La notte degli assassini

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LA NOTTE DEGLI ASSASSINI

Titolo originale: La noche de les asesinos

Commedia in due atti

di JOSE’ TRIANA

Traduzione: Wanda Garatti

PERSONAGGI

LALO

CUCA

BEBA

La scena: un seminterrato o un solaio o una camera-sof­fitta. Un tavolo, tre sedie, tappeti consunti, tende di tela a -fiori sporche con grandi buchi, portafiori, un campanello, un coltello e alcuni oggetti in disuso ammucchiati in un an­golo insieme a una scopa e un piumino per la polvere.

I personaggi quando incarnano altri personaggi devono farlo con la più grande semplicità e spontaneità possibili. Non si devono usare elementi caratterizzanti. Essi sono ca­paci di rappresentare il mondo senza bisogno di ricorrere ad artifici. Di questo si deve tenere conto per la elaborazio­ne della regia.

Questi personaggi sono adulti, però conservano una certa grazia adolescente sebbene un poco avvizzita. Sono, in ulti­ma analisi, figure di un museo in rovina.

Commedia formattata da Cateragia per il GTTEMP

ATTO PRIMO

Lalo                               - Chiudi quella porta. (Battendosi il petto, esaltato, con gli occhi sbarrati) Un assassino. Un assassino. (Cade in ginocchio)

Cuca                              - (a Beba) Ma questo cosa vuole?

Beba                              - (indifferente, osservando Lalo) La rappresentazio­ne è incominciata.

Cuca                              - Un'altra volta?

Beba                              - (infastidita) Dai... Come se fosse una novità!

Cuca                              - Per favore non agitarti.

Beba                              - Tu vivi nella luna.

Cuca                              - Papà e mamma non sono ancora usciti.

Beba                              - E che cosa importa?

Lalo                               - Io li ho uccisi. (Ride. Poi stende le braccia verso il pubblico con atteggiamento solenne) Non vedi là le due bare? Guarda i ceri, i fiori... Abbiamo riempito la casa di gladioli. I fiori che più piacevano alla mamma. (Pausa) Non si possono lamentare. Dopo morti li abbiamo accontentati. Io stesso ho vestito quei corpi rigidi, vischiosi... e ho sca­vato con queste mani una buca ben profonda. Terra, vieni terra... (Si alza rapidamente) Ancora non hanno scoperto il delitto. (Sorride. A Cuca) Cosa ti sembra? (Le accarezza il mento con gesto puerile) Capisco: ti spaventi. (Si allon­tana) Con te è impossibile.

Cuca                              - (spolverando i mobili con un piumino) Non sono fatta per queste sciocchezze.

Lalo                               - Come? Consideri un delitto una sciocchezza? Hai un bel coraggio, tu! Ma lo pensi davvero?

Cuca                              - (decisa) Si.

Lalo                               - Allora che cosa è importante per te?

Cuca                              - Dovresti aiutarmi. Bisogna mettere in ordine la casa. Questa stanza è uno schifo. Topi, scarafaggi, tarme, centopiedi... (Con disgusto) Il sacro calice. (Toglie un porta­cenere dalla sedia e lo mette sulla tavola)

Lalo                               - E tu credi che spolverando con un piumino risol­verai molto?

Cuca                              - Meglio di niente.

Lalo                               - (autoritario) Torna a mettere il portacenere al suo posto.

Cuca                              - Il portacenere deve stare sulla tavola e non sulla sedia.

Lalo                               - Fa' quello che ti dico.

Cuca                              - Non ricominciare Lalo.

Lalo                               - (prende il portacenere e lo mette un'altra volta sul­la sedia) So quello che faccio. (Prende il portafiori e lo mette sul pavimento) In questa casa il portacenere deve stare su una sedia e il portafiori sul pavimento.

Cuca                              - E le sedie?

Lalo                               - Sui tavoli.

Cuca                              - E noi?

Lalo                               - Galleggiamo a piedi in su e testa in giù.

Cuca                              - (seccata) Mi sembra fantastico, perché non lo facciamo? Stai inventando una cosa meravigliosa. Se qual­cuno ti sentisse che cosa penserebbe? (Con un altro tono: più dura) Senti Lalo, se continui cosi finisce male... vatte­ne. Lasciami tranquilla. Io farò quello che posso e basta.

Lalo                               - (con intenzione) Non vuoi che ti aiuti?

Cuca                              - Falla finita.

Lalo                               - Allora tu non impicciarti dei fatti miei. Io voglio tenere il portacenere li, il portafiori là. Lasciali li. Sei tu che vuoi comandare, non io.

Cuca                              - Sai che bello ! Adesso sono io quella che vuol co­mandare? Non mi dire. È il colmo. A dunque io... Guarda Lalo, smettila per favore. L'ordine è l'ordine.

Lalo                               - Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.

Cuca                              - Cosa dici?

Lalo                               - Hai sentito benissimo.

Cuca                              - Insomma, Lalo, non capisco. Davvero. Non so cosa stai tramando. Mi sembra tutto senza capo né coda. Insomma, faccio una confusione tremenda e non sono più capace di fare né di dire niente. E poi è terribile se è come me lo immagino io. Non può condurci a niente di buono.

Lalo                               - Ancora paura? Se vuoi vivere nel mondo, ficcatelo bene in quella testa di passerotto che hai, dovrai fare mol­te cose e tra queste dimenticarti che esiste la paura.

Cuca                              - Come se fosse tanto facile! Una cosa è parlare, un'altra vivere.

Lalo                               - Allora fai in modo che le parole che dici vadano d'accordo con la vita che vivi.

Cuca                              - Non torturarmi più. Smettila di farmi prediche, non sei il tipo. (Spolverando una sedia) Guarda in che con­dizioni è questa sedia, Lalo! Chissà da quanto tempo non l'hanno pulita! Che orrore. Ci sono perfino delle ragnatele.

Lalo                               - Terribile. (Avvicinandosi cautamente, fingendo di prenderla sul serio) L'altro giorno mi sono detto: "Dobbia­mo pulire"; ma dopo ci siamo persi in non so quale scioc­chezza e... adesso guarda, guarda li... (Pausa. Tornando se­rio) Perché non provi?

Cuca                              - (quasi in ginocchio, vicino alla sedia, pulendola) Non trascinarmi in questa storia.

Lalo                               - Dai, sforzati.

Cuca                              - Non insistere.

Lalo                               - Solo un poco.

Cuca                              - Non ce la faccio. (Beba che stava nel fondo pu­lendo con uno straccio alcuni mobili vecchi e cianfrusaglie da cucina avanza verso il proscenio con un sorriso ermeti­co. I suoi gesti ricordano in certi momenti Lalo)

Beba                              - Vedo quei cadaveri e non mi sembra vero. È uno spettacolo da vedere. Mi si rizzano i capelli. Non voglio pensare. Mai mi sono sentita cosi felice. Guardali. Volano, si disgregano.

Lalo                               - (come un gran signore) Sono arrivati gli invitati?

Beba                              - Stanno salendo le scale.

Lalo                               - Chi?

Beba                              - Margherita e il vecchio Pantaleone. (Cuca conti­nua le sue faccende, anche se in alcuni momenti rimane in­cantata a contemplarli)

Lalo                               - (con disprezzo) Quella gente non mi piace. (Con altro tono, violento) Chi li ha avvisati?

Beba                              - Che ne so io? No, non guardarmi cosi. Ti giuro che non sono stata io.

Lalo                               - Allora è stata lei. (Indica Cuca) Lei.

Cuca                              - (continuando a pulire il mobile) Io?

Lalo                               - Tu, si, tu. Gatta morta.

Beba                              - Forse sono stati loro a decidere di venire.

Lalo                               - (a Beba) Non cercare di difenderla. (A Cuca che si alza e si asciuga il sudore dalla fronte con il braccio destro) Tu, sempre tu, che stai a spiarci (comincia a girare intorno a Cuca) che segui sempre i nostri passi, quello che facciamo, quello che pensiamo. Che ti nascondi dietro le tende, le porte, le finestre... (Con un sorriso di dispetto) La bambina viziata, la cocca della mamma vuole fare le sue indagini. (Tra violente risate) Due più due quattro. Sherlock Holmes accende la sua pipa logica. Che schifo... (Con altro tono, attento come un gatto in agguato) Non sei mai d'accordo. Cosa vuoi sapere?

Cuca                              - (piena di timore, non sa come entrare nella situa­zione) Io Lalo, io... veramente... (Bruscamente) Non prendertela con me.

Lalo                               - Allora perché cerchi di... Perché ti mescoli con quella gente miserabile?

Cuca                              - (con gli occhi pieni di lagrime) Se vuoi posso di­mostrarti che io non avevo nessuna intenzione...

Lalo                               - È questo che non ti perdono.

Cuca                              - (cercando di stare al gioco, con una certa superbia) Sono amici miei.

Lalo                               - (con uno sdegno furibondo) Amici tuoi, mi fai pena. (Con un sorriso di trionfo) Non credere di ingannarmi. È stupido. Sei ridicola. Vuoi, non vuoi, giochi al gatto col topo, tiri la pietra e nascondi la mano. Io so già che non hai il coraggio di dire le cose come sono... (Pausa) Se ci sei nemica mostra i denti, mordi, ribellati.

Cuca                              - (fuori dal gioco) Smettila.

Lalo                               - Deciditi.

Cuca                              - Mi fai impazzire.

Lalo                               - Coraggio.

Cuca                              - (soffocata) Perdonami. Ti supplico.

Lalo                               - (imperativo) Su, cominciamo.

Beba                              - (a Lalo) Non tormentarla.

Lalo                               - Guardami in faccia.

Cuca                              - Mi gira la testa.

Lalo                               - Mettiti di fronte a me.

Cuca                              - Non posso.

Beba                              - (a Lalo) Lasciala in pace un momento.

Cuca                              - (singhiozzando) Non è colpa mia. Sono cosi; non posso cambiare. Magari potessi!

Lalo                               - (seccato) Che sciocca sei!

Beba                              - (a Cuca) Vieni, andiamo... (La allontana e la ac­compagna a una sedia) Asciugati quelle lacrime. Non ti ver­gogni? Ha ragione lui. Non è cosi che si fa, sei stata troppo impertinente. (Pausa. Le accarezza i capelli con la mano) Vediamo, vediamo. (Con un tono molto amabile) Non fare quella faccia. Sorridi, cara. (Con tono materno) Non avresti dovuto farlo: però, una volta che hai deciso, devi arrivare fino in fondo. (Scherzando) Questo nasino rosso sembra una ciliegina. (Dandole un colpetto sul naso con l'indice della mano destra) Sciocchina, che sciocchina che sei. (Sor­ride)

Cuca                              - (aggrappandosi a Beba) Non voglio vederlo.

Beba                              - Calmati.

Cuca                              - Non voglio sentirlo.

Beba                              - Non ha mai mangiato nessuno.

Cuca                              - Il cuore... Sentilo, sembra che stia scoppiando.

Beba                              - Non fare la bambina.

Cuca                              - Te lo giuro, sorellina.

Beba                              - Devi abituarti.

Cuca                              - Vorrei scappare.

Beba                              - Succede sempre in principio.

Cuca                              - Non ce la faccio.

Beba                              - Dopo è più facile.

Cuca                              - Mi dà la nausea.

Lalo                               - (con un secchio in mano, facendo una invocazione) Oh, Afrodite, accendi questa notte di vituperi.

Cuca                              - (a Beba, angosciata) Eccolo che ricomincia.

Beba                              - (a Cuca, conciliante) Lascialo, non fargli caso.

Cuca                              - Ho voglia di sputargli addosso.

Beba                              - Non stuzzicarlo.

Lalo                               - (come un imperatore romano) Oh, assistetemi, muoio di tedio. (Cuca, incapace di mettersi allo stesso li­vello di Lalo, lo respinge con tono di scherzo)

Cuca                              - Che prodezza straordinaria. È uguale a tuo zio Ciccio. Vero caro? (Con schifo) Sei un mostro.

Lalo                               - (come un signore molto importante) Mentre gli dei tacciono il popolo schiamazza. (Tira il secchio verso il fondo)

Cuca                              - (come la madre con tono sarcastico) Tira, rompi, tanto non sei tu che paghi.

Lalo                               - (con un sorriso verso la porta) Oh, che sorpresa.

Beba                              - (a Cuca) Ti senti meglio? (Cuca muove afferma­tivamente la testa)

Lalo                               - (salutando dei personaggi immaginari) Avanti avanti. (Come se stringesse loro la mano) Oh, come va?

Beba                              - (a Cuca) Ti decidi? (Cuca muove affermativamen­te la testa)

Lalo                               - (a Beba) Sono li.

Beba                              - (a Lalo) Lasciali, se ne andranno subito.

Lalo                               - (a Beba) Sono venuti per terrorizzarci.

Cuca                              - (ai personaggi immaginari) Buona sera Marghe­rita.

Lalo                               - (a Cuca) Vengono a fiutare il sangue.

Beba                              - (ai personaggi immaginari) Come state?

Cuca                              - (a Lalo) Tu devi sempre essere il solito maligno.

Beba                              - (a Cuca. Come la madre) Non cominciare. (Ai per­sonaggi immaginari) L'asma è una malattia pirotecnica. Sicuramente continua a fare stragi.

Lalo                               - (a Cuca) Questa non te la perdonerò.

Cuca                              - (come se prestasse attenzione a quello che dicono i personaggi immaginari. Con un sorriso malvagio. A Lalo tra i denti) Occhio per occhio, dente per dente.

Beba                              - (come la madre. A Lalo tra i denti) Sii educato Lalo.

Lalo                               - (a Beba) È un insulto. (In altro tono con un sor­riso ipocrita ai personaggi immaginari) E lei, Pantaleone? Era tanto che non la vedevo. Dove si era cacciato?

Beba                              - (sospingendo i personaggi immaginari) Come va la sua orina? L'altro giorno mi hanno detto...

Cuca                              - (sospingendo i personaggi immaginari) La sua vescica funziona bene?

Beba                              - (meravigliata) Come, ancora non si è operato di emorroidi.

Cuca                              - (scandalizzata) Oh, ma davvero? E l'ernia?

Lalo                               - (con un sorriso ipocrita) E lei Margherita, come sta bene! Continua a crescere il suo fibroma? (A Beba) In­trattienili tu.

Beba                              - (a Lalo) Non so cosa dirgli. Ho esaurito il re­pertorio.

Lalo                               - (a bassa voce, spingendola) Qualsiasi cosa. In ogni modo ti riuscirà male. (Se ne va verso il fondo)

Beba                              - (guarda verso Lalo angosciata. Pausa. Immediata­mente dopo si dedica alla commedia delle finzioni) Co­me è bella. Mi sembra che la primavera le doni... non so... un'aria speciale, una forza... insomma. Fa caldo vero? Mi sento gonfia. (Ride tra sé) Ma, Pantaleone, che sfacciatello è lei. Un vero villanaccio. Si si, non finga. La sua verruca è diventata bellissima.

Lalo                               - (come Pantaleone) Non esagerare, non ti credo. Gli anni, figlia mia, consumano e finiscono per ridurti uno straccio, che è la cosa peggiore. (Sorride malizioso) Se tu mi avessi conosciuto ai miei bei tempi, quelli delle vacche grasse... Ah, se quell'epoca risuscitasse.. Ma figurati, chiedo l'impossibile. (Con un tono particolare) Oggi ho un dolo-retto fisso qui... (Accenna alla regione addominale) È come una fitta, la punta di un ago... (Sospira) Sono vecchio, ri­dotto a un rottame. (In tono diverso) E ogni giorno, tutto va peggio. Anche i figli : non rispettano, né ti perdonano.

Beba                              - (come Margherita, seccata) Non dire queste cose, perbacco. Non mi sembra il caso. (A bassa voce) Cosa ti salta in mente di parlare di corda in casa dell'impiccato? (Con un sorriso) Che cosa penseranno questi ragazzi cosi belli e simpatici? (A Cuca) Vieni qui bambola, perché ti nascondi? Di chi hai paura? Chi è il cocco di casa? (Cuca non si muove) Vieni qui, o per caso sono una vecchia trop­po brutta? Vieni, non essere cattiva, cara; dimmi, e i tuoi genitori? Dov'è la tua mammina?

Lalo                               - (saltando dalla sedia, violento; al pubblico) Ades­so lo vedete. Non l'avevo detto? Per questo sono venuti. Li conosco. Non mi sbaglio. (A Cuca, accusatore) Sono amici tuoi. Toglili di qui. Sono venuti a curiosare... (Gridando) Che vadano al diavolo. Mi senti? È finita. (Cuca non sa che fare. Si muove, gesticola, vuol dire qualcosa, però non ne ha il coraggio o non può)

Beba                              - (come Margherita. A Cuca) Non voglio andarme­ne cosi presto. Siamo venuti a fare la nostra solita visitina. Ve la dovevamo da due mesi. Ma sono cosi giù di forma. Sicuramente tua madre avrà da regalarmi alcune foglie di calendula e un pezzettino di legnosanto.

Lalo                               - (frenetico) Digli di andarsene, Cuca. Digli che va­dano a quel paese. (Come se avesse un frusta in mano e li minacciasse) Fuori, fuori di qui. Quella è la porta.

Cuca                              - (a Lalo) Non essere villano.

Beba                              - (come Margherita. Con grida soffocate di ribellione) Ci maltrattano, è un'infamia. Figli del diavolo.

Cuca                              - (a Lalo. Padrona della situazione) Sembra che tu perda le staffe molto facilmente.

Beba                              - (ai visitatori immaginari) Vi prego di scusarlo.

Cuca                              - (a Lalo) Non ti hanno fatto niente.

Beba                              - (ai personaggi immaginari) Ha i nervi molto scossi.

Cuca                              - (a Lalo) Sei un incosciente.

Beba                              - (ai personaggi immaginari) Il dottor Mendieta gli ha ordinato molto riposo.

Cuca                              - (a Lalo) Che mancanza di tatto, di educazione, di tutto.

Beba                              - (ai personaggi immaginari) È una crisi inaspettata.

Cuca                              - (a Lalo che ride da solo) Sei imperdonabile.

Beba                              - (ai personaggi immaginari) Addio Margherita. Buona notte Pantaleone. Non si dimentichi. Mamma e papà sono andati a Camagùey e non sappiamo quando... Speriamo che tornino presto. Addio. (Manda un bacio con fìnta tenerezza. Pausa. A Lalo) Che brutto momento mi hai fatto passare! (Si siede al fondo e comincia a lucidare le scarpe)

Cuca                              - (sottilmente minacciosa) Quando la mamma lo saprà...

Lalo                               - Va' a dirglielo, va'. (Chiamando) Mamma, papà. (Ride) Mammina, paparino. (Sfidandola) Fa' presto, va', spif­feraglielo subito. Sicuramente ti saranno riconoscenti. A-vanti, corri. (Prende Cuca per un braccio e la conduce si­no alla porta. Torna verso il proscenio) Sei un disastro, non arrivi mai fino in fondo. Vuoi e non vuoi, sei e non sei. Credi che basti essere cosi? Bisogna sempre rischiare. Non importa vincere o perdere. (Sarcastico) Ma tu vuoi andare sul sicuro. La strada più facile. E qui sta il pe­ricolo. Perché in questo tira e molla, resti in aria senza sapere cosa sei e, quel che è peggio, senza sapere quello che vuoi.

Cuca                              - (sicura) Non prendertela tanto.

Lalo                               - Per quanto tu lo voglia, non ti potrai salvare.

Cuca                              - Nemmeno tu potrai.

Lalo                               - Non sarai tu a impedirmelo.

Cuca                              - Ogni giorno che passa diventerai più vecchio... e qui... qui, qui, chiuso tra ragnatele e polvere. Lo so, lo vedo, lo respiro. (Con un sorriso malvagio)

Lalo                               - Ah, si, e allora?

Cuca                              - Giù, giù, sempre più in basso.

Lalo                               - Questo è quello che vuoi tu.

Cuca                              - Non farmi ridere.

Lalo                               - È la verità.

Cuca                              - Faccio quello che voglio.

 Lalo                              - Finalmente è saltato fuori il galletto da battaglia.

Cuca                              - Dico quello che penso.

Lalo                               - Ma non ti rendi conto che quello che io pro­pongo è semplicemente l'unica soluzione che abbiamo. (Af­ferra una sedia e la muove nell'aria) Questa sedia, io vo­glio che stia qui. (Di colpo mette la sedia in un posto de­terminato) E non qua. (Di colpo colloca la stessa sedia in un altro posto determinato) Perché qui       - (rapidamente torna a collocarla allo stesso posto di prima) mi è più utile: pos­so sedermi meglio e più rapidamente. Mentre qui     - (rimette la sedia al secondo posto) è solo un capriccio, una stupi­daggine e non funziona. Papà e mamma non vogliono. Cre­dono che quello che io penso e voglio fare sia fuori da qualsiasi logica. Vogliono che tutto resti immobile, che niente si muova dal suo posto... E questo è impossibile: perché tu, Beba e io... (Con un grido) È intollerabile; (con tono diverso) e s'immaginano che io faccia queste cose per contraddirli, per umiliarli, per oppormi...

Cuca                              - In una casa i mobili...

Lalo                               - (rapido, energico) È una scusa. Che cosa impor­ta la casa, cosa importano questi mobili se noi non siamo niente, se noi semplicemente andiamo e veniamo in mezzo a loro come un portacenere, un portafiori o un coltello va­gante? (A Cuca) Cosa sei tu un portafiori? Ti piacerebbe scoprire un giorno che sei proprio questo? O che ti hanno trattato come un portafiori per buona parte della tua vita? E io sono un coltello? E tu Beba, sei contenta di essere un portacenere? No, no. È stupido. (Con ritmo meccanico) Mettiti qui, mettiti là. Fa' questo, fa' quest'altro. (Con un altro tono) Io voglio la mia vita: questi giorni, queste ore, questi minuti... Voglio andarmene e fare cose che desidero e sento. Ma ho le mani legate, ho i piedi legati. Ho gli occhi bendati. Questa casa è il mio mondo. E questa casa diventa vecchia, sporca e puzzolente. Mamma e papà, sono loro, i colpevoli. Mi dispiace, ma è cosi. E la cosa più terribile è che loro non si fermano un minuto a pensare che le cose dovrebbero essere diverse. E tu? nemmeno. E Beba? meno ancora... Se Beba gioca è perché non può fa­re altro.

Cuca                              - Ma perché te la prendi con mamma e papà? Perché dai tutta la colpa a loro?

Lalo                               - Perché loro hanno fatto di me un inetto.

Cuca                              - Questo non è vero.

Lalo                               - Perché dovrei mentire?

Cuca                              - Cerchi di giustificarti.

Lalo                               - Cerco di essere il più sincero possibile.

Cuca                              - Questo non ti dà il diritto di esigere tanto. An­che tu sei terribile. Ti ricordi quali erano i tuoi giochi? Distruggevi tutte le nostre bambole; inventavi follie; vo­levi che noi due fossimo la tua ombra, o qualcosa di peg­gio, uguali a te.

Lalo                               - Era l'unico modo per liberarmi dal peso che loro mi imponevano.

Cuca                              - Non puoi negare che ti hanno sempre curato e amato.

Lalo                               - Non voglio che mi amino in questo modo. Sono stato tutto per loro meno che un essere di carne e ossa. (Beba dal fondo, lucidando le scarpe, imita il padre)

Beba                              - (come il padre) Lalo, da oggi pulirai i pavimenti. Cucirai la mia biancheria. Cerca di fare attenzione. Tua madre è ammalata e qualcuno deve pur fare queste cose. (Beba va verso il fondo e continua a lucidare le scarpe)

Cuca                              - Mamma e papà ti hanno dato tutto.

Lalo                               - Si, a che prezzo?

Cuca                              - Ma, tu cosa vuoi? Ricordati, Lalo, quanto gua­dagnava papà. Novanta pesos. Cosa volevi che ti dessero di più?

Lalo                               - Perché mi dissero fin dal principio: "Non andare a scuola con Tizio", "Non uscire con Caio", "Sempronio non ti sarà mai utile". Perché mi hanno fatto credere che io ero migliore degli altri? Mamma e papà credono che per noi sia sufficiente avere una camera, un letto e da man­giare; e che per questo dobbiamo essergli eternamente ri­conoscenti. Hanno ripetuto mille volte, fino a stancarmi, che pochi genitori fanno tanto, che solamente i ragazzi ricchi possono fare la vita che facciamo noi.

Cuca                              - Cerca di capirli... loro sono cosi... Dopo bisogna­va liberarsene.

Lalo                               - Io non ho potuto. Ho avuto troppa fiducia in lo­ro. (Pausa) E i miei desideri, e le mie aspirazioni?

Cuca                              - Fin da bambino hai sempre voluto fare a modo tuo.

Lalo                               - Fin da bambino, da quando ero alto cosi, mi di­cevano: "Devi fare questo"; e se lo facevo male: "Cosa ci si può aspettare da te?" E allora venivano botte e ca­stighi.

Cuca                              - Tutti i genitori fanno cosi. Questo non vuol dire che tu debba rivoluzionare la casa.

Lalo                               - Voglio che le cose abbiano un senso, che tu, Beba e io si possa dire: "Faccio questo" e lo facciamo. Se riesce male: "È un peccato. Cercherò di farlo meglio". Se riesce bene: "Che bello. Possiamo fare qualcosa d'altro". E fare e rifare senza subire imposizioni, né pensare che la vita mi è stata data in prestito e che non ho diritto a viverla. Non hai mai pensato a cosa vuol dire poter pensare, deci­dere e fare le cose per conto tuo?

Cuca                              - È che noi non possiamo...

Lalo                               - Non possiamo. Non possiamo. Non mi ripeterai la storia che cercano di cacciarmi in testa da secoli?

Cuca                              - Mamma e papà hanno ragione.

Lalo                               - Anch'io ce l'ho. E la mia ragione è valida e ri­spettabile quanto la loro.

Cuca                              - Ti ribelli?

Lalo                               - Si.

Cuca                              - Contro di loro?

Lalo                               - Contro tutto. (In questo momento Beba ripete l'apparizione del padre. Questi interventi di Beba devono essere sfruttati al massimo dal punto di vista plastico)

Beba                              - (come il padre) Tu Lalo, dovrai lavare e stirare. È un accordo che abbiamo preso io e tua madre. Lì ci sono le lenzuola, le tende, le tovaglie e i pantaloni da la­voro... Pulirai i cessi, mangerai in un angolo della cucina. Imparerai, giuro che imparerai. Mi hai sentito? (Ritorna verso il fondo)

Cuca                              - Perché non scappi di casa?

Lalo                               - Dove diavolo vado?

Cuca                              - Dovresti provare.

Lalo                               - L'ho già fatto. Non ti ricordi? Ma ho dovuto sempre ritornare con la coda fra le gambe.

Cuca                              - Prova un'altra volta.

Lalo                               - No... Riconosco che non so camminare per le strade; mi confondo, mi perdo... E poi, non so cosa mi succede, è come se mi dissolvessi: loro non mi hanno in­segnato, al contrario, mi hanno confuso...

Cuca                              - Allora, come vuoi fare a disporre, governare, se tu stesso confessi che...?

Lalo                               - Questo è quello che so fare; mi devo rassegnare.

Cuca                              - Ti aggrappi...

Lalo                               - No, mi impongo.

Cuca                              - Allora sei disposto a ripetere...

Lalo                               - Quante volte sia necessario.

Cuca                              - E arrivare sino in fondo?

Lalo                               - È la mia unica via d'uscita.

Cuca                              - Ma tu credi che la giustizia non ci metterà il naso? Credi di potere tu da solo contro di lei?

Lalo                               - Non so, ma forse...

Cuca                              - In che modo?

Lalo                               - Aspetta e vedrai.

Cuca                              - Ebbene io non ti appoggio. Capisci? Li difen­derò a spada tratta se sarà necessario. A me non interessa niente di tutto questo. Accetto tutto quello che decidono mamma e papà. Loro non si mettono contro di me. Mi danno tutto quello che voglio... persino gli uccellini che volano. Arrangiati tu che sei più testardo! Papà lo dice che sei come i gatti che chiudono gli occhi per non vedere il mangiare che gli danno. (Fa alcuni passi) Va' via. Non parteciperò mai al tuo gioco. (A Beba) E anche tu non contare su di me. (Con un altro tono) Ah, Dio mio, libe­rami da questa voracità. (Pausa) Loro sono vecchi e cono­scono la vita meglio di me... Mi sembra una vessazione, una umiliazione. Loro hanno lottato, si sono sacrificati; meri­tano almeno il nostro rispetto. Se va tutto male in questa casa è perché doveva essere cosi... No, no, io non posso oppormi.

Lalo                               - (applaudendo divertito) Brava! Stupenda scenetta.

Beba                              - (applaudendo divertita) Si merita un premio.

Lalo                               - Bisogna inventarlo.

Beba                              - Promette bene la bambina.

Lalo                               - Però è imbecille.

Beba                              - È sensazionale.

Lalo                               - È un'idiota.

Beba                              - È una santa. (Applaudono rabbiosamente e in to­no di burla)

Cuca                              - Burlatevi di me, poi arriverà la mia ora e non avrò pietà.

Lalo                               - Ah, siamo a questo punto?

Cuca                              - Farò quello che mi pare.

Lalo                               - Provati.

Cuca                              - A me ordini non ne dai. (Fa alcuni passi indie­tro allontanandosi)

Lalo                               - (sarcastico) Cominci a aver paura.

Cuca                              - (furiosa) Ho mani, unghie, denti.

Lalo                               - (aggressivo, provocatore) Adesso comando io.

Cuca                              - Non ti avvicinare.

 Lalo                              - Farai quello che ti dirò. (La prende per un brac­cio e cominciano a divincolarsi)

Cuca                              - (furiosa) Lasciami.

Lalo                               - Mi ubbidirai?

Cuca                              - Bruto.

Lalo                               - Farai quello che vorrò.

Cuca                              - Mi fai male.

Lalo                               - Si o no?

Cuca                              - Te ne approfitti... (Totalmente vinta) Si, farò quello che mi ordinerai.

Lalo                               - Svelta, alzati.

Cuca                              - (a Beba) Aiutami. (Beba fa alcuni passi avvici­nandosi a Cuca. Lalo la trattiene con un gesto. Cuca finge di non potersi alzare)

Lalo                               - Che si alzi da sola.

Beba                              - (a Lalo) Perdonala.

Lalo                               - (con un grido) Non immischiarti.

Beba                              - (disperata) Ah, urla, sempre urla. Non ne posso più. Sono venuta qui a aiutarvi o a divertirmi. Perché non so cosa fare... Gira e rigira.. Sono come una trottola. Se no altre urla da pazzi scatenati per qualsiasi stupidata: per un bicchiere d'acqua, per una saponetta caduta, per un asciugamano sporco, per un portacenere rotto, perché mancherà l'acqua, perché non ci sono pomodori... Non mi spiego come facciamo a vivere cosi... non ci sono forse cose più importanti? Io mi domando perché esistono le nu­bi, gli alberi, la pioggia, gli animali? Non dovremo un giorno soffermarci su tutto questo? E corro e mi affaccio alla finestra... Ma papà e mamma continuano a gridare: "Quella finestra, la polvere, la fuliggine. Dove avrà la testa quella bambina? Vieni dentro se no prenderai un raffred­dore". Se vado in sala e accendo la radio: "Stanno con­sumando molta corrente e il mese scorso e l'altro mese si è speso tanto e non si può continuare a spendere tanto. Spegni la radio. Quel rumore mi tormenta". Se mi metto a cantare quella canzonetta che hai inventato ultimamen­te: "La sala non è la sala"... Allora brucia la casa, è un formicaio in rivoluzione e continuano, continuano a gri­dare, mamma e papà contro Lalo, Lalo contro mamma, mamma contro Lalo, Lalo contro papà, papà contro Lalo e io in mezzo. Alla fine vengo e mi metto qui... Però voi non ci fate caso e continuate a discutere, come se questa casa si potesse aggiustare con parole e finite anche per litigare. Ah, non lo sopporto più     - (decisa) me ne vado. (La­lo l'afferra per un braccio) Lasciami. Non voglio sapere niente. Sorda, cieca. Morta, morta.

Lalo                               - (con tenerezza ma deciso) Non dire cosi.

Beba                              - È quello che vorrei.

Lalo                               - Se tu volessi aiutarmi forse potremmo salvarci.

Beba                              - (lo guarda repentinamente allucinata) Che cosa stai dicendo? (Si aggrappa alle sue braccia) Si, oggi pos­siamo. (Rapidamente Lalo prende due coltelli, ne osserva la lama e comincia a sfregarli fra di loro)

Beba                              - (a Lalo) Ripeterai la storia?

Cuca                              - (a Beba) Per favore smettete. (Beba deve muo­versi su diversi piani della scena. Ogni personaggio che in­terpreta esige una posizione diversa)

Beba                              - (come una vicina pettegola) Sai una cosa, Cacia? La notizia è stata pubblicata sul giornale. Si, cara mia, si. Però la vecchia Margherita, quella dell'angolo, e Pantaleo-ne lo sguercio, hanno visto tutto, con tutti i dettagli, e me lo hanno raccontato.

Lalo                               - (sfregando con decisione i due coltelli) Zie, zac; zie zac; zie zac; zie zac.

Beba                              - (come un negoziante spagnolo ubriaco) Il vec­chio Pantaleone e Margherita sanno tutto... Che fregatura, i figli. E che razza di figli vengono al mondo. Dicono che loro stavano li come se niente fosse... La fine del mondo si avvicina, ve lo dico io. Lo dice anche il proverbio "Scal­da la serpe in seno..."   - (Ride tra sé in tono burlesco) Ha vi­sto la fotografia in prima pagina?

Lalo                               - (sfregando violentemente i due coltelli) Zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac.

Beba                              - (come Margherita che sta parlando con le sue ami­che) Noi siamo arrivati verso le 9, 9,30... l'ora delle visi­te... Non ti dico, figlia mia. Subito appena entrata mi sono detta: "Accidenti, qui sta succedendo qualcosa di strano". Tu sai come sono io. Ho un fiuto, un occhio... e effettiva­mente... che spettacolo. (Terrorizzata) Sangue dappertutto. Era spaventoso. Guarda, mi si drizzano ancora i capelli. Io non so, amica mia, perché se uno potesse... Figurati, che situazione... Perché veramente uno non può e allora... È terribile... E poi un disordine, guarda è incredibile... Credo che ci fossero delle siringhe... vero Pantaleone? E delle pa­stiglie e delle fiale... Quei ragazzi hanno cattivo sangue e devono averlo ereditato da lontano. Ah, Consuelo, doman­dalo a Angelina, quello che ha visto pochi giorni fa... Che orrore. E con dei genitori cosi buoni, che hanno fatto tanti sacrifici. Ma lui, quel Lalo, è il capo. Non c'è dubbio. È stato lui, lui e nessun altro... Ah, se avessi visto il coltello. Che coltello... Un coltello da macello, angelo del cielo.

Lalo                               - (concentrato nel suo gioco) Zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac.

Beba                              - (come Pantaleone) Io gliel'ho detto a Margherita: "Bisogna dominarsi". Subito lei ha cominciato a dire che i figli, che questi sono tempi cattivi... Tu sai come è lei. Quella lingua che non smette un momento. Loro... no, loro no. Falso. Lalo... anche se a volte penso che, mah!, chissà chi è stato... Però io... quasi lo affermerei... perché le ragaz­ze... mi sembra di no... se tu avessi visto la faccia di Lalo... incredibile. Una furia... si; si, il diavolo... c'è mancato poco che ci picchiasse. E io, con la mia artrite... ma quello poi no. Faccia quello che vuole a me non importa, si arrangi lui con la sua coscienza... Però prendersela con noi... che Dio lo liberi. Lo svergognato, il degenerato... Ah, se avessi visto la pozza di sangue... e l'odore... Come è tutto strano. Vero? (Con una risatina isterica) Se avessi visto... era or­ribile, si orribile... orribile è la parola... dobbiamo fare qualche cosa. (Magniloquente) Protestiamo contro questo figlio snaturato. (Cambiando tono) Cosa ti sembra?

Lalo                               - Zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac. (Lalo ha conti­nuato tutto il tempo a sfregare i coltelli. Questo atto, ap­parentemente semplice, deve riuscire a creare, accompa­gnato dai suoni emessi dallo stesso Lalo, un clima di deli­rio. Cuca si trasforma in un venditore di giornali. Beba va verso il fondo)

Cuca                              - (gridando) Ultime notizie. L'assassinio della stra­da Apodaca. Lo compri signore. Non se lo perda signorina. Un figlio di trent'anni uccide i suoi genitori. Guardate... come corse il sangue!... Il supplemento con le fotografie. (Quasi cantando) 40 pugnalate per i due vecchi. Compra­telo. Ultime notizie. Guardate le foto dei genitori inno­centi. Lo legga, signora. È spaventoso, signore. Ultime no­tizie. (Va verso il fondo) Ultime notizie. (Lontano) Tremen­do macello...

Lalo                               - Zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac; zie, zac. (Pau­sa. Beba dal fondo viene in primo piano)

Beba                              - (come il padre) Lalo, che cosa stai facendo? E quella faccia? Perché mi guardi cosi? Dimmi con chi sei stato. E quei coltelli? Cosa vuoi fare? Rispondi. Ti sei man­giato la lingua? Perché sei arrivato tardi?

Lalo                               - (come un adolescente) Papà, degli amici...

Beba                              - (come il padre) Dammi qui. (Gli toglie violente­mente i coltelli) Sempre con delle porcherie. (Provando la lama di un coltello) Taglia eh? Vuoi uccidere qualcuno? Dimmi, rispondi. Non stare li come uno scemo. Credi di poter fare quello che vuoi? Credi che ti lascerò fare quello che vuoi? Credi di non dovermi chiedere permesso per niente? Non ti ho ripetuto mille volte che questa non è l'ora di stare in giro? (Lo schiaffeggia) Quando imparerai a obbedire? Quando?... Nessuna minaccia ti ferma più. Non vedi che tua madre sta soffrendo, con il cuore in bocca? Dimmi, vuoi farci morire di dolore? Che intenzioni hai?... Non hai nessuna considerazione per me... Non fare quelle smorfie. (Lo sospinge verso una sedia) Siediti li, vuoi che ti chiuda un'altra volta nella stanza al buio? (Lalo tenta dei gesti) Non rispondermi. Che mancanza di rispetto! Io che ti ho dato tutto. Figlio infame, figlio degenerato. Io che mi sacrifico... E pensare che a volte tua madre mi rin­faccia che esco con gli amici e le colleghe. Più di un affare mi è andato male per colpa tua, per colpa vostra... Ma non vedi i sacrifici? Trent'anni... trent'anni dietro una scrivania, al Ministero, mangiandomi il fegato per i capi, senza sod­disfazioni... Non ho un vestito, non ho un paio di scarpe per uscire... tutto perché adesso mi ripaghino cosi. Tren­t'anni non sono uno scherzo, trent'anni sognando, perché adesso il figlio mi risulti un lazzarone, un lavativo... che non vuole lavorare, non vuole studiare... Dimmi che cosa vuoi? Che cosa hai fatto?

Lalo                               - (tremante) Stavamo leggendo...

Beba                              - (come il padre) Leggendo, che cosa?... Leggendo, come leggendo?

Lalo                               - (a testa bassa) Delle riviste di avventure papà. (Cuca viene avanti sicura dal fondo verso il proscenio. Be­ba si dirige verso il fondo)

Cuca                              - (come la madre) Riviste, riviste, riviste. È una bugia. Inventane un'altra. Di la verità. (Beba, come il pa­dre, si avvicina aggressivamente a Lalo) No, Alberto, non picchiarlo. (A Lalo, cambiando tono) Sono contenta che sia successo. Sono proprio contenta, contenta. (Cambiando tono) Dove sono i soldi che avevo nascosto nella credenza? (Scena muta di Lalo) Li hai presi? li hai spesi? li hai persi?

                                      - (Con odio) Ladro. Sei una canaglia. Sei uno svergognato. (Con le lacrime agli occhi) Lo dirò a tuo padre. No, non dirmi niente. (Scena muta di Lalo) È una disgrazia. (Cam­biando tono) Ti ucciderà quando lo saprà. (Cambiando to­no) Ah, santissima vergine, che cosa ho fatto perché mi si castighi cosi? (Furiosa a Lalo) Su, dammi i soldi. (Scena muta di Lalo) Mollali o chiamo la polizia... (Fruga nelle ta­sche di Lalo che è completamente inebetito. Gridando) La­dro, mille volte ladro. Lo dirò a tuo padre. Dovrei picchiar­ti. Calpestarti. Metterti in un riformatorio. (Lalo è di spal­le al pubblico)

Beba                              - (dal fondo come una bambina) Mamma, mamma, questo è un elefante?

Lalo                               - (come il padre) Beba, vieni qui, fammi vedere le mani. (Beba viene verso il proscenio) Queste unghie biso­gna tagliarle... Quando smetterai di essere cosi... (A Cuca) Dammi qui le forbici. (Cuca si avvicina a Lalo e gli parla nelle orecchie) Come? Cosa dici? È vero? E Lalo? Dov'è?... (Cuca e Lalo guardano Beba con intenzione malvagia) È vero quello che dice tua madre? Confessa, avanti. Confes­sa o... E allora hai sollevato le sottane e mostrato le mu­tande a un sacco di lazzaroni? È possibile? (Scena muta di Beba) Sei una sporcacciona. (Cuca come la madre sor­ride) Ti darò... (Lalo e Cuca circondano Beba) Diventerai una donnaccia, ma non finché io vivo. Mi ascolti? (Scuo­tendo le spalle) Ascoltalo bene. Ti ucciderò sgualdrina. (Pausa) Dov'è tuo fratello? (Chiamandolo) Lalo, Lalo... (A Cuca) Hai detto che ti ha rubato?

Beba                              - (uscendo dal gioco) Non posso. Mi scoppia la testa.

Lalo                               - (imperioso) Continua, non fermarti.

Cuca                              - (sarcastica) Ubbidisci al capo.

Beba                              - (angosciata) Aria, un po' d'aria.

Lalo                               - (a Beba) In questo momeno suonava il campa­nello della porta. (Beba cade sfinita su una sedia)

Cuca                              - (come la madre) Hai sentito, Alberto?

Beba                              - (disperata) Per favore, ho voglia di vomitare.

Lalo                               - (infastidito) Questa sta rovinando tutto.

Cuca                              - (come la madre) Sssst. Un momento ragazzi. È suonato ancora il campanello.

Lalo                               - (come il padre. Salutando un personaggio immagi­nario che entra dalla porta) Avanti, avanti, Angelina. Che fortuna vederla...

Cuca                              - (come la madre, a Beba) Dimmi tesoro. Su tesorino, dimmi, che cos'hai? (Finge simulando attenzione e sollecitudine)

Lalo                               - (come il padre, al personaggio immaginario) Niente complimenti, Angelina. (Nel suo tono di voce c'è un accento di cordialità e spontaneità convincenti) Questa è casa sua. Si sieda.

Cuca                              - (come la madre, a Beba) Mettiti comoda, tesori-no. Vuoi un cuscino? (Le sue parole denotano grande sin­cerità) Non sei scomoda cosi? Perché non ti metti un po' più indietro?

Lalo                               - (come il padre) E Lalo, dove si sarà nascosto? Ah, Angelina, lei non sa cosa sono questi bambini. Sono tre, ma danno da fare come fossero un battaglione.

Cuca                              - (come la madre, a Lalo) Alberto, credo che... (Al personaggio immaginario) Scusi, Angelina, se non l'ho salutata ma credo che la bambina stia male di stomaco.

Lalo                               - (come il padre) Le hai misurato la febbre? (Cuca fa segno di si con la testa)

Cuca                              - (come la madre) È terribile.

Lalo                               - (al personaggio immaginario) Non glielo dicevo un minuto fa? Sono peggio del diavolo; però con me è di­verso. Ho un polso di ferro e una frusta. Insomma, si fa per dire.

Cuca                              - (come la madre. Angosciata a Lalo) Che cosa possiamo fare?

Lalo                               - (come il padre) Ha la febbre? (Cuca fa cenno di no con il capo) Le hai dato la camomilla?

Cuca                              - (come la madre) Non vuole niente.

Lalo                               - (come il padre) Sforzala.

Cuca                              - (come la madre) Vomita tutto.

Lalo                               - (come il padre) Falle un tè nero.

Cuca                              - (come la madre) Ah, Angelina, lei non si può immaginare le preoccupazioni, le sofferenze... Perché si devono avere dei figli?

Lalo                               - (come il padre, impugnando una tazza. Sforzandola) Bevilo. (Beba rifiuta la tazza) Che tu lo voglia o no, do­vrai berlo.

Beba                              - (con un grido, fuori del gioco) Lasciami. (Si alza come una furia. In proscenio) Siete dei mostri. Tutte e due uguali. (Gridando verso il fondo della scena) Voglio andar­mene. Lasciatemi uscire. (Cuca e Lalo tentano di tratte­nerla, ma Beba arriva fino alla porta. Gridando) Mamma, papà, toglietemi da qui. (Cade piangendo vicino alla porta) Toglietemi da qui.

Lalo                               - (come il padre) Ma cosa succede?

Cuca                              - Bello spettacolo. (Avvicinandosi a Beba) Tu, pro­prio tu... che mi hai sempre spinto: "Fallo, non essere sciocca. Ci divertiremo". È incredibile. Lo vedo e non mi sembra vero. Avanti, alzati. (L'aiuta ad alzarsi, come la madre) Ricordati che ci sono visite. (Al visitatore imma­ginario) Sono cosi capricciosi cosi insopportabili... (A Be­ba, conducendola fino alla sedia dove era seduta) Bambo-lina mia, devi fare la brava bambina, educata...

Beba                              - (come una bambina) Voglio andare via.

Cuca                              - (come la madre) Dove vuoi andare, bambina?

Lalo                               - (fuori dal gioco; violento) No, non è cosi, cosi non serve.

Cuca                              - (come la madre) Non agitarti Alberto.

Lalo                               - (fuori dal gioco) Mi viene voglia di strangolarla.

Cuca                              - (come la madre) Bisogna aver pazienza.

Beba                              - (piangendo) Ho paura.

Lalo                               - (fuori dal gioco) Paura di che? Perché piange?

Cuca                              - (come la madre) Non farle caso. È meglio, Al­berto.

Lalo                               - (come il padre. Facendo gesti impacciati) È che certe volte... (Si dà una manata sul ginocchio destro) Cer­ca di capirmi, moglie.

Cuca                              - (come la madre) Certo che ti capisco. (Sospira) Ah, Alberto, anche tu sei come un bambino. Non è vero Angelina?

Beba                              - (come una furia. Si alza) Voglio fare qualche co­sa. Voglio scoppiare. Voglio andarmene. Ma non sopporto questo peso. Mi sento soffocare. Morirò e non voglio sen­tirmi schiacciata, sprofondata in questa stanza. Preferisco qualsiasi cosa; ah, non ne posso più... Non mi interes­sa tutta questa storia. Per favore, vi supplico, lasciatemi, lasciatemi. (Cuca si avvicina e le passa il braccio attorno alle spalle. Il suo viso e i suoi gesti fingono una grande te­nerezza)

Cuca                              - (come la madre) Vai, amore mio. Sei un poco nervosa. (Beba rimane sul fondo buio. Cuca ritorna con un sorriso che si converte in una grande risata) Hai mai visto niente di simile? Sembrava che la stessimo torturan­do. Che testa questi ragazzi. (Si siede, si aggiusta i capelli) Guardi come sono conciata. Devo sembrare una scimmia scappata dal circo. Non ho neanche avuto il tempo di re­spirare! Che lotta, Angelina, che lotta: mi scusi se non ho potuto stare con lei prima... (Ascolta quello che dice il per­sonaggio immaginario) Certo lei è come della famiglia. (Sorride ipocritamente) Ma anche cosi, a me piacciono le sfumature... Vero, Alberto? Non agitarti inutilmente, vec­chio, bisogna stare calmi. (Lalo si alza) Dove vai? Stai at­tento a quello che fai. (Lalo la guarda con intenzione) Ah, si, capisco. (Lalo se ne va verso la zona buia) È andato a dare un'occhiata a quei monelli che mi fanno impazzire. Bisogna sorvegliarli con quattro occhi, cosa dico quattro, cinque, otto, dieci... Bisogna spiarli, vigilarli, stare sempre attenti, perché sono capaci delle peggiori porcherie. (In questo momento entra Lalo con un velo da sposa un po' sporco e stracciato. Lalo imita la madre giovane, il giorno delle nozze in chiesa. Sul fondo Beba canticchia la marcia nuziale. I gesti di Lalo non devono essere esagerati. Si preferisce in questo caso un accento di ambiguità generale)

Lalo                               - (come la madre) Ah, Alberto, ho paura. L'odore dei fiori, la musica... È venuta molta gente vero? Tua so­rella Rosa non è venuta e nemmeno tua cugina Lola. Non mi vogliono bene! Lo so, Alberto, lo so...! Hanno fatto molte chiacchere: che la mamma è questo o quest'altro... E che so io! Tu mi ami vero Alberto? Mi trovi carina... Ahi, mi fa male la pancia. Sorridi. Là c'è quello scroccone del Dott. Nunez e sua moglie... Tu credi che la gente pos­sa capire di quanti mesi sono? Se si venisse a sapere mo­rirei di vergogna. Guarda, le figlie di Spinoza ti stanno sor­ridendo... Quelle due putt... Ah, Alberto ho la nausea e mi fa male la pancia, aiutami, non pestarmi la coda che mi fai cadere... Ah, io voglio togliermi questo figlio, lo so che ti sei deciso a sposarmi per lui, però io non lo voglio... Aiuto, che cado... Alberto, Alberto devo sembrare ridicola... Non avremmo dovuto sposarci oggi, meglio un altro giorno. Ah, quella musica e l'odore dei fiori, che schifo. Li c'è tua madre, che ipo... Ah, non so... Alberto mi manca il respiro... questa maledetta pancia! Vorrei strapparmi via questo...

Cuca                              - (come la madre, con odio, quasi masticando le pa­role) Mi fai schifo. (Gli strappa il velo con violenza) Non so come ho potuto mettere al mondo un simile mostro. Mi vergogno di te, della tua vita. E cosi vuoi salvarti? No, caro mio, piantala con questa storia di salvezza... Crepa, muori. Credi che sopporterò che tu ti permetta il lusso dì criti­carmi, di giudicarmi davanti ai miei ospiti? Ma non ti rendi conto di quello che sei! Se non sai neppure dove hai il naso! (Al personaggio immaginario cambiando tono) Mi scusi, Angelina. Non se ne vada, per favore. (Con il tono di prima, duro e deciso) Da tanto tempo ti ho chiesto di aiutarmi. Ci sono molte cose da pulire in questa casa: i piatti, i vassoi, i pavimenti, gli specchi. E molte altre cose da fare: lavare, stirare, cucire, rammendare... (Lalo si av­vicina a Cuca) Via di qui. Vuoi mettermi la casa a soq­quadro, ma non te lo permetterò, neanche dopo morta. Il portacenere sul tavolo (mette il portacenere sul tavolo) il portafiori sul tavolo (mette il vaso di fiori sul tavolo). Che cosa ti credi? Lo dirò subito a tuo padre... (Con schifo e rancore) Miserabile. Cosa sarà di te senza di noi? Di che cosa ti lamenti? Credi che siamo degli idioti? Se lo pensi, sappi che non siamo né migliori né peggiori degli altri. Ma se ti sei messo in testa di abbindolarci, ti avverto che hai preso la strada sbagliata. Sai, quante cose ho sacrificato, quante concessioni ho fatto per mantenere questa casa? Credi che possiamo rinunciare cosi facilmente ai nostri di­ritti?... Se vuoi andartene, vattene. Ti preparerò io stessa le valigie. Quella è la porta. (Cuca rimane di spalle al pubblico. Lalo si avvicina al tavolo e contempla il coltello con una certa indifferenza. Lo prende. Lo accarezza. Lo infila al centro del tavolo)

Lalo                               - Fino a quando, fino a quando?

Beba                              - Non perdere la pazienza.

Lalo                               - Se fosse possibile oggi.

Beba                              - Che sciocco che sei.

Lalo                               - Adesso. (Lalo si alza rapidamente, strappa il col­tello dal centro del tavolo guarda le due sorelle e si pre­cipita verso il fondo)

Beba                              - Non farlo.

Cuca                              - Ti costerà caro.

Beba                              - Fa' attenzione.

Cuca                              - (canta molto debolmente) "La sala non è la sala. La sala è la cucina". (Le due sorelle sono situate cosi: Beba, al lato destro, Cuca al lato sinistro. Tutte due di spalle al pubblico, emettono un grido spaventoso, stra­ziante. Entra Lalo. Le sorelle cadono in ginocchio)

Lalo                               - (col coltello tra le mani) Silenzio. (Le due sorelle cominciano a cantare producendo uno spento mormorio: "La sala non è la sala. La sala è la cucina". "La camera non è la camera, la camera è il cesso") Ora mi sento tran­quillo. Mi piacerebbe dormire, dormire, dormire sempre.., Ma lo farò domani. Oggi ho molte cose da fare. (Il coltel­lo gli scappa di mano e cade al suolo) Com'è semplice dopo tutto! Si entra nella camera. Piano, in punta di piedi. Il più piccolo rumore può essere fatale. Si avanza sospesi nell'aria. Il coltello non trema, la mano nemmeno. Si è pieni di fiducia. Gli armadi, il letto, le tende, i portafiori, i tappeti, i portacenere, le sedie, spingono verso i corpi nudi che ributtano chissà quale porcheria. (Pausa) Adesso bisogna togliere il sangue. Lavarli, vestirli e riempire la casa di fiori. Dopo, fare una buca molto profonda e aspet­tare che domani... (Pensieroso) Come è semplice e terribi­le! (Le due sorelle hanno finito di cantare. Cuca raccoglie il coltello e comincia a pulirlo con il grembiule. Lunga pausa)

Cuca                              - (a Beba) Come ti senti?

Beba                              - (a Cuca) Cosi!

Cuca                              - (a Beba) È faticoso.

Beba                              - (a Cuca) Il male è che uno si abitua.

Cuca                              - Ma, qualche giorno...

Beba                              - È sempre cosi.

Lalo                               - Apri quella porta. (Si dà dei colpi sul petto, esal­tato) Un assassino. Un assassino. (Cade in ginocchio)

Cuca                              - (a Beba) E questo cosa vuole?

Beba                              - La prima parte è finita.

ATTO SECONDO

(Quando si apre il sipario, Lalo è in ginocchio, di spalle al pubblico, con la testa bassa. Cuca, in piedi, lo guarda e ride. Beba, impassibile, prende il coltello che sta sul ta­volo)

Cuca                              - (a Beba) Guardalo. (A Lalo) Cosi volevo vederti. (Ridendo) Ora tocca a me. (Risate)

Lalo                               - (imperioso) Chiudi quella porta.

Cuca                              - (a Lalo, chiudendo la porta) Sei impossibile. Non ti sopporto.

Beba                              - (a Cuca. Guardando Lalo con disprezzo) Mi sem­bra ridicolo.

Cuca                              - (a Lalo) Ma cos'hai? Giovanotto, ascolti quello che le dirò: dobbiamo continuare. Non sperare che si resti a metà come le altre volte. Non voglio più che rimanga tutto in sospeso.

Lalo                               - (a testa bassa) Bisogna sempre ricominciare da capo.

Cuca                              - Va bene lo accetto; ma per intanto ti ripeto che oggi...

Lalo                               - (infastidito) Si, si, tutto quello che vuoi tu.

Cuca                              - Quello che voglio io, no, quello che deve essere. Oppure adesso sono io che ho inventato tutto? Sarebbe bello.

Beba                              - (con ironia a Cuca) Però a te piace da pazzi...

Cuca                              - (offesa) Che cosa vuole che faccia la signorina?

Beba                              - Qualsiasi cosa meno quello.

Cuca                              - No, tesoro mio, il mio turno è arrivato e devo arrivare fino in fondo.

Beba                              - Allora ho ragione o no?

Cuca                              - Me ne infischio.

Beba                              - Allora, me ne vado.

Cuca                              - Tu non te ne vai.

Beba                              - Non farmi perdere la pazienza.

Cuca                              - Niente minacce.

Beba                              - Posso graffiare e tirare calci.

Lalo                               - Basta con le discussioni.

Cuca                              - (a Beba) Tu starai buona buona.

Beba                              - Ah, si? non mi dire? E invece no. Puoi credere il contrario? Cosa ti sembra? Io non voglio marcire dentro queste pareti che odio. Arrangiatevi voi, se ci tenete a ri­voltarvi nella sporcizia. Ho vent'anni e uno di questi giorni me ne andrò per non tornare più e finalmente potrò fare quello che voglio. Che ne dici? (Pausa) In principio non vo­levi, adesso saresti capace di uccidere per raggiungere il tuo scopo. È come se fosse in gioco la salvezza della tua anima. Si, salvarti... Non guardarmi cosi. Salvare che cosa? Forse la pelle? (Con intenzione) Per questo hai chiamato la polizia. Per questo tra poco cominceranno le indagini, gli interrogatori. È stato lei a farlo? No, no; non è stato lei? Ehi, agente... Come è possibile? Abbiamo un indizio. Li ci sono le tracce. Il delitto è stato commesso tra voi. Cre­dete che siamo dei coglioni? Credete di prenderci in giro? (Cambiando tono) Non voglio immischiarmi in queste cose.

Cuca                              - Devi arrivare sino alla fine.

Beba                              - Ma non finisce mai...

Cuca                              - Non disperarti.

Beba                              - Sono stanca. Sempre la stessa cosa. Dai di qui, dai di là. Perché continuiamo in questo circolo chiuso?... (Cambiando tono. Più intima) Poi non voglio essere coin­volta... (Cambia tono) Non mi diverto.

Cuca                              - Tutto quello che dici non ha senso. Se non ti conoscessi crederei dall'a alla zeta al tuo miserabile di­scorsetto. (Come la madre) Bel campione sei tu. (Cambian­do tono) T'immagini che incrocerò le braccia davanti a quello che ha fatto Lalo? Io difendo la memoria di mamma e papà. Li difendo costi quello che costi.

Beba                              - Non toccarmi.

Cuca                              - (autoritaria. Come la madre) Rimetti il coltello al suo posto. (Beba ubbidisce, poi lascia cadere il coltello) Cosi no.

Beba                              - (furiosa) Fallo tu.

Cuca                              - (con aria canzonatoria e un sorrisetto maligno) Controllati. (Cambiando tono) Su, ogni cosa al suo posto. Il bello non è ancora arrivato. (Beba colloca il coltello al po­sto giusto) Bisogna avere molte precauzioni.

Beba                              - (furiosa) Non contare su di me.

Cuca                              - (riordinando mentalmente la stanza) Le lampade, le tende... È una cosa matematica.

Beba                              - (furiosa) Vatti a cercare qualcun altro. O fatti tu tutto da sola.

Cuca                              - Tu hai partecipato fin dal principio. Non ti puoi rifiutare.

Beba                              - Questo lo vedremo.

Cuca                              - (autoritaria. Come la madre) Tutto deve funzio­nare a puntino.

Beba                              - A meno che non capiti un imprevisto.

Cuca                              - Ho tenuto conto anche di quello. (A Lalo) Alzati. (Lalo non esegue)

Beba                              - (furiosa) Lascialo stare. Non vedi che soffre? (Lalo emette un lieve lamento)

Cuca                              - Tu non immischiarti.

Beba                              - Dovresti aspettare. Chissà... solo un momento.

Cuca                              - Io so quello che faccio.

Beba                              - (sottile tono sarcastico) E va bene; però ricordati che io sto in guardia, pronta, in qualsiasi momento...

Cuca                              - (rapida, furiosa) A che?

Beba                              - A saltare.

Cuca                              - No, davvero? Cosicché tu ti opponi?... Allora ascolta bene quello che ti dico: non sperare che ti lasci intervenire al di fuori della tua parte. Tu sei solo uno strumento, un bullone, una vite. (Cambia tono) Dovresti esse­re contenta cosi. (Pausa. Altro tono) Non farmi quella fac­cia. (Tono minaccioso) E va bene, allora attenta alle con­seguenze. Tutto è in gioco in questa casa. Aiutami a dare gli ultimi ritocchi. (Muovendosi, cercando di mettere in ordine. Enumerando) Il portafiori, il coltello, le tende, i bicchieri... l'acqua, le pastiglie. Tra poco entrerà la poli­zia... La siringa, le fiale;... noi non dobbiamo più fare niente, quindi dobbiamo sparire... volatilizzarci, se è ne­cessario. (Beba fa alcuni passi verso Lalo. Cuca la ferma) No, bella mia. Non fare la scema. Tu mi capisci. (Davanti al sarcasmo di Cuca, Beba si contrae) Che c'è? Non sei d'accordo? Vuoi fare di testa tua?... Noi saremo invisibili. Hai qualcosa da aggiungere? Noi siamo innocenti. Vorresti forse prendere una posizione? (A Lalo) Alzati. Si fa tardi. (A Beba) Vuoi difendere l'indifendibile? Forse lui non è un assassino? (A Lalo) Mettiti un po' a posto. Sembri un ca­davere. (Lalo si alza maldestramente. Beba mette sul ta­volo un mazzo di carte, poi le sparge. A Beba) Mai mi sarebbe venuto in mente di fare una cosa simile.

Lalo                               - (ancora di spalle al pubblico. A Beba) Portami un po' d'acqua.

Cuca                              - (imperiosa) No, non si può. (Avvicinandosi a La­lo, gli aggiusta i vestiti. Con decisa tenerezza) Devi aspet­tare. (Come la madre) Questo collo, che orrore! Sembri un mendicante.

Lalo                               - Ho la bocca secca.

Beba                              - (come la madre, con decisa tenerezza) Hai dor­mito male.

Lalo                               - Ho bisogno di uscire un momento.

Cuca                              - (violenta) Da qui tu non esci.

Lalo                               - Un momento, ho bisogno.

Cuca                              - Non hai bisogno di niente. È pronto tutto. Cosa credi?... Vuoi giocarmi qualche brutto scherzo. Non te lo permetterò. (Cuca cerca di trattenere Lalo che vuole scap­pare. Lo afferra per il collo della camicia. Tutti e due co­minciano a lottare con violenza. Beba rimane perplessa per un momento, poi la lotta diventa diabolicamente interes­sante per lei e incomincia a girare intorno a Cuca e a Lalo)

Lalo                               - Lasciami.

Cuca                              - Piuttosto morta.

Lalo                               - Sei diventata coraggiosa.

Cuca                              - Rischio la pelle.

Lalo                               - Mi stai graffiando.

Cuca                              - Questo è il gioco. Vita o morte. Sono capace di tutto purché ti giudichino. (Beba corre alla porta del fondo)

Beba                              - (gridando) La polizia, la polizia... (I due fratelli smettono di lottare. Lalo cade, sconfìtto, su di una sedia. Beba sta vicino alla porta chiusa. Dall'altro lato della por­ta, sempre sul fondo, sta Cuca)

Cuca                              - (con lo stesso tono di prima, con furia) Non ti perdonerò mai. Sei colpevole. Colpevole. Se dovrai morire, che cosi sia.

Beba                              - Ssst. Silenzio. (Lunga pausa. Beba e Cuca comin­ciano a muoversi con gesti lenti, quasi al rallentatore. Ades­so sono i due poliziotti che scoprono il delitto)

Cuca                              - (come un poliziotto) Che buio.

Beba                              - (come un altro poliziotto) Che puzza.

Cuca                              - Ci sono macchie di sangue dappertutto.

Beba                              - Sembra che abbiano ammazzato dei porci invece che dei cristiani.

Cuca                              - Gente sporca, eh.

Beba                              - Gente senza cuore. (Le due sorelle avanzano come se stessero camminando in una galleria buia. Lalo è sempre seduto sulla sedia. Le sorelle si fermano davanti a lui e fingono di gettargli in faccia la luce di una grossa pila.

Beba                              - (in segno di trionfo) Abbiamo preso il pesce.

Cuca                              - (in segno di trionfo) Che lavoro c'è costato. (A Lalo con violenza) In piedi, su, svelto. (Lalo infastidito dal­la luce, tenta di difendersi con le mani sulla faccia)

Beba                              - (volgarmente) Ehi piccolo non muoverti se non vuoi che ti buchiamo le budella.

Cuca                              - (con insolenza) Su, alzati.

Beba                              - (con insolenza) Ci sei cascato, amico. (Lalo, si alza, e alza le mani) Bisogna far presto.

Cuca                              - (come un poliziotto) Frugalo.

Beba                              - (come un altro poliziotto) Il tipo è pericoloso. (Tasta, sopra gli indumenti, il corpo di Lalo) I Documenti... la carta d'identità, dov'è? (Estrae un documento immagina­rio) Come ti chiami? (Lalo non risponde) Non sai che sei in arresto? Rispondi alla giustizia. Chi era che gridava tanto?

Cuca                              - (come un poliziotto) Hai ucciso qualcuno?

Beba                              - (come un altro poliziotto) Allora, perché c'è tan­to sangue?

Cuca                              - (come un poliziotto) Abiti con i tuoi genitori?

 Beba                             - (come un altro poliziotto) Hai fratelli o sorelle? Rispondi che ti conviene.

Cuca                              - (come un poliziotto) Li hai presi per il collo, ve­ro? Rispondi che ti conviene.

Lalo                               - (molto vagamente) Non so.

Beba                              - (come un altro poliziotto) Come non lo sai? Vivi solo?

Cuca                              - (come un poliziotto) E tutta questa roba?... (Cambia tono) Lascialo. (Sorride) Avrà tempo poi di par­lare.

Beba                              - (come un altro poliziotto) Questo qui non lo sal­va nessuno, caro mio. (Ride grossolanamente) È un delin­quente di quelli... Sicuramente prima ha rubato; poi, non soddisfatto, ha deciso di ucciderli. (A Lalo) I tuoi genitori? no? Quasi me lo immagino. Li hai avvelenati? (Prende il tubo di pastiglie e torna a metterlo sul tavolo) Quante pa­stiglie? (Lalo non risponde. A volte sorride) Su, sputa... se parli, può darsi che il castigo sia minore. (A Cuca mostran­dole la siringa) Hai visto? È probabile che...

Cuca                              - (come un poliziotto) Alla luce dei fatti, questo è un delitto di quelli grossi. (A Lalo) Dove sono i cadaveri? (A Beba) Non c'è nessuna traccia.

Beba                              - (come un altro poliziotto) Dove li hai nascosti? Li hai sotterrati?

Cuca                              - (come un poliziotto) Bisogna frugare la casa da cima a fondo. In tutti gli angoli...

Beba                              - (come un altro poliziotto) Perché li hai uccisi? Rispondi. Ti maltrattavano?

Lalo                               - (seccamente) No.

Cuca                              - (come un poliziotto) Finalmente, giovanotto. Per­ché li hai uccisi?

Lalo                               - (molto piano) Io non ho fatto niente.

Beba                              - (come un altro poliziotto) Stavano dormendo?

Cuca                              - (come un poliziotto) Che cinismo! Allora, non hai ammazzato nessuno? I tuoi genitori? I tuoi fratelli? Qualche parente? (Lalo si stringe nelle spalle) Su, dimmi, cosa hai fatto?

Beba                              - (come un altro poliziotto) Li hai soffocati sotto i cuscini?

Cuca                              - (come un poliziotto) Quante pugnalate gli hai dato?

Beba                              - (come un altro poliziotto) Cinque, dieci, quindici?

Cuca                              - (come un poliziotto) Non mi dirai che è stato tutto un gioco. Qui ci sono le macchie di sangue. Tu stesso sei sporco dalla testa ai piedi. Hai il coraggio di negarlo? Rifiuti l'interrogatorio? (Cambiando tono) Io quasi ho visto il delitto... (Rapidamente, insolitamente) Dove sono i tuoi genitori? Chiusi in un baule? (Pausa. Ricostruendo la sce­na) Tu cammini piano, in punta di piedi, per non far ru­more, nell'oscurità... I tuoi genitori russano a tutto spiano, e tu, trattenendo il respiro e con in mano il coltello che non trema..,

Lalo                               - (con orgoglio) No, non è cosi, lei mente.

Cuca                              - (come un poliziotto) Allora... cosa? (Sfinita) Ah, questa casa è un labirinto.

Beba                              - (come un altro poliziotto che abbia scrutato in tutti gli angoli della stanza) Qui c'è la prova. (Indica il coltel­lo) Siamo sulla buona pista. (Si china per raccoglierlo)

Cuca                              - (come un poliziotto) No, non toccarlo.

Beba                              - (come un altro poliziotto, urlando) Bisogna pren­dere le impronte digitali. (Prende il coltello con un fazzo­letto e lo mette sul tavolo)

Cuca                              - (come un poliziotto) Se questo qui continua a negare...

Beba                              - (come un altro poliziotto. Furioso) Questo lo ag­giusto io. (A Lalo) Vieni qui. O ti decidi a parlare o... Guarda che non voglio usare la violenza. Chi ti credi che siamo noi? Pensi che siamo qui per bellezza? (In tono mi­naccioso e persuasivo allo stesso tempo) Parla, che ti con­viene. (In tono amichevole) Parla, in fondo è per il tuo be­ne. (Guardando Cuca) Lo terremo presente, non ti preoc­cupare. (Cuca entra attraverso un laterale della scena in atteggiamento investigativo) Vedrai come ti sentirai tran­quillo, dopo che ci avrai raccontato tutto, con i partico­lari. È molto semplice, semplicissimo. (Con un tono quasi familiare) Come l'hai fatto? Perché l'hai fatto? Ti tratta­vano male o... Non c'era di mezzo per caso un furto o qual­cosa di simile? Cosa è successo realmente? Forse te lo sei dimenticato? Cerca di ricordartelo... Vediamo, hai tutto il tempo che vuoi.

Lalo                               - (con grande superbia) Nessuno di voi può capire...

Beba                              - (come un altro poliziotto. Persuasivo, con un sorri­so) Perché dici cosi? (Più intimo) Su ragazzo, confessa.

Cuca                              - (come un poliziotto. Fuori della scena. Gridando) Non scaldarti tanto Cuco. Ecco qui dov'era la roba. (En­tra in scena pulendosi le mani) Uno spettacolo vergognoso, cosa dico, orrendo. Da far rizzare i capelli a un selvaggio.

                                      - (Ricostruendo la scena) Ecco la pala e la zappa... Ha fatto un buco enorme. Non so come abbia potuto farlo da solo... E in fondo i due corpi e un po' di terra sopra. (Avvici­nandosi a Lalo. Dandogli una manata sulla spalla) Cosi il signorino non ha fatto niente. (Beba si dirige verso lo stes­so luogo da cui è venuta Cuca) Si si, capisco. (Con un sor­riso di soddisfazione) Il signorino è innocente. (Cambia to­no) Allora, va bene... (Lo guarda fissamente, con disprezzo) Il signorino ha le ore contate. (Tono volgare) Hai firmato la tua sentenza, piccolo.

Beba                              - (entra in scena. Smette di agire come un altro po­liziotto) È spaventoso.

Cuca                              - (come un poliziotto, tono volgare) Su, non essere tragico.

Beba                              - Sono rimasta di pietra.

Cuca                              - (come un poliziotto) Il signorino è di buona lana.

Beba                              - Ho sentito un brivido.

Cuca                              - (come un poliziotto. A Beba) Avanti, non lasciar­ti andare. (A Lalo con disprezzo) Sei un... mi viene voglia di... (A Beba) Andiamo a scrivere il verbale.

Beba                              - Come?... Ma se non ha confessato.

Cuca                              - (come un poliziotto) Non è necessario.

Beba                              - Io credo di si.

Cuca                              - (come un poliziotto) Ci sono prove sufficienti.

Beba                              - Dobbiamo provare... (Avvicinandosi a Lalo) Lalo è necessario che tu dica, che parli. Perché? perché Lalo?

Cuca                              - (come un poliziotto) Non rammollirti.

Beba                              - (a Lalo quasi supplicandolo) Non capisci che è una condizione necessaria, che la confessione è importante? Di quello che vuoi, quello che ti viene in mente, anche se non è logico, anche se è uno sproposito; di qualcosa, per favore. (Lalo rimane impenetrabile)

Cuca                              - (come un poliziotto) Al Commissariato. Gli atti. Le dichiarazioni. (Con passo grave, Beba si dirige al tavolo e si siede. La scena, a partire da questo momento, deve ac­quistare una dimensione strana. Gli elementi che devono essere usati e sfruttati al massimo sono: i suoni vocali e i colpi sul tavolo, i passi cadenzati prima di Beba, poi dei due personaggi, Beba e Cuca)

Cuca                              - (dettando automaticamente) Nei locali di questo commissariato di Polizia, essendo...

Beba                              - (muovendo le mani sul tavolo) Tic-tac, tic-tac, tic-tac...

Cuca                              - (con lo stesso tono) ... davanti all'ufficiale che sot­toscrive si presentano l'agente n. 421 Cuco Tal dei Tali e l'agente n. 842 Bebo tal'altro, con il cittadino che dice chia­marsi...

Beba                              - (con lo stesso tono) Tic-tac, tic-tac, tic-tac...

Cuca                              - (con lo stesso tono) I due agenti dichiarano che, trovandosi nel percorso della zona loro assegnata...

Beba                              - (picchiando con le mani sul tavolo, ripetendo auto­maticamente, con molto senso del ritmo) Tic-tac, tic-tac, tic-tac. (Cuca continua a muovere le labbra come se stesse dettando)

Cuca                              - (stesso tono) ... udirono voci e grida...

Beba                              - (stesso tono) Tic-tac, tic-tac, tic-tac.

Cuca                              - ...che litigavano, che discutevano, che si lamen­tavano...

Beba                              - Tic-tac, tic-tac, tic-tac.

Cuca                              - ... e avendo udito grida d'aiuto...

Beba                              - (battendo le mani sulla tavola, picchiando sui tacchi e ripetendo con molto senso del ritmo, automaticamente) Tic-tac... (Cuca muove le labbra come se continuasse a dettare)

Cuca                              - Che all'entrare nella suddetta abitazione...

Beba                              - Tic-tac, tic-tac.

Cuca                              - (stesso tono) Due corpi che presentavano...

Beba                              - Tic-tac, tic-tac.

Cuca                              - ...lividi e profonde ferite...

Beba                              - Tic-tac, tic-tac. (Cuca comincia a picchiare sul tavolo, a pestare i tacchi e a imitare Beba facendo il ru­more dei tasti della macchina, fino a che la scena raggiunge un breve momento di delirio. Pausa. Beba e Cuca ritornano a un atteggiamento apparentemente normale. Cuca mostra un pezzo di carta a Lalo)

Cuca                              - (autoritaria) Firmi qui. (Pausa. Lalo guarda il pezzo di carta con un certo disprezzo, lo osserva attenta­mente)

Lalo                               - (furioso) Non accetto. Capito? Tutto questo è una porcheria; è un'infamia. (Pausa. Cambia tono, quasi di burla) Mi sembra meraviglioso, fantastico, che cosi, di punto in bianco, voi cerchiate, usando i mezzi più schifo­si, di farmi un interrogatorio. È la cosa più logica. Oserei dire... la più naturale. Cosa volete? Credete proprio che firmerò questo scartafaccio di merda? Questa è la legge? Questa è la giustizia? E che cosa ne sapete voi? (Gridando. Rompe il pezzo di carta) Porcherie, porcherie, porcherie. Questo è la morale. Questo è l'esempio. Questo è il ri­spetto. (Pesta sotto i piedi con rabbia i pezzi di carta rotti. Pausa. Cambia tono. Con un sorriso amaro e quasi con le lacrime agli occhi) È davvero simpatico, dignito­so, esemplare che adesso diciate: colpevole. È tutto fini­to. Basta. Passiamo ad altro. Però fare quello che fate... (A Cuca) Non è soddisfatto di quello che è successo? Per­ché pretendere di attribuirmi una serie di invenzioni senza senso. Oppure crede o s'immagina che sia completamente stupido? Che vantaggio vuol trarne... (Facendo una burla scimmiesca) Pensa che stia morendo di paura? Allora ascol­ti bene: no. Non ho paura. (Beba agita un campanello) So­no colpevole. Si colpevole. Giudicatemi. Faccia quello che vuole. Sono nelle sue mani. (Beba torna ad agitare il cam­panello come un giudice. Lalo cambiando tono, meno vio­lento, ma sempre arrogante) Se il signor giudice me lo permette...

Beba                              - (come un giudice) Prego il pubblico di mante­nere la debita compostezza e il silenzio, altrimenti sarò costretto a far sgombrare l'aula e a continuare la sessione a porte chiuse (A Cuca) La parola al pubblico ministero.

Cuca                              - Grazie signor giudice. (A Lalo) Il signor impu­tato conosce le difficoltà che abbiamo affrontato dal prin­cipio per far luce sui fatti verificatisi all'alba nefasta... del... (Beba agita il campanello).

Beba                              - (come un giudice) Prego il pubblico ministero di essere più esplicito e più concreto nel formulare la sua esposizione.

Cuca                              - (come Pubblico Ministero) Perdoni signor giu­dice ma...

Beba                              - (agitando il campanello) Prego il pubblico mi­nistero di attenersi esclusivamente all'interrogatorio.

Cuca                              - (come un pubblico ministero. A Beba) Signor giudice, l'imputato, durante il precedente interrogatorio, è ricorso a una serie sorprendente di affermazioni evasive cosa che rende impossibile qualsiasi tentativo di chiarire...

Beba                              - (come un giudice a Cuca. Picchiando con forza sul tavolo) Si attenga al questionario d'ordine.

Cuca                              - (come Pubblico Ministero. Solenne) Ripeto al signor giudice che l'imputato ostacola sistematicamente tutti i tentativi di chiarire la verità. Per questa ragione sottopongo alla considerazione della corte le seguenti do­mande. Ci si può burlare della giustizia? La giustizia non è la giustizia? Se possiamo burlarci della giustizia, la giu­stizia non è più la giustizia? Se dobbiamo burlarci della giustizia, la giustizia è un'altra cosa e non la giustizia?... In realtà, signori del pubblico, dovremo essere degli indo­vini?

Beba                              - (come un giudice. Implacabile, dando colpi sul ta­volo) Esigo che il pubblico ministero non esca dai li­miti delle sue funzioni.

Cuca                              - (come P.M. ostentando davanti al pubblico le sue risorse teatrali) Signore e signori, l'imputato, come tut­ti i colpevoli, teme che il peso della giustizia...

Lalo                               - (furioso, ma controllandosi) Stai barando. Ti ri­conosco. Vuoi distruggermi, ma non potrai.

Cuca                              - (come P.M. Solenne e furioso. A Beba) Signor giu­dice, l'imputato sta comportandosi in modo irriverente. In nome della giustizia esigo una adeguata compostezza. Che cosa pretende l'imputato? Di creare lo scompiglio? Se que­sto è il suo proposito, dobbiamo dichiararlo apertamente intollerabile. La legge e la giustizia hanno una loro logica. Nessuno può lamentarsi dei loro metodi. Sono fatti sulla misura dell'uomo. Però l'imputato, a quel che sembra, non capisce o non vuol capire, o nel suo animo esistono zone torbide... o chissà, preferisce nascondersi, rifugiarsi dietro il paravento della stupidità e della impulsività. Esigo che ciascuno dei membri di questa giuria, e la corte in gene­rale, abbia una esatta consapevolezza del suo atteggiamen­to e che al momento di emettere il verdetto sia obiettivo, ma al tempo stesso implacabile. Signore e signori, da una parte l'imputato dichiara apertamente la sua colpa; cioè ammette di aver ucciso. Questo fatto riprovevole oltrepas­sa i limiti della natura e acquista una dimensione esaspe­rante; dall'altra, l'imputato nega, naturalmente in forma in­diretta, e svia la successione concatenata dei fatti, usando le più disparate astuzie: contraddizioni, banalità e espres­sioni assurde. Come per esempio: non so; forse; può dar­si; si e no. Sono risposte? O anche il suo vieto ricorrere a espressioni come: se io avessi una coscienza chiara delle cose... è inammissibile, signori della giuria. (Avanzando ver' so il primo piano, con un grande effetto di teatralità) La giustizia non può indugiare passivamente davanti a un si­mile caso, dove si mescolano abiezione, malvagità, crudel­tà. Ecco qui, signore e signori, il più ripugnante assassino della storia. Guardatelo. Non sente forse qualsiasi creatura 80 repulsione di fronte a questo detrito, a questo topo nauseabondo, a questo essere immondo? Non sente l'urgenza del vomito e dell'improperio? Signore e signori, può la giustizia incrociare le braccia? Signore e signori, signori della giuria, signori della corte, possiamo permettere che un soggetto del genere condivida le nostre illusioni e le nostre speranze? Forse l'umanità, cioè, la nostra società, non marcia verso un progresso risplendente, verso un'alba luminosa? (Lalo tenta di balbettare alcune parole, ma il torrente oratorio di Cuca impedisce qualsiasi atto; gesto o parola) Guardatelo, indifferente, imperturbabile, estra­neo a ogni sentimento di tenerezza, comprensione o pietà. Guardate quel volto. (In un solo grido) Un volto impas­sibile di assassino. L'imputato nega di aver commesso il delitto per denaro, cioè, per rubare, o per diventare il beneficiario della piccola pensione dei suoi genitori. Allora perché ha ucciso? Perché, in realtà, non esiste nessun mo­tivo logico. Dobbiamo convenire che fu per odio? Per ven­detta? Per puro sadismo? (Pausa. Lalo si muove impa­ziente. Cuca in tono risentito). Può ammettere la giustizia che un figlio ammazzi i suoi genitori?

Lalo                               - (a Beba) Signor giudice... io vorrei, desidererei...

Cuca                              - (come P. M.) No, signori della giuria. No, signori della corte. Mille volte no. La giustizia non può ammet­tere una simile irriverenza. La giustizia difende la famiglia. La giustizia ha creato l'ordine. La giustizia vigila. La giu­stizia esige i buoni costumi. La giustizia salvaguarda l'uomo dagli istinti primitivi e corruttori. Possiamo aver pietà di una creatura che viola i principi naturali della giustizia? Io domando ai signori della giuria, io domando ai signori della corte: può forse esistere la pietà? (Pausa) La nostra città insorge, una città di uomini silenziosi e se­veri avanza decisa a reclamare dalla giustizia il corpo di questo essere mostruoso... E sarà esposto alla furia di veri uomini che vogliono la pace e il decoro. (Tono magnilo­quente) Pertanto esigo che l'imputato contribuisca a mette­re ordine nella conoscenza della realtà dei fatti. (A Lalo) Perché ha ucciso i suoi genitori?

Lalo                               - Io volevo vivere...

Cuca                              - (violenta) Questa non è una risposta. (Rapida) Come lo fece? Gli somministrò una pozione, un tossico, prima del delitto? O li soffocò tra i cuscini, sapendo che erano indifesi, e dopo li fini? Come usò i cuscini? Che ruolo giocano questa siringa e queste pastiglie? Sono forse piste false? Si spieghi, signor imputato. (Pausa) Li uccise a sangue freddo? Pianificando passo passo i particolari del delitto, o in preda a un accesso di violenza? Dica. Usò solo questo coltello? (Esaurita) Insomma, signor imputato, perché li uccise?

Lalo                               - Io mi sentivo...

Cuca                              - (come P. M.) Perseguitato? Vessato?

Lalo                               - È molto lungo da raccontare.

Cuca                              - Ciò nonostante i testimoni presenti confessano...

Lalo                               - (interrompendo) I testimoni mentono...

Cuca                              - (come P. M. interrompendo) Lei nega la dichia­razione dei testimoni?

Lalo                               - (sicuro) Quella notte non c'era nessuno presente.

Beba                              - (come giudice. A Lalo) L'imputato deve essere più esatto nelle sue risposte. È fondamentalmente neces­sario. È certo di quello che ha affermato?... Il tribunale esige verità e concretezza. Il tribunale spera che l'imputato rispetti, nel migliore dei modi, queste esigenze dell'or­dine... La parola al pubblico ministero.

Cuca                              - (come P. M.) E i suoi parenti più prossimi? Sua nonna per esempio, le sue zie... insomma, i suoi parenti? Vi vedevate con frequenza? Che tipo di rapporti avevate con loro?

Lalo                               - Non ne avevamo nessuno.

Cuca                              - (come P. M.) Perché?

Lalo                               - Mamma odiava la famiglia di papà e papà non andava d'accordo con la famiglia di mamma.

Cuca                              - (come P. M.) Ma lei non cercò mai di stabilire una relazione, un contatto...?

Lalo                               - Si una volta ci provai, ma riuscì male.

Cuca                              - (come P. M.) So che i suoi genitori si lamen­tavano...

Lalo                               - Tutta la vita, da quando ho l'uso della ragione, ho ascoltato sempre le stesse lamentele, le stesse prediche, la stessa cantilena.

Cuca                              - (come P. M.) C'era sicuramente una ragione.

Lalo                               - A volte si, a volte no... Una ragione rimestata all'infinito non è più una ragione.

Cuca                              - (come P. M.) I suoi genitori erano cosi esigenti?

Lalo                               - Non capisco.

Cuca                              - (come P. M.) La domanda è la seguente: che tipo di rapporto aveva con i suoi genitori?

Lalo                               - Credo di averlo già detto: chiedevano, esigevano, mi vigilavano.

Cuca                              - (come P. M.) Chiedevano? Esigevano? Vigilavano?

Lalo                               - (disperato) Non so, non so. (Ripetendo automa­ticamente) Lava i piatti, lava la biancheria, lava le ca­micie. Pulisci i portafiori, pulisci i cessi, pulisci i pavi­menti. Non dormire, non sognare, non leggere. Sei un buono a nulla.

Cuca                              - (come P. M.) Credono i signori della giuria e i signori della corte che questi siano motivi capaci di pro­vocare una tale alienazione in un individuo da costrin­gerlo all'assassinio?

Lalo                               - (balbettando) Io volevo...

Cuca                              - (come P. M.) Che cosa voleva? (Pausa) Risponda.

Lalo                               - (sincero) La vita.

Cuca                              - (come P. M. con sarcasmo) I suoi genitori le negavano la vita? (Al pubblico) Non è un pretesto evasivo dell'imputato?

Lalo                               - (appassionato) Io volevo, anelavo, desideravo di­speratamente...

Cuca                              - (come P. M.) I suoi genitori si opponevano?

Lalo                               - (sicuro) Si.

Cuca                              - (come P. M.) Perché?

Lalo                               - Dicevano che non avevo cervello, che ero un buono a nulla.

Cuca                              - (come P. M.) Quali erano le cose che voleva realizzare? L'imputato vuole spiegarsi?

Lalo                               - (tormentato, sforzandosi, un po' confuso) È mol­to difficile... Non so... Era qualcosa. Sa? Qualcosa. Come posso dirlo? È qualcosa che io so che esiste, che sta li; però adesso non posso. (Cuca sorride con certa intenzione malvagia) Senta... So che non è questo ma... (Sicuro) Io cercavo in tutti i modi di compiacerli... Una volta presi una polmonite... No, non devo dirlo... è che... Le cose mi riuscivano sempre male. Io non volevo che fosse cosi; ma non potevo farci niente; e allora...

Cuca                              - (come P. M.) E allora cosa?

Lalo                               - Mi sgridavano, mi picchiavano, mi castigavano, delle ore intere in una camera al buio, mi ripetevano che dovevo morire, che aspettavano che me ne andassi di casa per vedermi morire di fame, per vedere cosa sarei stato capace di fare.

Cuca                              - (con un sorriso cinico) è, sicuro di quello che ha detto?

Lalo                               - Io ero molto...

Cuca                              - (come P. M. cambiando tono) Parli, parli. Pro­segua.

Lalo                               - Sentivo che qualcosa stava precipitando.

Cuca                              - (come P. M.) Non capisco. Che cosa vuol dire esattamente?

Lalo                               - Quelle pareti, quei tappeti, quelle tende, e le lampade e la poltrona dove papà faceva il pisolino e il letto e gli armadi e le lenzuola... tutto.

Cuca                              - Lei odiava tutto ciò. Naturalmente odiava anche i suoi genitori. Non è cosi?

Lalo                               - (astratto) O forse sarebbe stato meglio fuggire. Si, andarmene da qualche parte: all'inferno o in Cocincina.

Cuca                              - (come P. M. esagerando il tono declamatorio) Si­gnori della giuria, signori della corte...

Lalo                               - (prosegue come ipnotizzato) Un giorno, improv­visamente, giocando con le mie sorelle, scoprii... (Pausa)

Cuca                              - (come P.M. Sembra acquistare un improvviso inte­resse alle divagazioni di Lalo) Che cosa scopri?

Lalo                               - (c.s.) Stavamo nella sala; no, mento... Stavamo nell'ultima stanza. Stavamo giocando... Cioè, rappresentan­do... (Sorride come un idiota) A lei sembrerà una stupidag­gine, ma... Io ero il padre. No, bugia. Credo che in quel momento ero la madre. (Cambiando tono) In quel momen­to, mi venne in testa questa idea... (Ritorna a sorridere come un idiota)

Cuca                              - (come P. M. con crescente interesse) Quale idea?

Lalo                               - (con lo stesso sorriso) È facile; ma risulta com­plicato. Uno non sa se dice realmente quello che sente. Io... (Muove le mani come se tentasse di spiegarsi con questo movimento) Io sapevo che quello che i vecchi mi offrivano non era, non poteva essere la vita. Allora, mi dissi "Se vuoi vivere..." (Deve fermarsi, fare il gesto di pugnalare, o stringere i pugni, come se stesse triturando qualcosa)

Cuca                              - (come P. M.) Che cosa senti in quel momento?

Lalo                               - (come uno stupido) Non so, immagini lei.

Cuca                              - (come P. M.) Non senti paura?

Lalo                               - Al momento credo di si.

Cuca                              - (come P. M.) E dopo?

Lalo                               - Dopo no.

Cuca                              - (come P. M. Cambiando tono, un po' ironico) Si abituò all'idea?

Lalo                               - Mi abituai.

Cuca                              - (come P. M. Ritorna a reagire violentemente) Come? (Dando un colpo sul tavolo) È inaudito, signori della corte. i

Lalo                               - Si, è vero. Mi abituai. (A misura che Lalo avanza nel monologo andrà trasformandosi) Sembra terribile, ep­pure... Io non volevo che fosse cosi, però l'idea l'avevo sem­pre in testa, se ne andava e veniva e tornava un'altra volta. Al principio volevo cancellarla... Mi capisce?... Ma insiste­va: "Ammazza ì tuoi genitori. Ammazzali". Pensavo che sa­rei impazzito, le assicuro. Correvo e mi buttavo sul letto. A volte mi veniva un gran caldo... Si, mi venne la febbre. Pensavo che mi sarei sgonfiato come un pallone, che sarei esploso, che era il diavolo che mi faceva degli scherzi; e tremavo sotto le lenzuola... Se lei sapesse... Non dormivo; notte dopo notte, sempre sveglio. Avevo i brividi... Era spaventoso perché vedevo la morte che mi si avvicinava, poco a poco, da dietro il letto, tra le tende e tra i vestiti dell'armadio e diventò la mia ombra e mi sussurrava tra i cuscini: "Assassino", e dopo spari come per incanto; e mi mettevo davanti allo specchio e contemplavo mia ma­dre morta nel fondo di una bara e mio padre impiccato che rideva e mi sgridava; e di notte sentivo le mani di mia madre sui cuscini che mi graffiavano. (Pausa) Tutte le mattine soffrivo quando mi svegliavo; era come se mi strappassi alla morte abbracciato a due cadaveri che mi perseguitavano in sogno. A volte ero tentato... però... no... no... andarmene da casa? Neanche pensarlo. Sapevo già quello che mi aspettava... sempre avevo dovuto tornare in­dietro e sempre mi dicevo che non sarei riuscito a farlo. Ero deciso a non ricadere in quella pazza avventura... Tut­to meno quello. Allora mi venne in mente che dovevo ag­giustare la casa a mio modo, disporre... La sala non è la sala, mi dicevo. La sala è la cucina. La camera non è la camera. La camera è il cesso. (Pausa breve) Che altro po­tevo fare? Se non era questo, dovevo distruggere tutto, tutto, perché tutti erano complici e cospiravano contro di me e conoscevano i miei pensieri. Se mi sedevo su una sedia, la sedia non era la sedia, ma il cadavere di mio padre. Se prendevo un bicchier d'acqua, sentivo che ciò che tenevo fra le mani era il collo umido di mia madre morta. Se giocavo con un portafiori, improvvisamente cadeva un enorme coltello sul pavimento. Se pulivo i tappeti, non po­tevo smettere mai, perché erano tutto un coagulo di san­gue. Non ha mai provato lei qualcosa di simile? E mi sentivo soffocare, soffocare. Non sapevo dove mi trovavo né cos'era tutto ciò. A chi potevo raccontare queste cose? Po­tevo forse confidarmi con qualcuno? Mi trovavo dentro un buco e era impossibile uscirne... (Pausa) Però avevo sempre la vaga idea dì potermi salvare... Non so, non so da che co­sa... Forse, è un modo dì dire... Uno vuol spiegare tutto e quasi... regolarmente si sbaglia. Forse io volevo salvarmi da quella oppressione, da quella reclusione... Poco dopo senza sapere come, tutto si trasformò. Un giorno sentì una vo­ce, non so da dove. Quello che mi succedeva era grave, strano, sconosciuto per me e dovevo parlarne, perché forse inaspettatamente poteva succedere una catastrofe e non si trattava di confidare nelle mie forze però... no... Nes­suno mi avrebbe capito. Avrebbero riso, si sarebbero bur­lati di me. Udivo allora le risate e gli scherzi delle mie so­relle per i corridoi e per le stanze e nel cortile della casa... E cosi insieme alle risate delle mie sorelle, sentì che mille voci mi ripetevano all'unisono "Ammazzali, ammazzali". No, non creda che sia una storia. Glielo giuro, è la verità. Si, la verità... (Come illuminato) Da quel momento capì quale fosse il mio destino e scoprì che tutto, i tappeti, il letto, gli armadi, lo specchio, i portafiori, i bicchieri, i cucchiai e la mia ombra, in un mormorio reclamavano: "Ammazza i tuoi genitori"          - (Lo dice quasi in un'estasi mu­sicale) "Ammazza i tuoi genitori". La casa intera, tutto, tutto esigeva quest'atto eroico.

Cuca                              - (violenta) Me ne vado. Stai barando.

Lalo                               - Bisogna arrivare alla fine.

Cuca                              - Io non posso permetterti...

Lalo                               - Anche tu hai cercato di approfittartene.

Cuca                              - Quello che hai fatto è imperdonabile. A ognuno la sua parte; cosi si era stabilito.

Lalo                               - Ah, si. Davvero? Allora tu...

Beba                              - (come giudice. Agitando il campanello) Ordine! Silenzio! Prego i signori della corte di mantenere un po' di disciplina.

Cuca                              - (come madre. A Beba) Signor commissario, mi scusi se mi permetto... Ma io desidero che venga effettuata un'indagine a fondo, dal principio. Esigo una revisione di tutto il processo. Per questo sono venuta qui. Io desi­dero fare delle dichiarazioni. Mio figlio si presenta come una vittima, ma è tutto il contrario. Pretendo che si faccia giustizia. (Beba comincia a ripetere il tic tac della mac­china da scrivere. Esagerando) Se lei sapesse la vita che ci ha fatto fare questa creatura. È cosi terribile, cosi...

Beba                              - (come commissario. A Cuca) Parli.

Lalo                               - (quasi fuori situazione) Mamma, io... (Lalo si sente incastrato) Io... ti giuro...

Cuca                              - (come madre) Non giurarmi niente. Vuoi farti credere uno stupido, ma io ti conosco, tu, le tue astuzie, i tuoi trucchi, le tue porcherie. Per qualcosa ti avrò messo al mondo. Nove mesi di nausee, vomito, soprassalti sono stati l'annuncio del tuo arrivo. Vuoi abbindolarmi? Perché quei giuramenti? Credi di aver commosso il pubblico e che potrai salvarti? Dimmi, da che cosa? (Ride sfacciatamente) In che mondo vivi, figlio mio? (Burlandosi) Oh angelo mio, mi fai pena. Veramente sei... ma perché dirlo... Sa signor commissario? Un giorno si mise in testa che dovevamo si­stemare la casa secondo il suo capriccio... Io, sentendo quel­le stravaganze, mi opposi decisamente. Suo padre gridò: "Cos'è questa novità?" Ah, lei non se lo può immaginare... Il portacenere sulla sedia. Il portafiori sul pavimento. Che orrore! E poi si metteva a cantare a gran voce, correndo per tutta la casa: "La sala non è la sala. La sala è la cu­cina". Io, allora, facevo la sorda, facevo finta di non sen­tire. (Cambiando tono; dura, secca) Hai raccontato solo la parte che ti interessa... Perché non racconti anche il resto?... (Cambiando tono, burlesco) Hai fatto il tuo marti­rologio, perché non fai anche il nostro, quello di tuo padre e il mio. Mi piacerebbe che ti rinfrescassi la memoria. (Trasformandosi) Signor giudice, se lei sapesse i pianti che ho fatto, le umiliazioni che ho subito, le ore di ango­scia, i sacrifici... Guardi le mie mani... Ripugna vederle. (Quasi con le lacrime agli occhi) Le mie mani... Se le avesse viste prima di sposarmi... Ho perduto tutto: la mia gioven­tù, la mia allegria, i miei divertimenti. Tutto ho sacrificato per questa belva. (A Lalo) Non ti vergogni? Continui a credere di aver realizzato un atto eroico? (Nauseata) Mi­serabile. Non so come abbia potuto tenerti tanto tempo nelle mie viscere. Non so come non ti ho affogato appena nato.

Lalo                               - Mamma, io...

Cuca                              - (come madre) Niente, niente. Non ti meriti il pane che ti diamo. Non ti meriti una sola delle mie soffe­renze... Perché tu, tu sei il colpevole. L'unico colpevole.

Lalo                               - (violento) Lasciami, lasciami stare.

Cuca                              - (come la madre. Violenta) Sto diventando vec­chia. Devi pensarci e sacrificarti. Credi che io non abbia il diritto di vivere? Credi che passerò tutta la vita in una eterna agonia? Tuo padre non si occupa di me e tu an­cora meno. Dove finirò? Si, lo so che aspettate che muoia, ma non vi darò questa soddisfazione. Lo griderò ai vicini, ai passanti. Vedrai. Questa sarà la mia vendetta. (Gridan­do) Aiuto. Soccorso. Mi stanno ammazzando. (Scoppia in singhiozzi) Sono una povera vecchia che muore di so­litudine. (Beba agita il campanello) Si, signor giudice, sto rinchiusa tra queste quattro sporche pareti. Non vedo la luce del sole. I miei figli non hanno alcuna considerazio­ne per me. Sono avvizzita, appassita... (Come se stesse da­vanti a uno specchio. Comincia ad accarezzarsi il volto e finisce schiaffeggiandosi) Guardi queste rughe. (Indicando le linee delle rughe, con rancore e nausea) Guardi questa pelle cascante. (A Lalo) Un giorno anche tu l'avrai cosi. Ah, l'unica cosa che desidero è che ti capiti quello che è successo a me. (Arrogante) Io, signor giudice, sono sem­pre stata una donna giusta.

Lalo                               - (un po' burlone) Sei sicura? Pensaci bene, mamma.

Cuca                              - (come madre) Cosa vuoi dire? Cosa pretendi?

Lalo                               - (sarcastico) Io so che menti. Io so che una volta mi hai accusato...

Cuca                              - (come madre, indignata. Lo interrompe con un gri­do) Lalo! (Pausa. Con dolcezza) Lalo, saresti capace di affermare?... (Pausa. Fa alcuni passi. Sembra di nuovo irri­tata) Questo è il colmo! Signor giudice... (Quasi singhioz­zando) Ah, Lalo... (Asciugandosi le lacrime con le mani) Che io, Lalo?... (Con incertezza evidente) Tu credi che io... Sarà possibile? (Con un debole sorriso) Oh perdoni, signor giu­dice... È probabile che si... ma, via, è stata una sciocchezza. (Ride grossolanamente) Mi ero incapricciata di un bel ve­stito di taffetà rosso, carino... Un vestito che era in mostra nella vetrina del Nuovo Bazar. Mio marito guadagnava no­vanta pesos. Si figuri... Bisognava fare miracoli per soprav­vivere ogni mese. E io dovevo cavarmela con questo. No­vanta pesos del ministero, signor giudice... e basta. Dunque, come le stavo dicendo... ero disperata, pazza per quel ve­stito. Me lo sognavo... Lo vedevo persino nella minestra. Finalmente un giorno, senza più pensarci tanto, decisi di comprare il vestito con i soldi del mangiare. E allora in­ventai una storia.

Beba                              - (come giudice) Quale storia?

Cuca                              - (come la madre. Con gran disinvoltura) Quando Alberto arrivò... Arrivò ubriaco, come il solito... Gli dissi: Senti, vecchio, domanda a tuo figlio... Perché credo che ci abbia rubato dei soldi.

Beba                              - (come giudice) Perché lo fece?

Cuca                              - (come madre. Con una certa grossolanità) Non so... Era più comodo... (Finisce di raccontare con molta esa­gerazione) Allora Alberto prese una corda e non le dico il sacco di botte che diede al povero Lalo... In realtà, era in­nocente, ma... Io desideravo tanto quel vestito rosso. (Av­vicinandosi a Lalo) Mi perdoni, figlio mio?

Lalo                               - (duro, ermetico) Non devo perdonarti.

Cuca                              - (come madre. Con un certo isterismo) Rispet­tami, Lalo. (Con tono drammatico) Adesso non sono più quella di prima. Sono grossa, brutta... Ah, questo corpo!

Lalo                               - Non pensarci più.

Cuca                              - (come madre. Autoritaria) Ti dico di rispettarmi.

Lalo                               - Stavo solamente giocando.

Cuca                              - (come madre. Dura, imperativa) Non incomin­ciare con i tuoi giochetti. Tuo padre è un vecchio che cor­re come un matto dietro qualcosa che non esiste. Come te. Che ti serva di esempio. Facendo sempre la parte "di quello che-può-tutto" e in realtà è uno schifo... Una porche­ria. È un essere inutile. È stato sempre un fallito. Ha vis­suto di illusioni e pretende di continuare a farlo. A volte desidero che muoia. Perché mai mi sono legata a un uomo che non è mai riuscito a offrirmi una vita diversa?... (Pau­sa) Su via... (Pausa) Se non fosse stato per me, signor giu­dice, questa casa sarebbe andata a pezzi, signor giudice... Si, per me, per me...

Lalo                               - (come padre. Con voce sicura, quasi terribile) Quella donna mente, signor giudice.

Cuca                              - (come madre. A Lalo) Come puoi aver il coraggio?

Lalo                               - (come padre. A Beba) È vero quello che dico. Lei cerca di far apparire tutto nero. Vede solo la pagliuzza nell'occhio degli altri. Io, come padre, a volte sono stato colpevole. E lei anche. (Con tono pia sicuro) Come tutti i genitori abbiamo commesso ingiustizie e alcuni atti im­perdonabili.

Cuca                              - (come madre. Con odio) Veniva a casa con mac­chie di rossetto sulla camicia e sui fazzoletti.

Lalo                               - (come padre. Violento) Taci. Non vuoi lasciarmi dire la verità.

Cuca                              - (come madre. Violenta) Signor giudice, le sue ubriacature, i suoi amici, i suoi inviti fuori-ora...

Lalo                               - (come padre. Violento) Chi porta i pantaloni in questa casa?

Cuca                              - (come madre. Violenta) In casa comando io.

Lalo                               - (come padre. Violento) Ecco. "In casa comando io". Mi hai preso in giro. Mi hai umiliato. Sono stato un imbecille, un coglione. Perdonate la parola, signori della giuria.

Cuca                              - (come madre. Sarcastica) Ma bene! Meno male che lo riconosci.

Lalo                               - (come padre, violento) Si... perché negarlo? (Pau­sa. Ricapitolando) Andai al matrimonio pieno di illusioni come tutti, pensando che cosi avrei potuto risolvere al­cuni problemi: il mangiare, la biancheria, una sistemazio­ne e un po' di compagnia e... insomma... certe libertà. (Come se si colpisse interiormente) Imbecille. Imbecille.

Cuca                              - (come madre. Violenta) "Tutto per me poco per te" questo è il motto di tutti. Ma con me doveva essere diverso.

Lalo                               - (come padre. Con una certa amarezza) Si, certo. E fu davvero diverso. Pochi giorni prima di sposarci inco­minciarono le contrarietà. Che la chiesa era di periferia e non di prima categoria, che il vestito da sposa non aveva la coda abbastanza lunga, che le tue sorelle dicevano, che tua madre, che tua cugina, che tua zia, che le tue amiche pensavano, che tua nonna aveva detto, che gli invitati do­vevano essere il tale o tal'altro, che la torta non aveva die­ci piani, che gli amici dovevano vestirsi da cerimonia.

Cuca                              - (come madre. Con aria di sfida) Parla... Dilla, dilla tutta. Vomitalo, che non ti resti niente dentro. Final­mente scopro che mi odi.

Lalo                               - (come padre. Fermo, convinto) Si, è vero. (Cam­biando tono) Ti sei messa nel mio letto perché sapevi che era l'unica maniera per incastrarmi. Questa è la verità.

Cuca                              - (come madre. Sfidando) Continua. Continua. Non fermarti.

Lalo                               - (come padre. Sicuro) Odiavi i bambini... Però zitella, restare zitella...? No, no. Tu volevi un marito. Non importa chi fosse. L'importante era averlo.

Cuca                              - (come madre. Avvicinandosi a lui, furiosa) Ti odio, ti odio, ti odio.

Lalo                               - (come padre. Con aria di sfida) Un marito ti da­va sicurezza. Un marito ti rendeva rispettabile. (Ironico) Rispettabile... (Pausa) Non so come fare a spiegarmi... Ad ogni modo la vita è cosi, per dire...

Cuca                              - (come madre. Disperata) Bugie. Bugie. Bugie.

Lalo                               - (come padre. Violento) Mi lasci finire di parlare?

Cuca                              - (fuori di situazione) Stai barando un'altra volta.

Lalo                               - (come padre) Non vuoi che la gente sappia la verità.

Cuca                              - (fuori situazione) Stiamo discutendo un'altra cosa.

Lalo                               - (come padre) Hai paura di arrivare al finale.

Cuca                              - (fuori situazione) Quello che vuoi è distruggermi.

Lalo                               - (come padre. Violento) E tu cosa hai fatto? Dim­mi? Cosa hai fatto di me? E di loro? (Burlandosi) "Di­vento brutta, Alberto. Ho la pancia. Col tuo stipendio non possiamo mantenereci". (Pausa) E io non so i motivi, le ragioni vere. E oggi ti dico: "Mettiti una mano sul cuore e rispondimi: mi hai voluto bene qualche volta?"           - (Pausa) Non importa. Non rispondere. Adesso vedo chiaro. Dove­vano passare tutti questi anni perché me ne rendessi conto.

Cuca                              - (come madre) Alberto, i bambini. Devi aiutarmi. Non ne posso più di loro. Occupatene tu. Io da sola non posso. Capisci? Non posso. Tutto il giorno in questo cor-ri-corri... Oggi chiamo tua sorella, quella intrigante. Ah, questi bambini. Guarda come ho le mani a forza di lava­re. Sono disperata, Alberto, vorrei morire. E tu come un signorino nel tuo ufficio del ministero, ben seduto e com­posto, mentre io a dannarmi qui tra queste pareti, in que­sta prigione, in questo inferno, senza poter godere di nien­te, né una festa, né un cinema... Si, si, dimmi che sono esigente, dimmi che sono egoista. Su dimmi cosa fai tu? Cosa hai fatto tu?

Lalo                               - (coinè padre) Va bene, basta. Diventerò pazzo.

Cuca                              - (come madre) Continua, continua cosi. Perché non te ne vai una volta per tutte?

Lalo                               - (come padre) Ecco quello che vuoi tu. Però do­vrai godermi sino a che muoio. (Come se stesse parlando solo. Cuca canticchia. Beba grida in fondo alla scena e gioca con i cuscini tirandoli per aria) Se tu sapessi... ci sono delle altre donne. Non sei mica l'unica. (Cambiando tono) Non ho il coraggio. (Gridando) Ho una voglia terri­bile di andarmene, di sparire, di finirla con tutto. (Pausa. Cambiando tono) Ho paura. La paura mi paralizza. Non mi decido e resto a metà strada. Penso una cosa e ne fac­cio un'altra. È terribile. Rendersene conto quando si è al­la fine. (Pausa) Non posso. (Al pubblico) Lalo se tu vuoi, puoi. (Pausa) Óra mi domando: perché non vivi pienamen­te ciascuno dei tuoi pensieri, ciascuno dei tuoi desideri? E rispondo: per paura, per paura, per paura.

Cuca                              - (come madre. Sarcastica) La colpa non è mia, tesoro. (Pausa. Cambiando tono. Con aria di sfida) E tu, cosa vuoi che faccia? Questi ragazzi sono il diavolo. Mi riducono la casa un immondezzaio. Lalo rompe tende e taz­ze, e Beba non si accontenta di distruggere i cuscini... E a te, si, che piace arrivare a casa e trovare tutto pronto, a portata di mano. Sai che Beba ha fatto la pipi in sala?

Lalo                               - (come padre. Violento) Come? E tu cosa hai fatto? Sei un soprammobile? Conti meno di zero? (Cam­biando tono) In casa mia non è mai successo.

Cuca                              - (come madre) È colpa mia forse? Mia?... (Più violenta) Metto una sedia qui. (Sposta la sedia) E me la trovo qua. (Sposta la sedia) Ma non lo vedi? (Rimette la sedia nel posto iniziale) Cosa vuoi che faccia? (Si siede)

Lalo                               - (come padre. Vinto) Bisogna pulire la casa. (Be­ba smette di cantare) Si... Bisogna cambiare i mobili, si... (Pausa. Con molta malinconia) Veramente, bisogna fare un'altra... cosa. (Pausa) Ma ormai siamo vecchi e non pos­siamo. Siamo morti.

Beba                              - (come Lalo. Gridando e muovendosi in cerchio per la scena) Bisogna togliere i tappeti. Tirare giù le tende.

Lalo                               - (come padre. A Cuca) Hai sempre pensato di es­sere meglio di me.

Cuca                              - (come madre) Con te ho sprecato la mia vita.

Beba                              - (come Lalo) La sala non è la sala. La sala è la cucina.

Lalo                               - (come padre) Non puoi scappare.

Cuca                              - (come madre) Un impiegatuccio da quattro soldi.

Beba                              - (come Lalo) La camera non è la camera. La ca­mera è il cesso.

Lalo                               - (come padre) Sopporta, sopporta, sopporta.

Cuca                              - (come madre) Magari morissero tutti e tre.

Beba                              - (con un grido spaventoso) Aaaaaah. (Tra sin­ghiozzi) Vedo mia madre morta. Vedo mio padre sgozzato. (Gridando) Bisogna buttar giù questa casa. (Lunga pausa)

Lalo                               - Apri la porta. (Cade in ginocchio)

Beba                              - (a Cuca, tono normale) Come ti senti?

Cuca                              - (tono normale) Più sicura.

Beba                              - Sei soddisfatta?

Cuca                              - Si.

Beba                              - Davvero?

Cuca                              - Davvero.

Beba                              - Sei disposta un'altra volta?

Cuca                              - Che domanda!

Beba                              - Riusciremo a farlo un giorno...

Cuca                              - In modo perfetto.

Beba                              - Non ti ha sorpreso che ci sia riuscita?

Cuca                              - Uno sempre si sorprende.

Lalo                               - (tra i singhiozzi) Ah, sorelle mie, se l'amore po­tesse... solo l'amore... Perché nonostante tutto io li amo.

Cuca                              - (giocando con il coltello) Mi sembra ridicolo.

Beba                              - (a Cuca) Poverino, lascialo.

Cuca                              - (a Beba, tra risate di burla) Guardalo. (A Lalo) Cosi volevo vederti.

Beba                              - (di nuovo seria) Va bene. Adesso tocca a me.

(Buio)

FINE