La Napoli che non c’è più

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La Napoli che non c’è più

di Vincenzo Rosario PerrellA esposito                                                                                                                  (detto Ezio)

(06/08/2013)

Personaggi:   13 (14)

ATTO PRIMO:

Vincenzo Esposito

Marilena Veneruso

Salvatore Veneruso

La d.ssa Malata

Lucio Licinio Lucullo (54 anni)

Servilia (Cepione) Minore moglie Lucullo (38 anni)

Basilio di Napoli (40 anni)

San Gennaro (32 anni)

Re Ruggero II (44 anni)

Sibilla di Borgognaseconda moglie di Re Ruggero (circa 25 anni)

Federico II di Svevia (30 anni)

Carlo II d'Angiò, detto lo Zoppo (31 anni)

Maria d'Ungheria moglie Carlo II (28 anni)  

ATTO SECONDO:

Vincenzo Esposito

Marilena Veneruso

Salvatore Veneruso

Giovanna di Trastamara, di Aragona detta la Pazza (26 anni in poi)  .

Filippo d'Asburgo, detto il Bello marito Giovanna (27 anni in poi)

Tommaso Aniello d'Amalfi, Masaniello (26 anni)

Gioacchino Murat

Francesco II di Borbone (26 anni)

Maria Sofia di Wittelsbach (20 anni)

Enrichetta Caracciolo (39 anni)

Antonio Petito (48 anni)

Otto Voltestrunz, (40 anni in poi)

Lina Merlin, (70 anni in su)

Diego Armando Maradona (24 anni)

Napoli, un personaggio crede di aver inventato un macchinario che ridona la gioventù alla gente. Ma in realtà ha inventato una strana macchina del tempo che riporta ai tempi moderni personaggi che hanno in qualche modo fatto la storia di Napoli oppure vi hanno partecipato. Dal console romano Lucullo, al viceré, da San Gennaro (prima di divenire santo) ai reali di Svevia e di Borbone, fino a giungere ad un militare nazista, il ministro Merlin (che promosse la chiusura delle case di appuntamento) e pure il mitico Diego Armando Maradona. La cosa più difficile è ora farli rientrare tutti nella macchina del tempo per rispedirli nelle loro rispettive epoche.

Numero posizione SIAE 233047

Per contatti Ezio Perrella 3485514070 ezioperrella@libero.it


Napoli, Quartiere Sanità, siamo davanti ad un palazzo. Nei suoi pressi (a destra) c’è un ingresso che conduce ad uno scantinato (che durante la seconda guerra mondiale era un rifugio anti bombardamento). Vi sono un lampione a sinistra, una panchina a destra, uno scooter parcheggiato al centro a fianco ad un contenitore per rifiuti di indifferenziata.

ATTO PRIMO

1. [Vincenzo Esposito, Marilena Veneruso, Salvatore Veneruso e dottoressa Malata]

                   Seduto sulla panchina c’è Vincenzo (sofferente allo stomaco). In piedi accanto

                   a lui c’è sua moglie Marilena che cerca di confortarlo.

Vincenzo:  (Lamentandosi, dolorante) Ah, mamma bella! ‘O stommeche, ‘o stommeche!

Marilena:  Nun te prioccupà, ammore mio, Salvatore è gghiuto a chiammà ‘o duttore.

Vincenzo:  E quanto ce mette ‘stu duttore p’arrivà?

Marilena:  E ‘nu mumento. Si vede che tiene qualche altra cosa da fare.

                   Da sinistra arrivano Salvatore e la dottoressa Malata.

Salvatore: Dottoressa, venite, venite.

Malata:     Calma, calma!

Salvatore: Il moribondo sta qua!

Vincenzo:  (Lo guarda male) Puozz’ittà ‘o veleno!

Marilena:  Scusate, ma voi siete donna?

Malata:     E certo. Non si vede?

Marilena:  Sì, però mio marito ha vergogna delle donne. Era meglio un dottore maschio!

Salvatore: Sentite, per favore, guardate a mio cognato.

Marilena:  E sì, tiene dei forti dolori di stomaco. Vicié, cunte ‘a dottoressa ch’è succieso.

Malata:     Ma io…

Marilena:  No, no, no, lasciatelo parlare in pace. Va’, Vicié!

Vincenzo:  Dunque, io sto costruendo una nuova invenzione: la cabina per ringiovanire gli

                   esseri umani. E mentre martellavo i supporti in legno, tenevo i chiodi in bocca.

                   Ma bell’e buono so’ sciuliato… (Piagnucola) E m’aggio agghiuttuto ‘e chiuove!

Salvatore: Dottoressa, vedete che potete fare. Miracolate a mio cognato!

Marilena:  Eh, addirittura! Dottoressa, visitate lo stomaco di mio marito.

Malata:     Scusate, ma non ne capisco.

Salvatore: Ma come? Vedete bene, quello s’è mangiato i chiodi e ha fatto indigestione.

Malata:     Non ne capisco.

Salvatore: Dottoressa, lui deve andare sul gabinetto e deve scaricare tutti i chiodi. E’ vero?

Malata:     Vi ho detto che non ne capisco.

Vincenzo:  E se non ne capite voi, io stongo ‘nguajato!

Malata:     Sentite, io non vi posso curare.

Marilena:  Ecco, lo sapevo. Era meglio se era un dottore maschio.

Malata:     Ma io sono la dottoressa Malata.

Vincenzo:  Salvatò, ma a chi m’he’ purtato? ‘Na dottoressa malata? E puòrteme a ‘na

                   dottoressa che sta bona in salute!

Malata:     No, non mi sono espressa. Io non sono una dottoressa in medicina, ma in

                   ingegneria meccanica.

Salvatore: Embé? Voi lavorate su tante macchine, perché non lavorate pure su Vincenzo?

Vincenzo:  Ma che m’he’ pigliato, pe’ ‘na Ford Fiesta?

Malata:      Ma non macchine auto, io lavoro sui macchinari!Insomma, per voi ci vuole un

                    medico vero. E io non lo sono.

Marilena:  Salvatò, non hai capito proto niente. Tu ‘iva cercà ‘na dottoressa in medicina.

Salvatore: E vuje nun m’ate ditto che dottoressa ve serveva? Vuje m’ate ditto sulo ‘e ì a

                   chiammà ‘na dottoressa. Anzi, per la precisione, un dottore!

Marilena:  E allora, dottoressa, jatevenne. Nun ce servite. Nun site adatta. Nun site bona!

Malata:     (Volgare) Signò, ma siete stata voi che mi avete chiamata. Ma guardate ‘nu poco

                   a chesta. Menu male che songo ‘na perzona perbene. Pu’, ‘a faccia vosta!

                   Ed esce via.

Vincenzo:  Salvatò, ma addò l’he’ truvata a ‘sta vrenzola? Marilé, aiutami ad alzarmi.

Marilena:  (Esegue) Va ‘nu poco meglio?

Vincenzo:  (Si alza lentamente) Adessosì. Allora posso tornare al mio lavoro.

Salvatore: Vicié, ma che d’è ‘sta cabina per ringiovanire?

Vincenzo:  Serve per tornare giovani, a seconda degli anni che si vuole. Se per esempio,

                   sulla macchina che ho inventato io, digiti 10, ringiovanisci di 10 anni.

Marilena:  Io vorrei tornare neonata. Allora digiterei 100!

Vincenzo:  Cretina! Ma pecché, tu tiene cient’anne?

Marilena:  No!

Vincenzo:  E allora?

Salvatore: Senti, ma facci vedere come funziona.

Vincenzo:  Subito. (Dalla tasca estrae un telecomando) Ecco qua.

Salvatore: E chesta fosse ‘a cabina?

Vincenzo:  No, chisto è ‘o telecomando! La cabina sta nello scantinato alle nostre spalle. Il

                   telecomando tiene un raggio di azione di 50 metri. Vieni, facciamo una prova.

                   Entra nella cabina e così io ti faccio tornare indietro nel tempo!

Salvatore: (Esulta) Uà, Marilé, mò ringiovanisco ‘e diece anne. Non mi riconoscerai più!

                   I due escono a sinistra. Marilena, rimasta sola, si siede sulla panchina. 

Marilena:  ‘E che pacienza che ce vo’! Un bidello che vuole fare l’inventore. E pensare che

                   mi aveva promesso di portarmi via dai Quartieri Spagnoli. E invece stamme

                   sempe ccà. Ha detto che ce ne andremo soltanto se la sua invenzione farà il

                   grande botto! Ma qualu botto? Speramme invece che nun fa ‘na granda botta!

                   Ad un tratto, da sinistra, si sente proprio un botto. Marilena salta in piedi.

                   Oddio! ‘A cabina ‘e Vicienzo overamente ha fatto ‘a botta! Vicié, Salvatò!

                   Da sinistra tornano correndo i due spaventati.

I due:         (Gridando) Aaaaah!

Marilena:  Ma ch’è stato?

Vincenzo:  No, niente.

Salvatore: Comme? Niente? Tu m’he’ quase acciso! Menu male ch’accomme aggio visto ‘e

                   scintille, me ne songo fujuto!

Vincenzo:  Ma non esageriamo, adesso. E’ solo impazzita la cabina. 

Salvatore: Marilé, ma almeno sono ringiovanito un poco?

Marilena:  No! Anze, tu me pare che he’ fatto ‘e capille janche p’’a paura!

Salvatore: Disgraziatissimo! T’aggia fa’ ‘o salasso!

Vincenzo:  No, no, nooo!

                   Scappa via a destra, inseguito da Salvatore.

Marilena:  Salvatò, nun ‘o fa’ male, a Vicienzo. Schiàttele sulo ‘a capa!

                    Esce pure lei a destra.

2. [Lucio Licinio Lucullo e Servilia Cepione Minore. Poi Vincenzo e Marilena]

                   Da sinistra (lo scantinato) escono due figuri misteriosi in abiti dell’antica

                   Roma: il generale Lucio Licinio Lucullo e sua moglie Servilia Cepione Minore.

                   I due si guardano intorno, stupiti. Poi si confrontano su ciò che vedono.

Lucullo:    Aoh, ma andò stamo?!

Servilia:    Non lo so. Ma questa non è Roma. 

                   Si sente una voce venire da destra (non si vede di chi è) che grida testualmente:

Voce:         ‘E cachisse, ‘e purtualle, ‘e banane a ‘n’Euro ‘o chilo!

Lucullo:    Hai sentito? Forse siamo in terra araba!

Servilia:    E come siamo finiti qui?

Lucullo:    (Si avvicina allo scooter in sosta) E questo che cos’è?

Servilia:    Attento, potrebbe essere pericoloso.

Lucullo:    Ma se sta fermo! (Tira fuori la spada) Se si muove, lo trafiggo col mio gladio!

Servilia:    (Va davanti al contenitore dei rifiuti) Lucullo, guarda questo. Che sarà?

Lucullo:    Servilia, fai attenzione, potrebbe essere pericoloso.

Servilia:    (Nota il lampione e vi si avvicina) E questo che cos’è?

Lucullo:    A Servì,ma che ce frega? Io so soltanto una cosa: me brontola lo stomaco.

Servilia:    Anche a me. (Si siede sulla panchina)

Lucullo:    Cosa fai? Dove ti stai sedendo?

Servilia:    Su questa panca.

Lucullo:    Non è pericolosa?

Servilia:    Non mi sembra.

Lucullo:    E allora mi siedo anch’io. (Le siede accanto) E pensare che a quest’ora

                   dovremmo fare uno dei nostri pranzi famosi in tutta Roma. Pranzi luculliani!

Servilia:    Ma come siamo finiti qui? Chi ci può dare una risposta?

                   Da destra torna Vincenzo (quatto, quatto).

Vincenzo: Chi sa si Salvatore se n’è gghiuto?

                   Dietro di lui, Marilena gli pone una mano sulla spalla e lui si spaventa.

                   Salvatò, perdonami!

Marilena: Oh, songh’io!

Vincenzo: Disgraziata, m’he’ spaventato!

                   Lucullo si alza e sfodera il gladio, minacciando Vincenzo.

Lucullo:    Marrano, fellone, tu stai picchiando questa donna. Difenditi!

Vincenzo: Néh, ma chi ‘a sta tuccanno? Quella è mia moglie.  

Servilia:    (Va da Lucullo) Calmo, calmo. Metti via il tuo gladio.

Vincenzo: (Li osserva, poi interroga Marilena) Ma chiste chi so’? E comme stanne vestute?

                   Ah, già, stamme a Carnevale!

Marilena: No, veramente, nun è Carnevale. Chieste stanne proto vestute accussi.

Vincenzo: Scusate, ma vuje chi site?

Lucullo:    Io sono il generale Lucio Licinio Lucullo.

Servilia:    Ed io sono sua moglieServilia Cepione Minore. E voi?

Vincenzo: Vincenzo Esposito.

Marilena: Marilena Veneruso.

Lucullo:    Ma… come state vestiti male!

Vincenzo: Siente chi parle! Ma voi perché state vestiti da antichi romani?

Lucullo:    Antichi romani? Io sono un romano. E mentre ci trovavamo a Roma per andare

                   da Marco Tullio Cicerone, ci siamo ritrovati in una strana casetta che si trova lì

                   dentro, alle nostre spalle.

Marilena: (Dubbiosa) Vicié, stanne parlanno ‘e ll’invenziona toja, ‘a cabina.

Vincenzo: E che ce azzecca ‘a cabina mia? Quella serve per ringiovanire. Questi invece 

                   vengono da… (Pure lui dubbioso) Marilé, ma ch’aggio cumbinato? Vuo’ vedé

                   ch’aggio inventato ‘n’ata cosa? E cioè… una macchina del tempo!

Marilena: Ma no, secondo me, chiste so’ duje pazze! (Nota Lucullo che intanto è andato a

                   sedersi sullo scooter) Vicié, guarde a chillo!

Vincenzo: (Corre da lui) Uhé, uhé, amico! Scinne ‘a lloco ‘ncoppa.

Lucullo:    (Scendendo dal mezzo) Che cos’è esattamente questo arnese? A cosa serve?

Vincenzo: Si chiama scooter. E’ una specie di cavallo. 

Lucullo:    E mangia molta biada?

Vincenzo: No, però beve molta benzina!

Lucullo:    E come funziona?

Vincenzo: Niente, si accende col tasto sul manubrio, poi giri l’acceleratore e parti. E’ facile.

                  Ma ora sediamoci sulla panchina.    

Lucullo:    Bene.(Si siede per primo sulla panchina, posa il gladio accanto a sé)

Vincenzo: (Si accomoda sulla panchina, ma siede sul gladio e salta in piedi dolorante)

                   Aaah! Ma che ce sta ccà ‘ncoppa?

Lucullo:    Il mio gladio! Come osi sederti su di lui?

Vincenzo: Azz, ma mò avessa cercà pure scusa ‘a spada toja? Ma jette ‘sta cosa! (Si siede)

Servilia:    (A Marilena) Ma cosa sono queste grandi costruzioni di pietra?

Marilena: Si chiamano palazzi. Ci abita la gente.

Servilia:    E come si chiama questo posto dove ci troviamo?

Marilena: Questa è la città più bella del mondo: Napoli!

Lucullo:    E non c’è un posto dove andare a mangiare?

Vincenzo: Azz, hai voglia! Come si mangia qua a Napoli, non si mangia da nessuna parte.

Lucullo:    E allora dobbiamo cercare subito una locanda. Solo che ci vorrebbe una biga.

Vincenzo: Non ci stanno le bighe, ci stanno le macchine e gli scooter.

Lucullo:    Scooter? Come quello?

Vincenzo: Sì. Ma non si può prendere.

Lucullo:    E allora, se non si può prendere quello, ne prenderemo un altro. Quanto costa?

Vincenzo: Tremila Euro!

Servilia:    Euro? Cos’è?

Lucullo:    Non ci interessa. Ora ce ne andiamo.

Vincenzo: No, aspié, addò vaje? Voi dovete tornare indietro nel tempo.

Lucullo:   (Lo minaccia col gladio)Fermo là! Vieni, Servilia, andiamo via.

Servilia:   Va bene. Piacere di avervi conosciuti.

                  I due scappano a destra.

Marilena: Oh, no, Vicié, e mò?

                   Si sente uno scooter andare in moto e partire.

Vincenzo: Uh, mamma mia! S’hanne arrubbato ‘o scooter!

Marilena: Cretino, e tu vaje a lassà ‘e cchiave vicino! 

I due:        Uhé, addò jate?

                  Escono via a destra.

3. [San Gennaro, Vincenzo e Marilena]

                     Da sinistra esce un altro figuro: è San Gennaro (in abito vescovile e le mani

                     protese, tipo santo).

S.Gennaro: Fratelli e sorelle! Io… (Si guarda intorno, sorpreso, ma non nota nessuno) E

                     addò stanne, ‘e ggente? Un minuto fa stavo parlando con loro e ora non li vedo

                     più. (Poi osserva il luogo) Ma… dove mi trovo? Che posto è questo? Sono

                     convinto che questa città non mi piacerà mai! (Si siede sulla panchina, in posa)

                     Da destra tornano Vincenzo e Marilena. Sono affannati e preoccupati.

Marilena:    Mannaggia ‘a miseria, Vicié! Lucullo e ‘a mugliera se n’hanne fujute.

Vincenzo:    Ma tu he’ visto a chillo comme porta bello ‘o scooter?!

Marilena:    Che me ne ‘mporta, a me? Noi dobbiamo risolvere questo problema. Speriamo

                     che quei due non fanno guai.

Vincenzo:    (Va verso la panchina) E già, overamente! (Poi osserva inconsciamente San

                     Gennaro) San Gennà, miéttece ‘a mana toja!

S.Gennaro: Ma perché, voi mi conoscete?

Vincenzo:    (Si spaventa) Mamma bella! (E corre da Marilena)

Marilena:    Ch’è stato, Vicié?

Vincenzo:    Marilé, chella statua ‘e San Gennaro m’ha guardato… e ha parlato!

Marilena:    Ma nun dicere scimmità.

Vincenzo:    Ma si’ scema? Te stongo dicenno che chella statua ‘e San Gennaro ha parlato.

Marilena:    Famm’’a vedé.

Vincenzo:    Però statte accorta!

                     Marilena si avvicina, seguita a pochissimi passi da Vincenzo.

Marilena:    Però è strano, ‘sta statua nun ce steva primma.Comme ha fatto a cumparé ccà?

S.Gennaro: Ma quala statua?

I due:           (Si spaventano e si abbracciano) Aaaah!

Vincenzo:    Marilé, he’ ‘ntiso?

Marilena:    Aggio ‘ntiso, aggio ‘ntiso!

S.Gennaro: (Si alza in piedi) Scusate, ma che state facenno, tutt’e dduje?

Vincenzo:    San Gennà, ma si’ proprio tu?

S.Gennaro: Ma perché mi chiamate San Gennaro? Io sono un vescovo.

Marilena:    Sì, però quando morirai, diventerai santo patrono.

S.Gennaro: E di quale città? Spero non di Napoli!

I due:           Sì!

S.Gennaro: (Deluso) ‘E che ciorte!

Vincenzo:    San Gennaro, ma da dove sei saltato fuori?

S.Gennaro: Da là dentro. Non lo so come ci sono finito.

Marilena:    Oh, no! Pur’isso è asciuto ‘a ‘int’’a cabina che he’ ‘nventato tu.

Vincenzo:    San Gennà, io sto in un grande pasticcio. Per favore, fai un miracolo.

S.Gennaro: Ma comme, io ancora aggia murì e già aggia fa’ ‘e miracole? A proposito, ma

                     quanno sarraggio muorto, che miracole saccio fa’?

Vincenzo:    (Fiero) San Gennà, hai fermato varie volte il Vesuvio e hai fatto vincere due

                     scudetti al Napoli!

Marilena:    Ma soprattutto, nel duomo di Napoli, due volte l’anno, il tuo sangue si scioglie.

S.Gennaro: Cioè, praticamente, aggio ittato ‘o sango!

I due:           Esattamente!

S.Gennaro: Sentite, amici, ma voi come vi chiamate?

Marilena:    Marilena Veneruso.

Vincenzo:    Vincenzo Esposito.

S.Gennaro: Ah, ecco. Forse non siete di queste parti.

Vincenzo:    Azz! Cchiù napulitano ‘e Vincenzo Esposito, ce sta sulo Gennaro Esposito!

S.Gennaro: E per caso non è che mi volete accompagnare in questo duomo di Napoli?

                     Vorrei vedere questo San Gennaro che fa il miracolo.

Vincenzo:    Ma San Gennaro si’ tu!

S.Gennaro: Ah, già, è ‘o vero!

Vincenzo:    San Gennà, ma noi non ti potiamo portare in giro. Se la gente ti vede, fa una

                     brutta paura. Non per niente, il fatto è che loro non ti hanno mai visto dal vivo!

S.Gennaro: Ho capito. E dove si trova esattamente questo duomo? Così, solo per curiosità.

Marilena:    A Via Duomo.

S.Gennaro: Ah, bello, bello! (Indica un posto a sinistra) E quella là che chiesa è?

                     I due si distraggono e così san Gennaro fugge via, quatto, quatto, a destra.

Marilena:    Quala chiesa, San Gennà?

Vincenzo:    Uh, Marò! San Gennaro nun ce sta cchiù! E’ gghiuto a Via Duomo.

Marilena:    Ma chillo nun ‘o ssape addò sta Via Duomo.

Vincenzo:    E’ peggio ancora! Chi sa mò addò va? Mannaggia a me e ch’aggio ‘nventato

                     chella cabina. Ce sta facenno passà ‘e guaje nuoste. Jamme a piglià a chillo!

I due:           San Gennàààà!

                     I due lo rincorrono, a destra.

4. [Basilio duca di Napoli, poi Salvatore, Vincenzo e Marilena]

                     Da sinistra si vede una luce intensa ed una scintilla: entra Basilio duca di

                     Napoli (in abiti medievali). Entra a testa bassa, come parlando con qualcuno. Basilio:        Imperatore, mi prostro ai tuoi piedi. (Si inginocchia) 

                     Da destra torna Salvatore che si è calmato.

Salvatore:   Vabbuò, va’, proprio pecché me si’ frato, te perdòno! (Nota Basilio) E chi è?

                     (Gli si avvicina) Scusate, vi sentite male?

Basilio:        (Inginocchiato e con gli occhi chiusi) Sono il tuo umile servitore.

Salvatore:   (Sorpreso) Il mio umile servitore? No, ma chisto sarrà scemo!

Basilio:        Posso rialzarmi?

Salvatore:   No, tu t’he’ aizà proprio! Nun me fido cchiù ‘e te vedé accussì inginocchiato!

Basilio:        (Si rialza e lo osserva con perplessità. Poi si guarda intorno) Ma… tu chi sei?

Salvatore:   L’he’ ditto mommò: io sono il tuo padrone!

Basilio:        Il mio padrone?

Salvatore:   E certo. Tu invece sei il mio umile servitore.

Basilio:        Ma tu non sei l’imperatore Costante II di Bisanzio.

Salvatore:   No, so’ Salvatore Veneruso ‘e Corso Garibaldi. E tu?

Basilio:        Io sono Basilio, duca di Napoli!

Salvatore:   Che? (Si inginocchia davanti a lui) E allora sono io il tuo umile servitore.

Basilio:        Perché ti sei genuflesso?

Salvatore:   (Rialzandosi, offeso) Ah, ah, no, no. Tu sarraje pure duca, ma nun me puo’

                     chiammà fesso!

Basilio:        Ma dove mi trovo io? Cielo!

Salvatore: No, io mi chiamo Salvatore, non mi chiamo “Cielo”.

Basilio:      Ma perché sono qui? Per la miseria!

Salvatore: Stai qua per miseria?

Basilio:      E cosa mangerò? Cavolo!

Salvatore: Te mange ‘o cavolo? Buon appetito.

Basilio:      (Stufo) Guagliò, ma te staje zitto? Me faje arraggiunà ‘ngrazia ‘e Dio?

Salvatore: Va bene, va bene.

Basilio:      Insomma, non capisco. Io mi trovavo al cospetto dell’imperatore Costante, ma

                   all’improvviso mi sono ritrovato qui. E sono uscito da quel posto lì dietro.

Salvatore: Ah, dallo scantinato dove si trova l’invenzione di Vincenzo.

Basilio:      Ma in che anno siamo?664? 665? 666? 

Salvatore: No, 2013! (Poi, dubbioso) Come sarebbe a dire 664, 665 e 666?

Basilio:      Fino a 10 minuti fa, mi trovato nel 666, ma tu dici che siamo nel 2013.

Salvatore: Ma Vicienzo che cacchio ha ‘nventato?

                   Da destra tornano e si fermano Vincenzo e Marilena.

Vincenzo:  Marilé, amma chiammà ‘a polizia. Ce amma dicere che Lucullo e San Gennaro

                   se n’hanne fujute e nun ‘e truvamme cchiù!

Marilena:  ‘O vero? Te vuo’ fa’ sfottere d’’a polizia?

Salvatore: Uhé, a tutt’e dduje!

Vincenzo:  (Va da lui) Ah, tu staje ccà? Salvatò, è succiesa ‘na cosa gravissima.

Marilena:  (Vi si avvicina) Chella cabina pe’ ringiovanì, è in realtà ‘na macchina del tempo.

Vincenzo:  Niente di meno, ha portato qui da noi personaggi come Lucullo e la moglie, ma

                   anche San Gennaro! Speriamo che sia finita qua.

Salvatore: (Mostra Basilio) ‘O vero? E chisto allora è ‘nu miraggio?

I due:         E chi è?

Salvatore: Inginocchiatevi un momento. Su, soltanto un secondo. (Dopo che i due si sono  

                   inginocchiati) Prego, duca, dite chi siete.

Basilio:      Basilio, duca di Napoli, insignito di tal titolo dall’imperator Costante II nel 661.

I due          (Si rialzano, perplessi) Eh?

Salvatore: Caro duca, lui è mio fratello Vincenzo Esposito e lei è sua moglie Marilena.           

                   Allora, mi regalate qualcosa di soldi?

Basilio:      Ma chi ti conosce? Come ti permetti? Piuttosto, dove mi trovo adesso?

Salvatore: A Napoli.

Basilio:      E ci sono belle donne qui?

Vincenzo:  (A Marilena) Azz, ‘o duca è pure rattuso!

Basilio:      (Nota qualcosa verso destra) Uh, la conoscete quella donna lì col cagnolino?

I tre:          No!

Basilio:      Fa niente, mi presento da solo. (Avviandosi verso destra) Ehi, buona donna…!

I tre:          (Lo bloccano) Fermo!

Basilio:      Ma come osate? Quando Basilio adocchia una donna, nessuno può fermarlo! (Si

                   divincola) Senta, bella donna!

I tre:          Uhé, uhé…!

                   Lui esce a destra, seguito dai tre che tentano di fermarlo.

5. [Ruggero II d’Altavilla e Sibilla di Borgogna. Poi Vincenzo e Salvatore]

                   Da sinistra, la solita luce intensa e la scintilla: giungono i re normanni Ruggero

                    II e Sibilla (nei rispettivi abiti). Lui le tiene la mano (alta, come usano i nobili). 

Ruggero:   (Accento calabrese) Hai visto, Sibilla? Stavamo viaggiando verso Napoli e

                   invece per colpa tua ci siamo ritrovati in questa città. Abbiamo sbagliato strada!

                   Voi donne avete sempre il vizio di mettere parola su dove andare. Quando 

                   siamo in carovana, devi lasciare in pace il cocchiere. Hai capito?

Sibilla:       (Accento francofono) Ma caro consorte Ruggero, mai come questa volta non ho

                   aperto bocca. Je n’ai pas parlé!

Ruggero:   (Si tocca un occhio) E non parlare la tua lingua, perché quando parli francese…

                   tu sputi!

Sibilla:       Ma adesso in che città ci troviamo?

Ruggero:   Non so. Guarda che strane abitazioni che ci sono. Questa deve essere una città

                   barbara. Dobbiamo proprio conquistarla. Ora chiedo informazioni a qualcuno.

Sibilla:       Ti prego, Ruggero, non lasciarmi sola.

Ruggero:   Stai tranquilla. Noi siamo sovrani normanni. Nessuno oserà toccarti. Ora vado.

                   Fa l’inchino, si avvolge nel mantello e va a sinistra. Sibilla pare timorosa.

Sibilla:       Mon Dieu, j’ai peur.(Poi si tocca un occhio) Cielo, mio marito ha ragione:

                   quando parlo francese… sputo!

                   Si sposta a sinistra, aspetta Ruggero. Da destra tornano Vincenzo e Salvatore

                   che dicono qualcosa a Marilena (a distanza).

Salvatore: Marilé, acchiappa ‘o duca. Non gli far toccare le donne. Io e Vincenzo invece

                   andiamo a distruggere la macchina del tempo.

Vincenzo:  (Nota Sibilla) Salvatò, guarde a chella.

Salvatore: E chi è?

Vincenzo:  E che ne saccio? Jamme a domandà. (Le si avvicina) Ehm… chiedo scusa.

Sibilla:       Sì?

Vincenzo:  Ma per caso siete uscita da quello scantinato lì sotto?

Sibilla:       Certamente. Sono la regina Sibilla di Borgogna. Perché?

Vincenzo:  Ve lo dirò tra poco. Con permesso. (Torna da lui) Salvatò, è ‘na sibilla francesa!

Salvatore: E tu comme faje a sapé ch’è francesa?

Vincenzo:  Dall’accento. Ma poi nota il portamento. Quella sta aspettando qualcuno.

Salvatore: Ma perché, come aspettano le francesi?

Vincenzo:  Tengono il dito mignolo della mano destra alzato.

Salvatore: E tu si’ sicuro che chillo è ‘nu mignolo francese?

Vincenzo:  Sicurissimo. E poi guarda il piede. Tiene la punta alzata. E’ un piede di classe!

Salvatore: Mah! E come hai fatto a capire che sta aspettando qualcuno?

Vincenzo:  Me ne accorgo dalla postura. Guarda il sedere! Tiene un aspetto amichevole.  

Salvatore: ‘O dito francese, ‘o pede ‘e classe, ‘o popò amichevole…! Ma chi te capisce?!

Vincenzo:  Forza, andiamo a parlare con lei.

Salvatore: No, io parlo in italiano e tu traduci in francese. Forza!

                   I due si dirigono da Sibilla. Poi Vincenzo cerca un approccio.

Vincenzo:  Ehm… madame, scusate a me!

Sibilla:       Eh? 

Vincenzo:  Hai visto? Mi ha capito! 

Salvatore: (Bisbiglia) Noi siamo Vincenzo e Salvatore.

Vincenzo:  (Riferisce a lei) Noi siamo Vincenzo e Salvatore.

Salvatore: (Bisbiglia con maggiore forza) E traduci.

Vincenzo:  (A lei) Vicienzo e Totore!

Salvatore: E chisto fosse francese? A me me pare turrese! Dille che sono tuo cognato.

Vincenzo:  Madame, quest è mi cainat! cainat!

Sibilla:       Cainat?

Salvatore: Comme se dice “cognato” in francese?

Vincenzo:  Cognac!

Sibilla:       Cognac?

Vincenzo:  He’ ‘ntiso? Ha capito!

Salvatore: Bravo. E ora digli che lavoro fai.

Vincenzo:  Faccio il bidello.

Salvatore: No, in francese.

Vincenzo:  Faccio il bidet!

Sibilla:       Bidet? 

Vincenzo:  Oui, oui! He’ visto, Salvatò? Sta capenno tutto cose.

Salvatore: Adesso digli che mestiere faccio io: il farmacista.

Vincenzo:  Lui è Bayer!

Salvatore: No, Bayer è in tedesco.

Vincenzo:  Ah, già. Allora è Vivin C!

Sibilla:       Vivin C?

Vincenzo:  Oui, oui!

Salvatore:  Ora chiedi come è venuta qui. Con la macchina del tempo? Con che? Con che?    

Vincenzo:  Madame, con che? Con che?

Salvatore: No, in francese.

Vincenzo:  Crocché?! Crocché?!

Salvatore: Eh, panzarotte e scagliuzzoli!

Sibilla:       Mah!

Salvatore: No, stavolta non ti ha capito. Lascia stare. E ora dille che tu sei stato a Parigi.

Vincenzo:  Madame, à Paris, sul bateau mouche. E comm’era muscio chillu bateau mouche.

Salvatore: Dille che ci sono troppi insetti.

Vincenzo:  Madame, ci stanno i moscerini e i mosconi!

Salvatore: No, in francese.

Vincenzo:  Ci stanno i Mon cherì e i Moet Chandon!

Sibilla:       (Seccata) Mais qu’est-ce que voulez vous*?                           *(leggi: Me chesc vulé vu?)        

Vincenzo:  (Toccandosi un occhio, sofferente) Marò, m’è arrivato ‘nu schizzo ‘into

                   all’uocchio! Forse sta accummincianno a chiovere.

Salvatore: Ma comme po’ essere? ‘A pioggia chiove ‘a cielo.

Vincenzo:  E sarrà ‘na pioggia orizzontale! Che ne saccio, io? 

Salvatore: Mò ce parlo io. Ehm… Madame, non date retta a lui. Quello è un profittatore.

Vincenzo:  No, in francese.

Salvatore: Quello è un profiterole!

Vincenzo:  Ma qualu profiterole?

Sibilla:       Messieurs, allez, allez*!                                                            *(leggi: Messié, allé, allé)

Salvatore: (Toccandosi un occhio, sofferente) Mamma bella, m’è arrivato pur’a  me ‘nu

                   schizzo ‘into all’uocchio. E’ stata chesta! Vicié, è meglio che ce ne jamme.

                   Torna da sinistra Ruggero.

Ruggero:   Ma che succede qui?

Sibilla:       Ruggero, vedi questi signori cosa vogliono.

Ruggero:   Signori, io sono il re normanno Ruggero II d’Altavilla. Voglio conquistare

                      Napoli, liberandola dal ducato.

Salvatore:    Vicié, amma riuscì a purtà a chisti duje ‘int’’a macchina del tempo.

Vincenzo:     Ho un’idea. Ehm… signori normanni, potete venire con me e mio cognato?

Sibilla:          Où?

Vincenzo:     Ma che d’è? Sta facenno ‘a scigna, chella?

Ruggero:      No, “où” vuol dire dove.

Vincenzo:     Voi seguiteci. Vi accompagniamo a occupare Napoli. Venite, venite.

                      Li prendono sottobraccio e li portano via (i due sono perplessi) a sinistra.

6. [Marilena e Federico II di Svevia]

                      Da destra torna Marilena. E’ sconvolta.

Marilena:    Mannaggia, me songo perza ‘o duca. E mò chi ‘o sente a Vicienzo?! (Si siede

                      sulla panchina, affranta) Uffa, ce mancava sulo ‘a macchina del tempo.

                      Resta a testa bassa. Da sinistra (dopo la solita luce intensa e la scintilla, entra

                      (quatto, quatto) Federico II di Svevia.

Federico II: (Parla a scatti)Orsù, dove mi trovo in questo momento? Sarò forse in Sicilia,

                      o forse in Germania, o forse a Roma, o forse a Gerusalemme. Chi può aiutare

                      a ritrovar la strada a Federico II di Svevia? (Nota Marilena) Una donna. Ma…

                      io la conosco. Lei è la mia ex moglie, Costanza d’Aragona! (Le si avvicina e

                      le parla con enfasi) Costanza!

Marilena:    (Si spaventa) Chi è?

Federico II: Costanza, ma se i proprio tu!

Marilena:    (Si guarda intorno) Io?

Federico II: Sì. (Si inginocchia e le bacia una mano) Ma allora tu non sei morta!

Marilena:    No! Perché?

Federico II: Io ti ho vista morire.Ti ho anche tumulata nella cattedrale di Palermo, in un 

                     sarcofago romano, con una preziosa tiara di fattura orientale.

Marilena:    Ma c’è uno sbaglio.Io non mi chiamo Costanza.

Federico II: Non sei Costanza D’Aragona? Ah, già, che stupido che sono. Tu sei la mia

                     amante: Adelaide di Urslingen. Ma allora tu non sei morta!

Marilena:    Pure chesta è morta? No, non sono morta. Ma non sono nemmeno Adelaide e

                     tutto ‘o riesto appriesso!

Federico II: Non sei Adelaide di Urslingen? Ah, già, che stupido che sono. Tu sei Maria

                     Matilde di Antiochia. Ma allora tu non sei morta!

Marilena:    Ancora? M’ha fatto murì già tre vvote, chisto! No, caro mio, non sono né

                     Maria e né Matilde Battilocchia.

Federico II: Di Antiochia! Ma certo, come ho fatto a non riconoscerti subito? Tu sei

                     Richina di Wolfsoden. Ma allora tu non sei morta!

Marilena:    (Seccata) Sì, so’ morta, so’ morta! Picciò, nun me scuccià cchiù!

Federico II: E invece ti ho ingannata. Tu non puoi essere Richina.

Marilena:    No, songo ‘na cullana!

Federico II: Ma non sei nemmeno Isabella di Brienne.

Marilena:    E perché?

Federico II: E’ morta!

Marilena:    Tanto per cambiare!

Federico II: Allora ho capito tutto quanto: tu sei la mia prossima moglie.

Marilena:    A chi? Aroppo avessa murì pur’io?

Federico II: Ma sì, tu sei Isabella d’Inghilterra. (Poi si alza e gironzola, triste) Solo che ho

                      una cattiva notizia per te: io non posso ancora sposarti.

Marilena:    Chesta fosse ‘a cattiva nutizia? Ma menu male!

Federico II: (Torna da lei) Donna, tu non capisci.Io sto per sposare Bianca Lanza.

Marilena:    Ah, ecco, questa è ancora viva.

Federico II: No. Io la sposerò in “articulo mortis”… vale a dire, in punto di morte!

Marilena:    Azz, ‘e ffemmene, primma t’’e spusàve e ppo’ murévene. Mò invece t’’e spuse

                      primma ‘e murì!

Federico II: Ma con te sarà diverso. Mi ami, Isabella?

Marilena:    Ma io non so nemmeno come vi chiamate. Frequentiamoci prima due-tre anni!

Federico II: Ma come? Non mi riconosci? Federico II!

Marilena:    No, io ho fatto il Suor Orsola Benincasa!

Federico II: No, io sono Federico II di Svevia.

Marilena:    Che? Quello dell’università?

Federico II: E tu come fai a sapere che io costruirò l’università a Napoli?

Marilena:    E quella già ci sta! Ehm… cioè, nel senso che… Ma siete uscito pure voi da

                      quello scantinato?

Federico II: Esatto.

Marilena:    E non è che vogliamo tornarci un attimo?

Federico II: Ma nient’affatto. Io devo andare a Napoli.

Marilena:    E per andare a Napoli, bisogna passare dallo scantinato.

Federico II: Davvero?

Marilena:    (Si alza in piedi e lo prende sottobraccio) Sì, altroché. Venite, dai, seguitemi.

                      Si avviano a sinistra, ma poi Federico II si libera.

Federico II: Ti ho ingannata! Ora vado a conoscere questa città, così la conquisto! Il grande

                      Federico II di Svevia!

Marilena:    Tornate qua! Voi mi rovinate!

                      Federico II va a destra, inseguita da Marilena.  

7. [Carlo II d'Angiò e Maria d’Ungheria. Poi Vincenzo e Salvatore]

                      Da sinistra (dopo la solita luce intensa e la scintilla, ecco Carlo II d’Angiò

                      (che cammina zoppicando) e Maria d’Ungheria, a passo svelto. Si fermano.

Maria:          Carlo, cosa vogliono quei due da noi?

Carlo II:       (Accento francese) Maria, loro sono Alfonso e Pietro III d’Aragona. Se ci

                      prendono, ci fanno prigionieri.

                      Da sinistra arrivano di corsa Vincenzo e Salvatore.

Vincenzo:     Addò stanne? Addò stanne?

Salvatore:    Stanne lloco. Accomme amme miso a Ruggero e a Sibilla ‘int’’a macchina del

                      tempo, hanne asciute ‘sti duje. Ma chi so’?

Carlo II:       (A Maria) Li senti? Parlano spagnolo! Sono proprio aragonesi. (Sposta il

                      mantello, tira fuori la spada e si mette davanti a Maria) Nemici aragonesi,

                      non ci avrete mai!

Salvatore:    (Sorpreso) Nemici aragonesi?

Maria:          Sì, voi due siete Alfonso e Pietro d’Aragona. Carlo, uccidili! Attacca, attacca!

Vincenzo:     Oh, aspiette ‘nu mumento. Ma che tene, chella! Insomma, chi siete voi due?

Carlo II:    Re Carlo II d'Angiò, detto lo zoppo.

Salvatore: Lo zoppo? E pecché?

Vincenzo:  Che domande sceme! E nun se vede? Scusate, re Carlo, ma siete francese?

Carlo II:    (Fiero) Mais oui!                                                                                    *(leggi: Me uì)

Vincenzo:  Come Carlo Mangio?

Carlo II:    No, Carlo Magno.

Vincenzo:  Per voi francesi che siete gente volgare è Carlo Magno. Ma per noi italiani che

                   siamo gente fine è Carlo Mangio!

Salvatore: E la signora invece chi è?

Maria:       Sono la regina Maria d’Ungheria, sua moglie. Appartengo alla dinastia degli 

                   Arpadi. Noi vi combatteremo con tutte le nostre forze e mio marito Carlo morrà!

Carlo II:    (La guarda male) Un momento, ma perché devo morire soltanto io?

Maria:       Perché io devo pensare ai nostri 14 figli!

I due:         Azz!

Carlo II:    Come avete detto?

I due:         Azz!

Carlo II:    Azz? Voi conoscete Azzo di Ferrara?

Vincenzo:  No, quale Azzo di Ferrara? Noi dicevamo proprio “azz”, nel senso di “azz,

                   tenete 14 figli?”!

Maria:       Ho capito, vogliono uccidere i nostri figli per distruggere la nostra dinastia. Vai,

                   Carlo, mordili, azzannali!

Carlo II:    (Brandisce la spada verso loro) Sì!

Vincenzo:  Oh, oh, statte qujeto cu’ ‘sta spada!

Carlo II:    Vi farò sentire il suo sapore acre sulla pelle e la intingerò col vostro sangue.

Salvatore: (Si nasconde dietro Vincenzo) No, ‘o sango mio fa schifo. Tengo ‘o colesterolo!

Carlo II:    Combatti, codardo!

Salvatore: (Sempre nascosto dietro Vincenzo) Ma tanto, ci sta mio cognato Vincenzo!

Vincenzo:  Io? No, no, io tengo che ffa’! E levati da dietro a me.

Salvatore: Ma io non è che mi nascondo, sto trovando una tattica per battere il nemico.

Vincenzo:  E ffa’ ambresso, o si no chisto m’infilza comm’a ‘nu spiedino!

Salvatore: Aspié, nun te mòvere ‘a ccà!

                   Corre via a sinistra.

Carlo II:    Hai visto? Quel fellone di Alfonso d’Aragona ti ha abbandonato.

Vincenzo:  Ma chi è ‘stu Alfonso d’Aragona?

Carlo II:    Tuo fratello.

Vincenzo:  Ma quello è mio cognato.

Carlo II:    (Sconvolto) Cosa? Tu rinneghi tuo fratello? Pietro III, tu meriti solo la morte!  

                   Salvatore ha fatto il giro e compare, con una scopa in mano, alle spalle di

                   Carlo II, il quale non se ne accorge e minaccia ancora Vincenzo.

                   Ora t’infilzo con la mia spada. Muori!

                   Ma mentre sta per infilzarlo, Salvatore lo colpisce con la scopa sulla testa

                   Mon Dieu! (E cade svenuto)

Vincenzo:  Salvatò, ma ce he’ miso tutto ‘stu tiempo?

Salvatore: Invece ‘e dicere grazie…!

Maria:       Codardi, avete colpito mio marito alle spalle. (Si inginocchia al capezzale di

                   Carlo) Tesoro mio, ho deciso di vegliare accanto al tuo corpo, mentre

                   sopraggiunge la morte! Stai tranquillo, non ti rammaricare se stai morendo.

Carlo II:      Ma cosa vuoi? Chi sta morendo? (Si rialza)Io sono stato solo sconfitto in

                     guerra. Quante battaglie ho vissuto. Ho combattuto pure i Vespri Siciliani.  

Salvatore:   (Si compenetra) Ah, vi capisco. Sai che dolore! Vi hanno punto?

Carlo II:      Chi?

Salvatore:   Le vespe siciliane! Quelle sono peggio dei calabroni calabresi!

Carlo II:      Ma quali vespe siciliane? Nemici aragonesi, ormai mi avete sconfitto. Fate di

                     me ciò che volete. Il mio corpo è a vostra disposizione!

I due:           (Lo spingono via) Ma fance ‘o piacere!

Maria:         No, amici… anzi, nemici… voi non dovete mortificare un re che è appena stato

                     sconfitto. Prendete la sua spada e tagliategli la testa!

Vincenzo:    Néh, ma chesta nun è che s’’o vo’ levà ‘a tuorno?!

Salvatore:   E certo, accussì se piglia ‘a penzione ‘e reversibilità!

Vincenzo:    Sentite, invece di uccidere il re Carlo II, io avrei un’altra idea. Perché voi due

                     non venite appresso a me e a Salvatore?

Carlo II:      Salvatore?

Vincenzo:    No, cioè, volevo dire Alfonso D’Aragona.

Maria:         Ho capito, ci faranno prigionieri nelle segrete torri di Aragona. Io rimarrò

                     prigioniera… e tu sarai ucciso!

I due:           (Seccati) Ancora?

Salvatore:   Sentite, don Carlo II, aggiate pacienza, facìte cuntenta ‘a mugliera vosta…

I due:           E murite! (Poi un sospiro di liberazione) Oh!

                     I quattro escono a sinistra (Carlo è perplesso e cammina zoppicante).

8. [Marilena e Federico II. Poi Vincenzo e Salvatore]

                     Da destra torna Marilena che tira per il braccio Federico II.

Marilena:    Sire, sire, per favore, venite con me.

Federico II: Ho capito, mi hai riportato qui per amarmi. Baciami, Isabella!

Marilena:    Sire, ma io non posso. Sono sposata.

Federico II: Fa niente. Noi non lo diciamo a tuo marito. Su, Isabella, prestami le tue labbra.

Marilena:    Ma basta! Io non mi chiamo Isabella. Vi ho detto che mi chiamo Marilena.

Federico II: Tu mi rifiuti! (Tira fuori un pugnale dal fodero)

Marilena:    Ma che fate? Mi volete uccidere?

Federico II: No, non voglio uccidere te… ma me!

Marilena:    Per carità, mi fa impressione il sangue. (Gli blocca la mano col pugnale) Vi

                      prego, il pugnale datelo a me.

Federico II: Allora andrò ad uccidermi dietro il palazzo. Addio, Isabella… o Marilena!

Marilena:    No, no, no!

                     Federico II si avvia a destra puntandosi la spada, con Marilena che cerca di

                     farlo desistere. Da sinistra tornano Vincenzo e Salvatore, provati e stanchi.

Vincenzo:    Salvatò, ce l’abbiamo fatta. Abbiamo messo Carlo II e Maria nella macchina

                     del tempo e li abbiamo rispediti nella loro epoca. (Si siede sulla panchina)

Salvatore:    Penso che adesso stiamo tranquilli per un po’. (Gli siede accanto, si rilassa)

                     Da dietro il muro (a destra) si sentono le voci di Federico II e Marilena.

Federico II: Io sono pronto, mia pulzella!

Marilena:    Vi ho pregato, datelo a me.

Federico II: No, non voglio.

Marilena:    E io me lo prendo.

Vincenzo:    Ma chesta è ‘a vocia ‘e Marilena!

Salvatore:    E chill’ato chi è? Ma soprattutto, che stanne facenno?

Marilena:    Accidenti, sire, quanto è lungo. Ed è tutto di ferro!

I due:           Che?

Federico II: In genere l’ho usato solo con gli uomini. Tu sei la prima donna a sfiorarlo!

Marilena:    Sono lusingata! Su, vogliamo andare nello scantinato? Staremo più tranquilli.

Federico II: Va bene.

Vincenzo:    (Si alza in piedi, arrabbiato)Embé, appena ‘e vveco annanzo all’uocchie mie,

                     l’aggia piglià a cazzotte a tutt’e dduje!

Salvatore:   (Si alza e lo trattiene) Calma, Vicié, calma!

                     Tornano da destra i due: Marilena tiene il pugnale di Federico in mano.

Marilena:    E’ meglio che tengo io il vostro pugnale in mano.

Vincenzo:    (Si intromette tra i due) Alt! Ma che state cumbinanno, tutt’e dduje.

Salvatore:    Voglio sentere pur’io!

Marilena:    Ma non stiamo facendo niente di male. Io ho tolto questo pugnale dalle mani

                     del re Federico II qui presente.

Vincenzo:    Federico II? Ma è asciuto ‘a ‘int’’a macchina del tempo?

Marilena:    Esatto. Sire, lui è mio marito Vincenzo e lui è mio fratello Salvatore.

Federico II: Federico II di Svevia.

Salvatore:    Ah, è Federico d’’a Svezia.

Vincenzo:    Allora vene d’’a Scandinavia.

Salvatore:    Esatto, vene d’’o scantinato!

Marilena:    Ma no, chisto è Federico II, chillo ‘e l’università.

Vincenzo:    Nun me ne ‘mporta. Deve tornare nella macchina del tempo.

Federico II: E va bene, ci torno, ma a un solo costo: insieme a me, viene anche Isabella.

Salvatore:    E chiammamme a ‘sta Isabella, accussì ve ne jate tutt’e dduje!

Marilena:    Ma Isabella sono io.

Vincenzo:    Marilé, tu l’he’ fernì ‘e sfottere ‘e scieme!

Marilena:    Ma me l’ha detto lui che sono Isabella. Io sono stata sua moglie, però lui sta

                      per sposare un’altra.

Federico II: Ebbene sì, ma controvoglia. Sono costretto a sposare Bianca Lanza. Ma lo farò

                      perché lei si trova in punto di morte.

Salvatore:    E chi è, Filumena Marturano?!

Federico II: Eh?

Marilena:    No, niente, lui scherzava.

Vincenzo:    Don Federì, aggiate pacienza, Isabella vene ‘nzieme a vuje.

Marilena:    (Scambia un cenno di assenso con Vincenzo) Ah, ho capito. Vado con lui, sì!

Federico II: Oh, cuore mio, riempiti di giubilo! Grazie, grazie, suddito Vincenzo!

Vincenzo:    Venite, venite. Facciamo presto!

                     Vincenzo e Marilena si avviano a sinistra. Federico parla con Salvatore.

Federico II: Tu sarai il nostro testimone di nozze.  

Salvatore:   ‘N’ata vota? Io già ce aggio fatto ‘o testimone ‘e nozze a mia sorella.

Federico II: Sei il fratello di Isabella?

Salvatore:    No, ‘e Marilena.

Vin&Mar:  (Da sinistra, lo richiamano a sveltire le operazioni) Salvatòòò!

Salvatore:   (Grida) Sto’ venenno! (Poi gli sorride, dolce) Caro maestà, io sono un nobile!

                     Lo prende sottobraccio e lo porta via a sinistra.

9. [Ruggero II, Sibilla, Carlo II, Maria, Federico II, Vincenzo, Salvatore e Marilena]

                      Da destra, quatti, quatti, mano nella mano, tornano Ruggero II e Sibilla.

Ruggero II: (Accento calabrese) Vieni, non c’è nessuno. Li abbiamo ingannati!

Sibilla:         (Accento francese)Bravo, tesoro. Non ho nessuna voglia di tornare nel 1139.

Ruggero II: Ho intenzione di appropriarmi di quello strano aggeggio per portare qui i miei

                      soldati e conquistare questa Napoli moderna.

Sibilla:         E ci sarò anch’io?

Ruggero II: Ma certo. Regneremo insieme. Vieni, adesso ti spiego il mio progetto.

Sibilla:         Che bello!

                      I due si siedono sulla panchina, concertando qualcosa (Ruggero gesticola in

                      modo vistoso). Sempre da destra, entrano Carlo II e Maria.

Carlo II:      (Accento francese) Vieni, non c’è nessuno. Li abbiamo ingannati!

Maria:         Bravo, tesoro. Non ho nessuna voglia di tornare nel 1285.

Carlo II:      Ho intenzione di appropriarmi di quello strano aggeggio, per portare qui i miei

                     soldati e conquistare questa Napoli moderna.

Maria:         E ci sarò anch’io?

Carlo II:      Ma certo. Regneremo insieme. Vieni, adesso ti spiego il mio progetto.

Maria:         Che bello! Così, prima della tua morte, lasci un segno.

                     Si avviano alla panchina, ma notano Ruggero II e Sibilla.

Carlo II:      E chi sono questi due?

Maria:         E chi li conosce?

Ruggero II: (Si alza in piedi, fiero) Io sono Ruggero il Normanno, prossimo re di Napoli.

Sibilla:         (Si alza)Ed io sono Sibilla, la prossima regina del Regno di Napoli.E voi?    

Carlo II:      Tremate, signori: io sono Carlo II d’Angiò, prossimo re del Regno di Napoli.

Maria:         Ed io sono la sua futura vedova, Maria d’Ungheria! Alla sua morte, il Regno di

                     Napoli passerà a me.

Carlo II:      (Ironico) Grazie per l’affetto!    

Maria:         Di niente! 

Ruggero II: Io colonizzo questa città, in nome del popolo normanno.

Carlo II:      T’inganni. Io colonizzo questa città in nome degli angioini francesi.

Ruggero II: (Ride) No, no. La colonizzo io.

Carlo II:      (Ride) Mi fai ridere. La colonizzo io.

Ruggero II: Ah, sì? E allora noi ridiamo.

Rug&Sib:    (Ridono) Ahahahah!

Maria:         (Offesa nell’onore) Carlo, stanno ridendo. Allora ridiamo pure noi.

Car&Mar:  (Ridono) Ahahahah!

                      Ridono sempre più. Ad un tratto i due uomini estraggono le rispettive spade.

Ruggero II: Adesso ti farò smettere di ridere.

Carlo II:      Comincia a piangere.

Sibilla:         (A Maria) Io invece ti ammazzo con le mie mani.

Maria:         E fammi vedere come fai!

                     Gli uomini combattono con le spade, le donne si afferrano le mani e fanno una

                     prova di forza. Da sinistra riecco Vincenzo, Salvatore e Marilena, soddisfatti.

Vincenzo:    Menu male, amme distrutto ‘a macchina del tempo!

Salvatore:    Schia ‘o cinco!

                     I due si danno il cinque, ma subito Marilena fa notare i combattimenti ai due.

Marilena:    Ehm… guardate lloco che sta succedenno.

Vincenzo:    Oh, no! E mò comme facìmme a mannà a chisti ccà areto?

Salvatore:    Ma che ne saccio?Jammele a fermà.

                      I tre si frappongono ai contendenti.

I tre:             Alt!

Vincenzo:    Re Ruggero, re Carlo, ma pecché ve state appiccicanno?

Ruggero II: Tu non c’entri.

Carlo II:      Levati di mezzo.

                      I due lo spingono via e Vincenzo finisce a terra.

Vincenzo:    V’hanna accidere!

Sibilla:         Cos’è successo?

Vincenzo:    Ho preso una caduta.

Salvatore:    No, in francese.

Vincenzo:    Ho preso un cadeau*!                                                    *(si legge cadò con la “o” chiusa)

Marilena:    Uhé, ma come vi permettete di buttare a terra mio marito? Adesso basta! Vicié,

                      alzati e picchia questi due.

Vincenzo:    (Si rialza) Ma si’ pazza?

Marilena:    Ma ch’ommo si’?

Vincenzo:    E no, qua ti sbagli. Io ti ho sempre dimostrato la mia uomezza! Come si dice?

                     La mia uomertà!

Marilena:    E allora m’’o vveco io: v’aggia vattere a tutt’e dduje! (Tira scalpellotti ai due)

Ruggero II: Ahio! Ma cosa fai?

Carlo II:      Ma che maniere!

Sibilla:         Ma come ti permetti?

Maria:          Te ne approfitti perché loro due non si possono difendere. Veditela con me!

                     Nasce una rissa che coinvolge Ruggero II, Carlo II, Maria, Sibilla e Marilena.

Salvatore:    Vicié, fermamme a chiste.

                     Anche Vincenzo entra nella rissa  (mentre Salvatore esce a destra). Ad un

                     tratto Carlo II viene scaraventato a  terra e tutti si fermano.

Maria:         (Va al suo capezzale)  Carlo, Carlo! Non morire!

Carlo II:      Ma chi sta morendo?

Maria:         Zitto, non insistere! Signori, sta avvenendo un fatto storico: mio marito, Carlo 

                     II d’Angiò, detto lo zoppo… sta morendo!

                     Carlo II si rialza e insieme agli altri la mandano a quel paese.

Gli altri:      Ma va’…!

Carlo II:      (A Ruggero II) Torniamo a combattere.

                     Riprendono, ma da destra torna Salvatore con una scopa in mano.

Salvatore:    Mò ce penz’io!

                     Colpisce con la scopa in testa ai due, facendoli svenire.

Vincenzo:    Salvatò, ma che caspito he’ cumbinato? Hai preso i due re!

Salvatore:    Embé?(Fiero, si mette in posa con la scopa) Aggio miso scopa!

FINE ATTO PRIMO

Napoli, il giorno dopo. La location è la stessa. Non c’è più lo scooter parcheggiato al centro a fianco al contenitore per rifiuti di indifferenziata (che invece è ancora presente).

ATTO SECONDO

1. [Vincenzo e Marilena. Poi Giovanna d’Aragona “la pazza”, Filippo il bello e Salvatore]

                   Seduto sulla panchina a leggere un quotidiano c’è Vincenzo (contrariato). In

                   piedi, accanto a lui, c’è Marilena.

Vincenzo:  Siente ccà, Marilé, siente: (Legge) “Napoli, la polizia stradale ha fermato un

                   uomo e una donna vestiti con costumi dell’antica Roma. Erano a bordo di uno

                   scooter, senza casco, ed hanno seminato il panico tra la gente. L’uomo asserisce

                   di chiamarsi Lucullo, come il grande generale romano”.

Marilena:  Uh, mamma mia!

Vincenzo:  E siente chest’ata nutizia: (Legge) “Napoli, arrestato uomo che dice di essere il

                   duca Basilio. Infastidiva le donne in strada, soprattutto le più giovani. Il figuro

                   misterioso ci ha provato perfino con la poliziotta che lo ha scoperto!

Marilena:  Uh, mamma mia!

Vincenzo:  E nun è fernta ccà. Siente ‘a nutizia peggiore: (Legge) “Duomo Napoli, arrestato

                   un uomo che dice di essere San Gennaro. Il figuro ha tentato di impossessarsi

                   dell’ampolla contenente il sangue del santo napoletano, gridando ad alta voce:

                   “Questo sangue è mio, questo sangue è mio”…! Insomma, ultimamente, a

                   Napoli dilaga la follia: una serie di personaggi mitomani che girano in città”.

Marilena:  Uh, mamma mia!

Vincenzo:  E tu saje dicere sulo “Uh, mamma mia!”?!

Marilena:  E ch’aggia dicere? Ch’aggia dicere? Ma l’hai distrutta, la macchina del tempo?

Vincenzo:  E nun ‘a pozzo distruggere. Se no come faccio a rimandare indietro nel tempo

                   tutti quei personaggi?

Marilena:  Però rischiamo che ne arrivano altri.

Vincenzo:  No, l’ho disattivata. Non c’è alcun pericolo che arrivano altri ospiti indesiderati!

                   Da destra entra Salvatore (sbuffante, seccato), seguito da Giovanna D’Aragona

                   “la pazza” (ha gli occhi della pazza) e Filippo d’Asburgo “il bello”.

Salvatore: Vicié, Marilé, vedite ‘nu poco a ‘sti duje che vanne truvanno!

Giovanna: (Accento spagnolo) Gente, inchinatevi ai vostri nuovi signori!

Marilena:  Ma chesta è pazza?

Filippo:     (Accento francese. Le bisbiglia…) Signori, non dite così, se no si arrabbia. Lei è

                   veramente pazza!

Marilena:  (Preoccupata) Ah!

Vincenzo:  (Si alza in piedi)Scusate, signora pazza…!

Giovanna: (Come un’invasata) Chi è pazza? Chi è pazza? Chi è pazza?

Vincenzo:  No, no, cioè, volevo dire, signora regina.

Giovanna: Ecco, bravo. Dite pure, bravo suddito!

Vincenzo:  Volevo sapere con chi abbiamo l’onore di parlare. Io sono Vincenzo Esposito,

                   lui è Salvatore Veneruso e lei è mia moglie Marilena.

Giovanna: Io sonoGiovanna di Trastamara, di Aragona y Castiglia, duchessa consorte di

                   Borgogna, delle Fiandre e principessa delle Asturie y de Girona, regina di

                   Castiglia y León y Alta Navarra . Ah, dimenticavo: anche regina de Aragona,

                   Valencia, Sardegna, Maiorca, Sicilia y contessa de Barcelona. Ma soprattutto, la

                   futura regina de Napoli!

Salvatore: (Le fa una pernacchia) Pzzzzzz!

Giovanna: Che cos’è questo rumore vocale?

Marilena:  Ehm… mia regina, questo è un rumore di apprezzamento!

Vincenzo:  E sì. (Guarda male Salvatore) T’hanna accidere!

Giovanna: (Compiaciuta) Uh, voglio sentirlo un’altra volta.

Vincenzo:  Ma non è il caso.

Giovanna: Non discutete!

Salvatore: (A Marilena) Ma tu pecché he’ ditto ch’è ‘nu rummore ‘e apprezzamento?

Marilena:  E pecché pare brutto. Quanno torna all’epoca soja, chella dice: “Che scustumate

                   songo ‘e ggente ‘e ll’epoca moderna!

Giovanna: E allora, lo rifacciamo questo suono vocale?

Salvatore: Con vero piacere!

Giovanna: Io sono la regina Giovanna d’Aragona!

Salvatore: (Le fa una pernacchia) Pzzzzzz!

Giovanna: Un po’ fastidioso, ma bello!

Marilena:  Scusate, regina, ma lui chi è?

Filippo:      (Accento francese, si vanta) Filippo d’Asburgo, detto “il bello”, modestamente!

Marilena:  (A Vincenzo) Ma mica è tanto bello? E’ un tipo, diciamo! A te come ti sembra?

Vincenzo:  Che me ne ‘mporta, a me?

Salvatore: (A Filippo e Giovanna) Vabbé, comunque vi ho fatto la pernacchia. Ma adesso

                    ve ne andate? Non è una domanda, è una speranza!

Filippo:      E dove dobbiamo andare?

Salvatore:  A ffa’…!

Vincenzo:  (Lo interrompe in tempo) Nooo, lui vuole dire che dovete tornare al vostro anno.

                   E’ più bello del nostro!

Filippo:     Ma perché, in che anno siamo? Questo non è il 1505?

Marilena:  No, maestà, è il 2013.

Fil&Giov: (Sorpresi)Eh?

Giovanna: E come siamo arrivati fino a quest’epoca?

Vincenzo:  Dovete sapere che ho inventato una macchina per ringiovanire la gente, ma in

                   realtà si è trasformata in una macchina del tempo. Questo succede perché il

                   congegno smaterializza le molecole e…

Marilena:  Ma nun vide che nun stanne capenno manco ‘na parola? Sentite, regina e re, per

                   favore, seguitemi. Vi porto in un posto e vi chiudo dentr… no, cioè, ve lo faccio

                   visitare. Va bene? Prego, seguitemi.

                   I due, guardandosi interdetti, seguono Marilena a sinistra.

Vincenzo:  Salvatò, assiettete ‘ncoppa ‘a panchina e liegge ‘o giurnale.

Salvatore: No, nun tengo genio ‘e leggere.

Vincenzo:  Salvatò, lieggete ‘o giurnale.

Salvatore: Ma nun ‘o voglio leggere.

Vincenzo:  T’aggio ditto, lieggete ‘o giurnale.

Salvatore: Uffa!

                   Si siede sulla panchina ed apre il quotidiano che leggeva Vincenzo, mentre

                   quest’ultimo si allontana a destra senza dire niente.

2. [Salvatore e Masaniello. Poi Vincenzo e Gioacchino Murat]

                      Salvatore, seduto sulla panchina, legge il giornale, credendo ci sia ancora

                      Vincenzo. Da sinistra (dopo la luce intensa e la scintilla) entra Masaniello.

Salvatore:    Non ci posso credere… hanno arrestato a San Gennaro! Non ci posso credere.

                      Non notato da Salvatore, Masaniello intanto siede accanto a lui che conclude

                      la lettura, sposta il giornale e gli dice (credendo che fosse Vincenzo):

                      Non ci posso credere!

                      I due si guardano senza dire una parola. 

Masaniello: Hanne arrestato a San Gennaro? (Sgrana gli occhi, tipo pazzo, si alza in piedi e

                      grida intorno) Rivoluzione, rivoluzione! Hanna fa’ ‘e cunte cu’ me!

Salvatore:    (Si alza in piedi e cerca di calmarlo)Uhé, uhé, nun alluccà, statte qujeto!

Masaniello: (Gli afferra il bavero della camicia)Io aggio capito tutto cose: tu si’ ‘o viceré!

Salvatore:    Ma qualu viceré?

Masaniello: Ah, come ho fatto a non riconoscerti? Io t’aggia accidere. Tu sei il mio

                      traditore: Giulio Genoino.

Salvatore:    Ma qualu Genuino?

Masaniello: (Si calma, ma fa sempre pazzie) Allora tu sei il mio amico e segretario, Marco

                      Vitale. Io ti amo, ti amo!

Salvatore:    Ma chisto fosse ‘nu poco femmeniello?!

Masaniello: Allora sei Andrea Cocozza!

Salvatore:    No!

Masaniello: Michelangelo Ardizzone!

Salvatore:    No!

Masaniello: (Pazzo) Ma allora chi cacchio si’?

Salvatore:    Salvatore Veneruso. E tu?

Masaniello: Tommaso Aniello d’Amalfi!

Salvatore:    (Sconvolto) Che? (Gli si inginocchia accanto) Masaniello? (Gli bacia le mani)

Masaniello: Azz, e ppo’ ‘o femmeniello songh’io?!

Salvatore:    Ma tu sei il mio mito. Io tengo tre miti, nella mia vita: tu, Totò e Pippo!

Masaniello: Chi sono Totò e Pippo? Due viceré?

Salvatore:    No, Totò era uno che faceva ridere e Pippo è un cartone animato.

Masaniello: Ma io nun te capisco proprio! Che parole strane staje dicenno!

Salvatore:    Caro Masaniello, non farci caso. Tu adesso ti trovi nel 2013.

Masaniello: Eh? 2013? Ma nun è cchiù ‘o 1646?

Salvatore:    No, ed è inutile che ti spiego come sei arrivato alla data di oggi. Però ti posso

                     dire che Napoli è cambiata. Non ci sta più il re, ma la repubblica.

Masaniello: E non ci stanno più nemici?

Salvatore:    Sì,ci sono. I peggiori nemici di Napoli sono i politici, gli juventini e i leghisti!

Masaniello: (Gli occhi del pazzo) E allora jammele a accidere. Io mi occupo dei politici e

                     dei leghisti. Tu occupati degli juventini! (Poi realizza) A proposito, Salvatò,

                     ‘na domanda: ma chi so’ ‘e politici, ‘e juventini e ‘e leghisti?

Salvatore:    Aggio capito: Masanié, viene cu’ me. Ti mostro la nuova Napoli.

Masaniello: Famme vedé.

                      I due escono a destra. Nel frattempo Salvatore comincia a spiegare.

Salvatore:    Devi sapere che il capo dei leghisti si chiama Bossi…

                     E si allontanano. Da sinistra Da sinistra (dopo la solita luce intensa e la

                      scintilla) entra Gioacchino Murat. Esce tutto sparato.

Gioacchino: (Accento francese) Avanti miei prodi! (Poi, sorpreso) Ma… non capisco. Mon

                      Dieu! Io, il grande Gioacchino Murat, mentre ero viaggio trionfale a Napoli…

                      mi sono ritrovato già a Napoli! C’è scritto su quel muro. Dice: “Forza Napoli,

                      abbasso Juve”! Ma cosa vorrà dire? (Va alla panchina) E questa cos’è mai?

                      La osserva. Intanto da destra torna Vincenzo con un cellulare all’orecchio.

Vincenzo:     Devo chiamare subito il capo della polizia, mio fratello Napoleone Esposito!

                      Pronto, Napoleone!

                      Gioacchino sente quel nome, va da dietro Vincenzo, il quale seguita a parlare.

                      Napoleone, ascoltami un secondo…!

Gioacchino: (Gli punta la spada contro) Fermo là!

Vincenzo:     Chi è?

Gioacchino: Tu stai parlando con Napoleone?

Vincenzo:     Sì, sì!

Gioacchino: Ma tu chi sei?

Vincenzo:     Io sono il fratello!

Gioacchino: Sei Giuseppe?

Vincenzo:     No, so’ Vincenzo.

Gioacchino: Non mentire! Napoleone non ha mai avuto un fratello che si chiama Vincenzo!

Vincenzo:     (Al telefono)Napoleò, ce sta ‘nu tizio annanzo a me: sta dicenno che tu nun

                      maje tenuto a ‘nu frato che se chiamma Vicienzo! Ma allora cu’ chi cacchio

                      m’ha fatto, mammà?!

Gioacchino: Ma che cos’è quell’aggeggio?

Vincenzo:     Si chiama cellulare. Serve per parlare con la gente.

Gioacchino: Ah, allora lì dentro c’è Napoleone? (Gli tira il cellulare di mano) Metti qua!

                      Pronto, Napoleone! Sono tuo cognato Gioacchino, marito di tua sorella. Cosa?

                      Il marito di tua sorella non si chiama Gioacchino? Si chiama Pasquale? Quella

                      svergognata mi ha tradito, ma io mi vendicherò. E ora, mio comandante, io 

                      attendo tue istruzioni per il mio arrivo a Napoli. Sentiamo.

                      Ad un tratto, dal telefono, si sente una pernacchia. Gioacchino si è offeso.

Vincenzo:    Gioacchì, Napoleone t’ha fatto ‘nu pernacchio!

Gioacchino: Non fa niente, per la patria subirò questo ed altro. Ed ora devo chiamare un

                      altro soldato: il colonnello Charles-André Merda*!            *(Leggi sciarl-andré Merdà)

Vincenzo:    Merdà? Con l’accento sulla “a”?

Gioacchino: Merdà, Merdà! E’ presente tra la gente nel tuo cellulare?

Vincenzo:    Ma io nun ne cunosco gente ‘e Merdà! Cerca in giro: gente ‘e Merdà ce ne

                      stanne quante ne vuo’ tu!

Gioacchino: Ma insomma, io non capisco. Come faccio l’entrata trionfale senza soldati?

Vincenzo:    Gioacchì,è meglio che te ne vaje. Tu me ‘nguaje a me.

Gioacchino: No, io voglio entrare a Napoli da solo! (Alza la spada, si volta a destra e

                      canta) “Allons enfants de la Patrie…”!

Vincenzo:    Addò vaje? Damme ‘o cellulare!

                     Gioacchino esce a destra, seguito da Vincenzo.

3. [Maria Sofia Wittelsback di Borbone e Marilena. Poi Salvatore e Masaniello]

                     Da sinistra (dopo la solita luce intensa e la scintilla) entrano Maria Sofia

                      Wittelsback di Borbone e Marilena. Quest’ultima cerca di calmare la regina.

Maria:         (Accento tedesco)Dov’essere finito? Dov’essere finito quel traditore?

Marilena:    Ma calmatevi, qua non ci sta nessun traditore… a parte mio marito!

Maria:         (Le afferra il braccio) L’avere nascosto tu! Sì, io essere certa, tu lo nascondere.

Marilena:    Ma a chi? Lo posso sapere?

Maria:         Mio marito:Francesco II di Borbone!

Marilena:    Ma perché, voi chi siete?

Maria:         La regina Maria Sofia di Wittelsbach! Inginocchiati!

Marilena:    Eh?

Maria:         Inginocchiati! 

Marilena:    (Inginocchiandosi) Chesta è peggio è Angela Merkel!

Maria:         Tu chi essere?

Marilena:    Io mi chiamo Marilena Veneruso.

Maria:         Tu rialzare!

Marilena:    (Così fa) Grazie.

Maria:         Dove mi trovare io in questo momento?

Marilena:    A Napoli, nel 2013!

Maria:         Davvero? Inginocchiati!

Marilena:    ‘N’ata vota? (Si inginocchia di nuovo, perplessa)

Maria:         Non possibile essere in 2013. Noi essere in 1859, durante festa Piedigrotta.

Marilena:    No, ma quale festa di Piedigrotta?

                     Ad un tratto, si sentono fuochi d’artificio e suoni di mandole e mandolini.

Maria:         Tu sentire? Su, rialzare, rialzare.

Marilena:    (Si rialza, perplessa) Ma… non è possibile. Questi devono essere fuochi

                     d’artificio sparati durante un matrimonio napoletano.

Maria:         Tu non discutere! Inginocchiati!

Marilena:    Ancora? (Esegue)

Maria:         (Mentre i fuochi scemano)Io e Francesco eravamo insieme, durante fuochi

                     d’artificio a festa di Piedigrotta. Ma tu sapere come chiamano napoletani mio

                     marito? “Franceschiello”! Lui non essere ammirato. Lui essere sfottuto.

Marilena:    (Si rialza) E va bene, non vi curate delle malelingue.

Maria:         Chi ti ha detto di rialzarti?

Marilena:    No, no, va bene. (Si inginocchia di nuovo)

Maria:         Tu accompagnare me a cercare Francesco e a vedere festa Piedigrotta.

Marilena:    Ma…

Maria:         Niente ma. Noi andare. (Si avvia a sinistra, poi si rende conto che Marilena è

                     ancora inginocchiata) Ehi, tu, cosa fare ancora inginocchiata. Qua, su vieni!

Marilena:    M’ha pigliato p’’o cane suojo, chesta! (Si rialza) Vengo, vengo!

                     Escono a sinistra. Da destra tornano Salvatore e Masaniello (con una birra).

Masaniello: (Un po’ brillo)Salvatore, questa nuova Napoli non mi piace!

Salvatore:    Hai visto come sta inguaiata?

Masaniello: Ma pure l’Italia è così?

Salvatore:    L’Italia è pure peggio!

Masaniello: Pure l’Europa?

Salvatore:    Masanié, tutto ‘o munno sta ‘nguajato!

Masaniello: (Gli parla alitandogli in faccia) ‘Sta bestia!

Salvatore:    (Si fa aria con le mani) Mamma ‘e ll’Arco, Masanié, e comme te fete ‘o ciato!

                     Ma comme l’hanne fatta chella birra? Cu’ ‘e ccepolle?

Masaniello: Ne vuo’ ‘nu poco?

Salvatore:    Sì!

Masaniello: (Lo prende in giro) E accattatella! (Se la ride) Ahahahahah!

Salvatore:    Masanié, m’ha fatto piacere ‘e te cunoscere, però mò te n’he’ ‘a ì.

Masaniello: No, voglio restà ‘n’appoco. Quando torno nel mio tempo, io devo morire. Ma

                     se resto ancora qua, non muoio ancora.

Salvatore:    E ja’, pe’ pietà!

Masaniello: (Gli parla alitandogli in faccia) No!

Salvatore:    Mamma bella! Ce mancava sulo Masaniello ‘mbriacone! A proposito, tu

                      m’he’ restituì ‘e duje Euro d’’a birra.

Masaniello: Duje Euro? E che rrobba è? Se veve?

Salvatore:    Soldi.

Masaniello: No, ma io nun ce tengo proprio! (Beve un sorso di birra, poi nota qualcosa)

                     Uh, guarde lloco! E ch’animale è, chillo?

Salvatore:    Nun è nisciuno anumale. Chillo è ‘nu pullmann.

Masaniello: Mò ‘o vaco a catturà!

Salvatore:    No, no!

                     Masaniello barcolla e i due si ritrovano abbracciati, come ballando il tango.

                     Masanié, tu me staje facenno abballà ‘o Tango!

Masaniello: Che rrobba è ‘o Tango? Se veve?

                     I due, a passo di Tango, escono a sinistra. 

4. [Enrichetta Caracciolo e Vincenzo]

                     Da destra torna Vincenzo. E’ sconvolto.

Vincenzo:    Uh, mamma mia! M’aggio perzo a Gioacchimo Murat! Chisto mò fa ‘a fine ‘e

                     Lucullo, ‘e San Gennaro e ‘o duca Basilio. Però aggio recuperato almeno ‘o

                     Cellulare mio. Allora aggia chiammà al mio amico carabiniere Garibaldi!

                     Si mette in un angolo a telefonare. Da sinistra (dopo la solita luce intensa e la

                     Scintilla, entra, con fare misterioso, Enrichetta Caracciolo. Si guarda intorno.

Enrichetta: Bene, Giuseppe Garibaldi non è ancora giunto. Ora devo cercare un contatto

                     con lui. Voglio unirmi ai suoi Mille, per cacciare l’invasore Francesco II. Ora

                     vediamo se… (Si guarda intorno e nota Vincenzo) E cosa fa quel signore con

                     quell’oggetto vicino all’orecchio? (Va da lui) Senti!

Vincenzo:   (Si volta di scatto) Mi arrendo!

Enrichetta: No, non bisogna mai arrendersi. Hai capito? Mai arrendersi.

Vincenzo:   (Parla al telefono) Scusami, ti posso chiamare dopo? Grazie, Garibaldi!

Enrichetta: Garibaldi? Dove sta Garibaldi?

Vincenzo:   Nel telefono.

Enrichetta: (Glielo tira di mano) Ma io non lo vedo!

Vincenzo:   Oh, ma ccà se stanne fissanno tutte quante cu’ ‘o cellulare mio?! 

Enrichetta: Insomma, dov’è Garibaldi?

Vincenzo:   Non ci sta, si sente solo la sua voce. Però adesso ha attaccato. Ma tu po’ chi si’?

Enrichetta: Io sono Enrichetta Caracciolo. Fui monaca non per scelta, ma poi decisi di

                    aderire alla spedizione dei Mille. Ed ora eccomi qua per liberare il Regno delle

                    due Sicilie ed incontrare Garibaldi. E tu chi sei?

Vincenzo:   Vincenzo Esposito. Ma il Garibaldi che conosco io è un altro Garibaldi!

Enrichetta: Su, forza, poche chiacchiere. Fai uscire la voce di Garibaldi da questo coso.

Vincenzo:   Ma…

Enrichetta: Muoviti!

Vincenzo:   E va bene. (Prende il cellulare e fa il numero) ‘A dint’a chella macchina del

                     tempo stanne ascenno sulo scieme! (Al telefono) Garibà, aggie pacienza,

                     t’aggia fa’ parlà cu’ ‘na perzona.

Enrichetta: (Prende il cellulare) Esimio Garibaldi, finalmente sono giunta a pochi passi

                     dalla tua mirabile persona. Ho il bisogno assoluto di incontrarti per unirmi a te.

                     (A Vincenzo) Ha detto sì! Mi vuole a casa sua a bere un cicchetto. Che cos’è?

Vincenzo:    Miette ccà! (Le tira il cellulare di mano) Garibà, chesta nun è ‘na prostituta.

                     Chesta se chiamma Enrichetta Caracciolo. E’ asciuta ‘a ‘int’’o scantinato mio.

                     No, nun amme fatto chello che staje penzanno tu. Inzomma, Garibà, ccà sta

                     succedenno ‘na muina mai vista. (Si arrabbia) T’aggio ditto che nun è ‘na

                     prostituta. Vabbuò? (Riaggancia) Aggie pacienza, ma Garibaldi è ‘nu rattuso!

Enrichetta: Cos’è un “rattuso”?

Vincenzo:    Un porco sessuale!

Enrichetta: Ma io sono disponibile ad unirmi carnalmente con lui. Specie ora che è rimasto

                     vedovo di Anita.

Vincenzo:    Nenné, io ‘o cunosco buono a chisto. Io e lui siamo amici d’infanzia.

Enrichetta: Ma se quello tiene quasi 60 anni.

Vincenzo:    Ma io l’aggio visto nascere!

Enrichetta: Ma per piacere.

Vincenzo:    T’aggio ditto che chisto nun è ‘o Garibaldi che staje cercanno tu. He’ capito? E

                     mò turnamme ‘int’’o scantinato.

                     Si sentono fuochi d’artificio. Lei si accovaccia a fianco alla panchina.

Enrichetta: Vergine santa! Ci stanno attaccando. Su, riparati!

Vincenzo:    Ma no, chella è ‘a festa ‘e Pirerott…!

Enrichetta: E muoviti! (Corre da lui a prelevarlo e lo tira a sé alla panchina) Caro mio, 

                     qua ci vuole un’azione rapida, se no ci colpiscono.

Vincenzo:   ‘A pozzo dicere ‘na cosa?

Enrichetta: No! Vieni con me, cerchiamo di raggiungere Garibaldi. La guerra continua.

Vincenzo:   E tu tiene ‘a guerra ‘ncapa!

Enrichetta: Su, andiamo. All’assaltoooo!

                    Lo prende per mano e se lo porta via a destra.

5. [Antonio Petito, Salvatore e Marilena]

                    Da sinistra (dopo la solita luce intensa e la scintilla), entra Pulcinella: è

                    Antonio Petito. Si muove con le tipiche movenze della maschera napoletana.

Petito:         Io nun riesco a capì: mentre mi trovavo a teatro, improvvisamente mi trovo in

                    questo posto leggermente strano. Ma comm’aggia fa’? A chi aggia domandà?

                    Si ferma a riflettere, mettendosi in posa. Da sinistra arriva Marilena.

Marilena:  (Soddisfatta) Menu male, aggio fatto fessa a Angela Merkel… cioè, ‘a tedesca,

                    ‘a mugliera ‘e Borbone: invece d’’a accumpagnà a vedé ‘a festa ‘e Piererotta,

                    l’aggio chiusa ‘int’’o scantinato. E adesso… (Si volta e nota Pulcinella) Uh,

                    comm’è bella chella statua ‘e Pulcinella. Ma chi l’ha purtata ccà? (Si avvicina e

                    la tocca) Pare ‘o vera!

Petito:        (Si muove) Signò io songo overamente ‘o vero!

Marilena:  (Si spaventa)Uh, mamma mia!

Petito:        V’aggio spaventato? Faccio chist’effetto? E allora mi devo proprio presentare:

                   io sono Pulcinella, al secolo Antonio Petito.

Marilena:  Uh, tanto piacere, io sono Marilena Veneruso. Ma allora siete voi che avete

                   inventato la maschera di Pulcinella?

Petito:        Nossignora, io ho inventato solo il costume che mi vedete addosso. Ma il vero

                   padre di Pulcinella è Silvio Fiorillo. Scusate, ma in che epoca siamo?

Marilena:  2013.

Petito:        E non è finito il mondo?

Marilena:  No!

Petito:        Ma come ci sono arrivato qua?

Marilena:  Guardate, se ve lo spiego, uscite pazzo come me!

Petito:        Ah, ma siete pazza? Molto bene! Allora mi devo arricreare. Mi piacerebbe

                   incontrare una persona da sfrocoliare: ‘na faccia ‘e scemo!

                   Da sinistra torna Salvatore, soddisfatto.

Salvatore: Aggio chiuso a Masaniello ‘int’’o scantinato, insieme a ‘na tizia tedesca!

Petito:        (Lo nota e gli si avvicina) Uh, ‘o vì lloco!

                   Salvatore lo osserva perplesso, senza parlare. Pulcinella invece continua.

                   Marilé, guarde che faccia ‘e scemo tene chistu tizio!

Salvatore: Oh, ma quanta cunferenza?

Marilena:  Salvatò, chella macchina del tiempo continua a mannà gente ‘a parte ‘e ccà!

Petito:        Te chiamme Salvatore? Io invece songo Pullecenella… oppure Antonio Petito!

Salvatore: (Sconvolto) No! Tu si’… No!... Cioè, addirittura… No!... Io sto’ parlanno… No!

Petito:        (Stufo) Oh, ma te si’ ‘ncantato?

Salvatore: Pullecené, tu si’ ‘o mito mio. Insieme a Masaniello, a Totò e a Pippo!

Petito:        Nun ‘e canosco.

Salvatore: Mi vuoi mettere un autografo?

Petito:        (Non capisce la domanda ed interroga Marilena) Che va truvanno, chisto?

Marilena:  Vuole che gli scrivete il vostro nome e cognome su un foglio.

Petito:        E pecché?

Marilena:  Per ricordo.

Petito:        Caccia ‘a penna e ‘o foglio.

Marilena:  La penna ce l’ho io, il foglio no. (La prende dalla borsa e la cede a Petito)

Salvatore: E allora scrivi sul mio braccio. Non me lo laverò mai più. (Prepara il braccio)

Petito:        (Si prepara a scrivere) Dunque… Antonio Petito se scrive Antonio Petito. (Così

                   comincia a scrivere, sillabando) Per fare la “A”, bisogna scrivere il “cococco”

                   con la mazzarella…! Poi dopo la “A” viene la “N”…!

Marilena:  Vabbuò, ja’, aggio capito, mò ve dongo ‘na mana. (Lo accompagna per mano)

Petito:        Ecco qua, aggio scritto Antonio. Mò aggia scrivere Petito. Però m’aggia

                   arrepusà ‘na mez’ora! A scrivere ‘o nomme e ‘o cugnomme è stancante!

Marilena:  No, no, aspettate, mò scriv’io. (Così fa) Ecco fatto!

Salvatore: Marilé, ma comme, l’he’ scritto tu? E mò nun è cchiù ‘a firma ‘e Antonio Petito.

Marilena:  Salvatò, nun ce putìmme mettere trent’anne pe’ ‘na firma. Chisto se n’ha da

                   turnà ‘int’’a macchina del tempo.

Salvatore: Però me dispiace. Io me stongo divertenno.

Marilena:  (Lo richiama) Salvatò!

Salvatore: Aggio capito, aggio capito. Ehm… Pullecené!

Petito:        Oh!

Salvatore: Te piace ‘o vino?

Petito:        Sì!

Salvatore: (Gli si mette sottobraccio) Allora mò te porto a vedé ‘a cantina mia. Ce sta ‘nu

                    vino mai visto. E’ trasparente e nun sape ‘e niente, però è buono!

Petito:        ‘O vero?   

                   Escono a sinistra, parlottando. Marilena, rimasta sola, fa considerazioni.  

Marilena:  Se raccontiamo a qualcuno quello che sta succedendo… ce pìgliene pe’ pazzi!

                   Esce pure lei a sinistra.

6. [Vincenzo e Otto Voltestrunz. Poi Salvatore]

                   Da destra torna Vincenzo. Si diverte.

Vincenzo:  Aggio accumpagnato a chella Enrichetta Caracciolo ‘int’a ‘nu cinema e l’aggio

                   lassata lloco. Si sta guardando un film d’amore! Speriamo che si calma un po’.

                   (Si siede sulla panchina e si rilassa) Menu male, ‘nu poco ‘e tranquillità!

                   Ma da sinistra entra un soldato nazista con la pistola in mano. Entra quatto,

                   quatto, guardandosi intorno, timoroso, raso muro. Nota Vincenzo.

Otto:         (Bisbiglia)Psss psss!

Vincenzo: (Spalanca gli occhi e guarda un po’ di qua e un po’ di là) Ma ch’è stato?

Otto:         (Bisbiglia più ad alta voce)Psss psss!

Vincenzo: (Guarda sotto la panchina) Forse ce sta ‘nu serpente!

                  Otto fa uno scatto, lo prende per il braccio e i due si buttano in terra.

Otto:         Schnell!

Vincenzo: Néh, ma che ffa, chisto?

Otto:         Schweigen!

Vincenzo: Eh?

Otto:         Shhhh!

Vincenzo: Ah, nun aggia parlà!

Otto:         Achtung! (In italiano con accento tedesco) Tu come chiamare?

Vincenzo: Me chiamme Vincenzo Esposito.

Otto:         Io sono Otto Voltestrunz!

Vincenzo: Ah?

Otto:         (Si mette sugli attenti, facendo il saluto nazista) Otto Voltestrunz!   

Vincenzo: (Cerca di rassicurarlo) Vabbuò, nun esaggeramme, mò. Sei quattro volte, al

                   massimo cinque! Facciamo sei!

Otto:         Ho detto Otto Voltestrunz!

Vincenzo: Vabbuò, io ‘o ddiceve pe’ te!

Otto:         Ora tu fare quello che fare io.

Vincenzo: Ma per forza?

Otto:         Ja!

Vincenzo: (Rassegnato) E jamme!

                  Otto fa una capriola raso pavimento e subito dopo la esegue pure Vincenzo.

                  Dopodiché Otto si getta in terra a pancia in giù e Vincenzo fa lo stesso, ma…

Otto:         Cosa c’è?

Vincenzo:  Aggio calpestato ‘na brutta cosa!

Otto:          Italiano, noi essere in guerra! E in guerra valere tutto.

Vincenzo:  Embé, tu nun si’ Otto Voltestrunz… ma trenta vote… e forse pure cinquanta!

Otto:          Basta, non parlare più. Italiano, noi dovere raggiungere altri cameraten che

                   aspettare noi. Bisogna agire prima che arrivare forze anglo-americane.

Vincenzo:  No, ma…

Otto:          Silenzio! Per combattere bene, ti servono tre cose: un mezzo navale, un mezzo

                   terrestre ed un mezzo aereo.

Vincenzo:  Miezo aereo? E pe’ combattere, me vuo’ da’ miezo aereo? E damme ‘n’aereo

                   sano, po’!

Otto:          Basta! Ora stai pronto all’assalto.

Vincenzo:  Ma pecché aggia venì pur’io?

Otto:          Perché tu essere alleato di Germania. (Fa il saluto nazista) E di Hitler!

Vincenzo:  A chi? Io non essere tuo alleato. Tu avere capito “sasiccio” per un altro.

Otto:          Cosa? (Gli punta una pistola contro) Tu traditore?

Vincenzo:  Uhé… che vvuo’ fa’ cu’ ‘sta pistola?

Otto:          Tu ora seguire me. Tu essere mio prigioniero. (Indica a destra) Andare! (Nota

                   qualcosa e gioisce) Uh, guardare, guardare! Armata tedesca essere giunta qui!

                   Si odono passi di una armata che cammina. Vincenzo osserva.

Vincenzo:  (Sconvolto) Uh, mamma mia, ‘e ‘a do’ anne asciute tutte ‘sti surdate?

Otto:          Ehi, ragazzi, voi aspettare me. Avere anche prigioniero italiano. Su, andare!

Vincenzo:  (Piangente) Aiuto, che brutta fine stongo pe’ ffa’!

Otto:          (Ride) Ahahahah!

                   Escono a destra: Vincenzo davanti ed Otto dietro che punta la pistola verso lui.

                   Oh, no, ma questi non essere soldati amici! Essere americani vestiti da tedeschi!

                   I due tornano di corsa al centro. Otto è piangente.

                   Aiuto, che brutta fine stare per fare!

Vincenzo:  (Stavolta è lui che ride) Ahahahah!

Otto:          Io correre!

                   Fugge via a sinistra. Vincenzo corre a destra.

Vincenzo:  (Ai soldati americani) Guagliù, acchiappamme a chillu fetente!

                   Si sente un reggimento intero correre. Vincenzo se la ride.

                   Ahahahahah!

7. [Salvatore, Marilena, Vincenzo e Lina Merlin]

           

                   Da sinistra entra la donna politica Lina Merlin (autrice della legge contro la

                   prostituzione del 20/2/1958). E’ abbigliata in tailleur scuro.

Merlin:      (Accento veneto)Non ho ben capito in quale città mi trovo adesso, ma anche qui

                   porterò gli effetti della mia legge: parola di Lina Merlin! Mai più prostitute in

                   città. Se gli uomini vogliono una donna, devono sposarla. E adesso al lavoro!

                   Dalla tasca del tailleur estrae un taccuino ed una penna, si siede sulla panchina

                   e scrive. Intanto da sinistra tornano Salvatore e Marilena.

Salvatore: Marilé, però me dispiace che Pullecenella se n’è gghiuto. Io me stevo

                   divertenno assaje, cu’ isso.

Marilena:  Salvatò, tu te stive divertenno cu’ Pullecenella? Io me stevo divertenno cu’

                   Federico II! Che uomo dal fascino magnetico.

Salvatore: Un uomo universitario!

Marilena:  Universale!

Salvatore: (Si infervora, in modo tale da destare l’interesse di Merlin) Marilé, ma io te l’ho

                   sempre detto: una donna come te, non deve avere un solo uomo, ma 100.000!

Marilena:  Vabbé, ma nun esaggerà, mò.

Salvatore: Non sono io che esagero. La cosa migliore che deve fare una donna, è

                   frequentare gli uomini coi soldi. E tu invece he’ acchiappato a ‘nu bidello!

Marilena:  E hai ragione, scusami! (Si mette un po’ in disparte a riflettere)

Merlin:      Perdinci, una prostituta e il suo protettore!

                   Da destra torna Vincenzo che va da Marilena.

Vincenzo:  Uhé, ja’, nenné, jammuncenne. Tengo che ffa’!

Merlin:      E questo è il suo cliente!

Marilena:  (A Salvatore, indicando Vincenzo) Ecco la triste realtà. In questo periodo ho

                   conosciuto uomini di ogni genere: Lucullo, il duca Basilio, Ruggero II, Carlo

                   d’Angiò, Filippo il Bello…!

Merlin:      Ma quanti clienti tiene, questa?!

Vincenzo:  E con ciò? L’unico ommo che t’ha da cercà, songh’io!

Merlin:      Ah, ecco: gelosia di cliente!

Salvatore: Vabbuò, Vicié, ma parlàmmece chiaro: tu pure t’’a si’ spassata cu’ Servilia, cu’

                   Sibilla, Maria d’Ungheria, Giovanna ‘a pazza…!

Merlin:      Cosa? Quel tizio è andato con tutte queste prostitute? (Si alza e va da loro,

                   gridando) E’ uno scandalo, uno scandalo! Io mi appellerò ai diritti civili.

Vincenzo:  Néh, ma chi cacchio è chesta?

Salvatore: E chi ‘a cunosce?

Merlin:      (Fiera) Io sono Angelina Merlin, detta Lina. Quando la mia legge sarà

                   approvata, questa prostituta non sarà mai più nelle vostre grinfie!

Marilena:  Oh, ma quala prostituta?

Merlin:      Amica mia, non preoccuparti, io sono in tuo favore. Ti difenderò da questi due!

Marilena:  Ma chi vo’ essere difesa? Io sono una brava donna e in futuro avrò 5 figli.

Salvatore: (A Vincenzo) Azz, chesta già ha fatto ‘o programma!

Marilena:  Ebbene sì. Ai miei figli non farò mancare nulla. Come diceva Filumena

                   Marturano, nemmeno il latte delle formicole.

Merlin:      Ma è giusto che anche le prostitute abbiano dei figli.

Marilena:  Ancora cu’ ‘sta prostituta?

Merlin:      Lascia fare! Ed è giusto che tu fornisca ai tuoi figli il latte delle formiche.

Salvatore: He’ ‘ntiso, Vicié?

Vincenzo:  E che ce ll’aggia da’ io, ‘stu llatte d’’e furmiche?

Salvatore: No, ma quello non si compra.

Vincenzo:  Si piglia direttamente dalla formica?

Salvatore: E certamente, si munge la formica e il gioco è fatto!

Vincenzo:  E io nun ‘o voglio piglià ‘stu latte d’’e furmiche.

Salvatore: E pecché?

Vincenzo:  (Spazientito) Oh, ma tu he’ maje strignuto ‘a zizza ‘e ‘na furmica?!

Salvatore: No!

Vincenzo:  (La indica con le dita) E’ tantella!

Marilena:  Oh, e mò basta! Fernìtele ‘e dicere scimmità. Il latte delle formiche non esiste.

                   E’ un modo di dire. Un’esagerazione. E a voi, signora Merlin, qua c’è un grosso

                   equivoco. Io non sono una prostituta. Mi chiamo Marilena e faccio la casalinga.

Merlin:      Ma… allora lui non è un protettore? E lui non è un cliente?

Marilena:  No. Noi siamo tre persone capitati nella situazione più assurda del mondo.

Merlin:      E cioè?

Marilena:  Il fatto è che voi non dovreste essere qui. Dovreste trovarvi nel 1958. Però, per

                   colpa di mio marito, che è lui, state qua.

Merlin:      Voi siete il marito?

Vincenzo:  (Stringendole la mano) Esposito!

Marilena:  E lui è mio fratello.

Salvatore: (Stringendole la mano) Veneruso!

Merlin:      Dal vostro accento, si direbbe che siete napoletani. Ma allora siamo a Napoli.

Vincenzo:  E pe’ forza! Però, se venite con noi, vi facciamo vedere un posto bellissimo.

Merlin:      Ah, sì? E per dove si va?

Vincenzo:  Qui a sinistra. Vi raccomando, chiudete gli occhi…

Salvatore: E aprite la bocca!

Vincenzo:  E aprite la bocc…! No, non aprite niente. I vostri occhi devono stare chiusi.

                   Capito? E ora andiamo, vi guido io.

                   La conduce a sinistra.

Marilena:  Salvatò,si tu e Vicienzo nun site capace ‘e distruggere chella dannata machina

                   d’’o tiempo, ‘a distruggo io. Parola ‘e Marilena Veneruso!

                   Esce a sinistra, tutta impettita. Salvatore, rassegnato, si siede sulla panchina.

8. [Salvatore, Marilena e Diego Armando Maradona]

                     Salvatore chiude gli occhi e parla da solo.

Salvatore:   Mò me sceto e è tutto ‘nu suonno, mò me sceto e è tutto ‘nu suonno…

                     Ad un tratto, da sinistra, giunge un pallone da calcio e colpisce Marilena.

Marilena:   Oh!

                    Da sinistra entra Diego Armando Maradona, in T-shirt bianca, jeans, scarpe

                    da ginnastica (così come fu presentato al San Paolo il 5 luglio 1984).  

Maradona: (Accento sudamericano) Dov’è il mio pallone?

Marilena:   Guagliuncié, va’ a jucà ‘o pallone a ‘n’ata parte.

Maradona: Signora, mi scusi, dov’è il San Paolo?

Marilena:   (Si alza e indica la strada) Sì, dunque: devi prendere la metropolitana a

                    Montesanto, poi arrivi a Campi Flegrei, scendi e prendi l’autobus che ti porta a

                    Via Terracina. Non ti puoi sbagliare.

Maradona: Gracias, señora!

Marilena:   Prego!

                    Maradona si mette in disparte a fare finte e dribbling col pallone. Lei lo nota.

                    Mamma mia, quant’è scucciante chisto, cu’ ‘stu pallone!  

Salvatore:  Ma chi è? (Apre gli occhi e lo osserva, subito va in estasi) Uh, mamma mia!

Marilena:   Ch’è stato, Salvatò?

Salvatore:  (Entusiasta) Chisto è Maradona! E’ ‘o vero che si’ Maradona?

Maradona: Sì, yo soy Maradona.

Salvatore:  Maradò, tu si’ ‘o mito mio. Insieme a Pulcinella, a Masaniello, a Totò e Pippo!

Marilena:   (Tra sé e sé) Chisto, ognuno ch’aésce ‘a dint’’a macchina del tempo, dice ch’è

                    ‘o mito suojo!

Maradona: Amigo, vuoi fare due passaggi con migo?

Salvatore:  Uà, io che faccio i passaggi col Pibe de Oro! Va’, Maradò!

                    I due effettuano passaggi col pallone. Poi Salvatore colpisce Marilena.

Marilena:   Salvatò, ma ‘a vulìmme fernì, o no? Chisto se n’ha da ì.

Maradona: Amigo, io devo andare al San Paolo. Tanti saluti e forza Napoli.

                    Si avvia a sinistra.

Salvatore:  No, ma allà addò vaje?

Maradona: Al San Paolo, a Via Terracina.

Salvatore:  E mica ‘o San Paolo sta a Via Terracina?

Maradona: Me l’ha detto lei.

Salvatore:  Cretina, a Via Terracina ce sta ‘o Spitale San Paolo!

Marilena:   Embé?

Salvatore:  Chisto ha da ì ‘o Stadio San Paolo!

Marilena:   E  vabbuò, sempe San Paolo è!

Maradona: Allora gracias! Adios!

Salvatore:  Aspié, Maradò, t’aggia dicere ‘na csa. T’arraccummanno, eh, prendi nota: 

                    duje-tre scudette ambresso ambresso, cocche Champions League e ‘nu paro ‘e

                    gol ‘a Juventus. He’ capito?

Maradona: Non ho capito niente, ma lo farò!

Salvatore:   Bravo! Schias ‘o cinco!

Maradona: Come?

Salvatore:  Damme ‘o faiv!

                    I due si danno il cinque, poi Maradona esce a destra col pallone tra i piedi.

Marilena:   Salvatò, ma chillo nun se ne po’ gghì.

Salvatore:  E pecché?

Marilena:   Chillo nun è Maradona overamente! Cioè… è Maradona overamente, però è

                    asciuto ‘a dint’’a macchina del tempo.

Salvatore:  Ah, già.

Marilena:   Vall’a fermà, muòvete.

Salvatore:  A Maradona nun l’ha fermato maje nisciunu difensore, comme ce riesco io?!

Marilena:   Va’!

                    Salvatore corre via. Marilena si siede sulla panchina.

                     Nun ce ‘a faccio cchiù! Embé, si chisto è ‘nu scherzo, dicitammello! V’’o

                     giuro, me songo divertita, però mò basta!

                     E si rilassa.  

Scena Ultima. [Otto, Masaniello, Enrichetta, Petito, Merlin, Maradona, Vincenzo, Marilena, Salvatore]

                     Marilena si sta rilassando sulla panchina.

Marilena:    Ah, finalmente ‘nu poco ‘e pace e ‘e serenità! (Se la ride) E sì! (Ride ancora)

                      Ad un tratto, da sinistra, entra Masaniello di corsa, inseguito da Vincenzo.

Vincenzo:    Masanié, tuorne ccà!

Masaniello: Nooo!

Marilena:    (Di colpo scoppia a piangere) Uh uh uh!

                      I due si fermano e si confrontano, uno di fronte all’altro, pronti a correre.

Vincenzo:    Masanié, tu nun puo’ sta’ ccà!

Masaniello: E pecché?

Vincenzo:    Tu he’ ‘a turnà a Napule.

Masaniello: Ma pecché, ccà nun stongo a Napule?

Vincenzo:    No, nella Napoli del tuo tempo.

Masaniello: Ma a me me piace ‘e sta’ ccà. E ppo’ io tengo ‘na simpatia pe’ Salvatore!

Vincenzo:    E nun te prioccupà, cchiù tarde t’’o manno attraverso ‘a macchina del tempo!

Masaniello: No!

                     Masaniello corre via a sinistra, inseguito da Vincenzo. Da destra torna

                     Salvatore, inseguendo Maradona. I due si fermano e si confrontano, uno di

                     fronte all’altro, pronti a correre.

Salvatore:    Maradò, pe’ cortesia, fatte acchiappà!

Maradona:  No, io devo vedere Ferlaino per firmare il contratto col Napoli!

Salvatore:    Ma Ferlaino non è più il presidente del Napoli. Adesso ci sta De Laurentiis.

Maradona:  E allora devo vedere questo De Laurentiis!

Salvatore:    Aggio ditto che nun è cosa!

                     Maradona corre via a sinistra, inseguito da Salvatore. Da destra Vincenzo,

                     che stavolta insegue Petito ed Enrichetta.

Vincenzo:    Néh, uhé, addò fujite?

                     I due si fermano e si confrontano, pronti a correre.

Enrichetta:  Ho deciso, non andrò via di qua. Non ho potuto incontrare Garibaldi, ma ho

                     visto lui. (Indica Petitoo) Io sono Enrichetta!

Petito:          Piacere, Antonio Petito, in arte Pulcinella!

Enrichetta:  Sei un rivoluzionario?

Petito:          No, io me metto appaura!

Enrichetta:  E allora si può fare!

Petito:          Azz, aggio ‘ncarrato ‘a jurnata!

Vincenzo:    No, no, non si può fare.

I due:           E perché?

Vincenzo:    O si no se scumbina tutt’’a storia!

I due:           Uff!

                     E corrono via a sinistra. Vincenzo richiama Marilena (piangente).

Vincenzo:    E tu che ce faje assettata?

Marilena:    (Piangente, allarga le braccia) Uh uh uh!

Vincenzo:    Damme ‘na mana a acchiappà a chilli llà!

Marilena:    (Fa di “sì” con la testa, sempre piangente) Uh uh uh!

                     Corrono a sinistra. Poco dopo, da lì, esce Petito (che corre con movimenti alla

                     Pulcinella, inseguito da Salvatore).

Salvatore:   Pullecenéééé!

                     Escono via a destra. Da sinistra tornano Vincenzo e Marilena che inseguono 

                     Enrichetta e Masaniello. I quattro, a loro volta, sono inseguiti dalla Merlin.

Merlin:        Questo è sfruttamento della prostituzioneeeeee!

                     Ed escono a destra. Da sinistra, quatto, quatto, entra Masaniello. Dalla parte

                     opposta, Otto Voltestrunz fa lo stesso. I due si incontrano a metà strada.

Otto:            Dove essere altri?

Masaniello: Nun ‘o ssaccio.

Otto:            Io direi: noi non fare sentire da nessuno.

Masaniello: Vabbé. Statte buono!

                     Masaniello va a destra, Otto a sinistra. Da sinistra riecco Enrichetta e Petito.

Enrichetta: Amore mio, finalmente li abbiamo seminati. Io direi: perché non andiamo ad

                     appartarci nello scantinato?

Petito:          E certo. Tu si’ tutta ‘a vita mia. A proposito, comme he’ ditto che te chiamme?

Enrichetta:  Enrichetta Caracciolo.

Petito:          Brava, he’ ‘nduvinato! E mò jammuncenne!

                     Escono a sinistra.Da destra entrano Otto e la Merlin.

Otto:            Non ci essere nessuno. Ora noi potere entrare!

Merlin:        (Accento veneto) Senti, bel moretto, ma ti se’ un soldà tedesco?

Otto:            Ja!  

Merlin:        E ti se’ libero?

Otto:            Ja!

Merlin:        E ti se’ voglioso di andare un po’ nello scantinato?

Otto:            Ja… jamme a ce movere, ja!

Merlin:        ‘Ndemo, ‘ndemo!

                      I due escono a sinistra. Da destra entrano Maradona e Masaniello.

Masaniello: Guagliò, putìmme ascì!

Maradona:  Ah?

Masaniello: Ce ne putimm’ì, nun ce sta nisciuno.

Maradona:  Ah?

Masaniello: ‘O campo è libero. Nun ce ponno acchiappà.

Maradona:  Ah?

Masaniello: Guagliò, ma si’ scemo o si’ surdo?

Maradona:  No, yo soy argentino!

Masaniello: (Ad un tratto, un po’ effeminato) Io dicesse: ce ne vulìmm’ì ‘int’’o scantinato?

Maradona:  A fare cosa?

Masaniello: Po’ t’’o spiego!

Maradona:  Ah?

Masaniello: No, ‘sta vota he’ capito buono! Viene cu’ mico!

Maradona:  No, no, no…!

                     Se lo porta via a sinistra, per mano. Da destra torna Vincenzo, quatto, quatto.

Vincenzo:   (Parla a mezza voce con qualcuno a destra) Salvatò, Marilé, ccà nun ce sta

                     nisciuno. Ora possiamo attuare il mio piano per acchiapparli. Venite trasìte!

                     Da destra, Marilena entra vestita con velo azzurro, tipo Maria di Nazareth,

                     con le braccia alzate come in preghiera. Con lei entra Salvatore, con velo

                     marrone e barba finta, tipo San Giuseppe e le mani alzate come in preghiera.

                     Ua’, state ‘na bellezza: San Giuseppe e ‘a Maronna! Mò ‘e ffaccìmme ‘nu 

                     bellu scherzo a tutte quante. E poi li facciamo andare nella macchina del

                     tempo. Ehm… uh, accorrete, accorrete, dalla macchina del tempo sono usciti

                     San Giuseppe e la Madonna! Accorrete, accorret…! Néh, ma addò stanne?

                     Vincenzo ssce via a sinistra.

Marilena:    Ma pecché nun vénene?

Salvatore:    E se vede che nun so’ religiosi! E gghiamme bello, che me da fastidio ‘stu

                      coso marrone che tengo ‘ncapa!

Marilena:    Aggie pacienza, Salvatò! Tu si’ San Giuseppe.

Salvatore:    E tu fusse ‘a Maronna?

                     Da sinistra accorre Vincenzo.

Vincenzo:    Salvatò, Marilé, stanne tutte quante ‘int’’o scantinato. Ma proprio tutte quante.

                   Pure San Gennaro, Lucullo e Sibilla.

Marilena:  Ottimo! Questa è la grande occasione per mandarli tutti indietro nel tempo.

Vincenzo:  No, e nun se po’.

Marilena:  E pecché?

Vincenzo:  E pecché Enrichetta e Petito stanne facenno ‘na certa cosa int’’o scantinato. E

                   pure ‘o nazista cu’ ‘a Merlin. E pure Masaniello cu’ Maradona. Anze, Maradona

                   no, ‘o sta rifiutanno a Masaniello!

Salvatore: Vicié, ma a te che te ne ‘mporta?

Vincenzo:  Salvatò, tu nun capisce niente. Se nascono dei figli, in quale epoca nascono?

                   Quella di lui o quella di lei?

Marilena:  Ma che ce ne ‘mporta? Jamme a spremmere ‘o buttone e mannàmme a tutte

                   quante areto. Forza, forza!

Vincenzo:  (Rassegnato) E vabbuò.

                   Escono a sinistra. Poco dopo, si nota un bagliore di luce e si sente la scarica.

                   Dopodiché, entrano Salvatore (vestito da San Giuseppe) e Vincenzo, festanti.

I due:         Aléééééé!

Salvatore: E’ fatta!

Vincenzo:  Finalmente è fernuta!

                   I due si siedono sulla panchina, esausti.

Salvatore: Caro Vincenzo, abbiamo corso un brutto rischio. Però lo sai che cosa mi ha

                   insegnato questa esperienza?

Vincenzo:  Che ti ha insegnato?

Salvatore: Che in fondo, o c’è la repubblica, o ci sono i monarchici, c’è una cosa che non

                   può mancare mai: la democrazia. Vedi, la democrazia è una cosa facile da

                   spiegare. Per esempio, secondo me, la chiave di casa non è democratica.

Vincenzo:  E perché?

Salvatore: Perché per colpa della chiave, la casa diventa solo tua. E invece bisogna essere

                   altruisti. Che c’è di male se a casa tua ci viene tutta la gente?! Ma secondo me

                   pure il portafogli è antidemocratico, in quanto si mette in tasca. Ma che c’è di

                   male se tutto quanti spendono i tuoi soldi?! Ma pure io. E pure tua moglie!

Vincenzo:  (Dubbioso) Mia moglie? A proposito ‘e mia moglie? Ma addò sta Marilena?

Salvatore: E forse sta ancora ‘int’’o scantinato.

Vincenzo:  Salvatò, m’è venuto ‘nu dubbio: ‘int’’a mmuina, aggio visto a una vestuta

                   comm’’a Maronna, accussì aggio acchiappato a Marilena e aggio menata pure a

                   essa ‘int’’a macchina del tempo!

Salvatore: Uh, mamma mia! E addò l’he’ mannata?

Vincenzo:  E che ne saccio? Forse primma che nasceva Maria ‘e Nazareth!

Salvatore: Vicié, e allora jammele a piglià!

Vincenzo:  No, ma io dicesse: nun fa niente, lassàmmele lloco! 

Salvatore: Ma si’ scemo? Nun sia mai s’accòrgene che Marilena nun è Maria ‘e Nazareth!

Vincenzo:  Tu dice che se n’accòrgene?

Salvatore: E certamente.

I due:         Uh, mamma miaaaa!

                   Si alzano in piedi e corrono via a sinistra.

FINE DELLA COMMEDIA