abbia misericordia di te!

MILA: Sorella d'Aligi, contenta

sempre sono a te d'ubbidire.

giusto che tu mi percuota,

me femmina malvagia, me figlia

di mago, svergognata sortiera,

che per carit supplicai

alla viatrice di Cristo

che un poco d'olio mi desse

da nutrire una lmpana santa!

Forse dietro a me l'Angelo piange

un'altra volta; e forse le pietre

per me parleranno, ma io

non parler. Soltanto, pel nome

di sorella, ti dico (se il vero

non dico, in questo punto sobbalzi

dalla fossa la madre mia cara

e pe' capegli prendami e in nera

terra mi sbatta e testimonio

faccia contro la figlia bugiarda)

soltanto ti dico: Io son senza

peccato inverso il fratel tuo.

Te lo dico: Innanzi al giaciglio

del fratel tuo, sono monda.

ORNELLA: Dio possente, miracolo fai!

MILA: E questo l'amore di Mila,

questo l'amor mio, giovanetta.

Altra cosa non parler.

Contenta sono a te d'ubbidire.

Sa le sue vie la figlia di Iorio;

e incamminata gi s'era

l'anima sua, prima che tu

venissi a chiamarla, o innocente.

E non diffidare, sorella

d'Aligi, che non hai d'onde.

ORNELLA: Fede ho pi ferma che pietra.

Tra ciglio e ciglio t'ho vista

la verit. E il resto caligine.

E io poverella mi sperdo.

Per ci ti bacer i tuoi piedi

che sanno le vie, umilmente.

T'accompagner nel viaggio

col mio compianto nascosto;

pregher che ti sieno contati

tutti i tuoi passi e ti sia

rallentato il dolore ad ognuno.

E la pena che abbiamo patita

non pi la metter sopra te.

Non giudicher la sciagura.

Non giudicher l'amor tuo.

Poich tu inverso fratelmo

sei senza peccato, in cuor mio

ti chiamer la mia suora,

la mia suora sbandita; e vederti

vo' talvolta ne' sogni dell'alba.

MILA: Ah, coricata gi fossi

su la terra nera con chiusi

gi gli occhi, e fossero queste

le ultime parole da me

udite in promessa di pace!

ORNELLA: Per la vita tua ho parlato.

E t'ho recato il conslo,

che almeno nel primo cammino

non ti manchi un po' di viatico.

Per te apprestai questa cscina

col mangiare e col bere (ora l'olio

versato!); ma un fiore non misi,

perdonami, ch non sapevo...

MILA: Un fiore turchino, l'acnito,

messo non me l'hai nella cscina:

e messo non m'hai n il lenzuolo

tagliato nella tela tessuta

in quel tuo telaio che vidi

tra il focolare e la porta!

ORNELLA: Mila, aspetta l'ora da Cristo.

Dov' il fratello? Allo stazzo

non era, dianzi. Dov'?

MILA: Torner, certo, prima di notte.

Bisogna ch'io m'affretti, bisogna.

ORNELLA: Non vuoi tu rivederlo? parlargli?

Dove andrai tu di notte? Rimanti

e anch'io mi rimarr nel ricetto,

e dinanzi al dolore saremo

noi tre. Poi all'alba tu andrai

per la tua via, noi per la nostra.

MILA: Son gi lunghe le notti. Bisogna

ch'io m'affretti. Non sai.

Te lo dico: Da lui anche m'ebbi

il viatico, che non si pu

dare due volte. Addio. Vagli incontro,

cercalo: ora certo allo stazzo.

Trattienilo intanto; raccontagli

quel che si soffre laggi.

E ch'ei non m'insegua! Ma in via

nascosta sar. Benedetta,

sempre benedetta! Sii dolce

al suo dolore come al mio fosti.

Addio, Ornella, Ornella, Ornella!

(Ella cos parlando si ritrarr di continuo verso l'ombra del fondo; mentre la giovanetta, soffocata dal singulto, si allontaner fuggendo. Riapparir sul limitare la vecchia dell'erbe. Ancor si udr, ma sempre pi fievole, il cantare dei pellegrini gi per il valico).

Scena quinta

Anna Onna entrer, arrancando, poggiata alla sua stampella, con la sua sacca di semplici penzoloni sul ventre.

ANNA ONNA (affannata): L'ha liberato, donna del piano,

l'ha liberato! Di dentro

cacciato gli ha le dimonia

Cosma, all'ossesso. Egli santo.

Ha dato un gran grido di toro

il giovine, e caduto di colpo

come se scoppiato gli fosse

il suo petto. Udito non l'hai

fin qui? Ora dorme su l'erba,

ora dorme profondo; e i pastori

gli stanno d'intorno a guatarlo.

Vieni, vieni e lo vedi anche tu.

Ma dove sei, che poco ti scopro?

MILA: Anna Onna, fa dormir me!

Vecchia mia, ti do quella cscina

che piena di mangiare e di bere...

ANNA ONNA: Chi era colei che fuggiva?

Trafugato t'ha il cuore del petto,

che tu la chiamavi cos?

MILA: Vecchia, ascolta. Ti do quella cscina

piena, ch' posata l in terra,

se per farmi dormire mi di

di quei semi neri che sai...

di ioscamo... Poi va, mangia e bevi.

ANNA ONNA: Non ne ho, non ne ho pi nella sacca.

MILA: Per giunta la pelle di pecora

dove oggi hai dormito ti do

e tu di quelle coccole dammi

rosse che sai... bacche di nasso...

Poi va, satllati e cionca.

ANNA ONNA: Non ne ho, non ne ho pi nella sacca.

Adagio un po', donna del piano,

adagio adagio, col tempo.

Pensaci un giorno un mese e un anno.

MILA: Vecchia mia, e per giunta ti do

un fazzoletto a saltro

e di pannolano tre braccia,

se mi di di quelle radici

che vendi ai pastori, di quelle

che ammazzano sbito i lupi...

le barbe dell'erba lupria...

Poi va, e raccnciati l'ossa.

ANNA ONNA: Non ne ho, non ne ho pi nella sacca.

Adagio un po', donna del piano.

Col tempo c' sempre guadagno.

Pensaci un giorno un mese e un anno.

Con l'erbe di Madre Montagna

si guarisce ogni male e malanno.

MILA: Tu non vuoi? Bene, io te la strappo

la tua sacca e dentro la frugo

e quel che mi giova mi prendo.

(Tenter di strappare la sacca alla vecchia barcollante).

ANNA ONNA: No, no. Tu mi rubi, a me vecchia,

mi fai forza! A me caver gli occhi

il pecoraio, a pezzi mi straccia...

(S'udr un passo e apparir l'ombra d'un uomo al limitare della spelonca).

Ah, sei tu, Aligi? sei tu?

Guarda la forsennata che fa!

Scena sesta

Mila di Codra lascer cadere la sacca strappata alla vecchia; e guarder l'uomo sopraggiunto, alto nel campo del chiarore. Ma, riconoscendolo, gitter un grido e si rifuger nell'ombra del fondo. Allora Lazaro di Roio entrer, in silenzio, portando una corda avvolta al braccio, come un bifolco che abbia sciolto il bue. Si udr sonare sul sasso la stampella frettolosa di Anna Onna andata in salvo.

LAZARO DI ROIO: Femmina, non avere paura.

Lazzaro di Roio venuto

ma senza portare la falce;

ch a pena di talione

obbligarti non vuole. Cavato

pi che un'oncia di sangue gli fu

sul campo di Mispa; e tu sai

la cagion della sciarra e la fine.

Che tu gli renda oncia per oncia

non vuole, se bene gli brucia

la cicatrice nel capo.

Penna nera e fronda d'ulivo,

olio forte e filiggine di camino,

mane e sera, sera e mane

per la resipola cane!

(Rider d'un riso breve e crudo).

E, dov'era colcato, sentiva

piangere e lagnare le donne

non per lui ma s pel pastore

magato da una magalda

su la montagna distante.

Certo, femmina, male scegliesti.

Ma s' rifatto il mio sangue,

e troppe altre parole non dico,

ch la lingua risecca m' gi;

ed sempre l'istessa cagione.

Or tu verrai meco senz'altre

parole, figlia di Iorio.

Ho quaggi l'asina e il basto

e anco una corda di canapa

e una di sparto, Dio grazia.

(Mila rester immobile, addossata alla roccia, senza rispondere).

Hai tu inteso, Mila di Codra?

O mutola e sorda sei fatta?

Or io te lo dico con pace:

Ben so come fu quella volta

dei mietitori di Norca.

Se pensi di star contro me

su l'istesse difese, t'inganni.

Qui non v' focolare, n v'

parentado; n Santo Giovanni

suona la campana a salute.

Io muovo tre passi e ti prendo.

E due buoni compari ho con meco.

Per ci, te lo dico con pace,

t' meglio farti grado di quello

a che la necist ti costringe.

MILA: Che vuoi tu da me? Sopraggiunto

sei quando la morte era l,

che s' tratta da parte a lasciarti

entrare, e rimasta pur l.

Raccatta quella sacca. V' dentro

rdica da ammazzar dieci lupi.

E tu lgamela alla mascella

tu stesso, ch io di buona bocca

dentro vi manger - tu vedrai -

come la giumenta che trita

la sua biada. Poi anche me

raccattami fredda e sul basto

mettimi traverso legata

con le tue corde e mandami gi

con l'asina innanzi al balivo

dicendo: Ecco la svergognata

sortiera! E m'ardano il corpo,

e vengan le tue donne a guardare

e si rallegrino. Forse

una caccer la sua mano

nelle fiamme senza bruciarsi,

per trarne fuora il mio cuore.

(Lazaro, alla prima incitazione, avr raccattata la sacca dei semplici e scrutata. La gitter dietro a s con diffidenza e dispregio).

LAZARO: Ah, ah, tu mi vuoi tendere un laccio.

Chi sa a che agguato mi tiri.

Nella voce ti sento l'insidia.

Ma io ti prender nel mio cappio.

(Egli far un cappio alla sua corda).

N morta n fredda ti vuole

Lazaro, per la Dio grazia!

Mila di Codra, vendemmia

vuol fare con te, quest'ottobre.

Acconciate gi son le sue tina.

L'uva vuol pigiare con te

Lazaro e azzuffarsi col mosto.

(Si avanzer verso la donna ridendo bieco. Mila si terr pronta a sfuggirgli. L'uomo la incalzer. Ella balzer di qua e di l, ma senza scampo).

MILA: Non mi toccare! Abbi vergogna.

Il tuo figlio dietro di te.

Scena settima

Aligi apparir sul limitare. Scorgendo il padre, perder ogni colore di vita. Lazaro s'arrester per volgersi a lui. Il padre e il figlio si guarderanno fisamente.

LAZARO: Che c' egli, Aligi? Che ?

ALIGI: Padre, come siete venuto?

LAZARO: Succhiato ti fu il sangue, che sei

sbiancato cos? Te ne coli

come il siero dalla fiscella,

pecoraio, per lo spavento.

ALIGI: Padre, che volete voi fare?

LAZARO: Che voglio io fare? Dimanda

rivolgere a me, non t' lecito.

Ma ti dir che prendere voglio

la pecora cordesca nel cappio

e trarla dove pi mi talenta.

Poi giudicher del pastore.

ALIGI: Padre, non farete voi questo.

LAZARO: Come ardimento hai di levare

il viso inverso me? Tu bada

ch'io non te l'arrossi di sbito.

Va e torna allo stazzo, e rimanti

con la tua mandra dentro la rete

finch io non venga a cercarti.

Per la vita tua, obbedisci.

ALIGI: Padre, tolga il Signore da me

ch'io non vi faccia obbedienza.

E voi giudicare potete

del figliuol vostro; ma questa

creatura lasciate in disparte,

lasciatela piangere sola.

Non l'offendete. peccato.

LAZARO: Ah mentecatto di Dio!

Di quale santa tu parli?

Non vedi (ti cascassero gli occhi)

non vedi che costei ha di sotto

le sue plpebre, intorno il suo collo

i sette peccati mortali?

Certo, se la vedono i tuoi

montoni, la cozzano. E tu

hai temenza ch'io non l'offenda!

io ti dico che la carrareccia

della strada maestra assai meno

delle costei vergogne battuta..

ALIGI: Se non mi fosse a Dio peccato,

se all'uomo non mi fosse misfatto,

padre, io vi direi che di questo

per la strozza avete mentito.

(Far alcuni passi obliqui e si frapporr fra il padre e la donna, coprendo lei della sua persona).

LAZARO: Che dici? Ti si secchi la lingua!

Mettiti in ginocchio e domanda

perdno con la faccia per terra,

e non t'ardire pi di levarti

innanzi a me, ma carpone

vattene e statti coi cani.

ALIGI: Il Signore sia giudice, padre;

ma questa creatura alla vostra

ira non posso lasciare,

se vivo. Il Signore sia giudice.

LAZARO: Io ti son giudice. Chi

sono io a te, pel tuo sangue?

ALIGI: Voi siete il mio padre a me caro.

LAZARO: Io sono il tuo padre; e di te

far posso quel che m'aggrada,

perch tu mi sei come il bue

della mia stalla, come il badile

e la vanga. E s'io pur ti voglia

passar sopra con l'erpice, il dosso

diromperti, be', questo ben fatto.

E se mi bisogni al coltello

un manico ed io me lo faccia

del tuo stinco, be', questo ben fatto;

perch io son padre e tu figlio,

intendi? E a me data su te

ogni potest, fin dai tempi

dei tempi, sopra tutte le leggi.

E come io fui del mio padre,

tu sei di me, financo sotterra.

Intendi? E se del cervello

questo ti cadde, io tel riduco

in memoria. Ingincchiati, e bacia

la terra, ed esci carpone,

e va senza volgerti indietro!

ALIGI: Passatemi sopra con l'erpice

ma non toccate la donna.

(Lazaro gli s'accoster, senza pi contenere il furore; e, levando la corda, lo percoter su la spalla).

LAZARO: Gi, gi, cane, mettiti a terra!

(Aligi cadr su i ginocchi).

ALIGI: Ecco, padre mio, m'inginocchio

dinanzi a voi, bacio la terra.

E al nome di Dio vivo e vero,

pel mio primo pianto di quando

vi nacqui, di quando prendeste

me non ancra fasciato

nelle vostre mani e m'alzaste

verso il Santo Volto di Cristo,

io vi prego, vi prego, mio padre:

Non calpestate cos

il cuore del figlio dolente,

non gli fate quest'onta! Vi prego:

Non gli togliete il suo lume,

non lo date alla branca del falso

nemico che gira d'intorno!

Vi prego, per l'Angelo muto

che vede e che ode nel ceppo!

LAZARO: Va, va, esci fuori, esci fuori

e dopo ti giudicher.

Esci fuori, ti dico. Esci fuori.

(Crudelmente egli lo percoter con la corda. Aligi si sollever tutto tremante).

ALIGI: Il Signore sia giudice, e giudichi

fra voi e me, e vegga, e mi faccia

ragione; ma io sopra voi

non metter la mia mano.

LAZARO: Maledetto! T'appicco il capestro...

(Gli getter il cappio per prendergli il capo; ma Aligi schiver la presa afferrando la corda e togliendola al padre con una stratta improvvisa).

ALIGI: Cristo Signore, aiutami tu,

ch'io non gli metta addosso la mano,

ch'io non faccia questo al mio padre!

(Furente, Lazaro correr al limitare chiamando).

LAZARO: O Ienne, o tu, Femo, venite,

venite a vedere costui

quel che fa (lo freddasse una serpe!).

Portate le corde. Invasato

per certo. Minaccia il suo padre!

(Accorreranno due bifolchi membruti, portando le corde).

Mi s' ribellato costui!

Maledetto fu sin nel ventre

e per tutti i suoi giorni e di l.

Lo spirito malo gli entrato.

Guardatelo, senza pi sangue

la faccia. O Ienne, tu prendilo.

O Femo, hai la corda, tu legalo.

Legatelo e gettatelo fuori

ch io non mi voglio macchiare.

E correte a chiamare qualcuno

che l'escongiurazione gli porti.

(I due bifolchi si getteranno su Aligi per sopraffarlo).

ALIGI: Fratelli in Dio, non fatemi questo!

Non ti perdere l'anima tua,

Ienne. Ti riconosco. Di te

mi rammento, quand'ero bambino,

che venni a raccoglier l'olive

nel tuo campo, Ienne dell'Eta.

Mi rammento. Non farmi quest'onta,

non vituperarmi cos!

(I bifolchi lo terranno serrato e cercheranno di legarlo, trascinandolo, mentre egli si divincoler).

Ah, cane! Di peste perissi!

No, no, no! Mila, Mila, corri,

prendimi l un ferro. Mila! Mila!

(Si udr ancra la sua voce rauca e disperata, mentre Lazaro chiuder a Mila lo scampo).

MILA: Aligi, Aligi, Dio ti vaglia!

Dio ti vendichi! Non disperare.

Forza non ho, forza non hai.

Ma, finch m' in bocca il mio fiato,

sono di te, sono per te!

Abbi fede. L'aiuto verr.

Fa cuore, Aligi. Dio ti vaglia!

Scena ottava

Mila star con gli occhi fissi a quella parte, con l'orecchio teso per cogliere le voci. Nella breve tregua, Lazaro scruter la caverna insidiosamente. Si udr in lontananza il cantare di un'altra compagnia trapassante pel valico.

LAZARO: Femmina, or hai tu veduto

che il padrone son io. Do la legge.

Rimasta sei sola con me.

Si comincia a far sera; e qui dentro

gi quasi notte. Paura

non avere, Mila di Codra,

n di questa mia cicatrice

se accesa la vedi, che ancra

mi ci sento batter la febbre...

Accstati. Consunta mi sembri.

Nel giaccio del pecoraio

non avesti per certo la grassa

pasciona. Da me tu potresti

averla, se tu la volessi,

alla pianura; ch Lazaro

di Roio capoccio fornito...

Ma che guati per l? che aspetti?

MILA: Nulla aspetto. Non viene nessuno.

(Vigiler, nella speranza di vedere apparire Ornella per salvazione. Dissimulando e temporeggiando, tenter d'ingannare l'uomo).

LAZARO: Sei sola con me. Non avere

paura. Ti sei persuasa?

MILA (lentamente): Ci penso, Lazaro di Roio,

ci penso, a quel che prometti...

Ci penso. Ma chi m'assicura?

LAZARO: Non ti scostare. Mantengo

quel che prometto, ti dico,

se Dio mi d bene. Vien qua.

MILA: E Candia della Leonessa?

LAZARO: Metta amara saliva e con quella

bagni il filo di canapa e torca.

MILA: E tre figlie tu hai nella casa,

e la nuora. Non mi confido.

LAZARO: Vien qua. Non ti scostare. Qua, senti:

ho vnti ducati cuciti

dentro la pelle. Li vuoi?

(Palper l'orlo della sua casacca di pelle di capra. Poi se la toglier di dosso e la getter per terra, ai piedi della donna).

Tieni! Non li senti che suonano?

Sono vnti ducati d'argento.

MILA: Vo' prima vedere; vo' prima

contare, Lazaro di Roio.

Ora prendo le forbici e sdrucio.

LAZARO: Ma che guati? Ah, magalda, tu certo

preparando mi vai qualche sorte

e tenermi a bada ti credi.

(Egli l'assalir per prenderla. La donna gli sfuggir nell'ombra, andr a rifugiarsi presso il ceppo di noce).

MILA: No! No! No! Lasciami! Lasciami!

Non mi toccare. Ecco, viene! Ecco, viene

la tua figlia... Ornella ora viene.

(Ella si aggrapper all'Angelo perdutamente, per resistere alla violenza).

No, no! Ornella, Ornella, aiuto!

(D'improvviso, alla bocca della caverna, apparir Aligi disciolto. Vedr il viluppo nell'ombra. Si precipiter contro il padre. Scorger nel ceppo rilucere l'asce ancra infissa. La brandir, cieco di orrore).

ALIGI: Lasciala, per la vita tua!

(Colpir il padre a morte. Ornella, sopravvenuta, si chiner a riconoscere nell'ombra il corpo stramazzato a pi dell'Angelo. Gitter un gran grido).

ORNELLA: Ah! E io t'ho sciolto! E io t'ho sciolto!

ATTO TERZO

Si vedr un'aia grande; e al fondo una quercia venerabile per vecchiezza; e, dietro il tronco, la campagna limitata dai monti, solcata dalla fiumana. Si vedr a manca la casa di Lazaro, la porta aperta, il portico ingombro di strumenti rurali; a dritta, il fienile il frantoio il pagliaio.

Scena prima

Il cadavere di Lazaro sar steso sul nudo suolo, dentro la casa, poggiato il capo a un fascio di sermenti, secondo il costume. E le Lamentatrici gli staranno d'intorno inginocchiate. Di loro una intoner, l'altre in coro voceranno; e per fare il lamento si chineranno l'una verso l'altra tenendo fronte con fronte. Sotto il portico, fra l'aratro e il tino, staranno le donne del parentado, e Splendore e Favetta. Pi oltre, Vienda di Giave sar seduta su una pietra, con l'aspetto di una morente, confortata dalla sua madre e dalla sua madrina. Sola Ornella sar sotto l'albero, con lo sguardo rivolto verso il sentiero. Tutte in gramaglia.

IL CORO DELLE LAMENTATRICI: Iesu Cristo, Iesu Cristo,

l'hai possuto sofferire!

D'esta morte scellerata

dova Lazaro morire!

S' veduto a vetta a vetta

tutto, 'l monte isbigottire.

S' veduto in ciel lo sole

la sua faccia ricuoprire.

Ahi, ahi! Lazaro, Lazaro, Lazaro!

Ahi, che pianto si piange per te!

Requiem ternam dona ei, Domine.

ORNELLA: Ora viene! Ora viene! Si vede

lo stendardo nero, e la polvere.

Sorelle, sorelle, pensate

alla madre, che si prepari...

che il cuor non le scoppi... Fra poco

viene. Ecco, laggi alla svolta,

lo stendardo nero apparito!

SPLENDORE: Maria della Piet, pel tuo Figlio

messo in croce, tu sola puoi dirlo

alla madre, e tu parlale dentro!

(Alcune donne esciranno del portico a guardare).

ANNA DI BOVA: il cipresso del campo a Fiumorbo.

FELVIA SSARA: l'ombra del nuvolo in terra.

ORNELLA: Non n il cipresso n l'ombra

del nuvolo, donne. Io lo vedo:

n il cipresso n il nuvolo, ahim.

Lo stendardo del Malificio,

che l'accompagna. Ora viene,

per il commiato di morte,

per aver dalla madre la tazza

del conslo e andarsene a Dio.

Ah perch non moriamo noi tutte

dietro a lui? Sorelle, sorelle!

(Le sorelle si volgeranno alla porta e guateranno).

IL CORO DELLE LAMENTATRICI: Iesu Iesu, meglio era

ch'esto tetto si sfacesse.

Ahi che troppo gran dolore,

Candia della Leonessa,

l'uomo tuo su nuda terra,

e guancial non gli permesso!

Solo un fascio di sermenti

sotto il capo gli fu messo!

Ahi, ahi! Lazaro, Lazaro, Lazaro!

Ahi, che pena si pena per te!

Requiem ternam dona ei, Domine.

SPLENDORE: Favetta, va tu; va e parla.

Va tu; e le tocca una spalla,

ch'ella senta e si volga. Seduta

su la pietra del focolare

sta, fisa; e ciglio non muove,

e par che non veda e non oda,

e pare sia tutta una pietra.

Vergine di misericordia,

non le togliere il senno, alla misera!

Fa che ci guardi e negli occhi

nostri si riconosca la misera!

Ma io cuore non ho di toccarla.

E chi le dir la parola?

Sorella, va e dille: Ecco viene.

FAVETTA: N io non ho cuore. Ho spavento.

Non me la ricordo com'era,

e n mi ricordo la voce

com'era prima che fossimo

in doglia. Incanutita s' tutta,

e ogni ora pi bianco diventa

il suo capo. Mi pare che nostra

non sia pi; mi pare distante

e che stia seduta su quella

pietra da cent'anni e per altri

cent'anni, e pi non si ricordi

di noi... Vedete, vedete

come tien chiusa la bocca!

Pi chiusa di quella ch' fatta

muta per sempre l in terra.

Come dunque parlare potr?

Io non la tocco, io non le dico:

Ecco viene. Se si scuote,

cade, stramazza. Ho spavento.

SPLENDORE: Ah perch siamo nate, sorelle?

Perch ci partor nostra madre?

Ci prendesse tutte in un fascio

la morte, ci portasse con s!

IL CORO DELLE PARENTI: - Ah che piet, creature!

- Che piet di voi, creature!

- Su, fate cuore, che Dio

vi rialzer, se v'ha stronche.

- Dio vi d la trista vendemmia

ma forse l'oliva sar

meno scura. Abbiate fidanza.

- E c' una che forse pi misera

di voi, c' una che stava

nella sua casa, in mezzo al suo pane,

qui entr, s'addorm, si svegli

a sorte perversa, e non ebbe

pi bene e si muore: Vienda.

- gi nel mondo di l.

- E quella non si lagna e non lacrima.

- Ah che piet della carne

cristiana, della vita nostra,

di tutta la gente che nasce

dolora trapassa e non sa!

ORNELLA: Ecco viene Femo di Nerfa

il bifolco, viene correndo.

E lo stendardo s' fermo

al Tabernacolo bianco.

Sorelle, volete ch'io stessa

vada e la parola le porti?

Ahim, forse non si rammenta

quel che bisogna. Ma, Dio

liberi, se pronta non

ed ei sopraggiunge e la chiama

e all'improvviso ella ode la voce,

allora certo il cuore le scoppia.

ANNA DI BOVA: Ah che certo il cuore le scoppia,

Ornella, se tu vai e la tocchi.

Hai la mala ventura con te;

e tu fosti a chiuder la porta

e tu fosti a sciogliere Aligi.

IL CORO DELLE LAMENTATRICI: A chi lo lasci l'aratro,

oh Lazaro, a chi lo lasci?

Chi ti vanga il campo tuo,

la tua mandra chi la pasce?

Padre e figlio l'Inimico

ha pigliato con un laccio.

Morte infame, morte infame,

corda e sacco e ferro d'asce!

Ahi, ahi! Lazaro, Lazaro, Lazaro!

Ahi, che scempio si pate per te!

Requiem ternam dona ei, Domine.

(Apparir il bifolco ansante).

FEMO DI NERFA: Dov' Candia? Figliuole del Morto,

il giudizio fatto. Baciate

la polvere, prendete la cenere.

Il Giudice del Malificio

ha dato sentenzia finale,

e tutto il popolo giustiziere

del parricida e l'ha nelle mani.

Ora il fratel vostro lo portano

qui, a pigliar perdonanza

dalla madre sua, che la madre

la tazza gli dia del conslo,

prima che la mano gli tglino,

prima che nel sacco lo srrino

col can mastino e lo gttino

al fiume in dove fa gorgo.

Figliuole del Morto, baciate

la polvere, prendete la cenere.

E Nostro Signore Ges

abbia piet del sangue innocente!

(Le tre sorelle correranno l'una verso l'altra e si stringeranno insieme, capo con capo, restando nell'atto. Si udr a quando a quando il rullo sordo del tamburo funereo).

MARIA CORA: O Femo, e perch l'hai tu detto?

FEMO DI NERFA: Dov' Candia che non apparisce?

LA CINERELLA: Su la pietra del focolare,

l: non fa segno n motto.

ANNA DI BOVA: E nessuno si ardisce toccarla.

LA CINERELLA: Ne hanno spavento le figlie.

FELVIA SSARA: E tu, Femo, hai testimoniato?

LA CATALANA: E Aligi l'avesti vicino?

E, innanzi al giudice, che disse?

MNICA DELLA COGNA: Che disse? che fece? Urla mise

e di nelle smanie il meschino?

FEMO DI NERFA: Sempre ginocchione si stette

e si guardava la mano.

E diceva ogni tratto: Mea culpa.

E innanzi a s baciava la terra.

E aveva un viso umile e pio

cos che pareva innocente.

E l'Angelo intagliato nel ceppo

era l con la macchia di sangue.

E molti piangevano intorno.

E taluno diceva: innocente.

ANNA DI BOVA: E la mala femmina Mila

di Codra ritrovata non fu?

LA CATALANA: La figlia di Iorio dov'?

Non se n'ha novella? Che sai?

FEMO DI NERFA: Cercata per gli stazzi fu molto

ma nessuna traccia lasci.

I pastori non l'hanno veduta.

Solo Cosma, il santo dei monti,

dice averla veduta e che in qualche

forra andata a gittar l'ossa sue.

LA CATALANA: La trvino i corvi ancor viva

e gli occhi le bcchino, i lupi

la trvino viva e la strccino!

FELVIA SSARA: E sempre rinasca allo strazio

la carne sua maledetta!

MARIA CORA: Taci, taci, Felvia. Silenzio!

Silenzio! Candia s' alzata,

cammina, ora viene alla soglia,

ora esce. Figliuole, figliuole,

s' alzata. Reggetela voi.

(Le sorelle si scioglieranno e andranno verso la porta).

IL CORO DELLE LAMENTATRICI: Candia della Leonessa,

dove vai? Chi t'ha chiamata?

Sigillata la tua bocca,

il tuo piede catenato.

Lasci dietro a te la morte

e t'imbatti nel peccato!

Unque vai, unque ti volti,

il cammino disperato.

Ahi, ahi, cenere misera, ahi vedova,

ahi madre! Iesu Iesu, piet!

De profundis clamavi ad te, Domine.

(La madre apparir su la soglia).

Scena seconda

Le figlie faranno l'atto di sostenerla trepidando. Ella le guarder attonita.

SPLENDORE: Madre cara, ti sei levata. Forse

ti bisogna qualcosa, un sorso almeno

di vin moscato, un po' di cordiale?

FAVETTA: E screpolato t' il labbro tuo caro

dalla secchezza. Vuoi che ti si bagni?

ORNELLA: Mamma, fa cuore. Siamo qui con te.

Alla prova pi trista Iddio ti chiama.

CANDIA DELLA LEONESSA: E d'una tela viense tanta trama

e d'una fonte viense tanto fiume

e d'una quercia viense tante rame

e d'una madre tante creature!

ORNELLA: Mamma, la fronte ti coce. Oggi un tempo

che fa afa; e t' grave questo panno.

Tutto in sudore t' il tuo caro viso.

MARIA CORA: Ges Ges, che non esca di senno!

LA CINERELLA: Vergine, che il farnetico le passi!

CANDIA: tanto tempo che non ho cantato,

non so se la ritrovo l'aria mia.

Ma oggi venard e non si canta;

il Signore s' messo in penitenza.

SPLENDORE: O madre mia, dove sei con la mente?

Guardi e non ci conosci! Qual pensiero

ti trae? Misere noi, che mai questo?

CANDIA: Questo il pianeta, e questo il Sacramento,

e questo il campanile di San Biagio,

e questo il fiume e questa la mia casa.

Ma chi questa che sta su la porta?

(Un terrore sbito assalir le giovanette. Si discosteranno alquanto a riguardare la madre, e gemeranno sommesse).

ORNELLA: Ah, sorelle, sorelle mie, perduta

l'abbiamo! Anche la madre nostra abbiamo

perduta! Escita di senno, vedete.

SPLENDORE: Sventura nostra! Maledette siamo

da Dio. Siamo rimaste sole in terra!

FAVETTA: O donne, buone parenti, scavateci

la fossa accanto a quell'altra, e metteteci

tutte e tre gi, cos come siam vive.

FELVIA SSARA: No, non isbigottite, creature;

ch la percossa le ha riversa l'anima,

l'ha risospinta nel tempo di gi.

Lasciatela che svaghi; e poi ritorna.

(Candia far qualche passo).

ORNELLA: Madre, mi senti? Dove vuoi andare?

CANDIA: Il core ho perso d'un dolce figliuolo,

or trentatre giorni, e non lo trovo!

L'hai tu veduto, l'hai tu riscontrato?

- Io sul Monte Calvario l'ho lasciato,

i' l'ho lasciato sul Monte distante,

l'ho lasciato con lacrime e con sangue.

MARIA CORA: Ah, dice l'ore della Passione.

FELVIA SSARA: Lasciatela, lasciatela che dica.

LA CINERELLA: Lasciatela, che il cuore le si scarichi.

MNICA DELLA COGNA: O Madonna del Santo Venard,

miserere di lei. Ora pro nobis.

(Le donne del parentado s'inginocchieranno pregando).

CANDIA: Ecco e la Madre si mette in cammino,

viene alla vista del suo dolce figlio.

- O madre, madre, perch sei venuta?

Tra la gente giudea non v' salute.

- Portato un braccio t'ho di pannolino

per ricuoprirti il tuo corpo ferito.

- Deh portato m'avessi un sorso d'acqua!

- Figlio, non so n strada n fontana;

ma, se la testa un poco puoi chinare,

una goccia di latte io ti vo' dare;

e, se latte non esce, tanto spremo

che tutta la mia vita esce del seno.

- O madre, madre, parla piano piano...

(Ella s'arrester per qualche attimo nella cadenza; poi grider d'improvviso, con una voce disperata).

Madre, madre, dormii settecent'anni,

settecent'anni; e vengo di lontano.

Non mi ricordo pi della mia culla.

(Colpita dal suo stesso grido, ella si guarder intorno sgomenta, come risvegliandosi di soprassalto. Le figlie correranno a sostenerla. Le donne si leveranno. Si udr pi presso il rullo del tamburo allentato).

ORNELLA: Ah come trema, come trema tutta!

Ora vien meno. Pi non regge l'anima.

Da due giorni digiuna, e si svanisce.

SPLENDORE: Mamma, chi parla in te? Chi senti tu

dentro parlarti, dentro le tue viscere?

FAVETTA: Dacci udienza, poni mente a noi,

guardaci in viso. Siamo qui con te.

FEMO DI NERFA (dal fondo): Donne, donne, qui presso con la turba.

Lo stendardo ora passa la cisterna.

Portano anche l'Angelo coperto.

(Le donne si aduneranno sotto la quercia a guatare verso il sentiero).

ORNELLA (a gran voce):Madre, ora viene Aligi, viene Aligi

a pigliar perdonanza dal tuo cuore,

a bevere la tazza del conslo

dalle tue mani. Svgliati e sta forte.

Maledetto non . Col pentimento

il sacro sangue sparso ei lo riscatta.

CANDIA: vero, vero. Con le foglie trite

fu ristagnato il sangue che colava.

Figlio Aligi gli disse figlio Aligi,

lascia la falce e prenditi la mazza;

fatti pastore e va su la montagna.

E fu guardato il suo comandamento.

SPLENDORE: Hai bene inteso? Il figlio Aligi arriva.

CANDIA: E alla montagna deve ritornare.

Come far? Le sue camicie nuove

non ho finito di cucirgli, Ornella!

ORNELLA: Madre, andiamo. Fa questo passo. Vlgiti.

Aspettarlo bisogna innanzi casa.

Donmogli commiato, a lui che parte.

E poi ci colcheremo tutte in pace,

a fianco a fianco, nel letto di gi.

(Le figlie ricondurranno la madre sotto il portico).

CANDIA (tra s mormorando): Io mi colcai e Cristo mi sognai.

Cristo mi disse: Non aver paura.

San Giovanni mi disse: Sta sicuro.

IL CORO DELLE PARENTI: - Oh che turba di gente viene dietro

lo stendardo! Vien tutta la contrada.

- Iona di Midia porta lo stendardo.

- E che silenzio, come a processione!

- Ah che piet! Sul capo il velo nero.

- Le ritorte di legno alle sue mani,

come pesanti, grosse come un giogo!

- E col cmice bigio e i piedi scalzi.

- Ah chi ci regge? Io metto faccia in terra

e chiudo gli occhi, e non voglio vedere.

- Lonardo della Roscia porta il sacco

di cuoio; Biagio Gudo, il can mastino.

- Mettetegli nel vino un po' di rdica

di solatro, che perda il sentimento.

- Cocetegli nel vino erba morella,

ch'esca della memoria e non s'accorga.

- Va, Maria Cora, che sai medicina,

aiuta Ornella a fare il beveraggio.

- Grande il misfatto ma grande il patire.

- Ah che piet! Guarda la gente, come

muta! Viene tutta la contrada.

- Han lasciato le vigne in abbandono.

- Oggi uva non si coglie. Anco la terra

a lutto. Chi non piange? Chi non piange?

- Guarda Vienda. Pare in agonia.

- Meglio per lei, che ha perso conoscenza.

- Meglio per lei, se non ode e non vede.

- Ahi, che destino amaro! Or tre mesi

che venimmo portando le canestre.

- E il male che verr, chi lo misura?

- Non vi saranno lacrime per piangere.

FEMO DI NERFA: Silenzio, donne! Silenzio! Ecco Iona.

(Le donne si ritrarranno verso il portico. Si far gran silenzio).

LA VOCE DI IONA: O vedova di Lazaro di Roio

o gente della casa sciagurata,

all'erta, all'erta! Viene il penitente.

Scena terza

Apparir l'alta statura di Iona con lo stendardo funereo. Dietro di lui verr il parricida vestito d'un cmice, col capo coperto d'un velo nero, con ambe le mani strette da pesati ritorte di legno. Un uomo gli star da presso tenendo la mazza pastorale istoriata; un altro avr la scure; altri porteranno l'Angelo avvolto in un drappo e lo poseranno a terra. La turba si accalcher nello spazio, tra l'albero e il pagliaio. Le lamentatrici, trascinatesi carponi alla soglia della casa, leveranno il grido verso il morituro.

IL CORO DELLE LAMENTATRICI: Figlio Aligi, figlio Aligi,

che hai fatto? che hai fatto?

Chi questo insanguinato?

chi l'ha corco sopra il sasso?

venuta l'ora tua.

Nero il vino del trapasso!

Mano mozza, morte infame,

mano mozza, corda e sacco!

Ahi, ahi! Figlio di Lazaro, Lazaro

morto, ahi ahi, ucciso da te!

Libera, Domine, animam servi tui.

IONA DI MIDIA: Trist'a te, Candia della Leonessa.

O Vienda di Giave, trist'a te.

Trist'a voi, figlie del Morto, parenti.

Il Signore abbia piet di voi, donne.

Nelle mani del popolo rimesso

Aligi di Lazaro dal Giudice

del Malificio, perch vendicata

sia per le nostre mani questa infamia

caduta sopra a noi, che d'una eguale

i vecchi nostri non hanno memoria

e cos la memoria se ne perda,

per la Dio grazia, ne' figli de' figli.

Or t'abbiamo condotto il penitente

perch da te la tazza del conslo

riceva, Candia della Leonessa.

Escito egli dalle viscere tue.

T' conceduto alzargli il velo nero,

accostargli alla bocca il beveraggio,

ch molto amara sar la sua morte.

Salvum fac populum tuum, Domine.

Kyrie eleison.

LA TURBA: Christe eleison. Kyrie eleison.

(Iona porr una mano su la spalla di Aligi per sospingerlo. Il penitente velato far un passo verso la madre; poi cadr su i ginocchi, di schianto).

ALIGI: Laudato Ges e Maria!

Ma voi madre chiamare non pi

m' dato, non pi benedire

m' dato, ch la bocca d'inferno,

quella che da voi succhi il latte,

che da voi le sante orazioni

impar nel timore di Dio,

e i comandamenti e la legge.

Perch tanto male v'ho reso?

Volont di dire m' dentro;

ma ratterr la mia bocca.

O la pi sventurata di tutte

le donne che hanno nutrito

il suo figlio, che gli hanno cantato

il sonno nella culla e nel grembo,

oh no, non alzate il mio velo,

che non vi comparisca dinanzi

la faccia del peccato tremendo.

Non alzate il velo mio nero.

Io non abbia da voi beveraggio;

perch poco quello che soffro,

poco quello che debbo patire.

Ma scacciatemi ora, con legni

e con pietre, scacciatemi via;

scacciatemi come il mastino

che all'agonia sar mio compagno,

che mi morder la mia gola

quando l'anima mia disperata

vi chiamer mamma mamma

nel sangue del mio moncherino

maledetto entro il sacco d'infamia.

LA TURBA (sommessamente): - Oh povera, povera! Guarda

guarda: tutta bianca in due notti!

- Non piange. Pianger non pu.

- Escita sembra di senno.

- Non si move. E come la statua

dell'Addolorata. Oh piet!

- Abbine piet, buono Iddio!

Santa Vergine, misericordia!

- Miserere di lei, Iesu Cristo!

ALIGI: E voi, creature, non pi

m' dato chiamare sorelle,

n pi nominare m' dato

i nomi che il battesmo v'impose,

che m'eran le mie foglie di menta

in bocca, le mie foglie odorose,

che mi davan freschezza e piacenza

fino al cuore nel mio pasturare;

e me li sento qui a sommo

e poterli dire vorrei,

e non vorrei sorso d'altro

conslo pel mio trapassare.

Ma non pi nominarvi m' dato.

E s'appassiranno i bei nomi;

e non li canter l'amor vostro

sotto la finestra al sereno;

ch nessuno vorr le sorelle

di Aligi. E ora il miele veleno!

Scacciatemi via come cane,

anche voi scacciatemi via,

battetemi, scagliatemi sassi.

Ma, prima di scacciarmi, soffrite

ch'io vi lasci a voi sconsolate

le due cose ch'io sole posseggo,

che questa gente cristiana

vi porta: la mazza di snguine

dov'io feci le tre verginelle

a simiglianza di voi

per avervi compagne su l'erba;

la mazza, e l'Angelo muto

ch'io lavorai col mio cuore,

ahim, dov' la macchia tremenda.

E la macchia scomparir

un giorno, e l'Angelo muto

parler un giorno. E vedrete

e udrete. Io patire patire

voglio per questo, e il patire

m' poco al mio pentimento.

LA TURBA: - Oh povere, povere! Guarda,

guarda come sono disfatte!

Anch'elle non piangono pi.

Non hanno pi lacrime. Secche

sono, bruciate fin dentro.

- La morte le falcia e le lascia

per terra, che cmpino ancra!

- Le taglia ma non se le porta.

- Abbine piet, buono Iddio!

- Sono creature innocenti.

- Miserere, Ges, miserere!

ALIGI: E tu, che sei vergine e vedova,

tu che nell'arche tue del corredo

portasti vestimenta di lutto,

pettine di rovi, collana

di spine, lenzuola tessute

di triboli, tu che piangesti

la prima notte e poi sempre,

tu hai nel Paradiso le nozze

tue nuove. Ges ti fa sposa,

Maria ti consola per sempre.

LA TURBA: - Oh povera! Quella non giunge

a sera; al suo ultimo fiato.

tutta capelli: non ha

pi carne: tutta in quell'oro.

- Ma s' scolorito il suo oro.

- come una rcca di canapa.

- Come l'erba del Gioved Santo.

- O Vienda, vergine e vedova,

il Paradiso hai per certo.

- E s'ella non l'ha, chi l'avr?

- Nostra Donna, portala in cielo!

- Mettila tra gli Angeli bianchi!

- Mettila tra le Mrtiri d'oro!

IONA DI MIDIA: Aligi, hai detto il tuo dire.

Su, lvati e andiamo ch' tardi.

Fra poco il sole si colca.

E l'avemaria tu non devi

udire, n vedere la stella.

O Candia della Leonessa,

se piet vuoi avere, se dargli

vuoi la tazza, non t'indugiare.

La madre tu sei. T' concesso.

LA TURBA: - Candia, Candia, alzagli il velo!

- Candia, dgli la tazza, ch'ei beva!

- Dgli il beveraggio, ch'egli abbia

cuore al supplizio. Su, Candia!

- Abbi piet pel tuo figlio!

- Tu sola puoi. T' concesso.

- Miserere di lui! Miserere!

(Ornella presenter alla madre la ciotola del vino misturato. Favetta e Splendore inciteranno la misera sospingendola. Aligi si trasciner su i ginocchi verso la porta della casa, e alzer la voce invocando il defunto).

ALIGI: Padre, padre, padre mio Lazaro

odimi. Tu il fiume passasti

con la bara, ed era pesante

pi d'un carro di buoi la tua bara,

e fu gettata la pietra

nella corrente, e passasti.

Padre, padre, padre mio Lazaro,

odimi. Ora io me ne vado

al fiume e non passo. Io vado

a cercar quella pietra nel fondo

e dopo io ti vengo a trovare;

e tu mi vieni sopra con l'erpice,

per l'eternit mi dirompi,

per l'eternit mi dilceri.

Padre mio, fra poco son teco.

(La madre camminer verso di lui, nell'orrore. Si chiner, sollever il velo, con la sinistra mano premer al seno la guancia del figlio, con la destra prender la tazza recatale da Ornella, l'accoster alle labbra del morituro. Si udr un voco confuso della gente pi discosta, gi pel sentiere).

IONA DI MIDIA: Suscipe, Domine, servum tuum.

Kyrie eleison.

LA TURBA: Christe eleison. Kyrie eleison.

Miserere, Deus, miserere.

- Vedete, vedete che viso!

- Questo in terra si vede, Ges!

- O Passione di Cristo!

- E chi che grida? perch?

- Silenzio! Silenzio! Chi chiama?

- La figlia di Iorio! La figlia

di Iorio! Mila di Codra!

- Buono Iddio, miracolo fai!

- la figlia di Iorio, che viene.

- Risuscitata l'hai, buono Iddio?

- Largo! Largo! Lasciate passare!

- Maledetta cagna, sei viva?

- Ah strega d'inferno, sei tu?

- Magalda! Bagascia! Carogna!

- Fate luogo! Lasciatela! Passa,

passa, femmina. Su, fate luogo!

- Lasciatela, al nome di Dio!

Scena ultima

Aligi sorger in piedi, con la faccia scoperta, guatando verso il clamore; e la madre e le sorelle saranno presso a lui. Fendendo la turba apparir Mila di Codra impetuosamente.

MILA DI CODRA: Madre d'Aligi, sorelle

d'Aligi, sposa, parenti,

stendardiero del Malificio,

popolo giusto, giustizia

di Dio, sono Mila di Codra.

Mi confesso. Datemi ascolto.

Il santo dei monti m'invia.

Son discesa dai monti, venuta

sono a confessarmi in conspetto

di tutti. Datemi ascolto.

IONA DI MIDIA: Silenzio, silenzio! Lasciate

che parli, al nome di Dio.

Confssati, Mila di Codra.

Il popolo giusto ti giudica.

MILA: Aligi figliuolo di Lazaro

innocente. Commesso non ha

parricidio. Ma s, il suo padre

ucciso da me fu con l'asce.

ALIGI: Mila, innanzi a Dio tu ne menti.

IONA: Egli confesso. Hai mentito.

Egli reo ma rea tu con lui.

LA TURBA: - Alle fiamme! Alle fiamme! Su, Iona,

dccela, che noi la bruciamo.

- Alla catasta la maga!

- Alla stessa ora periscano!

- No, no! Io lo dissi: innocente.

- confesso! confesso! La femmina

l'istig ma egli di il colpo.

- Tutt'e due sono rei. Alle fiamme!

MILA: Gente di Dio, datemi ascolto;

e poi fate scempio di me.

Sono pronta, venuta per questo.

IONA: Silenzio! Lasciate che parli.

MILA: Aligi figliuolo di Lazaro

innocente. Ma egli non sa.

ALIGI: Mila, innanzi a Dio tu ne menti.

Ornella (perdno, se fui oso

nominarti), tu sei testimone

ch'ella inganna il popolo giusto.

MILA: Egli non sa. Di quell'ora

non gli sovviene. magato.

Io gli voltai la ragione.

Io gli voltai la memoria.

Son figlia di mago. Non v'

sortilegio ch'io non conosca,

ch'io non operi. Se tra le donne

del parentado quell'una

che mi fece accusa qui proprio,

la vigilia di Santo Giovanni,

quando entrai per la porta che l,

venga innanzi e l'accusa ripeta.

LA CATALANA: Sono io quell'una. Son qui.

MILA: Fa testimonianza di me

per quelli che feci infermare,

per quelli che feci morire,

per quelli che tolsi di senno.

LA CATALANA: Giovanna Camtra. Lo so.

E il povero delle Marane,

e Afuso, e Tillra. Lo so.

So che fai nocimento a chiunque.

MILA: Avete udito, popolo giusto,

questa serva di Dio? Bene, vero.

Mi confesso. Il santo dei monti

m'ha toccata quest'anima trista.

Mi confesso e mi pento. Non voglio

che l'innocente perisca.

Voglio il castigo, e sia grande!

Per fare ruina, per rompere

vincoli distruggere gioie

prendere vite, in giorno di nozze

varcai quella soglia che l,

del focolare mi feci

padrona e lo sconsacrai.

Il vino ospitale falsai,

non bevvi, adoprai per fattura.

Le sorti del padre e del figlio

torsi a odio, e posi a pressura

la gola della sposa novizia.

E per arte le lacrime care

di quelle giovanette sorelle

a mia difensione io le trassi.

Dite, donne del parentado,

dite, se sapete d'Iddio

quanta fu, quanta fu la nequizia!

IL CORO DELLE PARENTI: - vero, vero. S, questo fece.

- Sguisci dentro la cagna randagia

quando la Cinerella spargeva

su Vienda il suo pugno di grano.

- Di sbito fece la sorte.

- E la mala febbre appicc

di sbito al giovine soro.

- E tutte noi contro gridammo

e fu vano gridare. Avea l'arte.

- vero. Ora s, dice il vero.

- Laudato Ges che fa luce!

(Aligi star a capo chino, col mento in sul petto, sotto l'ombra del velo, intento all'orribile conturbazione dell'anima sua, gi scorrendogli per le vene la virt del beveraggio).

ALIGI (scotendosi, con violenza): No, no, non vero. T'inganna,

non la udire, popolo giusto;

questa creatura t'inganna.

Tutti e tutte le stavano contro,

e cos le facean vitupro.

E io vidi l'Angelo muto

dietro a lei. Con questi occhi mortali

che non debbon vedere la stella

di questo vespro, io lo vidi

che mi guardava e piangeva.

O Iona, miracolo fu

per mostrare ch'ell'era di Dio.

MILA: Oh povero Aligi pastore!

Oh giovine credulo e ignaro!

L'Angelo aposttico era.

(Tutti si segneranno, tranne Aligi constretto dalle ritorte e Ornella che discostata dal portico terr gli occhi fissi alla vittima volontaria).

L'Angelo aposttico apparve

(perdonata da Dio non sar

n da te perdonata giammai)

apparve agli occhi tuoi per inganno.

Era l'Angelo iniquo, il fallace.

MARIA CORA: Io lo dissi, lo dissi nel punto.

Al sacrilegio gridai.

LA CINERELLA: Anch'io lo dissi, gridai.

Quand'ella fu osa il Custode

nominare per sorte, gridai:

Ha biastemato, ha biastemato!

MILA: Aligi, perdonata da te

non sar, se pure da Dio!

Ma debbo scoprir la mia frode.

Ornella, n tu mi guardare

cos come fai. Ch'io sia sola!

Aligi, quando venni allo stazzo,

quando tu mi trovasti seduta

su quella pietra, in silenzio

la tua perdizione compiei.

E tu lavorasti nel ceppo,

ah misero te, co' tuoi ferri

l'effigie dell'Angelo malo.

( quello, coperto col panno:

lo sento.) E io mane e sera

opravo con l'arte mia falsa.

Non ti sovviene di me? di tanto

amore ch'io t'ebbi, di tanta

umilt che m'era negli atti,

nella voce, dinanzi al tuo viso?

Non ti sovviene che mai

ci contaminammo, che monda

presso il tuo giaciglio rimasi?

E come, come (tu non pensasti),

tanta purit, tanta temenza

nella straniera malvagia

che i mietitori di Norca

avean svergonata al conspetto

della madre tua? Bene opravo,

bene opravo con l'arte mia falsa.

Non mi vedevi tu raccattare

intorno al tuo ceppo le schegge

e bruciarle dicendo parole?

Preparai l'ora di sangue,

che contra Lazaro antica

rancura, odio antico nudrivo.

Tu lasciasti l'asce nel ceppo.

Ora uditemi, gente di Dio.

Una grande potenza venuta

era in me sopra lui vincolato.

Quasi notte faceva nel luogo

maligno. Imbestiato il suo padre

presa m'avea pe' capegli

e mi trascinava furente.

Ei sopraggiunse e su noi

si gett per difendere me.

Rapidamente brandii

l'asce, nell'ombra; colpii,

forte colpii, sino a morte.

Sul colpo gridai: L'hai ucciso!

Al figlio gridai: L'hai ucciso,

ucciso! Potenza era in me grande.

Parricida lo fece il mio grido

nell'anima sua ch'era schiava.

L'ho ucciso! rispose; nel sangue

tramort, pi altro non seppe.

(Candia con ambe le braccia, scossa da un fremito quasi di belva, afferrer il figlio ridivenuto suo. Da lui si distaccher, con violenza selvaggia si avanzer verso la nemica. Ma le figlie la tratterranno).

IL CORO DELLE PARENTI: - Lasciatela! Lasciala, Ornella!

Che il cuore le strappi, che il cuore

le mangi! Cuore per cuore!

- Lasciatela, che se la metta

sotto i piedi, che la calpesti,

che col calcagno le schiacci

tempia e tempia, i denti le sgrani!

- Lasciatela! Lasciala, Ornella;

ch, se questo non fa, non le torna

l'anima in petto sanata.

- Iona, Iona, Aligi innocente.

- Toglilo dalle ritorte!

Levagli il velo! Ridaccelo!

- Oggi il popolo giustiziere.

- Tu giudica, popolo giusto.

- Comanda che sia liberato!

(Mila si ritrarr presso l'Angelo coperto, e guarder Aligi gi invaso dall'ebbrezza del vino misturato).

LA TURBA: - Lode a Dio! Gloria a Dio! Gloria Patri!

- L'infamia tolta da noi.

- La macchia non sopra noi.

- Di nostra gente non viene.

il parricida. A Dio gloria!

- Lazaro l'uccise la femmina

straniera, di Codra alle Farne.

- L'ho detto, l'ho detto: innocente,

Aligi innocente. Sia sciolto!

- Sia liberato ora in punto!

- Alla madre sua sia renduto!

- Iona, Iona, scioglilo! Il Giudice

del Malificio ci diede

oggi potest sopra un capo.

- Piglia il capo della sortiera!

- Alle fiamme, alle fiamme la maga!

- Alla catasta la strega!

- O Iona di Midia, odi il popolo!

Sciogli l'innocente! Su, Iona!

- Alla catasta la figlia

di Iorio, la figlia di Iorio!

MILA: S, s, popolo giusto, s, popolo

di Dio, piglia vendetta su me.

E l'Angelo aposttico mettilo

nella catasta con me,

che faccia la fiamma per ardermi,

che si consumi con me.

ALIGI: Oh voce di promessa e di frode!

Toglietemela di dentro

cos come bella mi parve,

come cara mi fu, soffocatela

nell'anima mia, fate che mai

udita io l'abbia, che mai

n'abbia gioito! Rempietemi dentro

tutti questi solchi d'amore

che mi scav, quando io era

alle sue parole d'inganno

come la mia montagna rigata

dalle acque di neve! Rempietemi

il solco di quella speranza,

per ove mi corse la grazia

di tutti i miei giorni ingannati!

Cancellate da me ogni traccia!

Fate che udito e creduto

io non abbia giammai! Ma, se questo

da voi non si pu, s'io son quello

che udii credetti sperai,

quello che adorai l'Angelo iniquo,

mozzatemi entrambe le mani,

nel sacco di cuoio cucitemi

(Lonardo, non lo porre da banda)

e gittatemi nella fiumana

ch'io vi dorma settecent'anni

ch'io dorma sott'acqua, nel gorgo

profondo, ancra settecent'anni

e pi non mi ricordi che il giorno

di Dio ha illuminato quegli occhi!

ORNELLA: Mila, Mila, l'ebbrezza del vino

misturato, del beveraggio

ch'ebbe dalla madre a conslo.

LA TURBA: - Scioglilo, Iona. Ha il delirio.

- Ha preso il solatro nel vino.

- Che la madre lo stenda sul letto.

- Che il sonno gli venga, che dorma.

- Che Ges Cristo l'acqueti.

(Iona dar a taluno di sua gente lo stendardo e s'avanzer verso Aligi per togliergli le ritorte).

ALIGI: S, per un poco scioglimi, Iona,

solo ch'io possa levar le mani

contra costei (no, non l'ardete:

la fiamma bella!), chiamare i morti,

tutti i miei morti nella mia terra,

quelli degli anni dimenticati,

i pi lontani, i pi lontani,

settanta braccia sotto la zolla,

a maledirla, a maledirla!

MILA (con un grido lacerante): Aligi, Aligi, tu no,

tu non puoi, tu non devi!

(Libero delle ritorte i polsi, libero del velo nero il capo, Aligi cadr fra le braccia della madre, preso dalla vertigine; e le maggiori sorelle e le donne del parentado gli saranno intorno).

IL CORO DELLE PARENTI: - Non isbigottire. quel vino.

- la vertigine calda.

- Ora lo stupore lo prende.

- Ora un gran sonno gli viene.

- Ch'ei dorma! Che Dio lo pacifichi!

- Stendetelo! Lasciate che dorma!

- Vienda! Vienda! Ti torna.

- L'uno e l'altra dal mondo di l.

- Laus Deo! Laus Deo! Gloria Patri!

(Iona metter le ritorte a Mila di Codra che gli tender i polsi. La testa le coprir col velo nero. Poi, ripreso lo stendardo del Malificio, sospinger la vittima verso la turba).

IONA: Popolo giusto, ti do

nelle mani Mila di Codra,

la figlia di Iorio, colei

che fa nocimento a chiunque,

perch tu giustizia ne faccia

e tu ne disperda la cenere.

Salvum fac populum tuum, Domine.

Kyrie eleison.

LA TURBA: Christe eleison. Kyrie eleison.

- Alle fiamme alle fiamme la figlia

di Iorio! La figlia di Iorio

e l'Angelo aposttico al fuoco!

- Alla catasta! All'inferno!

ORNELLA (a gran voce): Mila, Mila, sorella in Ges,

io ti bacio i tuoi piedi che vanno!

Il Paradiso per te!

MILA (di mezzo alla turba): La fiamma bella! La fiamma bella!

- FINE -

    Questo copione è stato visto: