La nemica

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DARIO NICCODEMI


Commedia in tre atti

di DARIO NICCODEMI

rappresentata la prima volta al Teatro Manzoni di Milano

la sera del 27 marzo 1916 dalla Compagnia diretta da Virgilio Talli.

PERSONAGGI

ANNA DI BERNOIS, duchessa di Nièvres

LA CONTESSA DI BERNOIS, sua madre

MARTA REGNAULT

FIORENZA LUMB

MARGHERITA, OPERAIA

LUISA, OPERAIA

MARIA, OPERAIA

ROBERTO, FIGLIO DELLA DUCHESSA

GASTONE, FIGLIO DELLA DUCHESSA

REGNAULT

S. E. MONSIGNOR GUIDO DI BERNOIS

LORD MICHAEL LUMB

GERARDO, maggiordomo.

Epoca presente. Nel castello di Nièvres a 70 chilometri da Parigi

Primo Atto sulla terrazza; il secondo Atto in un salone; il Terzo Atto nell'oratorio.

 


ATTO PRIMO

La terrazza del castello di Nièvres che domina il parco, di cui si scorgono, alti sugli altri alberi, i giganteschi faggi. La balaustrata di marmo che chiude la terrazza è aperta, in fondo, dalla larga scalinata che scende al parco. Sulla balaustrata una teoria di grandi vasi ricolmi di fiori e di fogliame. A destra e a sinistra i primi gradini della doppia scalinata che conduce, da ambi i lati, alle abitazioni. In primo piano, a sinistra, una grande poltrona a sdraio, un tavolo rotondo e un'altra poltrona semplice. A destra, egualmente in primo piano, altro gruppo di mobili da giardino.

SCENA PRIMA

FIORENZA - GASTONE.

Quando si alza il sipario, Fiorenza, sprofondata nei cuscini della grande poltrona, dormo pacificamente. Il libro e il ricamo, che la occupavano alternativamente, sono per terra. Dopo pochi momenti di perfetto silenzio, Gastone, molto elegante nel suo costume da caccia, viene dal parco. Vedendo la fanciulla addormentata, posa il fucile sulla balaustrata, strappa un fiore da uno dei vasi, si avvicina, pianissimo, alla dormiente e comincia a solleticarle il viso. Dopo due o tre movimenti di pigra impazienza, Fiorenza si sveglia.

GASTONE – (mettendole le mani sugli occhi) Quale dei due?... subito.

FIORENZA. – Oh!

GASTONE. - Subito: quale dei due fratelli...

FIORENZA. - Quello che mi ha svegliata: dunque il meno intelligente.

GASTONE. - Brava: avete indovinato. Buongiorno miss Fio’... O, piuttosto, buona sera.

FIORENZA. - Come: buona sera? Che ore sono?

GASTONE. - Pranzo meno un quarto.

FIORENZA. - Non è vero!... Corro a cambiarmi.

GASTONE. - Non correte: ho sbagliato di un'ora... Potete riaddormentarvi. Addormentata sembravate un angelo in riposo.

FIORENZA. - E sveglia, che cosa sembro?

GASTONE. - Un'inglese che ha dormito troppo.

FIORENZA. - Allora devo essere orribile... non mi guardate e raccontatemi la vostra giornata. Buona caccia?

GASTONE. - Stupenda! una gallina sotto l'automobile... Aspettate... c'è di meglio: ho preso, anche, una meravigliosa farfalla. (Apre il portafoglio sotto gli occhi di Fiorenza.)

FIORENZA. - Meravigliosa davvero.

GASTONE. - Ed è il vostro ritratto.

FIORENZA. - Come?;

GASTONE. - Proprio il vostro ritrattola Guardate... Seguitemi bene: ecco qui l’azzurro divino dei vostri occhi.

FIORENZA. – Preciso!

GASTONE. - Ecco l'oro abbagliante del vostri capelli...

FIORENZA. – Identico!

GASTONE. - Qui c'è il rosa angelico delle vostre gote e qui, più in su, il corallo incredibile delle vostre labbra.

FIORENZA. - C'è, proprio, da sbagliarsi.

GASTONE. - Ed ecco, poi, il bianco immacolato della vostra modestia.

FIORENZA. - Non lo toccate: lo sciupereste. Avete finito?

GASTONE. - Ora ci sono le somiglianze morali.

FIORENZA. - Quelle raccontatele ai cuscini.

GASTONE - (trattenendola.) Non ve ne andate.

FIORENZA. - Siete un ragazzo insopportabile. 

GASTONE. - Giuratelo.

FIORENZA. - Lo giuro.

GASTONE. - Allora me ne vado io.

FIORENZA. - E fatevi bello. So che abbiamo a pranzo Marta Reguault.

GASTONE. - In tal caso è mio fratello che deve farsi bello!

FIORENZA. - Ma dov'è Roberto?

GASTONE. - A Parigi, da stamattina.

FIORENZA. - Trovo che ci va un po' troppo spesso, a Parigi.

GASTONE. - Sareste, forse, diventata gelosa?

FIORENZA. - Sareste, forse, diventato pazzo?

GASTONE. - Non tanto... Ehi ci sono dei sintomi che non ingannano... Appena parlate di Roberto - del nostro giovane e caro duca come dice Regnault - la vostra voce si spegne e i vostri occhi si accendono.

FIORENZA. - Vi proibisco di dire delle sciocchezze!

GASTONE. - Perché vi arrabbiate così, perfida Albione?

FIORENZA. - Perché detesto le insinuazioni... Il giorno in cui ci sarà qualche cosa d'ufficiale fra me e Roberto, o fra me e voi, o tra me e qualunque altro, sarò la prima a dirlo, forte, a tutti... Non dimenticate che la più grande perfidia d'Albione è la franchezza.

GASTONE. – Già! La franchezza di ciò che è ufficiale... Ma ciò che non lo è?

FIORENZA. - Quel che non è ufficiale non esiste... Ma perché siete così geloso di vostro fratello?

GASTONE. - Perché lo amate.

FIORENZA. - Non voglio sentire una parola di più.

GASTONE - (trattenendola) Aspettate... e siate franca anche per ciò che non è ufficiale... Sentiamo: se non siete innamorata di Roberto, perché mi proibite di piacervi? Aspettate... Se non avete una vera ragione perché allargate, insensibilmente ma continuamente, la distanza che vi è piaciuta di stabilire tra noialtri due...  Sentiamo... Vi conosco abbastanza per essere sicuro che non è né il titolo né la ricchezza di mio fratello che vi spingono verso di lui.

FIORENZA. - Grazie della buona opinione...

GASTONE. - Allora perché, tutto a lui e niente a me? Essere il « minore » non è mica un delitto di cui mi si possa rendere responsabile.

FIORENZA. - Ecco la vostra mania di persecuzione che...

GASTONE. - Ma no; non mi si perseguita; mi si dimentica: è peggio.

FIORENZA. - Siete voi che dimenticate, spesso, che vostra madre, cioè la più alta autorità della casa, non vede che voi, non ama che voi, ciecamente...

GASTONE. - Mamma sì, ma gli altri... tutti gli altri? non vanno, forse, pazzi per Roberto?

FIORENZA. - Cominciando da voi stesso.

GASTONE. - Cominciando da me stesso... lo so... Sono felice di essere suo fratello e orgoglioso di essere suo amico Perché non credo che esista al mondo un essere più delicato e più forte, più buono e più seducente.

FIORENZA - (con slancio involontario) Non è vero?

GASTONE. - Vedete?

FIORENZA. - Ma...

GASTONE. - Ve ne prego, Fio’, parlatemi lealmente: ditemi che gli volete bene... ditemelo ora, subito... Forse sono ancora In tempo di trovare la forza di rassegnazione di cui ho bisogno... Non continuate questo giuoco pericoloso! non capite che se vi so, se vi sento libera, non potrò resistere, un giorno o l'altro, al desiderio pazzo di gridarvi che vi...

FIORENZA. - Non voglio.

GASTONE. - Allora ditemi che...

FIORENZA. - Non posso... (Fugge rapidamente)

GASTONE. - Ascoltate, Fio’... vi prego... (La insegue)

(Gerardo entra e ferma la sua corsa.)

SCENA SECONDA.

GASTONE - GERARDO.

GERARDO. - Cercavo di lei, signor conte, per dirle che il signor duca non è ancora arrivato.

GASTONE. - Ne sono dispiacente, ma non ci posso proprio nulla.

GERARDO. - E se non arrivasse neanche per il pranzo?

GASTONE. - Il pranzo sarebbe poco divertente. Ecco tutto.

GERARDO. - Se il signor conte mi autorizza, quando saranno a tavola, io verrò a dirle che il signor duca lo desidera al telefono.

GASTONE. - Ci siamo serviti dello stesso espediente a colazione. Bisognerebbe cambiare.

GERARDO. Se il signor conte ha un'idea...

GASTONE. - Non in questo momento... Del resto può ancora giungere in tempo... Siamo lontani dal pranzo. Preparategli, intanto, il necessario perché possa cambiarsi subito.

GERARDO. - Tutto è pronto.

GASTONE. - Allora aspettiamo.

GERARDO. - Aspettiamo, signor conte. (Esce).

 (Gastone torna alla poltrona e vi si getta con visibile cattivo umore.)

SCENA TERZA.

GASTONE - LA CONTESSA - LUMB - GERARDO.

LA CONTESSA - (entra appoggiata al braccio di Lumb. Si fermano alla balaustrata a guardare il parco.) Ecco là i dieci faggi giganti di cui vi parlavo... quelli in gruppo, che nascondono, male, la vecchia nudità di quella Diana cacciatrice…

LUMB. - Sono magnifici

LA CONTESSA. - E hanno esattamente la mia età...

LUMB. -  La vostra età, forse ma non il vostro spirito.

LA CONTESSA. - Non lo dite, buon amico, non lo dite... Sono loro che hanno lo spinto di non invecchiare pur vivendo lungamente... E guardate come sono diritti, fini, flessibili, eleganti! E se li vedeste da vicino: non una ruga... Fortunati alberi!... Ingrandiscono... io mi raggomitolo... vanno verso il cielo; io me ne ritorno alla terra... A misura che il loro fogliame aumenta, diventano più belli e più benefici; a misura che la mia persona diminuisce, divento più brutta e più insopportabile...

LUMB. - Vi calunniate, contessa.

LA CONTESSA. - Non c'è pericolo!... Lascio questa fatica agli altri... Davvero: mi sento diventare egoista, sorda, ghiotta e terribilmente inutile... Che umiliazione!... Già! La vecchiaia non è altro che un'umiliazione progressiva. Che fortuna essere albero. Sapete qual'è' la donna che ho sempre invidiato di più? È Dafne, che sfuggendo l'uomo si trasformò in lauro! E ora andiamo a sederci, mio caro Lumb. Le mie gambe non ne possono più... E hanno ragione, poverette I Sono settantotto anni che mi portano per il mondo! Cielo!... credo di avervi rivelata la mia età...

LUMB. - Lo spirito è immortale

LA CONTESSA. - Felice lui!... (Vedendo Gastone.) Oh!... Che cosa mediti così gravemente, tu?

GASTONE. - Niente, nonna. Leggevo.

LA CONTESSA. - Sul ricamo?

LUMB. - Che cosa avete ucciso di bello, oggi?

GASTONE. - Una farfalla.

LA CONTESSA. - Con una fucilata?... Complimenti!... E Roberto? È tornato, finalmente?

GASTONE. - Non ancora, nonna.

LA CONTESSA. - Inverosimile!  Incredibile!... Oh! Parigi! Che mostro seducente e temibile.. Sapreste dirmi, caro Lumb, perché le grandi città esistono e qual è il loro vero scopo?

LUMB. - Sì, contessa; il vero scopo di una grande città è quello di farci rimpiangere la campagna.

LA CONTESSA. - Proprio così! Thackeray, quell'indiavolato giornalista inglese ch'era di moda a Parigi nel '60, mi diceva, un giorno, parlando dì Londra: « è una città vasta, agitata e monotona, dove il sole pare la luna e la luna un formaggio d'Olanda ». Aveva ragione. Nelle grandi città tutto, si trasforma, tutto si deforma, anche il sole, anche la luna. Sono delle agglomerazioni, malsane e inutili... proprio inutili! Perché, se, per esempio, Londra non esistesse, voi non sareste costretto di lasciarci per andare ad occuparvi dei vostri noiosi affari; e, se Parigi non esistesse, Roberto non sarebbe mancato a colazione e non starebbe per mancare anche a pranzo...

LUMB. - Contessa, bisogna sopprimere Londra e Parigi.

LA CONTESSA. - Ci penseremo seriamente perché non voglio che quel ragazzo divenni un.bugiardo... Ho un sacrosanto orrore della bugia... qualunque essa sia… Sentiamo, Gastone, che cosa ti ha detto per telefono, mentre eravamo a colazione?

GASTONE. - Nonna...

LA CONTESSA. - E bada di non dirmi delle bugie, anche tu.

GASTONE. - Nonna: Roberto non mi ha telefonato...

LA CONTESSA. - Come, non ti ha telefonato?... Allora tu... lo hai fatto per... Hai detto quella bugia per... Vieni a darmi un bacio. Bravo!

GASTONE. - Ma se non viene a pranzo, non so proprio che cosa dire a mamma.

LA CONTESSA. - Già!... È grave!... Cerchiamo. Aiutateci, lord Lumb.

LUMB. - A cercare urta bugia?

LA CONTESSA. - Ma che bugia!... Si tratta di una piccola invenzione.

GERARDO - (da sinistra) Il signor Regnault e la signorina Regnault.

LA CONTESSA. - Di già? Mia figlia non è ancora discesa?

GERARDO. -  Non ancora, signora contessa.

LA CONTESSA. - Allora, fate passare qui il signor Regnault.

(Gerardo esce.)

GASTONE. - Permettete, nonna, che vada a cambiarmi?

LA CONTESSA. - Spicciati. Bisogna trovare qualche cosa per evitare a Roberto l'uragano.

GASTONE. - Torno subito.

(Esce.)

LA CONTESSA. - Ragazzi! Ragazzi! (A Lumb.) Conoscete Regnault?

LUMB. - Non ho questo piacere.

LA CONTESSA. - Lo avrete; ed è proprio un piacere perché è un vero tipo, questo notaio che incontravo, spesso, nelle commedie del mio tempo. Conoscerete il notaio del Gotha francese... Nientemeno! È la sua mania, il suo snobismo professionale... Ed è divertente Perché è proprio ereditario: il padre di questo qui era ancora, più intransigente nella scelta della clientela Lo studio Regnault è un oceano di sangue azzurro... e da circa due secoli questi Regnault sono i depositari di tanti segreti intimi, di tanti misteri più o meno confessabili, di tante storie d'alcova, che sono condannati al silenzio per non tradire nessuno; io lo tormento sempre ma non mi è mai riuscito di farlo cadere in una indiscrezione...

LUMB. - Credo che mia figlia mi abbia parlato della signorina Regnault.

LA CONTESSA. - Tale il padre, tale la figlia. Marta, che per la professione e la situazione di suo padre si è fatta un posticino simpatico nel nostro mondo, resterà zitella, vista l'impossibilità di sposare, per ora, l'erede di un trono di prima classe.

LUMB. - Sono molto umiliato, contessa, del mio modesto titolo di lord.

LA CONTESSA. - E foste anche dieci volte più milionario, sarebbe inutile. Marta Regnault vuole una corona, foss'anco di spine...

SCENA QUARTA.

LA CONTESSA - LUMB - MARTA - REGNAULT - FIORENZA.

LA CONTESSA. – (a Regnault che entra seguito da sua figlia.) Caro Regnault... E così?... Come si conducono i vostri settantacinque guai?

REGNAULT - (baciandole la mano.) Sessantacinque, contessa, sessantacinque.

LA CONTESSA. - È vero... bambino! Scusatemi! Confondo con vostro padre ch'ebbe, sempre, settantacinque anni... Come stai, Marta?

MARTA -  (gran riverenza.) Contessa…

LA CONTESSA. - Delizioso il tuo cappellino.

MARTA. - È la principessa Natalia che me lo ha ceduto.

LA CONTESSA. - E ha fatto bene... Quel cappellino doveva stare sul suo testone come una sella da corsa a un elefante... Lord Lumb, vi presento il mio vecchio amico Regnault, o la cassaforte degli scandali, come lo chiamo io... Marta: lord Lumb.

MARTA. - Ho avuto il piacere d'incontrare qui miss Lumb... un essere tutto grazia e distinzione... Del resto, per la distinzione non ci sono che le inglesi...

LA CONTESSA. - Grazie per noialtre, cara!... È vero, Regnault, che mia cugina di Sàint-Servan un po' ammalata si è ritirata in Poitou? È per malattia o per miseria?...

REGNAULT. - Il Poitou! Bella regione, contessa!... Bella, ma un po' umida. (A Lumb.) Ai vostri compatrioti, lord, piaceva molto il Poitou e ce lo presero spesso.

LA CONTESSA - E della vostra salute, Regnault, il segreto professionale vi permette di parlare?

REGNAULT. - Non mi lagno contessa. Voi conoscete la mia unica preghiera: “Dio mio, preservami dai dolori fisici, che degli altri me ne incarico io”. La formula è eccellente... Ma non potrei aver l'onore di presentare i miei umili omaggi alla duchessa?

MARTA. - E Roberto?

REGNAULT. - Già!... Il nostro giovane e caro duca sta bene?

LA CONTESSA. - Suo fratello anche. Grazie.

FIORENZA  - (in toilette da pranzo.) Il giovane e caro duca è rientrato poco fa.

LA CONTESSA. - Meno male.

MARTA -  (a Fiorenza.) Sono tanto felice di rivedervi, signorina.

FIORENZA. - Anch'io, signorina... Il vostro vestito è graziosissimo.

LA CONTESSA. - Che principessa te lo ha ceduto?

MARTA. - E un modello fatto per la marchesa Ornano.

LA CONTESSA. - Quel mostro!... Ha finalmente ottenuto il divorzio, Regnault...

REGNAULT. - Che tremenda calamità epidemica il divorzio. (A Lumb.) So di un presidente di tribunale inglese che, prima di cominciare qualunque dibattito di divorzio, pronuncia sempre queste parole: « Le donne oneste che sono nell'aula sono pregate di ritirarsi ». Nessuna si muove, naturalmente; allora il presidente aggiunge: « Guardie: fate uscire le altre ». Quel magistrato è un moralista...

LA CONTESSA. - E voi un seccatore con la vostra discrezione.

MARTA. - Permettete, contessa, che miss Fio’ ed io andiamo a vedere i cigni dello stagno. Adoro i cigni: sono i grandi signori, i principi dell'acqua.

LA CONTESSA. - Allora scommetto che sposi un cigno. (A Lumb) Volete che accompagniamo queste ragazze?

LUMB. - Certamente, contessa.

LA CONTESSA. - Andiamo, Regnault. (Si avvia verso il fondo tra Lumb e Regnault.) Non vi pare, Regnault, che per la bianchezza e la stupidità, un cigno somiglia molto alla vostra cliente, la marchesa di Latour?...

REGNAULT. - Nello stemma dei Latour c'è un falco e non un cigno, contessa... Anzi credo... (Scendono al parco)

SCENA QUINTA.

ROBERTO - GASTONE (tutti e due in marsina).

GASTONE - (venendo da sinistra, a Roberto che entra da destra.) Finalmente!

ROBERTO. - Era tempo, eh!

GASTONE. Che cos'è accaduto?

ROBERTO. - Niente.

GASTONE. - Figurati che mamma, nella speranza di vederti arrivare da un momento all'altro, ha ritardato di quasi un'ora la colazione, non ostante otto invitati tra i quali c'era anche l'arcivescovo.

ROBERTO. - Brr!... Allora non sarà un acquazzone ma il diluvio in persona.

GASTONE. - No. L'uragano non scoppierà.

ROBERTO. - Perché?

GASTONE. - Ho detto alla mamma che ti avevo incaricato di tante commissioni, che ero il solo colpevole dei tuoi ritardi... E poi c'è stato di meglio: nel bel mezzo della colazione, Gerardo, serissimo, è venuto a dirmi che mi volevi al telefono. Mi alzo; corro; non era vero. Avrei abbracciato Gerardo, per la sua trovata. Tornato a tavola, l'ho inondata delle tue scuse, della tua desolazione... e tutto è andato bene.

ROBERTO. - Grazie della tua generosità... e di quella del domestico...

GASTONE. - Oh! generosità... Ho fatto quel che avresti fatto tu...

ROBERTO. - Certamente: ma il risultato non sarebbe stato lo stesso. Viviamo sotto dei regimi materni differenti, mio caro Gastone... e il tuo è molto più dolce.

GASTONE. - Sai che non è colpa mia.

ROBERTO. - E tu sai che sono a centomila miglia dal pensarlo... Del resto, non accuso nessuno... Il mio signor destino ha deciso che sia così... e così sia... non ne parliamo più... Dove sono le signore?

GASTONE. - Sono andate allo stagno, meno la mamma che, subito dopo la colazione, si è rinchiusa in camera sua...

ROBERTO. - Dev'essere occupata a cercare nel suo repertorio di locuzioni amare quelle colle quali mi sferzerà fra poco...

GASTONE. - Sei ingiusto... mamma è seccata di questi tuoi viaggi quotidiani a Parigi... E già che ne parliamo, senti: nessuno, qui, ha il diritto d'interrogarti; ma perché non dici a me quello che hai?... Perché diventi ogni giorno più nervoso, più irritabile, più pallido?

ROBERTO. - Ci tieni davvero? Allora, eccoti il terribile  segreto del mio pallore: ho fame! E poiché Gerardo è nostro complice, andiamo a dirgli di suonare anche se non è l'ora esatta.

GASTONE. - Come vuoi. Ti chiedo scusa di averti seccato con le mie domande.

ROBERTO. - Eh via!... non farmi quella faccia... E credimi: ci sono delle cose di cui è meglio non parlare.

GASTONE. - Tu hai un dispiacere che ti tormenta.

ROBERTO. - Non esageriamo.

GASTONE. - Dimmi che cos'hai...

ROBERTO. - Ma non potrei dirti niente di preciso... forse un po' di nevrastenia...

GASTONE. - Una donna?

ROBERTO. - Potrebbe anche darsi.

GASTONE. - Fiorenza... ma Fiorenza ti...

ROBERTO. - No. Una donna anche più bella: la più bella di tutte.

GASTONE. – Mamma.

ROBERTO. - Mamma.

GASTONE. - Lo sapevo.

ROBERTO. - Per forza! Non mi riesce più di nascondere questo rodimento... e scappo per non farlo troppo vedere... Ecco la ragione dei miei viaggi.

GASTONE. - Ma bisogna reagire, e subito...

ROBERTO. - Come?... Con quali mezzi?... Per reagire, per vincere questo abbattimento corrosivo, ci vorrebbe una robustezza morale che non ho, che non avresti neanche tu... Perché noialtri abbiamo tutto, ma la volontà no. E sai perché? Perché noialtri, dalla balia in poi, abbiamo vissuto sempre con delle donne: la nonna, la mamma, le zie, le sorelle, le amiche, le figlie... Sempre, graziosamente, inesorabilmente, delle donne intorno a noi... In casa nostra gli uomini non sono stati che dei passanti... Gli amici: dei passanti indifferenti... I mariti delle nostre sorelle: dei passanti interessati... Gli amministratori, gl'impiegati, i servitori: dei passanti ostili..,. Nostro padre stesso: un passante intimo. E così, da che siamo al mondo, la nostra famiglia, la nostra casa mancano di colonna vertebrale. È stato, è, e sarà il nostro grande guaio, mio povero fratellino.

GASTONE.  - Forse hai ragione.

ROBERTO. - Sopprimi pure il « forse ».

GASTONE. - Ma il più grande dei guai è la tua immaginazione; credi; Perché tu pensi a delle cose che non esistono: mamma ti vuol bene.

ROBERTO. – Oh!

GASTONE. - Sì; in fondo ti vuol bene.

ROBERTO. - Allora il suo bene è tanto in fondo che non ho la speranza di arrivarci mai.

GASTONE. - Io ne sono convinto...

ROBERTO. - Proprio convinto? Ma allora tu puoi guarire il mio male con una parola sola: giurami che sei convinto che mamma mi vuol bene...

GASTONE. - Ti dico...

ROBERTO. - Non dire: giura. (Gastone tace.) Lo vedi?... Già! Dubito dell'unico sentimento del quale gli uomini non hanno ancora trovato il modo di dubitare... E questo dubbio, di cui tu non saprai mai l'amarezza, è la mia nevrastenia, la mia disgrazia, la mia umiliazione. E... Perché?... Perché? È forse colpa mia se una legge di cui non sono responsabile mi ha fatto erede di un grande titolo e di un grande patrimonio? Ma che, forse, non metto al di sopra del titolo, della ricchezza, dei diritti e delle prerogative, la mia amicizia e la mia tenerezza per te?...

GASTONE. - Lo so e te ne rin...

ROBERTO. - Tu lo sai; ma mamma non vuol saperlo... Del resto, mamma non è neanche sicura ch'io le voglia bene... No! no!... Non vuol esserne sicura! Eppure! (Tace; va fino alla balaustrata come per assicurarsi che nessuno può ascoltarlo. Torna, più eccitato e più commosso.) Eppure tu non sai, nessuno sa la mia passione per lei. Proprio passione!... Non c'è altra parola per definire questo sentimento tanto completo, tanto perfetto e tanto puro... Amo mamma come un uomo nel quale c'è un figlio, un amico, un marito, un padre, uno schiavo e un fanatico!... Capisci? E l'amo, anche, come un artista deve amare un capolavoro; perché vedo in mamma il capolavoro della donna; la donna nella sua più bella espressione... Dalla morte di nostro padre, cioè da vent’anni, mamma ha fatto del suo dolore una bellezza di più... Si è abituata al peso di questa disgrazia, come una regina a quello della corona: e ne è come illuminata... e sono tanto fiero di lei che non vorrei esser nato se non fossi nato da lei... E mi ricordo dei miei anni passati come di altrettante feste. Mi ricordo, una a una, delle sue carezze, delle sue parole; mi ricordo dei suoi baci come se ognuno avesse stampato una data di gioia sul mio viso... Mi ricordo di tutto l'amore di mamma e non posso, non voglio farne a meno. Non voglio che mi se ne privi... Capisci? Non ho fatto niente perché mi se ne privi... E allora perché? Perché?... Se lo sai, spiegami, dimmi... Che cosa ho fatto? Che delitto ho commesso?

GASTONE. - Ti prego, Roberto, calmati... Può venire qualcuno. Calmati!

ROBERTO. - Hai ragione... E ridicolo!... Sai: non parlo mai con nessuno di questa pena che mi ha preso alla gola e mi ha fatto urlare: scusami!... Eccomi calmo. Ma che peccato, Gastone, che peccato!... Noi abbiamo tutto per essere buoni e felici, e quelli che ci circondano e ci amano di più, fanno quanto possono per creare degli antagonismi stupidi... Mamma ti adora ciecamente, e a volte ti lamenti di non sentirti vicino altre simpatie ed altri affetti... Quest'altre simpatie e quest'altri affetti li ho tutti, io, tutti... e soffro di non sentirmi più vicino alla mamma... Che sciocchezze atroci!

GASTONE. - Cerca di non inasprirti di più... Sarà meglio... Appena avrai cambiato vita...

ROBERTO. - Cambiata... come?

GASTONE. - Fiorenza ti...

ROBERTO. - Stai zitto... e senti bene: finché non saprò il perché di questo brusco cambiamento di mamma a mio riguardo, non farò niente, non organizzerò niente, non penserò a niente. Voglio sapere.

GASTONE. - Ma sei pazzo!

ROBERTO. - No; e voglio sapere per non diventarlo... Tu potresti, forse, credere, che l'avversione di mamma non sia che un fenomeno istintivo? Andiamo!... Una madre può preferire uno dei suoi figli senza, per questo, odiare l'altro.

GASTONE. - Ora bestemmi: mamma non ti odia.

ROBERTO. - Non ancora...

GASTONE. - Mai...

ROBERTO. - Sì; mamma è diventata la nemica per me; la nemica della mia vita, della mia felicità, del mio avvenire... Perché?... Lo sai, tu?... No... Neanche io; ma io voglio sapere... e saprò... Non so quando, non so come, ma saprò... E siccome la mia vita, così, è poco divertente, la darei con entusiasmo per sapere... Capisci? Sono tanto disgraziato che darei la vita per sapere Perché lo sono e... (Voltandosi vede Marta che da un momento è salita dal parco ed è rimasta alla balaustrata.) Oh!... Marta...

SCENA SESTA.

ROBERTO - GASTONE - MARTA.

MARTA. - Cercavo... di voi Gastone; vostra nonna vuol parlarvi.

GASTONE. - Dov'è?

MARTA. - Al di là dello stagno, con gli altri...

GASTONE. - Vado. A subito.

(Esce in fretta.)

MARTA. - Non credete mica che fossi qui per ascoltarvi?

ROBERTO. - Che idea!

MARTA. - Sono, proprio, venuta a cercare Gastone, e anche per vedere se vostra madre fosse discesa: non l'ho ancora salutata.

ROBERTO. - Ma sono inutili tutte queste spiegazioni.

MARTA. - È così stupido quanto mi è accaduto! È così ridicolo... Sembravate così eccitato di quanto dicevate, che non ho osato interrompervi... Vi chiedo scusa.

ROBERTO. - Ma basta, Marta... Basta.

MARTA. - Vi giuro che non ho udito che le vostre ultime parole.

ROBERTO. Interessanti, eh?

MARTA. - Gravi.

ROBERTO. - È scherzando che si dicono, a volte, le cose più gravi...

MARTA. - Scherzavate?

ROBERTO. - Sì... scherzavo.

MARTA. - Non vi domando niente: è dunque inutile che mi diciate ciò che non è... Non avevate la voce né l'attitudine di uno che scherza... Ma per quelle poche parole udite, potete stare tranquillo; sono discreta, non soltanto per natura, ma per tradizione, per mestiere potrei dire... e mio padre non ha esitato a lare di me la sua unica confidente: e, lo sapete, mio padre è una tomba!

ROBERTO. - Di cui voi siete la bella statua...

MARTA. - E poiché sono la vostra amica da che siete al inondo... Perché sono più vecchia di voi...

ROBERTO. - Questo non può essere...  c'è errore.

MARTA. - Parecchio più vecchia: vi ho tenuto sulle ginocchia!

ROBERTO. - Volete che vi prenda sulle mie, per sdebitarmi?

MARTA. - Datemi una buona stretta di mano per provarmi che siete perfettamente sicuro di me!

ROBERTO. Che voce solenne!

MARTA. E che mano gelata!

ROBERTO. - Ma è una mania! Gastone mi ha trovato pallido; voi mi trovate gelato... Io incomincio a sentirmi cadaverico... Basta!... cambiamo discorso... Sapete se vostro padre deve parlare con mamma, stasera?

MARTA. - Credo; perché?

ROBERTO. - Perché anch'io ho bisogno di parlare con vostro padre...

MARTA. - Glielo dirò. E così avremo tre colloqui di affari nella serata... Perché vostra nonna non ha mancato di chiederne uno anche lei. Divertentissimo!... Oh! non me ne lagno mica, Perché sono sempre gli affari che mi valgono il grande onore di pranzare al castello

ROBERTO. - Ecco una delle vostre piccole crisi!... Vi ho sempre detto che voi avete un dente di troppo: quello dell'ingiustizia... Dovreste decidervi a farvelo strappare... Sapete bene che tutti vi amano qui.

MARTA. - Anche voi?

ROBERTO. Io prima di tutti.

MARTA. - Mi amate come una vecchia amica...

ROBERTO. - Come una bella amica: la più bella di tutte...

MARTA. - Dopo Fiorenza Lumb, ben inteso...

ROBERTO. – Oh! Oh! Questa non è più ingiustizia, ma gelosia...

MARTA. - Il che, per voi, sarebbe perfettamente lo stesso.

ROBERTO. - Sapete che siete molto strana in questo momento?

MARTA. - Ci sono dunque dei momenti nei quali una donna non è strana?

ROBERTO. - Sì; quelli in cui dormendo sogna d'essere semplice.

MARTA. - Allora mettiamo che io dorma e che sogni di domandarvi una cosa alla quale voi rispondete francamente. Volete?

ROBERTO. - Pare che non si debba contraddire i sonnambuli. Avanti: domandate!

MARTA. - Amate Fiorenza?

ROBERTO. - Quella dei Medici?

MARTA. - Quella dei Lumb.

ROBERTO. - La ammiro.

MARTA. - S'incomincia sempre così: ammirazione.

ROBERTO. - Piacere d'ammirazione.

MARTA. - Speranza.

ROBERTO. - Desiderio.

MARTA. - Amore.

ROBERTO. - Passione.

MARTA. - Matrimonio.

ROBERTO. - No. Io sopprimo l'ultima fase che sciupa le altre.

MARTA. - Eppure è, delle altre, la conseguenza logica.

ROBERTO. - È per questo che la sopprimo. Detesto la logica, e siccome: nascita, matrimonio e morte, sono la santissima trinità delle cose logiche della vita, sopprimo quella che posso: il matrimonio.

MARTA. - Non dite sciocchezze: prenderete moglie come gli altri.

ROBERTO. - Né come gli altri, né per gli altri. Lo giuro.

MARTA. - E se per combinazione, un giorno, una bella ragazza molto ricca, molto distinta, s'innamorasse di voi e ve lo facesse capire e, magari, anche, ve lo dicesse... che cosa fareste?

ROBERTO. - Cambierei di colore… Diventerei rosso, color violenza. Mi ricorderei che i miei antenati furono dei soldati, degli avventurieri, dei predatori... Allora, probabilmente, la violenza atavica mi salirebbe alla testa, m'infiammerebbe il sangue, mi scombussolerebbe i sensi... e la bella ragazza con tutto il suo denaro e tutta la sua distinzione, passerebbe, perdinci, un quarto d'ora un po'agitato.

MARTA. - E dopo?

ROBERTO. - Dopo, come al solito: pentimento, vergogna, rimorso...

MARTA. - E niente matrimonio?

ROBERTO. – Mai!

MARTA. - Vi ringrazio.

ROBERTO. - Perché?

MARTA - Perché... se, un altro giorno, un'altra ragazza, meno bella è meno ricca di Fiorenza Lumb, ma più cosciente, più donna... fosse presa dalla pazzia irresistibile di dirvi che vi adora, voi non potreste dubitare del suo disinteresse poiché ella sa che non sposerete mai...

ROBERTO. - Ma... sapete che mi raccontate delle cose proprio fantastiche?

MARTA. - Meno fantastiche di quelle che racconto a me stessa... troppo spesso... disgraziatamente...

ROBERTO. - Volete promettermi, immediatamente, di non commettere mai questa pazzia?

MARTA. - Non prometto niente.

ROBERTO. - Voglio un'altra stretta di mano, seria, amichevole.

MARTA. - No.

ROBERTO. - Allora... arrivederci a tavola...

MARTA. -. Roberto!

ROBERTO. - A tavola... e mi raccomando... non urli, non lacrime... non si usa, qui...

MARTA. - Non mi umiliate... siate buono!... Siate indulgente... Sapete che sono una volontaria, quasi un'impavida della vita... non umiliatemi... Vi giuro che ho combattuto questo sentimento come si combatte il più pericoloso dei nemici!... E in questo combattimento, che dura da anni, ho visto cadere, poco a poco, la mia volontà, la mia intelligenza, la mia fierezza... tutto... Sono una vinta, ora... Dunque non fatemi sentire che sono spaventosamente ridicola...

ROBERTO. - Ma sbagliate!... sbagliate... Io solo sono ridicolo in questo momento!... Io solo!... Nel caso in cui mi avete messo non si può essere che troppo umani o troppo biblici: don Giovanni o don Giuseppe... Per voi, non voglio essere né l'uno né l'altro.

MARTA. - Avete ragione... Oh! Naturalmente! Voi non siete che intelligenza e sangue freddo... Quando si è così, si ha sempre  ragione... Ma per lo meno, voglio che sappiate che non esigo niente, che non domando niente...

ROBERTO. - Ed io ve lo concedo volentieri... E ora...

MARTA. - Aspettate... Se potessi dirvi, almeno, una volta la parola ch'è diventata come l'idea fissa della mia vita... Se potessi, mi sembra che sarei un po' guarita... Roberto... vi...

ROBERTO. - No... Sentite: sapevo che si può svenire di spavento, di dolore o di debolezza... Ora capisco che si può svenire anche di ridicolo... Se non la smettete, Marta, sento che vi cado lungo disteso ai piedi, svenuto, fulminato di ridicolo...

MARTA. - Allora... la mia emozione... la mia franchezza, la mia pazzia... non hanno toccato in voi che la paura di essere ridicolo? Veramente, credevo di meritare un po' più di rispetto...

ROBERTO. - Se vi dicessi che vi rispetto, mi odiereste addirittura...

MARTA. - Siete cattivo... e non sapete come avete torto...

ROBERTO. - Siete voi che avete torto di turbarmi così... E mi turbate... troppo...

MARTA. - Ti adoro!

ROBERTO - (dominandosi con supremo sforzo.) Allora... proprio, non avete paura della violenza atavica?

MARTA. - Non scherzate col mio cuore... non sapete di che cosa possa essere capace! Vi ho detto che non chiedo niente... Che voglio, soltanto, farvi capire che se un giorno qualunque voi non siete felice... io sarò con voi, pronta a tutto, contro tutti... Voglio che sappiate che vi do il mio amore per l'avvenire...

ROBERTO. - Me lo date a credito...

MARTA -  (violenta) Vi proibisco di scherzare.

ROBERTO. -  Scherzo invece...

MARTA – (violentissima.) Badate...

ROBERTO. - Scherzo... Perché è la sola attitudine ch'io possa prendere qui, in casa di mia madre di cui siete ospite e amica... Scherzo e bisogna che scherziate anche voi... che ridiate.

MARTA. - E se piangessi?

ROBERTO. - Allora vi direi molto dolcemente, e molto gravemente, ciò che si dice alle bambine: « Come sei brutta quando piangi! » E ora guardate, Marta... (Con gesto da prestigiatore.) Prendo dalla mia testa il ricordo di questo piccolo... fatto... Lo metto nella mia mano... così... La chiudo... ci soffio sopra e... uno, due, tre... La riapro... Ecco qui: vuota! Il ricordo è volato, sparito, dimenticato per sempre... Va bene così?... E non mi fate quel viso di sprezzo e di rabbia... perché rischiate di diventar brutta davvero.

MARTA - (con violenza a stento repressa.) Come volete... Sarò stata goffa... ridicola... spregevole... sì... sì... spregevole... Perché al signor duca non sarà piaciuto di prendermi sul serio...

ROBERTO. - Il signor duca prega la signorina Regnault di non dire altre enormità...

MARTA. - Eppure la signorina Regnault, la figlia del notaio della cassaforte degli scandali, è l'unica persona che potrebbe avere la chiave di... questa cassaforte...

ROBERTO. - Ora... proprio, non capisco più.

MARTA. - Ed è meglio per voi.

ROBERTO. - Che cosa avete voluto dire?

MARTA. - Non lo saprete mai... come non saprete mai quanto mi avete offesa, atrocemente, mortalmente offesa...

ROBERTO. - Voglio sapere, invece.

MARTA. - Non ci pensate nemmeno.

ROBERTO. - Voglio sapere, subito.

MARTA. - Oh!... Il signor duca perderebbe forse la sua calma?... Andiamo, via!... Sarebbe curioso che una piccola borghese dovesse darvi una lezione di forma...

ROBERTO. - Spiegate...

MARTA. - Ma che cosa?... I misteri della cassaforte?...

ROBERTO. - Sì...

MARTA. - Poco fa dicevate ch'eravate capace di dare la vita per sapere...

ROBERTO. -  Lo dicevo... lo farei...

MARTA. - La vita è troppo.

ROBERTO. - Che ribasso mi fate?

MARTA. - Non credete che sia meglio cambiar tono?

ROBERTO. - Non è più possibile... Che ribasso mi fate?

MARTA. - E sia!... Statemi a sentire: giuoco con voi in questo momento quello che ho di più alto nella testa: la mia ambizione... E quello che ho di più grande nel cuore: il mio amore...

ROBERTO. - Giochiamo.

MARTA. - Potreste perdere.

ROBERTO. - Nessuno se ne accorgerà. Avanti...

MARTA. - Detesto, odio il vostro mondo... e l'odierò finché...

ROBERTO. - Non potrete farne parte.

MARTA. - Così... L'odio Perché mi ci hanno fatto entrare quasi dalla porta di servizio... Apritemene la porta grande, quella da dove si passa senza aver bisogno di abbassare il capo... e troverò il modo, non so quale, qualunque esso sia, di sapere quanto v'interessa e vi tormenta...

ROBERTO. - (afferrandola ai polsi.) Voi sapete di già...

MARTA. - No; lasciatemi.

ROBERTO. - Sapete!... Sapete!... Avete frugato nella cassa, nella tomba... sapete.

MARTA. - Non so niente... lasciatemi... Urlo...

ROBERTO. - Urla quel che sai... subito... Te l'ordino.

MARTA. - Non ordinare, è inutile... Dammi, invece, la tua parola...

ROBERTO. - La rispetto troppo la mia parola per impegnarla con un'intrigante capace di un simile ricatto...

MARTA. - Insulta... non saprai niente, mai.

ROBERTO. - Subito saprò... Perché voglio...

MARTA. - Oh! come odio anche te, ora...

ROBERTO. - Duchessa te!... Ah!... Bisogna proprio essere la figlia di un notaio di scandali, per concepirlo...

MARTA. - Ma io so chi è mio padre... Tu non sapresti dirlo...

ROBERTO. - Che cosa?... Come avete detto?... Sciocca!... Mi accorgo che siete pazza!... L'ambizione vi ha sciupato il cervello... E ora non so... mi pare di vergognarmi di essere stato vostro amico... per tanto tempo... Me ne vergogno. Sì... Perché avete un'anima meschina, stupida... Un'avidissima anima da sgualdrina.

MARTA. - Se io ne ho l'anima... altre ne ebbero il corpo.

ROBERTO - (riprendendola più violentemente.) Ma a chi osate pensare parlando così?

MARTA. - Lo sapete...

ROBERTO. - Badate: vi strangolo!... Chiedete perdono in ginocchio.

MARTA. - Non sono di quelle che cadono in ginocchio.

ROBERTO. - Perdono... subito...

MARTA. - Ora sapete...

ROBERTO. - So che avete mentito e che vi ricaccio in gola la menzogna... Gridate che avete mentito... che mia madre...

MARTA. - Vostra madre vi odia perché voi, bastardo riconosciuto e legittimato dalla generosità del duca, usurpate titoli, onori, ricchezze, all'altro, a Gastone, al minore legittimo...

ROBERTO. – Ah! Perdio...

MARTA. - Vi odia perché siete il suo peccato e la sua vergogna...

ROBERTO. - Non è vero! Non è vero!

MARTA. - È vero... Lo so... Che io muoia se non lo so...

ROBERTO - (turandosi le orecchie.) Non è vero... non è vero...

MARTA. - Mi avete rifiutata, derisa, insultata... Peggio per voi...

ROBERTO. - Andatevene...

MARTA. - Se volete...

ROBERTO. - E voglio parlare con vostro padre... subito... dopo il pranzo.

MARTA. - Allora?

ROBERTO. - Ho perduto... ma, ve l'ho detto: son buon giocatore. Nessuno se ne accorgerà... A più tardi...

MARTA. - A più tardi.

(Esce a sinistra.)

ROBERTO - (avvilito, immobile, ripete macchinalmente.) Non è vero! Non è vero!...

SCENA SETTIMA.

ROBERTO - LA DUCHESSA ANNA.

ANNA -  (appare in alto della scalinata di destra; la scende lentamente guardando Roberto.) Sono lieta di vedervi, Roberto... È un onore che si fa sempre più raro... Ebbene? Avete forse l'intenzione di mancare anche a pranzo?

ROBERTO. No... mamma... vado... (S'incammina a sinistra.)

ANNA. - Potreste offrirmi il vostro braccio e accompagnarmi... mi sembra.

ROBERTO. - Sì, mamma... (Le offre il braccio ed escono insieme.)

CALA LA TELA.

 


ATTO SECONDO

.

Un salone da gran stile. In fondo porta che conduce a una galleria piena di quadri, di statue, di armi, di stoffe e d'ogni sorta d'oggetti d'arte. Lusso magnifico e sobrio in tutto. Porto a destra o a sinistra.

SCENA PRIMA.

ROBERTO - REGNAULT - GERARDO.

GERARDO - (serve dei liquori, a Regnault.) Champagne?

REGNAULT. - Sì... Così... Grazie.

ROBERTO. - Eravamo i due soli fumatori della tavola ed eccovi condannato, mio caro Regnault, alla mia sola compagnia per tutta la durata d'uno di quei lunghi sigari...

REGNAULT. - E io fumerò più lentamente che potrò, mio caro duca...

GERARDO   - (a Roberto) Anche il signor duca, fine Champagne?

ROBERTO. - Appena... Basta... Grazie.

REGNAULT. - Prodigioso liquore!

GERARDO. - Milleottocentododici. Cantine dell'Imperatore.

REGNAULT. - Sa di gloria, infatti...

ROBERTO. - Preferite fumare qui o che facciamo due passi in giardino?

REGNAULT. - Poiché mi fate l'onore di lasciarmi la scelta preferisco rimanere in questa incomparabile poltrona... E poi, fumare all'aperto e camminando è proprio farsi rubare, per lo meno, un quarto di sigaro dall'aria e dal movimento.

ROBERTO - Gerardo, andandovene, chiudete bene le porte perché niente del sigaro del signor Regnault vada perduto.

REGNAULT. - Il mio vecchio sibaritismo ve ne ringrazia devotamente.

GERARDO. - Il signor duca non comanda altro?

ROBERTO. - No: grazie.

(Gerardo esce.)

REGNAULT. - Marta mi ha comunicato il vostro desiderio di parlare con me, stasera.

ROBERTO. - È vero... ma voi siete in questo momento una così perfetta immagine di beatitudine che sarebbe un delitto di lesa felicità il turbarvi...

REGNAULT. - Oh! mio giovane e caro duca!... Lo confesso vergognosamente: è difficile, è quasi impossibile turbarmi!... Ho provato, a volte, di commuovermi, o, per lo meno, di sembrare commosso, e, io credereste? non mi è mai riuscito... non Ih nascondo, non potrei nasconderlo: dal punto di vista della sensibilità ho proprio quel che si può dire un carattere mancato. Ma, per ritornare alla vostra tanto cortese paura di turbare la mia beatitudine,'«avreste, per un malaugurato. caso, da dirmi qualche cosa di poco piacevole?...

ROBERTO. - Sì, mio caro Regnault: qualcosa di poco piacevole e di molto penoso..

REGNAULT. – Oh! Quanto me ne dispiace... per voi... Ne sono veramente afflitto... E, vediamo: giudicate,  proprio,  indispensabile il dirmelo?...

ROBERTO. - Irrimediabile...

REGNAULT. - Allora non esitate: ciò che è irrimediabile diviene indifferente per me. Vi ascolto.

ROBERTO. - Ecco qui... Ancora un po' di cognac?

REGNAULT. - Sempre. (Roberto lo serve.) Che trasparenza! Che colore! Si direbbe un'essenza di sole... (Beve a piccolissimi sorsi.) Dunque: si tratta...

ROBERTO. - Di pregare la signorina vostra figlia d'interrompere le sue visite.. e vi prego di credere...

REGNAULT. - Credo, signor duca, credo... Credo, per dovere, per abitudine, per l'economia del mio mestiere: credo... ma... non potrei sapere la ragione di tanta severità?

ROBERTO. - Non da me.

REGNAULT. - Ah! Allora, condanna senza processo... Ne deduco che questa ragione dev'essere grave...

ROBERTO - Lo è.

REGNAULT. - E intima.

ROBERTO. - Vostra figlia potrà, sé lo vuole, informarvene.

REGNAULT. - No prendo atto. Ora, per regolare la mia condotta coi vostri... posso domandarvi se la duchessa e la contessa, sanno e approvano questa espulsione?

ROBERTO. - Esagerate.

REGNAULT. - Affatto... per mancanza da tempo e d'immaginazione... Da che siete al mondo e per l'onore che ho avuto di occuparmi degli affari di casa vostra, Marta è sfiata, sempre, affettuosamente accolta qui. A un tratto la si colpisce d'interdizione, senza appello, a quanto pare... Mi sonò permesso di chiamare ciò un'espulsione. Non ho esagerato: è un'espulsione... Del resto la parola non diminuisce né aumenta l'importanza del fatto; e in quanto al fatto...

ROBERTO. - Vi pregherei, Regnault, di trovare voi stesso il pretesto per giustificarlo agli occhi della mamma e della nonna...

REGNAULT. - Non sarà difficile: un viaggio.

ROBERTO. - Troppo classico

REGNAULT. - Un pretesto non è che una verità apparente e non è ^rigorosamente necessario ch'esso sia creduto... Ma se lo preferite, siccome siamo ih un periodo di grande attività giudiziaria, potrò invocare l'assorbente lavoro dello studio...

ROBERTO. - Al quale, vostra figlia prende molto interesse, credo.

REGNAULT. - Sì... Ed è spesso di una così grande chiaroveggenza e di una così sorprendente precisione di consiglio nelle più intricate e ardue questioni, che ho finito per fare dì lei il mio vero e unico luogotenente...

ROBERTO. - Volete permettermi, mio caro Regnault, di mettere la vostra impassibilità a un'altra prova?

REGNAULT. - La mia impassibilità ne sarà onoratissima.

ROBERTO. - La prova è dura.

REGNAULT. - L'onore sarà più grande.

ROBERTO. - Siete perfetto.

REGNAULT. - Non si potrebbe essere altrimenti in così perfetta compagnia.

ROBERTO. - Un'altra goccia di... sole...

REGNAULT. - Volentieri.

ROBERTO - (servendo il cognac) Tutte le carte di casa mia, atti di nascita, dì successione, di vendita, contratti matrimoniali, testamenti, dichiarazioni e lettere sono nel vostro studio da circa un secolo, credo.

REGNAULT. - Di più. Vostro bisnonno, Uberto di Nièvres, entrò in relazione collo studio Regnault, nel 1792, sotto la prima repubblica.

ROBERTO. - Mi dispiace, caro Regnault, che tutti quei documenti, ufficiali o intimi, siano in uno studio diretto da una donna.

REGNAULT. - È mia figlia, signor duca.

ROBERTO. - È una donna, signor Regnault.

REGNAULT. - Nella quale ho una fede assoluta...

ROBERTO. - È il vostro torto.

REGNAULT - (dopo un silenzio.) Mi avreste già fatto l'onore di darmi un successore?

ROBERTO. - Non ancora.

REGNAULT - (altro silenzio.) Se non sbaglio... credo di avere la stessa marca di Avana allo studio. (Raccoglie per terra l'anello del suo sigaro.) Esattamente: « Grande aguila » Volete farmi l'onore, signor duca, di venire a fumare un sigaro da me?

ROBERTO. - Domani stesso, mio caro Regnault... E lasciatemi dirvi che sotto quella prima repubblica di titani di cui parlavate, avreste, forse, trovato un carattere degno del vostro... Sotto questa qui non dovete temere nessuna concorrenza. I miei più grandi complimenti.

REGNAULT. - Si fa quel che si può, signor duca.

SCENA SECONDA.

ROBERTO - REGNAULT - MARTA.

MARTA - (venendo da sinistra) Papà... Oh... Che fumo!...

REGNAULT. - Che c'è?

MARTA. - La duchessa vorrebbe sapere a che punto sei del tuo sigaro.

R EGNAULT. - Guarda! ancora due o tre centimetri di piacere.

MARTA. - Posso dirle che sarai, tra poco, a sua disposizione?

REGNAULT. - Come sempre... cioè, ascolta: …credo di non sentirmi bene.

MARTA. - Tu? (Guarda Roberto.) E che cosa credi di avere?

REGNAULT. - Dev'essere ciò che, comunemente, si chiama emicrania… emi, mezzo; kranion, cranio... Secondo il greco ho male a una metà del mio cranio.

MARTA. - È straordinario!

REGNAULT. - Perché? Dal momento che ho una testa è logico che abbia anche un cranio.

MARTA. - Voglio dire che è la prima volta che ti accade.

REGNAULT. - Quando morrò, figlia mia, sarà la prima volta che mi accadrà... Eppure morrò lo stesso.

MARTA. Vuoi andartene...

REGNAULT. Sì; prega dunque la duchessa...

MARTA. - Come vuoi...

REGNAULT. - Ti seguo... - Caro duca... - Dove ho lasciato... il mio portafogli? (Va in fondo a cercarlo.)

MARTA - (a Roberto, piano rapidamente.) Ero pazza; non ho detto che delle pazzie... Perdonatemi... (Gli stende la ninno che Roberto non prende.)

REGNAULT - (ha visto il rifiuto di Roberto.) Se le cinque fosse per voi un'ora comoda...

ROBERTO. - Stavo per proporvela...

SCENA TERZA.

DETTI - ANNA - LA CONTESSA - FIORENZA.

LA CONTESSA - (entra appoggiata al braccio di Fiorenza e seguita da sua figlia.) Che inferno!... Uff!...

REGNAULT. - Domando scusa per la mia parte di fumo...

LA CONTESSA. - Siete un vecchio mostro, Regnault; peggio: un vecchio turco. Ma non sapete che il tabacco è un veleno?

REGNAULT. - Ma tanto lento, contessa, tanto lento se sono cinquant’anni che fumo.

LA CONTESSA. - Ecco perché avete quella bella testa di pipa.

REGNAULT. - Una testa vuota, cioè... il fumo e quel meraviglioso liquore mi hanno un po'...

LA CONTESSA. - Anche ubriacone?... Siete completo.

REGNAULT. - Temo, invece che la mia lucidità non sia completa per affrontare una seria conversazione di affari e mi permetto di pregarvi, duchessa, di accordarmi un rinvio...

LA CONTESSA. - Si salvi chi può!... Regnault che rimanda una conversazione d'affari... È la fine del mondo!

REGNAULT. - Un'intollerabile emicrania, contessa: la prima ch'io abbia...

LA CONTESSA. - Allora spicciatevi: raccomandate a Dio ciò che avete al posto dell'anima: morrete presto, Regnault.

REGNAULT. - Domanderò un rinvio anche per questo; allora, duchessa...

ANNA. - Vi aspetto domani, con Marta; ho bisogno anche di lei.

REGNAULT. - Voi onorate troppo mia figlia, duchessa... e sono veramente costernato di dovervi dire che domani non potrà venire.

LA CONTESSA. - Avete intenzione di regalarle la vostra emicrania?

ANNA. - E’ molto strano tutto questo, Regnault.

MARTA. - Mio padre aveva preso degli impegni che ignoravo...

ANNA. - Peggio per lui... Dunque: a domani. Tengo ad avervi domani...

MARTA. - Duchessa, credo, veramente...

ANNA - Basta così... A domani, cara...

ROBERTO. - Perché insistere così, mamma? (Un gran silenzio glaciale.)

LA CONTESSA. - Oh! oh!... Ma allora... le cose si complicano... Che cos'è successo, Roberto?

ANNA - (a Roberto che non risponde.) Vostra nonna vi domanda che cos'è successo...

ROBERTO. - Ma niente...

ANNA. - Ne siete sicuro?

ROBERTO. - Sì, mamma...

ANNA. - Allora... volete pregare la signorina Regnault di venire qui, domani?...

MARTA. - Duchessa...

ANNA. - Dunque?

ROBERTO. - Fiorenza... mi dice che Gastone è impegnato in una seria partita di scacchi con suo padre, e siccome non è abbastanza forte... chiedo il permesso di andare a soccorrerlo... (Esce.)

ANNA - (reprimendo a stento la sua collera.) Ah! questa, poi...

LA CONTESSA - (a Marta.) Ma che cosa significa tutto ciò?

MARTA. - Non saprei, contessa.

LA CONTESSA. - E voi, Regnault?

REGNAULT. - Io... contessa, bacio rispettosamente le vostre mani.

ANNA. - Vi prego, Marta... non mancate domani... non vi perdonerei... Zitta!... E in fatto di scuse non ammetterò che quelle di mio figlio; aspettandole, vogliate accettare le mie.

REGNAULT. - Duchessa...

ANNA. - E non troppo tardi, Regnault... Abbiamo molto da fare... A domani, cara Marta... No... non una parola di più... (Li accompagna fino all'uscita.)

SCENA QUARTA.

LA CONTESSA - ANNA - FIORENZA.

ANNA - (torna fremente.) Scandaloso!... È scandaloso...

LA CONTESSA. - E tu sei eccessiva!... Scandaloso!... è un po' troppo!

ANNA. - Volete cercarmi una parola che definisca meglio la condotta del vostro caro nipote?

LA CONTESSA. - Non cercherò proprio niente perché non ne vale la pena...

ANNA. - Siete troppo indulgente.

LA CONTESSA. - E tu dovresti imitarmi.

FIORENZA. - Roberto dev'essere già pentito del suo piccolo scatto...

LA CONTESSA. - Ma certo!... È un po' nervoso: lo hai visto anche a tavola.

ANNA. - Ho visto che non faceva niente per nascondere il suo malumore.

LA CONTESSA. - Ciò ti prova la franchezza del suo carattere.

ANNA. - Ciò mi prova la sua pessima educazione... e non sono affatto disposta a tollerare, da lui meno che dagli altri...

LA CONTESSA. - Ben inteso!... Appena si tratta di Roberto cadi nell'ingiustizia con una facilità sorprendente.

ANNA. - Sarebbe lo stesso se si trattasse di Gastone.

LA CONTESSA. - Oh! noi...

ANNA. - E Gastone non si sarebbe mai permesso di mancare a una colazione offerta a Monsignore.

LA CONTESSA. - Monsignore ha mangiato lo stesso, con un appetito invidiabile.

ANNA. - Insomma, niente giustifica questo suo umore insopportabile.

LA CONTESSA. - Non ne sai niente, tu.

ANNA. - Nulla lo giustifica se non la sua deplorevole educazione.

LA CONTESSA - Dovevi dargliene un'altra.

ANNA. - Ditemi, anche, che non ho fatto abbastanza per lui.

LA CONTESSA - (severa.) Hai fatto il tuo dovere, nient'altro.

ANNA. - Rendermi responsabile di tutte le incomprensibili bizzarrie del suo carattere... No... no... mamma, per carità, non ricominciamo.

LA CONTESSA. - Io non avrei neanche incominciato.

ANNA. - Questa eterna storia, diventa ogni giorno più astiosa.

LA CONTESSA. - Perché, senza accorgertene, diventi, ogni giorno, più irascibile.

ANNA. - Attribuitelo alle imperdonabili bontà che avete tutti per Roberto...

LA CONTESSA. - Nessuna bontà è imperdonabile e vorrei non avere sulla coscienza altri peccati che quelli della bontà.

ANNA. - E sia, mamma... Volete che non ne parliamo più? (A Fiorenza) Ti domando scusa, carina, di questa piccola scena di famiglia... ma, siccome tu ne sei di già un po' della famiglia, la scuserai più facilmente, vero?

LA CONTESSA. - E invece di disputarci come due lavandaie, sarebbe stato meglio d'interrogare un po' la nostra bella Fio’ sul pessimo umore di Roberto.

FIORENZA. - Me... contessa?

LA CONTESSA. - Lei, signorina... Lei, che ha chiacchierato sempre con lui... Non si potrebbe sapere di che...

FIORENZA. - Oh, sì... Roberto mi parlava di un grande viaggio.

LA CONTESSA - (agitatissima.) Come? Un grande viaggio?... Ma che novità è questa?

FIORENZA. - Ma Roberto è giovane, contessa, e anche se parte ha il tempo di tornare.

LA CONTESSA. - E io? Ho il tempo di aspettare, io? Sentiamo, su... Che, faccenda è questa? Che cosa gli piglia? Perché vuol fare un gran viaggio? E dove?

FIORENZA. - Alle Indie.

LA CONTESSA. - Eh... che cosa hai detto?... Vuole andare alle Indie?... Roberto!?... Hai sentito, Anna? Alle Indie!! Ma bisogna telefonare a un dottore!... Subito!... Bisogna legarlo, quel ragazzo, Perché è diventato pazzo!

ANNA. - Calmatevi, mamma.

LA CONTESSA. - Come, calmarmi! Va alle Indie e io devo calmarmi!

FIORENZA. - Non mi aveva mai parlato di questo progetto.

LA CONTESSA. - Ma non ne ha parlato a nessuno... È, veramente, uno strano modo d'agire... Ah! Ma!... vedremo! E voglio sapere, voglio sapere che cosa vengono a fare le Indie così, ad un tratto, nella nostra vita... Parla, piccola, te ne prego... Racconta questa storia delle Indie della quale non capisco niente, proprio niente...

FIORENZA. - Vi racconto la storia delle Indie, ma alla condizione che vi calmiate.

LA CONTESSA. - Prometto... E prometto anche di non interromperti.

FIORENZA. - Dunque: le Indie sono un vastissimo paese nel quale due inglesi piombarono una notte, dal cielo... non sapevano all’atto che terra fosse e incominciarono a percorrerla in tutti i sensi... Cammina, cammina... trovarono l'acqua... uno degli inglesi l'assaggiò con un dito e disse: « salata »... « Hurrah! - rispose l'altro - allora siamo in casa nostra ». E da quel giorno le Indie furono inglesi...

LA CONTESSA. - Ti prego di non scherzare e dirmi perché Roberto vuole andarci.

FIORENZA. - Per respirare un'altra aria, dice.

LA CONTESSA. - Davvero? Allora, l'aria di casa sua, l'aria che respiriamo noialtre, sua madre ed io, non è abbastanza pura per lui... E quest'idea magnifica gli è venuta d'un tratto? (Alla duchessa) E tu?... Ma come! Ti sì dice, improvvisamente, che tuo figlio maggiore parte, va alle Indie, in un mondo che ignoro, di cui niente mi prova l'esistenza; che è, forse, pieno di pencoli, di malattie, di mostri, di precipizi, di baiadere..., Ti si dice questo e tu non protesti? Tu non chiami subito quel ragazzaccio indegno per dirgli che invece di mandarlo alle Indie lo manderemo in manicomio? Ma che cosa hai nelle vene invece di sangue? della camomilla fredda?

ANNA. - Gli dirò tutto, mamma... ma non agitatevi così... Potrebbe farvi male... Pensate al vostro cuore...

LA CONTESSA. - Il mio cuore è un vecchio burattino che non sta mai fermo. (A Fiorenza.)  Anche tu dovresti parlare con Roberto.

FIORENZA. Io parto, contessa.

LA CONTESSA. - Per le Indie?

FIORENZA. - Per Londra... Credo, anzi, che sia tempo di avvertire papà... Quando gioca a scacchi dimentica tutto, anche sua figlia... Con permesso...

ANNA. - Ancora un momento, ti prego... Non credi... che forse, abbiamo qualcosa da dirci?

LA CONTESSA. - Devo andarmene?

ANNA. - Vi prego, anzi, di restare, mamma... Fiorenza ci parlerà come a due vecchie amiche.

LA CONTESSA. – Vecchie! Vecchie! Spero che parli di te...

ANNA. - Tuo padre deve averti detto...

FIORENZA. - Tutto, duchessa, come sempre... Ma mio padre non c'entra... Il cuore è un tesoro che bisogna sapere amministrare da sé... e papà non avrà il diritto d'intervenire che se io avessi la disgrazia di fare una scelta indegna. Qui, duchessa, non corro questo pericolo.

ANNA. - Grazie.

LA CONTESSA - (a se stessa.) Alle Indie!... Alle Indie!

ANNA. - Mamma...

LA CONTESSA. - Ah! sì... dov'eravamo rimaste?

ANNA. - Parla liberamente, francamente.

FIORENZA. - Parlo sempre così... Conosco Roberto e Gastone da... da sempre... non ho altri amici... Tutti e due sono cari e deliziosi...

LA CONTESSA. - Ma siccome non ti permetterebbero di sposarli tutti e due, bisogna scegliere.

FIORENZA. - So, come Roberto sia stato favorito.

LA CONTESSA. - È naturale poiché è il maggiore.

ANNA. - Non parliamo di questo, mamma.

FIORENZA. - E allora... per spirito di giustizia e anche per i generosi consigli di papà ho voluto, con tutta la mia volontà, secondare i vostri disegni, duchessa, e il vostro progetto... inclinando dalla parte dove c'è meno ricchezza, meno titoli e meno onori...

ANNA. - Sei un angelo...

LA CONTESSA. - Un angelo inglese... Perché ragioni come un vecchio avvocato.

ANNA. - Continua, cara.

FIORENZA. - Mi dicevo: poiché Gastone è il meno fortunato, voglio offrirgli, col mio amore e la mia amicizia, tutto quanto gli manca per essere quasi l'uguale di suo fratello... Farò, così, un gesto di riparazione, renderò felice una mamma e non potrò mai essere accusata d'eccessiva ambizione... E, a poco a poco...

ANNA. - Non esitare...

FIORENZA. - Allora... a poco a poco...

LA CONTESSA. - Nonostante le serie risoluzioni del tuo cervello, il tuo cuore ha deciso altrimenti.

ANNA. - Non capisco che cosa vogliate dire.

LA CONTESSA. - Perché sei della forza d'una macchina da cucire, tu... Fiorenza era decisa, risoluta ad amare Gastone ed è per questo che si è innamorata di Roberto.

ANNA. - Lasciatela parlare, mamma...

LA CONTESSA. - Ma parlo per lei.

ANNA. - Non è vero. Parla, tu...

LA CONTESSA. - Ma non vedi che, tacendo, ti urla la verità del suo cuore?...

ANNA. - Senti, Fiorenza: tu non hai niente di romanzesco...

LA CONTESSA. - Enormemente, invece... poiché volendo amare per volontà, per ragione, per logica... si è messa ad amare per amore, e, per quanto si faccia, sarà sempre il miglior modo di amare... Dunque?... Perché vuoi ostinarti?... Ma pensa, pensa un po' se sposasse Gastone pur amando Roberto... Ricordati di Francesca da Rimini.

ANNA. - Si direbbe che vi divertite a tormentarmi...

FIORENZA. - È la verità, duchessa...

LA CONTESSA. - Oh! sei contenta? E che cosa aspetti per abbracciarla? Io ti abbraccio e ti bacio subito e il mio vecchio burattino fa delle capriole di gioia... (a Anna.) Ma che cos'hai? E, forse, sciocco o gobbo o ridicolo, Roberto?

ANNA. - Mamma!... In ginocchio vi domando di non scherzare... E troppo, veramente!... Basta ch'io faccia un progetto, che accarezzi un'idea, che abbia una speranza… perché immediatamente tutto crolli come per effetto d'una maledizione... Sempre tutto, tutti contro di me... E assurdo! È assurdo!...

FIORENZA. - Vi perdono.

LA CONTESSA. - Ma di che cosa?... Ah! ti garantisco che sei tu che sei assurda e anche ingrata con Dio che ti manda un così bell'angelo per abbellire la vita di tuo figlio! Assurda! Assurda! E questa volta, non negherai, spero, una parzialità che, lasciamelo dire diventa odiosa addirittura...

ANNA. - Per troppo rispetto, mamma, non voglio discutere.

LA CONTESSA. - Non è vero. Non è il rispetto che abbonda, sono gli argomenti che mancano... Ecco Perché non discuti.

ANNA. - Non m'opprimete, mamma, non mi opprimete... Ma a che cosa vi serve la vostra intelligenza e la vostra esperienza se non capite che non ne posso più, che sono disperata di questa... cosa... che è entrata nel mio spirito come un veleno e che mi ammazza a poco a poco... Perché non volete capire, mamma, che soffro come una dannata e che vorrei morire, per non essere più né troppo giusta, né troppo ingiusta. No... no... Non andartene, piccina... Sarai mamma anche tu e non è male che tu sappia che nella grande dolcezza di essere mamma ci sono delle spaventose amarezze e delle spine atroci...

LA CONTESSA - Anna! Anna!... Pensa a quel che dici... Pensa che la felicità di Roberto non può assolutamente nuocere a quella di Gastone.

ANNA. - Non ne avrà mai, lui!

LA CONTESSA. - Bestemmi!

ANNA. - Lo sento oscuramente... ed è questa intollerabile paura che ha creato un antagonismo che non volevo, che avevo giurato di non volere... Che cosa ho fatto, mamma? Che cosa ho fatto?

LA CONTESSA. - Hai fatto il tuo dovere, Anna… Forse più del tuo dovere... e devi esserne fiera!

ANNA. - Ma se fosse un male, se fosse un delitto fare più del proprio dovere? Se anche il dovere avesse dei limiti? Non so più niente di me, non capisco più niente... capisco soltanto l'inferno che mi sono scatenato nell'anima e il supplizio al quale sono inchiodata... Vorrei morire, mamma, vorrei morire per punirmi...

LA CONTESSA. – Sta’ zitta!... Non parlare così! Vuoi, proprio, sciupare le poche ore che mi rimangono? Come vuoi che me ne vada serenamente se mi fai andar via colla paura di lasciarvi tutti in una simile discordia? E se, laggiù, si pensa ancora a quelli che ci furono cari, immagina la mia angoscia di sapervi divisi, ostili gli uni agli altri!... Ho vissuto quasi un'eternità d'inquietudini poiché sono stata figlia, sposa, mamma, nonna! Vorresti, dunque, che le mie inquietudini durassero ancora al di là, per un'altra eternità?... Non infliggermi questo terrore, Anna mia! Ho diviso tutte le tue gioie e tutte le tue pene da che sei al mondo. Non ti ho mai lasciata di un passo e se ora, a volte, sparisco per dei piccoli viaggi, non è per piacere, ma è per abituarti a poco a poco, a non vedermi... è per prepararti, a poco a poco, alla grande sparizione... Dunque... credimi... metti un po' di pace nel tuo cuore... Non dimenticare che per essere mamma non basta essere coraggiosa, ma che bisogna essere eroica; che non basta saper soffrire, ma che bisogna anche soffrire senza sapere perché... Non lo dimenticare... E ora: basta... Eh! guarda: ho fatto piangere un angelo inglese... Non mi era mai successo... Basta! Basta! Dimmi, quando tornerete in Francia?

FIORENZA. - Credo fra due settimane.

LA CONTESSA. - E allora fra due settimane riprenderemo il nostro discorso e ci ammetteremo anche tuo padre... Perché mi pare che se tu ti mariti sarà meglio che lo sappia anche tuo padre... Va bene così, Anna?

ANNA. - Sì, mamma. Come volete.

LA CONTESSA. - Sei più calma?

ANNA. - Sì.

LA CONTESSA. - Meglio così!... Meglio così...

(Entra Gastone.)

SCENA QUINTA.

DETTI – GASTONE, poi GERARDO.

GASTONE. - L'onore del nome è salvo! Ancora due mosse e Roberto avrà battuto il terribile lord Lumb!... Ma che cosa è accaduto? Avete dei visi!...

LA CONTESSA. - Sei poco galante!... Avresti potuto dire che abbiamo dei bei visi...

GASTONE. - Belli sì... ma un po' lunghi... Perché?

FIORENZA. - Vado a dire a papà che è tardi... che bisogna andare.

(Esce rapidamente.)

ANNA. - Gastone!

GASTONE. - Mamma.

ANNA. - Qualche mese fa mi hai detto che la tua amicizia per Fiorenza, minacciava di trasformarsi in un sentimento, più vivo, più...

GASTONE - (con sforzo.) M'ingannavo.

ANNA. - O m'inganni.

GASTONE. - No.

ANNA. - E non hai mai parlato con Fiorenza?

GASTONE. - Sì... ma non di me... di Roberto... Si amano!

ANNA. - Come l'hai saputo?

GASTONE. - L'ho indovinato.

ANNA. - Soffrendo?

GASTONE. - No.

ANNA. - Dici il vero?

GASTONE. - Sì, mamma.

ANNA. - E nessun rimpianto... nessun dispiacere...

GASTONE. - No... cioè... sarebbe per me un vero dispiacere se qualcuno, o qualcosa, potesse impedire l'unione di quei due esseri tanto buoni e tanto belli... Mamma... E poiché parliamo di Roberto, vorrei rivolgervi una preghiera.

ANNA. - Quale?

GASTONE. - Roberto... vi sente un po' distante... e ne soffre molto... molto di più di quanto potete immaginare... Riavvicinatevi a lui, come prima... Fategli sentire, come prima, che siamo perfettamente uguali nel vostro amore... Vogliategli tanto bene se volete ch'io goda senza rimorsi del bene che volete a me... Ecco la mia preghiera, mamma!

ANNA. - Vi ha proprio stregati tutti... Basta, Gastone. Ho capito. (Va in fondo e suona un campanello.)

LA CONTESSA. - Dammi un bacio!... E insisti, insisti, caro, Perché se no lo perdiamo, il nostro Roberto.

GASTONE. Oh lo so, nonna...

(Entra Gerardo.)

ANNA - (a Gerardo.) Lord Lumb e sua figlia partono a momenti. Che tutto sia pronto...

GERARDO. - Sì, eccellenza.

(Esce.)

SCENA SESTA.

DETTI - ROBERTO - FIORENZA - LUMB.

LUMB. - Sconfitto! sconfitto come un principiante.

LA CONTESSA. - Prenderete la rivincita al ritorno.

LUMB. - Difficile, contessa... Roberto è un giocatore così originale e ardito che mi fa perdere la testa.

FIORENZA. - E che ti farà perdere anche il treno se non ti spicci...

GASTONE. - Mamma s'è occupata della partenza. Tutto è pronto...

LUMB - I miei ringraziamenti, duchessa...

ANNA – (a Lumb.) Mi farete la cortesia di venire a chiacchierare con me, appena sarete, di ritorno?

LUMB. - Sarà un graditissimo dovere.

ANNA. - A presto allora...

LA CONTESSA. - Vi accompagno per fare due passi prima di coricarmi.

GASTONE. - Prendete il mio braccio, nonna.

LA CONTESSA. - Buona notte, Anna.

ANNA. - Buona notte... (Bacia Gastone.) Buon riposo, caro.

FIORENZA. - Good bye, Bob...

ROBERTO. - Good bye, darling...

(escono tutti accompagnati da Roberto fino alla porta di fondo.)

SCENA SETTIMA.

ANNA – ROBERTO

ANNA. - Siete rimasto per farmi delle scuse?

ROBERTO. - Sì, mamma.

ANNA. - Un po'in ritardo.

ROBERTO. - Anche di questo, mi scuso.

ANNA. - Voglio credere quel che avete detto: che niente di grave è successo tra voi e i Regnault.

ROBERTO. - No, mamma.

ANNA. - Né col padre né colla figlia...

ROBERTO. - Niente...

ANNA. - Ma allora... allora... come spiegate?

ROBERTO. - Non lo saprei dire... un momento d'impazienza.

ANNA. - Un momento d'impazienza... che senza motivo né ragione vi ha reso così aspro, così duro con un vecchio amico e, ciò che è più antipatico ancora, con una donna? Proprio non saprei dirvi a che punto io trovi la vostra condotta deplorevole e riprovevole!

ROBERTO. - Ne sono pentito, mamma.

ANNA. - Non basta...

ROBERTO. - Che cosa posso fare?

ANNA. - Giacché non sapete frenare le violenze e le bizzarrie dei vostri nervi, imparate, almeno l'umiltà di scusarvi, subito, con coloro che offendete o affliggete ingiustamente...

ROBERTO. - Andrò da Regnault... domani.

ANNA. - Non sarà che un dovere... come sarà un dovere in avvenire, di non ricadere in simili eccessi... Non basta essere di una grande casa: bisogna anche saperci stare. Correggetevi.

ROBERTO. - Ve lo prometto, mamma... Volete perdonarmi?

ANNA. – Sì; sulla vostra promessa.

ROBERTO. - Grazie.

ANNA. -  Sono molto stanca di questa giornata poco piacevole... e devo ancora scrivere delle lettere...

ROBERTO. - Vi lascio, mamma...

ANNA. - Buona notte. A domani. (Va a sedere allo scrittoio.)

ROBERTO. - Sì... (Va fino in fondo, si ferma: sulla porta, ritorna esitando e parla timidamente.) Mamma...

ANNA. - Ah! siete qui, ancora?

ROBERTO. - Forse troverete ch'è un'altra bizzarria quello che vorrei chiedervi.

ANNA. - Che cosa?

ROBERTO. - Un bacio.

ANNA. - Sarebbe... un addio?

ROBERTO. - Perché?

ANNA. - Sareste già sul punto di lasciarci?

ROBERTO. - Io?... Ma chi vi ha detto?

ANNA. - Fiorenza... Oh! proprio incidentalmente... Ne siete contrariato?

ROBERTO. - No... ma avrei preferito parlarvene io stesso.

ANNA. - Il che vuol dire che avete proprio deciso questo viaggio?

ROBERTO. - Questo o un altro... è lo stesso per me...

ANNA. - Non avete uno scopo preciso.

ROBERTO. Sì; quello di allontanarmi.

ANNA. - Da me?

ROBERTO. - Da qui.

ANNA. - E quando partirete?

ROBERTO. - Quando avrò il vostro permesso.

ANNA. - E... ben inteso, non avete neanche pensato all'eventualità, tuttavia logica, di un mio rifiuto.

ROBERTO. - Non ci ho pensato, infatti... Perché un rifiuto di lasciarmi partire equivarrebbe a un atto di tenerezza da parte vostra... Mi ci sono troppo disabituato da un pezzo.

ANNA. - Dunque se mi opponessi?

ROBERTO. - Sarebbe per pura forma.

ANNA. - E partireste lo stesso...

R0BERTO. -  Sì.

ANNA. - Siete il padrone voi... Agite pure da padrone senza preoccuparvi del mio consenso... Spero, però, che avremo ancora il tempo di parlare.

ROBERTO. - Quando e quanto vorrete, mamma...

ANNA. - Presto... Perché stasera tra vostra nonna, Fiorenza ed io... si è parlato di voi... di voi e di Fiorenza... È una cosa delicata e grave da decidere...

ROBERTO. - La decido subito, mamma, dicendovi che ogni idea di matrimonio tra me e Fiorenza, dev'essere abbandonata...

ANNA. - Mi è stato detto che l'amate.

ROBERTO. - È vero.

ANNA. - Allora, perché questa rinuncia... e così perentoria?

ROBERTO. - Perché... quando s'incontra una creatura di qualità così eccezionali, non basta offrirle la gioia dell'amore, ma credo che sia anche necessario di dovere mettere ai suoi piedi una gran gioia di vivere... E di questa, mamma, proprio non ne ho.

ANNA. - Siete esigente con la vita,! Che cosa vi manca? Avete un gran nome.

ROBERTO. - Vorrei esserne fiero.

ANNA. - Un patrimonio immenso.

ROBERTO. - Vorrei poter farmelo perdonare.

ANNA. - E, per di più, la natura vi ha fatto un dono, che è al di sopra di ogni merito, di qualsiasi talento e di tutte le virtù... Perché è il dono che non si discute: il dono di piacere.

ROBERTO. - Se è vero, l'ho avuto da voi.

ANNA. - E voi piacete, sempre, senza restrizioni, dovunque andiate, qualunque cosa facciate, a tutti...

ROBERTO. - A tutti?

ANNA. - Sì; vostra nonna è parziale al punto di schierarsi sempre contro di me, alla minima osservazione che mi permetto... Vostro fratello vi ammira e adora... fino al sacrificio... So quello che dico... Marta Regnault, che avete maltrattata, può appena nascondere i suoi sentimenti, e se non ve n'ha ancora parlato lo farà presto, imiterà Fiorenza che non ha esitato a confessare il suo amore... Non vi basta?... Mi sembra che senza cercare di più la lista non potrebbe essere più bella...

ROBERTO. - Sì, mamma... se ci foste voi.

ANNA. - L'amore di una madre è cosa tanto naturale che non bisogna metterlo tra i privilegi della vita...

ROBERTO. - Eppure, per avere o per riavere quello lì darei con entusiasmo tutti gli altri... E... mamma... poiché, per una strana combinazione, siamo per la prima e, forse, per l'ultima volta, su questo argomento... lasciatemi dirvi ciò che per delle ragioni, che non so capire, non vi dico da troppo tempo... Io non ho che un'adorazione: voi, mamma.

ANNA. - Ed è per questo che avete deciso di andarvene?

ROBERTO. - Sì.

ANNA. - Strano!

ROBERTO. - Logico... Fino a poco tempo fa, il vostro amore, la vostra amicizia, la vostra fiducia, erano i veri beni della mia vita... Da che non li ho più...

ANNA. - Sragionate...

ROBERTO. - Dacché non li ho più, ho la sensazione di vivere solo, in un deserto, dove il mio affetto per voi muore di fame e di sete... È logico ch'io voglia fuggirlo...

ANNA. - Proprio... sragionate... Roberto!... Pensate e dite delle cose pazze...

ROBERTO. - Lo credo, spesso, anch'io... Ogni volta che mi domando: « Perché?» e che non trovo, mai, una risposta possibile... E allora, provoco nella mia testa un tale tumulto d'idee, di assurdità, di disperazioni... da credermi pazzo davvero... E taccio, taccio sempre, taccio rabbiosamente, per la paura di farvi soffrire...

ANNA. - E avete ragione... Sarebbe troppo... Ho avuto la mia croce ed è stata pesante, credetelo... L'ho portata finora, come meglio ho potuto, senza lamentarmi né ribellarmi troppo, benché le stazioni di riposo e di sollievo siano state rare per me... Ma confesso che non avrei più né la forza, né il coraggio di ricominciare... Avete l'età di capirlo e il solo mezzo che abbiate di ringraziarmi di tutto l'inimmaginabile che ho fatto per voi, è quello di risparmiarmi delle nuove pene...

ROBERTO. - Non posso farlo che andandomene, mamma...

ANNA. - Diventate incomprensibile.

ROBERTO. - E perché?... Come dire?... Come dirvi?

ANNA. - Dite, semplicemente...

ROBERTO. - Per dire semplicemente, avrei bisogno di ritrovare, non soltanto l'incoscienza di quando ero bimbo... ma anche la voce, anche i gesti, anche gli sguardi di quel tempo... Avrei bisogno di ritrovare tutto ciò che c'è d'indefinibilmente ardito nei discorsi d'un bimbo... Vorrei non saper parlare per farmi capire meglio... Ma come fare?... Non si può! Non si può!...

ANNA. - Vi consigliavo un momento fa, d'imparare a controllare e dominare i vostri nervi, ed ecco che invece, vi ci abbandonate perdutamente fino alla trepidazione, fino alle lagrime, quasi... Desiderate di essere un bimbo?... Ebbene, lo siete; non potreste esserlo più di così...

ROBERTO. - Allora, mamma... ascoltate... Sì... Riprendete con me una conversazione lontana, perduta, dimenticata... Una conversazione col vostro bimbo... Ve ne supplico... Non foss'altro che per curiosità... ascolta temi un momento, un minuto... E se sono ridicolo, non ci badate, mamma... Avevo, forse, nove anni e una sera ero solo con voi, qui in questa stessa stanza, ai vostri piedi davanti a questa stessa poltrona... su questo stesso cuscino... Ecco… Così... Esattamente... (Prende il cuscino, lo getta ai piedi di sua madre e ci si inginocchia.) Guardavo le figure di un gran libro... Ad un tratto, per una di quelle irresistibili curiosità infantili, vi domandai: « Mamma, perché mi vuoi bene?... » Voi mi avete presa la testa tra le mani, mi avete guardato in silenzio, lungamente, con uno sguardo che è sempre il mio più gran ricordo, e mi avete detto: « Piccolo, ti voglio bene perché... » Vi siete fermata lì, e io molto soddisfatto, probabilmente, mi sono rimesso a guardare le figure... Mamma, gli anni sono passati lenti e duri su voi, lo so... La mia infanzia è lontana, lontana come una felicità perduta... Ma io sono sempre qui, ai vostri piedi, vi guardo con lo stesso amore e vi domando colla stessa curiosità: « Mamma, perché, non mi vuoi più bene? » (E vinto dall'emozione appoggia la testa sulle ginocchia di sua madre e piange come un bimbo.)

ANNA - (commossa anche lei, ma dominandosi meglio.) Che strano ragazzo!... Suvvia, Roberto!... Andiamo... volete calmarvi?

ROBERTO. - Ditemi che cos'è accaduto... contro di me...

ANNA. - Veramente, Roberto, non so, proprio, dove andreste a finire se vi lasciassi continuare su questa via di stravaganze... Vene prego tanto, tanto, Roberto...

ROBERTO. - Tanti anni fa, non avete saputo soddisfare la curiosità del ragazzo... Ora non volete soddisfare quella dell'uomo... Perché?

ANNA. - Ma non lo so:... non lo so... Perché ci sono delle curiosità così sconcertanti... alle quali non si può rispondere logicamente...

ROBERTO. - Perché ve ne spaventate così?

ANNA. - Anzitutto... come?... Da chi?

ROBERTO. - Che importa

ANNA. - Devo... voglio sapere...

ROBERTO. - Basta che sappiate, mamma, che non ne provo nessuna umiliazione stupida... nessuna diminuzione... Anzi, mi sembra di avere una gratitudine di più per voi... una ragione nuova per amarvi di più.

ANNA. - Come avete saputo?... Da chi?... Chi ha osato?

ROBERTO. Temereste, forse, dei rimproveri?

ANNA. - Non uno... da nessuno...

ROBERTO. - E da me, meno che dagli altri.

ANNA. - Lo spero.

ROBERTO. - Siatene certa, mamma... E lo sareste se poteste immaginare la strana, l'indefinibile gioia che provo di sentirmi, di sapermi esclusivamente vostro figlio... Lasciatemi dire, mamma... Soffoco da tanto tempo! Questa rivelazione rende così naturale e così giusta l'adorazione istintiva che ho per voi...  mamma... so che sono stato ammesso qui per  la  clemenza di vostro marito. Purché mi amiate, non me ne vergogno... So che ho avuto molto più di quanto avrei dovuto avere... So che devo riparare e rendere... per voi la mia gratitudine... E lo farò, mamma, lo farò con entusiasmo, con passione, e voi mi direte come dovrò fare, cosa devo fare... Tutto mi sarà facile... purché non mi consideriate, soltanto, come una colpa della vostra vita...

ANNA - (con un urlo.) Roberto

ROBERTO - (per gettarsi nelle sue braccia.) Mamma!

ANNA. - Oh!... Ecco la vostra prima parola ragionevole: a domani.

ROBERTO. - Sì... (E rimane come inchiodato dov'è e continua a guardarla fissamente.)

ANNA - (nervosa, quasi violenta.)  Ma no!... Ma no!... Non quegli occhi da inquisitore... Ancora una volta: risparmiate i miei nervi... che non ne possono più... Ma, insomma, che cosa volete sapere da me? I fatti non sono forse lì per rispondere meglio di qualunque parola... Ho, forse, mancato a un solo dovere...

ROBERTO. - Sì; a quello di amarmi.

ANNA. - Non sapete quello che dite.

ROBERTO. - Al contrario, mamma: dico perché so, ora...

ANNA. - Che... cosa sapete?

ROBERTO. - Tutto...

ANNA. - Tutto... ciò non mi spiega niente.

ROBERTO. - So... e più che mai trovo incomprensibile, inammissibile, quasi inumano che mi trattiate così.

ANNA. - Insomma... Roberto... volete dirmi...

ROBERTO. - La vostra voce cambia, mamma... Avete capito...

ANNA. - Niente... mi sforzo di capire... e non ci riesco... Che cosa sapete?

ROBERTO. - So... il difetto... della mia nascita...

ANNA - (ansiosissima.) Che cosa?... Roberto!... Che cosa avete detto?

ROBERTO. - Mamma!

ANNA. - Vattene!

ROBERTO. - Mamma!

ANNA. - Non una parola di più...

ROBERTO. - Non mi parlate così...

ANNA. - Non devo parlarti... affatto... Ma vattene... ti dico di andartene...

ROBERTO. - Mamma: non mi date del tu che per odiarmi...

ANNA. - Basta.

ROBERTO. - Mi ammazzate... ma capisco... capisco... E questa furiosa crisi di dignità in ritardo mi farebbe ridere... se non mi sentissi morire!

ANNA. -  Dio mio!... Dio mio!... Ti faccio l'offerta della mia voce per sempre... se mi dai la forza di tacere... ora...

ROBERTO. - È meglio, mamma... E meglio... Rinchiudetevi bene nella vostra rigidità sociale, nell'austerità della vostra religione, nell'assurdità dei vostri pregiudizi... e tacete... tacete...

ANNA. - Sì... tacere... ad ogni costo...

ROBERTO. - Credevo di commuovere una grande mamma, non ho fatto che offendere una grande dama! Aspettavo un sorriso; ho avuto una tempesta. Credevo che quel vostro grido fosse d'amore... non era che un urlo di disgusto...

ANNA. - Ma stai zitto... Ti ordino di stare zitto... di andartene... Parti... Lontano. Che non ti veda più... che non ti senta più... Va via!

ROBERTO. - Chiamate un domestico per mettermi fuori dell'uscio!... Tanto che cosa sono io?... Sono la vergogna vivente; il ricordo sfacciato; il rimorso brutale... Sono il bastardo.

ANNA. - M'insulti.

ROBERTO. - Vi giudico.

ANNA.  - Non ne hai il diritto.

ROBERTO. - Ne ho il dolore...

ANNA. - Senti: avevo giurato ad un moribondo adorato di non parlare ma!... di non parlarti mai di ciò che tu chiami... il difetto della tua nascita... Ed è per colpa tua... per questa tua curiosità implacabile... per questo tuo insulto stupido che manco a una promessa fatta a degli occhi che morivano... fatta con una mano tesa sul Crocifisso... Non importa!... Ti hanno detto una menzogna che m'insudicia... Ti dico una verità che mi redime...

ROBERTO. - Mamma!

ANNA. - E non m'interrompere... Mi toglieresti il coraggio di questa cattiva azione...

ROBERTO. - Sono alla tortura!

ANNA. - Ed io!... Ero pura... capisci?... Pura come la purezza quando conobbi il duca... È stato il solo uomo della, mia vita... il solo amore del mio cuore... Taci!... Ma c'era una difficoltà alla nostra unione... Una difficoltà che i miei consideravano insuperabile, Perché il duca, anche sposandomi, non voleva abbandonare un piccino... un bambino avuto... da chi? Meglio non parlarne...

ROBERTO. - No...

ANNA. - Fino in fondo mi ascolterai...

ROBERTO. - Mi sembra che mi riprendete la vita...

ANNA. - Tuo padre t'adorava perché eri bello come un angelo... ed io, per amore di lui, per entusiasmo di gioventù, per pazzia di generosità, ruppi coi miei... fuggii con tuo padre... e andammo lontano a sposarci... E giurandogli la mia fedeltà e il mio amore, gli giurai, anche, dì essere tua madre... gli giurai che ti avrei considerato come il maggiore dei nostri figli se altri ne fossero venuti... Lo volli... E così fu fatto, legalmente, inesorabilmente... Nacquero le tue sorelle, nacque Gastone, e poco dopo, accadde la grande disgrazia della mia vita... Rimasi sola con voi quattro... a ventitré anni… Dio mi è testimonio che ti ho amato sempre... che non c'è stato mai ineguaglianza di tenerezza, di ansie, di sollecitudini per voi altri... mai... fino al giorno della tua maggiore età che venne come una scadenza terribile, come una scadenza di punizione... e, che mi fece capire tutto il male che per te, lo sconosciuto del mio corpo, l'intruso della mia vita, aveva fatto a mio figlio, al solo, al vero!... Era un'usurpazione di beni e di onori che avevo decretato contro di lui anche prima che nascesse!... E allora... allora... nonostante la mia devozione a una memoria sacra, malgrado tutto... a poco a poco, come per una forza bestiale del mio istinto, e per una rivendicazione irresistibile delle mie viscere, e per una deformazione spaventosa della mia volontà... ho incominciato a odiarmi d'essere andata al di là del dovere... Ho incominciato a odiare la mia maternità artificiale... ed ho incominciato a commettere il delitto di odiarti... E tu hai fatto tutto... hai fatto quanto hai potuto perché ti odiassi di più... Sì... Tu... Perché non contento del tuo titolo, della tua ricchezza, vicino alla quale Gastone non è che un povero... tu mi hai preso tutto, senza pietà... Mi sono riconciliata con mia madre e tu me l'hai presa... Perché, pur sapendo, contro ogni legge di natura, non ama che te... Ho voluto dare a Gastone quella bella creatura, che sarebbe stata per lui un compenso e una speranza di felicità... tu me l'hai presa, Perché non ama che te... Per addormentare rimorsi e rancori mi sono rifugiata nell'amore per Gastone... tu me l'hai preso... Perché non ama che te... Tutto e tutti... La vita è pazza di te!... Ed io soffro della tua intelligenza, della tua bontà, della tua superiorità... e dirti... e gridarti, finalmente, che ti odio è la sola grande gioia che mi hai dato... da che sei uomo... E ti odio... ti odio... per paura, forse, di amarti troppo, come gli altri... Ti odio, sì, ma pure, è piangendo, è straziandomi l'anima, è battendomi il petto da schiantarmelo, è in ginocchio, è ai tuoi piedi... che ti domando perdono della mia cattiveria... del mio spavento... del mio odio... E devi... devi perdonarmi... Perché non è colpa mia... Capisci?... Perché è una maledizione suprema che mi ha colpita... Perché è un'ingiustizia divina contro la quale non posso niente, niente, niente. ( buttata per terra singhiozza disperatamente.)

ROBERTO - (dopo un gran silenzio s'inginocchia vicino a sua madre.) Lascia che ti chiami mamma, lo stesso... Perché... se no... a chi potrei dirlo, ormai... Vuoi?... Mamma! Mamma! Mamma!

 

CALA LA TELA


ATTO TERZO.

L'antica cappella del castello convertita in semplice oratorio e, anche, per i bisogni della guerra, in laboratorio. In fondo, nel semicerchio dell'abside, un minuscolo altare; davanti all'altare, parecchi inginocchiatoi. L'oratorio può essere isolato dalla parte anteriore della scena, abbassando la pesante portiera di velluto rosso. Questa parte anteriore della scena è un vero salone, ma l’austerità del mobilio, dei quadri e di ogni dettaglio gli dà un marcato effetto di sacrestia ricca. La luce che viene dalle tre magnifiche finestre gotiche dell'abside è tenuemente dorata, calmissima. In mezzo alla scena, e parallela alla linea della ribalta, una lunga tavola coperta da un antico damasco rosso. A ogni estremità della tavola una grande poltrona ad alta spalliera. In qua e in là, altre sedie ingombre di lana grigia.

SCENA PRIMA.

LA CONTESSA - FIORENZA - LUISA - MARIA - MARGHERITA dopo, GERARDO.

FIORENZA - (dietro, al grande tavolo distribuisce del lavoro alle tre giovanette.)  Eccovi del lavoro per una buona settimana... Aspettate: devo prendere nota. (Scrive in un grande registro.) Dunque... Luisa... Maria... Margherita: Cinque chilogrammi a ciascuna…. mettiamo per sabato venturo... così avrete otto giorni pieni per finire... Siate puntuali... Lavorate seriamente... e stringete pure la maglia... non fate economia di lana... ne avremo sempre...

LA CONTESSA - (seduta nella poltrona che è all'estremità sinistra della tavola, lavorando attivamente.)  Fiorenza... vuoi chiamarmi Gerardo?

FIORENZA. - Subito, contessa. (Va vicino alla porta ili sinistra, suona e torna alle giovanetto.) Mi raccomando di essere esatte... Ora potete andare.

LUISA - (timidissima.) Signorina... se permette... vorrei...

FIORENZA. - Avanti... di' pure...

LUISA. - Ecco... se mi permette...

MARIA. - Su... coraggio

FIORENZA. - Ma che c'è?

MARIA - (a Luisa.) Vuoi che glielo dica io?

LUISA. - Sì... è meglio... tu sei più sfacciata...

MARIA. - Grazie... Ecco qui, signorina... Luisa ha ricevuto una lettera da Carlo, il suo fidanzato, che è al fronte... Vorrebbe anche lei mandargli una bella lettera... Ci abbiamo lavorato tutte e tre per mezza giornata, ma è venuto fuori un tale pasticcio, di cui Carlo non capirà niente, anche se è un eroe... E allora Luisa vorrebbe chiedere a lei...

FIORENZA. - Ma volentieri, cara... Farò del mio meglio...

LUISA. - Com'è buona, signorina...

FIORENZA. - Non so, però, se sarò buona di scrivere una lettera... Mica facile... Proviamo!

(Le tre ragazze circondano Fiorenza che siede all'estremità destra della tavola.)

GERARDO - (entrando dalla sinistra.) La signorina ha chiamato?

LA CONTESSA. - Io, Gerardo...  giornali di Parigi?

GERARDO. - Niente ancora, signora contessa.

LA CONTESSA. - Avete mandato l'automobile alla stazione?

GERARDO. - È laggiù da stamattina... E ho anche telefonato... Rispondono che un treno è partito da Parigi, ma che non sanno, affatto, quando passerà di qui... Non c'è più orario regolare, signora contessa...

LA CONTESSA. - Ed eccoci addirittura segregati dal mondo!... Mi raccomando, Gerardo, state ben attento; appena scorgerete l'automobile da lontano, avvertitemi subito, Perché io possa andarle incontro a scorrere i giornali prima che vadano in mano di mia figlia... Vigilate...

GERARDO. - La signora contessa può stare tranquilla... C'è sempre qualcuno in osservazione sulla torretta e col binocolo si scorge l'automobile a più di quattro chilometri.La signora contessa non comanda altro?

LA CONTESSA. - No; grazie.

GERARDO. - Dimenticavo di dirle, signora contessa, che dal cancello grande telefonano che la signorina Regnault domanda se può essere ricevuta...

LA CONTESSA. - Rispondete di si...

(Gerardo esce.) Oh! brava signorina Regnault, capiti, proprio, a proposito!... Sentirai che musica!

FIORENZA. - Ed ecco la fine... Leggi... Guarda se va bene.

LUISA - (leggendo.) « E ora ti mando il mio amore e la mia fede in un bacio grande, bello e profumato come il prato dove ci dicemmo l'ultimo arrivederci. Il mio bacio ti dice, piano, piano: Evviva il nostro amore!... E forte, forte: Evviva il nostro paese! » (Commossa bacia la mano di Fiorenza.)

MARIA. - Signorina! potrò  domandarle anch'io, quando...

FIORENZA. - Ma certo!... Hai un fidanzato anche tu al fronte?

MARIA. - Due!... Ce n'ho... due: quello scelto dai miei genitori e quello scelto da me...

FIORENZA. - Finché sono lontani potremo contentarli tutti e due... Arrivederci... Buon lavoro. (A Margherita.) E tu non hai nessun eroe laggiù?

MARGHERITA. - (languida.) No, signorina.

MARIA. - Vuoi che te ne ceda uno dei miei?

FIORENZA. - Quello scelto dai genitori!

(Entra Marta in costume della Croce Azzurra.)

SCENA SECONDA.

DETTE - MARTA REGNAULT - poi MONSIGNOR GUIDO.

MARTA. - Non sono sola, contessa; porto con me una visita illustre... (Va a salutare Fiorenza.)

LA CONTESSA. - Naturalmente!... Se non fosse illustre non sarebbe con te... Che cos'è?... Un duca, un principe?

MARTA. - Proprio così, contessa. Un principe della chiesa.

(Entra Monsignor Guido.)

LA CONTESSA - (alzandosi.) Che grande sorpresa! Ma come mai?... Che cos'è accaduto?

MONSIGNOR GUIDO. - Niente, cugina, niente!  Riprendi il tuo posto... Un giro negli ospedali della regione mi ha condotto qui... Ho voluto salutarvi. (A Fiorenza e alle tre giovanette che si sono inginocchiate al suo arrivo.) Non interrompete il vostro lavoro per causa mia... Non bisogna interromperlo neanche per pregare... In questi momenti, mie care figliole, le preghiere più gradite a Dio, sono queste qui, di lana grigia, nelle quali mettete i vostri pensieri... le vostre speranze e le vostre lagrime... Fatene molte di queste preghiere... Alzatevi... Continuate! (Tocca loro la fronte. Le ragazze si alzano. Fiorenza le accompagna fuori.)

LA CONTESSA - (a Monsignor Guido.) Puoi trattenerti un po' con noi? Se ti trattieni vado ad occuparmi subito del tuo appartamento.

MONSIGNOR GUIDO. - No... Non t'incomodare... Non credo che potrò trattenermi...

LA CONTESSA. - Accomodati.

MONSIGNOR GUIDO. - Notizie dei ragazzi?

LA CONTESSA. - Né buone né cattive... E sono due giorni che non abbiamo neanche i giornali...

MONSIGNOR GUIDO. - Anna, non c'è?

LA CONTESSA. - Era qui poco fa... Dev'essere andata a scrivere... È l'ora.

MONSIGNOR GUIDO. - Come sta?

LA CONTESSA. - Come una mamma che aspetta: male. (A Marta.) Non hai notizie, neanche tu?

MARTA. - Nessuna... Le lettere che mio padre scrive da Parigi, non dicono nulla.

LA CONTESSA. - Forse ha paura che una sua indiscrezione possa apprenderci che c'è la guerra in Europa. (A Monsignor Guido che passeggia in lungo e in largo.) Sembri agitato, Guido.

MONSIGNOR GUIDO. - Sono molto stanco, cugina... molto stanco…

LA CONTESSA. - Dovresti riposarti un po'.

MONSIGNOR GUIDO. - Hai ragione. Vado.

(Entra nell'oratorio e s'inginocchia a pregare.)

FIORENZA -  (entrando.) Ho avvertito la duchessa dell'arrivo di Sua Eminenza. (Vedendo Monsignor Guido nell'oratorio, abbassa la portiera.)

MARTA. - Sarei molto felice di poter salutare la duchessa.

LA CONTESSA. - Sappiamo che ci lasci... Che abbandoni i tuoi feriti.

MARTA. - Ma per andare ad incontrarne degli altri, più gravi, probabilmente.

LA CONTESSA. - E dove?

MARTA. - Non lo so, esattamente. Mandano il nostro treno verso il nord...

LA CONTESSA. - Dagli inglesi. Ne ero certa.

MARTA. - Perché, contessa?

LA CONTESSA. - Perché lo so; come so che non ti mandano, ma che sei tu stessa che hai chiesto di essere mandata.

MARTA. - Posso assicurarvi, contessa...

LA CONTESSA. - C'è  un sacerdote che prega: non dir bugie.

MARTA. - Non so, proprio, Perché avrei chiesto...

LA CONTESSA. - Non lo sai? Te lo dico io: Perché è più chic essere infermiera degli inglesi che degli altri! Ma sì, cara!… Anche la carità ha le sue eleganze, le sue mode, i suoi snobismi!... E hai ragione di andare lassù!... A quanto si dice, gli ospedali inglesi sono delle vere meraviglie di comodità e di lusso... Dei paradisi!... Mi è stato raccontato questo piccolo aneddoto fra il maggiore medico e un nostro povero soldatino trasportato, per caso, in un ospedale inglese dove ammirava, sbalordito, il pigiama di seta, le pantofole di cuoio fine, e i giuochi dei fortunatissimi feriti: « Come stai? » domanda il maggiore mèdico al povero soldatino. « Un po' meglio, signor maggiore.» « Non hai bisogno di niente? Non vuoi niente? » « Sì, signor maggiore: vorrei essere un ferito inglese! » Già!... Essere un ferito inglese è un privilegio; e siccome conosco le tue tenaci ambizioni, è naturale che tu vada tra i privilegiati!

MARTA. - Non ho più ambizioni, contessa!

LA CONTESSA. - Se tu non ne avessi, saresti rimasta modestamente qui al posto che Anna ti ha dato e dove eri utile sul serio!... Ma vuoi che ti dica anche di più? Siccome la nobiltà inglese, con uno slancio veramente stupendo, ha riempito le trincee dei suoi nomi più illustri, sono sicura che tu ci ritorni, per lo meno, duchessa...

MARTA. - Il mio solo scopo è la carità

LA CONTESSA. - E non ti pare una carità sposare un duca con un braccio, una gamba o un qualunque altro pezzo di meno? Ma è carità!... Carità d'avvenire! Dunque auguri!

MARTA. - Mi fa piacere, contessa, di vedervi di così eccellente umore.

LA CONTESSA. - Che vuoi che ti dica?... Ci sono dei piccoli dettagli così divertenti nelle manifestazioni della vostra signorile carità, che mi mettono proprio di buon umore! Ah! ecco Anna! Ti difenderò!

SCENA TERZA.

DETTE - LA DUCHESSA - MONSIGNOR GUIDO.

MARTA. - Sono venuta per salutarvi, duchessa, e per chiedervi qualche ordine per Parigi... E fuggo subito perché la contessa non mi dà pace...

ANNA. - Sapevo della tua partenza! È una sgradevole sorpresa quest'improvvisa diserzione Perché non ho nessuno da mettere al tuo posto...

LA CONTESSA. - Non è mica colpa sua, poverina... La mandano, lei va... Non è vero?

ANNA. - Buona fortuna, allora. Saluta tuo padre.

MARTA. - Non mancherò. Parto, anche, per avvicinarmi un po' a lui... E solo, povero vecchio!

LA CONTESSA. - Che amore

MARTA. - I miei più fervidi auguri per i vostri due cari assenti e per tutta la vostra casa...

ANNA. - Grazie, Marta...

MARTA. - Non voglio disturbare Sua Eminenza... Mi permetto di pregarvi, duchessa, di salutarla e di chiederle una benedizione per me...

LA CONTESSA. - Come la vuoi?... Nuziale?

MARTA. - Terribile contessa!

(Saluta tutti ed esce.)

ANNA. - Vi divertite a tormentarla.

LA CONTESSA. - È una sciocca...

ANNA. - Insegne il suo sogno! Che Iddio le dia fortuna!

LA CONTESSA. - Se le desse un marito le farà più piacere...

ANNA. - Avete delle lettere, mamma? Datemele: partono a momenti...

LA CONTESSA. - Sì... ne ho parecchie... Dove le ho messe!

(Entra  Monsignor Guido dall'oratorio.  Anna gli va incontro e vuoi baciargli la mano, ma lui glielo impedisce, la prende invece, fra le braccia e la bacia sulla fronte.)

ANNA. - Come ti ringrazio di essere venuto... Ho tanto bisogno di parlare con te...

LA CONTESSA -  (alzandosi, a Fiorenza.) Vuoi che andiamo noialtre a portare queste lettere?

FIORENZA. - Sì, contessa.

MONSIGNOR GUIDO - (a Fiorenza.) Non sento parlare che di voi, cara piccina, del vostro zelo, della vostra dolcezza... Ma non ne sono punto stupito... Avete le sembianze di un angelo; è giusto ne abbiate anche i sentimenti.

ANNA. - Fu una vera ispirazione chiedere a suo padre di lasciarmela qui... È proprio l'angelo della nostra carità.

LA CONTESSA. - E della nostra organizzazione.

MONSIGNOR GUIDO. - Se come modesto anticipo di ricompensa volete accettare l'ammirazione di un vecchio prete, ve la offro di tutto cuore.

FIORENZA. - Eminenza! (Gli bacia la mano.)

LA CONTESSA. - Anna, se vuoi parlare con Guido, dammi anche le tue lettere.

ANNA - (dandole una lettera.) Grazie, mamma... Credo sia ora di portarle.

LA CONTESSA. - Andiamo subito. (Mentre si avvia verso l'uscita mostra a Fiorenza la lettera di Anna.) Gastone.

FIORENZA. - Sempre!

SCENA QUARTA.

ANNA - MONSIGNOR GUIDO.

ANNA. - Venendo hai proprio indovinato il mio desiderio di vederti... Ti avrei scritto' oggi... Ho bisogno di te, della tua parola, della tua volontà...

MONSIGNOR GUIDO. - Ma che cosa accade, Anna? Sembri depressa... turbata... Il tuo viso è sconvolto… troppo pallido... Che cosa accade?

ANNA. - Accade... Guido... Accade che non ho più pace perché non ho più coraggio...

MONSIGNOR GUIDO. - Non dirlo...

ANNA. - Accade che sono inchiodata a una paura che mi logora, che mi strazia, ma che, disgraziatamente, non avrà la forza di ammazzarmi...

MONSIGNOR GUIDO. – Anna!

ANNA. - E sono disperata di sentirmi così robusta, così resistente al dolore... Non puoi sapere che cosa sia diventata la mia vita... Alle notti senza sonno, succedono le giornate senza quiete... sempre! Continuamente!... Eppure, queste mie giornate interminabili le riempio di tutte le fatiche possibili... Moltiplico febbrilmente la mia attività... Faccio il lavoro di dieci operaie... Parlo, discuto, chiedo, ottengo, do, preparo, organizzo... Mi esaurisco ogni giorno più che posso e quando mi stendo sul letto, coi nervi rotti, colle membra indolenzite, sfinita, colla speranza di un po' di sonno... Niente!... Mai!... Non è il sonno, ma una inerzia pesante piena di allucinazioni e di terrori!... Non ne posso più!... Vorrei finirla!... Vorrei chiudere gli occhi, il cervello e il cuore... per non vedere, per non sapere e, più di tutto, per non aspettare... Ecco lo spavento: aspettare!... La mia vita è ormai ridotta all'attesa di una notizia che mi può fulminare da un momento all'altro... E non ne posso più!... Parlami tu! La tua  voce mi fa sempre bene. Parlami!  Dammi un po’ di serenità... Perché non ne posso più... credi... non ne posso più...

MONSIGNOR GUIDO. - Anna!... Anna!... Non mi sarei mai aspettato questo spettacolo così poco degno di te!... Non ti riconosco... Vedo tutti i giorni delle mamme che non hanno né il tuo nome, né le tue tradizioni, né le tue ricchezze!... Che non hanno, come te, il dovere di dare l'esempio!... Che non hanno, come te, il supremo conforto di fare tanta carità!... Delle mamme che non hanno altro che l'umile dovere di soffrire e che lo compiono meglio di te, più cristianamente, perché non si ribellano...

ANNA. - Io sarò più punita di tutte... Io soffrirò più di tutte...

MONSIGNOR GUIDO. - Non vantarti così, figliuola mia!... Non vantarti così... In questa grande catastrofe il credersi un'eletta del dolore è peccato d'orgoglio... Non commetterlo!... È il peggiore, il più crudele, il più sfrenato di tutti i peccati... E l'orgoglio che ha rovinato il mondo!... L'orgoglio di potenza, l'orgoglio di ricchezza, l'orgoglio di forza, l'orgoglio di dominazione, l'orgoglio di gloria, l'orgoglio di razza... Persino l'orgoglio di fede; persino l'orgoglio di civiltà... Già!... La civiltà, cioè la luce, ha raggiunto una tale intensità di bagliori che gli uomini ne sono rimasti accecati!... Ed è questo scatenamento d'orgoglio che espiamo tutti!... E tutti siamo puniti, egualmente, dal flagello!... Tutti!... È un nuovo diluvio che ci sommerge... più lungo, più terribile dell'altro, Perché è di lagrime e di sangue!... Nessuno si salverà dal dolore, e se ora un nuovo Noè costruisse un'arca, ci sarebbe, forse, un ultimo siluro per affondarla Perché l'iniquità ha toccato la perfezione!... E siamo tutti eguali dinanzi a questa morte della pietà! Dunque non vantarti di dovere o potere soffrire più degli altri... Non è possibile!... Noi che viviamo ora siamo marcati per sempre, Perché dopo la strage dovremo soffrire nel ricordo... Non ci sarà più vera pace per i nostri spiriti, Anna; e l'unica consolazione possibile è ormai nella parola del Vangelo: « Nulla sarà difficile a Dio! » Preghiamo, Anna, preghiamo che non gli sia difficile neanche il miracolo di far nascere l'uomo nuovo, l'uomo di domani, più buono, più contentabile, più indulgente e più umano!... È la sola speranza di questo grande strazio!... Sii forte, Anna, forte e umile nella parte di dolore che ti tocca!... Non ribellarti! Non imprecare!... Non urlare!... È inutile!... C'è troppo rumore di empietà nel mondo e il tuo urlo andrebbe perduto, come una lagrima, in una tempesta d'oceano!... E la tua coscienza di madre...

ANNA. - La mia coscienza è torturata da un rimorso atroce...

MONSIGNOR GUIDO. - Liberatene... Anna... Parla!

ANNA.  - Ho commesso un delitto: peggio, una vigliaccheria; peggio ancora: un sacrilegio!... Ed è per questo che vivo nell'ansia e nello spavento della punizione!... So di meritarla!... So che non potrò gridare all'ingiustizia quando mi colpirà... Ed è per quésto che non so più aspettarla!... E bisogna che parli per non soffocare... Bisogna che parli pur sapendo che non ci può essere misericordia per quello che ho fatto io...

MONSIGNOR GUIDO. - Per ogni peccato c'è una misericordia!... Parla; dimmi la causa di questo tormento...

ANNA. - Ho mancato a un giuramento sacro...

MONSIGNOR GUIDO. - Se lo hai fatto a scopo di bene...

ANNA. - No!

MONSIGNOR GUIDO. - Anna!

ANNA. - Aspetta... mi condannerai dopo!... Tu fosti al letto di morte di mio marito... E fu in tua presenza che gli giurai di non parlare mai a Roberto della sua nascita... Ricordi?

MONSIGNOR GUIDO. - E ricordo che mori ringraziandoti e benedicendo la tua bontà...

ANNA. - Ebbene... sappi ch'è successo un tale scandalo nel mio cuore... che mi ha fatto dimenticare tutto... Aspetta!... Non togliermi il coraggio della confessione! Non cerco di giustificarmi ma di spiegarti, di spiegare a me stessa l'accaduto... Senti: Roberto, non so come, non so da chi, aveva saputo, ma aveva saputo male, aveva saputo a mio danno...

MONSIGNOR GUIDO. - Non ti capisco, Anna...

ANNA. - Roberto si credeva nato da me... cioè, da una mia colpa di gioventù... da un mio inconfessabile peccato d'amore... E me lo ha detto... capisci? Me lo ha gridato sul viso... Allora mi sono difesa, troppo... troppo terribilmente... Il terrore che un giorno, forse, dopo la mia morte, Gastone avrebbe potuto essere ingannato, che anche lui avrebbe potuto credere quest'infamia... e che si sarebbe vergognato di me... questo terrore mi ha fatto urlare, mi ha fatto odiare senza pietà... E allora, come, se un demonio avesse parlato per me, ho rinfacciato a quel povero ragazzo ciò che egli era, ciò che aveva usurpato ciò che mi aveva preso di maternità e d'amore, ciò che avevo fatto per lui!... Tutto!... Tutto!... E per un'ora gli ho inflitto nel cuore delle parole di sprezzo, di rabbia e di odio! Delle parole che non dimenticherà più, che non perdonerà più... E dopo sono partiti tutti e due... La guerra insaziabile li ha portati via!... Sono andati... Gastone, con un'illusione di gloria... L'altro con una speranza di morte!... E dopo, più niente!... L'attesa angosciosa, eterna del decreto di Dio che mi deve colpire!... Quale sarà? Come mi sarà portato?... In che forma?... Da chi?

MONSIGNOR GUIDO. - China il capo, Anna!... Raccogli in una preghiera tutte le tue forze, tutto il tuo coraggio... Non troverai il perdono che nell'espiazione...

ANNA. - Che cosa vuoi dirmi?… Che cosa...

MONSIGNOR GUIDO. - Non chiedere... Vai prima a raccoglierti... Vai a chinare il capo sulla pietra dell'altare e chiedi al Redentore di tutte le colpe e di tutti i peccati, la forza...

ANNA. - Guido!... Mi spaventi!... Perché sei venuto qui, oggi...

(Quasi correndo entrano la contessa e Fiorenza.)

SCENA QUINTA

DETTI – LA CONTESSA – FIORENZA – GERARDO

LA CONTESSA - Anna!... Anna!

ANNA - Che cosa?... Mamma!... Che cosa avete?

LA CONTESSA - Forse niente... di male!... Forse una buona notizia.

ANNA - Ma da chi?... Parlate per carità...

LA CONTESSA. - Eravamo sulla torretta; aspettavamo l'automobile dalla stazione... coi giornali. E ad un tratto... Non posso!... Io non posso!...

FIORENZA. - Ad un tratto è apparsa un'altra automobile grigia... grande... bassa... che viene qui di certo!... E abbiamo anche visto ch'è un soldato che la conduce... e che non c'è nessun altro... Un soldato solo...

(Anna si slancia.)

MONSIGNOR GUIDO - (trattenendola.) Anna... rimani... Aspetta...

ANNA. - Perché?... Tu sai!... Tu sai!...

MONSIGNOR GUIDO - (prendendola fra le braccia.) Sì, so!... Che Iddio sia con te in questo momento! (Tira fuori il telegramma.) Guarda!... È del ministro della guerra... Vuoi? Senti di potere...

 ANNA - (con uno sforzo supremo.) Sì...

MONSIGNOR GUIDO - (legge lentamente.) «Prego Vostra Eminenza di trasmettere alla duchessa di Nièvres, che non ho l'onore di conoscere personalmente, il mio più rispettoso rimpianto per la gloriosa morte di suo figlio. »

ANNA - (con un urlo irresistibile.) Quale?

MONSIGNOR GUIDO - (con grande forza.) Anna... non meriti perdono se bestemmi anche dinanzi alla morte.

ANNA. - Sì... sì... Hai ragione!... Guarda... ai tuoi piedi... Mea culpa! Mea culpa! Mea culpa!

GERARDO  - (precipitandosi.) Signora duchessa! Signora duchessa!

ANNA - (alzandosi di scatto.) Ma chi?...

(Entra Roberto.)

SCENA SESTA.

ROBERTO - DETTI - meno GERARDO.

FIORENZA e LA CONTESSA. - Roberto!

ANNA  - (lo guarda smarrita, senza forza di parlare né di piangere.) Tu!... tu?... Allora... Il mio piccolo... Il mio povero... Ah... Dio!... non credere di avermi sorpresa!... Lo sapevo!... Il massimo della pena!... Lo sapevo... Avevo il cuore in agonia, Perché sapevo!

ROBERTO - (le si avvicina lentamente mentre Monsignor Guido entra con la contessa e con Fiorenza nell'oratorio.) Mi avete detto che la vita è pazza per me...

ANNA. - Non ricordare... abbi pietà!

ROBERTO. - Posso giurarvi che io non sono pazzo di lei!... Ho fatto disperatamente il mio dovere e lo farò ancora... Il destino mi ha risparmiato ed ha aggiunto a tutti i miei rimorsi quello di essere qui, ora, invece di Gastone... So che se fosse venuto lui a portarvi il mio ultimo pensiero sareste stata meno infelice... Non è colpa mia. Perdonatemi!

ANNA. - Non punirmi troppo... anche tu!

ROBERTO. - Una scalfittura da niente, qui, alla spalla, mi ha valso una licenza di poche ore... Devo ritornare al mio posto, subito... Ho attraversato la Francia per portarvi il suo ultimo bacio e la sua ultima parola...

ANNA. - Dilla... Dilla... Dilla...

ROBERTO. - È una parola semplice e dolce nella quale c'è tutto... È la parola piccola, piccola, che dei milioni di uomini, in quella rabbia tremenda, hanno pronunciata morendo... o che hanno pensata se non hanno avuto il tempo di dirla... È la parola che dirò anch'io, più forte degli altri, perché io non saprò a chi dirla... a chi mandarla... È stata l'ultima parola di Gastone...

ANNA. - L'aspetto come un perdono da te! Dilla...

ROBERTO. - Mamma!

ANNA - (gettandogli le braccia al collo, freneticamente.) Ancora! Ancora!

ROBERTO. - Mamma! Mamma! Mamma!

CALA LA TELA