La fondazion di Venezia

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LA FONDAZION DI VENEZIA

Di Carlo Goldoni

Divertimento per Musica da cantarsi dalla Compagnia de' Comici nel Teatro Grimani a S. Samuele la prima sera delle recite autunnali in Venezia in quest'Anno 1736.

AMICO LETTORE

Farei torto alla tua erudizione, farei torto alla Fama, s'io volessi dilucidare un argomento non men noto ai dotti per l'Istorie, che agl'ignoranti per una continua fedel tradizione de' Padri a' Figli. Non v'ha persona che non sappia e non discorra di questo glorioso principio, come di cosa meravigliosa: onde basterà dire la Fondazion di Venezia, perché cadauno sia prevenuto doversi rappresentare l'arrivo della più fiorita Nobiltà d'Italia alle Lagune del Mar Adriatico, ove per la ruvina delle desolate Città rifugiandosi, non isdegnando la società de' poveri Pescatori, vi hanno stabilito la più gloriosa, la più potente, la più ordinata Repubblica. La misura d'un brieve divertimento non mi permette stendermi più diffusamente, come vorrei e come potrei, nel nobile argomento, onde riducendomi alla sola azione dell'arrivo de' Cavalieri, lascierò con pena di dimostrare quanto valore, quanto sapere, quanta giustizia, quanta pietà, quanta moderazione abbiano sempre mai promossa e fecondata la felicità del loro dominio. La serietà dell'argomento meritava altra frase, altro stile, ma siccome un divertimento dato da Comici non deve essere tutto serio, così nelle persone de' Pescatori mi sono servito del loro vernacolo Veneziano, il quale grazioso per natura, renderà più piacevole la rappresentazione. Di me niente parlo, trattami come vuoi. Vivi felice.

Attori

ABITATORI DI LAGUNE

BESSO pescator vecchio, padre di DORILLA pescatrice, amante di NISO pescator semplice.

FUGGITIVI

ADRASTO cavalier d'Eraclea. LISAURA sua figlia, amante di ORONTE cavalier d'Aquileia. Coro di pescatori. Coro di cavalieri.

Il luogo della rappresentazione si finge nelle lagune del mar Adriatico, ove ora è fabricata Venezia.


PROLOGO

LA COMMEDIA

LA MUSICA

IL GENIO DELL'ADRIA

LA Commedia sola si trova in Scena.

Care spiagge adorate, a voi ritorno,

E qui dove non turba

L'allegrezza comun ombra funesta,

Più che mai lieta in viso,

Nuovi stimoli reco al dolce riso.

Agli atti, ai detti, a queste vesti, a questo

Mascherato sembiante,

Può comprender ciascun il nome mio:

La Commedia son io:

Quella che su le scene

Dà lode alla virtù, biasmo agli errori,

Mostrando in varie guise

«Le donne, i cavalier, l'armi e gli amori»;

Quella per cui sovente

Di sé mirando il vergognoso esempio,

Detesta il vizio, e divien giusto un empio.

A chi crede un vago volto

Posseder senza difetto,

Quel cristallo parla schietto,

E gli dice: «Mira, o stolto,

Quanti errori ha tua beltà». Così appunto a chi non crede

Reo di colpe il suo costume,

Io presento un chiaro lume

Onde poi se stesso vede,

E l'error scoprendo va.

Ma chi è colei che in maestosa gonna

Scender vegg'io dal cielo? è Diva, o donna?

Or la discerno appieno:

La Musica è costei, quella che tanto

A me sopra le scene usurpa il vanto.

Al suono di breve Sinfonia scende la Musica

Vengo a voi, felici sponde, Le vostr'aure a respirar, Ed al suon delle vostr'onde La mia voce ad accordar.


Vengo a voi, felici sponde, Le vostr'aure a respirar.

Ma che veggo! Superba, (alla Commedia)

Qual ragion ti conviene,

Onde libera andar per queste arene?

Tu fra stuolo d'eroi?

Tu qua, dove le cure alte d'impero

Empion dei cittadin tutto il pensiero?

COMM.             A que' gravi pensier per cui sovente

Più bisogno la mente ha di riposo, Lieto ameno intervallo a recar vegno.

MUS.                 Questo è mio solo impegno;

Io sol posso tener gli animi intenti Al dolce suon de' miei canori accenti.

COMM.             T'inganni, e ben tu stessa

Puoi confessar con pena Quanto l'itala scena Di me si pregi, e quanto in questi lidi.

MUS.                 Tempo già fu che vaneggiava il mondo;

Più non l'avrai secondo; Ora per la virtù risorto è il zelo, Ed io sono virtù che vien dal cielo.

COMM.             Che parli di virtù? Misero nome,

Venerabile tanto, Ormai degno di pianto! Lo sconcertato suono Di turba mercenaria

Che non so dir se gracchi, o pur se canti, Potrà dirsi virtù? Miseri vanti.

MUS.                 Olà, frena, mendace,

Quel tuo labbro loquace,

Né l'invidioso tuo vile costume

Giunga a oltraggiar quel lume

Per cui tanto splendore hanno le scene.

Rammenta quante volte

Avvilita, negletta,

Per me sol tollerata

Fusti dal popol misto, allora quando

Teco, qual tu ben sai,

Comparir su le scene io mi degnai.

COMM.             Ah, non son io l'antica

Baldanzosa Commedia, Se vendetta non fo d'un tal oltraggio.

MUS.                 Fora il tacer più saggio.

Pensa chi sei, chi sono, e allora poi Minacciosa così parla, se puoi.

Fremi pur di rabbia in petto: Mi vedrai a tuo dispetto


Su le scene trionfar.

COMM.

Non andrai sempre fastosa.

Verrà un dì, che l'orgogliosa

Fronte tua saprò umiliar.

MUS.

Verrà un dì, ma intanto fremi.

COMM.

Mi deridi, e non mi temi?

Tu vedrai quanto potrò.

MUS.

Con il suon della mia voce...

COMM.

Col valor dei detti miei...

a due

Tutto il vanto a me trarrò.

COMM.

Tenti invan di superarmi.

MUS.

Tenti invan di pareggiarmi.

a due

Alle prove, alle prove;

All'armi, all'armi.

Al suono di trombe esce dal mare IL GENIO DELL'ADRIA

Olà, donne, fermate.

Qual ira vi trasporta?

Qual inganno vi spinge a gara ostile?

Non vi recate a vile

Vivere in buona union, se pur può darsi,

'Ve la Commedia giace,

Che concordia si trovi, e regni pace.

Oggi l'una di voi non è bastante

Senza l'altra piacer su queste scene.

Se non ha la Commedia

L'ornamento del canto,

Spera invan riportar applauso e vanto;

E la Musica stessa,

Se non ha ne' suoi drammi oltre ragione

Qualche comica azione,

Se conserva il rigor della Tragedia,

Anzi che dar piacer, suo canto attedia.

Egualmente ad entrambe

La stessa sorte arride:

Così il Genio dell'Adria oggi decide.
COMM.             Ma chi averà di noi

Sopra di queste scene il primo loco?
MUS.                 Questo di già si sa:

La Musica l'avrà.
GEN.                 Forsennata pazzia, che sempre mai

Tien entrambe sommerse in mar di guai.

Quella avrà il primo loco

Che saprà meritarlo,

Quella l'avrà che cogli uffizi sui

Darà più gioco e più diletto altrui.
COMM.             Tenti invan di superarmi.

MUS.                 Tenti invan di pareggiarmi.

a due                  Alle prove, alle prove; all'armi, all'armi.


GEN.

Orsù, questo il Teatro,

Questo il campo sarà della battaglia;

Quale di voi più vaglia

Provisi in questo dì. Pria la Commedia

Nell'aringo si veda;

La Musica succeda.

Io che quel Genio sono

Al cui piacer tutto s'accorda il mondo,

Io sto presente, e poi

Sarò giudice giusto in fra di voi.

MUS.

Con trilletti e con cadenze,

Or battute, or passeggiate,

Saprò l'alme dilettar.

GEN.

Ma non siano stiracchiate,

Ché fariano stomacar.

COMM.

Con facezie e con sentenze,

Con finzioni al naturale,

Saprò gli uomini incantar.

GEN.

Ma non siano senza sale,

Ché fariansi biasimar.

COMM.

Avrò meco vecchi e zanni,

Donne belle in ricchi panni,

Che faranno innamorar.

GEN.

Ma non siano troppo vane,

Ché potrian pregiudicar.

MUS.

Avrò meco gran cantori,

Virtuosi suonatori,

Che nel mondo non han par.

GEN.

Ma non siano sconcertati,

Ché fariano delirar.

COMM.

Tu vedrai.

MUS.

Tu sentirai.

a tre

Via, coraggio, a cominciar.

Fine del Prologo


AZIONE PRIMA

Besso, Dorilla e Niso. Coro di pescatori.

CORO                          Mattina e sera

Cantemo: «e viva La libertà». Questa è la vera, Questa è la nostra Felicità.

BESSO              Cossa serve, fradei, l'arzento e l'oro,

I superbi palazzi, Le ricche veste e le preziose tole, Se el tesoro mazor no se possiede? Digo la libertae dada dal cielo, Conservada da nu con tanto zelo.

DOR.                 Mi certo non invidio

La fortuna de quelle Che de ganzo vestìe, carghe de zoggie, Nega la volontà per complimento. Oh quante con tormento, Per forza e contragenio maridae, Ghe tocca d'ingiotir, Co se sol dir, le pillole indorae.

NISO                 Caro sier Besso, ho sentio dir da tanti

Che le persone ricche Magna boni bocconi; Nu semo poveretti, e me rincresce Che me tocca a magnar sempre del pesce.

BESSO              Cossa vustu de meggio?

Un bon bruetto De bisatti marini, o femenali, Un cievolo rostìo, Quattro folpi da latte, Un pospasto de cappe o masanette Xe meggio de pastizzi e de polpette.

DOR.                 E no ti xe contento

De quelle sepoiline Che te fazzo magnar tante mattine?

BESSO              Orsù, a monte ste istorie;

Pensemo a far le nozze; avanti sera Vôi che siè maridai.

DOR.                 Caro sior pare,

Sarò tutta contenta.

NISO                 Missier Besso,


Farò quel che volè, ma fin adesso No ho fatto altro mistier che de pescar, Né so cossa che sia sto maridar.

BESSO                         No ti intendi maridar?

Se l'intende fina i pesci, Muti e sordi in mezzo al mar. Mamalucco senza inzegno, Ti è più tondo della luna; Se ti perdi sta fortuna, Ti xe un matto da ligar. (parte)

AZIONE SECONDA

Dorilla e Niso

DOR.

Niso, quanto me piase

Sta to semplicità.

NISO

Mo via, Dorilla,

Vame a cata dei vermi in tel paluo,

Pesta dei granzi, e fa della pastella;

Gh'ò voggia in sta zornada

De far una bellissima pescada.

DOR.

Cossa me donerastu?

NISO

Ti è parona

De tutto quel che chiappo.

Te piase i paganelli?

Te piase i go da latte?

I bottoli da bon, o pur le cappe,

Frutti de sto paltan?

DOR.

Tutto riceverò dalle to man.

Ma dime, caro coccolo,

Ti ha da esser sta sera mio mario,

E gnanca ti me vardi? In sta maniera

Ti tratti chi per ti sbasisce e muor?

NISO

Mo coss'oggio da far?

DOR.

Farme l'amor.

NISO

Ma no sastu che mi no me ne intendo?

Inségneme, Dorilla,

Cossa che xe st'intrigo.

DOR.

Via, te l'insegnerò. Fa quel che digo:

Vòltete in qua; vàrdeme fissa in viso:

Storzi un pochetto el collo.

NISO

Cussì?

DOR.

Bravo: suspira.

NISO

Ahi!

DOR.

Pulito: su via, fame d'occhietto.

NISO

Cussì?


DOR.                           Giusto cussì, caro visetto.

Quando che ti me vedi, Fa sempre in sta maniera. El resto po, te insegnerò sta sera.

Qual cocaletta Che a pelo d'acqua Va svolazzando, Pietà cercando Dal so cocal:

Da ti mi cerco, Caro tesoro, Qualche ristoro Per el mio mal. (parte)

AZIONE TERZA

Niso Solo.

Figurarse se voggio

Deventar matto con sto novo imbroggio.

Cossa ghe pensio mi de far l'amor?

Vardar, schizzar l'occhietto e suspirar,

Le xe cosse da matti da ligar.

Vôi tender al mio pesce;

El gusto del pescar za l'ò provà,

Né me voggio intrigar in novità.

Che bel gusto a mezzo zorno Star coll'amo in riva al mar, E veder vegnir attorno Mille pesci a bagolar: Chi nol prova, dir nol sa.

Quando i scampa, e l'amo i tocca, Ingannai se tira su, Ma co i chiappa l'amo in bocca, I è cuccai, no i scampa più: Mazor gusto no se dà. (parte)

AZIONE QUARTA

Arrivano a suono di strumenti giulivi due schifi, da' quali sbarcano Adrasto, Lisaura, Oronte,

con molti Cavalieri.

ADR.                 Compagni, eccoci al fine

Sulle felici sponde Ove alberga la pace ed il riposo;


Qui, scortati da quella Diva e donna del mar, ch'Adria s'appella, Lungi dallo furor dell'empio Marte, Vivrem sicuri, in solitaria parte.

ORON.              Oh come spira più soave e pura

L'aria in sì bel contorno! oh come lieta, Come umile del mar la placid'onda E parte, e torna a ribaciar la sponda!

LIS.                   Sian grazie ai Numi eterni,

Posso pur una volta Amar senza temer; diletto Oronte, Qui dove in mezzo all'acque Non penetra l'invidia, ira non giunge, Potranno i nostri cori Goder sicuri i fortunati amori.

Zeffiretto che placido spira, A goder le fresc'aure ne invita; L'onda stessa il riposo ne addita, Dibattendo leggiera nel mar.

Qui dell'armi lo strepito tace, Qui godremo sicura la pace, Né spavento potralla turbar.

ADR.                 Ecco che a noi sen viene

Un che all'incolte vesti Sembra un di questi abitator felici.

AZIONE QUINTA Besso e detti.

BESSO              Oimè! coss'è sta cossa?

Donca no xe segura Gnanca la nostra povertà infelice Dall'ingordisia vostra? In ste lagune Cossa spereu trovar? Qua no ghe nasce, Oltre i frutti del mar, che poche erbette, Cibo anca scarso a zente poverette.

ADR.                 Quietatevi, buon vecchio: io ve lo giuro,

Cupidigia crudel noi qui non tragge; Abbiam oro, abbiam gemme, Voi ne sarete a parte.

BESSO                                                A prezzo d'oro

La nostra libertà nu no vendemo; Liberi semo nati, Liberi moriremo.

ORON.              Come franco ragiona in sua favella!


LIS.                   Oh cara libertà, tu sei pur bella.

ADR.                 La deità tutelare,

Che la vostra innocenza ama e difende,

A vostro pro quivi ne scorta: avrete

In noi fidi compagni, e non nemici.

Liberi voi, liberi noi, godremo

Quell'armonia beata

Che invidia non ammette, o gara, o fasto;

Se non che sarà nostro

Di difenderla il peso, e il frutto vostro.
BESSO              Quando la xe cussì, sbasso la testa

Al decreto del ciel; ma perché mai

Aveu lassà le vostr'alte fortune

Per abitar in povere lagune?
ORON.              Fortuna è sol dove la pace alberga;

Quanti credon l'impero

Esser degno d'invidia, e non è vero.
LIS.                   Fortuna è solo dov'è il cor contento;

Quanti credono un regno

Esser felicitade, ed è tormento.
ADR.                 Arde l'Italia tutta

D'empio foco crudel che l'ira accese;

Il povero paese

Geme sotto il gran peso

Delle barbare schiere, onde scuotendo

Il tirannico giogo,

Quivi siam scorti a stabilir la sede

D'una reggia felice

Sovra i cardini suoi: Giustizia e Fede.

Regnerem, ma il nostro impero Sarà giusto, e non severo. Il vassallo dal regnante Sarà lungi un brieve istante, Anzi parte di quel soglio Senz'orgoglio - anch'egli avrà.

Ma chi è colei, che in rozzi panni avvolta,

Tanta ostenta beltade e leggiadria?

Quella che a noi sen vien...
BESSO                                                         Quella è mia fia.

ADR.                 Qual Venere novella,

Ebbe il natal fra le sals'onde anch'ella.

AZIONE SESTA Dorilla e detti.


DOR.                 Sior pare, un gran sussurro

Xe per tutto el paese. I pescaori

Colle fòssine armai, parte coi remi,

Contra sta zente nova

Vol defender la nostra libertae.

Le donne desperae,

Chi tien el pare, e chi trattien el fio,

Chi seguita el fradello, e chi el mario.

BESSO              Cossa gh'ali paura?

Questa è zente dabben.

ADR.                                                     Vaga donzella,

Non temete di noi; qui non vedete Che veri amici, e se mi lice il dirlo, Del vostro bel sembiante In me vedete un cavaliero amante.

DOR.                 Grazie, sior cavalier,

De tanta cortesia. Mi son povera fia; Se andasse tanto in alto, Troppo saria precipitoso el salto.

ORON.              Corrispondono al volto i spirti suoi.

LIS.                   Anco la povertade ha degli eroi.

AZIONE SETTIMA

Niso, seguito da Pescatori armati, e detti. Il Coro lo cantano tutti quelli che sono in scena, anco li Cavalieri.

CORO                          Libertà, libertà,

NISO                               Chi vol metterme in caena.

Per so pena morirà.
CORO                             Libertà, libertà.

BESSO              Trattegnìve, e ascoltème:

Son Besso, e tanto basta, onde credème.

Questi che qua vede, no xe nemici;

I vien a star con nu.

Delle ricchezze soe, dei so tesori,

Anca nu goderemo,

E in tanta povertà no viveremo.
NISO                 Ma le arme...

ADR.                                       Quest'armi

Saran vostra difesa; ora potrete

Scorrer dall'uno all'altro lido il mare

Senza temer l'insidie

De' barbari corsari. In certo segno

Della fortezza nostra

Alzeremo il Leone, e perché siano


Facili i suoi progressi, ad ogni lato

Sarà il nostro Leon Leone alato.
NISO                 Basta, mi no l'intendo,

No vôi deventar matto;

Quel che farà sier Besso, sia ben fatto.
ADR.                 Anzi per maggiormente

Della vostra amistà fissar il nodo,

Con vincolo di sangue egli si formi.

Questa figlia vezzosa

Io m'eleggo in isposa; un certo foco...
BESSO              Adasio, caro sior, adasio un poco.

Questa xe za promessa.
ADR.                                                     E chi è lo sposo?

BESSO              Niso.

NISO                           De mi, patron,

No l'abbia suggezion;

Se gh'avesse de donne una dozena,

Tutte ghe le daria per una cena.
ADR.                 E voi, cara, che dite?

DOR.                            Vorria dir, ma in tel mio cuor

El mio amor - me tien confusa. Son esclusa - dal mio Niso, Ma quel viso - che me piase Me despiase - abbandonar. Nati insieme e arlevai, Avezzai - a cocolarse, A lassarse - l'è intrigada, Son sforzada - a suspirar.

NISO                 Dorilla, xestu matta!

Te despiase a lassarme? e mi te zuro,

Che se i fasse de ti tanta triaca,

No ghe ne penso un'aca.
DOR.                 Infame, desgrazià, cussì ti parli

A chi sprezza per ti... ma sì, son matta

A tender a un baban;

Sior cavalier amante,

Se la dise dasseno, ecco la man.
ADR.                 Cara, la stringo al seno, e vi prometto

Fede costante, ed un eterno affetto.
DOR.                 Cossa diseu, sier pare?

BESSO                                                  Son contento.

Da pare che te son, te benedigo.
NISO                 Son fora, grazie al ciel, d'un gran intrigo.

ADR.                 Ora pensiamo, amici,

Sovra queste isolette

A formar la più vaga e più pomposa

Città meravigliosa.

Copransi le paludi


Di noderose travi, e sovra queste

S'ergano senza esempio

Piazze, palagi, e l'alta reggia, e il tempio.

LIS.                               Il tuo nome, adriaca Teti,

Renderem famoso e chiaro, E in paese a te sì caro Serberem la libertà.

CORO                          Qua felici viveremo,

E dell'oro goderemo Ancor noi la prisca età. Oh felice libertà!

DOR.                            Vegna pur nemiga zente,

Con idea de far paura: Sempre più resa sicura Xe la nostra libertà.

CORO                          Qua felici viveremo,

E dell'oro goderemo Ancor noi la prisca età. Oh felice libertà!

Fine del Divertimento.