La mascherata

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Carlo Goldoni

Carlo Goldoni

LA MASCHERATA

Dramma Comico per Musica di Polisseno Fegejo Pastor Arcade da rappresentarsi nel Teatro Tron

di S. Cassiano il Carnovale dell'Anno 1751.

PERSONAGGI SILVIO cavaliere romano.

La Sig. Angela Conti detta la Taccarini. LUCREZIA moglie di

La Sig. Serafina Penni.BELTRAME mercante.

Il Sig. Girolamo Piani, Virtuoso della Real Cappella di Napoli. AURELIA destinata sposa di Silvio.

La Sig. Agata Sani.
VITTORIA vedova, zia d'Aurelia, amante di

La Sig. Annunciata Manzi.MENICHINO scolare.

Il sig. Giovanni Leonardi. LEANDRO cittadino, amico di Beltrame.

Il Sig. Anastasio Massa.
Donne che lavorano la seta, e cantano. Coro di Maschere.

La Scena si rappresenta in Milano, di Carnovale.

LI BALLARINI

La Sig. Margherita Fusi detta la Carrozziera.

La Sig. Giustina Magini detta la Padovana.

La Sig. Elena Tomaselli.

La Sig. Angela Candi

La Sig. Antonia Guidi.

Il Sig. Gasparo Caccioni.

Il Sig. Gasparo Angelini.

Il Sig. Gaudenzio Beri.

Il Sig. Bortolamio Priori.

Il Sig. Gio. Batt. Bedotti.

Li Balli sono di vaga e nova invenzione del Sig. Gasparo Caccioni.


MUTAZIONI DI SCENE

ATTO PRIMO

Luogo terreno che introduce al cortile di Beltrame, dove le Donne lavorano la seta.

Appartamenti in casa di Vittoria.

ATTO SECONDO

Gran piazza nobilmente addobbata per il corso delle Maschere.

Camera in un albergo.

Cortile nell'albergo.

Luogo di delizie per il Ballo.

ATTO TERZO

Appartamenti in casa di Vittoria.

Sala illuminata in tempo di notte per le nozze di Silvio e d'Aurelia

Le suddette Scene sono d'invenzione e direzione del Sig. Domenico Mauro.

Il vestiario del Sig. Natal Canciani.

ECCELLENZA

Chi mi ha procurato l'onore dell'alto patrocinio di V. E. ha conosciuto perfettamente che a Soggetto più ragguardevole per tutti i titoli non poteva io questa Operetta mia e me medesimo dedicare, onde vengo a ricevere il maggior benefizio che fatto m'abbia la sorte, poiché la vostra benignissima condiscendenza si degna concedermi di porre in fronte a questo piccolo Dramma il veneratissimo nome vostro, ed assicura dell'autorevole vostra protezione l'Autore che umilmente ve lo presenta. Noto è ormai in questa Città magnifica l'eccelso nome vostro, poiché non è questa la prima volta che godere in essa vi compiacete il grande e il dilettevole che la rende invidiabile e celebrata, ed ora che avete con Voi condotto il Principe vostro figlio, onore della sua gran Patria, esempio della Nobiltà vera e specchio della più educata e nobile gioventù, farete maggiormente conoscere, come bene alla chiarezza del sangue e alla doviziosa vostra grandezza accoppiar sapete la vera prudenza, la quale serve di norma, di consiglio e di esempio al vostro felicissimo primogenito.

Raccomando dunque all'E. V. l'umilissima persona mia, raccomando questa mia imperfetta composizione, e nello stesso tempo vi raccomando con egual calore l'Opera tutta, ed il Teatro istesso, a cui altra fortuna non mancava oltre quella di un sì gran Protettore, a cui profondamente m'inchino.

Di V. E.

Venezia li 24 Decembre 1750.

mo                 mo

Umil.mo Dev.    Obblig.    Servidore Carlo Goldoni


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Luogo terreno che introduce al cortile di Beltrame, dove le Donne lavorano la seta.

Donne che incannano la seta e cantano, indi Beltrame

DONNE                          Amore è fatto come un uccelletto,

Che va di ramo in ramo saltellando: Venuto è con un volo nel mio petto, E il povero mio cor mi va beccando. Lo voglio accarezzare il poveretto, Finché per divertirmi va cantando; E quando avrà finito di cantare, A un altro ramo il lascierò volare.

BELT.                    Brave, figliuole, brave!

Ho piacer che cantiate: Che stiate allegramente e lavoriate. Cappari! avete fatto il bel lavoro! Andate a farvi dar la colazione. Io non son un padrone interessato: A chi fa il suo dover, mi mostro grato.

DONNE                          Oimè che l'uccellino se n'è andato,

E mi ha lasciato il pizzicor nel core.

Appena a cantucciare ha principiato,

Da me se n'è fuggito il traditore.

Donne, se lo vedete il scellerato,

Non vi fidate dell'ingrato amore:

Egli alla prima mostra cortesia,

Ma inganna, e sul più bel se ne va via. (partono le Donne)

BELT.                    Godo che stiano allegre;

Le tratto con amor, ma se mi chiedono

I denari del mese,

Maledetto destino!

Non le posso pagar: non ho un quattrino.

Io son un bel mercante!

Consumato il contante,

Distrutto il capitale,

Di debiti fornito,

Uno di questi dì sarò fallito.

E perché tal rovina?


Perché tal precipizio?

Perché la moglie mia non ha giudizio.

Mode, gale, festini,

Pranzi, conversazion, maschere e gioco,

Hanno tutto distrutto a poco a poco.

Ma io, bestia che sono,

Perché ognor secondarla?

Perché non bastonarla?

Perché le voglio bene;

Perché quando mi viene

Con quelle care paroline belle,

Mover mi sento, e le darei la pelle.

Eccola; già m'aspetto

Qualche nuova stoccata.

Ma se vuole denari, oh! l'ha sbagliata.

SCENA SECONDA

Lucrezia e detto.

LUCR.

Presto, presto, marito.

Il sarto m'ha portato

L'abito terminato.

È bello, è bello assai:

Un vestito più bel non ebbi mai.

BELT.

Ma che abito è questo?

Tanti e tanti ne avete

Da cambiar ogni giorno, se volete.

LUCR.

Questo è un abito apposta

Per far la mascherata

Alla quale son io stata invitata.

BELT.

(Oh maledetti inviti!)

E quanto costa?

LUCR.

Il sarto ha preso tutto,

E drappo, e guarnizion, e fornimenti;

Ha fatta la sua lista,

Ed io gliel'ho rivista,

E alfin, con il mio dire,

S'è stretto il conto in settecento lire.

BELT.

O diavol! costa tanto?

LUCR.

Marito, oh che bel manto!

Che ricca guarnizion fatta alla moda!

Che maniche! che coda! Mi piace assai, assai;

Un vestito più bel non ebbi mai.

BELT.

(Povero me!)

LUCR.

Via, presto,

Pagate il sarto.

BELT.

E vuole


Esser pagato subito?

LUCR.

L'ha fatto

Per me con questo patto,

Che non vuole aspettar.

BELT.

Ma io...

LUCR.

Se voi

Non pagate il vestito,

Indietro se lo porta.

BELT.

Faccia pur come vuol, che non importa.

LUCR.

Via, marituccio mio,

Non mi fate penar.

BELT.

Questo è un affronto

Che a noi fa il sarto, e il soffriremo in pace?

Che se lo porti via.

LUCR.

Ma se mi piace!

BELT.

Prenderlo non convien.

LUCR.

Ma se lo voglio!

BELT.

(Ora cresce l'imbroglio).

LUCR.

Via, non mi fate piangere.

BELT.

(Se avessi

Da vender, da impegnare...)

LUCR.

Non mi fate penare.

BELT.

Moglie mia... moglie mia... se voi sapeste...

LUCR.

Se bene mi voleste...

BELT.

Io... v'adoro...

Voi siete il mio tesoro.

LUCR.

Consolatemi dunque,

Marituccio mio caro.

BELT.

Moglie mia, moglie mia, non ho denaro.

LUCR.

Come! voi non avete

Denaro? Io non lo credo.

BELT.

Pur troppo è ver, pur troppo.

LUCR.

Se denar non avete,

Impegnate, vendete;

Le settecento lire s'han da spendere;

L'abito mi soddisfa, e si ha da prendere.

BELT.

Io da vender non ho, né da impegnare;

Non so dove trovare

Chi mi presti denaro.

Chi ha giudizio, il denar se lo tien caro.

LUCR.

Oh povera me!

Che cosa farò?

BELT.

Abbiate pazienza.

LUCR.

Oh questo poi no!

BELT.

(Che pena! che imbroglio!)

LUCR.

Lo voglio, lo voglio.

Si venda la seta;

Si vendano i panni.

BELT.

Si vendano. E poi?


LUCR.

Pensateci voi.

BELT.

Poi vostro marito

Fallito sarà.

LUCR.

Io voglio il vestito;

Non penso più in là.

SCENA TERZA

Leandro e detti.

LEAN.

Cos'è questo rumor? Deh, perdonate

S'io questo ardir mi prendo.

D'entrar ne' fatti vostri io non pretendo.

BELT.

(Ci mancava costui).

LUCR.

Caro Leandro,

Io sono disperata.

LEAN.

Cos'è stato?

Sapete che per voi son impegnato.

BELT.

Nulla, nulla, signore. (Ehi Lucrezia,

Non mi fate restare svergognato).

LEAN.

Se posso in qualche cosa,

Comandatemi pure.

LUCR.

Vi dirò:

Il sarto...

BELT.

(Or glielo dice).

LUCR.

M'ha portato un vestito.

Stamane mio marito...

BELT.

(Ehi). (fa cenno a Lucrezia che non parli)

LUCR.

Ha pagato

Tutti i suoi operari,

E per dirla com'è, non ha denari.

BELT.

Sì, signore, ho pagato

Questa mane denari in quantità.

LEAN.

Eh non importa, il sarto aspetterà.

LUCR.

Oh, non vuole aspettar.

LEAN.

Quanto ha d'avere?

LUCR.

Eh, non è poi gran somma.

LEAN.

A questa cosa rimediar si puole.

LUCR.

Il conto è lire settecento sole.

LEAN.

(Ahi che fiera stoccata!)

LUCR.

Voi della mascherata

Sapete il grande impegno.

Il vestito mi piace;

Onde il marito mio può far, può dire,

Ch'io lo voglio, se credo di morire.

BELT.

Questo voglio, signora, è un poco duro;

Non si puole cavar sangue da un muro.

LUCR.

Maledetto!


BELT.

Indiscreta!

LEAN.

State cheti.

Se mi date licenza,

Io tutto aggiusterò.

BELT.

Eh non importa, no.

LUCR.

Caro Leandro,

Se un tal piacer mi fate,

Voi la vita mi date.

BELT.

Ed io dovrò soffrir...?) Eh, non signore...

Non le state a badar.

LUCR.

Olà, tacete.

Se buono voi non siete

Da pagarmi il vestito,

Questa volta non fate da marito.

BELT.

(E s'io non posso farlo,

C'è bisogno di farsi vergognare

Per andar mascherata?)

LUCR.

(Sì, signore, così son avvezzata).

BELT.

(Il rimprovero è mio:

Chi l'ha avvezzata sono stato io).

LEAN.

(Vederò, se potessi

Aggiustarla con poco). Via, Lucrezia,

Fate venire il sarto.

LUCR.

Ehi monsieur,

Venite col vestito. Eccolo qui. (Entra il Sarto col vestito)

Guardate com'è bello!

Mi piace assai, assai;

Un vestito più bel non ebbi mai.

LEAN.

Monsieur, mi conoscete.

Dieci doppie tenete

A conto del vestito di madama.

Domani io venirò,

E resto del denar vi porterò.

(Il Sarto s'inchina: lascia il vestito e parte)

LUCR.

Ora son contentissima.

Vi sono obbligatissima; e il denaro

Che avete dato per il mio vestito,

Vi sarà reso poi da mio marito.

BELT.

(Sì, sì, gli sarà reso: aspetti pure).

LEAN.

A me basta che siate

Persuasa del mio vero rispetto,

E dirò ancor del mio sincero affetto.

BELT.

Affetto?

LEAN.

Dir m'intendo

Onestissimamente.

BELT.

Affetto? Voi non siete suo parente.

LUCR.

E per questo? Guardate.

Non si può voler ben senza malizia?

LEAN.

Orsù, la mascherata

Oggi si deve fare. Aurelia e Silvio,


Vittoria e Menichino

Ci attendono quest'oggi a casa loro.

Là tutti ci uniremo,

Indi alla Piazza andremo,

E potrò forse, come il mio cor brama,

Con grazia di monsieur, servir madama.

Servirvi sol bramo,

Di core vel dico. (a Lucrezia)

Io son vostro amico,

E sempre il sarò. (a Beltrame) Se posso, se vaglio,

Di me fate conto:

Sarò sempre pronto,

Di notte, di giorno,

E senz'alcun fallo,

E senza intervallo,

Servirvi saprò. (parte)

SCENA QUARTA

Beltrame e Lucrezia

LUCR.

Leandro è veramente

Un giovine prudente.

BELT.

Ma con la sua prudenza

Parmi si prenda troppa confidenza.

LUCR.

E ben, che cosa ha fatto?

BELT.

Dieci doppie pagar per una donna,

Cosa non mi rassembra indifferente.

LUCR.

Quest'è un favor che non conclude niente.

BELT.

Eh, so io quel che dico.

LUCR.

Via, spiegatevi.

BELT.

Lasciatemi tacere, e contentatevi.

LUCR.

No, no, parlate pure.

BELT.

È meglio assai

Ch'io taccia, per sfuggir qualch'altro imbroglio.

LUCR.

Parlate, io così voglio.

BELT.

La donna regalata

Si può dire che sia quasi obbligata.

LUCR.

Il parlar vostro intendo,

Ma io per dieci doppie non mi vendo.

BELT.

Basta... poco mi piace...

Quel cicisbeo vezzoso.

LUCR.

Che? sareste geloso?

BELT.

Non dico... ma... colui

Non lo posso veder in casa mia.

LUCR.

Avete gelosia?


Eh marito mio caro,

Vi potete fidar della mia fede;

Ma se altra donna io fossi,

Ve la farei sugli occhi. Hanno le donne

Un'arte soprafina,

E chi ci studia più, men la indovina.

Quando le donne vogliono, Nessun si può guardar. Una occhiatina qua, Due paroline là; A questo un ditolino, A quello col piedino, Un poco a ciascheduno, E pare sempre intatta La nostra fedeltà.

Ma io che onesta sono, Così mai non farò, E vostra sol sarò; E tutto, tutto a voi Mio cor si serberà. (parte)

SCENA QUINTA

Beltrame solo.

Lucrezia parla bene,

Le sue parole m'hanno soddisfatto,

Ma dal fare al parlar v'è un lungo tratto.

Ho da fidarmi? Perché no? Mi dice

Che fedele sarà. Ma le ho da credere?

Eh via, Lucrezia è onesta:

Cosa mi vien in testa? Adagio un poco.

Figuriamo ch'io fossi

Con una bella donna in compagnia:

Cosa succederia? Dirlo non so.

Dunque se la mia moglie

In compagnia d'un giovine sarà,

La cosa come andrà?

Questa mi par filosofia massiccia.

Lucrezia vorrà certo mascherarsi,

E dovrà accompagnarsi

Per certa convenienza

Con Leandro, e dovrò portar pazienza.

Ma se vanno... mi spiace.

Se non vanno... chi sa!

Forse peggio sarà. Sì, sì, risolvo,

Per quietarla e veder il fatto mio,


Andar con essa mascherato anch'io.

Mascherato ch'io sarò, Con Lucrezia come andrò? Se starò vicino a lei, Mi diran che non conviene; Se do luogo ai cicisbei, Non mi piace, non sta bene. Darle mano... signor no. Star lontano... oibò, oibò. Ahi che pena, ahimè che imbroglio! E fra il voglio ed il non voglio Dubbio, incerto, ancora sto.

Maledetta gelosia, Che mi dai sì gran tormenti! Vi son tanti che contenti Alle mogli poco pensano, E con pace si dispensano Dal guardarle, dall'amarle... Quel ch'io dica più non so. (parte)

SCENA SESTA

Camera in casa di Vittoria.

Silvio e Vittoria

VITT.                     Aurelia mia nipote

Dir si può fortunata, Poiché un bel cavalier, come voi siete, In cui ogni virtude alberga e regna, Per sua consorte prenderla si degna.

SILV.                    Ma voi, Vittoria cara,

Abbondare solete in gentilezza, Come siete abbondante di bellezza.

VITT.                     Eh via, non mi burlate.

SILV.                                                         Io dico il vero.

Giuro da cavaliero Che, se dal bel d'Aurelia Quest'amante mio cor ferito fu, Forse voi mi piacete ancora più.

VITT.                     Oh cosa dite mai...

Oh non vorrei che Aurelia

Sapesse questa cosa:

Ch'ella forse di me saria gelosa.

SILV.                    O cara vedovella,

Siete graziosa e bella.

VITT.                                                         Eh via, tacete.


SILV.

Eppur vi voglio ben.

VITT.

Che diavol dite?

Voi dovete sposar la mia nipote.

SILV.

E ben, che importa questo?

Con amor puro e onesto

V'amo, Vittoria mia,

Come puole il nipote amar la zia.

VITT.

È ver che con Aurelia

Non è ancora concluso il matrimonio,

E che potreste ancora...

Basta, non voglio dir...

SILV.

Via, seguitate.

VITT.

Ho paura, briccon, che mi burlate.

SILV.

Ecco, Aurelia sen viene.

VITT.

(In sul più bello

Si è troncato il discorso).

SCENA SETTIMA Aurelia e detti.

AUR.

Silvio, mio caro sposo,

Siete poco amoroso,

Sfuggendo di star meco in compagnia.

SILV.

Sono con vostra zia.

VITT.

S'egli meco sen sta, che male c'è?

AUR.

Sino che sta con voi, non sta con me.

VITT.

(Se lo dico: è gelosa). (piano a Silvio)

SILV.

(E con ragione,

Se in di lei paragone

Siete più vaga e più gentil d'aspetto). (piano a Vittoria)

VITT.

(Eppur è ver, tutti me l'hanno detto).

AUR.

Quei segreti discorsi cosa sono?

SILV.

Con Vittoria ragiono

Dei dolci affetti miei.

AUR.

Discorretene meco, e non con lei.

SILV.

Voi siete la mia sposa.

AUR.

(È ver, ma questa cosa non mi piace). (da sé)

Non vi credo capace...

Già lo so che mal penso e mal ragiono,

Ma perché v'amo assai, gelosa io sono. (piano a Silvio)

SILV.

Deh cara, se mi amate,

Dal seno discacciate

La vana gelosia.

Non fate che mi dia

Tormento il vostro amor, ma gioia e pace;

Amar contento, e non penar mi piace.


Idol mio, donato ho il core Al fulgor di quei bei rai. V'amo, o cara, ognor v'amai, E costante ognor sarò.

Ma la fiamma allor che splende, Agitarla non conviene; E chi troppo aver pretende Spesse volte s'ingannò. (parte)

SCENA OTTAVA

Aurelia e Vittoria

AUR.                     Potrei sapere anch'io

In che si tratteneva

La signora Vittoria e Silvio mio?
VITT.                     V'appagherò, signora.

Si discorrea fra noi

Di quella mascherata

Che, per farvi piacer, Silvio ha ordinata.
AUR.                     Che dite? Si farà?

VITT.                                                  Sì, certamente.

Io ho mandato a invitar diversa gente.
AUR.                     Avrei piacer sapere

Chi sarà questa gente.
VITT.                                                       Or ve lo dico.

Lisetta con l'amico:

Con quel, se m'intendete,

Che va sempre con lei, come sapete.
AUR.                     Vi sarà suo marito?

VITT.                                                    Io non lo so,

Ma crederei di no. Avremo ancora

La nostra Menichina.

Sua madre stamattina,

Per farla comparir di bell'aspetto,

Le ha comprate le mosche ed il belletto.
AUR.                     Verrà Cecco con lei?

VITT.                                                       Questo si sa;

Senza l'amante in maschera non va.
AUR.                     E di lasciarla andare

La madre è persuasa?
VITT.                     La buona vecchia se ne resta in casa.

AUR.                     Vi son altri?

VITT.                                        Lucrezia

Credo verrà ancor essa.
AUR.                     Qual è?

VITT.                                 La mercantessa,

Per cui il buon marito


Uno di questi dì sarà fallito.
AUR.                     Verrà sola?

VITT.                                        Oh pensate!

È capace colei

Di condursi tre o quattro cicisbei.
AUR.                     E il marito il comporta?

VITT.                     Il marito sopporta,

E vede, e soffre, e tace,

Per aver con la moglie un po' di pace.
AUR.                     Ma voi avete scelto

Tutta gente cattiva.
VITT.                                                    Io non saprei

Ritrovarne di meglio.

Eh credetemi pur, nipote cara,

Che v'è quasi per tutto la sua tara.
AUR.                     Io, quando sarò sposa,

Non sarò certamente

Di tal sorta di gente.
VITT.                     Quando sposa sarete,

Forse diversamente penserete.
AUR.                     No, non penserò mai

Che savia, onesta moglie,

Poss'aver altre voglie

Che quelle del consorte,

A cui fida esser dee sino alla morte.

No, non v'è maggior diletto D'un fedele, onesto affetto; L'amoroso, Dolce sposo Fida sempre adorerò.

Sol m'alletta, sol mi piace, D'Imeneo la cara face: Altro foco Ancor per gioco Coltivare abborrirò. (parte)

SCENA NONA

Vittoria, poi Menichino

VITT.                     Aurelia è una ragazza

D'indole buona e piena d'onestà; Ma l'uso e il praticar la guasterà. Avrà un marito allegro, E i mariti, a cui piace l'allegria, Lasciano andar le mogli in compagnia. Silvio mi fa finezze,


E non so dir perché.

Sembra acceso di me;

Ma questo non vorrei;

Chi ama due donne, puol amarne sei.

Ecco il mio Menichino;

Questo m'ama davvero,

E con questo ho speranza

Di terminar la dura vedovanza.

MEN.                                La bella vedovina,

M'ha fatto male qui. (accenna il core)

E la mia medicina,

Carina, eccola lì. (accenna il volto di Vittoria)

VITT.

Dove avete imparato

Questa bella canzone?

MEN.

L'ho fatta a scuola in vece di lezione.

VITT.

Dunque avete gran male?

MEN.

Male assai.

VITT.

Ed io, da che restai senza marito,

Ho perduto per fino l'appetito.

MEN.

E a me, cara, rincresce,

Ch'ardo d'amore e l'appetito cresce.

VITT.

Orsù, ne parleremo.

MEN.

E fra di noi le cose aggiusteremo.

VITT.

Oggi verrete meco

Voi pure nella nostra mascherata.

MEN.

Verrò, se voi volete.

VITT.

E vi provvederete

D'un abito gaioso,

Fatto con bizzarria,

Che possa star cogli altri in compagnia.

MEN.

Un abito gaioso?

Dove l'ho da trovar?

VITT.

Lo troverete,

Come tant'altri fanno,

Da quei che a nolo li vestiti danno.

MEN.

Ma io, per verità,

Ho una difficoltà.

VITT.

Che dubbio avete?

MEN.

Non so se m'intendete...

A dirlo mi vergogno.

VITT.

Via parlate,

Caro il mio Menichino.

MEN.

Per l'abito pagar non ho un quattrino.

VITT.

Oh povero ragazzo! Non importa,

Tenete due zecchini;

Fate quel che bisogna.

MEN.

Son confuso fra il gusto e la vergogna.

VITT.

Mi vorrete poi bene?


MEN.

Assai, assai.

VITT.

Mi sarete infedele?

MEN.

Oh, questo mai.

VITT.

Menghino, son due anni

Ch'io vivo negli affanni

D'un'aspra vedovanza,

E voi siete la mia dolce speranza.

Vedovella, poverella,

Son due anni ch'io tormento:

Quel ch'io soffro, quel ch'io sento,

Chi l'intende, chi lo sa,

Deh lo dica per pietà.

Vo penando, vo smaniando,

E domando carità. (parte)

SCENA DECIMA

Menichino solo.

Codesta vedovella

Mi piace perché è bella,

Ma poi gli affetti suoi mi riescon cari

Perché, oltre l'amor, mi dà i denari.

Oh, è pur brutta l'usanza

Di chi spende per farsi voler bene!

Le donne che da noi regali bramano,

Ci burlano, non ci amano.

Io sì che sono amato,

Perché l'amante mia m'ha regalato.

Donne belle che pigliate, Io giammai vi crederò. Via piangete, via pregate, Io di voi mi riderò. Io vi voglio tanto bene. Maledette! non vi credo. Per voi, caro, vivo in pene. Maledette! vi conosco. Ahi che moro, mio tesoro! Quanto affetto, mio diletto! Galeotte, disgraziate, Non mi state a corbellar. (parte)

SCENA UNDICESIMA


Lucrezia, servita da Leandro; Beltrame e Vittoria

LUCR.

Di grazia, perdonate.

VITT.

Anzi voi mi onorate.

LEAN.

Io sono a parte

Di vostra cortesia.

VITT.

Oh, voi siete padron di casa mia.

BELT.

Servo suo, mia signora. (a Vittoria)

VITT.

Riverisco.

Cara mia Lucrezina,

State ben di salute?

LUCR.

Bene, e voi?

VITT.

Così e così. Signor Leandro, e lei?

LEAN.

Bene, a' vostri comandi.

VITT.

Mi rallegro.

Io ho il capo un poco storno.

BELT.

(E a me nessuno non abbada un corno).

SCENA DODICESIMA

Menichino e detti.

MEN.

Servo di lor signori. Oh ben venuta

La signora Lucrezia!

Leandro, vi son schiavo.

Ehi, signora Vittoria, riverisco.

BELT.

(Ed a me niente? Io non la capisco).

MEN.

(Ho trovato il vestito). (piano a Vittoria)

VITT.

(Bravo).

LEAN.

Ormai,

Mie signore, s'accosta

L'ora di mascherarsi.

Qui abbiam fatti portar gli abiti nostri;

Se ci date licenza,

Ci vestiremo qui.

VITT.

Padroni, signor sì.

LUCR.

Ma in qual maniera

Vi mascherate voi?

VITT.

Da Fiorentina.

Voi da che, Lucrezina?

LUCR.

E io da Veneziana.

VITT.

Brava, brava!

Menghino è il mio compagno.

LEAN.

Io ho l'onore

Di servire Lucrezia.

BELT.

Ed io sarò

Tra lor signori un barba Nicolò.

LUCR.

Ben, venite anche voi.


BELT.

E che figura

Mi volete far fare?

LUCR.

Fate quella figura che vi pare.

BELT.

Voglio far la figura di marito.

E lei, padrone mio, (a Leandro)

Sappia che con mia moglie vuò andar io.

LEAN.

Vossignoria s'accomodi.

Signora, mi perdoni, (a Lucrezia)

Io faccio riverenza a lor padroni.

LUCR.

Dove! dove! fermate.

LEAN.

Eh, col marito andate.

Io sono un uomo onesto:

Fra lui e me discorrerem del resto. (parte)

BELT.

(Sì, sì, le dieci doppie; l'ho capito). (da sé)

LUCR.

Bravo, signor marito,

L'avete fatta bella!

VITT.

Io non credevo mai

Simile debolezza in un uom tale. (a Beltrame)

BELT.

Signora mia, non sono uno stivale.

LUCR.

Amica, addio.

VITT.

Partite?

LUCR.

Sì, sì, voglio andar via.

BELT.

Schiavo, padrona mia. (a Lucrezia)

MEN.

La nostra mascherata,

Per quel che vedo, è andata.

LUCR.

Maledetto!

BELT.

Indiscreta!

VITT.

Oh pazza! (a Lucrezia)

MEN.

Oh sciocco! (a Beltrame)

LUCR.

Serva sua.

VITT.

Riverisco.

MEN.

Addio.

BELT.

Padroni.

LUCR.

Vado via.

VITT.

Vada pur.

LUCR.

Scusi.

BELT.

Perdoni.

(Tutti s'avviano per partire; poi ognuno si ferma alla scena)

BELT.

Vo pensando col cervello

Se io resto oppur se vo.

Fra l'incudine e il martello

Dubbio, incerto, ancora sto.

LUCR.

Resto, o vado in fretta in fretta?

Io risolvere non so.

Sono come una rocchetta,

Che di qua e di là balzò.

MEN.

Parto? taccio? o pur ragiono?

Sono ancor fra il sì ed il no.

Qual tamburo adess'io sono,

9


Che scordato risuonò.

VITT.

Son restata come quello

Che dormendo si destò,

Quando il suon del campanello

D'improvviso lo svegliò.

a due

Zitto, zitto, il cor mi parla,

Mi consiglia, ed io farò.

a quattro

Fermate, restate,

Sentite, son qui.

Andremo... diremo...

Faremo... così.

VITT.

Lucrezia col marito

E coll'amico andrà.

MEN.

Beltrame per di qua.

Leandro per di là.

LUCR.

Io son contenta; e voi?

VITT.

MEN.        } a due

Ei si contenterà.

LUCR.

Via, dite sì o no.

BELT.

Io mi contenterò.

a quattro

La cosa è accomodata,

Facciam la mascherata.

BELT.

Voglio pensarci un po'.

LUCR.

Via, dite, sì o no.

BELT.

Io mi contenterò.

a quattro

Andiamo in compagnia,

Staremo in allegria,

E sempre goderò.


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Piazza spaziosa, apparata per il corso delle Maschere.

In un carro bizzarramente adornato, e tirato da cavalli vivi, vengono mascherati Lucrezia da

Veneziana, Beltrame da pescivendolo Napolitano, Leandro da Francese che parla Italianato,

Vittoria da Fiorentina, Menichino da Tedesco, Silvio da Apollo, e Aurelia da Dafne, con

seguito di altre Maschere a piedi, che accompagnano il carro.

Mentre il carro si avanza e fa il giro per la scena, le Maschere cantano il seguente Baccanale:

La stagion del carnovale

Tutto il mondo fa cambiar.

Chi sta bene e chi sta male

Carneval fa rallegrar. Chi ha denari se li spende;

Chi non ne ha ne vuol trovar;

E s'impegna, e poi si vende,

Per andarsi a sollazzar. Qua la moglie e là il marito,

Ognun va dove gli par;

Ognun corre a qualche invito,

Chi a giocare e chi a ballar. Par che ognun di carnovale

A suo modo possa far;

Par che ora non sia male

Anche pazzo diventar. Viva dunque il carnovale,

Che diletti ci suol dar.

Carneval che tanto vale,

Che fa i cuori giubilar. (Fatto il giro, e cantato il Baccanale, tutti scendono dal carro il quale si fa tirar indietro)

SILV.                    O Dafne mia vezzosa,

Siete pur graziosa! (ad Aurelia)
AUR.                     Apollo mio diletto,

I raggi vostri m'han scaldato il petto.
SILV.                    Mi fuggirete voi qual dal suo Nume

Fuggì Dafne ritrosa?
AUR.                     Io d'Apollo sarò compagna e sposa.

LUCR.                   Via, via, siori novizzi,

Qua d'amor no se parla;


Siora ninfa gentil, caro mio Nume,

Nualtri no volemo farve lume.
LEAN.                   Mesieur, mesieur, madames

Allon qua nell'albergo,

Dove notre graziose mascherate

Finirà col plaisir jolì jornate.
VITT.                     Andiamo in questa casa,

Dove vuò un pocolino

Ganzare col mi caro Becolino.
MEN.                     Je fol fenir, mi pelle Florentine.

State tante carine!

Je pen parle Toscane, non farluche:

Star Tatesche, ma nain star mamaluche.
LEAN.                   Madam, donè la main. (a Lucrezia)

BELT.                                                        Eh, benemio,

Dimme, chi songo io?
LEAN.                                                     Voi siete sposo

Di madame Lucrezie.
BELT.                    Da mogliema che buoi?

LEAN.                                                       Je fer pretendo,

Monsiur, il debito mio.
BELT.                    Obregato, monsù, faraggio io.

LUCR.                   Olà, cossa diseu? (a Beltrame)

Seu matto, o deventeu?

No ve arecordè più del nostro patto?

Via, cavève de qua, sier vecchio matto.
BELT.                    A me chisso?

VITT.                                           Figgiuoli,

Non vi state per poco a scorrucciare.

La Crezzina ha due mane:

Può darne, se sa far il su dovere,

Una al marito e l'altra al cavaliere.
LUCR.                   Sì ben, la dise ben. Tolè, mario:

A vu la dretta, perché sè el mio amor.

(A vu st'altra dalla banda del cuor). (a Leandro)

LEAN.                            Je tutte contante,

Madame, suì.
LUCR.                            Con do che me serve,

Me piase anca mi.
BELT.                             Non saccio che dire,

Faremo accosì.
LUCR.                            Andemo

BELT.       } a due        Annamo     }   sì, sì.

LEAN.                            Allon uì, uì. (entrano nell'albergo)

VITT.                     Via, sposina mi cara,

Andate con il damo Un pochino a ruzzare. Poi faremo il veglione,


Ballerem la frullana ed il trescone.

MEN.

Je ancor foler pallar:

Ma prime da pallar, foler trincar.

SILV.

Pastorella

Vaga e bella,

Vienmi, o cara,

A consolar.

AUR.

Caro Nume,

Col tuo lume

Vien quest'alma

A serenar.

a due

Dolce affetto,

Che nel petto

Mi fa il core

Giubilar. (Entrano nell'albergo)

VITT.

Beco, badate a mene,

Mi volete voi bene?

MEN.

Tante, tante.

Foi state pelle Jonfre,

Fostre singolarie foler sposare,

E lustiche foler pallar, cantare.

a due

Evviva gli sposi,

Evviva l'amor.

VITT.

Evviva il bachino

Ch'io sento nel cor.

MEN.

Fisetto mio pello.

VITT.

Mia caro bacello.

a due

Evviva gli sposi,

Evviva l'amor. (entrano nell'albergo)

(Le Maschere che restano, cantano anch'esse)

Evviva, cantiamo

Il bel carneval.

Andiamo, godiamo,

Facciam baccanal. (tutti entrano nell'albergo)

SCENA SECONDA

Camera nell'albergo.

Silvio, Lucrezia, Leandro

SILV.

Graziosa Veneziana,

Molto voi mi piacete.

LEAN.

Veneziana gentil, bella voi siete.

LUCR.

Cari, diseu da seno?


In verità sta sera mi no ceno.
SILV.                     Ma è da stimarsi assai,

Che una vera Toscana

Possa parlar sì ben da Veneziana.
LUCR.                   Ve par che parla ben,

Perché semo lontani

Assae dai Veneziani;

Ma se fusse a Venezia,

Co sta pronunzia mia

Tutti quanti la burla i me daria.
LEAN.                   Basta, sembra in Milano

Che voi parliate bene,

E giudicar conviene

Che a Venezia più volte siate stata,

E che sia quella lingua a voi diletta.
LUCR.                   Cara Venezia! Sìela benedetta.

Sior sì, sior sì, son stada,

E tanto ben trattada,

E tanto compatia,

Che certo in vita mia

Me l'arecorderò.

Cara Venezia, benedetta! tiò.
LEAN.                   Via, lodo che serbiate

Grata memoria di città sì bella.

Ora siamo in Milano,

Ora i vostri favori

Deh non negate a' vostri servitori.
LUCR.                   Oh anzi, mio patron.

SILV.                                                      Voi troverete

Egual premura in noi.
LUCR.                                                     Sì, caro fio.

Ma mi gh'ò mio mario,

El qual, per dirve tutto in confidenza,

Me tratta, poveretto, a sufficienza.
SILV.                     Se non foste ammogliata,

Veneziana garbata,

E aveste da sposar uno di noi,

Diteci il ver, chi sposereste voi?
LUCR.                   Non me mettè in impegno,

Perché, se ve dirò la verità,

Me manderà qualcun de là da Stra.
LEAN.                   Dite liberamente.

SILV.                     Parlate schiettamente.

LUCR.                   Oe, mi son donna Betta,

Che gh'à la lengua schietta.

El vero ve dirò:

Se me mandè, mi ve stramanderò.

Vu sè caro e sè bellin, Ma sè tanto scarmolin,


Che una mumia me parè. Vu sè bello e sè grassetto, Sè ben fatto e sè tondetto, Ma, no so se m'intendè, Caro fio, putto mio, Ve podè licar i déi; Se sè bei, - no fè per mi. Vu premè, Vu stalì, E mi sio, Dago in drio; Via slarghemose, Destachemose, E passemola cussì. (parte)

SCENA TERZA

Silvio, Leandro, poi Aurelia

SILV.                     Gentilissima donna!

LEAN.                                                  Ella, a dir vero,

È spiritosa assai.
SILV.                                             Col suo bel spirito,

Col suo dir, col suo fare,

Una conversazion può ravvivare.
AUR.                     Signor Silvio gentile,

Mi rallegro con lei.
SILV.                                                    Per qual motivo?

AUR.                     Perché lo spirto vivo

Di quella veneziana mascheretta

Vi piace e vi diletta;

E la sua compagnia

Piacere vi darà più della mia.
LEAN.                   (Anche questa è gelosa).

SILV.                     Deh mia diletta sposa,

Di me non dubitate;

Deh non mi tormentate.
AUR.                                                            Eh, non temete:

Tutto vi lascio far quel che volete.
SILV.                     Ma voi siete adirata.

AUR.                                                     E con ragione.

LEAN.                   Credetemi, signora,

Che Silvio con Lucrezia

Trattato ha sempre mai modestamente.
AUR.                     Siete d'accordo; non vi credo niente.

SILV.                     Dunque...

AUR.                                      Dunque tornate

Dalla vostra signora che vi aspetta.


SILV.

Deh, Aurelia mia diletta,

Mi volete veder dunque morire?

Mirate questo pianto

Che dagli occhi mi sgorga:

Voi mi fate provar tormenti e pene.

(Due lagrime talvolta fanno bene).

AUR.

Via, caro, non piangete.

Se bene mi volete,

Di più da voi non chiedo.

SILV.

Io vostro sono.

Cara, mi perdonate?

AUR.

Vi perdono.

SILV.

Oimè, che dal contento

Il cor nel seno giubilar mi sento.

Bel goder contento in pace,

Senza doglie, senza pene:

Cara sposa, amato bene,

Consolate il mesto cor.

D'Imeneo la chiara face

Vuò sperar vi renda ancora

Men molesta a chi v'adora,

E vi tolga ogni timor. (parte)

SCENA QUARTA

Aurelia e Leandro

AUR.

Silvio assai gentilmente

Con graziosi concetti

Rimprovera da scaltro i miei sospetti.

LEAN.

Infatti non può darsi

Pena più aspra e ria

D'una importuna, ingiusta gelosia.

AUR.

Ma come s'ha da fare,

Quando s'ama davvero,

A non esser gelosi?

LEAN.

Io vel dirò,

Se ascoltarmi vorrete.

AUR.

Ascolterò.

LEAN.

Chi crede il bene

Il mal non vede:

Sta nella fede

La nostra pace.

Chi si compiace

Di veder tutto,

Amaro frutto


Riporterà. Se Silvio v'ama, Se voi l'amate, Che più bramate? Siate discreta, Più non temete, E goderete Felicità. (parte)

SCENA QUINTA

Aurelia sola.

Sì, sì, scacciar io voglio

Da questo amante core

Ogni vano sospetto, ogni timore.

Ma oh Dio! che tante volte

L'ho detto invano, e sempre,

Quando vedo il mio Silvio

Di donne in compagnia,

Mi tormenta la cruda gelosia.

Anime innamorate Che un sol oggetto amate, Dite se facil sia Scacciar la gelosia Dal vostro amante cor.

Ah, mi risponderete Che farlo proponete, E tosto vi cangiate, Qualora vi trovate In caso di timor. (parte)

SCENA SESTA

Beltrame solo.

Corpo di Satanasso!

Io non ne posso più. Questa mia moglie

Mi vuol far delirare.

Ma che dico mia moglie?

Ora questo, ora quello

Me la conduce via,

E quasi non so dir s'ella sia mia.

Fintanto ch'era un solo il suo servente,

Io soffriva paziente;


Ma ora sono tre,

E loco pel marito più non c'è.

Ma dunque che ho da fare?

Beltrame, hai da crepare?

Parla, grida, strapazza, è già tutt'uno:

Ti burlan tutti, e non t'ascolta alcuno.

Dunque... sì, giuro a Bacco...

Questa saria la vera...

L'esempio mi consiglia...

Il genietto mi chiama...

Con quella vedovella

Tanto gentile e bella,

Scherzar anch'io potrei:

Far quel che gli altri fanno anch'io con lei.

Eh sì, sì, vada via

Questa malinconia.

Voglio far all'usanza.

Vittoria è in questa stanza;

Vuò veder se mi riesce,

Con il pretesto della mascherata,

Con una canzoncina

Introdurmi a trattar la vedovina.

(Prende una chitarra che trovasi sul tavolino, e accostandosi alla porta

della stanza, canta la seguente canzonetta in lingua Napolitana)

«Vorria che fosse uciello e che volasse, E che tu m'encapasse alla gajola; Vorria che fosse Cola e che parlasse Per cercare quattr'ova a sta figliola; Vorria che fosse viento e che sciosciasse Per te levà da capo la rezzola; Vorria che fosse vufera e tozzasse Per mettere paura alla fegliola, Alla fegliola, ebbà. Lo stromiento senza le corde Come deavolo vo sonà? Ebbà, ebbà, ebbà. E managgia li vische de mammata Patreto, zieta e soreta, ebbà.»

SCENA SETTIMA

Vittoria e detto.

VITT.                     Bravo, bravo, figliuolo,

Voi m'andate a fagiuolo Con questo cantucciar sì dilettevole, Ma il dir napolitano giè stucchevole.


BELT.                    E il vostro fiorentino

Col caro e colla cara Veramente rassembra cosa rara.

VITT.                     Dunque parliam la nostra lingua usata.

BELT.                    Vedovina garbata,

Purché parlar con voi mi permettete, Parlerò in qual linguaggio voi volete.

VITT.                     Siete molto garbato;

Ma voi siete ammogliato.

BELT.                                                             E se mia moglie

Sta discorrendo coi serventi suoi, Non potrei far lo stesso anch'io con voi?

VITT.                     Cicisbear con me? Voi la sbagliate.

BELT.                    Via, cara, non mi fate

Cotanto la ritrosa.

VITT.                     Eh, io non son vezzosa

Come la vostra cara Lucrezina. Quell'arte soprafina In me non ho d'incatenare i cuori, Né so far spasimar gli adoratori.

BELT.                    Eppure in questo punto

Io spasimo per voi. Son... figuratevi, Son come... come un gatto Che il sorcio vede e graffignarlo aspira, Ma gli scappa di mano, ed ei sospira.

VITT.                     Grazioso paragon!

BELT.                                                 Son come un cane

Che distana la lepre, e corre, e corre, E poi la perde, e di furor ripieno, Per la rabbia e il dolor morde il terreno.

VITT.                     Oh galante davver!

BELT.                                                 Son come un lupo

Che va per divorar la pecorella: Trova l'ovil serrato, E il povero minchion parte affamato.

VITT.                     Io sorcio sono, e lepre e pecorella,

Che con un gusto matto So derider il lupo, il sorcio e il gatto.

BELT.                    Spiritosa voi siete;

Sempre più mi piacete.

VITT.                     Siete gentile e ameno,

Ma sempre più voi mi piacete meno.

BELT.                    Ma come dovrei fare,

Cara, per meritare

La vostra buona grazia? Anch'io vorrei Far quel che gli altri fanno; E giacché ho da soffrire Per causa di mia moglie Tanti bocconi amari, Anch'io, Vittoria mia, vorrei far pari.


VITT.                     Sapete in qual maniera

Gli uomini dalle donne amar si fanno?
BELT.                    Ma come? Io non lo so.

VITT.                     Ascoltatemi ben: ve lo dirò.

Con occhiate e con inchini Si principia a coltivar; Con le maschere e i festini Si può meglio chiacchierar. Ma i regali, ma i zecchini, Fan più presto innamorar.

So che voi m'intenderete, E di più non vi dirò; E mi par che rispondete: Questa regola la so, Ma un po' tardi l'ho imparata; Più non v'è da regalar. (parte)

SCENA OTTAVA Beltrame, poi Lucrezia, servita da Menichino e Leandro

BELT.

Dunque, per quel che sento,

Se il modo non vi è da regalare,

Nulla si può sperare?

Io che la tasca ho rotta e rifinita,

Mi posso a voglia mia leccar le dita.

Colle donne non trovo da far bene,

E soffrir mi conviene

Che corteggiata sia

Dunque la moglie mia?

Eh, giustizia non è.

Vuò far con gli altri quel che fan con me.

Eccola: oh come bene

Sa far le parti sue!

Ecco la vezzosetta in mezzo a due.

LUCR.

Obbligata, obbligata; non s'incomodi.

LEAN.

Io faccio il dover mio.

MEN.

Ho quest'onore di servirla anch'io.

BELT.

Eh signori serventi,

Non importa se fossero anche venti.

LUCR.

Marito, che ne dite?

Questi cavalierini

Non son tutti garbati?

BELT.

Sono, signora sì, sono sguaiati.

LUCR.

Non gli abbadate.

LEAN.

Amico,

Son vostro servitore.


BELT.

Bello signor Leandro, io v'ho nel cuore.

MEN.

E me dove m'avete?

BELT.

Un po' più in là.

MEN.

Obbligato.

BELT.

Padron.

MEN.

Troppa bontà.

LEAN.

(Lucrezia, a rivederci). (piano a Lucrezia)

Signore, io vado via.

BELT.

Foco a vossignoria.

LEAN.

Padrone, a voi m'inchino.

BELT.

Oh che m'avete rotto il chitarrino.

LEAN.

(Oh che uomo mal nato!

Di soffrirlo mi son quasi annoiato). (parte)

SCENA NONA

Lucrezia, Beltrame e Menichino

LUCR.

(Gran bestia è mio marito).

MEN.

Padron mio riverito.

BELT.

Schiavo suo

MEN.

Gli son servo obbligato.

BELT.

Oh, m'avete seccato.

LUCR.

E così rispondete a chi vi onora?

BELT.

Voi mi stordite ancora?

MEN.

Io parlo con rispetto.

BELT.

Che tu sii maledetto!

LUCR.

E voi ve n'offendete?

BELT.

Per carità, tacete.

MEN.

Una parola sola.

BELT.

Oh che tormento!

MEN.

Una sola parola, e vado via.

BELT.

Parlate col malan ch'il ciel vi dia.

MEN.

M'inchino al vostro merito

Presente, e non preterito.

Io v'amo,

E sol bramo

Servirvi, gradirvi.

Madama

È una dama,

Che dirlo potrà.

Mi prostro,

M'inchino

Con tutta umiltà.

Ma voi v'inquietate.

Vi prego, ascoltate

Una parola sola,


E parto in verità. (parte)

SCENA DECIMA

Lucrezia e Beltrame

BELT.

Ed ancor mi corbella? Eh giuro al cielo,

Non voglio più soffrir.

LUCR.

Bella figura

Mi fa far un marito

Pieno d'inciviltà!

BELT.

Bei complimenti

Che mi fanno, signora, i suoi serventi!

LUCR.

Siete un uomo incivile.

BELT.

Siete un donna pazza.

LUCR.

Maledetta pur sia la vostra razza!

BELT.

La mia razza, signora, è bella e buona.

LUCR.

Oh razza... Deh non fate

Che il sangue mi si scaldi.

BELT.

No, non faccia;

Non si accenda il polmone.

LUCR.

Sì, sì, avete ragione;

Questo mi si conviene,

Perché a voi ho voluto troppo bene.

BELT.

E io, se non vi amassi,

Geloso non sarei,

E per vostra cagion non penerei.

LUCR.

Bell'amor!

BELT.

Bell'affetto!

LUCR.

Io mi sarei dal petto

Per voi levato il core.

BELT.

Il sangue istesso

Avrei sparso per voi.

LUCR.

Barbaro!

BELT.

Ingrata!

LUCR.

Son così maltrattata,

Perché... perché... so io.

BELT.

Perché son troppo buono, il torto è mio.

LUCR.

Non lo credevo mai,

Che un marito crudele... oimè! mi sento

Stringere il cor; non posso più.

BELT.

Che avete?

LUCR.

Via di qua.

BELT.

Che? piangete?

LUCR.

Via, lasciatemi stare.

Lasciatemi crepare.

BELT.

Oimè, Lucrezia!

LUCR.

Cane, cane, crudele.


BELT.

Oh moglie mia!

LUCR.

Mi volete voi bene?

BELT.

Ah sì, v'adoro.

LUCR.

Mi griderete più?

BELT.

No, mio tesoro.

LUCR.

Ahi, mi sento

Che il tormento

Mi fa ancora lacrimar!

BELT.

Gioia mia,

Più non fia

Che vi senta a sospirar.

LUCR.

Dite il ver, m'amate voi?

BELT.

V'amo, cara, e v'amerò.

LUCR.

Se mi amate,

Non gridate.

Voglio far quel che mi par.

BELT.

Ma, Lucrezia, questo poi...

LUCR.

Dite il ver, mi amate voi?

BELT.

V'amo, o cara, e v'amerò.

LUCR.

Se mi amate,

Non parlate.

Voglio andar dove mi par.

BELT.

Eh, non so...

LUCR.

Piangerò.

BELT.

Questo no...

LUCR.

Creperò.

BELT.

Lucrezina, deh non piangete;

Via, farete quel che vorrete;

Ed io mai non parlerò.

LUCR.

Beltramino, caro, carino,

Se sarete con me bonino,

Sempre, sempre v'amerò.

a due

Bel piacere al cor mi sento.

Più tormento in sen non ho. (partono)

SCENA UNDICESIMA

Cortile nell'albergo.

Vittoria, Menichino, Leandro

LEAN.                   Il povero Beltrame

È mezzo disperato,

Perché della sua moglie innamorato.
VITT.                     È vero, ei fa il geloso,

Ma però volea far meco il grazioso.
MEN.                     Adunque ei si diletta


Far l'amore, se può?
VITT.                                                    S'io secondato

Avessi il suo pensiere,

Egli fatto m'avria da cavaliere.
LEAN.                   La sua moglie lo sa?

VITT.                                                    Credo di no.

LEAN.                   Eccolo ch'egli viene.

Andiamo tosto a ritrovar Lucrezia.

S'ella acconsente a far un po' di chiasso,

Alle spalle di lui vuò darvi spasso.
VITT.                     Caro il mio Menichino,

A voi torto non faccio. (parte)
MEN.                     Due altri zecchinetti, e soffro, e taccio. (parte)

LEAN.                   Mascherati fra poco torneremo,

Ed il nostro geloso ci godremo. (parte)

SCENA DODICESIMA

Beltrame, poi Vittoria, poi Lucrezia, poi Menichino, poi Leandro, mascherati in dominò.

BELT.                    Oh grand'amor è quello della moglie!

In mezzo a mille doglie, In mezzo a mille affanni, Dopo tanti e tanti anni, Se la cara consorte piange e prega, Un uomo di buon cor nulla a lei nega. Io l'amo, io l'amo tanto Che in virtù del suo pianto, Benché cosa mi chieda un poco dura, D'ottener quel che vuol da me è sicura. Ma di già m'è sparita. Dove mai sarà ita? Per non vederla a piangere e crepare, Convien, dov'ella vuol, lasciarla andare.

Vada pur, non so che dire:
Per non vederla morire
Starò cheto, e soffrirò.
(Viene Vittoria mascherata in dominò, la quale accompagnando co' gesti
il suono dell'orchestra, mostra essere innamorata di Beltrame)
BELT.                             Mascheretta, non v'intendo,

Ma da' cenni ben comprendo
Che il mio bel v'innamorò.
(Viene Lucrezia dall'altra parte, mascherata come Vittoria, e con cenni
simili fa lo stesso)
BELT.                             Mascheretta, siete amante

Ancor voi del mio sembiante? Tutte due vi servirò.


(Leandro e Menichino al suono dell'orchestra vengono verso Beltrame)

BELT.

Miei signori, a voi m'inchino. (Leandro e Menichino fanno cenni, co' quali lusingano Beltrame) Batterete l'accialino?

Obbligato vi sarò.

Mascherine, mie carine,

a quattro

Tutte due vi servirò. (Tutti si levano la maschera e ridono, e Beltrame resta attonito) Signor Beltrame caro,

Saran le grazie sue

Gradite a tutte due;

BELT.

Che cosa vuol di più? Signori... moglie mia...

Bondì a vussignoria,

VITT.

Un scherzo questo fu. Ma voi m'avete detto

Che siete amante mio.

BELT.

È stato uno scherzetto.

LUCR.

Gelosa non son io.

LEAN.

MEN.        } a due

Vittoria servirete.

BELT.

Sì, sì, la servirò.

a quattro

Ma come poi farete?

BELT.

Farò come saprò.

VITT.

Qua la mano.

BELT.

Eccola qui.

LUCR.

Alto il braccio.

BELT.

Eccolo lì.

LEAN.

Riverenza.

BELT.

Signor sì.

MEN.

Piè in cadenza.

BELT.

Va così?

a quattro

Riverenza,

Piè in cadenza;

Alto il braccio,

Qua la mano.

BELT.

Ehi, fermate,

Piano, piano.

Mi volete sgangherar?

a cinque

Bel piacere,

Bel godere,

Senza male sospettar.

Quando il core

Balza in petto,

Il diletto

Fa ballar.


ATTO TERZO


AUR.

VITT.

AUR. VITT.

AUR.

VITT. AUR.


SCENA PRIMA

Camera in casa di Vittoria, con tavolino e lumi.

Aurelia e Vittoria

Oh cara la mia zia, mi consolate.

Adunque destinate

Che si faccian le nozze in questa sera?

Sì, sì, questa è la vera;

Io mi voglio spicciare;

Voglio far presto quel che s'ha da fare.

Silvio sarà contento?

Contentissimo; Egli è innamoratissimo.

Lo credo; Ma talora lo vedo

Scherzar con donne, e darmi gelosia. Eh, che Silvio lo fa per bizzarria. Sarà(1) così, non voglio Tormentarmi di più. Contenta or sono: Delle gioie d'amor sospiro il dono.

Dolce notte, amica tanto A nostr'alme innamorate, Non tardar quell'ore grate Che aspettando va il mio cor.

La mercé d'un lungo pianto Ora fia soave riso. Ceda il loco nel mio viso L'allegrezza al rio timor. (parte)


SCENA SECONDA

Vittoria, poi Beltrame

VITT.                     Aurelia si consola,

Ma se lieta sarà, non sarà sola. Con Menichino mio

(1)

Nel testo abbiamo Sara, evidente errore di stampa. [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]


Voglio sposarmi anch'io,

E come si suol dire,

Due piccioni e una fava piglieremo;

Un viaggio e due servizi noi faremo.
BELT.                    Oimè, son disperato.

VITT.                     Beltrame, cos'è stato?

BELT.                    Presto, per carità, datemi un laccio,

Datemi un cortellaccio:

Io mi voglio impiccare,

10  mi voglio scannare.

VITT.                     E perché mai cotal disperazione?

BELT.                    Perché son un minchione,

Perché son rovinato,

Perché m'han sequestrato

I creditori miei

Tutto, tutto, il negozio e il capitale.
VITT.                     Oh, senza capital starete male.

BELT.                    Non so come mi far; non v'è rimedio.

O moglie, moglie ingrata,

Tutta la mia rovina tu sei stata.
VITT.                     Voi la moglie incolpate?

Di lei vi lamentate?

11 pazzo siete voi, che secondata
Avete in essa l'ambizion del sesso.

Chi è causa del suo mal, pianga se stesso.

Noi siamo ambiziosette,

È vero, già si sa.

Ma chi è, che tai ci fa?

È l'uomo innamorato

Che, quando è accarezzato,

Resistere non sa. Con quattro parolette

Facciam quel che vogliamo,

E venerate siamo

Da voi con umiltà.

E poi vi lamentate?

La causa in voi cercate

Di nostra vanità. (parte)

SCENA TERZA

Beltrame solo, poi quattro Creditori e quattro Donne lavoranti.

BELT.                    Misero, che farò?

Dove m'asconderò? Ah, se i birri mi trovano, Mi prendono legato, e m'imprigionano.


Oimè, chi è questi? Oimè! (Un Creditore gli presenta un conto)

Eh sì, signor, non dubiti;

Domani pagherò, non son fallito:

Ho roba ed ho denari;

Non si fan questi affronti ad un mio pari. (Parte il Creditore)

Manco mal, se n'è andato.

Oh, son pur imbrogliato! Eccone un altro.

(Un altro Creditore gli presenta un altro conto)

O padron mio, perdoni,

10me l'ero scordato. Ho nelle mani

11suo denaro, e pagherò domani. (Parte il Creditore) E soffrir mi bisogna

Una sì gran vergogna? Il terzo è qui. (Un altro Creditore fa lo stesso)

È vero, signor sì. Io sono debitore, già lo so;

domani senz'altro pagherò. (Parte il Creditore)

Ve n'è più, ve n'è più? Sian maledetti!

Tutti uniti si sono.

Io di qui non mi parto.

Oh diavolo, che vedo? Ecco qui il quarto.

(Un altro Creditore fa lo stesso)

Ho inteso, mio padron, senza che parli;

Domani pagherò. Vada pur via.(Parte il Creditore)

Servo a vussignoria.

Manco male che tutti,

Per non farmi arrossir, son stati muti.

Oimè, ora sto fresco! Ecco le lavoranti,

Che vorranno ancor esse i lor contanti.

(Vengono quattro Donne lavoranti, e cantano come segue:)

DONNE                            Signor padrone,

Vogliam denaro;

Non v'è riparo,

Convien pagar. Se lavorato

Per voi abbiamo,

Ve la cantiamo,

Vogliam mangiar.
BELT.                               Non dubitate,

Darò il denaro.
DONNE                            Non v'è riparo,

Convien pagar.

BELT.                    (Gli uomini andati son senza parlare,

E le femmine chete non puon stare. Ma se posso, vogl'io Burlar costoro con l'ingegno mio).

DONNE                            Signor padrone,

Vogliam denaro; Non v'è riparo,


Convien pagar.
BELT.                               Su via, tenete

Questa cambiale.

Lo scritturale

Vi pagherà.
(dà a ciascheduna delle Donne uno dei conti datigli dai Creditori)
DONNE                            Signor padrone,

Signor mercante,

Senza contante

Come anderà? Ve lo diciamo

Perché il sappiamo:

La fallilella

Si canterà. (partono le Donne)

BELT.                    Andate, andate al diavolo,

Femmine mal create; Sono contento almen che le ho burlate. Ma se m'ho liberato Da costoro per ora, ah come mai Liberarmi potrò da tanti e tanti Che a chieder mi verran roba o contanti? Io non so come escir da questa casa. A ogni passo prevedo un incontro fatale, E mi spaventa il Foro criminale...

I sbirri già m'aspettano, Mi vogliono pigliar. Al tribunal mi portano, Mi sento esaminar. Chi sei? Io sono un misero. Che hai fatto? Ho fatto debiti. Ebbene, hai da pagar. Signor, non ho un quattrino. Briccone, malandrino, Adunque alla galera Ti voglio condannar. Ahimè! sento lo strepito Delle catene ruggini. Il remo già mi porgono, La testa già mi radono. Pietade, signor giudice, D'un misero, d'un povero; Lasciatemi, slegatemi, La grazia è fatta già. (parte)

SCENA QUARTA


Lucrezia e Beltrame che torna.

LUCR.

Da me fugge Beltrame?

Di me pur si vergogna?

Discorrerla bisogna.

Ora che il male è fatto,

Necessario è venire a qualche patto.

Ehi consorte, venite,

Vi ho da parlar.

BELT.

Padrona.

Vi è qualch'altro vestito?

Il sarto vuol denari?

S'ha da far una nuova mascherata?

La chiave dello scrigno è preparata.

LUCR.

Ella scherza, signore.

BELT.

Oh mi perdoni!

LUCR.

Sicché, come faremo?

BELT.

Invero non saprei.

LUCR.

Via, proponga, signor.

BELT.

Via, parli lei.

LUCR.

Io voglio la mia dote.

BELT.

La sua dote?

È un pezzo ch'è mangiata.

L'avete in quattro giorni divorata.

LUCR.

Dunque che s'ha da fare?

BELT.

Se vorremo mangiare

Almen per qualche giorno,

Gli abiti venderem che abbiamo intorno.

LUCR.

Vender?

BELT.

Altro rimedio non ci trovo.

LUCR.

E poi?...

BELT.

E poi mostrar il Mondo Nuovo.

SCENA QUINTA

Leandro e detti.

LEAN.

Signori, mi dispiace

Delle vostre disgrazie.

BELT.

O caro amico,

Sono nel brutto intrico!

LUCR.

Caro Leandro mio,

Se non ci soccorrete,

Morire disperata mi vedrete.

LEAN.

Mi dispiacciono assai,

Signora, i vostri guai;

Ma il mal è troppo grosso;

Rimediarci vorrei, ma far nol posso.


LUCR.

Dunque...

LEAN.

Vi riverisco.

Di disturbar finisco il vostro sposo.

Or di me non sarete più geloso. (a Beltrame)

BELT.

No, caro amico, non ci abbandonate.

LEAN.

Alla moglie badate,

Non fate che il bisogno vi tradisca,

Poiché, se fin ad ora

Ho servita Lucrezia onestamente,

Trovandovi paziente,

Dar si potrebbe che l'onesto affetto

Potesse nel mio cuor cangiar d'aspetto.

Servire onestamente

Direi che si potesse;

Ma quando l'interesse

Soffrir vi fa il servente,

Io sento che in cimento

Si ponga l'onestà.

Or quel ch'è stato è stato;

Non se ne parli più.

Le doppie che ho pagato

Un regaletto fu.

Ma basta, e mi contrasta

Far più la civiltà. (parte)

SCENA SESTA

Beltrame e Lucrezia

BELT.

Leandro si è cavato.

LUCR.

Di soccorrerci anch'egli s'è stancato.

BELT.

E ben, signora moglie?

LUCR.

E ben, signor marito?

BELT.

Cosa faremo noi?

LUCR.

A che pensier v'appigliereste voi?

BELT.

Non so; son disperato.

LUCR.

Io ci ho bello e pensato:

Anderò da mia madre,

E viverò con lei.

BELT.

E da' debiti miei

Come volete voi ch'io mi difenda?

LUCR.

«Ognun dal canto suo cura si prenda ».

BELT.

Mi volete lasciare?

LUCR.

Se non v'è da mangiare!

BELT.

Lasciar vostro marito?

LUCR.

Superato è l'amor dall'appetito.

BELT.

Crudele, a questo passo


Son ridotto per voi.
LUCR.                                                Me ne dispiace.

Se aiutar vi potrò, Senz'altro lo farò:

Ma se abbiamo a star male tutti due, Caro consorte mio, È meglio che procuri star ben io.

L'amore del marito Non s'ha da abbandonar, Ma quando l'appetito Principia a tormentar, Si fan di quelle cose Che non s'avrian a far.

Adesso siamo due Uniti a sospirar. Ognun le piaghe sue Procuri rimediar. Io vado, e voi andate A farvi medicar. (parte)

SCENA SETTIMA

Beltrame e Silvio

BELT.                    Ecco qui il bell'amor della consorte,

Amor sincero e forte,

Che dura nella moglie

Sinché il marito può saziar sue voglie.
SILV.                     Beltrame, al cor risento

Delle vostre sventure il grave peso.
BELT.                    Ah, signor mio, son reso

Dal destino spietato

Un uomo disperato.
SILV.                                                    Se volete,

Meco a Roma verrete.

In casa vi terrò;

V'impiegherò, se non l'avete a male,

A far per casa mia lo scritturale.
BELT.                    Oh, sì signore, accetto

Questa grazia a drittura; a Roma dunque

Conducetemi pure,

Ch'io vi rivederò ben le scritture.

Per contar non v'è un mio pari: Conto sin che vi è denari; E poi, quando son finiti, Tiro tressa e faccio un zero.


Ma però spero Di far giudizio: In precipizio Non voglio andar. Va mia moglie da sua madre? Vada pur, ch'io mi consolo. Senza moglie, solo, solo, Meglio assai potrò campar. (parte)

SCENA OTTAVA

Silvio e Menichino

SILV.                     Povero galantuomo!

Egli mi fa pietà. Pel suo buon core Rovinar si è lasciato da sua moglie. Misero l'uom che, per sua trista sorte, Si lascia dominar dalla consorte! Abbiam veduto pure Che il Mondo alla roversa Andar fanno le donne che comandano, E in rovina se stesse ancora mandano.

MEN.                     Amico, allegramente.

SILV.                                                      Cosa è stato?

MEN.                     Son tutto consolato.

SILV.                     Qual motivo vi rende sì gioioso?

MEN.                     Io son allegro, perché son lo sposo.

SILV.                     Me ne rallegro assai.

La sposa chi fia mai?

MEN.                                                       Via, indovinate.

SILV.                     Forse Vittoria?

MEN.                                             Bravo! in fede mia,

In corpo avete voi l'astrologia.

SILV.                     E quando sposerete?

MEN.                                                    Questa sera.

SILV.                     Dunque nel tempo stesso

Che ad Aurelia ancor io porgo la mano.

MEN.                     Sì signor, sì signor, e voi, ed io,

E quella, e poi quell'altra. E l'altra, e l'una, e tutte due con noi. E con quella, e con questa, ed io, e voi.

SILV.                     Grazioso Menichino,

Vedo che Amor bambino Giubilare vi fa. Deh voglia il fato Che sia la nostra brama ognor contenta: Che goda il nostro cor, e non si penta!

Saria più amabile


D'amor il foco, Se più durabile Foss'egli un poco. Ma è troppo instabile Nel nostro cor. Mai non si vedono Due cor contenti. Quei che non credono Provar tormenti, Alfin si avvedono Del folle error... (parte)

SCENA NONA

Menichino solo.

Io non voglio pensar a tanti guai. Non ci ho pensato mai, E mai ci penserò; Riderò, goderò, sin che potrò. Che il foco duri sinché vuol durare: E se vuolsi ammorzare, S'ammorzi, che impedirlo non potrò: Ma intanto che arde ben, mi scalderò.

Vedo il carro d'Imeneo, Che mi vien ad incontrar; Ed Amor su la carretta Va suonando la cornetta. Ma pian pian, signor Amore; Per un sposo ancor novello Questo suono è troppo bello. Eh, che questa è un'opinione. Suona pur il cornettone: Viva Amore ed Imeneo, Che mi fan brillare il cor. (parte)

SCENA ULTIMA

TUTTI

CORO                               Scendi, Amor, nel carro aurato,

Imeneo conduci a lato,
E dei sposi il dolce affetto
Venga il petto a riscaldar.
PARTE DEL                          Scendan Venere e Giunone


CORO

Le nostre alme a rallegrar.

MEN.

La cornetta e il cornettone,

Caro Amor, vieni a suonar.

SILV.

Aurelia, ecco la mano.

AUR.

Ed io l'accetto,

E amor e fedeltade a voi prometto.

SILV.

Promesse che al dì d'oggi veramente

Non si soglion serbar sì facilmente.

VITT.

Via, Menichino, a noi.

MEN.

Eccomi qui da voi.

VITT.

Voi siete mio consorte.

MEN.

E voi mia sposa.

VITT.

Oh che caro piacer!

MEN.

Che bella cosa!

LUCR.

E noi, caro marito,

Morirem d'appetito.

BELT.

Io vado a Roma.

LUCR.

Mi lascierete qui?

BELT.

Certo, signora sì.

LUCR.

Oh me infelice!

BELT.

Andate colla vostra genitrice.

LUCR.

Voglio venir con voi. Possibil fia

Che un marito amoroso

Quest'ultimo piacere mi contenda?

BELT.

Ognun dal canto suo cura si prenda.

LUCR.

Via, marituccio mio.

BELT.

(Già me la ficca).

LUCR.

Non fate che si dica

Che la vostra Lucrezia, poverina,

Senza il suo Beltramin abbia a restare.

BELT.

(Oimè, non posso più).

LUCR.

Per quelle care

Paroline amorose

Che talor ci diciamo,

Menatemi con voi.

BELT.

Andiamo, andiamo.

PARTE DEL CORO

Scendan Venere e Giunone

Le nostr'alme a rallegrar.

MEN.

La cornetta e il cornettone,

Caro Amor, vieni a suonar.

CORO

Scendi, Amor, nel carro aurato,

E Imeneo conduci allato;

E dei sposi il dolce affetto


Venga il petto a riscaldar. Fine del Dramma.