LA FOLLIA
DI CAINO
Dramma in due atti di
Daniela Ariano
Quest'opera è pubblicata sul sito di informazione culturale http://www.arpanet.org/
Personaggi in ordine di apparizione.
VIRGILIO: ha circa sessanta anni, vive una vita vuota riempita solo dai
ricordi, è succube del fratello di cui non riesce a contrastare la forte
personalità.
FEDERICO: ha due anni in più di Virgilio ma ne dimostra molti di meno. E’ il
classico cinico senza scrupoli.
PADRE
RACHELE: è una ragazzina di circa tredici anni.
MADRE.
CLAUDIO: amico d’infanzia di Virgilio.
SUOR DILETTA
PAOLA: la giovane moglie di Virgilio.
DUE INFERMIERI
ATTO PRIMO
Una fastosa musica barocca sale lentamente fino a riempire tutta la sala.
Sipario. La scena, appena illuminata, è composta da uno sfondo completamente
nero e da due sedie rosse al centro del palcoscenico in posizione avanzata. Sul
fondo sono posizionati il padre, la madre, la sorella. Le loro sagome immobili
non si vedono ma s’intuiscono. La luce sarà sempre concentrata sulle due sedie,
tutto il resto deve restare in ombra.
C’è un uomo seduto sulla sedia di sinistra, indossa i pantaloni di un pigiama,
una camicia con cravatta e scarpe impolverate. Ha la barba incolta e guarda
fisso davanti a sé. Mentre la musica sale anche lui si alza dalla sedia e
inizia a danzare goffamente seguendo le note. I suoi movimenti diventano sempre
più convulsi fino a che la musica non diviene assordante e distorta. Lancia un
urlo, si getta in ginocchio coprendosi le orecchie con le mani. La musica cessa
di colpo, entra il fratello vestito elegantemente, con cappello e fiore sulla
giacca. Ha un paio di piccoli baffi ben curati e sta fumando un sigaro con aria
vissuta. Si dispone all’interno del cono di luce, di fronte alla sedia di
destra.
Scena prima: Virgilio, Federico
Federico - (guarda il fratello ancora accovacciato a terra con le mani sulle
orecchie) Cosa fai, preghi?
Virgilio - (si volta lentamente verso il fratello) Sei tu, Federico?
Federico - Ti sembro forse qualcun altro.
Virgilio - (si alza lentamente, lo guarda) No, sei proprio tu. (pausa) Perché
ieri non sei venuto? Ti ho aspettato tutto il giorno.
Federico - Ho avuto da fare. Posso sedermi?
Virgilio - Che domande. Certo che puoi sederti, a casa mia puoi fare quello che
vuoi.
Federico - (atono) Lo so. (si siede sulla sedia di destra)
Virgilio - Se lo sai perché diavolo me lo chiedi?
Federico - (atono) Non lo so, forse perché mi piace sentirmelo dire.
Virgilio - Che cosa?
Federico - (sorriso beffardo) Che posso fare quello che voglio a casa tua.
Virgilio - Se è per questo facevi quello che volevi anche a casa nostra. Con la
scusa che eri il più grande mamma e papà ti concedevano tutte le attenuanti.
Federico - Loro si fidavano di me perché ero il più responsabile.
Virgilio - (si siede sulla sedia di sinistra. Guarda fisso davanti a se) E’
notte o giorno?
Federico - E’ notte.
Virgilio - Chissà perché ero convinto che fosse giorno. Mah, la vecchiaia
comincia a farmi dei brutti scherzi. (guarda il fratello) Tu invece sei sempre
uguale. (ci pensa un attimo) Anzi, sembra che il fratello minore tra noi due
sia tu.
Federico - Io ho condotto sempre una vita sana. Tu invece guardati, sei
diventato un’ombra d’uomo. C’è da vergognarsi ad avere un fratello come te.
Virgilio - Hai ragione. Non sono mai stato alla tua altezza. Tu sempre curato,
con i pantaloni ben stirati e le camice intonate ai calzini. Io invece non ho
mai badato a queste cose, a me andava tutto bene, purché mi coprisse quando
avevo freddo e non mi facesse sudare quando sentivo caldo. (pausa) Vuoi
qualcosa da bere?
Federico - Adesso no, grazie. Mi toglierebbe il sapore del sigaro. (sfila dalla
tasca della giacca un portasigari e lo porge a Virgilio) Ne vuoi uno? Vengono direttamente
dall’Avana.
Virgilio - (guarda i sigari e storce la bocca) No, lo sai che io non fumo
quella roba.
Federico - (ripone il portasigari nella tasca) Già, dimenticavo. Tu fumi solo
schifezze.
Virgilio - (si alza di scatto dalla sedia) Ecco, vedi come sei? Quello che fumi
tu è oro, quello che fumo io è una schifezza.
Federico - Su, adesso non te la prendere. Era tanto per dire.
Virgilio - (si risiede, silenzio, ricorda) Com’è che ti chiamava nostra
madre?
Federico - (sorride) Il piccolo Lord.
Virgilio - Ah, già, è vero. Il piccolo Lord. A me invece non hanno mai dato dei
nomignoli, solo Virgilio. Che poi è un nome orrendo. (guarda il fratello) Anche
in questo sei stato fortunato! Se fossi nato due anni dopo di me te lo saresti
beccato tu questo nome da Divina Commedia. E invece no, a te hanno messo nome
Federico, perché il primogenito deve portare il nome del nonno paterno, mentre
a me è toccato quello materno, quello di scarto.
Federico - Ma di cosa ti lamenti! Porti il nome di un grande poeta e dovresti
essere contento.
Virgilio - Intanto a scuola prendevano in giro me.
Federico - (pausa, pensoso) Non se ne sentono tanti di Virgilio.
Virgilio - (sarcastico) Già, chissà come mai?
Federico Forse a nessuno interessa portare un nome brutto che è stato di un
grande poeta.
Virgilio - Allora lo ammetti che Virgilio è un nome brutto?
Federico - E’ un nome come ce ne sono tanti, belli, brutti, così e così (fa
segno con le mani), e poi a nostra madre piaceva, diceva sempre che avrebbe
voluto che tu diventassi uno scrittore o un poeta. E invece... (lo guarda con
aria di sufficienza)
Virgilio - Cosa vorresti dire? Che sono stato una delusione per lei? (si alza e
inizia a camminare avanti e indietro nel cono di luce) Ma cosa devo sentire,
bella roba! Adesso solo perché mi hanno chiamato Virgilio dovevo diventare un
poeta. (guarda il fratello con disprezzo) E tu allora? Siccome ti chiami
Federico saresti dovuto diventare un imperatore come il Barbarossa. E invece
niente, sei rimasto un ingegnere da quattro soldi, tutta la vita ingabbiato
nella fabbrica di nostro padre.
Federico - E’ solo invidia la tua. Io mi sono laureato mentre tu sei rimasto a
fare i conti nel negozio di tua moglie.
Virgilio - (lo guarda con rabbia) Lascia stare mia moglie, non la devi neanche
nominare. Se non fosse stato per te...
Federico - …cosa? Se è successo quello che è successo la colpa è solo tua,
niente altro che tua.
Virgilio - (si accascia sulla sedia di sinistra disperato, a capo chino.
Silenzio) Sì, la colpa è solo mia, niente altro che mia. (silenzio. La sua
espressione si tramuta da disperata a sognante) Ricordi quando andavamo al
paese di mamma, quell’odore di terra bagnata e il profumo del pane cotto sulla
legna? (aspira profondamente) Mi sembra ancora di sentirli quegli odori
perduti. (malinconico) Laggiù la guerra è arrivata da lontano, fredda e
spietata, ma a noi ci ha appena sfiorati. Eravamo protetti dalle solide mura di
quella casa centenaria e dalla fratellanza silenziosa che unisce la gente
semplice. Siamo stati fortunati. Io conservo nella mia memoria solo dei flashes
di quegli anni, e tu? (Federico annoiato non risponde, pausa) Ricordi quando
bombardarono Viterbo? (Federico fa cenno di sì, annoiato. Virgilio non si
accorge dell’espressione del fratello e continua) Quel giorno mamma pensò che
per noi tre fosse finita, e piangeva, ricordi come piangeva? Non riusciva a
rassegnarsi all’impotenza della guerra che tiene la vita d’ognuno appesa a un
filo e non ci si può fare proprio nulla, tranne che aspettare. (pausa) E invece
della morte quel giorno ci giunse solo il rumore assordante degli aerei carichi
di bombe. Bom... bom... bom mi sembra di averlo ancora dentro quel tuono sordo,
percuote il mio petto all’unisono con i battiti del cuore. (pausa, sorride) E
ricordi quando invece degli americani arrivarono i tedeschi in ritirata?
Restammo due giorni nelle stalle nascosti sotto al fieno. Mi presi pure una
rastrellata da un soldato che stava tastando il fieno a casaccio per vedere se
c’era sotto qualcuno.
Federico - (aria di rimprovero) Se non ti avessi tappato la bocca con una mano
ci avresti fatti scoprire.
Virgilio - (risentito) Ma il dolore l’ho sentito io, però! E c’è mancato poco
che tu mi soffocassi per non farmi urlare. Alla fine ,oltre al livido sulla
gamba, mi sono ritrovato con l’impronta della tua mano su tutto il viso per una
settimana.
Federico - Meglio del marchio a fuoco dei campi di concentramento.
Virgilio - (silenzio. Cerca di nuovo un ricordo bello, lo trova e sorride) Ti
ricordi le corse giù per la collina a chi arrivava primo alla ferrovia?
Federico - (veramente annoiato dai ricordi di Virgilio, sbadiglia) Sì, e
ricordo pure che una volta ti sei rotto una gamba e sei rimasto ingessato per
due mesi.
Virgilio - (guarda il fratello con rancore) Mi avevi fatto lo sgambetto perché
correvo più veloce di te.
Federico - Può darsi. Questo però non me lo ricordo.
Virgilio - Se lo ricorda il mio ginocchio (muove piano la gamba sinistra sù e
giù lasciandola sospesa a mezz’aria) Ogni volta che piove è come se dentro alla
mia rotula iniziassero a ballare un gruppo di sciamani.
Federico - E non sei contento? Hai un barometro sempre a portata di mano, anzi
di gamba. (ridacchiando)
Virgilio - (lo guarda) Pensi di essere spiritoso? Già, dimenticavo. Tu sei
quello dalla battuta facile e dal savoir fair innato, mentre io sono quello
musone che non sa stare al gioco.
Federico - (lo guarda e sorride) Il tuo problema è che manchi di humour.
Virgilio - Forse, ma almeno non faccio male a nessuno per strappare una risata
sulle labbra degli altri, come quella volta che hai messo una intera confezione
di lassativo nella mia aranciata. Era la mia festa di compleanno, rammenti? E’
stato terribile, non mi sono mai vergognato tanto in vita mia.
Federico - (lo guarda e ride) Ma i tuoi compagni di classe si sono divertiti
moltissimo. Eri così buffo, paonazzo e sudato da far schifo! Sono sicuro che
stanno ancora ridendo.
Virgilio - (triste) Ma era la mia festa di compleanno. (con rabbia) Capisci? La
mia.
Federico - (si alza, seccato) Ma insomma, che cosa vuoi da me? Prima mi fai la
lagna che devo venire a trovarti perché ti senti solo, poi quando vengo inizi a
torturarmi con i tuoi stupidi ricordi. Il passato è passato, e basta.
(silenzio, si avvia verso il limite destro del cono di luce e resta immobile,
di spalle)
Virgilio - (allarmato) Che fai? Vai via? (si alza e si accosta al fratello) No
ti prego, resta ancora un po’ qui con me. Lo sai che soffro di insonnia e il
silenzio mi fa paura. Ti prometto che parleremo solo di cose belle.
(Federico torna sui suoi passi e si siede sulla sedia di sinistra, Virgilio lo
segue a testa bassa e si siede anche lui sulla sedia di destra. Silenzio, i due
guardano fisso davanti a loro imbarazzati cercando qualcosa di bello da dirsi.
Breve stacco musicale)
Scena seconda: Virgilio, Federico, il padre
(Dal fondo scuro a sinistra, avanza la figura del padre, anziano, con un
bastone che batte a terra ad ogni passo. Entra lentamente nel cono di luce e si
accosta a Federico guardando fisso davanti a sé. La musica sfuma)
Padre - Sono fiero di te. Oggi sono passato alla fabbrica e ho visto che stai
facendo davvero un buon lavoro. (batte la mano sulla spalla di Federico) Bravo!
Anche gli operai sono soddisfatti, ti stimano forse più di quanto stimavano me.
Del resto io non posseggo una laurea in ingegneria, ai miei tempi era già tanto
che si riuscissero a finire le scuole superiori. (pausa, batte di nuovo la mano
sulla spalla di Federico) Bravo! Sono contento di aver puntato sul cavallo
vincente. Tu hai stoffa e mi somigli molto, l’ho capito subito che saresti
stato un degno erede della mia opera. Perché tu lo sai Federico che quella
fabbrica è per me come una figlia, l’ho voluta con tutto me stesso e l’ho
creata dal nulla. L’ho coccolata e fatta crescere come se da lei e solo da lei
dipendesse ogni mio respiro e sono riuscito a trasformarla in un piccolo impero
di cui tu sei il padrone indiscusso.
Federico - (rivolto a Virgilio con aria di sfida) Federico Barbarossa mi fa un
baffo.
Virgilio - (ignora il fratello, rivolto al padre, con rabbia) Se tu mi avessi
dato almeno una opportunità, io non ti avrei deluso. Ma ti sei sempre rifiutato
di prendermi in considerazione.
Padre - (guarda Virgilio) Tu non hai la stoffa. (con disprezzo) Sei sempre
stato gracilino, debole, delicato. Hai la classica fisionomia del perdente.
Virgilio - (si tocca il volto) Mi sento ripetere da quando avevo due anni che
ho la fisionomia da perdente. Cos’ha la mia faccia che non va? Ho forse il naso
troppo grande o la bocca troppo piccola? Quale accidenti sarebbe questa
fisionomia da perdente, me lo vuoi spiegare?
Padre - La tua. (pausa) Ma guardati! Sono anni che mi domando a chi somigli e
ancora non sono riuscito a darmi una risposta. A me no di sicuro. (lo guarda
dubbioso) E neanche a tua madre, lei è sempre stata una bella donna dai tratti
regolari e dall’espressione vivace. Un po’ frivola, questo è vero, ma
intelligente.
Virgilio - Vorresti dire che io ho l’espressione da ebete.
Padre - Non da ebete, ma da perdente.
Virgilio - Già, dimenticavo. E’ per questo che non mi hai mandato nella stessa
scuola di Federico.
Padre - E’ stata una esplicita richiesta di tuo fratello a cui non ho potuto
dire di no.
Virgilio - (guarda Federico con stupore misto a rabbia) Sei stato tu a non
volermi nella tua stessa scuola? (Federico fa cenno di sì con la testa.
Tristemente) Perché?
Federico - Non me lo ricordo.
Virgilio - (si alza, con rabbia) Te lo dico io il perché. Ti vergognavi di me.
Federico - (imperturbabile) Può essere. Eri così goffo e impacciato a quell’età
che ci si poteva solo vergognare ad avere un fratello come te. Ma ti ricordi
com’eri? Il tuo viso sembrava un ritratto cubista con tutti i lineamenti
buttati alla rinfusa, eri alto e allampanato e ti muovevi come il Pippo di Walt
Disney. Avresti sicuramente rovinato i miei rapporti sociali all’interno della
scuola, e con la retta che pagava nostro padre non potevo permettertelo.
Virgilio - E così a me è toccato uno squallido istituto di ragioneria alla
periferia della città.
Padre - Ragioneria non era squallida a quei tempi e il liceo non era per te.
Virgilio - Perché ero troppo stupido per affrontarlo?
Padre - Perché non avevi la stoffa. Sarebbero stati soldi persi.
Virgilio - Ma come fai a saperlo, tu? Me lo vuoi spiegare? Mi hai forse
sottoposto a un test per valutare il mio quoziente intellettivo prima di
decidere quale scuola era adatta a me?
Padre - Lo sapevo e basta. Del resto tu non ti sei opposto alla mia decisione.
Virgilio - (scandisce bene le parole al colmo dell’esasperazione) Ma io avevo solo
tredici anni. Non sapevo neanche cosa significasse la parola ragioneria.
Padre - (arrabbiato) Insomma, di cosa ti lamenti? Hai finito i tuoi studi con
un anno di ritardo perché sei stato anche bocciato, sei vissuto per anni sulle
mie spalle e quelle di tuo fratello e se non fosse stato per tua moglie
staresti ancora a mendicare soldi come un pezzente. Sei sempre stato un inetto
incapace a svolgere qualsiasi attività.
Virgilio - (a voce alta) Lo vuoi capire che Ragioneria non mi piaceva!! Odiavo
ogni parola scritta su ogni inutile libro che ero costretto a studiare. Odiavo
i muri scrostati di quelle aule decadenti e odiavo il tram che ero costretto a
prendere tutte le mattine per arrivare dall’altra parte della città. (si
risiede sulla sedia di destra) Tu non mi hai lasciato alcuna possibilità di
riscatto.
Padre - (guarda fisso davanti a sé) Tu non avevi la stoffa. (pausa, batte la
mano sulla spalla di Federico) Bravo, Federico! Sono tanto fiero di te. (si
volta e torna lentamente nel fondo battendo il pavimento con la punta del
bastone)
(silenzio. Federico si alza e inizia a camminare verso il limite del cono di
luce a destra con una mano in tasca)
Virgilio - (allarmato) Dove vai?
Federico - (sa che il fratello ha paura di restare solo e si diverte a tenerlo
in ansia) Cammino. Stare troppo tempo seduto fa male alla circolazione.
Virgilio - (rassicurato) Ah, va bene.
Federico - Comunque fra poco andrò via. Ho da fare, non posso stare tutta la
notte a parlare con te.
Virgilio - (di nuovo allarmato, si gira di scatto verso il fratello) No, ti
prego. Non andartene, sarò buono e bravo. Basta che non mi lasci solo.
Federico - Te l’ho detto, ho da fare. (si ferma al limite del cono di luce a
destra, di spalle)
Virgilio - (si volta di nuovo verso il pubblico a capo chino) Tu non mi vuoi
bene. (pausa) Se almeno ci fosse stata Rachele! Lei sì che mi amava, lei non mi
avrebbe lasciato solo.
Scena terza: Virgilio, Federico, Rachele
(dal fondo si diffonde la musica di un carillon e si sente un riso di
ragazzina)
Virgilio - (si volta lentamente, stupito) Rachele, sei tu?
(dal fondo a sinistra emerge una ragazzina pallida, vestita con abiti eleganti
ma antiquati e sporchi di fuliggine. Sorride e ha in mano un carillon.
Federico, voltato verso il fondo, è sempre immobile in piedi al limite del cono
di luce sulla destra. La musica cessa. La ragazzina si avvicina lentamente a
Virgilio e gli mostra il carillon)
Virgilio - Che bello il tuo carillon! Chi te lo ha regalato?
Rachele - Federico. Ti piace?
Virgilio - Moltissimo.
Rachele - Voglio fare una collezione di carillon. Federico ha detto che me ne
regalerà uno ogni volta che prenderò un bel voto a scuola.
Virgilio - (la guarda ammirato e le accarezza i capelli) Cara, piccola
Rachele.
Rachele - (posa il carillon a terra nella zona d’ombra e inizia a tirare
Virgilio per una mano) Vuoi giocare con me?
Virgilio - Sono vecchio ormai Rachele, tuo fratello è vecchio. Non riuscirei
neanche più a correre da qui a lì.
Rachele - Sei il solito pigro! Ogni volta che ti chiedo di giocare con me ti
inventi una scusa. Dai, alzati e giochiamo.
Virgilio - (si alza lentamente) E va bene! A che cosa giochiamo?
Rachele - (diventa improvvisamente seria. Tristemente, si volta verso il
pubblico e guarda fisso nel vuoto) Non lo so, non me lo ricordo! E’ come se non
giocassi più da anni, da tanti anni.
Virgilio - Ti aiuto io, vuoi giocare a nascondino? (Rachele lo guarda
malinconica e scuote la testa in segno di diniego) Allora giochiamo a palla?
(di nuovo Rachele fa cenno di no) Forse preferisci una bambola. (silenzio. La
scena si illumina di rosso)
Rachele - (si scuote improvvisamente, allarmata inizia a cercare il carillon. A
voce alta) Dov’è il mio carillon? Dov’è, non lo trovo. Ti prego Virgilio,
aiutami a trovare il mio carillon.
Virgilio - (quasi piangendo) No Rachele, lascia stare il carillon.
Rachele - Non posso!
Virgilio - (la prende per una mano) Non vedi che la casa è in fiamme. Dobbiamo
fuggire, dobbiamo andare via.
Rachele - No, lasciami, devo prendere il mio carillon. Me lo ha regalato
Federico, non posso perderlo.
Virgilio - (agitato, si fa schermo con le mani come se il fuoco lo stesse
minacciando) Ti prego Rachele, vieni via. Ti comprerò un carillon più bello
(Rachele riesce a divincolarsi dalla stretta ma Virgilio afferra un lembo della
sua gonna) Ti prego, sorellina, cerca di ragionare. E’ pericoloso salire fino
alle camere, la casa sta bruciando, sta crollando tutto!
Rachele - Voglio il mio carillon, Virgilio, lasciami. (strappa il lembo della
sua gonna dalla mano di Virgilio. Urlando fugge via dentro alla zona d’ombra e
torna nel fondo. La luce rossa scompare)
Virgilio - (si accascia a terra. Sussurra) No, Rachele, no, è pericoloso.
(silenzio) Perché non sei venuta via con me. Adesso saresti qui a parlarmi
della tua vita e io ti ascolterei incantato perché eri destinata ad avere una
vita stupenda. Eri ancora una bambina e saresti diventata presto una magnifica
donna, avresti avuto al tuo fianco un uomo che ti avrebbe adorata e tanti
figli... (pausa, sorride con malinconia) i miei nipoti. Adesso non sarei solo.
(guarda il fratello, ancora immobile e di spalle. Punta verso di lui l’indice
con rabbia) Tu hai ucciso Rachele, tu e il tuo maledetto carillon. (si alza in
piedi e va verso il fratello) Perché ogni cosa che tocchi si riduce in cenere!?
Federico - (si volta, guarda il fratello negli occhi, è sconvolto) Cosa stai
farneticando? Vecchio pazzo! Io non c’ero quando accadde la disgrazia. Ricordi?
Ero sotto le armi da due mesi e in casa quel giorno c’eravate solo voi
due.
Virgilio - (si affloscia sulla sedia di sinistra con le mani tra i capelli e i
gomiti puntellati sui ginocchi) Se non ci fosse stato il tuo carillon Rachele
sarebbe ancora viva.
Federico - (va a sedersi sulla sedia di destra) Come fai ad esserne così
sicuro? In quarant’anni potrebbe essere morta altre quaranta volte. O peggio!
Magari adesso potrebbe andare a spasso su una sedia a rotelle o con il volto
sfigurato. O peggio ancora! Potrebbe essere una vecchia donna frustrata e
delusa come ce ne sono tante. Di quelle che si alzano la mattina con gli occhi
gonfi e i capelli che sembrano appena usciti da un frullatore. Iniziano a
ciabattare per casa con la vestaglia allacciata per traverso e la sigaretta
sulle labbra storte. Si guardano allo specchio e non si riconoscono e allora
cominciano a parlare da sole per scacciare lo spettro di una vita spesa male.
Magari avrebbe dei figli, sì! Che si sono dimenticati di avere una madre. E un
uomo che è fuggito da secoli con una donna più giovane.
Virgilio - (solleva la testa di scatto) Ecco fatto! Anche Rachele è sistemata.
Federico - Ma che ne puoi sapere tu della vita? Sei sempre stato chiuso dentro
a queste quattro mura, casa e negozio, negozio e casa.
Virgilio - (sarcastico) Tu invece sei un uomo vissuto. Uno che della vita se ne
intende.
Federico - (continua a fumare con ostentazione) Modestamente, sono convinto di
aver capito meglio di te come vanno le cose su questa terra.
Virgilio - Già, dimenticavo, io ragiono da perdente.
Federico - (gli porge nuovamente la scatola dei sigari) Vuoi?
Virgilio - (seccato) Ti ho già detto che non fumo quella roba.
Federico - (sorridendo sornione) Peggio per te e meglio per me. Con questo ho
già risparmiato due sigari.
(silenzio. Breve stacco musicale. Guardano di nuovo fisso davanti a loro
cercando qualcosa da dirsi. La musica sfuma lentamente)
Virgilio - Ricordi?
Federico - (seccato) Che cosa!?
Virgilio - Quella volta che trovammo il passerotto caduto dal nido.
Federico - (ricorda) Ah, sì! Fu Rachele a portarcelo.
Virgilio - (malinconico) Già. Gli si era rotta una zampina. Povero passero! Era
così spaventato che si vedeva il suo cuore pulsare nel palmo di Rachele.
(guarda il fratello con un sorriso) Fosti bravo a curarlo.
Federico - E’ vero. Rachele mi guardava come fossi stato un santo, Sant’Augello
magari. (riflette) Penso che me la sarei cavata bene anche alla facoltà di
Medicina.
Virgilio - Bhè, il cinismo non ti manca né l’arroganza. Saresti stato un buon
medico.
Federico - Non è arroganza la mia ma autostima positiva, cosa di cui tu manchi
totalmente.
Virgilio - Io conosco i miei limiti.
Federico - Io non ho limiti.
Virgilio - Ecco fatto! Discorso chiuso. (silenzio) Di che cosa parliamo adesso?
Federico - Vediamo! (osserva il soffitto alla ricerca di un ricordo) Ho
trovato! Rammenti quando ci siamo ammalati di varicella?
Virgilio - (sorridendo) Eccome! Io la presi a scuola dal mio compagno di banco,
come si chiamava? Ah sì, Francesco Tonelli, se non sbaglio. Ricordo che mi
scoppiò un febbrone da cavallo e subito dopo mi riempii di macchie rosse.
Allora mamma ti prese e ti mise a dormire per due notti nel mio letto.
Federico - Già, e dopo una settimana ero pieno di macchie rosse anch’io.
Virgilio - E’ stato divertente, no?
Federico - (sorride al ricordo) In quei giorni abbiamo fatto fuori un cuscino e
due termometri.
Virgilio - Ci giocavamo ai due moschettieri.
Federico - Sì, e le molle dei nostri letti non sono state più le stesse da
allora. (ride)
Virgilio - (ride anche lui) Penso che nostra madre si sia pentita di averci
messi a dormire insieme.
Federico - Lo penso anch’io. Ricordi come urlava? (cerca di imitare la voce
della madre) “Federico scendi dal letto di tuo fratello! Virgilio lascia stare
il cuscino di Federico! Oddio, avete sparso tutte le piume sul pavimento! Siete
dei ragazzacci”.
Virgilio - (ridendo forte) Povera mamma! Quante gliene abbiamo fatte
passare!
Federico - (sorridendo) Ma ci ha sempre perdonato.
Virgilio - (malinconico) A te sicuramente più che a me.
Federico - (serio) Che vuoi dire?
Virgilio - Eri la luce dei suoi occhi. Si vedeva a miglia di distanza.
Federico - Sei il solito esagerato e geloso.
Virgilio - E’ la verità. Io lo sentivo a pelle di essere il figlio numero due,
anzi numero tre da quando è nata Rachele. E anche dopo che nostra sorella è
morta io ho continuato a mantenere l’ultima postazione. (guarda il fratello,
serio) Sarà perché non sono diventato un poeta?
(Federico non lo guarda e non risponde. Una musica dolce si alza mentre una
figura femminile avanza dal fondo a sinistra. E’ una donna di mezza età
dall’aspetto giovanile e molto curato. Indossa un abito fine anni ’50. Si muove
con grazia. E’ la madre. Avanza fino alla sedia dove è seduto Virgilio, a
sinistra)
Scena quarta: Virgilio, Federico, la madre.
Madre - (guarda fisso davanti a sé) Hai per caso visto i miei guanti neri?
Questa sera devo uscire e se non trovo i miei guanti neri sono perduta.
Virgilio - (Anche lui guarda fisso davanti a sé) Io non ricordo nemmeno come
sono fatti i tuoi guanti neri.
Madre - (lo guarda risentita) Sei sempre il solito, Virgilio. Sono sicura che
tuo fratello se ne ricorda perfettamente.
Federico - (domanda affermativa) Sono quelli di vitello con le cuciture ai lati
e i bottoncini dorati su cui è stampata la marca con la corona? (Virgilio lo
guarda con aria seccata)
Madre - (soddisfatta, si avvicina a Federico) Bravo Federico, sono proprio
quelli. Li hai visti?
Federico - (secco) No.
Madre - (disperata) E adesso come farò? Ne ho un estremo bisogno, altrimenti le
mie mani geleranno con il freddo della notte. Non posso mica indossare i guanti
marroni sulla pelliccia di visone nero!
Federico - (estrae dalla tasca un paio di guanti neri) Guarda, mamma, per caso
ho in tasca un paio di guanti neri da donna. Te li volevo regalare fra qualche
giorno per il tuo compleanno, ma visto che ne hai bisogno adesso vorrà dire che
ti regalerò qualcos’altro.
(Virgilio lo guarda stupefatto mentre la madre batte le mani per la
gioia)
Madre - Federico, se non avessi te non so che cosa farei! (prende i guanti e se
li misura) Sono perfetti, grazie tesoro mio. Fosse anche tuo fratello come te!
(rivolta a Virgilio) Scommetto che non ti sei ricordato del mio compleanno?!
Virgilio - Può darsi.
Madre - Che risposta è “può darsi”?
Virgilio - Una risposta.
Madre - (inizia a camminare sù e giù nel cono di luce) Lo sapevo, non te ne sei
ricordato. Dovevo immaginarmelo, ho due figli come il sole e la luna. Io non
riesco a comprenderti Virgilio. Sei sempre scontroso, evasivo, ti aggiri per le
stanze come uno zombie alla fiera del villaggio. Se qualcuno di noi ti parla
fai finta di non sentirlo, esci senza dire dove vai e ritorni alle ore più
assurde. I primi tempi perdevo tempo ad aspettarti con l’ansia che mi divorava,
poi ho fatto l’abitudine ai tuoi rientri con il gallo e sono arrivata al punto
di stupirmi quando ti sento arrivare prima delle cinque di mattina. (si ferma e
lo guarda) Ma si può sapere cos’hai? Va bene la crisi adolescenziale, ma a te
sembra che duri un po’ troppo! Sono convinta che la colpa è tutta di tuo padre,
se ti avesse viziato di meno quando eri piccolo adesso non ti permetteresti
certe libertà. (ricomincia a camminare sù e giù) Eppure tu e Federico siete
fratelli, siete stati allevati insieme con le stesse abitudini e le stesse
regole di vita. Come può essere che uno è tanto responsabile, altruista, serio
e pacato mentre l’altro è l’inferno fatto uomo. Dove ho sbagliato, dove?
Virgilio - Se posso suggerire, forse è colpa del mio nome.
Madre - (si blocca, distolta dal suo monologo) Che c’entra il tuo nome adesso.
Virgilio - Vedi, mamma. Virgilio accompagnò Dante nell’Inferno, si vede che mi
sono lasciato suggestionare. E poi, scusa se te lo dico, ma Virgilio è un nome
proprio brutto, può darsi che con un nome più decente sarei cresciuto
meglio.
Madre - (spazientita) Come ti permetti? Era il nome di mio padre. E io che ti
sto anche ad ascoltare! Devo essermi impazzita. Con tutte le cose che ho da
fare prima di uscire! (si accosta a Federico) Ciao caro e ancora grazie (gli
accarezza il volto)
Federico - Divertiti! E attenta a non perdere anche questo paio di guanti, non
ne ho altri.
(la madre passa davanti a Virgilio senza degnarlo di uno sguardo e si avvia
verso il fondo)
Virgilio - (Prima che la madre sorpassi il cono di luce si alza in piedi e le
grida) Aspetta! (la madre si blocca rivolta verso il fondo. Una pausa) Davvero
desideravi che io diventassi un poeta?
Madre - (si volta lentamente ma ha lo sguardo fisso nel vuoto) Mi bastava che
diventassi un uomo responsabile come tuo fratello. (si gira e scompare
inghiottita dal buio)
Virgilio - (si risiede, estrae dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di
oreficeria ben confezionato. Lo guarda portandolo all’altezza del suo naso e
sorride soddisfatto) Vedi, cara mamma che mi ero ricordato del tuo compleanno?
Ma tu non te lo sei meritato questo piccolo pacchetto dall’aspetto elegante.
(cantilenando) Guarda che bel fiocco e chissà cosa contiene? (porta il
pacchetto all’altezza dell’orecchio e lo scuote) Un bel paio di orecchini per
la mia mamma. Ma lei non se li è meritati, proprio no. E adesso questi
orecchini sono miei e non li darò mai a nessuno (si volta verso il fondo con
rabbia) così imparerai a comportarti male.
Federico - Ma che fai?
Virgilio - (ripone il pacchetto nella tasca) Nulla, ricordavo!
Federico - E parli da solo?
Virgilio - Sono diventato come quelle donne di cui parlavi prima. Anch’io la
mattina mi guardo allo specchio e non mi riconosco, e siccome passo tutta la
giornata da solo tra una stanza e l’altra, parlo con me stesso per farmi
compagnia. A volte trascorro ore intere a raccontarmi delle storie. Qualche
volta rido perché sono storie divertenti, altre volte piango perché mi viene in
mente un episodio triste.
Federico - Ma scusa, visto che decidi tu cosa raccontarti, scegli solo storie
divertenti!
Virgilio - Le storie tristi me le racconto proprio per piangere. Così sfogo
tutta la mia amarezza. Perché ne ho molta, sai? In questi anni ne ho accumulato
tanta che se fosse una cosa liquida riempirei una cantina intera.
Federico - (guarda l’orologio al polso) Senti, io devo proprio andare. Tanto
più che stai facendo venire la depressione anche a me. (fa per alzarsi ma
Virgilio lo blocca con una mano)
Virgilio - No, stai ancora un po’ con me. Non stiamo mai insieme, noi due. Se
non vuoi parlare staremo in silenzio, altrimenti decidi tu, a me va bene
qualsiasi cosa pur di non restare solo.
Federico - (lo guarda divertito) Davvero faresti qualunque cosa?
Virgilio - Ti assicuro di sì.
Federico - Giuralo!
(Virgilio incrocia le dita e le bacia, come fanno i bambini quando stringono un
patto)
Federico - (ride sadicamente) Bene! Allora giochiamo alla fattoria.
Virgilio - (lo guarda spaventato) Il gioco della fattoria non mi è mai
piaciuto.
Federico - (facendo su e giù con l’indice) Ah, Ah! Ricordati che hai giurato.
Virgilio - Sì, ma non sapevo cosa avevi in mente. Altrimenti ti avrei lasciato
andare.
Federico - (si sistema meglio il cappello) Visto che non stai al patto, io me
ne vado. Addio! (si avvia verso destra)
Virgilio - (rimane un attimo titubante, poi si volta e grida) No! Aspetta.
(Federico si ferma. A capo chino, tristemente) Va bene, facciamo come vuoi tu.
Chi fa il fattore?
Federico - (torna indietro) Tireremo una moneta. (sfila dalla sua tasca una
moneta da 500 lire, la guarda) Questa andrà benissimo. Guarda che carina! (la
mostra al fratello ancora seduto a sinistra, Virgilio la guarda timoroso) Da un
lato ci sono le spighette, con la Zecca di Stato e i puntini del Braille.
Chissà come saranno stati contenti tutti i ciechi...
Virgilio - Non vedenti, ciechi detto da te suona male.
Federico - Sì, va bene... i non vedenti. (gira la moneta) Di qua invece cosa
abbiamo? Ah, sì, il volto alato della Vittoria.
Virgilio - Della Libertà.
Federico - Come preferisci. Ho sempre pensato che somigliasse a Paola...
Virgilio - (allunga il collo per guardare meglio) No, Paola era più bella. (ci
ripensa) E poi ti ho detto di non nominarla, per favore!
Federico - Allora, testa o... zecca. Testa fattore, zecca fattoria. Tiriamo
tutti e due, se andiamo pari si tira di nuovo. Ci stai?
(Virgilio fa cenno di sì con la testa, si alza dalla sedia)
Federico - (lancia in aria la moneta e la riprende sul dorso della mano) Testa!
Virgilio - (lancia anche lui la moneta in aria, cerca di riprenderla come ha
fatto il fratello ma la moneta gli cade a terra. La rincorre, si accuccia, la
guarda. Sconsolato) Zecca.
Federico - (batte con una mano sulla spalla di Virgilio) Su, non te la
prendere. Così è la vita.
Virgilio - Già, ieri a te, oggi a te e domani ancora a te.
Federico - Ora basta. Sei pronto? Alla prima parola che tirerai fuori ti
toccherà la penitenza. A cuccia adesso. (Virgilio si mette a quattro zampe) su
cavallino, su. (Virgilio inizia a fare il verso del cavallo. Federico ride
divertito) Adesso sei un cane, un cane fedele. Dai, bello, vieni qui (batte
sulla sua gamba, Virgilio si avvicina facendo il verso del cane. Federico gli
accarezza la testa) Bravo Fido. (fa schioccare la lingua) Adesso sei un maiale,
su bel porcellino, grugnisci. Rotolati nel fango (Virgilio esegue tutte le
operazioni), bravo così. (Federico inizia a ridere di gusto)
Virgilio - (tra un grugnito e l’altro, ansando) Basta, ti prego.
Federico - (continuando a ridere) Hai perso, hai perso. Hai parlato!
(mentre Virgilio continua ad impersonare il suino e Federico continua a ridere
si chiude il primo atto)
ATTO SECONDO
Stessa scena del primo atto. Federico è seduto sulla sedia di sinistra con la
cravatta allentata, la camicia leggermente sbottonata e il cappello buttato a
terra. Virgilio è in piedi a destra su una gamba sola. Sul fondo scuro sono
posizionati gli stessi personaggi del primo atto, padre, madre e sorella a cui
si sono aggiunti l’amico di infanzia, la moglie e la suora.
Scena prima: Virgilio, Federico, Claudio
Virgilio - (in equilibrio precario) Quanto ancora devo stare in questa
posizione? Sono già dieci minuti e la mia rotula non regge, sento già gli
sciamani che iniziano a fare la danza della pioggia.
Federico - L’ultima volta hai resistito trenta minuti.
Virgilio - Bella forza! L’ultima volta avevo quindici anni.
Federico - (lo guarda con sufficienza) Va bene, riposo. Sei vecchio!
Virgilio - (con sollievo poggia la gamba a terra e si siede sulla sedia di
destra) Va bene, sono vecchio, e con questo? Anche tu sei vecchio. Vorrei
vederti dieci minuti con la gamba abbarbicata come un fenicottero. Ricordati
che hai due anni più di me, quindi biologicamente parlando sei più vecchio di
me!
Federico - Mi dispiace deluderti, (sarcastico) vecchio mio! Ma io non mi sento
affatto come te. Anzi tutt’altro. Ieri ero un giovanotto senza esperienza, oggi
ho il fascino della maturità, i capelli brizzolati e l’aria vissuta sono
l’elisir d’amore più potente per chi sa beneficiarne. (lo guarda) Tu invece sei
sempre stato vecchio, anche a vent’anni eri già vecchio (si tocca la testa con
un dito)... qui dentro. Ma guardati, trasandato, sciatto, ciancicato dalla vita
insignificante che conduci. E poi ti lamenti della solitudine, ma chi ti
vorrebbe anche solo come amico?! Faresti venire un attacco di sconforto pure a
un santo.
Virgilio - Io un amico ce lo avevo. (lo guarda stanco) Ma tu sei riuscito a
distruggere anche lui.
Federico - (spazientito) E ti pareva che adesso non tirava in ballo Claudio!
Virgilio - Sì hai indovinato, proprio Claudio! L’unico amico che io abbia mai
avuto e tu, come hai fatto con tutti coloro che appartenevano alla mia vita, lo
hai risucchiato nel vortice del tuo egoismo.
Federico - Claudio era uno sciocco idealista. Non è colpa mia se ha preferito i
miei soldi alla tua amicizia.
(il cono di luce si sposta verso destra, lasciando Federico in penombra
immobile, si solleva una musica beat e avanza dal fondo un uomo di circa
trentacinque anni, è vestito di bianco stile anni ‘70, ha gli occhi un po’
cerchiati, cammina con le mani nelle tasche, lo sguardo fisso nel vuoto. Si
ferma accanto a Virgilio, la musica sfuma)
Virgilio - Claudio!
Claudio - Sono io.
Virgilio - Come stai?
Claudio - Non molto bene, lo sai.
Virgilio - Hai parlato con Federico?
Claudio - Sì. (pausa) In cambio ha voluto che ipotecassi la mia casa con tutti
i mobili.
Virgilio - (pausa) Tua madre lo sa?
Claudio - (scuote la testa) No, non ancora (gli viene da piangere ma si
trattiene)
Virgilio - (imbarazzato) Mi dispiace, non credevo che Federico...
Claudio - Nemmeno io volevo crederci quando ha tirato fuori le carte dal
cassetto della scrivania. Le aveva già preparate, capisci? Lo sapeva che non
avevo altra scelta. (si accoscia accanto a Virgilio) Come farò a dirlo a mia
madre, eh Virgilio? (gli viene di nuovo da piangere) Tu lo sai che non riuscirò
mai a restituire quei soldi in tempo. (scoppia a piangere) O mio Dio, mia madre
ne morirà, ne sono certo. Quella casa è tutto quello che ci resta, come faccio
a dirle che deve fare le valige e andar via? Lì ci sono tutti i suoi ricordi, c’è
una vita intera racchiusa in quelle quattro mura. (si alza sconsolato, pausa) E
i mobili? Come faccio a dirle che non sono più suoi? Lei li ha spolverati e
lucidati con amore ogni mattina per sessanta anni e adesso arrivo io e le dico
“lascia tutto e andiamo, perché neanche più uno spillo che si trova in questa
casa ci appartiene”.
Virgilio - (sempre più imbarazzato) Mi dispiace...
Claudio - (speranzoso, si accoscia di nuovo accanto a Virgilio stringendo il
suo braccio) Senti, Virgilio. Perché non parli con tuo fratello?! Magari
potresti chiedergli di prorogare la data di restituzione dei soldi. Mi
basterebbero sei mesi per rimettere insieme la cifra che mi ha prestato.
Virgilio - (lo guarda disperato) Non posso, tu non conosci Federico. Ai suoi
occhi io valgo meno di uno zero. Non mi farebbe neanche iniziare la frase.
Claudio - (si alza irritato) Bell’amico che sei! Di fronte ai soldi siete tutti
uguali.
Virgilio - Ti prego, Claudio, non dire così. Ti conosco da vent’anni e per me
sei anche più di un fratello, lo sai che sarei disposto a mettere in pericolo
la mia vita per te. Ma quello che adesso mi chiedi è al di fuori delle mie
possibilità.
Claudio - (angosciato, cammina avanti e indietro con rabbia) Tutte storie! Sei
disposto a dare la tua vita per me, ma non puoi parlare con tuo fratello! Ti
rendi conto di quello che dici almeno!
Virgilio - (cerca di giustificarsi) Se avessi avuto del denaro mio ti avrei
aiutato a saldare il tuo debito ma lo sai che vivo con quello che mi passa
Federico, e non è molto.
Claudio - Adesso non cambiare discorso. Io non ti ho chiesto soldi ma solo di
parlare con Federico. Solo questo!
Virgilio - (vergognandosi per la sua meschinità) Beh, io non posso farlo. Mi
dispiace. (abbassa il capo per non incontrare gli occhi dell’amico)
Claudio - (guarda Virgilio con odio, mentre inizia ad arretrare nella zona
d’ombra. Urla con l’indice della mano destra alzato) Maledetta la tua famiglia,
e maledetto tu. Ricordati di me Virgilio, che tu possa non avere più pace come
non l’avrò più io. (scompare inghiottito dall’ombra)
(il cono di luce ritorna ad illuminare Federico, guarda Virgilio a capo
chino)
Federico - A cosa pensi?
Virgilio - A Claudio.
Federico - Ancora? Sveglia fratello, sono passati trent’anni da allora e il tuo
Claudio è acqua passata.
Virgilio - Chissà quanta gente come Claudio è acqua passata nella tua vita!
Forse anch’io sono acqua passata, e Paola e Rachele e tutti gli esseri umani
che hai spremuto come limoni e hai gettato poi nel cestino dell’usato.
Federico - E’ così che va la vita. Con chi te la vuoi prendere?
Virgilio - Suor Diletta diceva sempre che la vita di ogni uomo è un piccolo
giardino di cui noi siamo gli unici custodi. Evidentemente io non sono stato
bravo a vegliare sulla mia fetta di prato, visto che ti ho permesso ogni volta
di entrare indisturbato e di distruggermi tutto ciò che vi avevo
piantato.
(silenzio. Federico e Virgilio guardano nel vuoto, ognuno insegue i propri
pensieri. La zona in cui è seduto Federico è di nuovo in ombra. Una musica
celestiale sale da lontano insieme a un suono argentino di campanelli.
Lentamente dal fondo compare una piccola suora dall’espressione serena.
Virgilio la guarda e sorride)
Scena seconda: Virgilio, Federico, suor Diletta
Virgilio - (si alza e prende la mano della suora) Buongiorno madre, sono
Virgilio il marito di Paola, si ricorda di me?
Suor Diletta - (sorride dolcemente) Certo Virgilio che mi ricordo di lei. Paola
sta bene?
Virgilio - Sì, la saluta. Cioè, no, ossia la saluta ma non sta molto bene.
Suor Diletta - (preoccupata, si mette sottobraccio a Virgilio e iniziano a
camminare sù e giù come se fossero in un chiostro) Non sta bene?
Virgilio - Fisicamente sì, ma c’è qualcosa in lei che la sta distruggendo. Sono
alcuni mesi che Paola è cambiata, a parte che veste in modo inconsueto, ma poi
è sempre taciturna, oserei dire scontrosa. Quando mi avvicino per cercare di
parlarle lei si allontana come se avesse repulsione. (tono di preghiera) Madre,
lei conosce Paola meglio di me, la prego, ci parli e cerchi di capire cos’è che
la divora. Può darsi che con lei si apra.
Suor Diletta - Lei sa che tu sei qui?
Virgilio - Veramente no.
Suor Diletta - Lo immaginavo. E’ un brutto segno quando marito e moglie
cominciano a nascondersi le cose.
Virgilio - E’ vero, ha ragione. Ma sono sicuro che se le avessi detto che
venivo a parlare con lei mi avrebbe fatto una scenata. Continua a ripetermi che
sta bene e che sono io il fissato, che la devo lasciare in pace.
Suor Diletta - (si blocca e lo guarda stupita) Ti ha detto così?
Virgilio - Proprio così… la devo lasciare in pace.
Suor Diletta - (riprende a camminare sottobraccio a Virgilio) Certo non è da
lei. Paola non è mai stata un tipo aggressivo, anzi tutt’altro. Quando era in
istituto e qualche bambina le giocava un brutto scherzo lei non reagiva ma si
metteva a piangere. (sorride) Era un uccellino indifeso la mia Paola, per
questo le voglio ancora tanto bene.
Virgilio - E Paola la ricambia e sono convinto che lei, suor Diletta, sia
l’unica persona adatta a parlarle.
Suor Diletta - (si ferma di nuovo) Vedrò quello che posso fare. Nel frattempo
però lei non demorda, continui a starle vicino con pazienza. (sorride) Mi
ricordo la prima volta in cui Paola venne a parlarmi di lei, anche un cieco si
sarebbe accorto di quanto la amava. Dalle sue parole sembrava che stesse per
sposare il principe azzurro delle favole.
Virgilio - (tristemente) Forse in questo lasso di tempo si è accorta che non
sono un principe.
Suor Diletta - Ma no, sciocchino. Tutte le donne passano dei periodi particolari
che le rendono un po’ lunatiche. Forse Paola ha desiderio di un figlio, ne
avete mai parlato?
Virgilio - Veramente sì, ma per Paola è ancora troppo presto. Dice che tanto è
l’età della donna quella che conta e che lei è ancora troppo giovane per imprigionarsi
in casa con un figlio in braccio.
Suor Diletta - (sbalordita) Questa ragazza è davvero cambiata! Dovrò farle una
bella lavata di testa appena la vedrò. Ma intanto, le ripeto Virgilio, cerchi
di starle vicino.
Virgilio - Non c’è bisogno che lei me lo dica, madre. Paola è l’unica cosa
bella che la vita mi ha donato e per lei sarei disposto davvero ad affrontare
qualunque cosa, basta che torni com’era, come io l’ho conosciuta.
Suor Diletta - (di nuovo un suono di campanelli lontani sale dal fondo) Devo
andare, mi raccomando, le stia vicino! (lentamente ritorna nel fondo mentre
Virgilio si risiede sulla sedia di destra con lo sguardo fisso nel vuoto. Il
cono di luce illumina nuovamente Federico, immobile)
Federico - L’hai più vista?
Virgilio - Chi?
Federico - Stavi parlando di Suor Diletta, no?
Virgilio - (si scuote) Ah, sì. (assente) No, non l’ho più vista dal giorno
della disgrazia. Penso che in qualche modo abbia dato la colpa a me del
suicidio di Paola.
Federico - Paola era malata, non ne ha colpa nessuno se ha deciso di
ammazzarsi.
Virgilio - (assente) E’ vero. La malattia di Paola eri tu ed io non avevo
nessuna medicina per farla guarire.
Federico - Stai a vedere che adesso è colpa mia se tua moglie ha fatto quello
che ha fatto.
Virgilio - No, stai tranquillo. La colpa è più mia che tua. In tanti anni non
ho mai avuto il coraggio di dirti quello che penso di te. Sono un vigliacco, è
per questo che Paola mi disprezzava. Anch’io del resto mi faccio senso! Ti ho
sempre permesso di entrare nella mia vita distruggendo quel poco di cose belle
che possedevo. E sai perché? Perché sono un codardo, un perdente come direbbe
nostro padre.
Federico - I tipi come te non dovrebbero sposare una donna di vent’anni più
giovane e sperare di tenerla legata a loro per sempre. (spavaldo) Guarda me, io
le donne come Paola al massimo posso usarle, ma mai mi verrebbe in mente di
sposarle.
Virgilio - Hai detto bene, usarle è la parola giusta. Tu l’hai usata e poi
l’hai buttata come un sacco vuoto. (si alza e inizia a camminare) Ma non hai
pensato a quanto male le avresti fatto! Lei non era come le altre donnette che
frequentavi, lei era speciale, lei era mia moglie.
Federico - Lo so, mi dispiace.
(Virgilio si avventa contro Federico e inizia a scuoterlo per le spalle)
Virgilio - (urla) Ti dispiace!! Ti dispiace! Ma lo sai quanto è dispiaciuto a
me trovare mia moglie distesa sul letto con una pistola tra le mani? Lo sai
quanto è dispiaciuto a me passare vent’anni della mia vita con il suo ricordo
ossessionante? Io la amavo, capisci? La amavo. Per me Paola non era un
capriccio ma la donna della mia vita, l’unica donna sulla faccia della terra da
cui avrei voluto un figlio. (pausa di rabbia) Per lei avrei rubato le stelle,
avrei imprigionato la luna, avrei domato le onde più alte dell’Oceano. Per lei
avrei imparato a cantare, a danzare e anche a morire se fosse stato necessario.
(l’ira si smorza e si accascia sulla sedia) Ma ti ricordi com’era Paola prima
che tu la rovinassi? (sorride al ricordo) Era come una bambina, ingenua, timida,
delicata. Vestiva ancora come se fosse appena uscita dal collegio.
Federico - (sprezzante) Già, e tu sembravi il padre che l’andava a prendere
all’uscita.
Virgilio - Paola mi amava.
Federico - Come si ama un padre. Mentre io ero la sua scuola di vita, se non
fosse stato per me sarebbe rimasta una stupida educanda senza colore.
Virgilio - Se non fosse stato per te sarebbe ancora viva. E non ricominciare
con la storia della sedia a rotelle. L’avrei amata anche se fosse stata
invalida o sfigurata, mi bastava che respirasse. (guarda il fratello) Pensi che
abbia sofferto?
Federico - No, non credo.
Virgilio - (sorride malinconico) Sai Paola era un po’ paurosa. Aveva terrore
del dolore fisico, forse anche per questo il pensiero di avere dei bambini la
turbava.
Federico - Sì, lo so.
Virgilio - (lo guarda) Che ne sai, tu?
Federico - Me lo ha detto.
Virgilio - (si volta) Già, dimenticavo, negli ultimi mesi parlava solo con te.
Federico - Eh sì, tra le altre cose, parlavamo molto io e lei.
Virgilio - (lo guarda di nuovo) Quali altre cose? (Federico non risponde,
Virgilio si volta di nuovo in posizione frontale) Già, dimenticavo, le altre
cose.
Federico - (guarda l’orologio con un certo imbarazzo) E’ tardissimo, devo
andare.
Virgilio - Forse è meglio. Anzi no, ti devo chiedere ancora una cosa.
Federico - (seccato) Ti prego, Virgilio, lasciami andare. Non ce la faccio più
a navigare tra i tuoi ricordi. E’ tutta la notte che mi tormenti.
Virgilio - (guarda il fratello, con calma) Lo sai che ti odio?
Federico - Io non ti odio.
Virgilio - Tu non hai motivo di odiarmi, io a te non ho fatto mai nulla.
Federico - Senti Virgilio, cerca di capirmi. Non è colpa mia se i nostri
genitori avevano delle preferenze o se Paola si è innamorata di me. Io sono
vittima quanto te degli eventi. Anch’io ho sofferto molto quando Paola è morta,
ma è successo quasi vent’anni fa ed io non ci posso fare nulla. Tu risolvi
forse qualcosa continuando a lucidare i frammenti della tua vita?
Virgilio - No, ma sono l’unica cosa che mi è rimasta. Lo vedi, la mia casa è
vuota, se non ci fossero i ricordi a farmi compagnia sarei impazzito.
Federico - Io comincio a pensare che impazzirai davvero se continui a stare
rintanato in questa topaia.
Virgilio - Questa è la mia casa e non una topaia. La comprai insieme a Paola
perché fosse il nostro scrigno. “La piccola casa dei desideri” la chiamava lei,
e come rideva felice mentre giravamo per la città a cercare gli oggetti che ci
servivano ad arredarla! Era così contenta.
Federico - (annoiato) Cosa volevi chiedermi.
Virgilio - (si distoglie dai ricordi. Guarda il fratello con aria
interrogativa) Volevo chiederti qualcosa, ma mi è sfuggita.
Federico - (si alza velocemente approfittando dell’occasione) Vuol dire che non
era importante. Io vado. Ciao. (si avvia verso l’uscita a destra del
palcoscenico)
Virgilio - (seduto immobile, con lo sguardo sempre fisso davanti a sé) No,
aspetta. Mi sono ricordato cosa volevo chiederti.
Federico - (si ferma, spazientito) Dimmi, ma sbrigati per favore. Ho da fare.
Virgilio - Tu l’amavi?
Federico - Ti ho già detto di sì. A modo mio, ma l’amavo.
Virgilio - Allora perché l’hai abbandonata.
Federico - Perché era tua moglie. Io l’avevo presa solo in prestito. Ciao, ci
vediamo. (esce)
(Virgilio rimane seduto al centro della scena. Una musica struggente sale dal
fondo mentre Paola avanza. Indossa un abito da sera molto provocante ed è
pesantemente truccata. La matita nera le ha rigato il contorno degli occhi come
se avesse pianto. Nella mano stringe una pochette dorata. Si avvicina lentamente
a Virgilio e gli poggia una mano sulla spalla.)
Scena terza: Virgilio, Paola.
Virgilio - (mantenendo lo sguardo sempre fisso davanti a sé) Ciao tesoro. Ti è
piaciuto lo spettacolo?
Paola - (ha la voce tremula di chi ha pianto) Era molto commovente.
Virgilio - (si volta a guardarla. Si accorge che ha pianto, si alza in piedi e
la stringe fra le braccia) Povero il mio tesoro, hai pianto. Forse è meglio che
la prossima volta Federico ti porti a vedere qualcosa di più divertente. Sei
troppo delicata per sostenere il peso di Pirandello.
Paola - (lo allontana da sé) Lasciami.
Virgilio - (preoccupato) Cos’hai cara? Possibile che il teatro ti abbia tanto
sconvolto.
Paola - (con rabbia) Ma dove vivi tu, si può sapere? Ti bevi qualsiasi
stupidaggine esca dalle mie labbra.
Virgilio - Non capisco che cosa vuoi dire…
Paola - Ma insomma, non venirmi a raccontare che in questi mesi non ti sei
accorto di nulla!
Virgilio - Sì, effettivamente mi sono reso conto che da un po’ di tempo sei più
nervosa del solito. Ma non la reputo una cosa grave, passerà. (le si avvicina,
le accarezza i capelli ma Paola si sottrae con stizza)
Paola - (prendendolo in giro) Non la reputo una cosa grave! E’ roba che sei
andato perfino da suor Diletta a raccontarle quanto sei spaventato.
Virgilio - (dolcemente) Ma io non sono spaventato. Sono solo un po’
preoccupato, penso che non stai bene e vorrei aiutarti. Ma tu non mi dai modo
di farlo.
Paola - (silenzio. Paola si siede a destra, ha le mani abbandonate sul grembo,
è sfinita. Tristemente) Tu credi davvero che io sia andata a teatro questa
sera?
Virgilio - E perché dovrei dubitarne, scusa! Sono contento che ogni tanto ti
svaghi. A me il teatro non piace, altrimenti ti avrei accompagnato io stesso.
Paola - (irritata) Io non sono stata a teatro questa sera.
Virgilio - (cerca di mantenersi calmo, non capisce bene cosa stia accadendo) Ah
no? Forse i biglietti non erano validi? Strano, Federico è sempre tanto preciso
in queste cose.
Paola - (ancora più irritata) Sono stata a casa di tuo fratello.
Virgilio - (comincia a capire ma non vorrebbe) Va bene. Che c’è di male, è tuo
cognato. E’ giusto che voi due vi frequentiate, che ogni tanto facciate quattro
chiacchiere, magari su di me, visto che siete le uniche persone al mondo a cui
sono legato.
Paola - (si nasconde il viso tra le mani e inizia a piangere) Possibile…
possibile che non capisci? Io lo amo, io amo tuo fratello.
Virgilio - (dolorosamente, porta le mani alle orecchie) No, Paola. Perché mi
dici questo? Non sono forse un buon marito? Non ti amo forse come la mia stessa
vita? Perché mi fai questo.
Paola - Non è colpa tua, Virgilio. Tu no c’entri, ma io non posso fare a meno
di amare Federico.
Virgilio - (silenzio molto lungo) Da quanto tempo va avanti questa
storia?
Paola - Da tre mesi.
Virgilio - (disperato) Sotto i miei occhi! Come avete potuto.
Paola - (frontale al pubblico) Lui questa sera mi ha lasciata. Ha detto che non
se la sente più di continuare perché ha troppo rimorso nei tuoi confronti. (si
volta verso Virgilio e gli tende una mano) Ti prego, aiutami.
Virgilio - (duro) Non chiedermi questo. Non adesso.
Paola - Se tu non mi aiuti la mia angoscia finirà per uccidermi.
Virgilio - E che cosa dovrei fare? Chiamare Federico e dirgli “caro fratello,
qui c’è mia moglie che smania per te. Vieni a riprenderla”
Paola - (tra i singulti) Tu non capisci, Virgilio. Devi aiutarmi a perdonarmi,
perché io non ci riesco. Ti prego, perdonami. Io non volevo farti del male, è
successo tutto così all’improvviso che non ho avuto il tempo di difendermi.
Virgilio - Non ti avrà mica puntato un pugnale al collo, no? Penso che tu sei
stata consapevole di quello che facevi. (si siede e porta le mani nei capelli)
Come hai potuto ingannarmi in questo modo. Hai rovinato tutto, hai lasciato che
lui ti sporcasse.
Paola - Non mi parlare così ti scongiuro. (cerca di asciugarsi le lacrime)
Senti Virgilio, lo so di averti ferito ingiustamente. Ma se mi resti accanto io
troverò la forza di uscirne fuori. Ho bisogno di te, non mi allontanare. Tutti
noi possiamo sbagliare almeno una volta nella vita, dammi la possibilità di
recuperare il mio errore, ti prego! (cerca di prendergli una mano ma Virgilio
si divincola e si alza)
Virgilio - (si avvia verso l’estremità sinistra del cono di luce) Mi dispiace,
ora non posso. Forse domani...
Paola - (si alza e si ricompone. Estrae dalla pochette una pistola, la guarda e
si avvia verso il fondo) Va bene, come vuoi tu. Addio, Virgilio.
Virgilio - (sempre dandole le spalle) Addio, Paola. Perdonami...
Paola - (prima di giungere nell’ombra lascia cadere la pistola a terra,
all’interno del cono di luce. Tristemente) Ormai non mi serve più. (scompare
nel fondo)
(Virgilio va verso la pistola, la raccoglie, la guarda, si siede sulla sedia di
sinistra e aspetta)
Scena quarta finale: Virgilio, Federico, due infermieri.
(Federico rientra da destra con aria sospettosa, si guarda intorno e vede il
suo cappello a terra, dov’era dall’inizio del secondo atto e nota
un’espressione strana sul volto di Virgilio)
Federico - (rivolto al fratello) Scusami Virgilio, sono sempre io. Ho
dimenticato di prendere il cappello.
Virgilio - (freddo) Accomodati pure, fratello. Il tuo cappello è lì a terra.
Federico - (gentilmente) Grazie, lo prendo e me ne vado. (prende il
cappello)
Virgilio - (freddo) Già vai via?
Federico - (alzando gli occhi al cielo) Ma se sono stato con te fino a poco fa?
Virgilio - (si alza lentamente e si volta verso Federico tenendo la pistola
nascosta dietro di sé) Lo sai che Paola è stata qui?
Federico - Ma Virgilio, che dici? Paola non c’è più da tanti anni. (cerca di
sorridere) Domani ti passo a prendere e andiamo a fare una passeggiata fuori
città, che ne dici? Tu hai bisogno di aria, stare sempre chiuso qui dentro ti
sta rovinando la materia grigia.
Virgilio - (imperturbabile) Paola viene a trovarmi tutte le notti e oggi mi ha
lasciato questa. (tira fuori la pistola e la punta contro Federico che sbianca)
Ha detto che a lei non serve più.
Federico - (veramente allarmato) Ma sei impazzito? Metti giù quella pistola, è
pericoloso, potrebbe partirti un colpo. (cerca di blandirlo) Vieni qui,
sediamoci e parliamo. Se vuoi resto con te fino a che non spunta l’alba.
Virgilio - Penso che tu sia rimasto abbastanza con me. Ora è giunto il momento
che tu vada via. Addio, Federico.
(Federico urlando cerca di avventarsi su Virgilio, ma è troppo distanziato
rispetto a lui. Gli spettri nel fondo avanzano e gridano a Virgilio di non
sparare. Virgilio spara, Federico si accascia e viene preso tra le braccia dal
padre e dalla madre che lo trascinano via seguiti dagli altri spettri uno dei
quali porta con sé la sedia di destra. L’ultima ad uscire di scena è Paola che
ha raccolto la pistola lasciata cadere dal marito. Virgilio resta solo con la
sua colpa)
Virgilio - (si guarda le mani inorridito, a voce alta) Che cosa ho fatto, mio
Dio… che cosa ho fatto? (al pubblico) Lo giuro, non volevo ucciderlo, io non
volevo. Non so come è successo, aiuto qualcuno mi aiuti, per favore. (si
inginocchia con le mani abbandonate sui fianchi e il capo basso in posizione frontale,
al centro del cono di luce. A voce ancora più alta) Ho ucciso mio fratello. (a
voce più bassa, parla a sé stesso) La voce del sangue di tuo fratello grida a
me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua
mano ha bevuto il sangue di tuo fratello, ramingo e fuggiasco sarai sulla
terra. (urla terribilmente) Mio Dio no!
(Si sente il clik dell’interruttore e la luce si espande su tutta la scena.
Entrano correndo due infermieri che si avventano su Virgilio. Uno dei due ha
una iniezione in mano pronta per essere usata)
Virgilio - (spaventato si dimena) Lasciatemi! Voi siete gli angeli della morte,
è vero? Siete venuti per punirmi, lasciatemi! Io non ho ucciso Federico, è
stata una disgrazia, vi prego lasciatemi.
1° infermiere - (mentre lo trattiene da una parte) Buono Virgilio, buono, non
ti facciamo nulla. Solo una piccola puntura così potrai dormire. Su stai
buono... (al compagno) tienilo fermo.
2° infermiere - (spaventato dalla veemenza di Virgilio) E’ una parola!
1° infermiere - (mentre fa l’iniezione) Guarda che non è pericoloso, solo che
quando gli prendono queste crisi bisogna dargli un calmante. Ecco fatto,
aiutami a metterlo su quella sedia. Fra qualche minuto si addormenterà e lo
porteremo nel suo letto. (fanno alzare Virgilio e lo aiutano a sedersi)
Virgilio - (mentre gli infermieri compiono le varie operazioni) Voi mi credete
quando dico che è stata una disgrazia, vero?
1° infermiere - Certo, Virgilio, io ti credo.
Virgilio - (rivolto all’altro infermiere) E lui?
1° infermiere - (mentre il 2° infermiere fa cenno di sì con la testa) Pure lui
ti crede, sta tranquillo.
Virgilio - (mentre si siede, malinconico) Bravi! (si accascia sulla sedia,
immobile a capo chino)
2° infermiere - (lo guarda con compassione) Poveretto, ma che gli è successo?
1° infermiere - Un anno fa ha ucciso il fratello mentre stava a casa sua. Due
giorni dopo la donna delle pulizie l’ha trovato che vegliava sul cadavere di
quel disgraziato ormai completamente fuori di senno. La cosa più inquietante è
che continuava a intonare una strana musica con la testa del fratello morto tra
le braccia, come se lo cullasse.
2° infermiere - Brutta storia…
1° infermiere - Eh sì. Ogni notte bisogna iniettargli una dose di valium per
farlo addormentare. Chissà che gli dice il cervello!? (si avviano all’uscita)
2° infermiere - Sarà il rimorso.
1° infermiere - Sarà…
(i due infermieri escono, si sente il clik dell’interruttore e la luce torna ad
illuminare solo la sedia su cui è seduto Virgilio)
Virgilio - (alza per un attimo la testa fissando il vuoto di fronte a sé) Caino
alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Ma chi è Caino e chi è
Abele? Nessuno può dirlo. (abbassa di nuovo il capo e resta immobile)
(la musica del primo atto riprende a suonare dolcemente mentre il sipario si
chiude)
Agosto 1998 FINE