La grande famiglia

Stampa questo copione

 


Tre atti e quattro quadri

di Fabrizio SARAZANI

Premio Marzotto 1856

da IL DRAMMA n. 260 – Maggio 1958

LE PERSONE

SISTA, principessa Altaspada

DON FEDERICO, marito di Sista

NAPOLEONE, il primogenito

CECILIA, la figlia

GAETANO, amministratore

TULLIO, il maggiordomo

NINA, moglie di Tullio, cameriera

DON SERAFINO, confessore della Principessa

Palazzo Altaspada sorgea Roma in un antico quartiere della città. E' costruito sulle rovine di un grande mo­numento romano, quasi una fortezza. Durante il medioevo, tanti secoli fa, gli Altaspada da quassù dominavano mezza Roma. Secondo le antiche cronache già attorno al 1110 la famiglia dimorava qui, imponendo al Vaticano il peso come la prepotenza della sua forza. L'origine patrizia di questa stirpe si perde addirittura nella nebbia di una leggenda, dove si narra che il capostipite Marcotoro fu addirittura generato da una Dea, moglie di Giove, la quale all'insaputa del suo augusto consorte concepì accoppiandosi con un toro. Il bambino fu alle­vato da una pantera, così come Romolo era stato allevato da una lupa.

Gli Altaspada rappresentano a Roma un nome grande come un monumento. Hanno dato alla Chiesa un papa ed una cinquantina di cardinali; e si sono imparentati dal 1100 al 1700 con le case regnanti di tutta Europa. I discendenti del primo Altaspada si chiamarono « figli della pantera ». Il più alto e robusto protagonista della millenaria storia familiare è Papa Sisto, il quale riuscì a governare per dieci anni, nel 1500 o giù di lì, con una spietata e intrepida giustizia politica. Durante il suo regno tutta Roma tremò, dai briganti ai baroni, da­vanti al coraggio scatenato dei nipoti di Papa Sisto che portarono la loro potenza oltre i confini della Chiesa, dalla Germania alla Francia, e persino in Gran Bretagna. Figlie di imperatori e di re entrarono spose in questa casata romana, attraverso matrimoni di ricatto, contratti politici, più che amorosi. Centinaia di castelli, torri, rifugi in pietra stabilirono attorno a Roma, nell'Agro e lungo le spiagge del Tirreno, il dominio di Casa Altaspada. Il palazzo ancora oggi sfida robusto il passato remoto della sua origine. Costruito e ricostruito più volte, adesso mantiene intatta la chiara e pura eleganza dell'ultimo stile cinquecentesco. Il portico è del Bramante, alcuni saloni sono affrescati dal Pinturicchio, altri sono affrescati dal Sodoma e da Giulio Romano. Nella gal­leria stanno i ritratti del papa, dei molti cardinali e delle figlie di re e di imperatori sposate agli Altaspada. C'è un quadro del Tiziano ed uno del Velázquez. Nella dimora è il colore dei secoli trascorsi. Si può dire che dal 1700 ad oggi nessun restauro abbia modificato lo scenario: mobili, quadri, tappezzerie, affreschi si lasciano presentemente mangiare dalla rovina lenta del tempo che passa, e, in questa rovina, le cose sembrano quasi rubare alla morte un riflesso di nuova vita e di appannato splendore resistendo, cocciutamente, alla maledu­cata condanna del destino moderno.

ATTO   PRIMO

All'aprirsi del sipario, la scena rappresenta il salotto privato della principessa Sista Altaspada. Le pareti sono ricoperte di damasco verde cupo. In alto, lungo il soffitto a volta, è un affresco cinquecentesco pieno di amorini che si rincorrono tra collane di frutta e fiori. Una grande ed alta finestra guarda sul pano­rama di Roma. Si vede la Cupola di S. Pietro, Castel Sant'Angelo ed una distesa di tetti color topazio bru­ciato. Presso la finestra, una scrivania ed una pol­trona dorata, dalla spalliera barocca. Pare la sedia di un trono. Altre poltrone, più basse, disposte lungo le pareti. Un divano rigido ed impettito di dama­sco rosso, al centro della scena. Sulla parte centrale è unsolo quadro: ritratto di Papa Sisto Altaspada. Il vecchio pontefice appare seduto. Il suo viso è quello di un uomo armato di massiccia volontà, la barba acuta, lo sguardo freddo e la bocca serrata. Le mani lunghe, rapaci, si stringono alla poltrona, fortemente. Non un fiore, non un tavolo, non una fotografia. Ai piedi del ritratto del papa è un ingi-nocchiatoio dorato, in stile barocco berniniano, con un cuscino di velluto rosso. Una porta a sinistra, che dà nell'appartamento della principessa; una porta a destra. Sugli architravi di marmo grigio delle due porte di noce massiccia è inciso, a lettere alte, il cognome: ALTASPADA. E' giorno chiaro. Dalla grande finestra entra il sole di una bella mattinata romana. Cielo azzurro, pulitissimo. La scena è vuota. Si odono suonare le campane delle chiese vicine e lontane, come un concerto. Dopo una lunga pausa, dalla porta a destra entra a passo frettoloso la cameriera Nina (vestita di nero, il grembiule bianco, sen­za merletti), portando il vassoio della colazione. Nina è una donna di sessanta anni e cammina con aria militaresca. E' molto sicura di sé e della sua posizione nella eccellentissima casa. Scompare dalla porta di sinistra. Di lì a poco rientra in scena e la traversa nuovamente, con passo ancor più spedito. Riapparirà seguita da suo marito, il maggiordomo Tullio, e da don Serafino, il confessore della prin­cipessa. Tullio è un uomo di sessanta e più anni, indossa una giacca nera, il colletto inamidato e i pantaloni grigi a righe. Don Serafino è un prete dalla faccia buona e serena. Forse è più giovane di quanto non dimostri. Cammina come se gli doles­sero i piedi. I tre, giunti davanti alla porta, si fer­mano, in attesa, ad osservare una campanella che pende al lato della porta. Aspettano il segnale. La campanella comincia a muoversi e a suonare tirata dall'interno. Nina, Tullio e don Serafino restano immoti fino a quando la campanella non avrà ces­sato di agitarsi. Nina apre la porta e i due uomini la seguiranno. Tullio, prima di entrare, si è abbot­tonato la giacca, come a correggere il suo atteggia­mento. La scena rimane ancora una volta vuota. La porta dell'appartamento si riaprirà di lì a un mo­mento e riapparirà Tullio che, quasi di corsa, tra­verserà la scena come se avesse ricevuto un ordine da eseguire immediatamente. Davanti alla porta di destra gli fermerà il passo il signor Gaetano, ammi­nistratore di Casa Altaspada.

Gaetano        Eccomi qui. Un po' di calma! Dove mi andavi a cercare?

Tullio            Le telefonavo a casa.

Gaetano        Ma se glielo ho detto due volte, ieri, a sua eccellenza, che oggi mi aspettavano all'ufficio delle tasse.

Tullio            La vuol vedere subito. Stamattina, gra­zie a Dio, è di buon umore.

Gaetano        Non c'è da fidarsi troppo dell'umore della principessa. E' come il clima di Roma: dallo scirocco alla tramontana, dal freddo al caldo. Chi c'è nella stanza adesso?

Tullio            Mia moglie e don Serafino.

Gaetano        Ma oggi non è mica giorno di con­fessione!

Tullio            Don Serafino è venuto da sé. Domani, venerdì, è giorno di confessione, ve ne siete scor­dato?

Gaetano        No, non me ne sono dimenticato. Sto pensando, caro Tullio, che c'è da faticare come un somaro a volerle bene, a questa donna. Da qualche anno bisogna dirle soltanto le cose che le fanno piacere... E invece qui non ci sono che cattive no­tizie. Questo palazzo è un deposito di cattive no­tizie. E a caricarle, scaricarle e a portarle sulla grop­pa, questa montagna di seccature pesanti come selci sono io... sempre io!

Tullio            Ma senza di voi, don Gaetano, che sa­rebbe di questa casa? e soprattutto di lei?

Gaetano        Anche questo è vero, almeno fino a quando ci sarà la principessa! E poi... poi... sarà quel che sarà... il diluvio!

Tullio            Sarà il terremoto, altro che il diluvio! Anche stanotte il signorino, don Napoleone, è tor­nato ubriaco fradicio... Il principe nel vederlo in quello stato si è messo a piangere e quell'anima in­nocente di donna Cecilia, aiutata da Nina, lo ha vergognosamente portato a letto... Cantava e par­lava a vanvera, che sembrava un matto...

Gaetano         (con rabbia contenuta, come fra sé)  E don Napoleone sarebbe il primogenito! L'erede! Il depositario di un nome che è grosso come la Basi­lica di San Giovanni... come la Cupola di Sant'Andrea della Valle. Ma che ne sa più, lui?! Che ne sa più lui? Il padre, invece di prenderlo a schiaffi, si mette a piangere... E alla principessa nessuno di noi ha il coraggio di dire che don Napoleone è un cretino vizioso e smidollato!

Tullio             (con aria addolorata e piagnucolosa)  Oh, non me le dica queste brutte parole, signor Gaetano!

Gaetano        Nemmeno tu dunque la vuoi sentire la verità? Ma lo sai, tu, che mi sento certe volte più marito e figlio io, che quei due pupazzi di stracci di don Napoleone e di don Federico? La pena e la tenerezza che mi ispira donna Cecilia e la devozione per la principessa Sista mi costringono a montare la sentinella. Solo per loro due... ricordatelo bene... solo per loro due! E' da cent’anni che li serviamo: prima mio nonno, poi mio padre, poi io... Io sono un pezzo di questa casa! sono come uno di quei busti di marmo che stanno per le scale... E anche tu, e anche Nina! Siamo incastrati alle mura del pa­lazzo! Oh, siano maledetti la nobiltà, la storia, i qua­dri, gli affreschi, i secoli, il travertino, le memorie, il medioevo! Tutte queste cose morte sono come un ricatto! Una cambiale che scade tutti i giorni, da secoli!

Tullio            Oh, signor Gaetano, me lo lasci dire, io, a lei, certe volte non la capisco.

Gaetano        E a che ti serve capire? E' meglio, se non capisci. Anche io non mi capisco. Io obbedisco soltanto come un imbecille a una vocetta che mi dice dentro: signor Gaetano, amministratore della eccel­lentissima Casa Altaspada, un papa, cinquanta car­dinali ti ordinano di servire l'ultima discendente vera di questo macello di passato romano e remoto... A piantare la principessa Sista saresti un diser­tore, un boia, come si dice a Roma, perciò devi starle vicino fino all'ultimo giorno della sua vita... proteggerla, difenderla dalle tasse, dai debiti, dai contadini ladri dell'ultima tenuta che le è rimasta, buttando dall'alto della torre olio bollente... Que­sto mi dice la vocetta! Hai capito? Olio bollente dal­la torre, come al tempo di Cesare Borgia!

Tullio            Forse credo di aver capito! Anche mia moglie Nina, con parole diverse, mi dice la stessa cosa.

(Il dialogo dei due è interrotto dall'agitarsi sonoro della campanella. Escono dalla stanza della princi­pessa don Serafino e Nina).

Don Serafino          Caro don Gaetano...

Gaetano        Riverisco, don Serafino. (si avvicina al sacerdote e gli bacia la mano).

Don Serafino          Se stasera o domani avrà cinque minuti di tempo, mi  farà  piacere parlare un po' con lei...

Gaetano        Certamente, don Serafino.

Don Serafino         Dopo l'Ave Maria mi troverà co­me al solito nell'ufficio della Parrocchia. La princi­pessa oggi è di ottimo umore. Si figuri che mi ha pregato di accompagnarla domani a San Pietro!

(Il prete esce per la porta di destra, seguito da Nina. Tullio si avvia nella stanza della principessa. Gaetano  si avvicina  alla  finestra  a  guardare  il  pa­norama).

Gaetano         (parlando da solo)  Che bella giornata! Guarda che cielo! Un cielo come questo, se potes­sero, se lo comprerebbero a Milano, a Torino, a Londra! e faremmo bene a venderlo perché è trop­po antico... è un cielo dipinto e non serve più a niente... un cielo sprecato!

(Rientra Tullio il quale spalanca la porta. Appare la principessa Sista Altaspada. E' una statua senza età, piena di sicura regalità sacerdotale. Indossa un abito nel quale è una settecentesca eleganza spa­gnola. Quasi un costume. Un sottile colletto di mer­letto e due lunghe file di perle. Sista sente in sé, pie­namente, il peso della sua origine patrizia. Entrando si guarda intorno con uno sguardo sospettoso e fiero, la testa eretta. Si avvicina lentamente al ritratto del pontefice e gli rivolge un cenno di saluto chinando il capo e facendosi li segno della Croce. Si va a sedere davanti alla scrivania e appoggia le braccia e le mani nello stesso atteggiamento che ha il papa nel ritratto. Gaetano si avvicina alla scrivania con un'aria sottomessa e cerimoniosa premura. Rimane in piedi davanti a Sista. Tullio è uscito dalla porta di destra, chiudendola).

Sista              Vi aspettavo con ansia. Vi prego, per l'av­venire, di non chiamarmi più, come ieri sera, al telefono. Io detesto quello sciocco istrumento. Le notizie, anche quando sono buone, mi piace sen­tirle... vorrei dire vederle pronunciare dalla bocca di chi le dà... Fra l'altro, la vostra voce al telefono è sgradevolissima... Al telefono voi non somigliate alla vostra voce...

Gaetano        Non lo farò più, eccellenza. La prego di perdonarmi.

Sista                Io passo tutta la vita a perdonare chi non mi capisce.

Gaetano        Eppure io cerco sempre di capirla, ec­cellenza, da molti anni.

Sista              Infatti voi siete il solo, dopo don Serafino, per il quale io nutro una certa fiducia... Accomo­datevi! (Gaetano siede) La notizia che mi avete dato ieri sera mi ha messo di buon umore. Era un pezzo che non mi si dava una buona notizia. L'ultima, se non sbaglio, me la portaste proprio voi, quindici anni fa, annunciandomi la morte di mio fratello Annibale... Infatti, sono così disabituata alle buone notizie, che ieri sera stavo per sentirmi male dopo la vostra telefonata. Stanotte non ho chiuso occhio!

Gaetano        Tutto si è svolto, almeno fino ad oggi, nel migliore dei modi. La ragazza arriverà, accom­pagnata dal fratello, fra quindici giorni. Ed il fra­tello si è impegnato di versare la dote e lo stabilito assegno mensile... Ecco la sua lettera.

(Gaetano porge alla principessa una lettera. Sista in­forca gli occhiali e legge attentamente).

Sista               (leggendo)  E' scritta in spagnolo ma le cifre si capiscono bene. Anche il cognome non suona male: des Menozas... Nel 1600, lo ricordo bene, un Altaspada sposò una spagnola, figlia di un pirata, di un famoso ladro, al quale poi un re d'Inghilterra concesseil titolo di barone... E fu un'ottima sposa. Purtroppo il marito Altaspada si stancò presto di lei...

Gaetano        E la rimandò al padre?

Sista              No, la fece strangolare da un suo servo. A quel tempo era comune, tra noi, sciogliere i ma­trimoni ammazzando le mogli. Eravamo fatti così! Almeno una quindicina di mogli Altaspada hanno fatto questa spiacevole fine.

Gaetano        C'è un solo lato della lettera che non sono riuscito a comprendere... Il fratello parla sem­pre in prima persona e non fa mai alcun cenno alla volontà della sorella...

Sista              Ma, caro signor Gaetano, questo vostro dubbio non ha senso. Il des Menozas carico di mi­liardi non sogna che il titolo di principessa per sua sorella. Anche lui, da laggiù, avrà preso le sue brave informazioni e la sorella, da parte sua, ha lasciato decidere il fratello... Io sono sicura che questi pellirosse sanno a memoria la storia della mia famiglia, del palazzo, dei quadri... Sanno che io e mio marito portiamo lo stesso nome Altaspada perché cugini di primo grado. Sanno che Napoleone, mio figlio, il primogenito, rappresenta oggi a Roma, in fatto di nobiltà, il più alto nome d'Italia e si può dire d'Europa... Questo è il punto fermo, chiaro e solenne, di tutte le nostre trattative che voi avete saputo con­durre, lo riconosco, con molta diplomazia. Nelle parole di questo nostro futuro parente è il tono di un'alterigia settecentesca e spagnola che non mi dispiace.

Gaetano         (con una certa titubanza)  E a don Na­poleone avete parlato?

Sista              Non ancora. Gliene parlerò oggi. O, per meglio dire, gli ordinerò oggi stesso quello che deve fare.

Gaetano        E siete sicura della sua obbedienza?

Sista              Ne sono certa, come sono certa in questo momento di parlare con voi, signor Gaetano. Nelle vostre domande mi sembra di indovinare un pizzico di incertezza... Parlatemi chiaro! Non amo le reti­cenze...

Gaetano        Oh, no... Non si tratta di reticenza... Penso che don Napoleone...

Sista              Vi dirò subito che pensate male, in que­sto momento... Io so tutto di mio figlio anche se voi, Cecilia e Tullio, me lo nascondete... So tutto! So, in primo luogo, che fino ad oggi è stato un cretino. Ora basta! Questo matrimonio ricostruirà dalle fondamenta la nostra casata. Questo soltanto importa e questo si dovrà fare! Per quanto riguarda l'obbedienza cieca ed assoluta di mio figlio non c'è da avere alcun timore... Lo murerò vivo, nelle can­tine del palazzo, se oserà mostrarsi titubante... Tra quindici giorni darò un ricevimento in onore della sua fidanzata e tra un mese al massimo si cele­brerà il matrimonio in San Pietro.

Gaetano        Come lei vorrà, principessa... A que­sta lettera è forse opportuno che risponda lei perso­nalmente.

Sista              Avete ragione. Anzi risponderò con un telegramma perché non c'è tempo da perdere... Avete da dirmi altro?

Gaetano        Sì, eccellenza, purtroppo. Devo dirvi un'altra cosa. O, per meglio dire, devo farvi vedere un'altra cosa...

Sista               (con molta curiosità)  Farmi vedere un'altra cosa?

Gaetano         (con voce piena di incertezza) Il ritrat­to, la fotografia della sposa... È necessario che lei la veda prima di rispondere alla lettera del fratello.

Sista              E dove l'avete questa fotografia? Perché non me l'avete mostrata subito? 

(Gaetano trae dalla tasca la fotografia).

Gaetano        Eccola... era nella lettera.

(La principessa Sista inforca gli occhiali. Osserva lungamente la fotografia e la riconsegna a Gaetano con sul volto un'espressione contrariata. Fisserà lun­gamente l'amministratore).

Sista              È semplicemente una ragazza mostruosa. Sembra una scimmia. E a Napoleone, purtroppo, piacciono le belle ragazze. Questa fotografia annulla la bella notizia di ieri sera. Lasciatemela rivedere ancora.

(Gaetano le porge di nuovo la fotografia. Sista la riguarda, scuotendo il capo con aria inquieta).

Gaetano        Grazie a Dio non è di statura bassa: è molto alta. Mi permetto ricordarle, eccellenza, che alcune antenate della sua casata - a voler prestar fede ai ritratti della galleria - non si può dire che brillassero né in bellezza né in procacità.

Sista              Proprio così. Ma le più brutte di quelle nostre antenate, sappiatelo bene, portavano nomi so­nori come squilli di tromba: figlie di re, nipoti di imperatori e pontefici, cugine di sovrani... Il nome mascherava la loro fisionomia: quelle scucchie, quei nasi a becco, quegli occhi senza ciglia erano il se­gno di una stirpe... Mentre questa è soltanto una scimmia. E debbo credere appartenga a una razza di scimmie tra le più brutte... Un napoletano direb­be volgarmente che è una schifezza...

Gaetano        L'alta statura potrà darle un'apparenza di distinzione...

Sista              Ma che volete che le dia l'altezza, quando madre natura si è divertita ad abbozzarle un muso co­me questo? Ad ogni modo io non disarmo. Napoleone la sposerà lo stesso, perché così ho deciso che sia...

Gaetano        La fotografia, ad ogni modo, gliela farei vedere in un secondo momento.

Sista              Per meglio dire, mi guarderò bene dal mo­strargliela. Gli annuncerò soltanto la mia decisione.

Gaetano        Eccellenza, in nome della stima confi­denziale di cui lei mi onora, mi lasci dire, almeno per una volta, che al carattere ed alla personalità di don Napoleone lei ha guardato e guarda tuttora da un punto di vista approssimativo...

Sista               Come osate dirmi una cosa simile?

Gaetano        Non posso fare a meno di dirlo, eccel­lenza, anche a costo di farmi maltrattare... Don Napoleone è fuori del suo tempo e al di là o al di sotto della tradizione familiare...

Sista              Ma lo so benissimo ch'egli non sente e non vuol sentire il peso del nome che porta...

Gaetano        Glielo hanno fatto dimenticare gli ami­ci che frequenta, la vita che conduce...

Sista              ...e soprattutto le sbornie che prende... Anche stanotte - Io so bene - è rientrato ch'era l'alba, ubriaco come un marinaio negro. Oh, il peso del nome - statene certo - glielo legherò io, come uno zaino, sulle spalle... Vi invito, infine, a tener sempre presente ch'io discendo per li rami da uno dei più coraggiosi pontefici della cristianità...

(Sista indica il ritratto di Papa Sisto)

L'anima, la volontà, lo spirito di quel santo uomo sono rimasti vivi in me... Egli in cinque mesi polverizzò il bri­gantaggio nell'agro... e il più bel regalo che gli si potesse offrire era la testa mozzata di un brigante. Il duca d'Urbino gli mandò infatti in dono una mula, splendidamente bardata e infiocchettata, con una cesta colma di trenta teste di banditi... E il sant'uomo ringraziò il duca con parole di commossa gratitudine. A dispetto di questa vergognosa e bar­bara epoca di maleducati, io conservo in me, intatto, l'antico spirito della mia grande famiglia. Mi avete capito?

Gaetano        Non la posso capire, eccellenza, e quel che è peggio, io temo che non la capirà mai don Napoleone.

(Sista dà un pugno sul tavolo e sollevandosi sul busto dice con voce di comando).

Sista              Andate subito a chiamarlo. Ditegli che sua madre la principessa aspetta qui! Se ancora dorme, buttatelo giù dal letto. Voglio chiarire tutto con lui oggi stesso!

(Gaetano si leva in piedi ed esce dalla porta di destra dopo essersi inchinato davanti alla grande dama. Sista rimane per un attimo ferma, lo sguardo fisso nel vuoto. Si leverà dal suo trono e si avvicinerà al ritratto del pontefice. Si farà il segno  della Croce e si inginocchierà. E parlerà al ritratto  come a persona viva, con un tono di voce confidenziale)

Santità, questa vostra indegna nipote ha an­cora una volta bisogno del vostro aiuto. Datemi la forza necessaria per resistere. Voi ben sapete che io, prima di morire, debbo riconsolidare dalle fonda­menta la situazione della nostra grande famiglia. Io  ho sbagliato tempo. Come dire che ho sbagliato l'ora dell'appuntamento che  avevo con  voi.  Sono arrivata in ritardo di cinque secoli. Ma la mia ani­ma è antica come è antica la vostra... Sono cocciuta come voi. A dispetto del presente volgarissimo sento dentro di me, vivo, il peso del mio diritto... Vi leggo negli occhi che mi date ragione... che mi volete bene... che vi sono simpatica... che mi amate... lo odo la vostra voce dentro di me, la notte, e non sono davvero matta e non sono una visionaria... I vostri consigli mi sono preziosi, come la vostra be­nedizione... Se non si farà questo matrimonio la casa crolla... i debiti scaleranno come orde di lanzichenec­chi le mura di questo palazzo costruito dai nostri avi sulle rovine di un tempio imperiale... Roma, voi lo sapete, ha dovuto subire ogni sorta di invasioni furibonde... ma quest'ultima invasione, l'invasione dei pacchiani, è la più feroce e la più spietatamente cieca... Santità, credetemi... sono peggio dei Goti quest'ultimi invasori di Roma! Se la stanno man­giando viva la nostra città che ne ha viste di tutti i colori... Digeriscono, famelici, anche le pietre del Colosseo... Con la vostra apostolica benedizione io sono certa di poter rendere obbediente e ragione­vole questo mio figlio smidollato... di gommapiuma! Mio marito don Federico è completamente rimbam­bito... Il sangue gli è diventato acqua fresca. Gioca a fare il bambino e quella creatura innocente di mia figlia Cecilia vive chiusa nella sua fede. Non sogna che di volare in Paradiso sulle ali della nostra reli­gione... Sono rimasta io sola a difendere la casata... Dite bene... Vi ascolto dentro di me... Devo rial­zare lo stendardo di Altaspada tra Castel Sant'An­gelo e San Pietro! Vedo che mi sorridete, a modo vostro, e che mi benedite... Grazie, Santità... Vi ba­cio i piedi. Sono la vostra umilissima serva e nipote.

(Sista si leverà in piedi dopo essersi di nuovo fatto il segno della Croce. Ritornerà a sedere. Riappare l'amministratore Gaetano seguito da don Napoleone, il primogenito superstite degli Altaspada. È questi un bel giovane di venticinque anni dall'aria molle, « nonchalante ». Gaetano l'ha proprio tirato giù dal letto, perché don Napoleone indossa la vestaglia, è spettinato, la faccia ancora piena di sonno. Entra sbadigliando con passo stanchissimo. Ma alla pre­senza della madre si ricompone, passandosi la mano tra i capelli e mettendo a posto il bavero della ve­staglia. Sorriderà alla principessa con ipocrita affet­tuosità. Ma il suo sorriso rimbalzerà sul viso duro della madre).

Napoleone    Ti prego di scusarmi, mammà, dor­mivo ancora.

Sista               (rivolgendosi a Gaetano)  Chiudete bene la porta, Gaetano, perché devo fare un discorso mol­to importante a questo signore.

Napoleone    Mammà, io sono ancora pieno di sonno. Stanotte non mi sono sentito bene.

Sista              Sei rientrato a palazzo che erano le quat­tro del mattino. Ed eri ubriaco.

Napoleone    Non ero ubriaco, mammà. Le tue spie ti hanno male informato.

Sista              In questa casa non ci sono spie ma alcune persone fedeli che mi amano. Modera i tuoi termini e cerca di svegliarti bene.  Potrai  tornare a letto dopo che mi avrai ascoltato. Il sonno è la sola cosa decente che tu poi fare. O, meglio, che hai potuto fare fino ad oggi.

Napoleone    Mi posso sedere, mammà?

 Sista             No, mi piace vederti in piedi... Lasciati guardare. Sei pallido, stanco e disfatto. Sul tuo viso è scritto il deficit della tua esistenza sprecata. Mi fai pena. Ho vergogna di te.

Napoleone    Te lo ripeto, mammà, stavo dor­mendo... Il signor Gaetano non mi ha dato nem­meno il tempo di fare la doccia... E' entrato nella mia stanza come se avesse preso fuoco il palazzo...

Sista              E, infatti, il palazzo ha preso fuoco da un pezzo e tu, tuo padre e quella poverina di Ce­cilia non ve ne siete nemmeno accorti... Io, da sola, lotto contro le fiamme... e tu dormi!

Napoleone     (con voce piagnucolosa)  Ma io le fiamme non le vedo... e credo non le veda nem­meno il signor Gaetano...

Sista              Ti sbagli! Gaetano le vede come me. La casa brucia e crolla! Tu non puoi sapere, figlio mio, quanta voglia io abbia in questo momento di darti uno schiaffo. Ma non te lo darò. La mia mano sul tuo viso rimbalzerebbe come una palla. Sarebbe uno schiaffo sprecato.

Gaetano        Sua eccellenza le vuol dare una buona notizia... Si tratta del suo avvenire, del suo imme­diato avvenire...

Napoleone     (c. s.) Ma come faccio a quest'ora, cascato come sono dal letto, a pensare all'avvenire? Ti dispiacerebbe, mammà, se ci si pensasse dopo la doccia, al mio avvenire?

Sista              Se fino ad oggi ti ho lasciato purtroppo vivere da cretino, questo non significa che io abbia abbandonato l'idea di farmi obbedire da te. Mi com­prendi?

Napoleone    Sì, mammà. Non posso fare a meno di capirti.

Sista              Perché io sono un essere umano che si lascia guidare dalla logica ed assistere dalla ragione.

Napoleone    Mammà, io ho paura che la logica non serva a niente al giorno d'oggi.

Sista              Ti sei mai domandato che cosa vuoi tu dalla vita?

Napoleone    No, te lo confesso. Non me lo sono mai domandato. Penso che domande di questo ge­nere portino una terribile iella. D'altra parte, alla logica, in questa casa, ci pensi tu... sei tu a deci­dere. In fondo mi è comodo. Nel tuo cervello, mammà, non c'è posto per le mie opinioni. Se avessi... come dire?... un'opinione non troverebbe un posti­cino nella tua testa dove tutto è occupato dalla tua ragione. La tua logica è molto inospitale... Non ri­ceve mai le idee degli altri... Allora io non penso. Non penso mai. E sto benissimo...

Sista              Purtroppo lo vedo che non pensi mai... La tua incoscienza ha tuttavia lucidi intervalli di cinismo. Ed io mi servirò del tuo cinismo. Soltanto del tuo cinismo.

Napoleone    Come vuoi, mammà. Dimmi subito di che si tratta, così ritorno a letto...

Sista              I particolari della importante notizia che riguarda la nostra famiglia te li darà più tardi il signor Gaetano. Io debbo soltanto dirti che tra un mese e mezzo sposerai la signorina des Menozas. È una cara, gentile e ricchissima fanciulla che tra­versa l'oceano in compagnia di suo fratello per en­trare nella nostra casa.

Napoleone Mi vuoi far prendere moglie senza conoscere nemmeno di vista la persona che dovrà venire a letto con me? Ad ogni modo non ti voglio contraddire... In questo momento non mi reggo in piedi e mi sento infelicissimo. C'era proprio biso­gno che la facessi venire da tanto lontano una mo­glie per me?

Sista              Una ragazza ricca come la des Menozas in Italia e soprattutto a Roma non esiste. Ti avverto che la decisione che ho preso è irrevocabile.

Napoleone    Beninteso pagheremo tutti i debiti, le ipoteche, rimetteremo a nuovo questo nostro mu­seo e tu sarai finalmente felice. È questo che vuoi? Ci avevo già pensato io, senza dirtelo. Avevo paura di dirtelo.

Sista              Ma io lo sapevo lo stesso. Tu voi alludere a quella screanzata che fa il cinematografo e che ha tappezzato tutto il mondo delle sue fotografie in costume da bagno e con la quale vai in giro la notte per i bassifondi, seguito da una mandra di invertiti e di cocainomani...

Napoleone    Mammà, quella screanzata in co­stume da bagno ricava dalle sue gambe e dai suoi seni fotografati una rendita pari a tutto il raccolto granario della provincia di Roma. Ogni seno centi­naia, migliaia di ettari di terreno buono. Eppoi mi piace... Muore dalla voglia di diventare principessa.

Sista               Nella nostra casa, in tanti secoli di storia, nessuna donna si è lasciata dipingere o tanto meno fotografare in mutande o quasi nuda... Questa tua nauseante divagazione sessuale mi offende. Quello che dovevo dirti te l'ho detto. Preparati l'animo a questa mia decisione.

Napoleone    Me lo sono già preparato. Vorrei soltanto sapere come è fatta.

Sista               (con incertezza)  Ha l'onesto viso di una ragazza miliardaria...

Napoleone    Allora ho capito. Risparmia quindi al signor Gaetano la fatica di darmi i particolari. Me ne infischio. Il mese che mi separa dal giorno dell'arrivo della mia futura consorte desidererei di non sentir parlare di questo matrimonio. Mi puoi con­cedere questo piccolo favore?

Sista              Non parleremo del tuo matrimonio, ma parleremo dello stile che a questo matrimonio voglio dare... Ragazzo mio, farai crepare d'invidia tutta Roma!

Napoleone    Ti ringrazio, mammà, è da molto tempo che a Roma né ci odiano né ci invidiano. Come vedi, non potevo rispondere alla tua decisione . con più disciplinata deferenza. In cambio ti prego di farmi pagare subito dal signor Gaetano il debito che ho al Circolo e di darmi un piccolo anticipo sulla dote della mia futura consorte. Ho detto tutto. Posso ritornare a letto? Se non fossi stato quel bravo ragazzo che sono, dimmi tu dove saremmo andati a finire con questo discorso... Non c'è più nulla di drammatico nella nostra vita... La sola cosa dram­matica che ci riguarda è il passato... il nostro pesan­tissimo passato remoto... Mi dimenticavo di doman­darti, mammà : ed io piacerò a questa tua des Menozas?

Sista              Sono sicura che le piacerai. E, come tutte le donne che hanno avuto la disgrazia di entrare in casa Altaspada, vivrà infelice e sconsolata. Que­sta è la legge scritta...

Napoleone    E io la rispetterò, per quanto mi riguarda, se non altro per mantenere inalterata la tradizione...

(Napoleone si inchinerà ed uscirà come è entrato, con il suo passo stanco e con sul viso un sorriso di soddisfatto cinismo).

Sista              Ditemi, Gaetano, vi aspettavate che mio figlio accogliesse con tanta indifferenza una così grande notizia?

Gaetano        C'è da aspettarsi tutto da don Napo­leone.

Sista              È uno stolto che teme la mia ragione.

Gaetano        Non la capisce, eccellenza, la sua ra­gione; o, per meglio dire, non la sente.

Sista              Napoleone ha paura di tutto ciò che è spiritualismo  incomodo.   Ho  messo  al   mondo  un figlio senza anima e senza ossa... Non mi ha mai confessato un suo sentimento, mi ha soltanto confessato, falsandoli, i suoi desideri... Io sono una ma­dre infelicissima, Gaetano...

Gaetano        Lei, eccellenza, è soltanto una donna coraggiosa, ed io l'ammiro...

Sista              Vi confesso che le vostre parole mi fanno bene... Soprattutto in questo momento. Se vi di­cessi che mi avrebbe fatto quasi piacere trovare in lui un velo di resistenza... E, invece, niente! Avete sentito? Ha detto subito di sì. Se almeno mia figlia Cecilia mi somigliasse. Ha un'anima modesta come quella di una schiava cristiana. Se fosse nata al tempo di Nerone, se la sarebbero mangiata subito i leoni del Colosseo.

Gaetano        Donna Cecilia è molto buona.

Sista              Ma è modesta! E Goethe ha detto: « Solo gli straccioni sono modesti ». Il nostro nome, la no­stra tradizione, la nostra storia familiare nascono dall'immodestia. E lei non lo vuol sapere! Ve lo ripeto, Gaetano, io sono una donna infelicissima. Ora basta. Vi prego di telegrafare subito a mio no­me al signor des Menozas: gli direte che io lo aspetto a Roma al più presto con la sua mostruosa sorella... Non voglio perdere tempo. La loro ricchez­za è una iniezione di cemento per questo nostro de­crepito palazzo.

(Sista si leva in piedi)

Io mi ritiro. Scrivetelo qui, il telegramma, e speditelo subito. (Avviandosi nel suo appartamento)

A domattina. Desidero conoscere l'ammontare esatto dei nostri debiti, delle nostre ipoteche e delle tasse non ancora pagate. Perché si deve pagare tutto! Si deve pagare tutto! Si deve pagare tutto!

Gaetano        Domani sarà tutto in ordine, come lei desidera.

(La principessa esce con il suo passo sicuro, il por­tamento fiero, ma con sul volto il segno dello scon­forto. Gaetano rimane solo, si avvicina alla scriva­nia. Ma non oserà sedere sul « trono » della padrona. Sposterà la poltrona, mettendo davanti alla scrivania una sedia. Si siederà e comincerà a scrivere il tele­gramma, dopo aver inforcato gli occhiali. Si udrà suonare l'orologio di un campanile lontano. Al suo­no del campanile si aprirà discretamente la porta di destra ed apparirà donna Cecilia Altaspada, seguita dal padre, il principe don Federico. Cecilia è una ragazza di ventitré anni, dall'aria fra­gile e gentilissima. È una creatura trasparente, lim­pida come la sua voce. Veste di nero, i capelli legati a treccia dietro la nuca. È molto graziosa, quasi bella. Appare timida nella sua innocenza. Ma è una innocenza robusta, di buona razza. Don Federico, principe Altaspada, è un uomo di ses­santa e più anni. I vestiti di taglio antico, quasi ottocentesco, gli cascano addosso. Trascina il passo, come se fosse stanchissimo. Una barbetta a punta gli allunga il viso. Ha sulle labbra un fermo sorriso ebete. Parla come un bambino. Perché è, ora­mai, un vecchissimo bambino. Cammina dietro Ce­cilia come un cane, obbediente e sottomesso. Sa appena di essere vivo. E non a tutte le ore del giorno. Donna Cecilia e don Federico entrano come in punta di piedi. Infatti Gaetano, che sta scri­vendo il telegramma, non avvertirà la loro presenza che alla voce di Cecilia).

Cecilia           Mi dispiace di disturbarla, signor Gaetano. Ma avevo proprio bisogno di parlare con lei.

(Gaetano si leva in piedi e va loro incontro, dopo essersi messo in tasca il foglio sul quale ha scritto il telegramma).

Gaetano        Sono qui per servirla, donna Cecilia. La principessa è rientrata poco fa nel suo apparta­mento.

Cecilia           Ma io volevo parlare con lei, soltanto con lei. e non con la mamma.

Don Federico          Ed anch'io signor Gaetano, le devo dire un sacco di cose che adesso non mi ri­cordo. Ma gliele devo dire per forza. Io mi scordo sempre tutte le cose importanti che devo dire.

Cecilia            Tu  adesso,   papà,   ti  metterai  buono buono a seder davanti alla finestra, mentre io parlo con il signor Gaetano.

Don Federico          Era proprio quello che volevo fare. Mi piace tanto sentir parlare gli altri. Il si­gnor Gaetano, le cose, le dice così bene... le dice diritte, in piedi. E poi il signor Gaetano mi vuol bene. È vero, signor Gaetano, che lei mi vuol bene?

Gaetano        Le voglio molto bene, eccellenza.

(Cecilia prende una sedia e accompagna il padre a sedere davanti alla finestra che guarda il pano­rama alto di Roma).

Don Federico           (sedendo)  Non sarà mica tor­nata a dormire, Sista? In questa casa dormiamo troppo. Solo Cecilia non dorme; Cecilia è sempre sveglia a pregare per noi peccatori. Si diverte tanto a dire le orazioni... Proprio si diverte tanto... Gli angioli le raccontano favole bellissime... alla mia piccola Cecilia...

Cecilia           Per favore, papà, ti prego di stare zitto.

Don Federico          Zitto e buono! Zitto e buono, come vuoi tu, figlia mia... Quante cupole, quante cupole ci sono a Romaccia nostra! Come se non fosse bastata la Cupola di San Pietro...

Cecilia           È da molto tempo che io desideravo parlare con lei.

Gaetano        Glielo ripeto, sono qui  per servirla, in tutto quanto posso fare.

Cecilia           Quando vedrà don Serafino?

Gaetano        Mi aspetta stasera o domani in par­rocchia.

Cecilia           Don Serafino le parlerà della mia deci­sione. Lei sa di che si tratta?

Gaetano        Immagino, purtroppo, di che si tratta.

Cecilia           No, signor Gaetano, lei immagina a modo suo di che si tratta, mentre don Serafino co­nosce il valore della mia decisione.

Gaetano        Lo conosco anche io il valore della sua decisione. Vede, donna Cecilia, io non la guar­do vivere in questa casa... io la sento vivere, da quando era una bambina piccola piccola... Lei forse non ha mai misurato il valore della tenerezza pa­terna che le porto... Al di là del rispetto che le devo, le posso dire solo questo: che se avessi avuto una figlia avrei voluto che somigliasse a lei... Io so bene da dove nasce e perché nasce questa deci­sione... È un peccato, donna Cecilia, che a lei non piaccia la vita vera... una famiglia, una casa, dei figli!

Cecilia           A me piace la vita che si deve credere vera. Soltanto per questo ho deciso di farmi monaca. A che servo io, oramai, in questa casa?

Gaetano        Lei serve a suo padre, che è un bam­bino vecchio; serve inconsciamente a suo fratello perché lei è la più forte di tutti. Lei è molto più forte di sua madre.

Cecilia           Ma io ho deciso e non c'è più nulla da fare. Desidero soltanto evitare una discussione con mia madre. Non ci siamo mai capite, noi due. Lei e don Serafino mi dovete aiutare a far com­prendere a mia madre questa mia volontà, la quale in fondo è come se non mi appartenesse e alla quale debbo obbedire... Debbo per forza obbedire, signor Gaetano!

Gaetano        Se don Serafino parlerà con la princi­pessa, non vedo quale aiuto le potrò dare io...

Cecilia           Un aiuto pratico, perché io voglio la mia dote da portare in convento.

Gaetano        E chi gliela dà, a sua madre, una dote degna di lei, donna Cecilia, in questo momento?

Cecilia           Si può vendere una parte dell'ultima tenuta che ci resta.

Gaetano        È una speranza assurda, la sua. Ma non lo sa che la tenuta è sovraccarica di ipoteche? La sua dote gliela potrà dare soltanto don Napo­leone, sposando la donna che ha scelto per lui la principessa.

Cecilia           Ma io penso di aver diritto a quello che mi appartiene e non potrei mai accettare il denaro di una estranea.

Gaetano        Lei si sbaglia, donna Cecilia. Sua ma­dre non venderebbe mai, anche se lo potesse, un metro quadrato della tenuta per farla entrare in convento. Le mie parole come le prediche di don Serafino non serviranno a niente. La principessa le dirà di entrare in convento, ma senza un cente­simo di dote. Io le consiglio di aspettare ancora qualche mese. Suo fratello si sposerà.

Cecilia            (con nella voce un tono di contenuta di-sperazione)  Io non voglio il denaro della moglie di mio fratello... Non gliela faccio più a vivere in questa casa... Non devo vivere più in questa casa!

Gaetano        La madre superiora del convento di Santa Maria sarà ben lieta di accoglierla anche sen­za dote. Il suo nome vale una dote...

Cecilia           Ed è appunto per il mio nome, per la mia dignità...

Gaetano         (sorridendo bonario)  Oh, piccola Ce­cilia, come in questo momento lei somiglia al nome che porta!

Cecilia           Oh, io non la capisco, signor Gaetano! E per carità non mi fraintenda e non mi giudichi né orgogliosa né egoista.

Gaetano        Io la giudico bene, perché la giudico nel  suo sentimento...  Le  posso rivolgere una cu­riosa domanda?

Cecilia           Naturalmente.

Gaetano        Lei, svegliandosi la mattina, come si guarda allo specchio?

Cecilia           Non lo so.

Gaetano         (avvicinandosi a Cecilia)  Ma lei lo deve sapere! Perché lei è la sola cosa giovane e bella che resiste viva in questo palazzo costruito sulle rovine del passato. Glielo dico io. Io sono il suo specchio! Perché io sono come una cosa di questo palazzo. Posso pur essere, se è necessario, uno specchio! Ecco... si guardi... si guardi dentro di me! I suoi capelli, le sue mani, il suo sorriso, la sua voce, il colore dei suoi occhi... sono una pian­ticella di rose, foglie e boccioli... ed è proprio un peccato tagliarle le radici, a questa pianticella, quan­do sta per arrivare la primavera... Glielo avrà pur detto qualcuno che lei è una graziosa creatura?

Cecilia           Me lo hanno detto, signor Gaetano... E una volta mi ha fatto persino piacere sentirmelo dire... Tre anni fa, una sera, in casa di mia cugina, durante l'ultimo ballo al quale ho assistito... Ho persino sperato di potermi innamorare... E poi...

Gaetano        E poi...

Cecilia           E poi una voce mi ha detto che la vera vita non è la vostra... Hanno ancora una voce mera­vigliosa, signor Gaetano, gli angeli che stanno tan­to lontano da noi...

(Alle ultime parole di Cecilia, don Federico si muo­verà voltandosi).

Don Federico          Sono angeli del Bernini, signor Gaetano, quelli che parlano a Cecilia... Angeli di pietra, come quelli che stanno sul ponte di Castel Sant'Angelo... Roma è piena di angeli! Un eser­cito di angeli... La notte spiccano il volo dai cam­panili, dai ponti, dai cornicioni delle basiliche e vanno a raccontare le favole alle poche persone per bene che sono rimaste a Roma... Anche io volevo essere un angelo in cima ad una chiesa e, invece, sono un principe romano goloso, fannullone e buo­no a nulla...

(Gaetano e Cecilia non daranno ascolto alle pa­role del principe che tornerà a guardare il pano­rama dalla finestra).

Gaetano        Le prometto che cercherò di aiutarla. Stasera parlerò con don Serafino. Vedremo quello che si può fare, quello che posso fare.

Cecilia           La ringrazio, lei è un caro amico...

Gaetano        Alla principessa, almeno per ora, don Serafino non dovrà dire nulla. (Gaetano stringerà la mano a Cecilia e si avvici­nerà al principe il quale si leverà in piedi).

Don Federico          Ho sentito tutto. Cecilia mi vuol lasciare solo... Ma io sono contento perché lei è contenta di entrare in convento... Andrò a trovarla tutti i giorni... Me lo ha promesso... Lei si diver­tirà moltissimo a fare la monaca... perché qui ci si annoia con la prepotenza di Sista e con le cattive azioni di Napoleone. Perché Cecilia è buona e Napoleone lo sa, lei, chi è?

Gaetano        Non lo sappiamo né io né lei, chi è don Napoleone.

Don Federico          E, invece, io lo so! Lo so benissimo.  Gli voglio bene lo stesso, ma lo so benissimo. E mi vergogno di dirlo.

Gaetano        Arrivederla, eccellenza.

Don Federico            Arrivederla, e non si dimentichi le cose che devo dirle... Non se le dimentichi!

Gaetano         (uscendo)  Non  dubiti:   non  me  le dimentico...

Don Federico          Questo bravo Gaetano ci vuol proprio bene... Ma perché ci vuol bene? Oggi a colazione vorrei un pasticcio di maccheroni, con la pasta frolla e una torta di mele dolci dolci dolci... Se tu sapessi, Cecilia, quanto mi piace lo zucchero! Prima non lo potevo soffrire... Te lo voglio confes­sare: ieri mi sono riempito la saccoccia di tutti i pezzetti di zucchero che erano nella zuccheriera del salotto giallo e stanotte me li sono mangiati... Se lo sapesse Sista non la finirebbe più col dirmi che sono un vecchio goloso e rimbambito... Ma Sista non lo saprà mai, perché tu non glielo dirai. È vero che non glielo dirai?

Cecilia           Sì, papa, non glielo dirò. Ma glielo dirà Tullio e sarà la stessa cosa.

Don Federico          Quanto mi è antipatico Tullio! È da quarant'anni che mi è antipatico. Perché è un ipocrita, ladro. Lo dice sempre pure il cuoco... Lo sai che Tullio è ricco e che impresta i soldi co­me uno strozzino alle donnette del mercato di Cam­po di Fiori? Li impresta persino a Napoleone, ma almeno quello non glieli restituirà mai. Nemmeno se lo vede morire... Napoleone lo frega... Napo­leone frega tutti!

Cecilia           Non dire parolacce, papà.

Don Federico          Hai ragione, Cecilia. Scusami. Ma io, qualche parolaccia, durante il giorno, non posso fare a meno di dirla... Sanno di zucchero, certe parolacce! e mi piace dirle... Lo so che è un peccato; ma mi piace succhiarle, le parolacce roma­nesche... scioglierle in bocca... due, tre, quattro pa­rolacce al giorno... mi fanno bene alla salute!

Cecilia           Basta, papà, non dire altre scemenze...

Don Federico          Basta! Hai ragione... Parla sem­pre tu! Io non devo parlare... non mi far parlare... Tra poco, intanto, uscirà Sista... E se ci trova qui che le dirai?

Cecilia           Vieni, papà! Andiamo ad aspettar mammà in sala da pranzo...

(Cecilia e don Federico si avviano verso la porta di destra).

Don Federico          Speriamo che a colazione non ci sia Napoleone... e che seguiti a dormire... Più dorme, quello lì, meglio è.

(Padre e figlia escono).


ATTO SECONDO

La medesima scena. È notte. La stanza è in pe-nombra. Illuminato il ritratto del Pontefice Sisto. Dalla grande finestra che guarda il panorama di Roma entra il chiarore della luna. Si apre lentamente la porta di destra ed entra, con aria furtiva, in punta di piedi, Napoleone. Tra­versa correndo agile come un ballerino la scena e va ad origliare alla porta dell'appartamento di Sista. Si guarda attorno, proprio come un ladro. Trae dalla tasca un mazzo di chiavi, si avvicina alla scrivania della madre e si china ad aprire un cas­setto. Si ferma per un attimo, come sentendo un rumore sospetto; e poi ricomincia a manovrare, pro­vando e riprovando con le chiavi. La scena si illumina di colpo. Cecilia è apparsa improvvisamente sulla soglia della porta di destra. Napoleone d'un balzo si allontana dalla scrivania, mettendosi in tasca le chiavi. I due fratelli si scru­tano. Napoleone sorride furbo a Cecilia, ma questa seguita a fissarlo, il volto fermo.

 

Napoleone     (ridendo)  Volevo fare uno scherzo a mammà... Avevo proprio bisogno di farle uno scherzo... Smettila di guardarmi così, Cecilia! Dopo tutto non facevo niente di male...

Cecilia           Tu non fai nulla di male. Tu non hai mai fatto nulla...

Napoleone    Oh, sorellina, come potremmo an­dare d'accordo noi due, se tu non fossi così maledettamente seria! Tu sei... come dire? drammatica... (Ridendo convulso)  Ma perché la pigli tanto sul se­rio questa vita buffa? Lo sai che stai diventando brutta? Sì, brutta! Stai diventando una racchia! Lo sai? E sei ancora una ragazzina!

Cecilia             Lo so che sto diventando brutta e mi fa piacere diventarlo. Ma tu sei un ladro!

Napoleone     (c. s.) Così mi piaci, dici proprio la verità! Io sono un ladro! Sarei capace, forse, di fare qualunque mascalzonata pur di avere i quat­trini, tanti quattrini in saccoccia! (Le si avvicina ri­dendo nervoso)  Perché non ti metti a gridare? So a memoria quello che mi vorresti dire! E fossi sol­tanto un ladro, sorellina! Sono anche uno sporcac­cione... pieno di vizio... Perché mi piace la vita... e tutte le cose importanti, solenni, mi fanno ridere.

Cecilia           Quanto denaro ti serve stasera?

Napoleone    Poco. Se me lo vuoi dare tu, me ne serve pochissimo. Tanto quanto basta per pa­gare la cena ed una lurida gentildonna e per una buona bottiglia di whisky.

Cecilia           Ti darò io quello che ti serve...

Napoleone    Così mi piaci. Vuoi uscire con me, stanotte? Ti porto con me! Andiamo da Ector! Una fogna di locale che va di moda! Fatti elegante, scio­gliti la treccia, andiamo a divertirci assieme... Tu hai bisogno di rumore! Proprio così! Hai bisogno di rumore! Lo sai che mammà ha trovato per me una moglie ricca? Mi vende nudo, a peso, come un vitellone... per pagare i buffi... le ipoteche... per dare una bella verniciata di fresco al palazzo... Ci rimetteremo in piedi... Vi rimetterete in piedi e tutti per opera di questo tuo simpatico fratellino...

Cecilia           Non ci rimetteremo mai più in piedi. Napoleone.

Napoleone    Come vuoi tu! Resteremo sdraiati per terra, ma con i soldi di mia moglie... È quello che vuole mammà, sua eccellenza la principessa! Con i soldi di mia moglie, mammà ripiglia il suo posto nella storia... (Seguitando a ridere)  Che buf-fonata! Che ne sappiamo più della storia, noi? del­la nostra storia? Come facciamo a rientrarci dentro, nella storia, se ci hanno cacciato via a pedate nel sedere? Lei dice che la classe sociale, il grande no­me, questo palazzo ci danno diritto ad essere vene­rati dalla plebe e dalla borghesia... Lei dice così! E plebe e borghesia non ci vedono per niente... Siamo come le rovine del Foro romano... ci vanno la notte a far l'amore i forestieri e a far pipì i cani randagi... (Sempre ridendo) Dimmi tu come fa a rientrare nella storia tua cugina Margherita. Lo sai che Margherita ha per amante un negro dell'orchestra che suona da Ector? Un negro di bronzo, alto come un gigante! Pigliano la cocaina assieme! Lo sai che Lulù, il figlio di zio Ernesto, è un invertito? Si fa mantenere da quel produttore cinema­tografico che ha affittato la villa alla marchesa Ersilia al Gianicolo... Lulù, il polacco e i loro seguaci si vestono da antichi romani, le unghie dei piedi tinte di porporina! Che buffonata! Mammà vuole scavare dal Palatino i cocci della tradizione... della nostra tradizione... Io me ne infischio! Certo è che la vita sul serio non la prenderò mai! Mi hai ca­pito, sorellina? Ti stai mangiando viva la giovinez­za... E mi dispiace... Ecco perché vorrei portarti con me stasera, da Ector...

Cecilia           Io me ne andrò da questa casa, Napo­leone...

Napoleone    Andrai in convento? Ti farai mo­naca? Lo so! Come dice Amleto ad Ofelia? Le dice così (Ridendo nervoso) « Vattene in un convento; perché vorresti essere generatrice di peccatori? ». Anch'io, sorellina, come quel pazzo di Amleto, « po­trei accusarmi di tali cose che sarebbe meglio che mia madre non mi avesse partorito ». Dice così, se non sbaglio: «Che ci sta a fare la gente come me a strisciare tra il cielo e la terra? Noi siamo tutti furfanti matricolati... ». Vuoi andare per la tua strada in un convento... Povera stupida! Dio t'ha dato una faccia e tu te ne vuoi fare un'altra... Povera stupida!

Cecilia           Non sono una stupida, Napoleone...

Napoleone    Sei una ragazza per bene... Ecco quello che sei tu! Sei avvelenata di sciocca inno­cenza... ammalata di purezza mistica, come mammà è ammalata di snobismo storico. Siamo tutti malati fradici in questa casa, chi più chi meno! Ti ci vor­rebbe un amante, prima che un marito... e non mi vergogno di consigliartelo!

Cecilia           Ma di che ti vergogni, tu?

Napoleone    Di una sola cosa. Che non sarò mai capace di guarire te, sorellina, dalla mania che ti corrode... Siamo tutti malati in questa casa, chi più chi meno... Per guarire, forse, dovremmo an­dare ad abitare in una casa moderna con le scale di vetro e le pareti sottili come fogli di carta proto­collo... Queste mura ci fregano! Ed ora dammi que­sti soldi... Te li restituirò tra un mese...

(Dalla porta di destra entra la principessa Sista, seguita da don Federico e da Tullio).

Sista              Più tardi reciteremo il rosario. Tullio, vi prego di avvertire quel volgare miscredente del cuo­co, che si è permesso ieri di litigare con il portiere e di bestemmiare nel cortile, che stasera gli con­cedo l'onore di prender parte alla nostra preghiera. Tu, Napoleone, sei pregato di andartene subito... La tua presenza è superflua... Che state facendo in questa stanza?

Cecilia           Si stava chiacchierando...

Sista              Le vostre chiacchiere preferisco si svolgano nel salotto giallo... Soprattutto le chiacchiere tue, Napoleone! Oggi mi sono recata con don Sera­fino a San Pietro e poi a fare una passeggiata al Gianicolo. Prima di rientrare a palazzo quello scon­sigliato dell'autista ha avuto la cattiva idea di far­mi vedere i quartieri nuovi che stanno saltando fuori oltre San Paolo... L'orgia... la sarabanda del cattivo gusto si sono scatenate a Roma, miei cari! Case come reclusori, scatole di prodotti farmaceu­tici alte come grattacieli... una sbornia di tinte bianche, di finestracce allineate in ordinata e geo­metrica volgarità... Questi rinnovatori sono dei mi­serabili somari! Andranno tutti all'inferno per i loro mostruosi delitti in cemento armato.

(Sista va a sedersi nel suo trono, davanti alla scrivania. Pas­sando davanti al ritratto del pontefice si inchinerà)

Tu, Cecilia e tu, Federico, ed anche voi, Tullio... siete nel diritto di conoscere la buona novella che riguarda don Napoleone... il quale tra un mese e mezzo cambierà finalmente... finalmente... come dire? stile di vita... Napoleone si sposa! Questa è la buona notizia... La futura principessa Altaspada è di origine spagnola: si chiama des Menozas... Ho detto tutto... Vi invito a rallegrarvi.

Don Federico         E quella povera disgraziata di ragazza sa quello che l'aspetta, sposando Napoleone?

Sista              Non lo sa, grazie a Dio... E non saremo noi a dirglielo!

Don Federico          Glielo farà vedere lui... ho capito!

Sista              Tu non hai capito nulla, come al solito, Federico...

Napoleone    Ma papà scherza! papà vuol scher­zare... Io sarò un marito delizioso, è vero, Cecilia?

Cecilia           Certamente, se così mammà ha deciso.

Don Federico          Potrò essere felice anch'io, con il matrimonio di Napoleone? Come sarà la mia felicità?

Sista              Torneremo finalmente ad essere sicuri di noi stessi e della nostra posizione sociale... Vi ordino di essere felici!

Don Federico          Ma come faccio ad obbedire ad un ordine simile, Sista? Dammi il permesso di dire una stupidaggine, una sola! Io penso che questo matrimonio durerà pochissimo e che resteremo in questa casa noi due soli, perché Cecilia se ne vuole andare in convento...

Sista              Cecilia farà quello che più le piace di fare. Se io sono la depositaria del nome, Napoleone è l'erede del nome... Nonostante la sua bassa sta­tura morale...

Napoleone    Ti avevo pregato, mammà, di non aprire una discussione su questo argomento.

Sista              Non ho nessuna intenzione di aprire una discussione su una decisione presa. Ho voluto semplicemente annunciare a voi la notizia in forma ufficiale... Avrei mancato di riguardo a me stessa, se non lo avessi fatto... Ora basta! Voi, Tullio, po­tete andare: vi chiamerò per la recita del rosario...

(Tullio esce, dopo essersi inchinato davanti a Sista).

Napoleone    Con il tuo permesso, me ne andrei anch'io.

Sista              Infatti, è suonata la tua ora... Come ai topi, ai bacarozzi e agli uccelli rapaci, solo la notte ti appartiene...

Cecilia           Scendo nella mia stanza a prendere il libro delle preghiere, mammà...

Napoleone    Ti accompagno, sorellina... Buona notte.

(Né Sista né don Federico rispondono al saluto del figlio. Sista apre il cassetto della scrivania e trae un fascio di carte).

Sista               (come tra sé) - Ecco i conti... gli spietati elenchi di cifre che mi ha lasciato il signor Gaetano...  Non avrei mai creduto che per mantenere appena in luce questa poca dignità si dovesse spendere tanto denaro... Costiamo carissimi... co­stiamo carissimi...

Don Federico          Anch'io costo caro?

Sista               (distrattamente, seguitando a leggere)  Sì anche tu, Federico, costi caro e non vali più niente.

Don Federico           Io mi arrabbio, Sista mia, a non valere più niente! Ma proprio non gliela faccio... Ti dovevi scegliere un altro marito... Abbiamo sba­gliato a mettere al mondo questi due figli... Oh, Cecilia, no! Cecilia, te lo dico io, vale molto... Quando io parlo con Cecilia, è come se guardassi il cielo di una bella mattinata... le sue parolette come rondini, o meglio, come i fiori di mandorlo che stanno a villa Corsini... Tu devi voler bene a Cecilia e la devi aiutare... Tutti dobbiamo voler bene a Cecilia... Lo sai che Cecilia vuol diventare santa?

Sista               (non ascolta il marito, tutta presa dalla let­tura delle carte)  Costiamo carissimi... Tra due mesi scade la prima ipoteca della tenuta... Nume­ri... Cifre... numeri come condanne!

Don Federico          Nella nostra famiglia... io lo so... ci sono stati un mucchio di cardinali... guer­rieri feroci... figlie di imperatori e di re... e avevamo centinaia di castelli, di torri, rifugi... Mezza Roma era nostra... Abbiamo avuto un papa... eccolo lì... tutta la faccia di mio padre buonanima. Ma io lo so... una santa non ce l'abbiamo avuta... una santa non c'era... E Cecilia vuol essere santa! E noi dob­biamo farla diventare santa... Hai sentito, Sista?

Sista               (c. s.)  Tasse... tasse arretrate... e da pa­gare presto... da pagare subito... È proprio un ma­ligno inventario della situazione, che mi ha dato Gaetano...

Don Federico          Hai sentito, Sista? Perché non mi ascolti? Una santa ci sta benissimo in famiglia con l'aria che tira oggi a Roma piena di mascal­zoni... Figuriamoci la soddisfazione di noi due! An­dremo dal Santo Padre e gli diremo: « Santità, noi siamo i genitori di santa Cecilia Altaspada! ». Hai sentito, Sista?

Sista              Sì, ho sentito... O, per meglio dire, ho saputo che vai riempiendoti le tasche di zucchero.

Don  Federico         Che c'entra  lo zucchero con quello che ti sto dicendo? Dello zucchero te lo ha etto Tullio... non è vero... Lo zucchero lo mangio soltanto quando ho sete... Oh, mi piaceva tanto il vino... E tu mi hai proibito di berlo... Mi hai proi­bito di andare al circolo perché tutti mi prendono in giro... Da quanti anni, che mi prendono in giro, Sista?

Sista              Da quindici, perlomeno... Ma tra un paio di mesi, se Dio lo vorrà, non ti prenderà più in giro nessuno...

Don Federico          Subito dopo il matrimonio di don Napoleone?

Sista               (alzando il capo e guardando nel vuoto, tra sé)  Subito dopo il matrimonio... Apriremo di nuovo i saloni... dieci... venti servi in livrea az­zurra e rossa... con le parrucche bianche... invite­remo cardinali e ambasciatori... Due altissimi servi con i candelabri accesi accompagneranno per le scale i principi di Santa Romana Chiesa... Ritorne­remo ad essere come nella leggenda, figli della pantera... discendenti di Marcotoro Altaspada, ge­nerato da una dea, il quale fu allevato da una pan­tera... così come Romolo fu allevato da una lupa... (China di nuovo il capo a leggere) Quattro milioni ottocentomila seicento ventisette... trecentomila no­vecento ventidue... È un assedio di debiti... Che Iddio li maledica!

(Dalla porta di destra rientra Cecilia con in mano il piccolo libro di preghiere. Don Federico le va incontro. La principessa seguita a leggere nelle carte; prende appunti e non ascolterà il dialogo che si svolgerà tra don Federico e la figlia).

Don Federico          Lasciamo lavorare in pace Sista. Sta facendo i conti della nostra rovina... È un macello... un disastro! Lo sai, Cecilia mia. che siamo diventati poverissimi nonostante tutte queste cose splendide e vecchie?... Mica possiamo mangiare la storia o la bellezza... una torta di affreschi... una pizza di arazzo fiammingo... La bellezza non si cuoce... E la storia scappa... è come una lepre... Sista perde tempo a correrle appresso, alla storia!

(Don Federico prende per mano la figlia, la quale si lascia guidare dal padre fino al limite estremo ed avanzato della ribalta. Indi con aria di mistero)

Lo sai che oggi sono uscito da solo? Non lo dire a nessuno, per carità. E lo sai dove sono andato? Non lo dire a nessuno... in Trastevere, nella chiesa della santa che porta il tuo nome: santa Cecilia! Anche lei, come te, vedeva gli angeli.

Cecilia           Ma io non li vedo mai gli angeli, papà.

Don Federico          Non è vero! Tu non me lo vuoi dire... perché non ti fidi di me... Ma tu, gli angeli, li vedi... come li vedeva santa Cecilia... Se non vengono a trovare te, gli angeli, da chi vanno a Roma? Santa Cecilia adesso dorme, a Trastevere! Oh, quanto è bella! Il sagrestano me l'ha fatta ve­dere che dormiva, sdraiata come l'ha deposta Maderno sul marmo... « Vagheggia in fiore l'eterna giovinezza di Cecilia... quasi coeli lilia »... diceva il latino del sagrestano... Anche lei, come te, era di stirpe patrizia...

Cecilia           Sì, papà... E lei, gli angeli, li vedeva per davvero... Diceva: « Io ho meco l'angelo di Dio ».

Don Federico          Perché le fecero tanto male, a santa Cecilia? È vero che il suo martirio durò tre giorni e che la fecero penare come Cristo sulla Croce?

Cecilia           Perché vedeva gli angeli del Signore... E la leggenda dice: « Fu nata di gentile ischi atta nella città di Roma... ». Gli angeli, di notte, le portavano ghirlande di rose... Essa diceva a se stessa: « La vita di questo mondo è piena di dolore e di angoscia, di povertà e di superbia: e dopo tutti questi mali viene la morte, la quale pone fine a tutte le mondane allegrezze... Meglio è morire che vivere vergognosamente... ».

Don Federico          Perché le fecero tanto male, a santa Cecilia?

Cecilia           ... il prefetto dell'imperatore Marco Aurelio le domandò: «Di che condizione sei tu?». E Cecilia gli rispose: « Io sono gentilmente nata se­condo el secolo, e sono cristiana e serva di Cristo ».

Don Federico          Il sagrestano mi ha detto che era una creatura molto superba.

Cecilia           Non c'è niente di più superbo della bontà... Quando, dopo tanti anni, Papa Pasquale I scoprì la sua tomba nel cimitero di san Callisto sulla via Appia, santa Cecilia dormiva intatta nella morte, ancora splendente di grazia... Dormiva viva nella morte...

Don Federico           Dormiva come la fa dormire Maderno nel marmo della chiesa di Trastevere?

Cecilia           Sì, papà...

Don Federico          ... come non dormirò certamente io, da morto. E come non dormiranno Sista e Na­poleone che non hanno mai visto un angelo, nem­meno  in  sogno...  Io  mi  sono sempre domandato perché Nostro Signore non li manda più in giro gli angeli che ha lassù, a sua disposizione...

Cecilia           Anch'io me io sono domandato, papà... Forse gli angeli hanno paura di noi...

Don  Federico          Altro che paura, figlia mia! Avranno schifo di noi... Se ne guardano bene di scendere quaggiù, sia pure per una breve volatina... Non gli si può dar torto... S'io fossi un angelo, me ne resterei accucciato in eterno tra le nuvole, a mangiar zucchero...

Sista               (alzando il capo dalla lettura dei conti) Si è fatto troppo tardi per recitare il rosario, Ce­cilia... La lettura di queste carte mi ha messo di pessimo umore... Non ho l'animo per pregare, stasera... Prega tu per me, Cecilia...

Cecilia           Come vuoi, mammà...

Sista              Don Serafino mi ha parlato oggi della tua decisione... La tua richiesta è, per il momento, assurda... Non ti posso dire di più... Se quelle buo­ne e dolci monache di Santa Maria ti vogliono con loro... dovranno contentarsi del tuo nome... soltanto del tuo nome, almeno per ora...

Don Federico           Perché non ci vendiamo cinque o sei quadri della galleria a qualche nobile fasullo che abita ai Parioli?

Sista              La tua stupidaggine, Federico, in questo momento ha avuto un lampo di imbecillità! Non sarai stata tu, Cecilia, a suggerire una così volgare proposta a tuo padre?

Cecilia           No, mammà, non sono stata io...

Sista              Tanto meglio... Allora, buona notte... Io mi ritiro... Vi avverto che ho dato ordine al portiere di svegliarmi al ritorno di Napoleone. Se anche sta­notte tornerà ubriaco, ho deciso di farlo dormire in cantina.

Don Federico          È proprio una bellissima idea... Mi piace!

(Sista si leverà in piedi e si avvierà nel suo appartamento. Si fermerà davanti al ritratto di Papa Sisto e si farà il segno della Croce. Cecilia e don Federico rimangono vicini, in silenzio)

Che ne diresti, Cecilia, s'io mi facessi frate? Ho tanta voglia di andare in paradiso... perché sono vecchio... tanto vecchio...

La scena resta al buio.

Mattina. La medesima scena. È passato un mese e mezzo. Sista è sola; passeggia inquieta per la stanza, con sul volto i segni di una grave preoccu­pazione, a passi larghi. Appare il maggiordomo Tullio, dalla porta di destra, con aria smarrita.

Sista              E allora?

Tullio            E allora niente, eccellenza!

Sista              E il signor Gaetano?

Tullio            Sarà qui a momenti, ma anche lui ha telefonato cinque minuti fa e mi ha detto che non ha saputo nulla!

Sista              Non si sarà mica recato alla polizia?

Tullio            Non lo credo, eccellenza.

Sista              Insomma, Roma è diventata una jungla? Vivo o morto, prima delle cinque del pomeriggio io rivoglio mio figlio! Quante ore sono passate, da quando è uscito?

Tullio            Quarantotto, eccellenza... Era come sempre di buon umore... Ha voluto... come dire? che io gli imprestassi un po' di denaro... Mi ha detto ridendo: « Dammi un po' di " grana ", fre­scone »...

Sista              E voi lo avete accontentato?

Tullio            Purtroppo, eccellenza... Non ho saputo, come al solito, resistere...

Sista              E avete fatto male! Dovevate resistere! Non gli dovevate dare una lira...

Tullio            Sarebbe uscito lo stesso. E i denari, don Napoleone, li trova sempre...

Sista              Avete telefonato anche in casa di quella cosiddetta diva?

Tullio            Naturalmente che le ho telefonato... Mi ha risposto la cameriera, la quale, con rispetto parlando, mi ha mandato graziosamente a morire ammazzato... Dopo un'ora mi sono rifatto coraggio ed ho ritelefonato, nonostante la cattiva accoglienza precedente... La seconda volta mi ha risposto la diva... con una voce languida d'oltretomba... per­ché stava a dormire... e mi ha detto che don Napo­leone è un matto con il quale lei non vuole più perdere tempo, sennò le rovina la camera... la glo­ria... Non lo vede, grazie a Dio, da una settimana, e non vuol più sentire parlare di lui... pur volen­dogli bene... tanto bene!... Ha detto proprio così!

Sista              Il fango e il lezzo della suburra arrivano fin dentro questa casa! Nelle vostre risposte vi or­dino di evitare i particolari disgustosi!

Tullio            Come vuole, eccellenza... La prego di scusarmi.

Sista              Ad ogni modo di avverto che se alle cin­que non mi riportate a palazzo don Napoleone... vi caccio via tutti... dal portiere al cuoco! Spran­gherò il portone e resterò finalmente sola! Via tutti.

Tullio            Come vuole, eccellenza.

Sista              Chiamatemi donna Cecilia!

Tullio            È uscita ch'era quasi l'alba. È andata a trovare la Madre Superiora...

Sista              Telefonatele al convento e ditele di rien­trare subito! E il principe?

Tullio            Il principe piange nella sua stanza.

Sista              Lasciatelo piangere. Gli farà bene.

Tullio            Come vuole, eccellenza.

Sista              Anche voi siete per me un essere inutile. In quarant'anni che state al mio servizio, non ho mai avuto da voi un segno di elementare iniziativa. Compiango vostra moglie...

Tullio            Bene, eccellenza...

Sista              Eppure voi conoscete quasi tutti i nomi di quei gaglioffi che mio figlio frequenta... Avete telefonato proprio a tutti?

Tullio            A tutti, eccellenza! Bar, case di appun­tamento, alberghi, circolo, garage, pensioni... Ho persino telefonato ad una certa marchesa per modo di dire che si chiama Elvira... la quale abita ai Parioli e affitta... come si dice oggi... noleggia fan­ciulle di buona famiglia... Non lo avessi mai fatto! Anche la cosiddetta marchesa deve avere denaro da don Napoleone...

Sista               (esasperata)  Levatevi dai piedi!

(Tullio esce inchinandosi. Sista riprende a passeggiare in­quietissima su e giù per la stanza. Si fermerà poi davanti al ritratto di Papa Sisto)

Vi prego di perdonarmi, Santità... Non ho avuto nemmeno il tempo di salutarvi, stamattina... Ma voi avete capito tutto! Avete capito che sto vivendo ore infernali... Lo sapete che alle cinque arrivano in volo a Roma i due des Menozas, fratello e sorella? e alle sei sa­ranno qui a palazzo? Il signor des Menozas con la fidanzata... la futura principessa... Quell'incosciente di Napoleone è scomparso... Se scoppia uno scandalo oggi, il matrimonio va a monte! Sto vivendo ore infernali... E sono circondata da una mandra di pusillanimi...

(Sulla soglia della porta di destra ap­pare l'amministratore Gaetano. I due si guarderan­no per un momento in silenzio. Sista con aria piena di ansiosa curiosità)

Nulla?

Gaetano        Nulla. Non resta che denunciare la scomparsa alla polizia!

Sista              Voi siete un pazzo! Così la polizia divul­gherà la notizia e i giornali ci faranno naufragare nel ridicolo... Perché sono certa che a Napoleone non è accaduto nulla di drammatico... A quello lì non accade mai nulla di grave... Lui è vivo... ubria­co, ma vivo... Dio solo sa dove e in quale com­pagnia!

Gaetano        E sono costretto, eccellenza, a darle una seconda e intempestiva notizia...

Sista              E ditela! Che state ad aspettare?

Gaetano        I des Menozas stanno per arrivare da un momento all'altro all'aeroporto di Ciampino con un anticipo di alcune ore sull'orario... L'ho saputo un'ora fa!

Sista               (riprendendo a passeggiare per la stanza) Fuoco alle spalle... mitraglia e colpi di colubrina a lunga portata... E va bene! E va bene! Ma io... io... i des Menozas non li riceverò subito! Aspetteranno in albergo la mia chiamata!

Gaetano        Ed è soltanto per questa maledetta urgenza che io ritengo necessaria la immediata de­nuncia alla polizia...

Sista              E che cosa può fare la polizia in poche ore? Napoleone non è un pregiudicato, è soltanto uno scapestrato...  Non  potrà mica la polizia fare una retata di tutti gli incoscienti che abitano a Roma? Dovrebbe mobilitare un intero corpo di ar­mata per acchiapparli tutti!

Gaetano        Io insisto, eccellenza, sulla polizia...

Sista               (fuori di sé)  E andate pure dalla polizia! Ma andate almeno dal capo della polizia e non da un minuscolo commissario... e annunciategli che si tratta di mio figlio... del figlio della principessa Altaspada... del duca di Abate... marchese di Sofonisba... principe del Sacro Romano Impero... Fate­gli ben capire che le ricerche si devono svolgere nella più misurata discrezione... Uno scandalo, in questo momento, per la mia casata... voi capite! a polizia, sia pure democratica, deve rispettare il nostro nome. Il nostro nome è un monumento... come se fosse in pericolo la colonna Traiana... l'Arco di Costantino... Glielo dovete far capire per forza!

(Entra il maggiordomo Tullio con passo svelto, quasi in affanno).

Tullio            Eccellenza, signor Gaetano... è arrivato il signor des Menozas... Sta già al Grand Hotel... È al telefono... Vuol parlare con la principessa!

Sista              La battaglia infuria... Si ripete con me la storia di Caterina Sforza... Sola... sulla cima della torre della roccaforte assediata... Andate a rispon­dere a questo selvaggio miliardario... e fategli su­bito intendere che la principessa Sista detesta il telefono... dichiarategli che è lieta del loro arrivo... e che li riceverà a palazzo alle ore sei... Voglia Id­dio che alle sei Napoleone sia uscito fuori dalla pa­lude dentro la quale è andato a impantanarsi... In questo momento... più che la provvidenza occorre un pizzico di fortuna... Senza un po' di fortuna, le guerre si sono sempre perdute... Questa verità credo di averla letta in un libro di quella bella canaglia di Machiavelli... Andate Gaetano... mi fido di voi solo...

(Gaetano esce. Sista, sfinita, va a sedere sul suo trono. Si nasconde il viso tra le mani e rimane immota, come se dormisse. Pausa lunga. Appare Cecilia sulla soglia della porta di destra. La madre non avverte la sua presenza. Cecilia si avvicina alla madre, come in punta di piedi. La principessa all'avvicinarsi della figlia solleverà finalmente il viso. Per un momento le due donne si guarderanno senza parlare).

Cecilia            (con tono di voce calmissimo)  Mamma, Napoleone è ritornato...

Sista               (ritornando padrona di se stessa, e piena di autorità)  Dove sta quel buffone? Lo voglio su­bito vedere!

Cecilia           È nella mia stanza... Ma ti consiglio di non vederlo...

Sista              E perché? che cosa gli è accaduto?

Cecilia           Non gli è accaduto nulla di grave... Credo abbia avuto una brutta avventura...

Sista              È ubriaco, come al solito?

Cecilia           Sì, mamma...  È molto ubriaco... Ed ha un viso irriconoscibile... Credo abbia fatto a pugni...

Sista               (con rabbia contenuta)  Vuoi dire che gli hanno cambiato il viso a forza di botte? e proprio oggi! Al momento in cui lo devo presentare alla sua fidanzata? Si chiami subito un dottore, un chi­rurgo, uno specialista di chirurgia estetica!

Cecilia           Ha un occhio nero, di carbone... le labbra tumefatte... e un braccio mezzo slogato... Ho già fatto chiamare il dottore... Fra un paio di giorni sarà presentabile...

Sista              Ma ti rendi conto di quello che stai di­cendo? Ma sai che i des Menozas saranno qui tra poche ore?

Cecilia           Lo so benissimo... Ma non c'è niente da fare...

Sista              Diremo loro che ha avuto un incidente d'automobile... che è andato a sbattere contro un muro...

Cecilia           No, mamma, te lo ripeto: Napoleone e molto ubriaco... È rientrato passando per la porta di servizio del cortile, dalla parte del vicolo... È entrato nella mia stanza barcollando... È cascato sul mio letto come uno straccio... parla come un matto... Ai des Menozas dovremo dire che Napo­leone è ammalato... I des Menozas non capiranno e questa stupida faccenda avrà lo stesso il lieto fine stabilito...

Sista              Ti proibisco, Cecilia, di considerare stu­pida questa mia decisione, da cui dipende la sal­vezza materiale della nostra famiglia...

Cecilia            (con incertezza, dopo una pausa)  Mam­ma...  tu dovresti vendere quello che ci rimane e ritirarti in un appartamento... Stai facendo la guer­ra ai mulini a vento... Sei troppo vecchia per rico­minciare da capo... quel poverino di papà sta nelle nuvole... Napoleone è inguaribile...

Sista               (c. s.) E tu? E tu che sei? che sei tu?

Cecilia           Io sono nulla, mamma...

Sista              Non è vero! Te lo dico io, chi sei tu! Tu sei una piccola vigliacca che ha paura!

Cecilia           Hai ragione, mamma... Io, infatti, ho tanta paura della vostra vita...

Sista              ... E ti vuoi conquistare il paradiso con l'egoismo di  una  bontà che è soltanto tua... che non serve a niente agli altri! Troppo comoda, la scelta! Vuoi essere buona soltanto per te stessa, tra­dendo il nome che hai, abdicando come una ba­starda!

Cecilia           Siamo  tutti  bastardi, oggi,  mamma... Non c'è più palcoscenico per recitare in versi la tua commedia!

Sista               (con disperazione contenuta)  E queste mura... queste mura... questa certezza del passato che sta fermo... abbracciato... stretto al nostro no­me? Io lo sento vivo, e tu lo senti morto! Marmi, quadri, cose... come se fossero di carne... sangue del tempo... sangue sempre caldo... nella pietra... nella nostra pietra... Io lo sento vivo, e tu lo senti morto! Ma queste mura sono più vive della tua bontà... più vive e vere di Napoleone... più vive di tuo padre! Le cose, e non voi, sono nate da me! Ed io queste cose non le abbandonerò alla rovina. La morte per me non esiste. Ecco la mia razza... la mia fede! Io non credo alla viltà del futuro...

Cecilia           Ma dovrai pur credere alla viltà del presente!

Sista              E me ne servirò, infatti, di questa viltà... a dispetto della tua incomprensione... della tua modestia... della tua paura... Vattene pure in un convento! Tu non mi servi, Cecilia! Mi serve Na­poleone, anche ubriaco! Lui sì, che mi serve! Tu e tuo padre siete due quadri falsi, da nascondere in soffitta e non da esporre nella galleria... Vattene pure in un convento!

Cecilia           Infatti ho deciso di andarmene domani. Ma ho una sola pena, quella che mi ispira papà...

Sista              Papà starà benissimo anche senza le tue favole... Seguiterà a rubare lo zucchero e si diver­tirà piangendo...

Cecilia            (con il pianto nella voce)  Oh, mamma, io non debbo credere alla tua cattiveria!

Sista              Giudicami come più ti piace!

(Su questa ultima battuta, Sista uscirà dalla stanza, chiudendo con violenza dietro di sé la porta del suo appartamento. Cecilia rimarrà sola, al centro della scena, come smarrita. Si udranno prima lon­tane e poi vicino voci concitate, quasi gridi, rumori. La voce del maggiordomo Tullio che grida disperato).

Tullio             (fuori scena)  Donna Cecilia! Donna Cecilia!

(Cecilia si avvierà per uscire. Appare sulla scena, fuori di sé, il maggiordomo Tullio il quale, come travolto dallo spavento, balbetterà con voce piena di dolore)

Tullio             Donna Cecilia... Madonna San­tissima... È accaduta una disgrazia terribile... Don Napoleone è caduto... Si è buttato dalla finestra della sua stanza... Una disgrazia terribile...

(Cecilia rimane per un momento come paralizzata e poi esce di corsa, seguita da Tullio. La scena ri­mane vuota. Si odono ancora voci, grida, richiami. Dalla porta di destra appare don Federico: indossa una vecchia vestaglia rossa, slacciata sul davanti. Cammina come cieco. Si preme sulla labbra un fazzoletto a trattenere i singhiozzi. Si lamenta come una bestiola ferita. Si aggira per la stanza, bar­collando. Poi si avvia verso l'appartamento di Sista, ma davanti alla porta si ferma come trattenuto dal­la paura. Finalmente entra, lasciando spalancata la porta. Ancora voci lontane, richiami che salgono dall'interno del palazzo e dalla strada. Poi silenzio. Nel silenzio l'urlo altissimo di Sista, disperata).

Sista              Non è vero! Non è vero!

(Di corsa, travolta dallo spavento e dalla pena, apparirà la principessa. Attraverserà la scena, che rimane vuota. Dalla porta di sinistra dell'apparta­mento di Sista rientra don Federico. Cammina tra­scinando i passi e piange come un bambino, lamen­tandosi disperatamente. Si accuccerà ai piedi della scrivania e seguiterà a piangere. La scena si fa buia, mentre si odono ancora voci e grida lontane).


ATTO   TERZO

La medesima scena. Sono passati due mesi. Giorno chiaro. Al levarsi del sipario Tullio e Nina sono davanti alla porta dell'appartamento della princi­pessa, in attesa del solito segnale di ingresso libero che dovrà dar loro la campanella. Dalla porta di destra entra l'amministratore Gaetano. I due servi­tori gli faranno cenno di far piano, di non fare rumore.

Tullio            C'è don Serafino da due ore con lei.

Nina               È un buon segno, non le pare, signor Gaetano?

(Gaetano scuote il capo con aria scoraggiata e va a sedersi presso la grande finestra).

Tullio            È la prima volta, dopo due mesi, che ha domandato di don Serafino e di lei... Sono oggi sessanta giorni dalla mattina della disgrazia che vive chiusa nel suo appartamento... Voleva vedere soltanto Nina... Le notizie gliele doveva dare sol­tanto lei che le portava da mangiare come ad una carcerata...

Nina               E mi ascoltava attenta, senza risponder­mi... Un viso di marmo... Alla fine del mio discor­rere... mattino, pomeriggio e sera... mi faceva segno con la mano... zitta... muta... come se le si fosse seccata la lingua. Mangiava come una passera... gli occhi pieni di malinconia... Poi, ieri, dopo sessanta giorni di clausura, mi ha detto: « Domattina rice­verò don Serafino e il signor Gaetano ». Ha detto così e basta. Questo è buon segno, non le pare?

Gaetano        È un buon segno, Nina. E sono con­tento per lei.

Tullio            Ci domandavamo poco fa se riceverà pure lei nella sua stanza... Perché sarebbe la prima volta... Uno strappo all'etichetta.

Nina               Io spero che la principessa, dopo questa bella chiacchierata con don Serafino, uscirà finalmente dalla sua stanza...

Tullio            Non potrà mica rimanere tutta la vita lì dentro!

Gaetano        Se la principessa ha chiamato don Serafino, significa che ha preso una decisione... Lo sapremo dal reverendo quando uscirà.

(Sull'ultima parola di Gaetano, la campanella del segnale comincia a muoversi, suonando. Nina apre la porta ed entra. Il signor Gaetano si leva in piedi e si avvicina a Tullio)

Tra poco l'autoambulanza della clinica riporterà don Napoleone a palazzo. Vado a dirlo a don Federico.

Tullio             (con voce molto commossa)  Oh, che bella notizia mi dà, signor Gaetano, che Iddio la benedica! Quanto mi fa piacere di rivedere quel mascalzone... E come sta? che dice? quando potrà ricamminare? Gli ha fatto bene questa caduta?

Gaetano        Oh, benissimo! Era proprio quello che ci voleva! Siete uno scemo, caro Tullio! Don Napoleone è stato capace di combinare un altro guaio irreparabile proprio stanotte, stando a letto, mezzo rotto come un vaso di coccio. Nonostante la vigilanza del dottore e di quella poverina di donna Cecilia... Come vedete gli ha fatto benissimo la caduta dalla finestra... gli ha rotto le gambe... gli ha spaccato la zucca... ma gli ha lasciato dentro il cervello tale e quale lo aveva o non lo aveva prima.

Tullio            Ma io sono contento che ritorni... Vado subito a dirlo a don Federico...

(Tullio esce affrettando il passo. Dalla porta di si­nistra entra don Serafino. Gaetano gli va incontro e gli bacia la mano).

Don Serafino          Sua eccellenza sarà qui tra poco.

Gaetano        E se le dicessi, don Serafino mio, che non so da che parte ricominciare il discorso inter­rotto con la principessa due mesi fa?

Don Serafino          Io le posso dire che la princi­pessa è molto calma... Ha accettato tutti i miei consigli.

Gaetano        Beninteso non le ha fatto cenno di quanto è accaduto ieri sera in clinica?

Don Serafino          Quello che è accaduto ieri sera in clinica glielo dirà lei.

Gaetano        E come glielo dirò?

Don  Serafino          Glielo  dirà  come  si dicono  i fatti accaduti... semplicemente... Io dovevo disporle l'animo alla calma... in uno spirito di cristiana per­suasione... Credo di esserci riuscito... Per ora mi basta...

Gaetano        Basta a lei, ma non a me! Perché, don Serafino, io alla calma della signora principessa non ci credo... né, tanto meno, credo che la caduta di don Napoleone dalla finestra e la clausura che si è imposta per due mesi abbiano cambiato il suo carattere.

Don Serafino          In sua eccellenza è subentrato lo spirito di sopportazione... Insomma, sa d'aver per­duto la guerra... Che don Napoleone si sia salvato è un fatto che l'ha molto scossa... Lo sa, lei, che diceva Plauto?

Gaetano         (seccato)  No, non lo so, don Serafino.

Don Serafino          Factum est illud: fieri infectum non potest.

Gaetano        E che vuol dire? Per carità non spre­chi con me il suo latino...

Don Serafino          Vuol dire che il fatto è quello e che non si può fare che non sia fatto...

Gaetano        Ma lei lo sa meglio di me, don Sera­fino, che la signora principessa vuole che i fatti accadano sempre in obbedienza alla sua volontà.

Don Serafino          Ed è appunto perché lo so che ho cercato di portarla alla realtà di quello che è stato. E che doveva essere. Non le nascondo che ho faticato molto. Vede, signor Gaetano, noi sacer­doti per arrivare alla logica dello spirito ci dob­biamo sempre servire della realtà, la quale in fondo è e sarà sempre la più sicura alleata della fede. Lamatematica dello spirito non è un'opinione.

Gaetano        E che cos'è la matematica dello spi­rito?

Don Serafino           Bisogna sempre sottrarre la catti­veria dalla bontà. Per lo più l'operazione risulta esatta. Le posso soltanto dire che io mi sono limi­tato a far intendere alla principessa che il tempo non è un quadro appeso alla parete. E, soprattutto, un bel quadro d'autore del Rinascimento. Al posto del quadro è il calendario con i foglietti da strap­pare. Le nostre giornate sono infatti ormai come pezzetti di carta velina. La principessa fino a ieri voleva che il suo calendario fosse di travertino... Mi ha capito, signor Gaetano?

Gaetano        Credo di sì, ma non ne sono sicuro...

Don Serafino          La riverisco... Si regoli bene...

(Don Serafino esce al momento che Nina appare sulla soglia, annunciando).

Nina               Sua eccellenza!

(Nina attraversa la scena uscendo dalla porta di destra che richiude dietro di sé. Entra Sista. È completamente vestita di nero, come in lutto. Non ha attorno al collo le perle. Si avvia, il capo chino, a sedere al suo solito posto).

Gaetano        Sono tanto contento, eccellenza, di poterla rivedere... Mi sembra sia passato un secolo da quella brutta mattinata... (Sista, il viso duro, annuisce con aria stanca. Gaetano si avvicina alla scrivania, rimanendo in piedi davanti alla padrona).

Sista               (con voce calma, diversa)  Mi debbo arren­dere alla maleducata violenza del destino... Mi debbo arrendere... L'ho promesso poco fa a don Serafino... Ma la mia non è una resa senza discre­zione. Mi arrendo... ma non disarmo... Voglio esse­re buona... buona... nella rassegnazione... senza tut­tavia rinunciare alla mia personalità... Potete pure vendere tutti i quadri della galleria... affitterete il palazzo... cercherete un appartamento per don Federico... Io mi ritiro in campagna... nel casale della tenuta che guarda la pineta... Voglio morire tra le mie pecore, guardando gli alberi... Non metterò più piede a Roma... Roma, per me, è una città perduta. Quando una città non porta più rispetto ai suoi mo­numenti, questa città dimostra di essere indegna del suo passato. Io credevo d'essere un monumento! Mi sono sbagliata! Ma non andrò a morire in una casa di cemento armato ai Parioli o a San Paolo! In quel­le case ci morirete voi, Gaetano, che siete un ple­beo! Io morirò tra le mie pecore, guardando gli albe­ri. Gli aristocratici alberi della campagna! Cecilia resterà, almeno per ora, vicina a suo padre. Napo­leone, lo spero, cambierà vita.

Gaetano        Oh, certamente, eccellenza!

Sista              Gli ha fatto bene, secondo voi, rompersi l'osso del collo?

Gaetano        Credo di sì.

Sista              Mi fa piacere sentirmelo dire. Perché io, purtroppo, amo mio figlio. Mi vergogno d'amarlo, ma l'amo! Come sta? Ditemi subito, come sta?

Gaetano        Tra un mese ricomincerà a cammina­re. È molto contento che il matrimonio con la des Menozas sia andato a monte, soprattutto quando ha saputo che la fidanzata prescelta era molto brutta.

Sista              Abbiamo fatto una pessima figura con quei poveri miliardari. Sono ripartiti?

Gaetano        Una settimana dopo l'incidente. In fondo erano contenti anche loro.

Sista              Contenti della disgrazia che ci era capi­tata?

Gaetano        No, eccellenza. Avevano, come si dice, raccolto informazioni sul carattere di don Napoleo­ne. I giornali avevano raccontato l'incidente a modo loro. In un articolo c'era scritto che don Napoleone non era caduto dalla finestra per disgrazia... ma perché non voleva sposare una donna brutta.

Sista              Ho capito. Vi dirò che mi fa piacere che siano ripartiti. Napoleone troverà una moglie che gli piace...

Gaetano        L'ha già trovata, eccellenza!

Sista              L'ha già trovata? Ma che state dicendo? In clinica? Ingessato? Incartato come un panettone milanese? con le gambe legate al soffitto? Ma che, siete ubriaco?

Gaetano        Don Napoleone si è sposato ieri sera in clinica alle ore otto e mezza. Il matrimonio è stato celebrato da don Serafino. Testimoni due infer­mieri.

Sista               (levandosi in piedi furente)  E chi ha spo­sato, quel miserabile? Chi ha sposato?

Gaetano        Ha sposato la ragazza che gli piaceva. La diva!

Sista               (rivolgendosi al ritratto del pontefice, quasi gridando)  Santità, vi ordino di farmi morire!

(Sull'ultima parola della principessa, si apre la porta di destra ed appare don Napoleone nella carrozzella spinta da Cecilia e don Federico. Napoleone ha la testa fasciata di nero e le gambe coperte da un plaid scozzese).

Napoleone     (con voce festosa)  Mammà, ecco­mi qua!

Sista              Lo vedo bene che sei di nuovo qui... pur­troppo vivo e restaurato... Ed ho saputo in questo momento del delitto che hai commesso.

Napoleone    Eppure, mammà, io credo di aver fatto la prima opera buona della mia vita. Ieri sera, mentre don Serafino benediceva le nostre nozze, mi son sentito dentro suonar la coscienza come un vio­lino e, te lo giuro, non avevo bevuto nemmeno un bicchiere di whisky. E poi mia moglie aspetta l'ere­de, come dire un figlio della pantera. Non potevo mica regalarlo alla direzione del giardino zoologico. E poi mia moglie è bella. Mi piace. E credo proprio di volerle bene anche se fino ad oggi abbiamo litigato.

Don Federico           (scattando, quasi piangendo)  Sen­ti, Sista! Stavolta mi devi sentire perché credo pro­prio di capire tutto, porca puttana! Se la nuova prin­cipessa è incinta è come se dentro di sé portasse un pezzo vivo e benedetto. Napoleone ha fatto il pro­vino... prima di darle la parte della moglie. Io l'ho vista. È una bella ragazza nuova nuova in mezzo a tutta questa roba vecchia che ci casca addosso. A me piace...

(Sista lancia uno sguardo di disprezzo a tutti ed esce sbattendo la porta del suo appartamento. Napoleone, girando da solo le ruote della carrozzella, si avvici­nerà alla porta dell'appartamento e busserà, solle­vando a fatica un braccio. La porta si spalanca, riap­pare sulla soglia Sista).

Sista              Voglio morire sola! Andate via tutti... An­date via tutti!

(Napoleone seguiterà a sorridere alla madre, la quale al sorriso del figlio si calmerà a poco a poco)

E dove l'hai nascosta questa specie di moglie?

Napoleone    È nel salotto giallo che aspetta di esserti presentata. Mio figlio lo chiamerò Sisto, co­me te.

Sista              Chiamalo come vuoi. Per me è un figlio nato morto. Poco fa è come se avessi firmato da­vanti a don Serafino il mio atto di resa, la mia abdicazione. Perché so bene d'aver perduto la guerra. E quando un re perde la guerra per lo più se ne va in esilio. Io infatti me ne andrò per sempre in cam­pagna. Ma non partirò sola.

Federico        Naturalmente. Verrò io con te. Come faccio a vivere senza Cecilia, che se ne va in con­vento domani, adesso che Napoleone sta bene?

Sista              Sì, Federico, tu mi raggiungerai... ma do­mani, con le valige...

(Sista indicando il ritratto del pontefice)

Io, oggi, partirò con lui. Vi prego, Tullio, di staccare Sua Santità.

Tullio             (come cadendo dalle nuvole)  Come sarebbe a dire?

Sista              Sua Santità ha deciso di seguirmi nell'esi­lio. Gaetano, ordinate all'autista d'essere pronto con la macchina tra mezz'ora. Ed ora andiamo a vedere da vicino tua moglie. Desidero guardarla. Voglio fi­nalmente vedere da vicino come sono fatte queste donne. Rappresentano per me una razza di animali sconosciuti.

Don Federico          Questa, Sista mia, è fatta bene assai. Lo stile, in fatto di donne, grazie a Dio non è cambiato. Questa è fatta bene assai.

(Sista lancia uno sguardo di disprezzo a don Federico e si avvia camminando eretta, seguita da Napoleone, Cecilia, Gaetano e Nina. Tullio si avvicinerà al quadro del pontefice e lo staccherà dalla parete dopo essersi fatto il segno della Croce. Traverserà la scena por­tando il quadro dalla parte visibile entrando nella stanza della principessa. Camminerà molto lenta­mente)

Don Federico         ... Tempo passato, tempo presente... E il presente si mangia il passato, come io mangio lo zucchero... Sista ed io, in campagna, aspetteremo la morte... Cecilia in convento pregherà per noi... Napoleone resterà con la moglie ed il figlio. For­se andranno d'accordo, forse litigheranno. Ma io, purtroppo, credo che litigheranno presto... In cam­pagna starò benone... Dirò qualche parolaccia ai contadini e pregherò il Signore, che è il solo vero amico che mi sia rimasto e che mi capisce, di non farmi più tornare quaggiù, nemmeno da morto.

(Mentre cala lentamente la tela, don Federico si av­vierà verso la finestra. Si odono suonare le campane alle chiese vicine e lontane, come un concerto).

♦ Questa   commedia   è  stata   rappresentata  al   Teatro  dei Satiri di Roma, il 13 dicembre 1957, dalla Compagnia Maria Letizia Celli-Carlo Tamberlani, Regia dell'autore. Le parti sono state così distribuite: Nina (Lea Mailer); Don Sera­fino (Ugo Caroni); Tullio (Emilio Petacci); Gaetano (Edoardo Toniolo);  Sista (Maria Letizia Celli); Don Napoleone (Gianni  Partanna); Donna Cecilia (Ginella  Bertacchi); Don Federico (Carlo Tamberlani).

*  Copyright Fabrizio Sarazani, 1958.