La luturola

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Eduardo DE FILIPPO

Eduardo DE FILIPPO

La lùturola

“Ti a do no!”

Commedia in tre atti

(1940)

TRAMA

Ferdinando Cortesi, gestore di un Banco Lotto appassionato del gioco, ma eterno perdente, caccia di casa in malo modo Mario Bertolini, un suo impiegato, venuto in visita amorosa a sua figlia Stella e che invece è sempre superfortunato e vincente.

Ma il giovane annuncia di aver vinto una grossa cifra che, in sogno, gli ha dato proprio il defunto padre di Ferdinando.

Ferdinando gli ruba il biglietto perché, a suo avviso, il padre ha semplicemente sbagliato la persona a cui comparire in sogno, un errore comprensibile, Bertolini infatti abita nell’ex appartamento dei Cortesi, di Ferdinando.

Dopo disquisizioni con il parroco don Raffaele e liti furiose con la famiglia, accompagnate da un colpo di pistola, Cortesi cede il biglietto, ma lancia una maledizione davanti al ritratto del defunto padre: “ogni volta che Bertolini tenterà di incassare la vincita, gli capiterà una disgrazia”.

Dopo una serie d’incidenti, Bertolini decide di rinunciare al biglietto.

Soddisfatto, Ferdinando “ritira” la maledizione e lascia che Bertolini sposi Stella.

La vincita rimane in famiglia.

Personaggi

Ferdinando CORTESI

Il proprietario del banco lotto (sui 45 anni alto, robusto, capelli e baffi nerissimi, sguardo acuto e diffidente, vero tipo di popolano, la sua ignoranza lo rende impulsivo e testardo)

Rosina

La moglie di Ferdinando CORTESI

Stella

La figlia di Ferdinando CORTESI e Rosina

Bortolo

L’uomo di fatica di CORTESI, con lui scruta il cielo per vedere e giocare i numeri del Lotto

Margherita

La cameriera di casa CORTESI

Mario BERTOLINI

L’impiegato di CORTESI (giovane sui 27 anni, ricercatissimo nel vestire, fiore all’occhiello, catenina d’oro all’orologio, braccialetto d’oro, tutto il suo abbigliamento denota grossolanità, i bei Gagà di una volta, capelli ondulati e impomatati)

Tugnina

La zia di Mario BERTOLINI

Ginetta

La popolana (donna del popolo, linda nel vestire e modesta nel parlare, ogni suo gesto franco e leale denota bontà e spirito d’altruismo)

Don Raffaele

Il prete

Lorenzo CASCAMALE

L’avvocato (è un uomo sui 57 anni un po’ accasciato, evidentemente provato da tristi esperienze lavorative e non, veste un consumato abito d’antica foggia, reca con sé una vecchia borsa sdrucita di vera pelle, ha uno sguardo aguzzo da falchetto avvilito ma pronto a ghermire la sua nuova preda)

Vittorio STARNAZZA

Fratello di Luigi

Luigi STARNAZZA

Fratello di Vittorio

ATTO I

In casa di Ferdinando Cortesi, camera da pranzo a tutti gli usi, comune in fondo.

In prima quinta a sinistra porta, in seconda taglia l’angolo un ampio telaio a vetri che dà fuori al terrazzo. In prima a destra altra porta. Mobilio quasi ricco. Siamo in piena estate. Sul terrazzo fiori e sole.

Al levarsi del sipario, accanto al tavolo nel mezzo della scena, si trovano sedute Rosina e Margherita, parlottano sgusciando fagioli freschi.

Dopo poco suona il campanello interno ...

Rosina:  Margheritaguarda un po’ chi l’è?

Margherita:  (esce per la comune … dopo poco si udirà un grido interno di margherita)

Rosina: se l’è sucès?

Margherita:  Burtul! ……. (indicando Bortolo che in questo momento entrerà timido dalla comune) … apèna g’ho dervide l’us el m’è saltade ados e l’ha cercade da tupicà e basame tuta!

Bortolo: ma te sen ciòca?

Margherita:  sènteme ben, t’la disi chì denanse ala me padruna  per l’ultima volta, stà ferme con clè man li se no te do un slavadente che te fò girà per mesura e chi tri denti che te ghè amò in buca ti fò spudà.

Rosina(rivolgendosi ad Bortolo) tè viste che bel tipèn che gheme in cà?

Bortolo: (rivolgendosi a Margherita) si, se però l’èra el garson del barbè chi suta te disevi un bel gnen. El gha ancasì un bel ritai!(si passa la mano sul naso)

Margherita:  de gustibus no disputadum es, ignorante!, e se te cunusi no el LATEN, te lo dico in ITAGLIANO … non è bello ciò che bello ma … comunque  l’è semper pusè bel de tì … te pòedi scumète anca le to mudande

Bortolo: ma se el ma dì che el te veur no perché te ghe  le gambe storte. E  po …… le mudande me i porti no!

Margherita:  dabòn ma, se ghi ho mai fai vede!

Bortolo: dai alura fami un po’ vede ben se ien storte o no!

Margherita:  te piasares  eh? bel patan d’la duminica!

Rosina: ghe no asè da sentive , voeri propi vede quande el me ome ve caciarà via de c’la cà chi tùti du

Bortolo: sciùra, violtri ghì la fortuna in cà e la si no! El so ome un bel dì el gnarà miliardari apena perché ghe son chi me!

Rosina: la fortuna … a l’è propi guersa, miliardari?, eh va beh! ni mè sògni!

Bortolo: Epùr …… se la me scultares un brisinen

Rosina:  ma va là …… ti te podi becà per el cùl el me ome, me no!, se fudaress per me  ti in cla cà chi te gnaresi pù nan indren.

Bortolo: sciùra ……… ma fò gnen de mal me.

Rosina: vame là. cun i tò numeri te farè gni mate el me pover òme

Bortolo: me grinti gnen. l’è el so ome ch’el fa no quel che ghe disi. La stemana pasada vurì savè perchè l’ha venciude no? La fai tute de testa sua , me g’ho dì da mete un numer e lù … na mis un olter.

(Margherita durante queste battute avrà fatto delle controscene e dei segni a Bortolo, in questo momento alzerà un poco la gonna e mostrerà le gambe)

Bortolo: l’è inutil che te se birli ien propi storte….VACHINE.!

(poi rivolgendosi a Rosina)

In de l’è el sciur  Ferdinando?

Rosina:  l’è in cùsina.

Bortolo: cla me scusa  (si avvia verso la sinistra) ghò chi le ricevude dle giugade , questi chi i saran vincenti, i ho sugnadi!. (tira fuori dalla tasca un fascio di biglietti del lotto)

Rosina(Alludendo alla massa dei biglietti giocati) che te vegna un accidente!, guardè là, quanti danè caciadi alle urtighe roba da ciòdi.

Bortolo:        caciadi via? Disè no sanfranade. Ma se seme stai in pè me e el so ome setadi sul tece fina a quatrur. VISIONI capito VISIONI!

Margherita:  feura de testa … FUORI COME UN BALCONE.

Rosina:  ma dabòn pro, da ricuerà alla NEURO

Bortolo: seme andai sul tèce, eme viste tute le nigule cun le so furme e me … ho ricavade i numeri furtunadi.

(suono di campanello interno)                                                                                   Ohè! Mumia, va a dervì la porta!

Margherita:  sciura, la sentide? el m’ha ciamade  mumia!

Rosina:  daghe no da trà , la fa apena per fate rabià, va a vede chi l’è

(Margherita si avvia per ilfondo e giunta sull’uscio guarda Bortolo e gli mostra le gambe).

Bortolo: l’è inutil ien storte … ghe pasa un balòn!

(via a sinistra)

(torna Margherita)

Margherita: sciura feura ghè i fioi del nudar che el sta chi arenta

Rosina:  Starnazza?

Margherita:  YESSS!

Rosina:  si voerun da me! Gho di guai a cunusi , i me saludun mai quande ia’ncrusi …… e po’ i ghan un dà su che l’è asè mès!

Margherita:  i voerun parlà cul so ome, ……… Par chi gan el morte in cà

Rosina:  fai gni indren

(Margherita esce, Rosina mette un po’ d’ordine)

Margherita:Prego  signori.

(Entrano i due fratelli Vittorio e Luigi Starnazza )

Luigi e Vittorio Starnazza: Buongiorno.

Rosina:  Buongiorno

(a Margherita)

grazie può andare!

Margherita: scusate

(esce dalla comune)

Rosina: Accomodatevi, di che si tratta?

Luigi Starnazza:  Noi vogliamo parlare con signor Ferdinando Cortesi, perché solo lui ci può dare la spiegazione di un certo … affare

Vittorio Starnazza: si, si un certo affare!?

(guarda stupefatto il fratello che fa il gesto del cane)

ah si, ESATTO!

Rosina:  mio marito Ferdinando in questo momento è occupato in cucina, sta mettendo i sugheri alle bottiglie di conserva per l’inverno, lo fa sempre lui e lo vuole fare con le sue mani perché dice che come tappa i buchi lui, non li tappa nessuno ma, potete parlare con me, è lo stesso.

Vittorio Starnazza: Signora Rosina, Leopoldo è morto.

Rosina: mi dispiace, non lo conoscevo benissimo ma …

Luigi Starnazza: era una persona di famiglia. Figuri che a tavola mettevamo prima il suo posto e poi il nostro. L’abbiamo trovato fuori in terrazzo con una pancia gonfia così … e con la schiuma verde che gli usciva dalla bocca e dal naso.

Vittorio Starnazza: No, quella che usciva dal naso era gialla.

Luigi Starnazza: si, GIALLA!

Rosina: sul terrazzo?, la pancia gonfia?, verde e gialla?, ma Leopoldo chi è?

Luigi Starnazza: il nostro cane!

(Rosina allarga le braccia alzandole al cielo)

Rosina: ah!, il cane, pensavo il nonno …

Vittorio Starnazza: proprio il nonno è più morto che vivo ………  Ha una certa età ……… può darsi che per il forte dispiacere muoia anche lui.

Luigi Starnazza:  Questo è sicuro … il nonno era molto legato a Leopoldo e se domenica, domani non lo vede a tavola muore subito povero nonno, così dopo Leopoldo ...

Rosina:  Sentite, mi dispiace molto ma non capisco perché venite a raccontarlo a me e a mio marito non lo direi, non è che avesse una simpatia per il vostro cane.

Luigi Starnazza:  infatti signora Rosina, il cane è stato ucciso dal signor Ferdinando, vostro marito.

Vittorio Starnazza:    si! è stato avvelenato da vostro marito!

Rosina:  Non ditelo nemmeno per scherzo. Ferdinando vuol bene a tutti gli animali, non è capace di fare male nemmeno ad una mosca, … non a caso mantiene Bortolo

Luigi Starnazza: Il Signor Ferdinando lo disse chiaramente ad alta voce, non sapendo che io dalla mia finestra dell’ufficio, che dà proprio sul terrazzo, sentivo ogni cosa: “va via … pien de pulche!.” ed io sentivo: “te me ruvini tute le piante de pomates a pisaghe assura, se el tò  padron el te liga no , te do el velèn di rati e te fo morì”.

Vittorio Starnazza: si! proprio così, l’ho sentito anch’io, e ha mantenuto la parola, tra l’altro l’ho visto io, signora Rosina, con questi miei occhi, dovessi diventare cieco in questo momento, l’ho visto io dalla finestrella della mia camera diverse notti, lui e Bortolo, a curarlo seduti sul tetto.

Luigi Starnazza: Con tutta la premeditazione … che cattiveria! Bortolo, poi, deve fare i conti con me. anche lui lo odiava perché una volta, vicino al cancello, gli ha dato un morsettino alla gamba, che se lo ricorda ancora.

Rosina: Ma quelli sul tetto cercano i numeri per giocarli al lotto, … le chiamano VISIONI …

(vedendo arrivare Ferdinando dalla sinistra)

Ah! Ecco mio marito parlate con lui.

Ferdinando:

(sui 45 anni alto, robusto, capelli e baffi nerissimi, sguardo acuto e diffidente, vero tipo di popolano, la sua ignoranza lo rende impulsivo e testardo, è seguito e aiutato da Bortolo reca un cesto carico di bottiglie di pomodoro con legacci di spago messi ai sugheri)

Burtul, pian … pian … pian t’ho dì ... i  pesun un acidente. Adess ia meteme um po’ in dla credensa e un po’ ti, quei che vansa ti porti in cantina al scur e al fresche

Rosina: Aspetta caro, vedi cosa vogliono questi due signori, ti cercavano,

Ferdinando:  chi en?, e voialtri se vurì?

Luigi Starnazza:  E già, non sapete niente!, la nostra presenza non vi fa sospettare di niente, perché siete innocente …

(a Bortolo)

tu non sai niente?

Bortolo: me?, e de che ròba?

(Rosina comincia a riporre le bottiglie nella dispensa)

Ferdinando: Rusina lasa stà, la fò me!

Rosina: fai tu caro, se non c’è bisogno di me, io vado vorrà dire che la prossima volta per sistemare quattro bottiglie di salsa chiameremo un ingegnere,

(rivolta ai due notai)

Con permesso!

(esce)

Ferdinado: ma che tunta … me se fa rispunde insì davanti a furesti

(rivolto ai notai)

dunca, chi sì e se vurì?

Luigi Starnazza:  siamo i notai qui accanto, i fratelli Starnazza, siamo qui a comunicare un grave lutto, Leopoldo è morto, e ad ucciderlo siete stati voi!

Vittorio Starnazza: si! proprio voi e questo individuo che è sempre qui con voi!

Ferdinando: feme capì, chi l’è che ho masnade?

Luigi Starnazza: Leopoldo, il nostro cane!

Ferdinando: Ah! Mi fai stremì! El càn, CONDOGLIANZE VIVISSSSSIME!

(ride rivolto a Bortolo)

Vittorio Starnazza: Come? Ridete?

Ferdinando: Alura si chì per ringrasiame!

Luigi Starnazza: ringraziarla!?, siamo qui per denunciarla e ci rivolgeremo all’ente per la tutela delle persone care,

Ferdinando: pian, pian barbè che l’aqua la scota, da chi l’è chen’dì, se vurì ve mandi me in un bel poste, l’ente per la tutela delle persone care?, capisi che ve dispiàs ma …

Vittorio Starnazza: Ma perché il fastidio era vostro?

Ferdinando: porca miseria! Sa apena lù le piante che m’ha fai murì ch’el pièndepulghe cacia udù là,

Luigi Starnazza: ma quale puzza, lo facevamo lavare tutte le settimane e tosare tutti i mesi, lo pettinavamo tutte le sere, mi sa che la puzza che sentivate eravate voi o voi!

(rivolto a Bortolo che fa il gesto di dare uno schiaffo)

Ferdinando: me!, sentì bèn, el voste càn el campaneva da bèstia. L’era stai bòn da gnì indrèn sul mè  terass, el pisèva sule mè piante de pumates e poe el scapèva.

Luigi Starnazza:  E voi l’avete ammazzato per questo?

Ferdinando: ma s’in foera? Ho pregade la madona d’la Ranera ch’la fèva murì ma, masàl dabòn … ansi, viste ch’l’è morte, duman vò subite a pisaghe na candila grosa insì, ma ve podi garantì che mè el voste pièndepulghe l’ho nanca tucade.

Luigi Starnazza:  Voi no, ma lo avete fatto avvelenare dal vostro aiutante

(alludendo e segnando Bortolo)

Bortolo: si ecu, si propi da ricuerà?, me, quande incuntrèvi el voste càn me se fermevi semper e lù el mueva la cùa e me feva le feste, in funde sèri cuntente ma, un bèl dì, el m’ha sgagnade a tradimente e da alùra  me se fermèvi pù ansi, l’evitevi

Luigi Starnazza: E va bene … voi dite che non sapete niente?

Ferdinando: si!, l’è vira

Luigi Starnazza: e allora cosa ci fate la notte sopra i tetti?

Ferdinando: questi ièna fari me!, la note … nome … ndeme sui teci a ciapà un po’ d’aria, l’è pruibide?

(fa occhialino a Bortolo)

Vittorio Starnazza: eh! …  io te l’avevo detto che avremmo fatto un viaggio inutile.

Luigi Starnazza:Sentite, voi mi siete stato sempre antipatico fin da quando siete venuto ad abitare qui accanto, e in famiglia lo dissi subito: “quel tipo non mi piace”.

Ferdinando:  Veramente?!, vorrà dire che non ci SPOSEREMO!!!!

(allarga le braccia)

Luigi Starnazza: adesso figuratevi dopo la morte del povero Leopoldo, mi fate addirittura schifo.

Ferdinando: Tegneme Burtùl se no ghe spachi la testa

Luigi Starnazza: Andiamo Vittorio, ne ho sentite abbastanza

(i due fratelli Starnazza escono)

Ferdinando:  Ma guarda un po’se me tuca sentì a cà mia

Bortolo: sciur Ferdinando, ciapevla no … in cla famiglia lì ien sciupadi de testa

Rosina:Ien andai?

Ferdinando:  Si!, Leopoldo che ghe vegna n’acidente

Bortolo: sciur Ferdinando, questi sono numeri da giocare la prossima, “6” il cane o se l’è morte l’è un alter numer

(allarga le braccia e continua a sistemare le bottiglie)

Ferdinando:  Bortolo, te me caci in ruina? chel sabete chi eme fai 200 giugade.

Bortolo: e sarà la volta buna, vinceme … vinceremo!

Ferdinando: chissà perché paghi sempre me ma … vinceremo, mah, misteri!

Rosina:  Seh! Misteri, robe da ciodi. Un padròn del banche del lote che se gioga tuti i danè al so banche.

Ferdinando:  me fò quel che voeri. el banche del lote l’era de me papà e prima amò de me nonu, e po, g’ho da rende cunte a nison me.

Rosina:  cun le pese al cùl, ROVINATI!

Ferdinando:  Bortolo, tla vedi? lì … l’è la disgrasia, ma se g’ho da maritame n’altra volta, vo a ciapala a TIMBUCTU, semper citu, in silenzio!, Sicur me l’or!

Rosina:  e perché, belèsa?

Ferdinando:  la so no ma va bèn istès

Mario Bertolini: Permesso?,

(giovane sui 27 anni, ricercatissimo nel vestire, fiore all’occhiello, catenina d’oro all’orologio da tasca, braccialetto d’oro, tutto il suo abbigliamento denota grossolanità, il bel gagà, capelli ondulati e impomatati)

Ferdinando:  ah!, tel chi, el simpatic men.

(nel vederlo diventa scuro in volto e gli volta subito le spalle e in più gli scivola di mano una bottiglia di salsa che si rompe sul pavimento)

Ferdinando: ecu! Te sèn entrade e l’è burlada, Burtul ciapa la scua e neta se no la padrona …

Bortolo: va ben!

(a Mario Bertolini)

si rivade eh?!

Mario Bertolini:   E che sono stato io … a farvi cadere di mano la bottiglia? Si può dire tutto di me ma, che porto male … o che sono sfortunato … proprio no!

(Bortolo va a prendere la scopa e rientra a pulire )

Ferdinando:  Perché sì chi?, chi ghè sù al banche?

Mario Bertolini:   tranquillo signor Ferdinando, Ci sono stato sino ad ora, ho venduto tutte le giocate e poiché sono ultimate, me ne sono andato. E’ rimasto il signor Bartolomeo, la signorina De Biase e la guardia giurata Antonio.

Ferdinando:  e te pudevi no stà anca ti? Me perché te paghi?

Mario Bertolini: Perché mi pagate?

Ferdinando:  si!, l’è quel che vori savè, perché ve paghi?

Mario Bertolini:   Per fare il mio dovere e per servirvi sempre

( accenna ad un inchino)

Ma io questo sabatosono libero: “un sabato sì….un sabato no”. Forse non lo ricordate?

Ferdinando:  E i fai UN BEL AMBO anca sabete pasade!

Mario Bertolini: Si!, l’imbrocco sempre

Ferdinando:  Eh si, sempre!!!

(allarga le braccia)

Mario Bertolini: e che posso farci la fortuna m’assiste e vi dovrebbe farepiacere…..la settimana passata ho vinto 600 EURO sulla ruota di Bari, sono venuto piccolino nel vostro banco lotto e come si dice mi sono affezionato, voi per me siete come un padre, la signora Rosina è come se fosse una mamma e Stella …

Ferdinando:  e Stela las’la stà, l’è la me fiola.

Mario Bertolini: e io la rispetto, la rispetto come una sorella, lo dico sempre alla Zia Atonia, Stella è la corona della mia testa

Ferdinando:  sta atenti che la testa la se taia sensa la curuna CI SIAMO CAPITI?

Stella: (in abito da passeggio)

Mamma, io vado.

Rosina: va bene, torna presto.

Stella: Papà, io esco.

Rosina: Mario, me racumandi, gni indrè preste

Mario Bertolini: Certamente, signora Rosina.

Ferdinando: d’en dì?

Stella: vado a comprare la stoffa per il mio vestito della festa nuovo, me lo fa fare Mario

(accenna ad uno sbaciucchiamento a distanza)

Ferdinando:  E cl’elementu chi ?

Stella: conosce il negoziante e mi fa risparmiare sul prezzo

(si avvicina a Bertolini e tutti e due stanno per uscire)

andiamo?.

Ferdinando: ti vè chì!

(Stella si avvicina e Ferdinando le dà un forte ceffone)

và subite n’la to stansa inco te ve fora no!

Stella: mamma, hai visto?

Rosina: Se te sen foera?

Ferdinando:  citu!, se no ti a ciapi anca ti.

Rosina: Gesù … Gesù … l’è partide

(Stella esce in lacrime)

Mario Bertolini: Lo schiaffo che avete dato a Stella è come se lo aveste dato a me. Cosa si faceva di male se uscivamo insieme? Siamo usciti tante volte.

Ferdinando:  adès basta. E ti SCORDETLA!

Mario Bertolini: non posso.

Ferdinando: e in vece si, perché l’ho dì me

Mario Bertolini: non posso

Ferdinando:  E me te mandi via dal banche a pesade nel cùl.

Mario Bertolini: No, io ho l’onore di dirvi che il calcio non me lo date, né micaccerete dal banco lotto, voi mi potete solo licenziare ma, per farlo mi dovrete dare una bella liquidazione, se no ve la vedrete con il sindacato.

(esce)

Ferdinando: Te se rendi cunte ? IL SINDACATO chel martron chi l’è bon da fame mandà in presòn.

Rosina: Ferdinando, te pari voen cul morbo de san vito. voeri savè la verità, perché te ghè dai la sgiafada a la fiulina?

Ferdinando:  L’è pu na fiulina, e cun chel pordiaul la se spusarà no!

Rosina: Brau!, adess le trueme un PRINCIPE EREDITARIO.

Ferdinando: La fioela la farà quel che disi me!

Rosina: Perché s’el gha de mal el por Mario? L’è un brau fioel, el gha la testa sule spale, l’è un lauradur, ste voeri pusè?

Ferdinando:  el suporti pù!, el ghà un cùl!, quande me papà la fai gnì a laurà nela nosta luturola, l’era un por picinen sensa nanca un vestì darson, scarpe cun le prese d’aria suta , bèn, l’ha cuminciade a giugà e da alura el beca in chi còs tuti i sabeti. l’ambo, il secondo estratto, il terno, ma vada via al cùl … e un po’ ala volta la fai su i danè e el se tode tute còs cun le vincite alla luturola l’ha pagade fina i camèi de so sia Tugnina … du ani fa me lasi la mè cà al prime pian, quela de mè papà perché l’era morte e me fèva impresion vive amò lì, qu’el CU … FORTUNATO, el  vence un terno secco e  el tode lu cà mia. Po el vince un altro terno e la mète a poste, e na volta sogna la mama, na volta el sogna el papà, la surella, il fradel, i neudi, i cugnadi, i cusen, sò nona cun so none, apèna mete la testa sul cusèn e el sogna … SEMPER

Rosina:  Se t’enteresa? L’ha truade el Signur indurmente e la madona c’la pisuleva ma la fortuna … e se po el spusa la tò fioela  la  guadagna anca lè no?

Ferdinando:  ma perché, el ghà da vince per forsa? cume s’el fudarès un dipendente del cumoen,

(durante questa scena Bortolo, che si trova fra i due, a secondo dei casi darà ragione a l’uno e all’altro)

e se dopu c’la spusa el sogna pù, si fan?, i mangiun pan pucia pulenta e sigula?

Rosina:  Ti te disevi che quel lì el vince semper.

Ferdinando(scattando in avanti)  ma se me gioghi tute le stemane un sache de numeri, tiri foera un sache de danè, vò fina sul tece a cerca … l’ISPIRAZIONE … e s’ho vinciude? Una bela bronchite cun complicazion. (tossisce amaramente).

Rosina: T’è … ciapa invidius!

Ferdinando(cocciuto e dispettoso)a intante finchè ghe son me la me fioela … GLA DO NO!

Rosina: vurà di che la fioela gla darò me !

Ferdinando:  E me ve masi tute e du.

Margherita: (entra) L’estrazione.

(consegna a Ferdinando una striscetta di carta con i numeri del lotto).

Ferdinando:  Dame chi!, e va!

(Margherita esegue ed esce per la comune. Ferdinando siede accanto al tavolo. Bortolo siede anch’esso e cominciano a consultare i biglietti giocati).

Ferdinando:  Sa vedeme un po’. Smincia, guarda che nùmeri

Strani a Milàn … 1,2,3,4 e 26. Nan voen decade Te me di  che chi numeri chì ierun sìcùri.

Bortolo: Sciùr Ferdinando, i numeri i vàn giugadi per tre estesion de fila

Ferdinando:  Ma questa l’è la quarta!

Bortolo: no, l’è la prima del secunde TRIDUO.

Ferdinando:  Ma quanti tridui ien?

Bortolo: Nove tridui.

Ferdinando:  E questa chi? Te me di giughè anca questa

Bortolo: Sciur Ferdinando, ien probabilità, non sicurese. E peu SICUR … L’E’ MORTE!

Ferdinando:  te voeri savè  propi una roba sicura … te spachi la testa ,ghe n’ho a sé da fame becà per el cùl da ti.

(strappa tutte le giocate).

Bortolo: ma la stemana che ven…..

Ferdinando: ti te rivi no ala stemana che ven.

(alzando minacciosamente una bottiglia)

( suono del campanello)

Margherita:Chel vegna indren!

Mario Bertolini: Signora  Rosina, a momenti mi prende un colpo.

Rosina: se l’è sucess?

Stella: che c’è?

Mario Bertolini: Signora Rosina, ho vinto!

(Ferdinando schizza veleno dagli occhi)

Stella: bravo! Hai vinto!

Mario Bertolini: Oh ! non ci posso credere! Non c’è dubbio. Questa è la giocata e questi sono i numeri dell’estrazione, signor  Ferdinando, questa notte ho sognato vostro padre.

Ferdinando:  T’el chi ch’el cumencia cun la me famiglia. L’ha cunsumade i so parenti e ades ...

Stella: Hai sognato il nonno?!

Mario Bertolini: Come era elegante. In maniche di camicia come quando si metteva a leggere il giornale fuori dal banco del lotto e con il signor Pasquale il tabaccaio si mettevano a guardare le ragazze che passavano, ve lo ricordate? E’ entrato nella mia camera da letto e mi ha detto “ ciau bel fasoe ste sèn adrè a fa?”

Ferdinando:  ma me pader me ciameva me  “Bel fasoe!”.

Mario Bertolini: ah si? comunque aspetti signor Ferdinando, mi ha detto“ghe no asè da vedete birlà insì, teh, ciapa chi danè chì, von e von chi fan du, va, va a fa quater pasi a Milàn cun la murusa, se te se desfesi te riesi a ciapà el “gamba de legne” vintises de tre ur va e fa preste, fa gnen se te spendi tute, per stavolta te podi, va adès ciau!”

Ferdinando: speta un po’ ho capide bèn?

Mario Bertolini: si, proprio così, uno e uno che fa due, quattro passi e il treno delle tre …

Ferdinando: e magari te ciapade anca el vintises?

Mario Bertolini: si, certo, il numero del treno …

Ferdinando: e magari anca la roda de Milàn?

Mario Bertolini: non solo ma, si ricorda che l’altro giorno mi sono fatto anticipare lo stipendio del mese e …

Ferdinando: e unchid’on el me porta tute le noti a vede le nigule sul tece … se te ciapi, la prossima volta … te caci sù dal tece … (comincia a rincorrere Bortolo intorno al tavolo)

Bortolo: speta, ferma!, magari ia giugadi no

(si girano entrambi da Mario)

Mario Bertolini:   Certo! eccola!

(consegna la giocata a Ferdinando)

Adesso sono ricco, Signor Ferdinando, adesso posso sposare Stella?

Ferdinando: de queste na parlème dopu, c’la schedina chì  l’ è mia, i numeri ti ha dai me papà, t’ha ciamade “bel fasoe”, lù el credeva da parlà cun me e quindi i danè ien i mè.

Mario Bertolini: Signor Ferdinando  state scherzando?

Rosina: Se te sen scemo?, dagla indrè!

Ferdinando: tàs ti! (furente e deciso) no!, Ti a do no! Ti a do no! (come tarantolato) la giugada l’è mia!, nanca i Carabinieri m’la tiraran fora d’la me sacocia, se t’la voeri se vedeme en tribunal

(esce dalla sinistra lasciando tutti in asso che si guardano intorno come allucinati)

I DANE’ TI A DO NO!

(urlando fuori scena)

Rosina: (uscendo pure lei)vùsa, vùsa, chi vùsa pusè la vaca l’è sua.

(SIPARIO)


ATTO II

La stessa scena del I atto

Margherita:

(parlando verso la comune)

Gni indren, Ginetta.

Ginetta:

(è una sciura del popolo, linda nel vestire e modesta nel parlare, in ogni suo gesto franco e leale denota bontà e spirito d’altruismo)

No, l’è che vuraresi no fame sentì da la sciura Rosina, e da Stella

Margherita:

Noo ien ‘ndai propi adess a parlà cul prète Don Raffaele

(e indica la porta di sinistra)

Ginetta:

cul prète?

Margherita:

si!, ien ‘ndai a ciamal stamatina a bunura

La sciura Rosina la m’ha dì

“cur in cesa, dighe a Don Raffaele da gnì el pusè preste ch’el pode”

Ginetta!,

l’è da sabete che NON C’E’ PACE TRA GLI ULIVI!,

l’è samò ‘na stemana ch’el padròn vusa semper

”LA GIUGADA L’E’ MIA E I DANE’ IEN I ME”

el suporti pù.

Ginetta:

por sciur Ferdinando!

Margherita:

si!, l’è propi foera, el m’ha di che ndeva fin dall’aucate,

ROBE DA MATI!

Ginetta:

ma perché?, scùsa, me sembra che, “vos populi”, sciur Ferdinando g’ha resòn!,

Margherita:

ma alura sì no la verità!, la giugada vincente l’è no del padròn, l’è de Mario el garsòn, perché i numeri ia giugadi lù, po sciur Ferdinando l’ha ciapade el bigliete e l’ha cuminciade a dì “i danè ien me, i numeri t’ia dài me pader, el credeva che ti te s’eri me e che me … e che la cà … e … ”

(pensierosa)

po, so pader l’è morte,

Ginetta:

Uè, bada come te parli, se un pader el mor a chi l’è ch’el pensa? Al prime che pasa per strada? Basta, gh’ho da parlà cul sciur Ferdinando d’una roba importantissima, ma sicume el ghè no, ades vò via e turni pusè tardi

Margherita:

(vocio dall’atrio interno)

‘ndì ‘ndì Ginetta che ien adrè a turnà

(Ginetta e margherita escono dalla comune)

Don Raffaele:

(entrando dalla destra seguito da Rosina e Stella)

ci vuole pazienza signora Rosina, Io conosco il carattere di vostro marito Ferdinando, si farebbe uccidere prima di riconoscere un suo errore, cuore d’oro, tutto amore per la famiglia, ma la testa

(fa il gesto del pugno sulla mano)

dura me’l marmu!, bisogna che con calma, poco alla volta, bisogna fargli capire che la sua tesi è completamente errata, con un po’ d’aiuto,

(fa il gesto della questua agitando il cappello)

gli parlerò io, vedrete che sciur Ferdinando, cambierà idea.

Rosina:

Per questo vi ho chiesto di venire, sa che mio marito ha molto rispetto di lei e sono sicura che vi ascolterà.

Margherita:

(dalla cucina reca un vassoio con qualche bicchiere  e una

bottiglia di vino rosso)

Padre, gradite qualcosa da bere?

Don Raffaele:

Grazie, un gesto fatto col cuore non si rifiuta mai

(Margherita versa il vino fermandosi a metà del bicchiere e Don Raffaele riprende la bottiglia e riempie il bicchiere bevendolo subito interamente)

Rosina:

Ce ne hai messo di tempo!

Margherita:

Sono andata in cantina a prendere la bottiglia più fresca,

Don Raffaele:

brava Margherita!, con questo caldo si gradisce proprio un bicchiere bello fresco

(si versa un altro bicchiere)

Rosina:

prego non faccia complimenti, è il vino del nostro podere di collina, lo so che vi piace!

Don Raffaele:

non voglio abusarne vero ma, una volta ogni tanto…

(beve di nuovo e si riempie ancora il bicchiere)

Rosina:

Vai pure tu.

(Margherita esce)

Don Raffaele:

( si rivolge a Stella che imbronciata è seduta in disparte)

su!, non fare così Stella, un nome così bello è una creatura benedetta!, sii positiva!

Stella:

io lo conosco meglio di lei mio padre, se ha detto che la giocata a Mario non la restituirà, è inutile insistere non la restituirà.

Don Raffaele:

Gli parlerò io, te l’ho detto, e vedrai che tuo padre Ferdinando restituirà la giocata al suo legittimo proprietario, solamente dovete  usare una tattica, non dovete urtarlo e soprattutto non parlatene più, vedrete che sarà lui stesso a riprendere il discorso.

Ferdinando:

(entra fregandosi le mani e guarda con diffidenza la compagnia)

Buondì munsignùr se fì chì? el v’ha mandade a ciamà lè?

Don Raffaelle:

Noooo, mi trovavo nelle vicinanze e ho deciso di venire a benedire la casa della signora Rosina, poi sa, una parola tira l’altra e …

(fa una strizzatina d’occhi a Rosina e a Stella)

Ferdinando:

e un bicer tira l’alter …

(si siede)

Rosina:

le dicevo che l’altra domenica in chiesa ha fatto proprio una bella predica, mi ha fatto piangere, e non ero l’unica, anche Stella aveva gli occhi lucidi,

Don Raffaele:

devo dire la verità qui mi vogliono bene tutti, soprattutto perché io non dico parole difficili e non parlo in latino,al popolo bisogna parlare con parole semplici, comprensibili,racconto la vita dei santi aggiungendo fatterelli della vita vera che vengo a conoscenza, senza fare pettegolezzi ovviamente, a questo proposito ultimamente ho avuto un grande successo con Sant’Ubaldo, protettore di Gubbio, ho parlato dei festeggiamenti locali, dei famosi giganteschi ceri, la benedizione della montagna

Ferdinando:

(è sulle spine, guarda l’orologio di continuo e poi è infastidito dal prolungarsi della visita del prete, ad un certo punto domanda a Rosina)

L’è namò gnude?

Rosina:

Chi?

Ferdinando:

Bertolini

Rosina:

L’è gnude e l’è ndai.

(cenno di stizza di Ferdinando)

Don Raffaele:

Venerdì, venerdì è interessante, venite venerdì sera, parlerò di Sant’Agostino

Ferdinando:

(seguendo il filo del suo pensiero)

S’l’ha dì?

Rosina:

Chi?

Ferdinando:

Sant’Agostino no no, Bertolini

Rosina:

L’è gnude a saludate

Ferdinando:

(dopo pausa, visto che nessuno lo interroga)

El bigliete d’la lùturola VINCENTE g’la do no!, i danè ia ciaparà mai!

Rosina:

t’la sé s’el ma dì chel por picinen? l’ha dì ch’el te denuncia no perché te sen el pader de Stella, e se te ghe dè indrè el bigliete el te regala 10 mila euro

Ferdinando:

brau!, el me dà la buna man tame ai fiulen

Stella:

Ma perché per caso sono tuoi i soldi?

Ferdinando:

si! ien propi me!

(sottovoce a Don Raffaele)

la savude la facenda?

Don Raffaele:

mi hanno accennato qualcosa

Ferdinando:

I danè ien i mè, i numeri ghi ha dai me pader!

Stella:

Ma la giocata l’ha fatta Mario e con i suoi soldi!

Ferdinando:

Ti stà mùta, se no te do un slavadente che te sla ricordi finchè te tiri no el scalfèn. Son andai da l’aucate ma el ghera no, alura g’ho lasade a dì da pasà da cà mia che l’er urgente

Stella:

E’ meglio che io vada via, scusate Don Raffaele,

(si alza ed esce piangendo)

Don Raffaele:

non fare così Stella!, non così

(con un cenno, non visto da Ferdinando, invita Rosina ad andarsene anche lei)

Rosina:

Vè chì stelasa d’ora, scusate Don Raffaele,

(esce)

Don Raffaele:

Siete stato dall’avvocato?

Ferdinando:

El pode dì giuro!

Don Raffaele:

giurare è peccato, e lo state aspettando qua?

Ferdinando:

a mumenti dues arivà

Don Raffaele:

E se è lecito che direte all’avvocato.

Ferdinando:

chi vorun girame el fiol nd’la cùna, me vorun fa pasà da mate! che mi vogliono ingannare,

Don Raffaele:

ma chi?

Ferdinando:

Mario Bertolini e i so tirapè.

(indica il fondo del palco a indicare le sue donne)

Don Raffaele:

E chi sarebbero i tirapè?

Ferdinando:

La mè sciura e la me fiola.

Don Raffaele:

Ma signor Ferdinando non mi pare, da quanto mi hanno accennato, che possiate parlare di truffa o inganno

Ferdinando:

e me fi a savel violtri?, ghe vor una persona de lege, un aucate

Don Raffaele:

Fare una causa, non si sa mai come andrà a finire, cominciate a

sborsare quattrini e poi …

Ferdinando:

e se m’enteresa, ades ghò tanti danè che ve quati!

(suonano alla porta, dopo qualche secondo entra Margherita)

Margherita:

L’avvocato Lorenzo Cascamale

Ferdinando:

Tel chi l’aucate, ades voeri propi vede se son mè che ghò tòrte

Don Raffaele:

fate come volete, però pensateci bene, io non posso trattenermi oltre e me ne vado

Ferdinando:

No, sti chì munsignùr, sarà na roba spicia

tì!, fal gnì indren

(Margherita va e torna subito precedendo l’avvocato)

Avv.Cascamale:

(è un uomo sui 57 anni un po’ accasciato, evidentemente provato dall’esperienza, veste un consumato abito d’antica foggia, reca con sé una vecchia borsa sdrucita di vera pelle, ha uno sguardo aguzzo da falchetto avvilito ma pronto a ghermire la sua nuova preda)

Il signor Ferdinando?

Ferdinando:

Son mè.

Avv.Cascamale:

Piacere il nostro comune amico mi ha parlato di voi, eccomi qua, siete stato anche a casa mia, ma io non c’ero, di che si tratta?

Ferdinando:

Adesso vi spiego

(presentando)

il parroco della parrocchia di S.Damiano, don Raffaele, l’avvocato Lorenzo Cascamale

Avv.Cascamale:

Onorato

Don Raffaele:

fortunato

Avv.Cascamale:

la parrocchia di Santi Cosimo e Damiano sicuro la conosco, antichissima. In quella parrocchia si sposò la buon’anima di mia nonna, noi in famiglia abbiamo avuto due preti e un canonico, io stesso fui educato in seminario … già!, … mio padre voleva che facessi il prete Ah!, se ascoltavo il mio papà … l’avessi fatto!, … eh!, i preti stanno bene, ma sa, … io, … già facevo l’amore con la mia poi futura moglie, dalla quale poi, mi sono separato legalmente  ogni tanto mi fa vedere mia figlia ma io ho sempre da fare … la vita è un turbine … ed ora faccio l’avvocato, del resto c’è sempre un’affinità, io assisto i vivi e voi assistete i morti.

Don Raffaele:

veramente non è esatto quel che dite, la nostra prima missione è quella di assistere i vivi e di confortare i moribondi … quando l’avvocato … se n’è ANDATO

Avv.Cascamale:

(incassa ingoiando un po’ d’amaro e con mezzo sorriso)

Già!

(cambiando discorso)

allora?, Signor Ferdinando io sono tutto per voi

Ferdinando:

Setève chì

Avv.Cascamale:

Dunque?

Ferdinando:

si tratta di una truffa bella e buona, Io, ho vinto una grossa somma al lotto, con dei numeri che mio padre ha dato ad un certo Mario Bertolini e il biglietto vincente ce l’ho io.

Don Raffaele:

ma il padre del signore …

Ferdinando:

scusate … fatemi finire … Ora questo Mario Bertolini dice che il biglietto è suo, che la vincita spetta a lui e a me vorrebbe dare 10 mila euro

Avv.Cascamale:

E voi non mollate!, questo Mario Bertolini deve essere senza dubbio pazzo, il biglietto lo avete voi, ritiratevi il premio e chi se visto se visto.

Ferdinando:

e no, perché si è messo d’accordo con mia moglie e con mia figlia, dicono che il biglietto l’ha giocato lui con i suoi soldi.

Avv.Cascamale:

invece l’avete giocato voi.

Ferdinando:

No, in effetti l’ha giocato lui.

Avv.Cascamale:

e allora?

Ferdinando:

ma i numeri glieli ha dati mio padre in presenza di Pasquale il tabaccaio

Avv.Cascamale:

Ah! Ho capito! Allora l’ha giocato lui con i vostri soldi.

Ferdinando:

No, con i soldi suoi.

Avv.Cascamale:

vedete Sig. Ferdinando, così ad occhio e croce non posso darvi un parere preciso, dovrei studiare la cosa nei minimi particolari, il biglietto non è stato giocato neppure in società, perché pare che non esisteva nessuna intesa fra voi e Mario Bertolini, ma siccome egli vorrebbe riconoscervi un premio di 10 mila euro, è già qualcosa. Se come voi dite, vostro padre gli ha dato i numeri in presenza di un testimone, qualche diritto, penso che si potrebbe accamparlo, per adesso voi seguite la vostra strada, ritirate la vincita e se questo Mario Bertolini dovesse agire legalmente … noi chiameremo in causa questo Pasquale il tabaccaio.

Ferdinando:

Non è possibile, Pasquale non può venire a testimoniare.

Avv.Cascamale:

Voi scherzate?, non si può mica rifiutare!, Lo facciamo chiamare dal giudice e … se non si presenta una bella convocazione ufficiale e verrà accompagnato dai carabinieri.

Ferdinando:

ma Pasquale è morto.

Avv.Cascamale:

è morto!?!, oh che disgrazia, beh, non c’è problema, chiameremo vostro padre, esiste un vincolo di parentela ma … si si vostro padre andrà benissimo!

Ferdinando:

eh ma, anche mio padre  è morto

Avv.Cascamale:

aspettate, anche lui morto?, qui c’è sotto qualcosa, sarà opera di … di … questo Mario di sicuro, i due testimoni entrambi morti, farò riesumare le salme e se ci sarà tracce di veleno …

Ferdinando:

veleno?, ma no sono morti di vecchiaia tutti due!

(l’avvocato si gratta nervosamente la fronte)

Avv.Cascamale:

ma scusate, da quanto tempo sono morti?

Ferdinando:

mio padre da due anni e Pasquale da quasi venti

Avv.Cascamale:

ma allora il biglietto in questione, quando è stato giocato?

Ferdinando:

sabato scorso

Avv.Cascamale:

e allora … com’è possibile che vostro padre ha dato i famosi numeri a questo Mario Bertolini?

Ferdinando:

in sogno!

Don Raffaele:

Mario Bertolini ha sognato il padre del Signor  Ferdinando il quale gli ha dato i numeri in  presenza di Pasquale il tabaccaio,     anch’egli a suo tempo defunto.

Avv.Cascamale:

ma allora il sogno è di Mario Bertolini?

Ferdinando:

No!, è questo l’errore, Mario Bertolini abita nella casa dove abitavo io con mio padre e che lasciai per venire ad abitare qui dopo la sua morte, perché abitare nella casa di mio padre mi faceva impressione, dunque la buon’anima di mio padre, credeva di trovare me in quella stanza e non si è accorto che nel letto non c’ero io ma Mario Bertolini, tanto è vero che l’ha chiamato ”bel fasoe” in sogno e mio padre chiamava così me, “bel fasoe” e posso dimostrare che mio padre provava antipatia nei riguardi di questo Mario Bertolini, e mai e poi mai gli avrebbe dato i numeri vincenti

Avv.Cascamale:

questa tesi sembra molto sballata, non saprei … io cosa vado a raccontare al giudice in Tribunale?

Don Raffaele:

Vostro padre, buon’anima, è apparso in sogno a Bertolini e gli ha

dato i numeri, dunque rispettate la volontà del morto, che in fondo ha voluto dare agiatezza anche a vostra figlia, poiché pare che i due giovani si amino.

Ferdinando:

Ma aspettate, ditemi una cosa la buon’anima, lo avete detto voi, la buon’anima, è apparsa in sogno a Mario Bertolini e gli ha dato i numeri sicuri che sono usciti, è vero? E siccome ci troviamo a parlare di anime, ne possiamo parlare seriamente perché voi  siete esperto.

Don Raffaele:

Esperto? signor Ferdinando, io faccio il prete, non faccio il geometra

Ferdinando:

Ad ogni modo mi potete spiegare una cosa, voi sapete se io faccio mancare mai le candele e il lumino davanti alla nicchia di mio padre, voi sapete che io ogni venerdì vado al camposanto, e ci vogliono 10 euro per il taxi per l’andata e 10 euro per il ritorno, e mettiamoci 20 o 30 euro di fiori, sono quasi 50 euro. Quattro messe al mese a 50 euro ogni volta sono altre 200 euro, e tutto questo da quando è morto.

Don Raffaele:

E fate bene, ho sempre apprezzato e lodato il vostro atteggiamento verso la buon’anima di vostro padre.

Ferdinando:

Ogni venerdì sono 50 euro, 200 al mese, più 200 euro di messe, sono 400 euro, fanno 4200 euro all’anno!, è stata l’anima di mio padre che è andata in sogno a Mario Bertolini?, questo mondo dell’aldilà esiste o no?

Don Raffaele:

Certo, non vi sono dubbi e non dovete offenderlo con i vostri dubbi terrestri

Ferdinando:

E allora, io spendo 4200 euro all’anno per candele, trasporto, fiori e messe per mio padre defunto, e il defunto, mio legittimo padre, piglia dei numeri sicuri e li porta ad un estraneo?!, ma scusate, io lo posso giustificare solamente perché, essendo morto, non aveva il dovere di sapere che io avevo cambiato casa e che sto in un quartiere nuovo, ma se l’ha fatto con premeditazione, è stata una birbonata imperdonabile, questo si deve capire, se c’è stata o no la malafede da parte del defunto, rispondete adesso e non mi fregate.

Don Raffaele:

E perché dovrei fregarvi, perdonatemi, signor Ferdinando, voi sembrate un pazzo.

Ferdinando:

insuma se me dì no una spiegasion, alter che diventà mate.

Don Raffaele:

Le messe, caro signor Ferdinando, si fanno celebrare in suffragio dell’anima di un caro estinto ma non è consentito farne una speculazione a scopo di guadagno, anzi, se lo fate con questa speranza, vi comunico che io non le celebrerò più, e scusate, se per ogni messa, che in fondo costa solo 50 euro, si pretendesse di guadagnare 10 mila euro, non ci sarebbe proporzione e lo stato andrebbe al fallimento. Che c’entra l’anima in questa meschinità?, Mario Bertolini ha sognato, i quattro numeri sono solo il frutto della sua fantasia

Ferdinando:

Un mumente!, violtri i dì ch’el spirite, l’ANIMA, de me pader l’è ‘ndai in sogne  a Mario Bertolini, e adess … l’è FANTASIA?

Don Raffaele:

che c’entra l’anima … è sempre la fantasia che lavora

Ferdinando:

E che roba l’è la fantasia? l’è no istes de l’anima?

Don Raffaele:

La fantasia, in questo caso, potrebbe essere un residuo d’immagini che continuano a vivere nel nostro subcoscio, durante il sonno eh … l’anima è un’altra cosa

Ferdinando:

Ah! POTREBBE ESSERE, si no sicùr … e alura l’olter munde ch’eme dì prima?

Don Raffaele:

signor Ferdinando, che cosa volete da me? Io sono un servo del mistero, che si può definire con una sola parola: fede

Avv. Cascamale:

Sentite io non posso portare in tribunale l’anima di vostro padre, il mistero e la fantasia, in tribunale si portano documenti e carte bollate, voi avrete tutte le ragioni possibili ma, il giudice non può correre dietro al mistero dell’anima, io vi consiglio di restituire il biglietto al legittimo proprietario e di accettare le 10 mila euro che vi ha promesso, con questo me ne vado perché ho da fare.

Ferdinando:

ma cume? E alura?

Avv.Cascamale:

Fate come credete, permesso?, i miei rispetti padre. In tribunale ci vogliono prove testimoniali, documenti, carte bollate,

Ferdinando:

E me lasì chì indaparmè?

Avv.Cascamale:

mi spiace, non c’è niente da fare

Ferdinando:

Ma mè paghi le tàse

Avv.Cascamale:

E che significa … le pago pure io

Ferdinando:

Voglio dire, allora non  sono tutelato?

Avv.Cascamale:

Signor Ferdinando, in tribunale bisogna portare carta bollata

Ferdinando:

E me te na todi ‘na sgerla

Avv.Cascamale:

E io la porto in bianco?

Ferdinando:

Perché cume l’è che se porta?

Avv.Cascamale:

Si scrive del caso e … e si scrive?

Ferdinando:

e violtri scrivì!

Avv.Cascamale:

(Esasperato da tanta ignoranza)

eh io non so scrivere di questo caso

Buona giornata a tutti,

sa padre, ho cambiato idea, meglio fare l’avvocato

(esce)

Don Raffaele:

Sentitemi, non vi mettete fra gli imbrogli, tanto è danaro che rimarrà in famiglia, io me ne vado e spero che le mie parole trovino la giusta eco nel fondo del vostro animo.

Ferdinando:

Ho bèla, per me ghè l’animo e per Mario Bertolini  la fantasia.

Don Raffaele:

ma no, ma no, convincetevi e non fate arrabbiare la signora Rosina, non vi ostinate, ricordate! errare è umano, perdonare e dimenticare è divino, io spero che più tardi passiate dalla parrocchia a darmi buone notizie, Buona giornata

(esce)

Ferdinando:

(Rimasto solo gira per la scena come un leone in gabbia)

Ien tùti dacordi cuntra de mè, tuti!, tuti dacordi!, ma me mòli no, i danè ghi a darò mai!

Margherita:

   Sciur Ferdinando, foera gh’è la sciura  Ginetta, la stiratrice, l’è gnuda anca prima, ma violtri ghe sèrun no in cà, la voer parlave insema.

Ferdinando:

       Fala gnì indren

 (Margherita esce e torna con Ginetta)

Ginetta:

Buongiorno sciur Ferdinando

Ferdinando:

se … Buongiorno

e ti ste voeri? va via!

(Margherita esce)

Sciura Ginetta, se l’è una roba lunga na parlarème un’altra vòlta l’è no el mumente giuste, adess

Ginetta:

L’è IMPORTANTISSIMO, voste pader ml’ha racumandade “duman mattina porta chel mesate chi a Ferdinando, fal subite”

Ferdinando:

Papà?

Ginetta:

l’ho sugnade!, ma l’era insì vira … ma insì vira che dopu ho durmide pù, el gh’eva sù la so camisa preferida quela rosa e el m’ha dì ”Ginetta, son fùs, fame setà” e me subite “prego, sciur Lisander, cà mia l’è cà sua” el s’è setade sul mè lete “Ginetta, te cunusi da tanti ani, so che te sen na dona fidada e apèna tì te podi vùtame ” el sudeva … sudeva … c’el disa sciur Lisander ”te ghè da dighe al me fioel che i numeri ierun per lù e no per ch’el malmustus là perchè quande son entrade n’dla camera pensèvi ch’el gh’era lù e pudevi no savè ch’en del me lète ghera ch’el marter de Mario Bertolini me so ch’el bigliete vincente gl’ha lù e el gh’ha no da fas abindulà da quele quater sutane, prete cumpres, sicume ho sbagliade la cunsegna del sogne son in punision e podi pù daghen di oltri ” alura g’ho dì ma sciur Lisander, perché ndì no violtri a dighel al voste fioel? “ da quande l’è ‘ndai via da ca mia me so pu ‘ndel stà”

Ferdinando:

Ma s’è me gnude n’del crapòn per andà via dla cà là.

Ginetta:

“Gineta, scordetel no nè!” sciur Lisander, duman a bon ura ‘ndarò dal so fioel, capide sciur Ferdinando?, fève no ciapà per el cùl

Ferdinando:

Secunde Don Raffaele questa la sarès na fantasia … Sciura Ginetta la disarès le stèse parole in tribunal davanti al giudice?

Ginetta:

sicur, g’ho mia pagura me!, Per lù queste e olter

Ferdinando:

Bon, alura adess pudi andà, e se me pader el turna diseghe ch’el bijete nanca un squadron de carabinieri m’la tiraran via.

Ginetta:

s’el vedi gh’el disi de sicùr

(esce)

Bortolo:

(entra)

Sciur Ferdinando, me son chì, s’la vurèva Gineta?

Ferdinando:

Ien no afari tò

Bortolo:

Sciur Ferdinando, me stanote ho sugnade voste pader

Ferdinando:

Anca tì?

Bortolo:

Perché lì sugnade anca violtri?

Ferdinando:

No ma pensi da vès l’uniche ma … s’el t’ha dì?

Bortolo:

veramente … son no sicùr, ho capide no propi ben, anca perché iersira son stai al’usteria cun gl’amisi e dopu sès bianchèn,  dù rùsi e trì grapèn un fernet per digerì ed un cafè curate anca lù … sèvi no se e che roba fevi lì, sò apèna che l’era tute un sudur e … a dì la verità el campanèva un brisinèn,

Ferdinando:

L’era lù, l’era lù sicur! ma preoccupate no, basta la testimuniansa de la sciura Pineta che tra l’alter l’era no cioca me tì

Bortolo:

       Comunque me son infurmade bèn, gh’è gnen da fa la vincita a la lùturola ghe speta a Mario Bertolini.

Ferdinando:

che?, chi l’è tl’ha dì?

Bortolo:

tuti!, adess la sa tute el munde, e tuti i disun la stesa roba.

Rosina:

       (entrata un poco prima, ha sentito le parole di Bortolo)

tel chi, urmai l’ha sa tute el munde! alura te capisi un tuter, per culpa tua, tuta la nosta famiglia la fa na figura da ciuculatè ma s’te voeri no fa la figùra del cujon, el bigliete gla darò me.

Ferdinando:

Rusìna, ma stè sèn adrè dì, me quel che disi fò!, e ghè nison che pode girame el fioel n’dla cùna,

Rosina:

Ti te podi dì quel che te voeri, ma te vedarè prima o dopu te tucarà daghe ‘ndrè quel toche de carta lì, cun le bune o cun le cative

Ferdinando:

te ghè resòn, cun le cative, perché i g’han da sparàme per ciapal!

Rosina:

Ho bèle viste, i te purtaran a Campagna e te ligaran per ben, e po, i danè te tucara daghi istess.

Ferdinando:

putoste el mangi.

Rosina:

te ghè el testòn pusè dùr de chel marmo chì

Ferdinando:

‘ndelè Mario Bertolini adess?

Bortolo:

Ala lùturola, tute le matine el và a laurà cume semper

Ferdinando:

Alura và a dighe da gni chi sùbete, adess ghe pensi mè.

Bortolo:

Sùbete!

Ferdinando:

no, no subete, IER!

(Bortolo esce)

L’è namò nassude quel che ciapa per el cùl me!

(comincia a cercare qualcosa nella tasche)

‘ndel’è?

(cerca poi nel portafoglio)

che fen l’ha fai?

Rosina:

Che roba?, stè cerchi?

Ferdinando:

el bigliete, ‘ndel’è el trovi pù!

Rosina:

oh Gesù, Gesù, Gesù!

Ferdinando:

‘ndè tlè miss?

Rosina:

A me fò savèl mè, te gl’evi tì!

Ferdinando:

tira fora el bigliete se no me sla ciapi anca cun tì!

Rosina:

ma ier te ghèvi su ‘noltra giachèta magari l’è lì

Ferdinando:

(Guarda un po’ mettendo disordine ovunque)

el ghè no da nisùna parte, g’ho bele guardade

Rosina:

stà calme te pari un’anima in pèna prima o dopu salta fora

Ferdinando:

No!, g’ho da truàl, el gha per forsa da saltà fera!

Margherita:

Sciura ,la m’ha ciamade?

Ferdinando:

stè vori anca tì?

Margherita:

Né! s’el và bisiade ‘na tarantola, l’è no culpa mia!

Stella:

Che cosa è accaduto?

Rosina:

L’ha perse el bigliete

Stella:

Il biglietto di Mario? Ben ti stà, sono contenta

Margherita:

                    ma n’dlì mis  sciur Ferdinando?

Ferdinando:

El ghè pù!

Stella:

       Ora voglio vedere cosa succederà!, ti toccherà inventartene un’altra, nessuno ci crede che hai perso il biglietto?

Ferdinando:

el gh’è pù!, L’avarì mia bècade e nascoste violare du che si dacordi!

Margherita:

Ho mai becade nanca un tulèn da quande son chì

Stella:

poche  scuse, vedrai Mario ti denuncia e farà bene.

Ferdinando:

Ma s’el voer denuncià ch’el gratafurmai lì, putiste, cerchemel tuti quanti se no son bon da sparave a tuti.

(escono tutti)

Bortolo:

(entra guardingo, che non vi sia nessuno, poi si rivolge all’esterno)

Gnì indren , ghè nison

 (entrano Mario Bertolini e l’avv. Cascamale)

Avv.Cascamale:

 Bertolini, io non vorrei farmi vedere subito da sciur Ferdinando capirete, lui mi aveva scelto per primo come avvocato.

Bertolini:

       E’ che c’è di male? Voi fate l’avvocato no? … invece di dire che siete voi venuto da me, dirò che sono venuto io e che vi ho pregato di difendere i miei diritti

Avv.Cascamale:

       Ecco sarà meglio, così salviamo la forma, capite, voi intanto cercate di non urtarlo, fatelo parlare, quando io arrivo con i testimoni se ne parla

(da fuori si odono le voci di Ferdinando, Rosina, Stella e Margherita)

Ferdinando:

adesscerchì in tuti i mobili dela cà

Bortolo:

       ien adrè a gnì, andì fora

(escono Bertolini e l’avv.Cascamale)

(Entrano sconvolte Rosina, Stella e Margherita, in camicia e sottana protestando contro Ferdinando che minaccioso costringe ad attraversare la scena da sinistra a destra)

Ferdinando:

Burtul, i m’han becade el bigliete vincente

Bortolo:

E adess se fì?, Mario Bertolini l’è chì fora ch’el speta

Ferdinando:

Gla fò pu!, nison me crede, ma se el bigliete el ven no fora stavolta in galera ghe vò dabon.

Bortolo:

ì guardade ben in d’le sacocie di calsòn?

Ferdinando:

son mia ‘n marter me tì,l’è stai la prima sacocia che ho guardade l’ho fina sfundada, e comunque adess ghe pensi mè

(apre un cassetto di un mobile e prende una rivoltella)

Fal gnì indren! voeri propi vede se adess el fa no quelche disi mè

(prudentemente scarica la rivoltella)

 feme na bela roba, ti tèn i culpi, se sa mai, vuraresi no andà dabòn in presòn

(consegna i proiettili ad Bortolo che li conserva in tasca)

fall gnì indren

(Bortolo esce Ferdinando siede al tavolo e scrive su un foglio, Bertolini entra seguito da Bortolo che lo rassicura mostrandolgli i proiettili, Bertolini poco convinto entra comunque guardingo e Bortolo esce)

Mario Bertolini:

       Io sono qua, cosa dovete dirmi?

Ferdinando:

 speta ,te vedi no che son adrè a scrive, adess te ghè da savè ‘na roba sula, el bigliete gl’ho pu, ml’an becade

Mario Bertolini:

Vi siete fatto rubare il biglietto? Ma sono cose da pazzi,e voi?, così calmo me lo dite?, Signor Ferdinando, ma vi sentite bene? Quelli sono tanti soldi, tanti euro!, guardate bene, forse l’avete messo da qualche parte e adesso non ve lo ricordate.

Ferdinando:

se t’en frega a tì, el bigliete l’han becade a me, no a tì!

Mario Bertolini:

Ma vi hanno rubato i miei soldi!

Ferdinando:

alura, fame finì, mè cun la mè reputasion podi no andà in presòn per culpa tua, ti te copi c’la letera chi cun la tò scritura e po’ t’la firmi.

Mario Bertolini:

Io senza il mio avvocato non firmo niente.

Ferdinando:

ti te fè quel che disi mè e te tasi

Mario Bertolini:

Io non firmo niente

(Bortolo appare sulla porta e fa segni a Bertolini che i testimoni non sono ancora arrivati)

Andiamo piano, parliamo con calma, Voi avete detto che vi hanno rubato il biglietto? o che lo avete perduto?, comunque sia, Io, non ci credo, come non ci crederà nessuno nel quartiere, come vedete tengo il coltello dalla parte del manico. Facciamo così: fatemi sposare Stella, tirate fuori il biglietto da dove l’avete nascosto e i soldi resteranno in famiglia

Ferdinando:

te se sbagli, me gh’ho no el bigliete e se anca gl’avaresi la mè fiola a ti l’ha do no ma nanca se te saresi ONASSIS!

Mario Bertolini:

Signor Ferdinando, voi siete un tipo particolare, però adesso mi state facendo arrabbiare.

Ferdinando:

se te fè?, te se rabi?, ti?, inutil, te fe du fadighe, e … l’è mei che te s’la fè pasà

 (Bortolo fa segni disperati come prima)

Mario Bertolini:

e allora sentiamo questa dichiarazione

Ferdinando:

(Legge)

“Illustrissimo signor Ferdinando Cortesi …”

Mario Bertolini:

ma che siete diventato il Ministro delle Finanze?

Ferdinando:

stà bòn!, per tì me son olter che ILLUSTRISSIMO!

 (legge)

 “Sono molto dolente se avete avuto fastidi per me in questi giorni, tengo a dichiarare che tutto quello che si è detto intorno alla vincita è falso, il biglietto vincente spetta a voi perché voi solo ne siete il padrone assoluto, dichiaro poi, che dopo 14 anni che ho avuto l’onore di lavorare nella vostra RICEVITORIA, per ragioni personali di salute lascio volontariamente l’impiego senza avere nulla a pretendere circa la liquidazione ” e chì, te meti la to firma, ‘na firma vira, LEGGIBILE!, adess firma!

 (Bortolo fa segno a Bertolini che l’avvocato è in anticamera con i testimoni, poco dopo, Cascamale e i testimoni entrano e rimangono sulla soglia ad osservare).

Mario Bertolini:

Ah, ah, ah! Mi fate ridere signor Ferdinando, voi avete la febbre alta, sentite, io non mi farò imbrogliare da voi La situazione è questa il biglietto l’avete perduto? Male! Ve l’hanno rubato? Peggio! L’avete nascosto? Peggio ancora, perché io vi mando in galera!

Ferdinando:

       (Calmissimo) 

parla nò per gnèn, perchè se me vò in galera, me te fò tirà i scalfen prima

(impugna la rivoltella e la punta verso Bertolini)

Mario Bertolini:

signor Ferdinando, voi siete pazzo?

Ferdinando:

per l’apunto, son mate e me te spari!

Mario Bertolini:

e io non firmo.

Ferdinando:

(Gli accosta la rivoltella alla giacca)

schersi no, me te spari!

Mario Bertolini:

forza, sparate

Ferdinando:

ma guarda che Te mori!

Mario Bertolini:

E che sono scemo?, se sparate si capisce che io muoio!

Ferdinando:

alura te sen propi fora cume l’antena d’la television, … ma te capide s’ho dì … me te masi … e te ghe sèn pù, te sen propi sicùr che te vori vès masade?

Mario Bertolini:

       ma che aspettate signor Ferdinando? Ci ho pensato, rinuncio a farvi ragionare e non me ne importa.

Ferdinando:

Ah, t’en frega gnèn, cumincème a vède el rùs del tò sangue per tera e po vedareme se te sen insì sicur da murì

(gira la rivoltella della parte del manico e colpisce Mario)ciàpa

Mario Bertolini:

aih! Mi avete fatto male, ora potrò denunciarvi!

(entra l’avvocato e per testimoni i fratelli Starnazza)

Avv.Cascamale:

Il signor Mario Bertolini ha voluto la mia assistenza in questa controversia, io faccio l’avvocato e devo difendere i miei clienti bene … bene … appropriazione indebita, diffamazione, estorsione, minaccia a mano armata, ferita per fortuna guaribile … chissà però in quanti giorni, mmh calcoliamo venti giorni, salvo complicazioni … la causa è ottima, e ora consegnatemi il biglietto del mio cliente!

Ferdinando:

gl’ho Pù, lì namò capide? El bigliete ml’han rubade!

Avv.Cascamale:

e chi ci crede!

(si rivolge ai fratelli Starnazza)

Voi ci credete?

I due Starnazza:

no di certo!!

Avv.Cascamale:

Fategli sposare vostra figlia.

Ferdinando:

Scordatel!

Avv.Cascamale:

e non gridate!,

(entrano Rosina, Stella e Margherita, Rosina si avvicina a Ferdinando, Stella a Mario e Margherita fa scena con Bortolo)

Vostro marito l’ha fatta grossa, l’ha ferito.

Stella:

oh Gesù, il sangue! … svengo

(Stella sviene e tutti accorrono a sostenerla e a farle aria)

Avv.Cascamale:

Vi do tempo fino a domani alle quattro e mezza del pomeriggio, e per essere preciso, alle ore sedici e trenta,vi aspetto a casa sua, l’indirizzo lo conoscete perché una volta era la vostra casa, firmerete voi una dichiarazione a lui, che preparerò io, portate vostra figlia e lui metterà una croce su tutto quello che è successo, ALTRIMENTI! appropriazione indebita, diffamazione, estorsione, minaccia a mano armata e ferimento … vi siete rovinato con le vostre mani! La galera non ve la toglie nessuno!

Mario Bertolini:

Come vedete, era meglio che mi sparavate davvero,

Ferdinando:

Và fora lasaròn, ti te vori mandame en galera ma ricordate che prima che ti te gnevi indren ho scargade la pistola per ves sicur che te sparevi no dabon, guardla ben l’è scarga,

(mostra la rivoltella, tira il grilletto puntando la rivoltella verso terra, ne parte un colpo, Ferdinando impallidisce, la donne rimangono atterrite, i Starnazza si abbracciano smarriti, Cascamale cade su una sedia, Mario Bertolini dopo un attimo di smarrimento si inginocchia e bacia la terra)

va via disgrasia, a mumenti per culpa tua ‘ndevi in galera dabòn

Mario Bertolini:

(con un filo di voce)

e io stavo per perdere la vita

Ferdinando:

       e po i disun che te sen no furtunade, se seri me sèri samò in via dei tirenti, e ... ti te vori no el bigliete alura  tò ciapa e va fora da chì

(fruga in una tasca e tira fuori il biglietto, e rivolgendosi al quadro del padre)

Papà el vureva el bigliete e me gl’ho dai, però se dabon el sogne l’era el mè, ecco me gh’el do ma, el gh’ha da patì i me danè, tante disgrasie, vùna per ogni euro de vincita, malatie infettive, frature, el ferlurè per tute el corpe cume el foghe de sant’antoni, a lù e ale so prossime sète generasion.

Mario Bertolini:

non credo alle superstizioni

(Mario Bertolini infila l’uscita e tutti escono lasciando solo Ferdinando)

Papà… me racumandi

(esce)

(SIPARIO)


ATTO II

La stessa scena del I atto

Margherita:

(parlando verso la comune)

Gni indren, Ginetta.

Ginetta:

(è una sciura del popolo, linda nel vestire e modesta nel parlare, in ogni suo gesto franco e leale denota bontà e spirito d’altruismo)

No, l’è che vuraresi no fame sentì da la sciura Rosina, e da Stella

Margherita:

Noo ien ‘ndai propi adess a parlà cul prète Don Raffaele

(e indica la porta di sinistra)

Ginetta:

cul prète?

Margherita:

si!, ien ‘ndai a ciamal stamatina a bunura

La sciura Rosina la m’ha dì

“cur in cesa, dighe a Don Raffaele da gnì el pusè preste ch’el pode”

Ginetta!,

l’è da sabete che NON C’E’ PACE TRA GLI ULIVI!,

l’è samò ‘na stemana ch’el padròn vusa semper

”LA GIUGADA L’E’ MIA E I DANE’ IEN I ME”

el suporti pù.

Ginetta:

por sciur Ferdinando!

Margherita:

si!, l’è propi foera, el m’ha di che ndeva fin dall’aucate,

ROBE DA MATI!

Ginetta:

ma perché?, scùsa, me sembra che, “vos populi”, sciur Ferdinando g’ha resòn!,

Margherita:

ma alura sì no la verità!, la giugada vincente l’è no del padròn, l’è de Mario el garsòn, perché i numeri ia giugadi lù, po sciur Ferdinando l’ha ciapade el bigliete e l’ha cuminciade a dì “i danè ien me, i numeri t’ia dài me pader, el credeva che ti te s’eri me e che me … e che la cà … e … ”

(pensierosa)

po, so pader l’è morte,

Ginetta:

Uè, bada come te parli, se un pader el mor a chi l’è ch’el pensa? Al prime che pasa per strada? Basta, gh’ho da parlà cul sciur Ferdinando d’una roba importantissima, ma sicume el ghè no, ades vò via e turni pusè tardi

Margherita:

(vocio dall’atrio interno)

‘ndì ‘ndì Ginetta che ien adrè a turnà

(Ginetta e margherita escono dalla comune)

Don Raffaele:

(entrando dalla destra seguito da Rosina e Stella)

ci vuole pazienza signora Rosina, Io conosco il carattere di vostro marito Ferdinando, si farebbe uccidere prima di riconoscere un suo errore, cuore d’oro, tutto amore per la famiglia, ma la testa

(fa il gesto del pugno sulla mano)

dura me’l marmu!, bisogna che con calma, poco alla volta, bisogna fargli capire che la sua tesi è completamente errata, con un po’ d’aiuto,

(fa il gesto della questua agitando il cappello)

gli parlerò io, vedrete che sciur Ferdinando, cambierà idea.

Rosina:

Per questo vi ho chiesto di venire, sa che mio marito ha molto rispetto di lei e sono sicura che vi ascolterà.

Margherita:

(dalla cucina reca un vassoio con qualche bicchiere  e una

bottiglia di vino rosso)

Padre, gradite qualcosa da bere?

Don Raffaele:

Grazie, un gesto fatto col cuore non si rifiuta mai

(Margherita versa il vino fermandosi a metà del bicchiere e Don Raffaele riprende la bottiglia e riempie il bicchiere bevendolo subito interamente)

Rosina:

Ce ne hai messo di tempo!

Margherita:

Sono andata in cantina a prendere la bottiglia più fresca,

Don Raffaele:

brava Margherita!, con questo caldo si gradisce proprio un bicchiere bello fresco

(si versa un altro bicchiere)

Rosina:

prego non faccia complimenti, è il vino del nostro podere di collina, lo so che vi piace!

Don Raffaele:

non voglio abusarne vero ma, una volta ogni tanto…

(beve di nuovo e si riempie ancora il bicchiere)

Rosina:

Vai pure tu.

(Margherita esce)

Don Raffaele:

( si rivolge a Stella che imbronciata è seduta in disparte)

su!, non fare così Stella, un nome così bello è una creatura benedetta!, sii positiva!

Stella:

io lo conosco meglio di lei mio padre, se ha detto che la giocata a Mario non la restituirà, è inutile insistere non la restituirà.

Don Raffaele:

Gli parlerò io, te l’ho detto, e vedrai che tuo padre Ferdinando restituirà la giocata al suo legittimo proprietario, solamente dovete  usare una tattica, non dovete urtarlo e soprattutto non parlatene più, vedrete che sarà lui stesso a riprendere il discorso.

Ferdinando:

(entra fregandosi le mani e guarda con diffidenza la compagnia)

Buondì munsignùr se fì chì? el v’ha mandade a ciamà lè?

Don Raffaelle:

Noooo, mi trovavo nelle vicinanze e ho deciso di venire a benedire la casa della signora Rosina, poi sa, una parola tira l’altra e …

(fa una strizzatina d’occhi a Rosina e a Stella)

Ferdinando:

e un bicer tira l’alter …

(si siede)

Rosina:

le dicevo che l’altra domenica in chiesa ha fatto proprio una bella predica, mi ha fatto piangere, e non ero l’unica, anche Stella aveva gli occhi lucidi,

Don Raffaele:

devo dire la verità qui mi vogliono bene tutti, soprattutto perché io non dico parole difficili e non parlo in latino,al popolo bisogna parlare con parole semplici, comprensibili,racconto la vita dei santi aggiungendo fatterelli della vita vera che vengo a conoscenza, senza fare pettegolezzi ovviamente, a questo proposito ultimamente ho avuto un grande successo con Sant’Ubaldo, protettore di Gubbio, ho parlato dei festeggiamenti locali, dei famosi giganteschi ceri, la benedizione della montagna

Ferdinando:

(è sulle spine, guarda l’orologio di continuo e poi è infastidito dal prolungarsi della visita del prete, ad un certo punto domanda a Rosina)

L’è namò gnude?

Rosina:

Chi?

Ferdinando:

Bertolini

Rosina:

L’è gnude e l’è ndai.

(cenno di stizza di Ferdinando)

Don Raffaele:

Venerdì, venerdì è interessante, venite venerdì sera, parlerò di Sant’Agostino

Ferdinando:

(seguendo il filo del suo pensiero)

S’l’ha dì?

Rosina:

Chi?

Ferdinando:

Sant’Agostino no no, Bertolini

Rosina:

L’è gnude a saludate

Ferdinando:

(dopo pausa, visto che nessuno lo interroga)

El bigliete d’la lùturola VINCENTE g’la do no!, i danè ia ciaparà mai!

Rosina:

t’la sé s’el ma dì chel por picinen? l’ha dì ch’el te denuncia no perché te sen el pader de Stella, e se te ghe dè indrè el bigliete el te regala 10 mila euro

Ferdinando:

brau!, el me dà la buna man tame ai fiulen

Stella:

Ma perché per caso sono tuoi i soldi?

Ferdinando:

si! ien propi me!

(sottovoce a Don Raffaele)

la savude la facenda?

Don Raffaele:

mi hanno accennato qualcosa

Ferdinando:

I danè ien i mè, i numeri ghi ha dai me pader!

Stella:

Ma la giocata l’ha fatta Mario e con i suoi soldi!

Ferdinando:

Ti stà mùta, se no te do un slavadente che te sla ricordi finchè te tiri no el scalfèn. Son andai da l’aucate ma el ghera no, alura g’ho lasade a dì da pasà da cà mia che l’er urgente

Stella:

E’ meglio che io vada via, scusate Don Raffaele,

(si alza ed esce piangendo)

Don Raffaele:

non fare così Stella!, non così

(con un cenno, non visto da Ferdinando, invita Rosina ad andarsene anche lei)

Rosina:

Vè chì stelasa d’ora, scusate Don Raffaele,

(esce)

Don Raffaele:

Siete stato dall’avvocato?

Ferdinando:

El pode dì giuro!

Don Raffaele:

giurare è peccato, e lo state aspettando qua?

Ferdinando:

a mumenti dues arivà

Don Raffaele:

E se è lecito che direte all’avvocato.

Ferdinando:

chi vorun girame el fiol nd’la cùna, me vorun fa pasà da mate! che mi vogliono ingannare,

Don Raffaele:

ma chi?

Ferdinando:

Mario Bertolini e i so tirapè.

(indica il fondo del palco a indicare le sue donne)

Don Raffaele:

E chi sarebbero i tirapè?

Ferdinando:

La mè sciura e la me fiola.

Don Raffaele:

Ma signor Ferdinando non mi pare, da quanto mi hanno accennato, che possiate parlare di truffa o inganno

Ferdinando:

e me fi a savel violtri?, ghe vor una persona de lege, un aucate

Don Raffaele:

Fare una causa, non si sa mai come andrà a finire, cominciate a

sborsare quattrini e poi …

Ferdinando:

e se m’enteresa, ades ghò tanti danè che ve quati!

(suonano alla porta, dopo qualche secondo entra Margherita)

Margherita:

L’avvocato Lorenzo Cascamale

Ferdinando:

Tel chi l’aucate, ades voeri propi vede se son mè che ghò tòrte

Don Raffaele:

fate come volete, però pensateci bene, io non posso trattenermi oltre e me ne vado

Ferdinando:

No, sti chì munsignùr, sarà na roba spicia

tì!, fal gnì indren

(Margherita va e torna subito precedendo l’avvocato)

Avv.Cascamale:

(è un uomo sui 57 anni un po’ accasciato, evidentemente provato dall’esperienza, veste un consumato abito d’antica foggia, reca con sé una vecchia borsa sdrucita di vera pelle, ha uno sguardo aguzzo da falchetto avvilito ma pronto a ghermire la sua nuova preda)

Il signor Ferdinando?

Ferdinando:

Son mè.

Avv.Cascamale:

Piacere il nostro comune amico mi ha parlato di voi, eccomi qua, siete stato anche a casa mia, ma io non c’ero, di che si tratta?

Ferdinando:

Adesso vi spiego

(presentando)

il parroco della parrocchia di S.Damiano, don Raffaele, l’avvocato Lorenzo Cascamale

Avv.Cascamale:

Onorato

Don Raffaele:

fortunato

Avv.Cascamale:

la parrocchia di Santi Cosimo e Damiano sicuro la conosco, antichissima. In quella parrocchia si sposò la buon’anima di mia nonna, noi in famiglia abbiamo avuto due preti e un canonico, io stesso fui educato in seminario … già!, … mio padre voleva che facessi il prete Ah!, se ascoltavo il mio papà … l’avessi fatto!, … eh!, i preti stanno bene, ma sa, … io, … già facevo l’amore con la mia poi futura moglie, dalla quale poi, mi sono separato legalmente  ogni tanto mi fa vedere mia figlia ma io ho sempre da fare … la vita è un turbine … ed ora faccio l’avvocato, del resto c’è sempre un’affinità, io assisto i vivi e voi assistete i morti.

Don Raffaele:

veramente non è esatto quel che dite, la nostra prima missione è quella di assistere i vivi e di confortare i moribondi … quando l’avvocato … se n’è ANDATO

Avv.Cascamale:

(incassa ingoiando un po’ d’amaro e con mezzo sorriso)

Già!

(cambiando discorso)

allora?, Signor Ferdinando io sono tutto per voi

Ferdinando:

Setève chì

Avv.Cascamale:

Dunque?

Ferdinando:

si tratta di una truffa bella e buona, Io, ho vinto una grossa somma al lotto, con dei numeri che mio padre ha dato ad un certo Mario Bertolini e il biglietto vincente ce l’ho io.

Don Raffaele:

ma il padre del signore …

Ferdinando:

scusate … fatemi finire … Ora questo Mario Bertolini dice che il biglietto è suo, che la vincita spetta a lui e a me vorrebbe dare 10 mila euro

Avv.Cascamale:

E voi non mollate!, questo Mario Bertolini deve essere senza dubbio pazzo, il biglietto lo avete voi, ritiratevi il premio e chi se visto se visto.

Ferdinando:

e no, perché si è messo d’accordo con mia moglie e con mia figlia, dicono che il biglietto l’ha giocato lui con i suoi soldi.

Avv.Cascamale:

invece l’avete giocato voi.

Ferdinando:

No, in effetti l’ha giocato lui.

Avv.Cascamale:

e allora?

Ferdinando:

ma i numeri glieli ha dati mio padre in presenza di Pasquale il tabaccaio

Avv.Cascamale:

Ah! Ho capito! Allora l’ha giocato lui con i vostri soldi.

Ferdinando:

No, con i soldi suoi.

Avv.Cascamale:

vedete Sig. Ferdinando, così ad occhio e croce non posso darvi un parere preciso, dovrei studiare la cosa nei minimi particolari, il biglietto non è stato giocato neppure in società, perché pare che non esisteva nessuna intesa fra voi e Mario Bertolini, ma siccome egli vorrebbe riconoscervi un premio di 10 mila euro, è già qualcosa. Se come voi dite, vostro padre gli ha dato i numeri in presenza di un testimone, qualche diritto, penso che si potrebbe accamparlo, per adesso voi seguite la vostra strada, ritirate la vincita e se questo Mario Bertolini dovesse agire legalmente … noi chiameremo in causa questo Pasquale il tabaccaio.

Ferdinando:

Non è possibile, Pasquale non può venire a testimoniare.

Avv.Cascamale:

Voi scherzate?, non si può mica rifiutare!, Lo facciamo chiamare dal giudice e … se non si presenta una bella convocazione ufficiale e verrà accompagnato dai carabinieri.

Ferdinando:

ma Pasquale è morto.

Avv.Cascamale:

è morto!?!, oh che disgrazia, beh, non c’è problema, chiameremo vostro padre, esiste un vincolo di parentela ma … si si vostro padre andrà benissimo!

Ferdinando:

eh ma, anche mio padre  è morto

Avv.Cascamale:

aspettate, anche lui morto?, qui c’è sotto qualcosa, sarà opera di … di … questo Mario di sicuro, i due testimoni entrambi morti, farò riesumare le salme e se ci sarà tracce di veleno …

Ferdinando:

veleno?, ma no sono morti di vecchiaia tutti due!

(l’avvocato si gratta nervosamente la fronte)

Avv.Cascamale:

ma scusate, da quanto tempo sono morti?

Ferdinando:

mio padre da due anni e Pasquale da quasi venti

Avv.Cascamale:

ma allora il biglietto in questione, quando è stato giocato?

Ferdinando:

sabato scorso

Avv.Cascamale:

e allora … com’è possibile che vostro padre ha dato i famosi numeri a questo Mario Bertolini?

Ferdinando:

in sogno!

Don Raffaele:

Mario Bertolini ha sognato il padre del Signor  Ferdinando il quale gli ha dato i numeri in  presenza di Pasquale il tabaccaio,     anch’egli a suo tempo defunto.

Avv.Cascamale:

ma allora il sogno è di Mario Bertolini?

Ferdinando:

No!, è questo l’errore, Mario Bertolini abita nella casa dove abitavo io con mio padre e che lasciai per venire ad abitare qui dopo la sua morte, perché abitare nella casa di mio padre mi faceva impressione, dunque la buon’anima di mio padre, credeva di trovare me in quella stanza e non si è accorto che nel letto non c’ero io ma Mario Bertolini, tanto è vero che l’ha chiamato ”bel fasoe” in sogno e mio padre chiamava così me, “bel fasoe” e posso dimostrare che mio padre provava antipatia nei riguardi di questo Mario Bertolini, e mai e poi mai gli avrebbe dato i numeri vincenti

Avv.Cascamale:

questa tesi sembra molto sballata, non saprei … io cosa vado a raccontare al giudice in Tribunale?

Don Raffaele:

Vostro padre, buon’anima, è apparso in sogno a Bertolini e gli ha

dato i numeri, dunque rispettate la volontà del morto, che in fondo ha voluto dare agiatezza anche a vostra figlia, poiché pare che i due giovani si amino.

Ferdinando:

Ma aspettate, ditemi una cosa la buon’anima, lo avete detto voi, la buon’anima, è apparsa in sogno a Mario Bertolini e gli ha dato i numeri sicuri che sono usciti, è vero? E siccome ci troviamo a parlare di anime, ne possiamo parlare seriamente perché voi  siete esperto.

Don Raffaele:

Esperto? signor Ferdinando, io faccio il prete, non faccio il geometra

Ferdinando:

Ad ogni modo mi potete spiegare una cosa, voi sapete se io faccio mancare mai le candele e il lumino davanti alla nicchia di mio padre, voi sapete che io ogni venerdì vado al camposanto, e ci vogliono 10 euro per il taxi per l’andata e 10 euro per il ritorno, e mettiamoci 20 o 30 euro di fiori, sono quasi 50 euro. Quattro messe al mese a 50 euro ogni volta sono altre 200 euro, e tutto questo da quando è morto.

Don Raffaele:

E fate bene, ho sempre apprezzato e lodato il vostro atteggiamento verso la buon’anima di vostro padre.

Ferdinando:

Ogni venerdì sono 50 euro, 200 al mese, più 200 euro di messe, sono 400 euro, fanno 4200 euro all’anno!, è stata l’anima di mio padre che è andata in sogno a Mario Bertolini?, questo mondo dell’aldilà esiste o no?

Don Raffaele:

Certo, non vi sono dubbi e non dovete offenderlo con i vostri dubbi terrestri

Ferdinando:

E allora, io spendo 4200 euro all’anno per candele, trasporto, fiori e messe per mio padre defunto, e il defunto, mio legittimo padre, piglia dei numeri sicuri e li porta ad un estraneo?!, ma scusate, io lo posso giustificare solamente perché, essendo morto, non aveva il dovere di sapere che io avevo cambiato casa e che sto in un quartiere nuovo, ma se l’ha fatto con premeditazione, è stata una birbonata imperdonabile, questo si deve capire, se c’è stata o no la malafede da parte del defunto, rispondete adesso e non mi fregate.

Don Raffaele:

E perché dovrei fregarvi, perdonatemi, signor Ferdinando, voi sembrate un pazzo.

Ferdinando:

insuma se me dì no una spiegasion, alter che diventà mate.

Don Raffaele:

Le messe, caro signor Ferdinando, si fanno celebrare in suffragio dell’anima di un caro estinto ma non è consentito farne una speculazione a scopo di guadagno, anzi, se lo fate con questa speranza, vi comunico che io non le celebrerò più, e scusate, se per ogni messa, che in fondo costa solo 50 euro, si pretendesse di guadagnare 10 mila euro, non ci sarebbe proporzione e lo stato andrebbe al fallimento. Che c’entra l’anima in questa meschinità?, Mario Bertolini ha sognato, i quattro numeri sono solo il frutto della sua fantasia

Ferdinando:

Un mumente!, violtri i dì ch’el spirite, l’ANIMA, de me pader l’è ‘ndai in sogne  a Mario Bertolini, e adess … l’è FANTASIA?

Don Raffaele:

che c’entra l’anima … è sempre la fantasia che lavora

Ferdinando:

E che roba l’è la fantasia? l’è no istes de l’anima?

Don Raffaele:

La fantasia, in questo caso, potrebbe essere un residuo d’immagini che continuano a vivere nel nostro subcoscio, durante il sonno eh … l’anima è un’altra cosa

Ferdinando:

Ah! POTREBBE ESSERE, si no sicùr … e alura l’olter munde ch’eme dì prima?

Don Raffaele:

signor Ferdinando, che cosa volete da me? Io sono un servo del mistero, che si può definire con una sola parola: fede

Avv. Cascamale:

Sentite io non posso portare in tribunale l’anima di vostro padre, il mistero e la fantasia, in tribunale si portano documenti e carte bollate, voi avrete tutte le ragioni possibili ma, il giudice non può correre dietro al mistero dell’anima, io vi consiglio di restituire il biglietto al legittimo proprietario e di accettare le 10 mila euro che vi ha promesso, con questo me ne vado perché ho da fare.

Ferdinando:

ma cume? E alura?

Avv.Cascamale:

Fate come credete, permesso?, i miei rispetti padre. In tribunale ci vogliono prove testimoniali, documenti, carte bollate,

Ferdinando:

E me lasì chì indaparmè?

Avv.Cascamale:

mi spiace, non c’è niente da fare

Ferdinando:

Ma mè paghi le tàse

Avv.Cascamale:

E che significa … le pago pure io

Ferdinando:

Voglio dire, allora non  sono tutelato?

Avv.Cascamale:

Signor Ferdinando, in tribunale bisogna portare carta bollata

Ferdinando:

E me te na todi ‘na sgerla

Avv.Cascamale:

E io la porto in bianco?

Ferdinando:

Perché cume l’è che se porta?

Avv.Cascamale:

Si scrive del caso e … e si scrive?

Ferdinando:

e violtri scrivì!

Avv.Cascamale:

(Esasperato da tanta ignoranza)

eh io non so scrivere di questo caso

Buona giornata a tutti,

sa padre, ho cambiato idea, meglio fare l’avvocato

(esce)

Don Raffaele:

Sentitemi, non vi mettete fra gli imbrogli, tanto è danaro che rimarrà in famiglia, io me ne vado e spero che le mie parole trovino la giusta eco nel fondo del vostro animo.

Ferdinando:

Ho bèla, per me ghè l’animo e per Mario Bertolini  la fantasia.

Don Raffaele:

ma no, ma no, convincetevi e non fate arrabbiare la signora Rosina, non vi ostinate, ricordate! errare è umano, perdonare e dimenticare è divino, io spero che più tardi passiate dalla parrocchia a darmi buone notizie, Buona giornata

(esce)

Ferdinando:

(Rimasto solo gira per la scena come un leone in gabbia)

Ien tùti dacordi cuntra de mè, tuti!, tuti dacordi!, ma me mòli no, i danè ghi a darò mai!

Margherita:

   Sciur Ferdinando, foera gh’è la sciura  Ginetta, la stiratrice, l’è gnuda anca prima, ma violtri ghe sèrun no in cà, la voer parlave insema.

Ferdinando:

       Fala gnì indren

 (Margherita esce e torna con Ginetta)

Ginetta:

Buongiorno sciur Ferdinando

Ferdinando:

se … Buongiorno

e ti ste voeri? va via!

(Margherita esce)

Sciura Ginetta, se l’è una roba lunga na parlarème un’altra vòlta l’è no el mumente giuste, adess

Ginetta:

L’è IMPORTANTISSIMO, voste pader ml’ha racumandade “duman mattina porta chel mesate chi a Ferdinando, fal subite”

Ferdinando:

Papà?

Ginetta:

l’ho sugnade!, ma l’era insì vira … ma insì vira che dopu ho durmide pù, el gh’eva sù la so camisa preferida quela rosa e el m’ha dì ”Ginetta, son fùs, fame setà” e me subite “prego, sciur Lisander, cà mia l’è cà sua” el s’è setade sul mè lete “Ginetta, te cunusi da tanti ani, so che te sen na dona fidada e apèna tì te podi vùtame ” el sudeva … sudeva … c’el disa sciur Lisander ”te ghè da dighe al me fioel che i numeri ierun per lù e no per ch’el malmustus là perchè quande son entrade n’dla camera pensèvi ch’el gh’era lù e pudevi no savè ch’en del me lète ghera ch’el marter de Mario Bertolini me so ch’el bigliete vincente gl’ha lù e el gh’ha no da fas abindulà da quele quater sutane, prete cumpres, sicume ho sbagliade la cunsegna del sogne son in punision e podi pù daghen di oltri ” alura g’ho dì ma sciur Lisander, perché ndì no violtri a dighel al voste fioel? “ da quande l’è ‘ndai via da ca mia me so pu ‘ndel stà”

Ferdinando:

Ma s’è me gnude n’del crapòn per andà via dla cà là.

Ginetta:

“Gineta, scordetel no nè!” sciur Lisander, duman a bon ura ‘ndarò dal so fioel, capide sciur Ferdinando?, fève no ciapà per el cùl

Ferdinando:

Secunde Don Raffaele questa la sarès na fantasia … Sciura Ginetta la disarès le stèse parole in tribunal davanti al giudice?

Ginetta:

sicur, g’ho mia pagura me!, Per lù queste e olter

Ferdinando:

Bon, alura adess pudi andà, e se me pader el turna diseghe ch’el bijete nanca un squadron de carabinieri m’la tiraran via.

Ginetta:

s’el vedi gh’el disi de sicùr

(esce)

Bortolo:

(entra)

Sciur Ferdinando, me son chì, s’la vurèva Gineta?

Ferdinando:

Ien no afari tò

Bortolo:

Sciur Ferdinando, me stanote ho sugnade voste pader

Ferdinando:

Anca tì?

Bortolo:

Perché lì sugnade anca violtri?

Ferdinando:

No ma pensi da vès l’uniche ma … s’el t’ha dì?

Bortolo:

veramente … son no sicùr, ho capide no propi ben, anca perché iersira son stai al’usteria cun gl’amisi e dopu sès bianchèn,  dù rùsi e trì grapèn un fernet per digerì ed un cafè curate anca lù … sèvi no se e che roba fevi lì, sò apèna che l’era tute un sudur e … a dì la verità el campanèva un brisinèn,

Ferdinando:

L’era lù, l’era lù sicur! ma preoccupate no, basta la testimuniansa de la sciura Pineta che tra l’alter l’era no cioca me tì

Bortolo:

       Comunque me son infurmade bèn, gh’è gnen da fa la vincita a la lùturola ghe speta a Mario Bertolini.

Ferdinando:

che?, chi l’è tl’ha dì?

Bortolo:

tuti!, adess la sa tute el munde, e tuti i disun la stesa roba.

Rosina:

       (entrata un poco prima, ha sentito le parole di Bortolo)

tel chi, urmai l’ha sa tute el munde! alura te capisi un tuter, per culpa tua, tuta la nosta famiglia la fa na figura da ciuculatè ma s’te voeri no fa la figùra del cujon, el bigliete gla darò me.

Ferdinando:

Rusìna, ma stè sèn adrè dì, me quel che disi fò!, e ghè nison che pode girame el fioel n’dla cùna,

Rosina:

Ti te podi dì quel che te voeri, ma te vedarè prima o dopu te tucarà daghe ‘ndrè quel toche de carta lì, cun le bune o cun le cative

Ferdinando:

te ghè resòn, cun le cative, perché i g’han da sparàme per ciapal!

Rosina:

Ho bèle viste, i te purtaran a Campagna e te ligaran per ben, e po, i danè te tucara daghi istess.

Ferdinando:

putoste el mangi.

Rosina:

te ghè el testòn pusè dùr de chel marmo chì

Ferdinando:

‘ndelè Mario Bertolini adess?

Bortolo:

Ala lùturola, tute le matine el và a laurà cume semper

Ferdinando:

Alura và a dighe da gni chi sùbete, adess ghe pensi mè.

Bortolo:

Sùbete!

Ferdinando:

no, no subete, IER!

(Bortolo esce)

L’è namò nassude quel che ciapa per el cùl me!

(comincia a cercare qualcosa nella tasche)

‘ndel’è?

(cerca poi nel portafoglio)

che fen l’ha fai?

Rosina:

Che roba?, stè cerchi?

Ferdinando:

el bigliete, ‘ndel’è el trovi pù!

Rosina:

oh Gesù, Gesù, Gesù!

Ferdinando:

‘ndè tlè miss?

Rosina:

A me fò savèl mè, te gl’evi tì!

Ferdinando:

tira fora el bigliete se no me sla ciapi anca cun tì!

Rosina:

ma ier te ghèvi su ‘noltra giachèta magari l’è lì

Ferdinando:

(Guarda un po’ mettendo disordine ovunque)

el ghè no da nisùna parte, g’ho bele guardade

Rosina:

stà calme te pari un’anima in pèna prima o dopu salta fora

Ferdinando:

No!, g’ho da truàl, el gha per forsa da saltà fera!

Margherita:

Sciura ,la m’ha ciamade?

Ferdinando:

stè vori anca tì?

Margherita:

Né! s’el và bisiade ‘na tarantola, l’è no culpa mia!

Stella:

Che cosa è accaduto?

Rosina:

L’ha perse el bigliete

Stella:

Il biglietto di Mario? Ben ti stà, sono contenta

Margherita:

                    ma n’dlì mis  sciur Ferdinando?

Ferdinando:

El ghè pù!

Stella:

       Ora voglio vedere cosa succederà!, ti toccherà inventartene un’altra, nessuno ci crede che hai perso il biglietto?

Ferdinando:

el gh’è pù!, L’avarì mia bècade e nascoste violare du che si dacordi!

Margherita:

Ho mai becade nanca un tulèn da quande son chì

Stella:

poche  scuse, vedrai Mario ti denuncia e farà bene.

Ferdinando:

Ma s’el voer denuncià ch’el gratafurmai lì, putiste, cerchemel tuti quanti se no son bon da sparave a tuti.

(escono tutti)

Bortolo:

(entra guardingo, che non vi sia nessuno, poi si rivolge all’esterno)

Gnì indren , ghè nison

 (entrano Mario Bertolini e l’avv. Cascamale)

Avv.Cascamale:

 Bertolini, io non vorrei farmi vedere subito da sciur Ferdinando capirete, lui mi aveva scelto per primo come avvocato.

Bertolini:

       E’ che c’è di male? Voi fate l’avvocato no? … invece di dire che siete voi venuto da me, dirò che sono venuto io e che vi ho pregato di difendere i miei diritti

Avv.Cascamale:

       Ecco sarà meglio, così salviamo la forma, capite, voi intanto cercate di non urtarlo, fatelo parlare, quando io arrivo con i testimoni se ne parla

(da fuori si odono le voci di Ferdinando, Rosina, Stella e Margherita)

Ferdinando:

adesscerchì in tuti i mobili dela cà

Bortolo:

       ien adrè a gnì, andì fora

(escono Bertolini e l’avv.Cascamale)

(Entrano sconvolte Rosina, Stella e Margherita, in camicia e sottana protestando contro Ferdinando che minaccioso costringe ad attraversare la scena da sinistra a destra)

Ferdinando:

Burtul, i m’han becade el bigliete vincente

Bortolo:

E adess se fì?, Mario Bertolini l’è chì fora ch’el speta

Ferdinando:

Gla fò pu!, nison me crede, ma se el bigliete el ven no fora stavolta in galera ghe vò dabon.

Bortolo:

ì guardade ben in d’le sacocie di calsòn?

Ferdinando:

son mia ‘n marter me tì,l’è stai la prima sacocia che ho guardade l’ho fina sfundada, e comunque adess ghe pensi mè

(apre un cassetto di un mobile e prende una rivoltella)

Fal gnì indren! voeri propi vede se adess el fa no quelche disi mè

(prudentemente scarica la rivoltella)

 feme na bela roba, ti tèn i culpi, se sa mai, vuraresi no andà dabòn in presòn

(consegna i proiettili ad Bortolo che li conserva in tasca)

fall gnì indren

(Bortolo esce Ferdinando siede al tavolo e scrive su un foglio, Bertolini entra seguito da Bortolo che lo rassicura mostrandolgli i proiettili, Bertolini poco convinto entra comunque guardingo e Bortolo esce)

Mario Bertolini:

       Io sono qua, cosa dovete dirmi?

Ferdinando:

 speta ,te vedi no che son adrè a scrive, adess te ghè da savè ‘na roba sula, el bigliete gl’ho pu, ml’an becade

Mario Bertolini:

Vi siete fatto rubare il biglietto? Ma sono cose da pazzi,e voi?, così calmo me lo dite?, Signor Ferdinando, ma vi sentite bene? Quelli sono tanti soldi, tanti euro!, guardate bene, forse l’avete messo da qualche parte e adesso non ve lo ricordate.

Ferdinando:

se t’en frega a tì, el bigliete l’han becade a me, no a tì!

Mario Bertolini:

Ma vi hanno rubato i miei soldi!

Ferdinando:

alura, fame finì, mè cun la mè reputasion podi no andà in presòn per culpa tua, ti te copi c’la letera chi cun la tò scritura e po’ t’la firmi.

Mario Bertolini:

Io senza il mio avvocato non firmo niente.

Ferdinando:

ti te fè quel che disi mè e te tasi

Mario Bertolini:

Io non firmo niente

(Bortolo appare sulla porta e fa segni a Bertolini che i testimoni non sono ancora arrivati)

Andiamo piano, parliamo con calma, Voi avete detto che vi hanno rubato il biglietto? o che lo avete perduto?, comunque sia, Io, non ci credo, come non ci crederà nessuno nel quartiere, come vedete tengo il coltello dalla parte del manico. Facciamo così: fatemi sposare Stella, tirate fuori il biglietto da dove l’avete nascosto e i soldi resteranno in famiglia

Ferdinando:

te se sbagli, me gh’ho no el bigliete e se anca gl’avaresi la mè fiola a ti l’ha do no ma nanca se te saresi ONASSIS!

Mario Bertolini:

Signor Ferdinando, voi siete un tipo particolare, però adesso mi state facendo arrabbiare.

Ferdinando:

se te fè?, te se rabi?, ti?, inutil, te fe du fadighe, e … l’è mei che te s’la fè pasà

 (Bortolo fa segni disperati come prima)

Mario Bertolini:

e allora sentiamo questa dichiarazione

Ferdinando:

(Legge)

“Illustrissimo signor Ferdinando Cortesi …”

Mario Bertolini:

ma che siete diventato il Ministro delle Finanze?

Ferdinando:

stà bòn!, per tì me son olter che ILLUSTRISSIMO!

 (legge)

 “Sono molto dolente se avete avuto fastidi per me in questi giorni, tengo a dichiarare che tutto quello che si è detto intorno alla vincita è falso, il biglietto vincente spetta a voi perché voi solo ne siete il padrone assoluto, dichiaro poi, che dopo 14 anni che ho avuto l’onore di lavorare nella vostra RICEVITORIA, per ragioni personali di salute lascio volontariamente l’impiego senza avere nulla a pretendere circa la liquidazione ” e chì, te meti la to firma, ‘na firma vira, LEGGIBILE!, adess firma!

 (Bortolo fa segno a Bertolini che l’avvocato è in anticamera con i testimoni, poco dopo, Cascamale e i testimoni entrano e rimangono sulla soglia ad osservare).

Mario Bertolini:

Ah, ah, ah! Mi fate ridere signor Ferdinando, voi avete la febbre alta, sentite, io non mi farò imbrogliare da voi La situazione è questa il biglietto l’avete perduto? Male! Ve l’hanno rubato? Peggio! L’avete nascosto? Peggio ancora, perché io vi mando in galera!

Ferdinando:

       (Calmissimo) 

parla nò per gnèn, perchè se me vò in galera, me te fò tirà i scalfen prima

(impugna la rivoltella e la punta verso Bertolini)

Mario Bertolini:

signor Ferdinando, voi siete pazzo?

Ferdinando:

per l’apunto, son mate e me te spari!

Mario Bertolini:

e io non firmo.

Ferdinando:

(Gli accosta la rivoltella alla giacca)

schersi no, me te spari!

Mario Bertolini:

forza, sparate

Ferdinando:

ma guarda che Te mori!

Mario Bertolini:

E che sono scemo?, se sparate si capisce che io muoio!

Ferdinando:

alura te sen propi fora cume l’antena d’la television, … ma te capide s’ho dì … me te masi … e te ghe sèn pù, te sen propi sicùr che te vori vès masade?

Mario Bertolini:

       ma che aspettate signor Ferdinando? Ci ho pensato, rinuncio a farvi ragionare e non me ne importa.

Ferdinando:

Ah, t’en frega gnèn, cumincème a vède el rùs del tò sangue per tera e po vedareme se te sen insì sicur da murì

(gira la rivoltella della parte del manico e colpisce Mario)ciàpa

Mario Bertolini:

aih! Mi avete fatto male, ora potrò denunciarvi!

(entra l’avvocato e per testimoni i fratelli Starnazza)

Avv.Cascamale:

Il signor Mario Bertolini ha voluto la mia assistenza in questa controversia, io faccio l’avvocato e devo difendere i miei clienti bene … bene … appropriazione indebita, diffamazione, estorsione, minaccia a mano armata, ferita per fortuna guaribile … chissà però in quanti giorni, mmh calcoliamo venti giorni, salvo complicazioni … la causa è ottima, e ora consegnatemi il biglietto del mio cliente!

Ferdinando:

gl’ho Pù, lì namò capide? El bigliete ml’han rubade!

Avv.Cascamale:

e chi ci crede!

(si rivolge ai fratelli Starnazza)

Voi ci credete?

I due Starnazza:

no di certo!!

Avv.Cascamale:

Fategli sposare vostra figlia.

Ferdinando:

Scordatel!

Avv.Cascamale:

e non gridate!,

(entrano Rosina, Stella e Margherita, Rosina si avvicina a Ferdinando, Stella a Mario e Margherita fa scena con Bortolo)

Vostro marito l’ha fatta grossa, l’ha ferito.

Stella:

oh Gesù, il sangue! … svengo

(Stella sviene e tutti accorrono a sostenerla e a farle aria)

Avv.Cascamale:

Vi do tempo fino a domani alle quattro e mezza del pomeriggio, e per essere preciso, alle ore sedici e trenta,vi aspetto a casa sua, l’indirizzo lo conoscete perché una volta era la vostra casa, firmerete voi una dichiarazione a lui, che preparerò io, portate vostra figlia e lui metterà una croce su tutto quello che è successo, ALTRIMENTI! appropriazione indebita, diffamazione, estorsione, minaccia a mano armata e ferimento … vi siete rovinato con le vostre mani! La galera non ve la toglie nessuno!

Mario Bertolini:

Come vedete, era meglio che mi sparavate davvero,

Ferdinando:

Và fora lasaròn, ti te vori mandame en galera ma ricordate che prima che ti te gnevi indren ho scargade la pistola per ves sicur che te sparevi no dabon, guardla ben l’è scarga,

(mostra la rivoltella, tira il grilletto puntando la rivoltella verso terra, ne parte un colpo, Ferdinando impallidisce, la donne rimangono atterrite, i Starnazza si abbracciano smarriti, Cascamale cade su una sedia, Mario Bertolini dopo un attimo di smarrimento si inginocchia e bacia la terra)

va via disgrasia, a mumenti per culpa tua ‘ndevi in galera dabòn

Mario Bertolini:

(con un filo di voce)

e io stavo per perdere la vita

Ferdinando:

       e po i disun che te sen no furtunade, se seri me sèri samò in via dei tirenti, e ... ti te vori no el bigliete alura  tò ciapa e va fora da chì

(fruga in una tasca e tira fuori il biglietto, e rivolgendosi al quadro del padre)

Papà el vureva el bigliete e me gl’ho dai, però se dabon el sogne l’era el mè, ecco me gh’el do ma, el gh’ha da patì i me danè, tante disgrasie, vùna per ogni euro de vincita, malatie infettive, frature, el ferlurè per tute el corpe cume el foghe de sant’antoni, a lù e ale so prossime sète generasion.

Mario Bertolini:

non credo alle superstizioni

(Mario Bertolini infila l’uscita e tutti escono lasciando solo Ferdinando)

Papà… me racumandi

(esce)

(SIPARIO)