LA marcia DI Radetzky
Dramma in due tempi
di CARLO CASTELLANETA
PERSONAGGI
Egidio - Amalia
Bolza- Franz
Maria la Zoppa- Cattaneo Cernuschi
SORMANI
Armando - Giacomo
De Luigi- Correnti
Casati- La Signora Casati
Martini- D'Adda
Durini- Borromeo
Litta- Giulini
Un Carrettiere- Una Venditrice di pere cotte
Martinitt portaordini- Carlo Alberto
Radetzky- O' Donnell
Generale Wohlgemuth
La lira austriaca - (svanzica) = 87 centesimi di lira italiana; cento svanziché = 100.000 lire di oggi.
Commedia formattata da
PARTE PRIMA
SCENA I
A sipario chiuso si ode la musica della marcia di Radetzky, pezzo originale dell'epoca. Poi si apre il sipario.
17 marzo. Esterno, sera. L'arrotino Egidio Valenti (30 anni) sta affilando dei coltelli. Il commissario di polizia, conte Bolza (60 anni), passeggia nervosamente intorno a lui. E' una strada di Milano, a Porta Tosa, nel 1848.
Bolza - Sei sicuro di non sbagliarti?
Egidio - Erano là tutti e tre, signor commissario, all'osteria del Cervetto, saranno state le cinque.
Bolza - E cos'hai sentito? Egidio. Quando si sono accorti che ero seduto a un tavolo vicino, hanno cambiato posto, e anzi il Sormani mi ha gridato: «Egidio, hai finito di fare il ruffiano dei toder!... » (Sghignazza).
Bolza - (con dispetto). Come si chiama questo signore?
Egidio - Sormani Peppino, fu Angelo, sta qui al trentadue. Già diffidato.
Bolza - (annotando su un taccuino). Professione?
Egidio - Maestro di musica.
Bolza - E poi?
Egidio - Sulla porta, uno di loro ha detto: « È per stanotte, in casa dell'Attilio ».
Bolza - E chi è questo Attilio?
Egidio - Voialtri volete sapere troppo, per quello che pagate...
Bolza - (lo afferra per il petto). Fuori il nome.
Egidio - ((sarcastico). Attento, signor conte, potrebbe tagliarsi. E con l'aria che tira stasera, finirei per sembrare un patriota anch'io. Se è vero che stamattina l'arciduca...
Bolza - Che ne sai?
Egidio - Allora è vero che è scappato da Milano.
Bolza - Sta' zitto, porca...
Egidio - Qui a Porta Tosa lo sanno già tutti. Avanti, vada su dal Sormani e gli metta le manette.
Bolza - Bravo. Sarà lui a guidarci da questo Attilio, se è vero che c'è una riunione.
Egidio - Non si fida più delle mie informazioni?
Bolza - Non mi fido di nessuno. A Milano c'è troppa gente pronta a cambiare bandiera. Bisogna tenere aperti gli occhi e le orecchie. L'arciduca è partito all'alba con uno squadrone di ussari.
Egidio - Per dove?
Bolza - Pare a Verona.
Egidio - Allora tira aria grama.
Bolza - Brutte notizie da Vienna. E siccome Verona è il posto più sicuro...
Egidio - Anche il Maresciallo?
Bolza - No, per fortuna. Radetzky è qui e non si muove. Perché se qualcuno di quei milanesi che han da cambiare ogni trent'anni imperatore e padroni dovesse accarezzare l'idea di un rebelotto, e provarsi a tentarlo, quel vecchio là, coi suoi ottanti suonati, gliela fa vedere lui!
Egidio - Ma quale rebelotto? Ho fatto un giro anche al borgo della Stella: tutti dietro a bere.
Bolza - Ricordati che se bevono è perché hanno ghelli e lavoro, e se hanno lavoro è perché ci sono i toder. E invece li vorrebbero veder morti, gli austriaci, solo perché c'è della gente in mezzo a loro che soffia sul fuoco.
Egidio - Proprio l'altro giorno. L'Armando era dietro andare a casa...
Bolza - Quale Armando?
Egidio - Il solito, già colpito di precetto. Era dietro andare a casa e mi fa: « Egidio, ci sarà mica in giro qualche tirolese? ». Vi chiamano così voialtri della .polizia. « Perché? », gli dico. « Niente », mi fa. « Ti do dieci svanziche se vai qui al dazio a portarmi dentro una valigia... ».
Bolza - Dovevi avvisarmi.
Egidio - Perché?
Bolza - Gli avrei preparato io una sorpresa.
Egidio - Gli ho detto: « Scior Armando, se ci occorre una sgarzola per una sera gliela trovo quando vuole, ma se è per lavori balossi, come sbattere manifestini giù da un palco o roba compagna... ».
Bolza - Bisogna fermarli. Chiederò un mandato d'arresto.
Egidio - Mandato d'arresto? (Ride) A quest'ora si saranno già riuniti.
Bolza - Dove?
Egidio - In casa del De Luigi, al Carrobbio.
SCENA II
// Bolza e l'Egidio, seduti nel punto in cui stavano prima, volgono le spalle al pubblico e assistono alla scena seguente: 17 marzo: interno, notte. Casa del mazziniano Attilio De Luigi. Sono presenti Cesare Correnti e i patrioti Armando e Giacomo.
De Luigi. Correnti, sei tu che devi buttar giù questo proclama.
Egidio - ((al Bolza). È un mazziniano, Attilio De Luigi, abita al Carrobbio.
Correnti - I punti per me sono quattro: libertà di stampa, guardia civica, convocazione di una rappresentanza nazionale, neutralità dell'esercito imperiale.
De Luigi - E che sia chiaro per tutti, che noialtri vogliamo far da soli. Bisogna far capire che potremo vincere da noi... Armando. Senza tirare in ballo i piemontesi. Giacomo. Guai a noi, se il re viene in nostro aiuto. Ci manca di regalargli Milano perché lui ci metta su la corona di Savoia.
Correnti - (a Giacomo). Avanti, scrivi... Milanesi! (Bussano all'uscio. I presenti si guardano).
Egidio - ((al Bolza). È arrivato il Sormani, il musicista.
Armando - (va all'uscio e pronuncia la parola d'ordine). Liberi.
Voce del Sormani - O morire. (Entra il Sormani).
Bolza - (annota). Agitatore pericoloso.
Sormani - Amici, ma è vero?
De Luigi - È vero. Giacomo l'ha saputo un'ora fa, da un amico che usciva dal Palazzo del Governo. Vi ho fatto subito avvisare, perché stanotte la polizia sguinzaglierà le sue pattuglie. Stanno chiudendo le porte: nessuno può entrare né uscire da Milano senza un lasciapassare austriaco. (Sormani lo abbraccia).
Sormani - (quasi incredulo). Vienna in rivolta contro l'Imperatore!
Armando - Ferdinando ha dovuto piegarsi. Pare che abbia già convocato il Parlamento, che concederà libertà di stampa...
De Luigi - Di sicuro c'è che il Viceré, l'arciduca Ranieri ha fatto le valigie all'alba. L'han visto uscire da Milano che era ancora buio, in carrozza da viaggio.
Sormani - Quell'assassino! Giacomo. È scappato con tutta la famiglia appena ricevuta la notizia di Vienna.
Sormani - Dunque, se scappa il Viceré vuol dire che temono qualcosa. Se lo aspettano che a Milano non staremo con le mani in mano...
Correnti - Sono stati i moti di Parigi, un mese fa, a scuotere i viennesi. Sono stati i nostri fratelli di Francia a dare inizio alla lotta contro le monarchie. Adesso tocca a noi. Ricordate le parole di Carlo Botta? « Aggiungete, o Lombardi, ciò che manca alla Rivoluzione francese e coronate l'opera... ».
De Luigi - E il momento è venuto. Giacomo. Avanti, Correnti, sto aspettando.
Egidio - ((al Bolza). Cos'è? Solo lui è buono a scrivere?
Bolza - Secondo i nostri dati, soltanto tre lombardi su dieci sanno leggere e scrivere. Ma stai sicuro che sono sempre traditori.
Armando - (al Sormani). Correnti ha in mente un proclama. Lo faremo stampare domattina. Io, Giacomo e gli altri penseremo a distribuirlo.
Correnti - (dettando). Cittadini! L'ora è giunta di chiedere al tiranno maggiori garanzie di libertà. Noi chiediamo anzitutto libertà di parola e di stampa... Che sia costituita una Guardia Civica formata di cittadini volontari e che essa venga armata come regolare milizia...
Armando - Perfetto.
De Luigi - E l'esercito austriaco, che resti neutrale!
Correnti - Che il Regno Lombardo-Veneto possa esprimere suoi rappresentanti in seno all'Impero, come di diritto compete a un regno che non sia ridotto a provincia dello Stato austriaco. Chiediamo infine, a salvaguardia di tali istituzioni, la neutralità dell'esercito imperiale.
De Luigi - Bene. Siamo tutti d'accordo, io credo.
Sormani - D'accordo, sì, ma un manifesto non basta.
Correnti - Che cosa vorresti: una rivoluzione?
Sormani - (sfidando l'assemblea). Sì, una rivoluzione. Se non siamo noi a passare all'azione, sappiate che altri gruppi di patrioti sono pronti a rischiare. O ci faremo precedere?
Correnti - Precedere da chi? Dal comitato fantasma?
Sormani - Dal popolo stesso. La tirannia li ha esasperati. Ricordiamoci del 3 gennaio. Sono passati soltanto due mesi da quando i croati ubriachi si scatenarono contro la gente inerme nelle strade... Ricordate come stringemmo i denti, per la rabbia, impotenti allora davanti a quelle canaglie che ci soffiavano in faccia il fumo di sigari e il loro alito di grappa...
Armando - C'ero anch'io in galleria De Cristoforis, quando sbirri e soldati si gettarono sguainando le baionette contro quelli di noi che parevano sfidarli solo con un battito di ciglia...
Egidio - Ma sentili questi eroi!
Correnti - Proprio per questo, amici, dopo quella carneficina nessuno oserà di nuovo provocarli, più di quanto andiam facendo astenendoci dal fumare, dal giocare al lotto...
Sormani - Invece no. Questa volta non staremo a prendere le sciabolate della cavalleria. Possiamo assumere noi l'iniziativa. Basta un colpo di moschetto per chiamare il popolo alle barricate.
Correnti - Barricate! Che parole grosse. Io credo che potremmo, semmai, cominciare con una dimostrazione: portare in corteo al Palazzo del Governo i punti del nostro proclama.
Sormani - Ma sì, facciamo questa bella sfilata, con le nostre coccarde tricolori, fra tanti evviva a Pio IX, intanto che Radetzky guadagna tempo e si prepara a schiacciarci.
De Luigi - Non possiamo fare altro! Almeno finché non saremo in contatto con Mazzini.
Bolza - (sarcastico). E Mazzini è a Parigi, se ne sta al sicuro lui.
Sormani - Non possiamo fare altro fin quando staremo qui a discutere. Ma se non perdiamo tempo, questa notte stessa possiamo sorprendere nel sonno i generali, arrestare i corrieri, dar mano a tutte le campane, isolare i battaglioni nelle loro caserme, propagare l'allarme subito, adesso, da un quartiere all'altro fino alle campagne...
Armando - (a Sormani). Io ci sto.
Correnti - E voi vorreste far tutto questo senza un piano preciso, senza aver preparato un disegno, senza armi, senza denaro...
Sormani - Le armi ci sono, andremo a trarle dai nascondigli. Altre ne toglieremo al nemico. Basterà metterci in contatto col Comitato d'insurrezione...
Correnti - Senza un capo?
De Luigi - (rivolto a Sormani e Armando). Ha ragione Correnti, è una pazzia, sarebbe un suicidio, la fine dei nostri progetti.
Sormani - I nostri progetti, sì: la repubblica! Pensate forse di realizzarla guidando un corteo sotto le finestre del conte O' Donnell?
Correnti - La nostra è stata fino a ieri una società segreta, non un comitato d'insurrezione!
Sormani - Bene. Allora ti dirò che io, e molti altri come me, siamo stanchi di cospirare sulle scartoffie!
Armando - Sicuro! Se il nostro destino deve essere una cella nello Spielberg, allora tanto vale decidersi e tentare, prima che un delegato di polizia venga una notte a metterci le manette mentre stiamo scarabocchiando i diritti dell'uomo!
Giacomo - (getta la penna e toglie di tasca una pistola). Allora sono anch'io dell'idea!
Sormani - C'è la cassa di fucili che abbiamo sotterrato nel giardino di casa sua - (accenna a Giacomo) e un'altra cassa è nel forno di un compagno prestinaio, a Porta Nuova...
Armando - C'è un baule di palle e cartucce che abbiam fatto venire dalla Svizzera...
Correnti - E chi la guiderebbe, questa rivolta?
Sormani - Io ce l'avrei un nome.
Correnti - E sarebbe?
Sormani - Cattaneo.
De Luigi - Cattaneo?
Sormani - È l'unico di noi che sa di strategia e arte militare. Persino dall'Inghilterra gli chiedono consigli di natura tecnica.
Correnti - Cattaneo vi riderà in faccia. È uno studioso, non si butta in queste avventure. (Rumore di carrozza nella strada. De Luigi va alla finestra. Tutti trasalgono).
De Luigi - Nessuna paura: è il Cemuschi.
Bolza - Questo lo conosco; è uno scalmanato, figlio bastardo di un banchiere e di una ballerina.
Sormani - Adesso sentiremo anche lui.
Correnti - Il suo parere lo conosciamo. Lui vorrebbe montare un patibolo sul sagrato e farci salire gli aristocratici al posto dei generali di Radetzky. ,
Armando - Perché, è così sbagliato? Per parte mia sento più odio per i monarchici che per gli austriaci... (Bussano all'uscio. Entra il Cernuschi).
Cernuschi - (concitato). Vengo da una riunione dei municipali.
Correnti - Cosa hai saputo? Cernuschi. Anche il governatore Spaur ha lasciato Milano: la faccenda dev'essere grossa.
Correnti - E il Podestà, cosa conta di fare? Cernuschi. Casati vuol guidare un corteo per chiedere qualche concessione.
Sormani - (a Correnti). Lo vedi? Sul piano delle « dimostrazioni » ci precede persino il conte Casati!
Cernuschi - Dobbiamo agire subito, non farci battere sul tempo da quel branco di opportunisti. Non ci sarà più un'occasione come questa.
De Luigi - Agire in che modo?
Cernuschi - Costituire un nostro comitato d'insurrezione.
Correnti - Insurrezione?
Giacomo - (pestando il pugno). Insurrezione!
Sormani - È quello che proponevo: ma pare che non siamo tutti d'accordo.
Cernuschi - Questo è il meno. Una rivoluzione nasce dalla volontà di pochi. L'importante è che poi trascini tutti.
Correnti - Il popolo non ci seguirebbe in una battaglia aperta. (Pone una mano sulla spalla di Cernuschi) Credimi, Enrico, non è l'ora. Niente è più disastroso delle rivoluzioni fatte a metà.
Cernuschi - E chi ti avviserà, quando sarà l'ora? Un messo da Vienna?
Sormani - Finiamola. Io vado da Cattaneo. (Prende il mantello).
Armando - Vengo con te.
Cernuschi - Sì, Cattaneo. Sarà lui il nostro uomo.
Correnti - Ma cosa credete, che Cattaneo sia Danton?
Cernuschi - Lo so cosa pensi,
Correnti - Tu vorresti esser certo che questa è l'ora. Vorresti vedere della rivoluzione le prime tracce rassicuranti. Ma una rivoluzione nasce al buio, nasce così: nel rischio, nell'incertezza...
Correnti - Siete degli esaltati in cerca di un bel gesto. I più pericolosi siete. Prima di domani sera sarete in ceppi in una cantina del Castello. Andateci, andateci da Cattaneo!
Bolza - (all'Egidio). Fate qualcosa, bisogna fermarli, vai a chiamare una pattuglia. Qui ci va di mezzo il nostro lavoro e anche quello della tua Amalia.
Egidio - Il nostro è un lavoro - ruffiano, questurino, baldracca - è un lavoro che trova sempre padrone.
SCENA III
17 marzo. Interno, sera. Una camera da letto. La prostituta Amalia è a letto con il tenente austriaco Franz Mayer. Su una sedia la sua uniforme. Intorno fanno cerchio tutti gli attori delle scene precedenti. Franz e Amalia stanno cantando una romanza della « Norma », a due voci.
Franz - Mi faresti venire qui, anche senza prendere un pfennig?
Amalia - Se non mi pagano non mi diverto.
Franz - Egidio, allora?
Amalia - Cosa c'entra? L'Egidio è il mio uomo.
Franz - E io non posso essere il tuo uomo?
Amalia - Te? Un ufficiale dell'esercito imperiale... ricevuto nei salotti delle dame... uno che va alla Scala... Be', com'era la « Norma »? (Franz riprende a cantare la romanza, Amalia segue. Si interrompono udendo dei comandi militari in tedesco provenire dalla via).
La voce tedesca - Bracc’arm! (Rumore di fucili) Pied arm! (Idem).
Amalia - Fate istruzione anche di sera, a-desso?
Franz - Sono pattuglie.
Amalia - Ma la ronda è passata da un pezzo.
Franz - Sono pattuglie per controllare se i milanesi sono a « schlafen », e non fanno come a Vienna.
La voce tedesca - Presentat'arm! (Rumore di fucili) Coglione!
Amalia - Cos'ha detto?
Franz - (ride). Ha detto: coglione. (Ridono entrambi).
Altoparlante - (in tedesco). Dietro front! (Rumore di tacchi, la pattuglia si allontana. Franz bacia Amalia).
Correnti - Lo vedete, amici, la nostra plebe solidarizza ancora con il nemico.
Sormani - Datele da mangiare e poi vedrete!
Amalia - (vedendo che Franz si alza). Cosa fai, ti vesti?
Franz - Ordine del Feldmaresciallo: stasera nessuno deve dormire fuori. (Comincia a vestirsi).
Amalia - Senti, Franz, ma cosa succede?
Franz - Tra due giorni è domenica: cosa vuoi che succeda?
Amalia - Perché, vedi: la conosci Maria la Zoppa, che sta al borgo della Stella? Anche lei fa il mio mestiere, anzi credo che abbia preso Radetzky da bambino, eppure dice sempre: « Il giorno che sento suonare le campane vengo giù anch'io a buttarli fuori a pedate ».
Franz - Buttar fuori chi? (Allunga una mano sotto la coperta).
Amalia - Voialtri. (Ridendo) Ahia!
Sormani - Basta, io vado da Cattaneo!
SCENA IV
17 marzo. Interno, notte. Casa di Cattaneo. Questi è in vestaglia, a un tavolino di lavoro. Sormani e Armando attraversano la ribalta e vanno a sedersi di fronte a lui.
Cattaneo - (leggendo un foglio appena scritto). E perciò esortiamo i cittadini a estorcere immantinenti all'attonito governo quanto più si possa d'armamenti e di libertà... (Batte la mano sul foglio) Sì, amici. Questo... di un nuovo libero giornale, mi pare l'unico passo ragionevole, almeno per adesso.
Sormani - Vede, Cattaneo, noi pensavamo invece che lei...
Cattaneo - Domani stesso dovrebbe uscire un editto governativo per annunciare la fine della censura. E quindi avremo anche noi, finalmente, un giornale, potremo far sentire la nostra voce. Lo chiamerò: « Il Cisalpino »!
Armando - Perdoni, professore, ma questo « Cisalpino », io credo che non caccerà mai un austriaco da Milano... se noi non...
Cattaneo - Vi sembra poco, lo so. Voi vorreste attaccarvi alle funi delle campane e chiamare il popolo a... a un sicuro massacro, ecco.
Sormani - E se fosse il popolo, a muoversi da solo?
Cattaneo - L'insurrezione è una macchina che non fa rumore. Voi state facendo troppo baccano. Io capisco, siete giovani e vi prudono le mani. Ma vi supplico, contentiamoci delle concessioni che stiamo ottenendo: la libertà di stampa, la...
Armando - Lei pensa di cacciare i toder con la libertà di stampa?
Cattaneo - Anche! Anzi quello è il primo passo.
Amalia - Ehi! Vogliono che resti disoccupata, quei due lì!
Sormani - Allora, secondo lei, dovremmo lasciare ai municipali tutta l'iniziativa!
Cattaneo - I municipali non si muovono. Ve l'immaginate il podestà Casati prendere la testa dell'insurrezione con la coccarda all'occhiello e la fascia tricolore?
Armando - E invece abbiamo saputo che domattina andrà in corteo al Palazzo del Governo.
Cattaneo - Casati finirà per far mitragliare i suoi cittadini, aspettando, come lui si illude, che arrivino i piemontesi. Di Casati non mi stupisco, lui si comporta a seconda del vento che tira. Ma di voi sì, mi stupisco. Con quali forze pensate di attaccare una guarnigione di ventimila soldati?
Franz - Cala, cala: quattordicimila.
Cattaneo - E voi quanti siete?
Sormani - Per adesso, un centinaio sicuri. Gli altri si aggiungeranno a noi, appena usciremo allo scoperto con un fucile tra le mani.
Cattaneo - Già: il sogno di tutte le insurrezioni. Anche quei due veneziani, i fratelli Bandiera, lo credevano. Poi invece si rimane soli, accerchiati, sopraffatti, aspettando una sollevazione che non arriva...
Armando - Stavolta arriverà: i milanesi non staranno a guardare se noi ci muoveremo.
Cattaneo - La guerra è un'arte, ma anche una sollevazione ha le sue regole. Occorrono migliaia di uomini, ben armati e ben guidati.
Sormani - Abbiamo quarantamila fucili da distruibuire...
Bolza - Hai sentito? E tu cosa diavolo facevi in giro?
Egidio - Ma sono balle, non ci credete.
Cattaneo - Li avete visti, questi quarantamila fucili?
Sormani - Basta chiederli al Comitato d'insurrezione che li riceverà dal Piemonte...
Cattaneo - Sicché, noi dovremo batterci per la nostra causa coi fucili dell'esercito sardo?
Sormani - Sì, se è necessario.
Armando - Non abbiamo altra scelta, professore.
Cattaneo - È una pessima partenza, ammesso che esista questo Comitato. E se anche esiste questo Comitato...
Sormani - Lo so, per Cesare Correnti è un comitato fantasma...
Cattaneo - Se anche esiste, quei ciambellani tanto devoti a Carlo Alberto dovranno ricredersi, poiché il Re non muoverà un dito.
Sormani - Si sbaglia,
Cattaneo - Il Comitato è composto unicamente di monarchici, e a loro le armi non mancheranno.
Cattaneo - No, amici. Vedrete che al momento buono non ci sarà né Comitato né fucili. Hanno avuto una cieca fiducia in Carlo Alberto, e il Re risponderà alla loro fiducia come ha sempre fatto. (Una pausa, cammina) Carlo Alberto non ama la libertà, né può amarla del resto. Noi dobbiamo avere il tempo di armarci, di prepararci alla lotta. Bisogna che l'Italia intera possa essere in grado di aiutarci.
Sormani - Senta, Cattaneo: dal Congresso di Vienna sono passati trentatré anni, l'Austria non è più la padrona dell'Europa. È tempo che anche gli austriaci lo sappiano.
Cattaneo - Lo sapranno, ora che abbiamo riacquistato la libertà di stampa.
Sormani - Correnti ha pronto un manifesto. Lei un giornale. È così che ci metteremo alla testa del popolo? O il popolo... farà a meno di cercarsi i suoi capi.
Cattaneo - Senza capi non si fanno rivoluzioni. Si fanno solo rivolte. Se è una semplice insurrezione, che volete, potete fare a meno di me.
Armando - D'accordo, professore. Ma una rivoluzione, mi perdoni, non si fa con i pezzi di carta. Si fa con le Bastiglie, col sangue. Radetzky ha sottomano un esercito per cancellare subito le nostre belle frasi!
Cattaneo - Non è vero. Radetzky è incerto, senza direttive. Questo è il momento per imporgli le nostre condizioni.
Sormani - E sarebbero?
Cattaneo - L'allontanamento delle truppe straniere che fanno ancora parte dell'esercito. Via gli austriaci, i tedeschi, i croati, gli ungheresi...
Armando - Radetzky non sarà così ingenuo da accettare.
Cattaneo - Poi concordare un patto di neutralità fra tutte le nazioni dell'Impero, qualcosa che somigli alla vicina Confederazione.
Sormani - Fare del Lombardo-Veneto un'altra Svizzera?
Cattaneo - Una specie. Ma io penso all'Italia intera. Allora, ogni regione nostra, Lombardia o Romagna, Veneto o Toscana, ciascuna rispettando i diritti, le tradizioni, i caratteri dell'altra, spontaneamente si unirebbero in uno Stato confederato, in una vera nazione.
Sormani - D'accordo, questa è la mèta. Ma come arrivarci? Con le riforme di Pio IX?
Cattaneo - Riforme, sì. Vi fa tanto orrore questa parola, nelle condizioni in cui siamo di servi dell'Austria? Non è detto che la strada del progresso debba passare per forza attraverso la ghigliottina!
Armando - La libertà, la libertà vera si conquista solo nella lotta. Il resto sono belle parole.
Cattaneo - Ma voi negate la forza delle idee. Negate il potere infinitamente più distruttivo che un ideale giusto esercita sul nemico!
Armando - Un ideale santo, come dice Mazzini.
Cattaneo - (sdegnato). E voi chi siete, da porvi sopra Mazzini, da voler incarnare lo spirito di una rivolta che non immaginate neppure dove si fermerà?
Sormani - Noi siamo il popolo, Cattaneo, e il popolo è sordo, settario, intransigente, testardo anche, nel volere la testa del suo nemico.
Franz - E come farete, se le vostre ragazze vengono a letto con noi? (Amalia ed Egidio ridono).
Cattaneo - Bene, amici. Vi ho detto il mio pensiero. Se voi volete la lotta, se preferite il sangue, fate pure. Ma vi avverto che è una battaglia perduta.
Sormani - Peccato. Eravamo venuti a offrirle di prendere la guida dell'insurrezione...
Cattaneo - Mi dispiace, ma io stanotte ho da fare. E badate a non spingere sotto la mitraglia un popolo inerme. (Sormani e Armando si avviano).
Sormani - (sull'uscio). Questo popolo inerme farà vedere al mondo di che cosa è capace. Addio.
Cattaneo - Voglio dirvi ancora una cosa. Ricordate che in una rivoluzione i primi che si muovono sono i primi che si bruciano. E coloro che ne traggono maggior partito sono gli ultimi che vi presero parte.
Armando - È per questo che lei ci invita ad aspettare?
Cattaneo - No, non è per questo. Ma tenetene conto.
Armando - Non importa se ci bruceremo. Altri verranno, dopo di noi.
Cattaneo - Se uscirete vincitori! Ma se sarete battuti? Non ci sarà più nessuno, dopo, a portare avanti la lotta. C'è una cosa di cui non vi rendete conto: l'Austria non è un fantoccio in uniforme. È una macchina da guerra.
Sormani - Non più. Da ieri l'Austria è una macchina di funzionari, una massa di impiegati regi che amministra un esercito. Ebbene, noi affronteremo questa macchina!
Cattaneo - (tende la mano, gelido). Allora, buona fortuna.
SCENA V
18 marzo, mattina. La scena si apre con un grande applauso di tutti gli attori in scena all'indirizzo del podestà Casati, che sta al centro con la sciarpa tricolore a tracolla. Gli attori già in scena hanno qui la funzione della folla anonima.
Casati - (leggendo da un foglio). « Sua Maestà l'Imperatore ha determinato di abolire la censura e di far pubblicare sollecitamente una legge sulla stampa, nonché di convocare gli Stati dei regni tedeschi e slavi, e le congregazioni centrali del Regno Lombardo-Veneto... L'adunanza avrà luogo al più tardi il 3 del prossimo venturo mese di luglio ». (La folla applaude).
Correnti - Viva il podestà Casati! (Entra Maria la Zoppa, seguita da un carrettiere e da una venditrice di pere cotte. Maria la Zoppa. Ci vuol altro che questi proclami. Cosa ci fa a noi, della censura? Casati. Grazie. Grazie, cittadini. Adesso però è necessario che noi sciogliamo la nostra manifestazione onde evitare... Il Carrettiere. Andèm in Monforte, invece!
Maria la Zoppa - Fifoni, al Palazzo del Governo!
Armando - La bandiera, portate una bandiera!
La Venditrice - I bei percott, i bei percott!
(Tutti cominciano a segnare il passo).
Casati - Un momento, fermatevi. Cittadini, ascoltate... (La sua voce è coperta dai passi sempre più forti e da grida).
Bolza - (all'Egidio). Eh, se fossi anche tu un cospiratore, non ti toccherebbe mica di fare il moietta.
Egidio - Li ha visti, commissario? Hanno il cilindro, il bastone, eleganti come figurini, ci manca solo il sigaro di marca.
Bolza - Eh, no. Niente sigaro: se no dov'è la guerra ai tabacchi? Ehi, ma dove se ne stanno andando? (// rumore dei passi aumenta d'intensità).
Il Carrettiere - Dovevate vedere le guardie che c'è in giro stamattina. Prima di farmi entrare dalla Porta Tomasina, mi hanno buttato per aria tutta la merce che avevo sul carro. Ci ho detto: vado in Verziere, no? Macché: cercavano i fucili...
Sormani - Avanti, milanesi, non state alla finestra, venite giù con noi! Armando e Giacomo. Giù con noi, al Palazzo del Governo!
Egidio - ((verso l'alto). E voialtri, eroi, perché non venite? (/ clamori aumentano. Si ode una scarica di fucileria, poco lontano). Maria la Zoppa. Lazzaroni, stanno sparando!
Cernuschi - Attacchiamo il corpo di guardia, bisogna entrare nel Palazzo.
Casati - Fermi, fermi, non sentite che sparano?
La Folla - Viva il podestà Casati! Maria la Zoppa. Avanti, facciamogli vedere chi siamo!
Bolza - (all'Egidio). Ma chi è questa qui? Non me l'hai mai segnalata.
Egidio - Ma niente, è una baldracca, è Maria la Zoppa, di Porta Tosa. Ehi, guardi là! (Una sentinella austriaca cade pugnalata, con un grido. Dietro la sentinella compare il conte O' Doniteli).
La Folla - C'è qui il Podestà, è arrivato Casati! Viva il Podestà di Milano! (Casati si fa avanti e stringe la mano al conte O' Donnell. Sono entrambi pressati dalla folla).
O’ Donnell - Fate sgomberare subito questa gente.
Casati - Guardateli, sono scatenati. La municipalità non è responsabile.
O’ Donnell - Insomma, fate qualcosa.
Casati - Io sono intervenuto a questo corteo per calmare gli animi. Ma come primo cittadino non posso darvi alcuna garanzia... (Si fa avanti Enrico Cernuschi e punta una pistola contro il vice-governatore O' Donnell).
La Folla - Viva Cernuschi! Ammazzalo subito! Fateci entrare, lo ammazziamo noi!
Cernuschi - (a D' Donnell. Scrivete immediatamente quanto vi dico. Primo: concessione della Guardia Civica. Secondo: destituzione della direzione di Polizia. Terzo: ordine alla Polizia di consegnare le armi al Municipio! (Tutti applaudono con evviva).
SCENA VI
18 marzo. Interno, notte. Abitazione del Podestà. Casati e la moglie stanno consumando la cena.
La Signora Casati - Allora è vero che Mettermeli è scappato da Vienna?...
Casati - È vero. A Vienna comanda la piazza, e la stessa cosa succederà a Milano se non li fermiamo in tempo.
La Signora - Gabrio, ho paura. Come Podestà tu sei quello più esposto, il più in pericolo. Oggi non avresti dovuto farti vedere in testa al corteo.
Casati - Devo pur fare qualcosa, cercare di frenarli, almeno.
Armando - Li conosco questi discorsi, gli faranno un monumento o una via, vedrete...
Casati - C'ero quasi riuscito quando il Cernuschi, un bauscia dei soliti, punta una pistola contro O' Donnell, lo costringe a firmare tre decreti, se lo porta dietro in ostaggio, e quando siamo sbucati col corteo in San Babila, pam pam pam, un drappello austriaco ha cominciato a spararci addosso. Cosa potevo fare?
Franz - Esempio di eroe controvoglia.
Casati - Ci siamo rifugiati in una casa, in contrada Montenapoleone, e lì abbiamo fatto un consiglio di guerra. Greppi, Bellotti, Bei-gioioso hanno mandato un appello a Ra-detzky, che intanto ha lasciato la sua casa e si è chiuso in Castello... Il conte Martini e il marchese D'Adda partono all'alba per Torino, con un appello nostro al re Carlo Alberto. La Signora. Borromeo cosa dice? Casati, è molto preoccupato. Intanto alle sette, dal Castello, mi è arrivata in Municipio la risposta del Maresciallo. (Uno spot illumina Radetzky).
Radetzky - (leggendo). « Milano si trova da questa mattina in aperta ribellione contro il governo di Sua Maestà... Se è vero che la municipalità desidera in questo momento la tranquillità e il bene di Milano, devo intimarle di cooperare che si depongano istantaneamente tutte le armi... Se poi, ad onta delle mie giuste aspettative, si volesse prolungare questa fatalissima lotta, mi troverò nella dolorosa necessità non solamente di bombardare la città, ma pur anche di usare tutti i mezzi che mette nelle mie mani un'armata di centomila uomini e duecento cannoni... ».
La Signora - Gabrio, cosa succederà...
Casati - Domani Stesso, con un salvacondotto, lascerai Milano in carrozza.
La Signora - Ma a noi non possono far del male. Abbiamo un figlio ufficiale nell'artiglieria piemontese, è vero, però l'altro figlio è all'Università di Innsbruck.. E Borromeo? Anche lui ha un figlio nei dragoni austriaci...
Casati - Bisogna aspettare che si muova il Re. Senza l'aiuto del Piemonte ci faremmo massacrare, non solo, ma la teppa prenderebbe il comando dell'insurrezione. Maria la Zoppa. Viva la teppa, viva l'Italia!
La Signora - E se arrivano i piemontesi? Con tutte le decorazioni che hai avuto dal Governo imperiale...
Sorniani - Niente paura. Lui ha anche la croce di San Maurizio e Lazzaro di casa Savoia!
Casati - Carlo Alberto saprà tra ventiquattr'ore che l'aristocrazia milanese non si muoverà senza un suo ordine. Perché i giacobini aspettano solo il momento di far bordello, e la plebaglia con loro, illusa che a cambiar padrone si cambi vita.
La Signora - Oh, a quelli gli basta di vedere il mondo a soqquadro, e se possibile trar partito dalle difficoltà del prossimo.
Casati - Il guaio è che sono imbevuti di retorica e di belle parole. Lo sai cosa ha gridato uno di quegli agitatori, in mezzo al corteo?
Cernuschi - « Si vedrà, sulle barricate, se noi milanesi siamo figli di longobardi o del Carroccio che sconfisse il Barbarossa. Perché, fratelli, il Barbarossa è ancora tra noi, è lui, il Radetzky! ».
Casati - Come se non fossimo anche figli di Agilulfo, di Desiderio, di Teodolinda, noi che non disdegniamo di essere come quelli operosi e obbedienti, che abbiamo fatto di Lombardia il regno del lavoro e dell'ordine, del rispetto e della religione...
Sorniani - E del capestro! Sì, perché il timor di Dio si accompagna sempre con l'uso della forca.
La Signora - Qui si bestemmia!
Sorniani - No! Nessuno è più religioso degli Asburgo, e nessuno più spietato nel reprimere la libertà dei popoli.
Giacomo - Senza contare che non sappiamo niente di questo Re piemontese, se è meglio o se è peggio di un Asburgo!
Casati - Tutto questo perché gli manca il coraggio di dire che cosa vogliono.
La Signora - E cosa vogliono? Casati, (sottovoce). La repubblica.
La Signora - Mio Dio!
Casati - Sono due mesi che invito in tutti i modi la cittadinanza alla calma, a non raccogliere le provocazioni. Non serve: vogliono l'insurrezione. E siccome il primo a muoversi è stato il popolaccio, vuol dire che questa insurrezione non è solo contro gli austriaci.
La Signora - E allora contro chi?
Casati - Contro di noi, contessa Casati
SCENA VII
19 marzo, mattina. Interno, giorno. Abitazione di Amalia. Egidio e Amalia attraversano la ribalta e prendono il posto dei coniugi Casati allo stesso tavolo. In lontananza si odono le campane a stormo che chiamano i milanesi alla rivolta.
Egidio - Senti come suonano.
Amalia - Sembra un incendio.
Egidio - Saranno là, guarda, tutti: a cominciare dal Peppino, fratello del Sormani, poi la Zoppa, poi... aspetta che ti dico io chi c'è...
Amalia - L'Armando del Verzée...
Egidio - L'Armando del Verzée; quell'altro, come si chiama, quel piscinìn...
Amalia - Il Micio?
Egidio - No, il Micio, quell'altro, be' insomma; poi il Colombo...
Amalia - Ma va', il Colombo pensa solo alla sua bottega...
Egidio - Ti dico io. invece, che quello lì sa fare i suoi interessi, e sarà anche uno che comanda... (Pausa) Ma ostia come suonano!
Amalia - Di Porta Tosa ci manchi solo te,
Egidio -
Egidio - Se vuoi vado giù anch'io, a prendere la testa dell'insurrezione contro l'odiato tiranno...
Amalia - Ma la Zoppa cosa ci fa? Cosa ci fa coi patrioti, 'sta guanguana!
Egidio - ((sarcastico). Si illudono che stavolta cambi qualcosa, prima i francesi, poi gli austriaci, adesso i piemontesi, ma quelli che comandano saranno sempre gli stessi e noi staremo sempre dove stiamo, cioè, all'ultim basell!
Amalia - Parli di noi due?
Egidio - Parlo di tutti. Tutti quelli che si fanno imbrogliare dalle fanfare, dalle campane, dai manifesti, dalle belle frasi... Libertà: ma cosa vuol dire? Libertà di cambiare padrone!
Amalia - Egidio, credi che resteremo senza lavoro?
Egidio - Ma no, di te avranno sempre bisogno: almeno fin che ci saranno militari, viaggiatori, mariti insoddisfatti. Non è questo il punto. È che non avremo mai altro scopo che cercare di sopravvivere, tra una rivolta e una restaurazione, tra una carestia e un colpo di Stato. Valenti Egidio: presente, semper chi a molare i coltelli. Meroni Amalia, analfabeta, giù la testa che ti pagano dieci svanziche per dieci posizioni differenti... Maria la Zoppa. A nome della categoria, io protesto!
La Signora Casati - È un'indecenza, fateli tacere; questa è una vergogna per la nostra città.
Armando - (sghignazza). Ma, non vedete: scherzano, brava gente.
Amalia - Però quando c'erano i francesi, diceva sempre la mia mamma, quelli sì erano prepotenti, le ragazze poi non le lasciavano stare, mica come i toder, che son fin troppo educati e rispettosi della donna...
Bolza - Brava! E le industrie che han messo giù in Lombardia? E le filande?
Amalia - E puntuali, precisi nel pagare, mai un ghèllo di meno.
Egidio - Chissà che ora è.
Amalia - La tosa del Paride se la passerà brutta, per via che ci parlava a un ufficiale degli ussari. E suo papà è sempre stato dalla parte degli austriaci...
Egidio - Che vada dalla parte dei piemontesi, per questi giorni. Non sarà mica la prima volta che succede, qui a Milano. Sui muri c'è scritto chiaro: bisogna presentarsi al Broletto per farsi iscrivere nella Guardia Civica...
Amalia - Presentarsi chi?
Egidio - C'è scritto: «...tutti i cittadini dai venti ai sessanta anni che non siano costretti a vivere del guadagno giornaliero... ».
Amalia - Allora, Egidio, sei dentro anche te!
Egidio - Si capisce. Che ora è?
Amalia - Tu è meglio che non ti fai vedere in giro.
Egidio - ((urlando). T'ho detto che ora è?
Amalia - Va' sulla forca; dove devi andare?
Egidio - Quando c'è una rivoluzione, vuol dire che c'è una torta da spartire. Vado a vedere se c'è una fetta anche per me. Amalia - (parandosi davanti a lui). Tu di qui non vai fuori. Ormai lo sa tutta Milano che lavori per il
Bolza -
Egidio - Lavoravo. Senti queste campane? Adesso il mio principale si chiama Carlo Alberto re di Sardegna.
SCENA VIII
20 marzo. È l'alba. Interno della reggia di Torino. Il conte Enrico Martini e il marchese Carlo d'Adda a colloquio con il Re. Carlo Alberto è in atto di pregare sul suo inginocchiatoio. Martini e D'Adda gli si inchinano.
Il Re - Dunque, che succede a Milano?
Martini - II nostro Podestà, conte Casati, desidera che Sua Maestà prenda visione di questo appello, firmato da ventitré membri della Congregazione municipale. (// Re prende il rotolo, lo apre e lo restituisce).
Il Re - Leggete.
Martini - (legge). « La città di Milano, per compiere la sua vittoria e cacciare per sempre fino al di là delle Alpi il comune nemico d'Italia, domanda il soccorso di tutti i popoli e principi italiani, e specialmente del vicino e bellicoso Piemonte ».
Sorniani - Bellicoso chi? I generali piemontesi non sanno neppure leggere una carta geografica! (De Luigi, Armando e Giacomo ridono).
Il Re - Sperate in una vittoria? D'Adda. Solo la Maestà Vostra può dirlo, se il suo esercito scenderà in nostro aiuto al più presto.
Il Re - Ho l'impressione che questa vostra insurrezione sia a dir poco prematura, anzi inopportuna.
Martini - L'insurrezione non è stata nostra, Maestà, ma della plebe. Anzi, di alcuni pochi che ve la trascinarono. Vostra Maestà conosce le influenze che eccitano le rivolte, e il malcontento che le aiuta, e anche il poco senno che le conduce e le tristi conseguenze che ne derivano. Ma questa volta il pericolo...
Il Re - Pericolo?
Martini - La repubblica, Sire. I circoli repubblicani, voi lo sapete, non attendono altro che di porsi alla testa della rivoluzione, scacciare gli austriaci e proclamare la repubblica. D'Adda. Un corpo di cavalleria piemontese, se partisse domani all'alba, potrebbe essere a Milano per mezzogiorno, la fanteria e l'artiglieria per sera; ma se tardano la rovina sarà grande. (// Re china il capo tra le mani, come se pregasse).
Martini - Tutta Milano vi attende, Maestà.
Il Re - E Mazzini dov'è?
Martini - Non lo sappiamo, ma certamente non è ancora in città. Vedete, Maestà, che dobbiamo batterli sul tempo, prima che essi abbiano il tempo di organizzare un piano.
Il Re - Capisco, signori. I giacobini sono molto più pericolosi degli austriaci. Ma siete sicuri che nessuno di loro abbia chiesto aiuto anche alla Repubblica francese? Martini e D'Adda. Non ancora, Sire.! l Re. Certo, una rivoluzione soffocata dallo stesso cannone austriaco potrebbe dissuaderli dal tentare in futuro miove avventure...
Martini - Il fatto è che, questa volta, ci sono buoni motivi per credere che il popolo, opportunamente armato, si batterà. E forse mentre noi ne stiamo discutendo, nelle vie stanno già sorgendo barricate e bivacchi...
D'Adda. La nostra convinzione è che questa non è una rivoluzione nazionale, non una lotta generosa per l'indipendenza e la libertà, ma piuttosto una « insurrezione sociale ».
Il Re - (allarmato). Voi dite?
D’Adda - Nelle campagne essa sta suscitando l'entusiasmo dei contadini, i quali si illudono che, partiti gli austriaci, diventeranno padroni loro della terra. Costoro non mirano certo alla libertà dell'Italia, nome che essi conoscono appena. È spirito di vendetta, non patriottismo, che anima questa gente!
Casati - Non c'è che il patriottismo liberale che sia l'unico rimedio alla rivolta sociale.
Cernuschi - Farabutti, il vostro patriottismo è solo nel portafogli!
Egidio - ((ironico). Silenzio, questa è la reggia di Torino!
Il Re - Conte Martini, riferite alla Congregazione che mi occorre qualche giorno prima di decidere un intervento militare che potrebbe essere per il mio Regno di portata incalcolabile, e che esso avrà luogo non appena avrò ricevuto segni tangibili che la battaglia è in corso, voglio dire che non si tratta di una mascherata del vostro carnevale ambrosiano...
Martini - Non saremmo giunti fin qui, rischiando le nostre vite, se il momento non fosse grave, tale da non permetterci di perdere un solo minuto, e così, Maestà, dev'essere per il vostro esercito.
Il Re - Il mio esercito è schierato in gran parte ai confini delle Alpi. Dopo quanto è avvenuto a Parigi, le mie truppe debbono vigilare affinché i francesi siano dissuasi dall'invadere la Savoia. Vedete, Martini, solo l'indipendenza del mio Regno può garantire, militarmente parlando... (si alza dall'inginocchiatoio) la possibilità che gli altri domini italiani possano un giorno affrancarsi dalla servitù allo straniero. E questo 1848 può essere un anno di gravi avvenimenti, se noi non ci lasceremo guidare dalla prudenza.
D’Adda - Con il vostro aiuto libereremo l'intera Lombardia.
Il Re - Non col mio aiuto. Con l'aiuto di Dio. (/ due messi si inchinano per congedarsi) In che modo contate di rientrare a Milano? Gli austriaci avranno chiuso tutte le porte.
Martini - Alla Porta Comasina mi attende un carrettiere che entrerà a portare un carico di sale alle caserme. Passeremo con lui.
Il Re - (congedandosi). Dio sia con voi. Per il vostro successo farò penitenze. (Sormani, Armando e Giacomo ridono. Martini e D'Adda si allontanano retrocedendo).
Casati - Bella forza, pigliar per il sedere Carlo Alberto. Provatevi a farlo con Mazzini.
Sormani - Noi siamo pronti a discutere anche Dio, non come voi che tenete in segreto le vostre riunioni!
SCENA IX
20 marzo. Interno, giorno. Seduta del Consiglio di guerra in Casa Taverna, in via Bigli. In una sala sono presenti: Cattaneo, Cesare Correnti, Sormani, Cernuschi. In un'altra sala, invisibili, sono riuniti i membri della municipalità. Si odono lontano, a intervalli, colpi di cannone.
Sormani - Che fanno là dentro, i signori ciambellani? Discutono ancora?
Cernuschi - Il popolo ormai è nelle strade. Stanno alzando barricate dappertutto! Hai visto, Cattaneo?
Cattaneo - Voi insistete perché io prenda il comando militare di questa guerra senza soldati. E va bene, lo prenderò, perché questo è il mio dovere di italiano, ma non perché mi illuda in una vittoria.
Sormani - Se ci fossimo mossi subito, per primi! Saremmo noi a quest'ora a sparare dall'alto del Duomo, invece dei granatieri austriaci.
Cattaneo - La guerra è un'arte, amici, e non dimentichiamo che di fronte abbiamo un esercito, anzi il più potente esercito d'Europa.
Cernuschi - Un esercito diviso, però. Venezia è scesa in lotta da due giorni. Dicono che Daniele Manin e Tommaseo sono stati liberati a furor di popolo!
Correnti - Proporrò ai municipali che Cattaneo prenda il comando delle operazioni.
Cattaneo - Veramente, io sono membro involontario e improvvisato in questo Consiglio di guerra...
Sormani - Cosa diavolo fanno là dentro. E perché ci tengono fuori dalle loro sedute, come nell'89 i deputati del Terzo Stato...
Cattaneo - Andremo anche noi nella sala della Pallacorda... La prima cosa, per intanto, è che venga costituito un Consiglio di guerra formato di pochi e deliberati! Siamo al terzo giorno dell'insurrezione e le barricate, ad esempio, sono ancora affidate all'iniziativa dei singoli.
Cernuschi - Ho visto nascere la prima sul borgo Monforte, quando la cavalleria ci ha caricato. Ma adesso le barricate non devono più sorgere per caso. Occorre una strategia e un comando unico.
Cattaneo - Ho qui una carta cittadina. Ecco, questi sono i capisaldi austriaci: Palazzo del Genio, Caserma San Vittore, Broletto, Polveriera...
Cernuschi - Un certo Carnevali ha ideato delle barricate mobili; possiamo fabbricarne subito, in modo da colpire e scomparire!
Cattaneo - Sì, è un'idea: barricate mobili... (Allarga la carta sul tavolo. In quel punto entra Giacomo portando una spada da cerimonia).
Giacomo - Amici, la spada di Radetzky!
Franz - La spada d'onore, dono di Sua Maestà l'Imperatore! (Si apre la porta dell'altra sala, e compare Casati).
Casati - (con disprezzo). Siamo già ai cimeli?
Giacomo - L'hanno trovata in via Brisa, nell'appartamento del Maresciallo, e c'erano anche i suoi vestiti...
Casati - Questa refurtiva va restituita al suo legittimo proprietario.
Sormani - Lei parla come un perfetto suddito degli Asburgo.
Casati - Non lo siamo forse ancora? Finché non avremo ottenuta la vittoria, restiamo sudditi del Regno Lombardo-Veneto.
Sormani - Dipendesse da voialtri aristocratici, lo saremmo per sempre.
Cattaneo - Basta, non è l'ora questa delle polemiche. Sentite il cannone? Mentre noi discutiamo, c'è chi sfida le palle austriache La prima cosa, adesso, è di restare uniti noialtri.
Casati - (a Cattaneo). Vedo che è fondata la fama della sua saggezza. Una rivoluzione ha bisogno di uomini come noi quando essa si trova, come oggi si trova, in una... inattesa mancanza di legalità. (Toglie la spada di mano a Giacomo).
Sormani - Una insurrezione la chiamate « mancanza di legalità » ?
Casati - (sempre a Cattaneo). Vi daremo un posto nel Consiglio di guerra.
Cattaneo - Vi siete decisi a costituirlo?
Casati - Aspettiamo la risposta del Re. Il conte Martini non tarderà a portarcela. Voi, Correnti, nel caso, ci farete da segretario.
Cattaneo - Comunque, se volete un consiglio, bisogna, prima di procedere alle nomine, pensare a far barricare meglio l'ingresso di via Bigli, se non vogliamo rischiare di essere presi in trappola. Dite al conte Taverna che da oggi questa casa è il nostro quartier generale.
Cernuschi - Il giardino comunica con una serie di altri giardini. Se gli austriaci dovessero tentare di assalirci possiamo prepararci fin d'ora una via d'uscita.
Casati - E cioè?
Cernuschi - Mi procurerò la chiave del cancello che comunica con la casa del conte Manzoni, e se facciamo praticare un passaggio nel muro del giardino Belgiojoso, e mettiamo sentinelle sui muri...
Correnti - Sì, ma dov'è Manzoni?
Sormani - Dove volete che sia? Starà pregando in San Fedele, o chiuso nel suo studio a risciacquare un'altra volta il suo romanzo...
Casati - (a Cattaneo). Questo giovanotto è un vostro amico?
Cattaneo - È un musicista, un sincero patriota.
Casati - Bene. Se gli preme il Conservatorio, che moderi i suoi frizzi.
Sormani - Signor Podestà, lei pensa già al dopo, a quando vi spartirete le cariche. Ma non abbiamo ancora cacciato da Milano un solo croato, grazie a voi! (Casati fa un passo avanti come per colpirlo, quando irrompe l'Armando, che trascina il Bolza scamiciato e pesto).
Armando - Guardate chi abbiamo beccato!
Correnti - Ma è il Bolza!
Armando - Questo porco: si era nascosto nel solaio del Palazzo di Polizia. Quando gli austriaci l'hanno sgombrato, è rimasto in trappola.
Casati - Il Bolza? Ma siete sicuri?
Armando - (spingendo avanti il Bolza). L'hanno trovato sotto un mucchio di fieno, e tremava dalla sgaggia, sto vigliacco. Allora? Gli facciamo un processo o lo fuciliamo subito? Gli insorti reclamano la sua testa.
Casati - Voi siete dei sanguinari, mi oppongo.
Sormani - Dobbiamo essere spietati, se vogliamo vincere! Consegnatelo al popolo, che si faccia giustizia da solo! Maria la Zoppa. Avanti, cosa aspettiamo!
Il Carrettiere - Vogliamo una frase storica!
Cattaneo - Se lo uccidete fate una cosa giusta, ma se lo risparmiate fate una cosa santa.
Casati - Bravo,
Cattaneo - Questi qui sono degli sciacalli... Io...
Sormani - Si capisce: voi esitate perché temete di più il furore popolare, di una plebe finalmente libera, che il piede sul collo di un tiranno straniero!
Cattaneo - (a Sormani). Basta; il tuo atteggiamento non fa che dividerci, proprio in un'ora in cui tutti dobbiamo essere uniti.
Sormani - Questi signori che vorrebbero aver partita vinta rischiando poco o nulla... (Entra un martinitt portaordini con un braccio al collo, insanguinato). Il Martinitt. Signor Podestà, a Porta Nuova siamo senza munizioni. E la maggior parte dei combattenti hanno ancora fucili da caccia.
Casati - Che cosa volete da me? Il Martinitt. Il capitano Anfossi chiede che si unisca a noi il reggimento dei gendarmi lombardi. Sono trecento uomini addestrati e ben armati.
Casati - Ma è illegale! I gendarmi dipendono dal Comando austriaco. Devo chiedere l'autorizzazione.
Cernuschi - Ma certo. Il conte Casati vuol fare la rivoluzione con il permesso dell'Imperatore.
Casati - Io qui rappresento la legge! (Entra il Carrettiere).
Sormani - E noi rappresentiamo il popolo! Venga con me, a vedere come muore il popolo dietro le barricate!
Il Carrettiere - I croati mi hanno requisito tre quintali di farina!
Correnti - Avete le ricevute? De Luigi - (entrando). Cittadini, stiamo attaccando il Palazzo del Genio. C'è bisogno di rinforzi!
SCENA X
20 marzo. Notte. La scena è al buio. Una voce d'altoparlante annuncia il testo di un manifesto diffuso nella sera. Le campane suonano a distesa.
La Voce - Cittadini! La vittoria è sicura. Due cannoni presi a piazza dei Mercanti e a Porta Ticinese. Il nemico in fuga a Porta Orientale, a borgo Monforte e a Porta Nuova. Como è armata, Crema parimenti. Bergamo marcia a nostro soccorso. A Magenta vi sono piemontesi. Gli amici aumentano per ogni parte, introduceteli in città e avrete armi e munizioni. Il nostro quartier generale organizzato, la guardia nazionale in attività. Continuate a suonare a stormo. ORDINE - CONCORDIA - CORAGGIO.
SCENA XI
20 marzo. Interno, notte. Camera di Amalia. Egidio davanti allo specchio si prova il gilet di Radetzky.
Egidio - ((fischietta, poi). Bisogna che mi trasporti i bottoni,
Amalia - Io sono più robusto del Maresciallo.
Amalia - Ma da mangiare non c'era niente in casa di Radetzky?
Egidio - Macché. Neanche un fiasco di vino. C'era tutta l'uniforme e anche una bella sciabola, però quella se l'è presa il Comitato. Ti fa impressione, eh? Non sembra vero che gli austriaci sono in ribasso, ma certe cose bisogna capirle al volo al giorno d'oggi.
Amalia - Vestito così, Egidio, sembri un patriota. Potresti andare alla Scala e buttarci alla cantante un mazzo di fiori sulla ribalta, provocando un bordello, l'intervento dei toder, l'arresto di qualcuno, però a te una carrozza ti porterebbe in salvo al punto giusto, e il giorno dopo saresti un eroe, tutta Porta Tosa parlerebbe di te...
Egidio - Ne parlano lo stesso, da quando hanno beccato il Bolza. E a momenti gli fanno fare la fine del Prina.
Amalia - Ha fatto il tuo nome? (Egidio alza le spalle) Io dico che se non ti hanno cercato fino adesso, ormai non vengono più.
Egidio - Prima non si fidavano. Ma verranno a cercarmi appena l'ultimo crucco sarà uscito da Milano. Poche ore fa a San Fedele hanno liberato i prigionieri politici.
Martini e D’Adda - Tradimento! Chi ha dato l'ordine?
Egidio - Eh già, quando liberano quelli, allora, insieme ai tagliaborse, escono fuori quelli che la sanno lunga sul serio, perché in galera hanno avuto il tempo di prepararsi, i più decisi... E noi due qui a marcire come topi, senza neanche una pagnotta da mettere sotto i denti.
Amalia - Cos'è, diventi nervoso?
Egidio - ((sghignazza). Io?
Correnti - Il fatto che una minima parte della popolazione, la più infima per educazione e per censo, abbia solidarizzato con il nemico, deve spingerci, o fratelli, a portare la nostra lotta fino in fondo! Affinché questa infamia non si rinnovi.
La Venditrice di pere cotte - Lotta fino in fondo!
Maria la Zoppa - Anch'io, anch'io!
Cernuschi - Il popolo è compatto dietro i suoi capi!
II Carrettiere - Pagate da bere, almeno, porco mondo.
Signora Casati - (al marito). Ma Gabrio, fai qualcosa!
Egidio - Alt; non ingannateli, questi poveri cristi, con la promessa che le cose cambie-ranno. Voi lo sapete bene che non cambierà un accidente, anche quando Radetzky avrà messo le scarpe fuori della Lombardia. Noi resteremo quelli che siamo: straccioni!
Amalia - Be', allora, se è così, io ti avviso: sono stufa. (Egidio ride) Dicevi sempre che col nostro lavoro si può fare i soldi...
Egidio - Col nostro lavoro si può solo lavorare meno degli altri. Ti sembra poco? O preferisci lavare i piatti in un'osteria, o andare in filanda, o...
Amalia - Allora sta' a sentire: io con i toder ci sono sempre stata, lo sai bene, ma se adesso la ruota gira e devo portarmi a letto i soldati piemontesi, ti dico subito di no!
Egidio - Adesso sei te che diventi nervosa. (Si ode rullare un tamburo in lontananza).
Amalia - Sono gli effetti delle rivoluzioni.
Egidio - Hai voglia di far la spiritosa? O ti è venuta anche a te l'ondata patriottica? Austriaci sì, italiani no: che differenza fa? Lire invece di pfennig.
Amalia - Gente uguale a me, che parla la mia lingua: t'ho detto di no. Non li voglio nel mio letto. (Aumenta il rullo del tamburo).
Egidio - E va bene. Allora pianto lì anch'io di fare il ruffiano e vediamo cosa mangiamo. (Pausa) Anzi, vado giù qui sul corso di Porta Tosa a far la guardia alla barricata.
Amalia - Proprio. Devi buttarti anche te dalla loro parte, invece, e poi dopo il colpo spartire la scelta. Come hai fatto con questo bel gilè. Perché se c'è qualcosa da sgagnare, è adesso il momento. Egidio, cosa credi che sia questo tamburo?
SCENA XII
20 marzo. Notte. La scena è completamente al buio. Rulla il tamburo, poi una voce fuori campo legge.
La Voce - Il signor Cadolini è nominato ispettore generale delle barricate. Regolamento:
1)Tutte le persone armate di fucile dovranno collocarsi alle barricate presso i ponti del Naviglio, distribuendosi due per ciascuno.
2)
3)Le sentinelle grideranno « all'armi » all'avvicinarsi del nemico. 3) A questo grido accorreranno le guardie preposte alla difesa della barricata. 4) Si raccomanda ai cittadini di tener aperti i portelli delle case, per dar modo di rifugiarsi ai difensori in caso di necessità. 5) Gli abitanti difenderanno dai tetti e dalle finestre le proprie case con sassi e tegole. Raccomandasi che ciascuno tenga le materie accumulate in casa.
4)
SCENA XIII
21 marzo. Interno, giorno. Comando di Radetzky al Castello Sforzesco. Con il Maresciallo è il generale Wohlgemuth.
Wohlgemuth - Questa non è guerra, Feld-marschall, è assassinio. I nostri battaglioni non sono avvezzi a battersi contro assi, pietre, carrozze che la viltà accumula per farsene baluardo. Il piombo ci piove addosso senza che si veda da dove proviene. (Radetzky assentisce in silenzio) Un capitano degli ungheresi che guidava un drappello in Pescheria Vecchia è stato preso in pieno petto da un'ar-chibugiata sparata da una finestra. Abbiamo bruciato la casa. Ma la sproporzione è troppo grande: anche dieci civili uccisi non valgono un ufficiale che costa al nostro esercito anni di preparazione...
Radetzky - Certo, è interessante questo nuovo tipo di combattimento. Che cosa può fare un elefante contro le mosche?
Wohlgemuth - Possiamo difenderci solo con la rappresaglia. Ma anche quando avremo fucilato tutti gli ostaggi che si trovano nei sotterranei di questo castello, non avremo risolto niente, se non facciamo fuoco con l'artiglieria!
Radetzky - Ho già detto che non posso. Ci sono a Milano molti consoli di potenze straniere. Rischiare di colpire le loro sedi sarebbe un grave errore politico. Noi dobbiamo stare agli ordini di Vienna. Il primo giorno di questa insurrezione, avrei potuto schiacciarla sul nascere, invece sono stato esortato alla tolleranza. Questo è il risultato.
Wohlgemuth - L'ordine che avete dato ieri notte, di ritirare le truppe dall'interno della città, in previsione del bombardamento, sapete quale effetto ha avuto? Che gli insorti credono che ci siamo ritirati per debolezza.
Radetzky - Sono anni che chiedo un esercito più forte. Ho mandato dei rapporti a Vienna: almeno 150.000 uomini, e circondare Milano con sedici fortezze. Ma a Vienna pensano soltanto a risparmiare denari, se ne infischiano di noi. Un impiegato, un funzionario civile ha più potere di un generale!
Wohlgemuth - E intanto i milanesi cantano vittoria.
Radetzky - Lasciate che cantino.
Wohlgemuth - La spada che hanno trovato nella vostra abitazione viene mostrata alla marmaglia come un trofeo! Feldmarschall, a nome dei soldati e degli ufficiali, io vi chiedo: bombardate la città.
Radetzky - Calmatevi, generale
Wohlgemuth -
Wohlgemuth - Gli insorti hanno lanciato dei palloni con proclami per annunciare la sommossa ai paesi vicini. Da Lodi è in marcia una colonna, truppe piemontesi continuano a giungere sul Ticino, reparti di volontari hanno già passato il fiume. La rivolta si sta allargando a tutta la Lombardia e noi stiamo a vedere.
Radetzky - (duro). Calma, generale. Dobbiamo fronteggiare diversi nemici. In alta Italia, ma anche nei confini dell'Impero: slavi e magiari sono in tumulto.
Wohlgemuth - L'Italia è un'espressione geografica, no?
Radetzky - Certo, ma quando non si tiene più in pugno il comando, allora comanda la piazza. Avete visto due anni fa, l'esempio di Borbone: i palermitani sono scesi nelle strade e gli hanno strappato una Costituzione. È un brutto esempio.
Wohlgemuth - Ma qui la situazione è diversa. Basta che catturiamo i capi della rivolta...
Radetzky - Posso dirvi, dai rapporti generali che ricevo, che esistono in tutta Italia quarantaquattro società segrete. Dico quarantaquattro.
Wohlgemuth - Il giorno che l'Italia fosse indipendente e unita diventerebbero quarantaquattro partiti. Soltanto a Milano...
Radetzky - A Milano ci ha ingannato la fiducia nell'aristocrazia. Hanno goduto i favori dell'Austria, e intanto alle nostre spalle preparavano complotti. Questi italiani: un giorno imperiali e un giorno pontifici, ora guelfi ora ghibellini. Sono mesi che lo scrivo: questo popolo ci detesta. Tanto vale che ci tema. Esso crede venuto il momento di entrare nel numero delle grandi nazioni. Si sbaglia. Chiedete all'intendente per quanti giorni può garantire viveri alla truppa.
Wohlgemuth - Ancora pochi. Feldmarschall. Manchiamo di carne, di sale, di legna...
Radetzky - Voglio sapere per quanti giorni ancora. Se sarà necessario abbandoneremo Milano.
Wohlgemuth - (incredulo). Pensate a una ritirata?
Radetzky - Chiamatelo ripiegamento.
Wohlgemuth - Ma una nostra uscita di Milano accenderà tutte le teste calde del Lombardo-Veneto. Non avete voluto che i soldati forzassero le porte delle case. Ma i nostri uomini sono esasperati da questi delinquenti che colpiscono dai nascondigli, che rovesciano olio bollente dai balconi, e certo hanno capi militari fatti venire dall'estero.
Radetzky - Il Quadrilatero è ancora sicuro. Possiamo marciare su Brescia e chiuderci a Verona col secondo corpo d'armata. (Suona un campanello che ha sul tavolo. Appare il tenente Franz Mayer) Notizie di Pavia?
Franz - Il reggimento Gyulai presidia sempre la città.
Radetzky - Magenta?
Franz - C'è il generale Maurer con l'artiglieria.
Radetzky - Che rientri a Milano con tutta la brigata (Franz saluta ed esce di scena).
Wohlgemuth - Avete dimenticato il vostro motto? Tre giorni di sangue procurano trenta anni di pace.
Radetzky - Non intendo decimare il mio esercito per domare un branco di ribelli. Se i piemontesi ci verranno addosso, voglio che la truppa sia fresca e pronta al combattimento. Ah, fate prelevare dalla zecca il maggior denaro possibile.
Wohlgemuth - Allora è deciso: ci ritiriamo?
Radetzky - Caro Wohlgemuth, il punto è se oggi il cannone possa ancora bastare a difendere una causa che la storia... mostra di voler condannare a causa della nostra inettitudine.
Wohlgemuth - Che cosa intendete per storia?
Radetzky - La naturale evoluzione delle cose, il progresso delle idee e la loro forza contagiosa nel popolo. Vedete, generale, io sono certo che vi sono molti, tra questi milanesi che si battono con tanto fervore contro i miei soldati, che non sanno bene il perché o per chi rischiano la vita. Tuttavia essi sono convinti che il loro posto sia sulle barricate. Come se... una barricata fosse sempre dalla parte giusta della storia. (Fuori campo si ode un urlo di dolore, poi un altro). Fucilateli, ma non voglio sentire queste grida.
Wohlgemuth - In base alla legge marziale dovremmo fucilare decine di ostaggi; tutti popolani, nessun capo tra di loro.
Sorniani - Lo vedete, che ci adoperano come carne da cannone!
Casati - Demagoghi! Vorreste vedere Carlo Alberto sulle barricate?
Cernuschi - Cominciate voi nobili a dare l'esempio, invece di perdere il tempo in chiacchiere!
Radetzky - (suona il campanello. Riappare Franz). Nessuna risposta dai consoli?
Franz - Nessuna,
Feldmarschall - (Saluta ed esce).
Radetzky - (a Wohlgemuth). Ho fatto pervenire alla municipalità, attraverso i consoli di Francia e d'Inghilterra, una offerta di tregua di tre giorni. Ci basteranno per riorganizzarci. E poi una tregua è sempre micidiale per le insurrezioni: finiscono per andare tutti a dormire... (Ride, imitato da Wohlgemuth) Però queste dame milanesi: fino a ieri ci davano del tu, e stamane si sono svegliate patriote. Bisogna castigarle, caro Wohlgemuth...
SCENA XIV
21 marzo. Interno, giorno. Seduta del Consiglio di guerra in Casa Taverna. Sono presenti: Martini giunto da Torino, Casati, Cattaneo, Cernuschi, Correnti, Borromeo, Durini, Litta, Giulini. Martini è ancora travestito da commesso della gabella del sale.
Martini - Eccoci di ritorno da voi, onorevoli membri, al pari di Rosenkrantz e Guildestern dopo un periglioso viaggio.
Cernuschi - Il paragone mi piace, conte
Martini - Rosenkrantz e Guildestern hanno parlato con Amleto?
Martini - Come osa, lei, un simile raffronto? Il Re di Sardegna sa bene ciò che vuole.
Casati - Grazie a Dio i gendarmi austriaci non vi hanno riconosciuto! Borromeo. Insomma, qual è la risposta di Sua Maestà?
Martini - Onorevoli membri: Carlo Alberto ha sposato la nostra causa! (L'assemblea applaude, meno Cattaneo e Cernuschi). Occorre soltanto che Milano rivolga a Sua Maestà una formale richiesta di aiuto, e questo affinché non risulti illegale alle diplomazie straniere l'intervento militare del Piemonte negli affari dell'Austria. Borromeo. Si spieghi.
Martini - Dobbiamo costituire subito un Governo provvisorio, e il suo primo atto sarà di chiedere alla Corte subalpina che intervenga in nostro soccorso.
Casati - Ma intanto, che cosa fa l'esercito sardo? Non c'è un minuto da perdere.
Martini - La Brigata Guardie doveva partire ieri sera per il confine lombardo.
Cattaneo - Doveva partire, o è partita?
Martini - Dubita della mia parola, signor Cattaneo? È la parola di un aristocratico.
Cattaneo - Se è per questo, vai più il dubbio di un filosofo che tutta la fede di un frate.
Casati - (fa squillare il campanello). Signori,
calma!
Martini - Io vi dico che trentamila soldati regi sono concentrati sul Ticino, pronti a marciare.
Durine - Viva Carlo Alberto!
Borromeo - Ricordiamoci le parole del Re: « Se un giorno Iddio mi farà la grazia di poter intraprendere una guerra d'indipendenza, sarò io solo a guidare l'esercito ».
Cattaneo - Dalle campagne del Piacentino, da Como, dalla Svizzera italiana, grazie ai palloni che abbiamo lanciato, stanno arrivando rinforzi. Perché volete offrire a Carlo Alberto una vittoria che il popolo sta già cogliendo con le sue mani?
Casati - Una vera autentica vittoria può assicurarcela soltanto l'intervento del Piemonte con il peso della sua forza militare. Gli austriaci in questo momento sono sbandati ma non vinti. Lasciate che Vienna riprenda in mano la situazione, e poi vedrete che sarà di noi. Finiremo allo Spielberg tutti quanti!
Cernuschi - Dunque è la sua incolumità soprattutto che le baionette piemontesi dovrebbero difendere?
Egidio - ((all'Amalia). Questa poi! Te lo vedi il signor Podestà nella cella di Silvio Pellico? La Signora
Casati - Cosa volete dimostrare? Che forse non amiamo l'Italia perché abbiamo un palco alla Scala?
Armando - Anche, anche questo!
Borromeo - Il tono beffardo che voi repubblicani continuate ad usare è inammissibile in un momento in cui la patria...
Cattaneo - Non chiamiamo col nome di patria degli interessi particolari. Voi volete costituire un Governo provvisorio per consegnare Milano al Re di Sardegna. E chi eleggerà questo governo? I soli degni di farlo stanno montando la guardia alle barricate. Questa insurrezione è nostra, e la terremo per noi fino alla vittoria completa.
Casati - Non ci sarà vittoria, vi dico, se faremo da soli, proprio ora che il tricolore sventola in cima al Duomo.
Cattaneo - E io vi dico, signori, che chiedere aiuto ai Savoia in questo momento sarebbe come... per un uomo indebitato fare appello a un usuraio!
L'Assemblea - (inorridita). Oh! Durine Basta, qui si bestemmia!
Cattaneo - Se il tricolore sventola sul Duomo, è perché ce l'ha portato rischiando la vita il cittadino Luigi Torelli e uomini come l'Anfossi sono morti un'ora fa guidando l'assalto alle caserme. Per chi credete che si battano costoro: per un altro imperatore?
Cernuschi - In questo momento la plebe che voi disprezzate combatte per voi!
Borromeo - Sentite questo Robespierre...
Cattaneo - E se Carlo Alberto fosse davvero il patriota che voi credete, non ci lascerebbe adesso inermi sotto la mitraglia, ma sarebbe già intervenuto senza aspettare l'imbeccata dei vostri ambasciatori!...
Martini - (a Cattaneo). Misuri le parole, signor
Cattaneo.
Cattaneo - Nel '14 voi avete consegnato la Lombardia alla Casa d'Austria. Adesso volete fare lo stesso con Casa Savoia!
Borromeo - Era una Casa straniera: questa è una dinastia italiana!
Cattaneo - Lo dite voi: le Case regnanti non sono né austriache, né francesi, né italiane. Non hanno nazionalità né amor patrio, salvo quello di intendersi tra di loro, al momento giusto, contro i loro popoli. Questa insurrezione deve diventare nazionale, deve diventare la rivolta di tutta l'Italia, e allora vedrete che non ci sarà bisogno dell'aiuto di nessuno.
Casati - Sicuro: è l'Italia di Mazzini che voi vorreste fare... Ma questo Comitato...
Cattaneo - La faziosità di questo Comitato mi preoccupa molto di più che i cannoni di Radetzky. (Entra un Martinitt che consegna a Cattaneo un messaggio). Il Martinitt. Luciano Manara vi manda questo dispaccio.
Cattaneo - (legge e poi annuncia). Hanno preso duecento fucili dall'armeria del Comando generale. Signori, il tiranno ha le ore contate! Cernuschi, vieni con me. Cernuschi - (avviandosi a uscire con Cattaneo). Siete voi i veri tiranni. Parlate di libertà, ma l'unica cosa che vi sta a cuore è di sostituire all'aquila a due teste lo scudo dei Savoia, perché continui a prosperare il principio dell'autorità e del diritto divino!
Borromeo - Uscite di qui, demagoghi! (Cattaneo e Cernuschi escono. Un lungo silenzio).
Casati - Fin dall'ottobre dell'anno scorso ho fatto le mie proteste ufficiali a Vienna, presso il cancelliere Pillersdorf, contro l'uso della forza e l'abuso dei poteri polizieschi verso i cittadini. Dunque, nessuno può accusarmi di aver collaborato con l'oppressore. Durine La sua integrità non è mai stata messa in dubbio da questo Comitato. Chiedo che il conte Martini ci dia altri particolari sull'imminente intervento militare dei piemontesi.
Martini - Se c'è stato ritardo in questo intervento, è perché il Re stesso era diffidente, e io ne sono stato ora testimone, circa i sentimenti di lealtà del nostro Comitato insurrezionale.
Casati - Si spieghi meglio, Martini.
Martini - È mai possibile, diceva Sua Maestà, che il nostro tradizionale buon senso ambrosiano non riesca a prevalere su un irragionevole moto, quale sarebbe la rivoluzione auspicata dalle congreghe.
Borromeo - È giusto. Il destino e l'ora ci impongono di cacciare l'austriaco e di unirci al popolo in armi. E sia. Ma si sappia che questa rivoluzione ci ripugna, come ci ripugna ogni sollevazione di piazza. E del resto mi pare che dalla violenza rifugga anche il signor Mazzini, che qui si è citato fin troppo.
Durine - Le dottrine del signor Mazzini, comodamente rifugiato a Parigi in questo momento, non c'entrano in quest'ora né in questa sede. Esse sono pure utopie, come la repubblica, come l'eguaglianza, che non vai la pena di discutere. Semmai è compito del nostro ceto di dare a questa sollevazione plebea un contenuto morale, un fine esclusivamente patriottico...
Casati - Propongo un albo d'oro dei caduti.
Martini - L'entusiasmo dei nostri concittadini è già stato fin troppo sollecitato dagli oscuri capi di questa rivolta. Ed è una ragione, anzi, che ha lasciato molto perplesso Sua Maestà. Proprio per questo occorre che un Governo provvisorio ma legittimo si sostituisca alla iniziativa di singoli e infidi patrioti.
Durine - I combattenti dovranno gridare: « Viva Pio IX ». È una parola d'ordine sulla quale possiamo tutti consentire, ed è una espressione di nobile entusiasmo.
Sorniani - E di celesti intenzioni! Casate Io penso che Cattaneo e Cernuschi dovrebbero figurare nel Governo. Di noi sono quelli che meglio conoscono le regole della lotta armata e inoltre ci garantiranno l'ubbidienza della parte più estremista della popolazione.
Borromeo - Cattaneo e Cernuschi possono rimanere nel Consiglio di guerra. Ma un Governo, sia pure provvisorio, deve poter contare sulla lealtà dei suoi membri.
Durine - Approvo. La cosa più saggia è che il nuovo Governo sia formato da coloro che già costituivano la municipalità.
Borromeo - E ricordiamoci che è stato Cattaneo, con la sua abile oratoria, a sventare il tentativo di armistizio che i consoli stranieri giustamente ci proponevano.
Martini - Radetzky ha proposto una tregua? Casate Ci aveva chiesto tre giorni, in capo ai quali noi ci saremmo riposati, rifocillati, seppellito i nostri morti... e intanto i piemontesi sarebbero arrivati...
Martini - E invece?
Casate Invece Cattaneo e
Cernuschi - .. (Cernuschi e Cattaneo recitano come se fossero ancora presenti nella sala).
Cernuschi - La verità è che voi temete che si vinca senza l'aiuto delle truppe regie! Casate Ma perseverare in questa lotta disperata può essere la fine del successo già insperato che abbiamo ottenuto.
Borromeo - Le munizioni scarseggiano, e la città ha viveri soltanto per ventiquattr'ore.
Cattaneo - Le munizioni ce le darà il nemico, togliendogliele, come hanno fatto i nostri ragazzi fino ad ora. Quanto ai viveri, ci risulta che gli austriaci ne hanno meno di noi poiché hanno cominciato a saccheggiare abitazioni e botteghe!
Sorniani - E, comunque, meglio morir di fame che di forca.
Durine - Radetzky non si è accorto che la sua offerta di tregua conviene a noi più che agli austriaci.
Cattaneo - Allora andate voi a disarmare i giovani, gli studenti e i garzoni che stanno battendosi insieme, andate a dirgli di deporre le armi e vi rideranno in faccia! No, signori, questo armistizio va rifiutato ma non da noi: dal popolo!
Casate - E così è stato. Abbiamo detto ai consoli che la tregua era respinta « per volere del popolo ».
Borromeo - Il popolo, il popolo! Sono nauseato da questa parola. Da quattro giorni non si parla d'altro. Quando poi, onorevoli membri, ricordiamoci che la plebe è quasi sempre per natura imprudente, e per bisogno corrotta!
Sorniani - Non è vero! È sempre il popolo che paga, è il popolo col suo sangue! Maria la Zoppa, la Venditrice di pere cotte e
Il Carrettiere - Siamo noialtri, sì!
Casati - (fa squillare il campanello). Sono d'accordo con
Borromeo - Cattaneo e Cernuschi resteranno nel Consiglio di guerra poiché la loro opera può esserci ancora preziosa. È mia opinione però che il conte Martini debba ripartire oggi stesso per Torino portando a Carlo Alberto la lista del Governo provvisorio con la nostra formale richiesta di intervento. Ed ora ai voti. (Tutti applaudono, si chinano a scrivere un nome su un biglietto. Entra un Martinitt). Il Martinitt. Signor Podestà, una delegazione di dame cittadine chiede di poter festeggiare i feriti di via Brera. Casate Le riceverò fra un'ora. Tutti hanno scritto? Cesare Correnti la cui imparzialità è a tutti nota, sarà il nostro segretario. (A plausi. Correnti va a ritirare i nomi scritti sui biglietti).
Corrente - II Governo provvisorio lombardo è così costituito: Casati, presidente. Borromeo, Durini, Litta, Strigelli, Giulini, Beretta, Greppi e Porro. (Tutti i nominati applaudono).
Armando - Ma sono gli stessi che sedevano in Municipio, nominati dall'Austria!
Casate - Come presidente di questo Governo ho il dovere di dirvi che questo nostro atto significa rottura della legalità e guerra ad oltranza. Spero sia chiara in tutti la nozione del rischio che questa carica comporta per le nostre vite, poiché da oggi siamo agli occhi dell'Austria non più sudditi ma ribelli. (Silenzio profondo tra gli astanti). E poiché disselciare le strade non basta a scacciare un esercito, così il nostro coraggio servirà a poco se le baionette piemontesi non verranno subito in nostro soccorso. Propongo pertanto che il conte Martini riparta immediatamente per Torino.
Martini - Io sono pronto. (Prende il mantello).
Casati - E sul muro di una casa, meglio se squarciata da una palla di cannone, sia vergata la scritta « Milano libera o morire », con mano che appaia plebea, perché questo si tramandi da una Porta all'altra, da un quartiere all'altro, di casa in casa, fino ai posteri che ne conservino memoria come di uno spontaneo motto fiorito sulla bocca di un eroe... perché eroi siamo, non è vero, onorevoli membri?
SCENA XV
22 marzo. Esterno, notte. Una strada di Porta Tosa all'alba. Si vedono due barricate mobili (fascine con materassi e ruote di carri ai lati). Due patrioti armati vegliano semi-addormentati. Il Sorniani fischia alla finestra dell' Amalia. Si sporge Egidio.
Sormane - Ehi, sei tu il moietta di Porta Tosa?
Egidio - Cosa c'è?
Sormane - Vieni giù subito: ordine del Consiglio di guerra.
Egidio - Ma sono le cinque.
Sormane - Avanti, non far storie.
La voce di Amalia - Egidio, non fidarti, vedrai che ti portano via; è una spiata questa qui, è una spiata! (Egidio scende sulla porta di casa).
Sormane - Mi riconosci? Lo sai bene come mi chiamo.
Egidio - Sei il Sormani, il musicista.
Sormane - Bravo. Il Consiglio di guerra ha da affidarti un lavoretto..
Egidio - A me?
Sormane - Un uomo, travestito da commesso del dazio, cercherà di filarsela da Porta Tosa o da qualche altra porta controllata dai toder. Tu devi fermarlo prima che arrivi alla porta.
Egidio - Ma perché non lo comanda a questi giovanotti, che son qua ansiosi di gloria... (Indica le guardie).
Sormane - Tu sei una faccia nuova, non hai l'aria del patriota.
Egidio - Ah no, questo no.
Amalia - (affacciandosi al davanzale). Egidio, cosa vogliono a quest'ora?
Egidio - Niente, devo arrestare Radetzky -
Amalia - Ah sì, quanto pagano? (Sghignazza).
Egidio - Non ridere, che svegli le sentinelle!
Sormane - - (afferrandolo per il petto). Allora? Cosa stai aspettando? Devi cominciare subito, girare tutti i posti di blocco del quartiere e le barricate esterne...
Egidio - E chi vi dice che io lo farò?
Sormane - Lo farai.
Egidio - No. Non ci cavo una sverza di guadagno.
Sormane - Invece sì. Eviterai che ti attacchino a un lampione con del filo di ferro intorno alla gola. Avanti, lo so che lavoravi per il
Bolza -
Amalia - Sst!
Sormani - Ma in cambio di questo lavoretto terrò la bocca chiusa.
Egidio - Come si chiama quest'uomo?
Sormani - È il conte Enrico
Martini - Può darsi che sul bastione gli abbiano preparato una scala. Devi guardare anche lì.
Egidio - Preparato chi?
Sormani - Non impicciarti, tu. Avrà un salvacondotto del Podestà, e non possiamo servirci della Guardia Civica per arrestarlo. Appena lo avrai trovato, mi manderai a chiamare da una sentinella. Devi soltanto dirgli di aspettare, che tutto è rimandato.
Egidio - (all'Amalia). Buttami giù la giacca.
Sormani - Stai a sentire un'altra cosa, moietta. Quello che fai non è un atto di guerra, è un atto rivoluzionario, capisci?
Egidio - ((all'Amalia urlando). T'ho detto: buttami giù la giacca! (Amalia getta la giacca).
Sormani - Se questo signore ci scappa di mano, guai a noi e guai a te! E adesso fila!
Amalia - No, Egidio, torna indrée! (Egidio si allontana).
SCENA XVI
22 marzo. Interno, notte. Abitazione di Casati. La signora Casati è già a letto. Il podestà comincia a spogliarsi.
La Signora
Casati - Gabrio, quello che avete fatto oggi è semplicemente pazzesco! Un Governo provvisorio? Ma ti rendi conto di quello che penseranno di te a Vienna?
Casati - Dovevo farlo.
La Signora - No, il tuo dovere era di non metterti in vista, perché gli austriaci ci prenderanno tutti, e noi finiremo in fortezza per primi!
Casati - Abbiamo il Re dietro di noi. Purché i piemontesi si muovano presto... (Entra Durini).
Durini - Casati, si ritirano! Gli austriaci si ritirano! Stanno concentrandosi sui bastioni e vanno verso Porta Tosa.
Casati - (siede sul letto, affranto). Oh Dio, abbiamo vinto!
Durini - Hanno ritirato anche il presidio dalla stazione della via ferrata.
La Signora - Incredibile, ma siete sicuri?
Durini - Cattaneo mi ha dato adesso la notizia. Ma c'è dell'altro: bande di contadini armati stanno arrivando dalle campagne.
Casati - Mio Dio!
Durini - E il popolo grida repubblica! Se il Re tarda ancora a muoversi, per noi sarà la fine... I giacobini finiranno per sopraffarci....
Casati - (cominciando a rivestirsi). Bisogna fare subito qualcosa. Sono quei maledetti proclami del Consiglio di guerra. D'ora in avanti Cattaneo dovrà sottoporcene il testo, prima di stamparli.
La Signora - Ma chi sono poi questi qua: Cattaneo, Cernuschi, Manara? Gente venuta dal niente, che si è messa alla testa di tutta la teppa di Milano! E con il vostro consenso, anche! Ma Gabrio, dove vai? Non hai dormito...
Casati - E il Maresciallo?
Durini - È uscito in carrozza dal castello, tra un battaglione e l'altro. Ormai controllano solo Porta Tosa e la circonvallazione.
Casati - Bisogna che convochiamo d'urgenza i membri del Governo. L'arrivo di forze irregolari dalla provincia potrebbe fare precipitare la situazione. Questi volontari privi di capi sono un grave pericolo.
Durini - Tanto più che la vista del sangue sta accecando i combattenti, e dall'altra parte gli ufficiali austriaci e le soldatesche esasperate minacciano violenze e rappresaglie contro i civili, fucilazioni, incendi...
La Signora - I civili dovevano starsene a casa. Ma le avete viste le facce, di questi professori di barricate? E la gente? Hanno rovesciato il mobilio di casa in strada. E poi si dicono poveri!
Casati - Andiamo da
Borromeo - Questa vittoria deve figurare nostra, se vogliamo offrirla a Carlo Alberto - (tra sé). Dobbiamo agire alla prussiana, come dice Maria Teresa, conservando le apparenze dell'onestà.
SCENA XVII
22 marzo. Notte. La scena al buio. Una voce legge brani di proclami, in mezzo allo scoppio della fucileria.
La Voce - I nostri avamposti verso Porta Tosa sono già negli orti della Passione, ove i nostri tiratori cominciano a spazzare i bastioni. Avvicinatevi da ogni parte ai bastioni, date mano agli amici che vengono ad incontrarci. Questa notte la città deve essere liberata dall'ultimo soldato nemico. Molta truppa e sei pezzi di cannone sono arrivati da Porta Orientale a Porta Tosa. Abbisogna su quel punto molto rinforzo. (Lampi e bagliori illuminano scene di combattimento. Si vedono Sormani e Cernuschi alternarsi a dare ordini alle barricate. Manara dà fuoco al portone di Porta Tosa). Cittadini non date tregua al nemico fuggente. Il generale Wohlgemuth, dopo avere diroccato ogni casa presso i bastioni, protegge la ritirata. Portatevi coi fucili da presso, a tormentare la fuga del nemico. Il battere a stormo dei nostri sessanta campanili è segno che Milano è ormai liberata!
SCENA XVIII
23 marzo, mattina. Interno, giorno. Nel letto della signora Casati c'è ora Amalia, in casa sua. Arriva Egidio, reduce dalla sua missione.
Amalia - Sei già qua? Com'è andata?
Egidio - Prova a indovinare.
Amalia - Hanno cercato di suonartele.
Egidio - ((comincia a spogliarsi). Dev'essere bello perseguire un alto ideale. Sembra che abbiamo vinto al lotto tutti quanti. Bandiere di qui, bandiere di là...
Amalia - Cosa fai, ti spogli?
Egidio - Oggi è festa, no? E poi ho lavorato tutta la notte. Devi vedere a Porta Tosa: sembra carnevale. Fiaccole, lampioni di carta, gente che si abbraccia, che balla, che spara per aria, come ubriachi.
Amalia - E te, la tua missione? (Egidio toglie di tasca una manciata di monete e le rovescia sul letto). Ma allora ti han pagato!
Egidio - Ehi, tosa: questo qui è un segreto di famiglia.
Amalia - Ma saranno più di cinquanta svan-ziche!
Egidio - Quando ho trovato l'amico, nascosto in un portone della barriera di Porta Orientale, ho mandato subito a chiamare. Ma il Sormani non si trovava. Così è passato un po' di tempo, gli dico: « Amico, non cercare di fare il furbo perché ti pianto un coltello nelle costole ». Quando ha visto il coltello si è spaventato, credeva che mi avessero mandato a farlo fuori. Allora lui fa:
Martini - Ma lo sai chi sono io? Devo andare a Torino dal re Carlo Alberto.
Amalia - Così, te, l'hai mollato.
Egidio - Momento. Gli dico: « Lo so bene conte Martini », e lui comincia a tremare, fino a quel momento lì forse pensava che mi fossi sbagliato con un altro. Ma quando ha capito che cercavamo proprio lui per non lasciarlo partire, allora è diventato bianco come un morto. Intanto il Sormani non arrivava, e dopo un po' mi fa:
Martini - Ti do cento svanziche, e tu non mi hai visto.
Egidio - Porca martina, faccio finta di niente, e lui va avanti, insiste, me le fa vedere, alla fine gli ho detto: « Dai, fila via ».
Amalia - Hai visto, Egidio? Cosa ti dicevo? Adesso è il tuo momento.
Egidio - ((serio). Per qualche mese possiamo tirare avanti. E poi arriveranno i piemontesi.
Amalia - No, Egidio, quello no, te l'ho già detto.
Egidio - Cosa sono ste differenze? E poi non è mica detto che gli austriaci non devono più tornarci, a Milano. Il cliente buono torna sempre.
Amalia - Chissà il Franz, mi dispiace. Erano bravi ragazzi, saranno rabbiosi.
Egidio - Be' qualcuno gliel'abbiamo anche ammazzato. Ma da Vienna ne manderanno dei nuovi.
Amalia - Ma anche per te può saltar fuori qualche lavoretto.
Egidio - ((accarezzando il gruzzolo). A pensarci, però, non l'ho mica fatto soltanto per questi.
Amalia - L'avrai fatto perché ti andava, no?
Egidio - E invece l'ho fatto perché tradire è l'unico gesto che possiamo permetterci noialtri, l'unica decisione che possiamo prendere, la sola cosa che non ci è imposta, anzi il suo contrario, un modo di esprimerci: arrotino, mestiere infido, di coltelli. Si capisce! Forse che in ogni uomo alle origini del suo mestiere non c'è una vocazione per qualcosa? Nel politico verso le bugie, nel poeta verso la protesta, persino in quelle come te c'è la voglia di far del bene...
Amalia - Be', piantala: mi hai stufata. Non sono mica il tuo confessore!
Egidio - Ma sì, Amalia, te sei la mia coscienza... Testimonierai tu, che il più rivoluzionario di tutti, l'unico, il vero, il solo sono io, Valenti Egidio, che me ne impipo dell'Austria e del Piemonte, che dico di no ai princìpi, che voialtri, padroni e servi dei padroni, tentate di inculcarmi, amor di patria compreso, l'Italia, la famiglia, la morosa, credete che non lo sappia cosa volete...
Durini - Fatelo tacere, questo avanzo di galera!
Borromeo - Miserabili, corrompono tutto quello che toccano!
D’Adda - Teppaglia, siete la vergogna di Milano!
La Signora
Casati - Gabrio, falli arrestare.
Egidio - Lo so cosa volete: che io accetti tutto questo per il bene della nazione, che poi sarebbe il bene vostro, e intanto una palla mi scannerà sulla porta di una caserma, insieme a qualche ciula destinato ai posteri. No; il mio nome non lo metterete sulle vostre lapidi!
SCENA XIX
24 marzo. Esterno, giorno. La folla in piazza della Scala, davanti a Palazzo Marino. Sul balcone c'è il Podestà e alcuni membri del Governo provvisorio. Una voce fuori scena legge i nomi di alcuni caduti nelle cinque giornate.
La Voce - Airaghi Baldassarre, anni 32, impiegato; Alberici Carlo, anni 20, salsamentario; Alberti Giuseppe, anni 29, tessitore; Alberti Matteo, anni 31, fornaio; Alloggi Rosa, anni 38, cucitrice; Ambrosini Giovanni, anni 26, parrucchiere; Anfossi Augusto, anni 36, generale; Arosio Giuseppe, anni 47, cuoco; Bancolini Luigi, anni 33, giornaliero; Bernardi Alcina, anni 17, fiorista; Bernasconi Domenico, anni 62, muratore; Besozzi Francesco, anni 11, bambino; Biancardi Alessandro, anni 38, stampatore; Bombaglio Carlo, anni 26, giovine di studio...
Casati - (dal balcone). Artigiani, popolani, preti, aristocratici, uomini e donne, vecchi e giovani tutti gettati nella battaglia in nobile gara, in una mirabile concordia di tutti i ceti sociali... (Applausi della folla) Per questo Milano si sente oggi libera e grande e può pregare Dio con la coscienza della propria dignità. Modesti nel tripudio, come forti nella lotta, nessun segno di insolito apparato se non la gioia che è nei nostri cuori, o cittadini, distingue questa festa: soltanto la sciarpa tricolore indica il sentimento tutto italiano. (Applausi) Io vi esorto quindi, cittadini milanesi, a cercare insieme una concordia, una unità di intenti e di azioni che superi le pur feconde differenze delle idee e le discordie del gioco politico. L'orgoglio per aver scacciato da soli, con le nostre sole forze, il tiranno, non deve accecarci, non deve farci dimenticare che Milano è ora più che mai esposta alla rappresaglia e alla vendetta del nemico. Per nostra fortuna il re Carlo Alberto ha dichiarato ieri la guerra all'Austria e l'armata piemontese ha passato stamani il Ticino... (Applausi dei conservatori) Un'armata che viene in nostro soccorso, a garantirci che la vittoria resterà in nostre mani. Un'armata che sta inseguendo le colonne disordinate dell'austriaco in fuga, un Re che da oggi si fa tutore della nostra causa e prende Milano sotto la sua augusta protezione...
Sorniani - E noi stiamo qui ad ascoltare queste infamie?
Il Carrettiere - Viva Pio IX! Maria la Zoppa. Viva il Piemonte!
Casati - Perciò vi invito, cittadini, quale modesto presidente di questo Governo provvisorio, a battervi ora per una più grande concordia, una concordia che ci dia l'unione...
La Venditrice - L'Italia, l'Italia!
Casati - Fratelli lombardi, alla gloria di aver scacciato il nemico, uniamo quella di munire la patria con uno Stato forte e ordinato, un Lombardo-Veneto libero e italiano, che si ponga spontaneamente sotto l'egida di re Carlo Alberto.
Cernnschi - E perché non chiedere aiuto ai francesi? Ci sono corpi franchi in quella libera repubblica, pronti a correre in nostra difesa!
Casati - Nostro primo atto sarà dunque di ristabilire l'ordine e la legalità municipale. Le armi tolte al nemico saranno consegnate alla Guardia Nazionale. Ogni attività rivoluzionaria deve cessare, ogni atto sovversivo verrà punito. Mentre Radetzky, umiliato, va a chiudersi nella fortezza di Verona trascinando come ostaggi alcuni nostri valorosi concittadini, Milano si prepari ad accogliere i fratelli piemontesi con l'esultanza di una popolazione che dopo un secolo e più di dominio straniero ha ritrovato se stessa.
Maria la Zoppa - Bravo, a morte Radetzky!
Borromeo - Voialtri non sapete gridare altro che a morte! Dov'è l'ideale, l'amor di patria?
Sorniani - C'è più ideale, conte Borromeo, a chiedere la testa di qualcuno, non credete? che a voler suscitare dei cadaveri. Perché siete dei cadaveri, la Storia farà giustizia di voi!
Casati - (imperturbabile). Mi sia consentito dunque tracciare il bilancio delle nostre gloriose cinque giornate: un bilancio che si chiama 500 tra morti e feriti, 1650 barricate, secondo il censimento fatto dal nostro ingegner Giuseppe Chiusi, decine di fabbricati ridotti a macerie, persino le campane della Torre dei Mercanti spezzate nel suonare a stormo. Propongo quindi, come primo cittadino milanese, che là dove più cruenta è stata la battaglia, a Porta Tosa, il nome dell'eroico quartiere sia mutato in quello di Porta Vittoria, a perenne ricordo dei posteri e di quanti generosamente vi caddero. Ma questa festa non è municipale: è italiana, come italiana è la pugna che abbiamo combattuto. Il grido di « Viva l'Italia » suoni su tutte le bocche. La concordia e l'amore siano in tutti i cuori, ora che la nostra preghiera a Dio rinvergina in tutti la Fede, con l'aspetto di una Provvidenza redentrice delle nazioni. (Applausi. Cala il sipario con la musica della marcia di Radetzky).
PARTE SECONDA
SCENA XX
31 marzo. Lodi. Quartier Generale del re Carlo Alberto. Tenda da campo. Il Re detta a un ufficiale il testo di un proclama.
Il Re - Italiani della Lombardia, della Venezia, di Piacenza e Reggio! (Pausa, meditabondo) Chiamato da quei vostri concittadini nelle cui mani una ben meritata fiducia ha riposto la temporanea direzione della cosa pubblica... (Casati e gli altri del Governo assentiscono soddisfatti) ... e soprattutto spinto visibilmente dalla mano di Dio... (Sorniani, Armando e Giacomo sghignazzano, subito zittiti da Martini e D'Adda).
Egidio - Volevo ben dire...
Il Re - ... il quale, condonando alle tante sciagure sofferte da questa nostra Italia le colpe antiche di lei, ha voluto ora suscitarla a nuova gloriosissima vita, io vengo tra voi alla testa del mio esercito, secondando così i più intimi impulsi del mio cuore: io vengo tra voi non curando di prestabilire alcun patto: vengo solo per compiere la grande opera del vostro valore così felicemente... (Allo scrivano) Rilegga.
L’Ufficiale - ... la grande opera dal vostro valore così felicemente...
Il Re - (correggendo). ... dal vostro « stupendo » valore così felicemente incominciata. Italiani! In breve la nostra patria sarà sgombra dallo straniero. E benedetta le mille volte la Divina Provvidenza la quale volle serbarmi a così bel giorno. Italiani! la nostra vittoria è certa: le mie armi abbreviando la lotta ricondurranno tra voi quella sicurezza che vi permetterà di attendere a riordinare il vostro interno reggimento: il voto della nazione potrà esprimersi veracemente e liberamente. In quest'ora solenne vi muovano soprattutto la carità di patria e l'aborrimento delle antiche discordie, le quali apersero le porte d'Italia allo straniero. Invocate dall'alto le celesti aspirazioni, e che l'angelico spirito di Pio IX scorra sopra di voi. (Fa il segno della croce).
SCENA XXI
3 aprile. Comando di Radetzky a Verona. Il Maresciallo sta pranzando con una fetta di formaggio, che taglia con mano tremante. Wohlgemuth, in piedi, lo guarda mangiare.
Radetzky - Vedete, mio caro Wohlgemuth, mi sono abituato a questo buon stracchino lombardo, così ogni volta devo pregare l'Intendente che non si dimentichi di farne scorta. Per buona sorte abbiamo ancora amici disposti a rifornirci. Avete visto l'effetto della politica di Vienna? Il loro disinteresse ci è costato questo ripiegamento. E sapete perché? Perché a Milano non hanno saputo accattivarsi l'animo dei più abili e intelligenti della classe dominante... Volete favorire? No. Dicevo che quando un alleato sta per trasformarsi in un nemico lo si corrompe. Ci sono cento maniere. Invece si è lasciato che uomini di studio, politici, professionisti ai quali avevamo aperto tutte le carriere dell'Impero, cospirassero per mandarci via. Succede lo stesso a chi ha un figlio ingrato. Così qual è il risultato? Che fedeli servitori dell'Austria sono rimasti soltanto gli imbecilli. La parte più passiva della nobiltà, coloro che non hanno altro pensiero che d'aver sottomano il cocchiere che li conduca a spasso... Questo stracchino è davvero eccellente. Avete fatto bene, caro Wohlgemuth, a riprendere Mantova con la forza e a disarmare subito i civili. Oh, voglio dare un grande pranzo, qui a Verona. Vedete di arruolare qualche bel
La Signora - Ho sempre facce di soldati intorno. Ci sarà pure un corpo di ballo qui al Filarmonico!
Wohlgemuth - Pensate che l'esercito sardo ci conceda il tempo per...
Radetzky - (sempre masticando). L'insufficienza delle nostre forze non ci permette di muovere subito incontro al nemico e di mantenere al tempo stesso le guarnigioni. Per questo ho fatto sgombrare le altre città lombarde in modo da concentrarci. Abbiamo un esercito più che sufficiente a distruggere in quattro giorni l'armata del signor Carlo Alberto, a patto di non sparpagliare le nostre forze davanti alle fortezze. Anzi dobbiamo gettarci con tutte le truppe disponibili sul grosso dei piemontesi. Sono ben armati, dicono, e ben equipaggiati, ma i loro ufficiali non valgono un'unghia dei nostri. Quanto alle città insorte le rioccuperemo con calma, perché non è assolutamente tollerabile che un pugno di insolenti... (si pulisce col tovagliolo una traccia di formaggio dall'uniforme) ... pensi davvero a togliere alla Casa d'Austria una provincia che ci appartiene da tre secoli, grazie all'appoggio di un piccolo sovrano di montagna, come sarebbe questo Savoia. A Vienna, ve l'ho già detto, si sono dimenticati che esiste la Lombardia, e così tocca all'esercito subire il peso di questa situazione. Dal punto di vista diplomatico pare che invece andiamo meglio. L'Europa sta a vedere e ci lascia fare. Salvo l'Inghilterra, che ci provoca e lavora contro di noi. Ma la Russia è ben disposta. La Prussia, volentieri o no, terrà fede ai suoi impegni. E la nuova Repubblica francese non ha nessuna voglia di correre avventure. Insomma, siamo in grado di affrontare questa guerra e di vincerla.
Wohlgemuth - Certo, Feldmarschall.
Radetzky - A Milano, al numero 3 di via Bri-sa, il maresciallo Radetzky ci abita da dodici anni. Non credete, Wohlgemuth, che io debba considerarmi a buon diritto milanese?
SCENA XXIII
9 aprile. Interno, sera. Egidio e Amalia, in casa, bevono vino e discutono, quasi ubriachi.
Egidio - ((canta). L'è tri dì ch'el pioeuv e el fiocca...
Amalia - (canta). El me mari el g'ha ammò de torna...
Amalia e
Egidio - O ch'el s'è sperdù in la fiocca o ch'el s'è desmentegà...
Egidio - ((ride). Alla salute del Governo provvisorio della Lombardia, che ci ha salvato la situazione, mandando un messaggero a Sua Maestà! (Vuota il bicchiere).
Amalia - Ce ne vorrebbe uno tutti i mesi, di conte Martini.
Egidio - Alla salute del Maresciallo, che... (Pensa le parole e poi getta il bicchiere).
Amalia - ... che non ha paura di nessuno, tale quale come noi! Ma Egidio, cosa c'è? (Cerca di abbracciarlo).
Egidio - Lasciami stare, anche te.
Amalia - Avanti, cos'è che non va? Ecìdio. Tutto, non va.
Amalia - Abbiamo ancora più di cinquanta svanziche. Per due mesi, se facciamo economia, possiamo tirare avariti...
Egidio - Non è per i soldi. Sono io, che non mi sento giusto. Vado in giro, e la gente non mi parla, tiran via come se avessi il colera...
- (Beve un altro sorso dalla bottiglia) Per le strade non lavora più nessuno, stanno al caffè a parlare di politica, anche quelli che han preso il fucile l'ultimo giorno della rivoluzione, e dei piemontesi e di questa guerra della malora, e del signor Mazzini che è arrivato anche lui a dir la sua, alle, tutti qui a far festa! (Si ode un organetto in strada).
Amalia - Cosa ti avevo detto? Butta là il tuo banchetto su una barricata: adesso saresti l'arrotino capo del Governo provvisorio della Lombardia.
Egidio - Arrotino capo di tutti i moietta, anch'io il cappello con la piuma, come il Sor-mani: moietta avanti, marsch! (Uno strillone grida dalla strada).
La Voce - La vittoria del ponte di Goito! La Marmora ferito! La vittoria al ponte di Goito!
Amalia - Se i piemontesi vincono questa guerra siamo rovinati. Come spia non vali più un ghello. Egidio, non ti piglia più nessuno. E piantala di bere!
Egidio - Stai a sentire, brutta bestia; ti piacerebbe sapere quello che succederà dopo di noi, fra un anno, fra dieci, fra cento, quando sarai al Foppone anche tu coperta con due metri di terra. Invece mai che si sappia: ogni volta la storia sembra nuova solo perché son cambiate le circostanze, e invece è sempre la stessa, anche qui a Milano dove sembra che le cose cambiano più in fretta. Accidenti, ma cosa succede? che adesso tira il vento nelle osterie, guarda un po' non c'è più nessuno, e i lampioni fischiano nel buio, e sbattono quei vostri portoni di quercia, e scricchiolano i muri belli spessi che vi difendono, forse adesso qualche cosa sta cambiando per davvero, adesso ci vorrebbe un bel corteo che grida: giù il mobilio, milanesi, tutti giù in strada...
Amalia - E contro chi?
Egidio - So io contro chi: ventinove prigionieri austriaci catturati. Ma cos'è che conta? Conta niente se alla fine ognuno è rimasta più disgraziato di prima. E allora dico: e: vorrebbe una rivoluzione differente, macché Italia, una rivoluzione come dico io...
Borromeo - Non abbiamo ancora dati precisi sull'alcoolismo in Lombardia.
Durini - Occorrono subito studi su questa piaga, e sulla pellagra, sul tifo, il mal sottile.-
Egidio - Che strane le mani, eh? Tutto quelli che si tocca con queste: il filo di una lama la pelle di una tosa, le ali di una farfalla (soffia) ... è come se certe volte, non le avessimo mai viste, queste mani, servitori cos fedeli del nostro piacere, così gradevoli anefi quando non sono ben fatte, come dire, co nostre, la parte più vera di noi... Vediamo un po', Amalia, come son fatte le tue?
Amalia - (impaurita). Non toccarmi!
1C
Egidio - Ma la notte è lunga: come farai a dormire?
Amalia - (afferra la bottiglia). Se fai un altropasso te la spacco sulla testa...
Egidio - Avanti, vieni qua... (Amalia si divincola, lottano entrambi) Ti faccio paura quando sono ubriaco? Dovete aver paura tutti quanti dell'Egidio, tutti - (parla a fatica, lottando) ... tornerete ad aver paura... paura, tutti...
SCENA XXIII
Fine maggio. Interno, giorno. Una sala da bigliardo. Cernuschi e Sorniani giocano contro Armando e De Luigi Cattaneo e Giacomo assistono e segnano i punti.
Cernuschi - (a Sormani). Batti qui, ma devi colpire con un po' di effetto a destra.
Sormani - Di effetti a destra mi pare che ne abbiamo abbastanza. La nostra insurrezione è stata tutto un effetto a destra... (Tira).
Cattaneo - Ideologia anche nel gioco del bigliardo?
Cernuschi - Non così. Ti avevo detto: effetto a destra.
Sormani - Se Cattaneo permette, resto dell'avviso che senza ideologia non cambierà mai niente!
De Luigi - (ingessa la stecca, poi a Cattaneo). Quattro punti per noi.
Cattaneo - La biglia è sferica, amici, e obbedisce alle leggi della stereometria, non della rivoluzione.
Sormani - Intanto Casati e i governativi ci stanno facendo fuori.
Cattaneo - Che cosa vi avevo detto? I primi che si muovono sono i primi a esser messi da parte.
Armando - (a De Luigi). Tocca a te.
Cernuschi - Anche questa sarebbe una legge della geometria solida?
Armando - (a De Luigi). Tocca a te, puoi fare tre sponde - (De Luigi tira).
Cattaneo - (osservando il tiro di De Luigi). Ottimo tiro. (Pausa) In fondo, c'è un'analogia tra questo gioco e il gioco politico: la medesima rispondenza tra colpo e contraccolpo. Se siamo stati messi da parte è perché le condizioni obiettive erano queste.
Giacomo - Ma chi l'ha detto, che siamo da parte!
Sormani - Potevamo opporci agli intrighi di Casati: ci siamo lasciati scappare il momento favorevole. Avevamo in mano noi il controllo della situazione militare.
Cattaneo - (a Sormani). Tu, come tanti altri, credi che fare una rivoluzione sia alzare una barricata. Voi vedete soltanto gli effetti immediati, il punto da ottenere subito, ma sono le prospettive rivoluzionarie che contano, e noi non ne abbiamo.
Cernuschi - La Francia! (A Cattaneo) Devi andare a Parigi, chiedere che ci vengano in aiuto con un corpo di spedizione. Devi parlare con Cavaignac, con Bastide, con Lamartine, convincerli a mandarci dei volontari.
Cattaneo - Non lo faranno: hanno paura di insospettire l’ghilterra, e non vogliono fastidi in questo momento.
De Luigi - Possibile che non si possa avere dalla Repubblica francese quello che la nobiltà milanese ha ottenuto da Carlo Alberto? Insomma, non possiamo permettere che tra una settimana si voti per regalare la Lombardia al Re di Sardegna!
Cattaneo - Non c'è niente da fare. Questo lebiscito per la fusione col Piemonte è stato organizzato come un colpo di Stato.
Sormani - Benissimo, se la nostra insurrezione non è servita a niente, ricominciamo.
Cattaneo - Con quali forze? Radetzky non suona il flauto come il suo grande avo Federico... Lo vedrete appena avrà ricevuto rinforzi. Avanti, riprendete a giocare.
Sormani - Il popolo si è reso conto della propria forza.
Cattaneo - Il popolo canta vittoria ma non immagina il guadagno che ha fatto: al posto di un imperatore straniero un re spergiuro e traditore. Dite che bestemmio: ma preferirei veder tornare Radetzky!
Casati, Martini, D'Adda, Borromeo,
Durini - Oooh!
La Signora
Casati - Ecco chi aizza la marmaglia!
De Luigi - Dovevamo fare più propaganda contro queste votazioni, invece siamo stati a guardare, a protestare fra di noi, sui nostri giornali...
Sormani - Ma se anche il tuo Mazzini si è dichiarato favorevole!
Cernuschi - E gli austriacanti di ieri, oggi son diventati alberasti.
Cattaneo - La nostra parte l'abbiamo fatta. Adesso ciò che dobbiamo fare è di separare le nostre responsabilità da quelle di Casati e dei suoi affaristi.
Giacomo - Ci siamo sgonfiati, ecco cos'è successo. Invece a Londra, diglielo, Sorniani...
Sormani - Un amico mi ha scritto da Londra che, due mesi fa, due utopisti tedeschi hanno pubblicato un manifesto che chiama tutti i lavoratori a unirsi contro i padroni. Maria la Zoppa. Ehi, com'è sto manifesto? Io ci sto.
La Venditrice e
Il Carrettiere - Anch'io!
Cattaneo - Due utopisti, si capisce. Ma nel nostro Paese c'è altro da fare prima della rivoluzione sociale.
De Luigi - Che cosa? Ormai anche l'unità d'Italia non ha più senso, se dev'essere sotto un Re.
Cattaneo - C'è l'insegnamento, la diffusione della cultura, l'approfondimento delle tecniche moderne, la libertà di stampa: questa è la rivoluzione che ci serve. Il resto sono chiacchiere.
Sormani - C'è anche un altro obiettivo, se permettete. Austria o Sardegna, Asburgo o Savoia hanno in comune lo stesso fine: difendere il cattolicesimo. È proprio quello che noi dobbiamo abbattere, se vogliamo metterci al livello delle altre nazioni d'Europa!
Borromeo - Quale libertà rivendicate, se già vi è permesso pronunciare simili bestemmie?
Durini - Non riuscirete a rompere la crosta dell'ordine e della legalità!
Wohlgemuth - Il privilegio non è frutto del caso: ma di una selezione naturale!
Casati - Certo, sono sempre i migliori che comandano!
Sormani - Amici, questo Governo fantoccio può essere rovesciato, se lo vogliamo. La rivoluzione, quella vera, è appena cominciata. Ci attaccheremo di nuovo alle campane e il popolo ci seguirà. Amici, è qui, la rivoluzione che dai tempi di Spartaco aspettiamo: adesso è nostra, la rivoluzione, questa parola magica, esaltante...
Cattaneo - La rivoluzione non è un fine: è solo uno strumento. Voi che sognate uno stato di intransigenza, di rivoluzione permanente, voi siete dei mistici più pericolosi dei cattolici, voi volete sublimare l'uomo in un essere divino. Ma la rivoluzione in politica è ben altro: è un semplice mezzo, l'ultimo da usare, se possibile.
Sormani - Per abolire la proprietà e l'autorità, causa di tutti i mali, non c'è altra scelta.
Egidio - Cominciate ad abolire le leggi, i tribunali e i capestri!
La Signora Casati - E chi li ferma adesso, questi sanculotti!
Cernuschi - Insomma, noi che siamo stati i primi a scendere in piazza e a rischiare, oggi siamo fuori del gioco, non è così?
Cattaneo - Chi poteva prevedere che alla fine Carlo Alberto si sarebbe mosso?
De Luigi - Si è mosso soltanto per paura della repubblica.
Cernuschi - Questo Regno di Sardegna che si vanta di esser composto di un Re che comanda, d'una nobiltà che governa e d'un popolo che obbedisce! Che cosa avrà mai da insegnarci?
Martini - Prima l'Unità, dopo le riforme.
Armando - Dopo l'Unità ci troveremo un altro piede sul collo.
Cattaneo - Non vi scaldate, amici, questa è una partita tra gentiluomini. Sono stati cinque giorni di un gran ballo mascherato, ma adesso la festa è finita. Tocca a te,
Cernuschi -
Cernuschi - La cosa più triste è la confusione che c'è in tutti. Guardate Mazzini, e Correnti, e molti sui quali credevamo di poter contare: sono passati coi municipali.
Casati - Se non era per noi, questa 'città sarebbe adesso nel caos!
Sormani - (a Cernuschi). Sono passati dove c'è il potere, le cariche, gli stipendi. Ti sembra tanto strano?
Cernuschi - Mazzini sarebbe pronto a entrare nel ministero del Re, se lo chiamassero!
De Luigi - (a Cernuschi). Tu insulti Mazzini! (Getta la stecca con rabbia).
Sormani - Chiedi un po' al tuo Mazzini, dei patti che il marchese D'Azeglio ha stretto con le società segrete di mezza Italia e dei quattrini che gli ha dato perché stiano ferme e non parlino di repubblica! Adesso, la rivoluzione che faremo sarà un'altra, non più contro l'Austria ma contro i Savoia!
De Luigi - Una., guerra civile?
Sormani - Sì, l'unica guerra santa. Una guerra fratricida.
SCENA XXIV
8 giugno. Interno, giorno. Riunione del Governo provvisorio. Casati dà lettura delle votazioni per l'annessione al Piemonte.
Casati - Completato dunque lo spoglio dei voti circa il referendum per l'annessione della Lombardia al Piemonte, diamo ora lettura dei risultati definitivi - (leggendo da un foglio) Su una popolazione di abitanti di 2.666.639 dell'intera Lombardia, sono stati chiamati a votare 661.626 cittadini di sesso maschile e maggiorenni. Di questi, hanno votato a favore dell'unione 661.002! (Applausi dei membri del Governo) Si sono dichiarati contrari 591 votanti. Gli astenuti risultano 33.
Borromeo - Viva il Re d'Italia!
Durine - Faremo di dieci domini un regno unito dalle Alpi alla Sicilia. Litta. Italia, sì: questo sarà il terreno entro il quale agiremo, che feconderemo con l'operoso spirito ambrosiano, con l'installazione di nuovi opifici; con l'introduzione di nuovi sistemi di lavoro, in una... mi sia concessa l'espressione... pacifica conquista nazionale! (Applausi).
Casati - (moderando con la mano gli applausi). Una commissione parte oggi per Torino per intendersi col Governo sardo, ferme restando le franchigie del popolo lombardo, fino a quando sarà convocata una Assemblea costituente a suffragio universale. Una commissione, di cui fa parte il signor Cattaneo, è stata incaricata di studiare il progetto di legge.
Cernuschi - Basta con l'inganno! Avete venduto la nostra indipendenza con la frode e il ricatto!Casati, lo stesso mi faccio garante, signori, della lealtà del Re di Sardegna.
Sorniani - Non vogliamo essere sudditi di una Corte di bigotti! Se fosse per Carlo Alberto, ci farebbe alzare tutte le mattine, all'alba, per la santa Messa e Comunione obbligatoria...
Casati - La recente libertà lombarda sarà salvaguardata nel miglior modo da quelle leggi e costumi piemontesi, che ad alcuno sembrano poco liberali. Voglio dire tuttavia che non riusciranno a prevalere quelle correnti che alla violenza affidano ogni loro ragione. Le nostre ragioni sono uscite libere e vittoriose dai registri. Ogni tentativo perciò di rovesciare il responso di queste votazioni verrà severamente punito. Come presidente di questo Governo provvisorio, io affermo la mia viva soddisfazione per l'esito del plebiscito. La vittoria delle baionette piemontesi protegga per sempre la libertà nostra dalla tirannide austriaca! Viva Sua Maestà!
Durini, Borromeo, Litta - Viva!
SCENA XXV
26 luglio. Interno, giorno. Un'osteria di Porta Tosa. A un tavolo è seduto il Sorniani. Entra Amalia, gli si avvicina.
Amalia - Posso sedermi qui?
Sormani - Chi sei, ti ho già vista?
Amalia - Sono la donna dell'Egidio, il moietta di Porta Tosa.
Sormani - Adesso ti ricordo. Cosa vuoi da me?
Amalia - Ecco... Siamo senza un ghello, e senza lavoro. Lo so cosa pensa lei, che noi... ma si sbaglia, e siccome lei è l'unico che conosco, di quelli che hanno fatto la rivoluzione, così ho pensato., magari c'è un posto anche per noi...
Sormani - Un posto, dove?
Amalia - Be', ho mica detto nel coro della Scala! So lavare, stirare, magari una lavanderia...
Sormani - E perché non chiedi in giro?
Amalia - Col mestiere che facevo io non mi prendono più. Ma se uno come lei glielo dice, allora è diverso. Anche l'Egidio, se trovasse in qualche caserma... Mi aiuti, scior Sormani, sono tre giorni che l'Egidio non esce di casa, ho paura che faccia qualche stupidata...
Sormani - Al tuo Egidio avevo dato una missione, e non ha saputo eseguirla. (Amalia tace) Poteva farmi vedere che sapeva far qualcosa, quand'era il momento, e invece no: s'è comportato come un povero bamba. Amalia - (scattando). Chi? Bamba l'Egidio?
Sormani - Proprio. Si è lasciato scappare come un merlo la persona che aveva fermato!
Amalia - Allora, se vuol saperlo, l'Egidio si era preso cento svanziche per farlo filare!
Martini - Non è vero, solo settanta!
Sormani - (si alza con stizza). Dovevo immaginarmelo, da gente come voi!
Amalia - Non si arrabbi: visto come sono andate le cose, non sarebbe cambiato gran che nella situazione politica.
Sormani - Cosa sai, tu, della politica?
Amalia - Quello che dice la gente, quello che c'è scritto sui proclami. Persino l'Egidio s'è messo a bausciare di rivoluzione. So che ieri, in un posto vicino a Mantova, i piemontesi le hanno prese, c'è stata una battaglia...
Sormani - Ma quale battaglia? Fa ridere: a Custoza hanno avuto duecento morti.
Amalia - E persino il generale Garibaldi è venuto a Milano, a incontrarsi con quelli del Municipio...
Sormani - Portate pazienza ancora un po', e appena tornano i toder, tu e il tuo moietta avrete lavoro giorno e notte... (Ride).
Amalia - Lei si sbaglia: l'Egidio sta dando fuori da matto, dice che non farà più il ruffiano di nessuno, e che neanche io devo... (Si avvicina al Sormani, gli prende le mani e le porta sul seno) Mi aiuti lei, scior Sormani.
Sormani - (toglie di scatto le mani). Sto aspettando degli amici. (Si ode il grido di un venditore ambulante) Dovremo andarcene tutti, da questa città. Non siamo riusciti a un bel niente. (Sj ode più vicino lo stesso grido dell'ambulante) Il vecchio mondo torna a inghiottirci. Noi che volevamo creare l'ignoto, l'uomo che non è ancora nato, noi sprofondiamo di nuovo nella nostra debolezza: rumori, odori, richiami, il cigolio di un carro che svolta in un vicolo, il profumo del fieno tagliato, le voci della nostra gente, questa città che abbiamo amato senza fortuna...
Amalia - Crede anche lei che torni il Maresciallo?
Sormani - Questione di giorni. Ci eravamo illusi che un popolo potesse scegliersi da solo il suo destino, ma il destino di Milano si decide a Torino, a Vienna, a Parigi, a Londra... Hai capito, adesso? Avete fatto bene, tu e l'Egidio, a stare a vedere alla finestra.
Borromeo - Finitela con le vostre beghe. La storia la fanno i generali, mica i sergenti!
Egidio - ((entrando, all'Amalia). Invece sentite la mia che sono l'ultimo dei soldati semplici. Tu, Amalia, fila. E lei, signor Sormani, spero che non ci avrà dato retta a questa qui, che ci ha il cervello in mezzo alle gambe... Dunque, state a sentire. Dov'è il Bolza?
Bolza - Sono qua.
Egidio - Bene, possiamo cominciare. Dal momento che sono gli ultimi giorni di libertà di parola, allora io gli dico, scior Bolza, che io lei ce l'ho sempre avuto sulle corna, e facevano bene a farlo fuori, lei, perché una rivoluzione che ha paura di far fuori qualcuno non è una rivoluzione, e anche me dovevano far fuori, sissignori, vero, maestro? (Al Sormani) Ci volevano più tipi del suo stampo, allora sì che era diversa la sinfonia! Ma siamo ancora in tempo, se tornano gli austriaci, questa volta le barricate le facciamo anche col suo pianoforte, vero, maestro?
Sormani - Il mio pianoforte è al servizio del popolo.
Egidio - Balle; bisogna buttar per aria tutto: il suo pianoforte e anche la musica che ci ha suonato fino adesso. Per chi è fatta quella musica, forse per noi? No, è per loro (fa segno ai municipali) che la suonano nei salotti, e per loro (fa segno a Radetzky e Wohlgemuth) che l'ascoltano nei palchi. Dunque, basta!
Amalia - Provi a inventarne un'altra!
Sormani - La gente come voi non la capirebbe, è questa la nostra disperazione: che ci tocca guidare un esercito di bestie. Però hai ragione: la nostra è stata una protesta, non una rivoluzione.
Egidio - Ecco perché non avete combinato niente. La vostra disperazione era corta: via gli austriaci, il pallone s'è sgonfiato.
Amalia - Rimettere in gioco tutto: la famiglia, l'amore, il lavoro, i ricchi, i poveri e chi li ha fatti!
Egidio - Brava, cominci a capire che ci hanno tenuti come schiavi, senza insegnarci un lavoro, educati solo alla paura dei potenti e dei padroni. A undici anni io ero già a bottega, a fabbricare corone da morto nella ditta di una vedova, qui sul corso di Porta Tosa, e la sera imparavo da solo a leggere e scrivere. Così è stato peggio, ho imparato anche a vedere più ingiustizie di quante ne vedevo prima, il merito punito, l'insolenza premiata. Così mi sono detto...
Bolza - Ehi, ragazzo, fatti furbo.
Egidio - Così mi ha detto, e io non mi son fatto pregare, a molare i coltelli se ne sentono tante, così ho capito che gli austriaci li avete battuti non per merito vostro, voialtri patrioti, ma perché tutta Milano era con voi, chi credeva nell'idea e chi credeva di dovervi credere, chi aveva un torto da vendicare e chi sperava di cambiare il suo stato, chi sognava una legge più giusta e chi sgraffignava qualcosa in mezzo al rebelotto. Solo così può trionfare un'insurrezione. Ma dopo?
Amalia - Hai dormito quand'era il momento, e adesso ti svegli tutto d'un colpo. Mi meraviglio di te che sai leggere e scrivere...
Sormani - Dopo? Ti rispondo io: questa rivoluzione non ci appartiene, non è più la nostra, è una rivoluzione borghese e dunque non è niente! (Borromeo fa per prendere la parola).
Casati - (a Borromeo). Lascia perdere, meglio che si sfoghino a parole (Si ode un rullare di tamburi).
Egidio - La Guardia Nazionale fa appello ai volontari... (Ride) Ma dove sono i volontari? C'è qualchedun altro che si chiama Pasquale Sottocorno?
Armando - (a Sormani). Radetzky ha ricevuto rinforzi, stanno passando l'Adda!
Sormani - E i piemontesi?
Armando - Ormai si ritirano. Il Re ci ha traditi.
SCENA XXVI
5 agosto. Interno, notte. Una sala di Palazzo Greppi in contrada Giardino (oggi via Manzoni). Carlo Alberto, sul balcone, sta parlando alla folla nella strada. Di spalle si vedono Correnti, Borromeo, Litta, Durini e altri ufficiali piemontesi. Non si ode distintamente la voce del Re, coperta dalle grida ostili della folla.
Il Re - Sono venuto comunque in mezzo a voi, insieme ai miei figli, a condividere il vostro pericolo...
La Folla - Vattene via, traditore! Viva la repubblica! Via gli austriaci, via i Savoia!
Borromeo - Voi riuscite a sentire? Litta. Sua Maestà ha annunciato l'armistizio.
Durini - Silenzio, per favore! (A un tratto si ode una serie di fucilate che provengono dalla strada e alte grida dal balcone. Si affaccia nella sala Casati).
Casati - Hanno sparato al Re! Dov'è la polizia? (Subito dopo appare Carlo Alberto, che si pulisce una spallina dell'uniforme sporca di calcinacci).
Casati - Grazie a Dio, Sire, vi hanno mancato. (// Re siede in una poltrona, gli viene dato un bicchiere).
109
Il Re - Non è niente, prepariamoci a partire.
Borromeo - Possiamo uscire dalla Porta Vercellina.
Il Re - (a Borromeo). Perché « possiamo »? Non rimanete neanche voi? Guardate che nelle condizioni di armistizio ho preteso da Radetzky l'immunità assoluta di tutti i cittadini milanesi, in cambio dello sgombero del Lombardo-Veneto.
Borromeo - (con fierezza). Quale ex membro del Governo rivoluzionario ho ragione di credere che gli austriaci vendicherebbero in me tutti i col leghi patrioti riparati a Torino. Del resto non abbiamo alcuna alternativa.
Litta - Una nuova resistenza è impensabile. L'amico Cesare Correnti, che faceva parte di un Comitato di difesa creato per l'emergenza, si è dimesso anche lui.
Correnti - E cosa dovevo fare? Alla leva in massa non ha risposto nessuno. Garibaldi, l'unico che poteva esserci d'aiuto, lo avete spedito a Bergamo coi suoi quattro volontari, e se adesso si ritira l'esercito sardo, che diavolo volete che faccia il popolo?
Il Re - Chiamatemi subito il generale Lamarmora.
Casati - Cosa fa la polizia? Voglio le teste dei furfanti che hanno osato sparare...
Il Re - Calmatevi, signor ministro, un Re è abituato agli attentati. Che cosa è accaduto invece al Palazzo del Genio?
Casati - I soliti scalmanati si erano messi in testa di occuparlo, per prendere armi e munizioni. Invece appena dentro, il palazzo è saltato in aria.
Correnti - Pare che fosse stato minato da qualcuno che sta ancora dalla parte dell'Austria.
Il Re - Io lo dicevo che questa guerra non era sentita. Perciò non intendo sacrificare un uomo di più. Dopo l'ultimo scontro di ieri ho venticinquemila uomini stanchi, demoralizzati, con pochi viveri. Radetzky ne ha diecimila di più, freschi e disciplinati.
Correnti - La storia dirà che avete perduto prima ancora di ingaggiare battaglia.
Il Re - Me ne infischio, giovanotto, di quel che dirà la storia. Noi Savoia siamo fatti così: siamo realisti e guardiamo al presente.
Casati - Viva la monarchia sabauda! (Applausi ed evviva).
Il Re - E se volete saperlo, a Custoza i miei generali non avevano neppure le carte del terreno, quando si combatté quella infelice battaglia.
Martini - Volete dire, Maestà, che fu un errore intraprendere questa guerra?
Il Re - Non fatemi dire. Del resto siete stati voi a tirarmici per i capelli. Nell'esercito austriaco c'è disciplina e fiducia assoluta nei comandanti. Nel mio è tutto l'opposto. (Entra Lamarmora).
Lamarmora - Agli ordini, Sire.
Il Re - Vi ho fatto cercare, generale, per darvi le mie ultime disposizioni quale comandante in capo di questa armata. Fate ritirare immediatamente le pattuglie, sciogliete i bivacchi e raccogliete tutte le forze che stanno tra il Ponte Seveso e la Chiesa Rossa sul Naviglio. L'armata dovj£ essere in marcia entro un'ora.
Lamarmora - Obiettivo?
Il Re - Per ora Vigevano. Radetzky si è impegnato col generale Salasco a darci via libera fino ai confini del Piemonte. Bene, signori: (alzandosi) la guerra è finita.
Correnti - E Milano?
Il Re - Milano? Conte Casati, finché siete Primo Ministro in carica, emanate ordini severissimi a questo Municipio affinché sia scoraggiato qualunque tentativo di resistenza. Speravo che i milanesi sarebbero accorsi in massa a combattere coi miei soldati, questo non è accaduto. Segno che questa gente ha paura di battersi. Perciò non versate altro sangue inutilmente. (Esce, seguito dalla Corte).
SCENA XXVII
5 agosto. Interno, notte. Casa di Cattaneo. Cattaneo e Cernuschi indossano abiti da viaggio. Cattaneo sta mettendo in una sacca documenti che va togliendo dai cassetti.
Cernuschi - Non sapevo che tu avessi tante carte compromettenti...
Cattaneo - Non voglio lasciare in mano agli austriaci nessun documento del nostro lavoro.
Cernuschi - È un lavoro che noi non potremo rifare. Sarà molto se qualcuno, più fortunato, potrà ritentarlo. Lascia: che leggano pure che cosa è stata questa rivoluzione!
Cattaneo - A Parigi, con la calma e l'obiettività dell'esilio voglio fare con queste carte il libro della rivoluzione fallita, che almeno insegni qualcosa a chi verrà dopo di noi.
Cernuschi - Quello che mi avvilisce di più, è che questa sconfitta non la pagherà solo Milano o il Lombardo-Veneto, ma tutto il Paese. La restaurazione ricaccerà indietro di vent'anni tutti i nostri sforzi, i nostri ideali, le poche conquiste. Avevi ragione tu: senza l'aiuto di una potenza straniera non ce la faremo mai. (Raccoglie l'ultimo documento).
Cattaneo - Ho finito. L'addio dei giacobini non poteva essere più triste: mentre l'esercito di Carlo Alberto se la svigna proteggendo i nostri ciambellani in carrozza, e quello di Radetzky viene avanti coi suoi cannoni a riprendersi una città morta, tra poche ore chi sarà rimasto assisterà a questo vergognoso spettacolo: gli applausi dei vili che si preparano a cambiare padrone.
Cernuschi - Se tu fossi andato a Parigi quando era l'ora!
Cattaneo - Cerchiamo almeno di non recriminare. La storia non fa errori: ha una sua logica, e se oggi fosse di nuovo il 22 marzo, e di nuovo rotolassero le barricate contro Porta Tosa, avremmo perso ugualmente. Di quell'effimera vittoria è rimasto solo un bel gesto; la sconfitta vera, quella politica e militare, diventerà invece ideologica, convincerà gli italiani che non sono fatti per le rivoluzioni, il che probabilmente è anche esatto. (Si ode una campana a stormo).
Cernuschi - Come può essere finito tutto? E la povera gente che si è battuta? Senti: c'è ancora qualcuno disposto alla lotta. Che cosa gli diremo noi, nel nostro esilio ben protetto, a questa gente costretta a restare perché non ha né soldi né mestiere? Che cosa gli diremo? (Cattaneo si infila uno spolverino, prende il cappello).
Cattaneo - Quando sarai a Genova, e io a Lugano o a Parigi, ti accorgerai di non esserti mai allontanato da Milano. Il tuo cuore sarà qui, fermo ai giorni dell'insurrezione, ai mesi delle congiure politiche, fermo a un tempo irripetibile, di aneliti e certezze e utopie, un tempo in cui si accorcia la distanza tra l'uomo e Dio, e questo è forse l'unico regalo che una rivoluzione possa farci. Addio, Enrico. Verrai a trovarmi, vero? (Si abbracciano).
De Luigi - (entrando). Professore, c'è la carrozza.
Cattaneo - Coraggio, amici. Ce ne vuol di più adesso che sulle barricate. Il coraggio di resistere ai giorni che passano e sembrano cancellare quel poco che abbiamo fatto. Il coraggio di serbarci fedeli all'idea. L'Austria ci ha regalato la volontà di indipendenza, la Savoia l'idea della repubblica. È una strada lunga, ma la repubblica verrà, amici, forse prima di quanto speriamo. Addio. (Cattaneo abbraccia De Luigi. Le campane suonano sempre a stormo).
SCENA XXVIII
6 agosto. Esterno, giorno. La strada della casa di Egidio a Porta Tosa. La campana cessa di suonare, si ode il cigolio dei carri austriaci che entrano in Milano, comandi in tedesco e grida. Sulla scena c'è Giacomo tenuto a forza da due gendarmi che lo trascinano davanti a un sergente.
I Gendarmi - Era lui che suonava le campane.
II Sergente - Bravo, adesso suoneremo noi. Una bella « pankerhaus ». (/ gendarmi legano Giacomo al cerchione di una ruota di carro, secondo il metodo della « pankerhaus ». Uno dei gendarmi prende la verga, mentre il Sergente estrae di tasca l'orologio) Pronti. (// Sergente ogni cinque secondi fa segno di pic chiare, come un maestro che dirige una sin fonia. Un gendarme comincia a battere sulle terga di Giacomo).
Giacomo - Ah, ah!
Il Sergente - Così impari a suonare le campane, sì? (Dopo alcuni colpi si affaccia Amalia alla finestra).
Amalia - Ehi, andate in un altro posto, che qui c'è gente che dorme!
Il Sergente - Aspetta, che veniamo su anche da te.
Amalia - E lasciate stare i poveri cristi! Perché non ve la prendete coi sciuri, che son scappati tutti e sono stati loro i primi a far bordello?
Il Sergente - Torna a letto, troia, se no vengo su io a farti dormire. (Appare Egidio al davanzale).
Egidio - Vieni di sopra, sì. Ma se hai coraggio ci vieni da solo. Finalmente siete tornati, bravi ragazzi! (// Sergente passa l'orologio all'altro gendarme e si infila nel portone. Egidio sempre alla finestra, ma di spalle) Io te l'avevo detto, Amalia, prendiamoci in casa qualche ufficiale ungherese ferito, come han fatto tante famiglie perbene, oggi ci veniva buono, un bel gesto di carità che qui a Milano ha la sua tradizione. Ma tu niente, non vuoi mai darmi retta. Entri pure, sergente. Hai visto i D'Adda, cara mia, hanno avuto in casa quattro, dico quattro, ufficiali della Guardia. Non aver paura, Amalia, non ti fa niente... (// Sergente, che non si vede, viene pugnalato dall'Egidio).
La Voce del Sergente - Ohhh... (/ due gendarmi interrompono la bastonatura e alzano il capo alla finestra).
Egidio - Quattro ufficiali in casa per tutto questo tempo, mangiare dormire e perfino la musica, che a momenti non guariscono più, tanto che era dolce la convalescenza... (Sghignazza) Svelta, signora, che parte la carrozza, anche noi ce la filiamo, perché adesso non c'è più nessuno, vero? alle finestre, ai balconi, a buttar giù il mobilio! Dove sono adesso i signori patrioti, fatevi vedere, voglio vederli! (// Sergente esce dal portone con le due mani premute sullo stomaco, dove è stato ferito. Sta per crollare, e viene soccorso dai due gendarmi, che lo trascinano fuori scena).
Giacomo - Ehi, ma allora si ricomincia! (Appaiono Maria la Zoppa, il Carrettiere, la Venditrice di pere cotte). Maria la Zoppa. I toder stanno arrivando, cosa facciamo? (Egidio esce dal portone e appare in scena. È lacero, affamato, con un'aria tra il martire e il giustiziere).
Egidio - Prendo io il comando. Ehi, gente, la rivoluzione, la nostra, comincia adesso. Noi siamo la storia, la speranza del mondo, il progresso che avanza, la luce che trionfa, la verità...
Il Carrettiere - (fissa Egidio e alza un calice immaginario). Salute.
Egidio - Vi hanno detto « Via i toder » e poi? Come se la libertà fosse tutto...
Durini - Nel secolo della vaporiera e del telegrafo elettrico l'idea di libertà è l'idea stessa del progresso, e procede più rapida di quanto noi stimiamo, e forse a quest'ora il
Radetzky - ..
Egidio - Forse a quest'ora il Maresciallo ha già pronti i capestri per impiccarci tutti... (Sghignazza) Perciò io dico: primo regolamento: sono aboliti i regolamenti, e così le medaglie, gli eroi, i patrioti, i generali e i preti...
Amalia - Vòsa no! (Non gridare!) (Disperata si rivolge agli altri) Non dategli retta, ha bevuto!
Egidio - Io, Valenti Egidio fu Angelo, di anni trentacinque, battezzato, professione moietta, vi dico: è arrivato il momento, facciamo le nostre barricate! (Si avvicina all'ingresso e rovescia per terra il suo banco da arrotino). E voi scendete a unirvi con noi, morti di fame di Porta Tosa, e tosann de Monfort, e magutti di Porta Orientale, e voi bosìni della campagna, qua tutti che siamo l'unico vero esercito del mondo, barboni del Lazzaretto e garzoni dei Vetraschi e teppa de Porta Cina, adesso sono io che vi dico: non stiamo più alla finestra, non sono più un testimone, un qualunque spettatore, ma un attore degli eventi. Dunque sono infinitamente più vivo. L'ho sentito dire poco fa, che questo è l'unico senso della rivoluzione, che l'uomo finalmente partecipa al mondo, lo cambia, o si illude di cambiarlo. Così, se morirò, adesso avrò vissuto. Anzi, sento che vengono a prendermi. (Si ode infatti un passo cadenzato di soldati e un rullo di tamburo).
Amalia - Egidio, scappa! (Appare un drappello di soldati austriaci comandati dal tenente Franz Mayer).
Franz - Prendetelo, è lui. (/ soldati mettono Egidio contro il muro, dopo avergli legato i polsi. Amalia si attacca a Franz).
Amalia - Franz, lascialo stare, starò con te tutte le volte che vuoi, non ti faccio pagar niente, vedrai... Franz! (Franz la respinge).
Franz - Caricati - (I soldati caricano i fucili).
Egidio - Bravi soldati, fate il vostro dovere, così dopo andiamo tutti a dormire perché sta storia è già durata troppo, o preti o frati o bravi soldati. Ma cosa fate, caricate davvero i cannoni? Dico: scherziamo, non vorrete mica che diventi un martire, io, un moietta che non crede a niente...
La Signora Casati - Così non è giusto: chiamate un confessore!
Amalia - Egidio, scappa!
Borromeo - Si vedrà come sanno morire i lombardi!
Egidio - Questo nome di Lombardia, al labbro così dolce e forte insieme, sarà un nome di libertà, per chi lo pronuncerà dopo di me.
Correnti - Bravo, bene.
Martini - Viva l'Italia!
Egidio - E invece no. La mia morte non servirà a nessuno!
Durini - Chi per la patria muor...
Egidio - Silenzio, voialtri. A voi vi faranno quadri e monumenti, nelle strade di questa bastarda città. Fate presto voi a parlare, Borromeo, Casati, generale Lechi, e anche lei, signor Correnti, dov'è andato il suo Comitato di difesa? Venite con me tra cinque minuti, sotto la terra del Foppone dove avete sepolto tutti gli altri coglioni di questa insurrezione, morti per niente come me...
Franz - Puntati - (/ soldati puntano i fucili). La Signora
Casati - Gabrio, ti prego, non voglio guardare...
Egidio - Un momento, bravi soldati, fate attenzione che quello che avete visto non corrompa anche voi, perché l'uomo che state per ammazzare, quest'uomo si farà ancora vivo, vestito di nuovi stracci. State attenti a riconoscerlo, prima che possa alzare la testa. E adesso fate pure fuoco, maledetti crucchi!
Franz - Fuoco! (/ soldati sparano).
Amalia - Egidio, no! (Egidio, dopo la scarica, tossisce con le mani al petto, si piega lentamente sulle ginocchia e crolla a terra). Maria la Zoppa. Hanno fatto fuoco, porca bestia! (/ soldati se ne vanno inquadrati. Gli attori si accostano adagio al corpo di Egidio, sul quale singhiozza Amalia).
Franz - D'ordine del Feldmaresciallo, questa città è dichiarata in stato d'assedio. (La banda attacca la marcia di Radetzky).
Maria la Zoppa - (al Carrettiere). Hai sentito?
Il Carrettiere - A me mi hanno requisito tre quintali di farina. (Si avvicina a Franz) Ho qui le ricevute, signor tenente, tre quintali di farina, tre quintali...
FINE