La notte del 16 gennaio

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LA NOTTE DEL 16 GENNAIO

Processo in tre udienze

Di Ayn Rand

adattamento di Marcel Dubois

Personaggi:

Il giudice WILSON

Il Procuratore generale FLINT

L’avvocato difensore STEVENS                             

KAREN BORG

JOHN GRAHAM WITFIELD

NANCY LEE FAULKNER

GUSTI REGAN

Il dottor KIRKLAND

JOHN HUTCHINS

OMERO VAN FLEET

ELMER SWEENEY

MAGDA SWANSON

JAMES CHANDLER

SIGURD ANDERSON

Il cancelliere

L’usciere

Lo stenografo

Il segretario del Procuratore Flint

Il segretario del difensore Stevens

Alcuni gendarmi

L’inserviente del tribunale

La scena:

La sala del teatro deve essere considerata un’aula di tribunale della Corte Suprema di New York. Non c’è sipario. Tra la scena e la sala una scaletta di comunicazione, al centro. Nel fondo, sempre al centro, l’alta e comoda tribuna del giudice Wilson. Di fronte lo scrittoio per il cancelliere e lo stenografo. All’estrema destra il tavolino della difesa con la sedia per l’avvocato e quella del suo segretario. Anche l’accusata siederà vicino a questo tavolo. A sinistra il tavolino dell’accusa, per il procuratore generale ed il suo segretario. Tra la tribuna del giudice e il tavolo della difesa, le poltrone per i testimoni, su un piccolo praticabile di uno o due scalini. All’estrema sinistra, formando una specie di avancorpo, il recinto della giuria., delimitato da una balaustra. Davanti a questo recinto, cinque seggiole, dove verranno a sedere i testi dopo le deposizioni. Distribuite opportunamente, altre quattro sedie: una per l’usciere e tre per gli agenti. Nel fondo quattro porte, da sinistra a destra: 1) per i testimoni, 2) quella degli avvocati, 3) quella del giudice, 4) quella dell’accusata.

Presentazione

Questa vicenda è un processo penale senza verdetto prestabilito. La giuria di formerà al momento, scegliendo i giurati tra gli spettatori che si vorranno gentilmente prestare. Così dodici spettatori seguiranno il processo da dentro il recinto della giuria e, a fine del terzo atto, daranno il loro verdetto: previo qualche minuto di discussione in sala di consiglio, dove si ritireranno. La decisione si fa a maggioranza: la metà più uno. La commedia comporta due finali brevissimi a seconda del responso della giuria: ed è costruita in modo che l’innocenza o la colpevolezza siano sempre bilanciate. La decisione finale sarà dunque determinata dalla giuria, come se si trattasse di una storia reale. Si farà viva raccomandazione ai giurati di non fare domande durante il dibattimento. In tal modo si dà al pubblico l’illusione di un vero e proprio processo penale, senza che nessuno possa prevedere le conclusioni a cui si arriverà al termine delle tre udienze.


PRIMA UDIENZA

(Non essendoci sipario gli spettatori, entrando in teatro, vedranno la scena, che è ancora vuota e in ombra, essendo al momento, illuminata soltanto la sala. All’ora fissata per l’inizio della rappresentazione, gli agenti appaiono nel ridotto e, a voce alta, gridano “Comincia l’udienza!” Poi entrano lentamente in scena, pregando i ritardatari di andare ai loro posti; poi, sempre lentamente, attraversando la sala, si avviano verso il palcoscenico. Gli agenti sono inappuntabili, seri ed imponenti. Bisogna che il pubblico abbia subito, in partenza, la sensazione della gravità del caso. Uno degli agenti, sale sul palco, attraversa la scena ed esce dalla terza porta. Poco dopo un altro agente sale sul palco e dice qualche parola all’usciere che è entrato dalla porta numero tre. L’usciere passa all’estrema sinistra e dà la luce. La scena viene violentemente illuminata, mentre la sala resta in mezza luce. Allora l’usciere viene avanti sul palco e, al centro, si rivolge al pubblico.)

USCIERE – Signore, signori. Vi ricordiamo che la giuria di questo processo penale sarà formata tra gli spettatori che sono in sala. I giurati dovete dunque fornirli voi: prego coloro che intendono prestarsi gentilmente a fare da giurati, di volere venire qui da me, ed io li accompagnerò nello spazio a loro riservato. Un solo requisito è indispensabile: essere maggiorenni. (L’usciere raccoglie i primi dodici giurati volontari e li accompagna nello spazio recintato. I giurati prendono posto. A voce bassa, l’usciere ricorderà loro la gravità della situazione e che non è permesso loro di prendere la parola.)

(Un agente entra in sala. Subito entra in scena dalla porta 2 uno stenografo. Poi si succedono, con una certa rapidità, il cancelliere con libri e fascicoli. Il segretario dell’avvocato difensore, con fascicoli che va a deporre sul tavolo di destra. Il segretario del procuratore generale, con fascicoli che va a deporre sul tavolo di sinistra. L’avvocato della difesa Stevens, che va al suo posto. Il procuratore generale Flint, che si avvicina al cancelliere per dirgli qualcosa, poi va al suo posto di sinistra. L’usciere esce dalla porta 3. Si apre la porta 4: tutti guardano in attesa. Appare l’accusata:: Karen Borg, scortata da un agente che la conduce al suo posto, al tavolo di destra, dove c’è il suo avvocato. L’usciere torna, si avvicina al cancelliere, afferra il martelletto e batte un colpo imperativo).

USCIERE – Signori, la Corte. (Tutti si alzano. Entra dalla porta 3 il giudice Wilson. Sala alla sua tribuna e si mette a sedere. L’usciere seguita) Corte numero undici dello stato di New York, presidenza si Suo Onore il signor giudice Wilson. (Dopo che il giudice si è seduto, l’usciere dà un secondo colpo di martelletto. Tutti si siedono, compresi gli agenti e l’usciere).

GIUDICE – Il popolo dello stato di New York contro Karen Borg.

FLINT – Pronto, vostro onore.

STEVENS – Pronto,  vostro onore.

GIUDICE (ai giurati) – Signore e signori, voi siete la giuria chiamata a giudicare nel presente procedimento penale. Alla fine del dibattito, pronuncerete il vostro verdetto. Vi raccomando di seguire molto attentamente le deposizioni dei testi, e di rendere il vostro responso secondo coscienza e secondo il vostro cuore. Dovrete stabilire se l’imputata è colpevole o no: la sua sorte, da questo momento, è nelle vostre mani. La parola al procuratore generale. (Il procuratore generale Flint si alza e si rivolge alla giuria).

FLINT – Signore e signori della giuria! I fatti sono questi: il 16 gennaio, intorno a mezzanotte, quando le luci di Broadway illuminavano ancora l’allegra folla che sciamava per la strada, il corpo di un uomo, abbandonato nello spazio, venne a sfracellarsi al suolo, davanti allo stabile Faulkner. Questo uomo altri non era che il grande finanziere Carlo Faulkner, universalmente noto. Caduto dall’ultimo piano dello stabile, dove aveva uno studio lussuoso: dall’ultimo piano di uno stabile che misura oltre sessanta metri d’altezza. (Pausa) Suicidio? E’ l’ipotesi prospettata: l’individuo, non potendosi rassegnare alla rovina onde era minacciato, avrebbe considerato più facile e sbrigativo gettarsi dal tetto di un grattacielo, che scendere dal suo trono traballante di dittatore dell’alta finanza. Questo è da vedere. E’ vero che tutti ignoravano, in giro, la gigantesca truffa che era alla base delle imprese Faulkner. Pochi giorni dopo la morte di quest’ultimo, i suoi affari ebbero un tracollo e fu la rovina; la rovina delle migliaia di piccoli risparmiatori che gli avevano affidato tutti i loro averi. Ma se, per affrontare il mondo, Faulkner ebbe da sostenere lotte incessanti, durissime lotte, il conflitto più terribile è quello che certamente scoppiò nel suo cuore; ed è appunto questo conflitto che vi rivelerà il corso del processo. (Pausa) Due donne – in realtà – manovrarono la vita e la morte di Carlo Faulkner. Signore e signori della giuria, una di queste donne vi sta davanti (Indica Karen Borg) … Karen Borg … La segretaria di Faulkner. Non è un segreto per nessuno che le sue funzioni presso il suo datore di lavoro non erano soltanto … commerciali. Tutta l’Europa sapeva il nome dell’amante di Faulkner, quando sei mesi fa, il grande finanziere venne in America, nella speranza di trovare un prestito per salvare il suo patrimonio. La sorte gli fu propizia, perché gli procurò nello stesso tempo il modo di salvare il suo cuore. Difatti Faulkner incontrò qui, nel suo cammino, una gentile ragazza, oggi sua vedova, figlia unica di John Grahan Witfield una delle nostre più nobili figure d’uomo d’affari. Faulkner pensò allora di avere trovato la sua salvezza, e che una nuova esistenza onesta, pulita questa volta, si sarebbe dischiusa davanti a lui, grazie alla sua giovane sposa. Evidente era la sua volontà di cambiare vita. E la miglior prova è che, dopo due settimane di matrimonio, licenziò la sua – diciamo – segretaria: Karen Borg. Non è difficile immaginare la rabbia che cominciò a ribollire nel cuore di questa donna, e la sua tormentosa sete di vendetta. E questa vendetta fu consumata precisamente la notte del 16 gennaio. Faulkner non si è suicidato. E’ stato assassinato. Assassinato dalle mani delicate ma spietate di colei che avete davanti (Indica Karen Borg). Quelle sono le mani che hanno spinto nel vuoto il corpo di Carlo Faulkner. La prova – le prove – signore e signori della giuria, ve le daremo subito. (Flint si ferma un attimo. Poi) Il nostro primo testimone sarà il dottor Kirkland (L’usciere chiama dietro le quinte il dottor Kirkland. E’ un uomo di una certa età, di aspetto simpatico).

CANCELLIERE (tenendosi la Bibbia) – Giurate solennemente di dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità davanti a Dio.

KIRKLAND (con la mano sulla Bibbia) – Lo giuro. (Sale sul piccolo praticabile e siede sulla sedia dei testimoni).

FLINT – Nome, per cortesia?

KIRKLAND – Thomas Kirkland.

FLINT – Professione?

KIRKLAND – Medico legale del Distretto.

FLINT – Per quale motivo foste chiamato durante la notte del 16 gennaio?

KIRKLAND – Per esaminare il cadavere del signor Carlo Faulkner.

FLINT – Che avete constatato?

KIRKLAND – Il cadavere era mutilato, assolutamente irriconoscibile.

FLINT – Causa del decesso?

KIRKLAND – Caduta da grande altezza.

FLINT – A quanto tempo risaliva la morte quando avete esaminato il cadavere?

KIRKLAND – Io sono arrivato sul luogo circa trenta minuti dopo l’incidente.

FLINT – Vi domando se sarebbe stato possibile, nelle condizioni in cui trovaste la spoglia, stabilire con esattezza a quanto tempo risaliva il decesso.

KIRKLAND – Escludo. La temperatura era molto bassa, il sangue si era immediatamente coagulato: e questo comporta un margine di qualche ora; di impossibile determinazione.

FLINT – Di modo che è consentito prospettarsi l’ipotesi che la morte di Faulkner risalisse oltre la mezz’ora?

KIRKLAND – Sì.

FLINT – La morte può essere stata conseguenza di una causa diversa dalla caduta?

KIRKLAND – Non ne ho trovata nessuna prova esaminando il cadavere.

FLINT – E ora ditemi, dottore: se Faulkner fosse stato ucciso con un colpo di pistola, per esempio, avreste potuto stabilire il punto della ferita?

KIRKLAND – Sarebbe dipeso dallo stato di mutilazione delle carni intorno a questa ferita eventuale.

FLINT – In altri termini: è possibile che sia stato ucciso, ma che della ferita non vi siate accorto in dipendenza delle condizioni in cui si trovava il cadavere?

STEVENS – Mi oppongo, vostro onore. Il rilievo del procuratore generale non poggia su nessuna base.

GIUDICE – L’opposizione è respinta.

FLINT (a Kirkland) – E allora, dottore, potete rispondere alla mia domanda.

KIRKLAND – In realtà, una ferita da arma da fuoco avrebbe potuto benissimo passare inosservata.

FLINT – Grazie, dottore.

STEVENS – Scusate, dottor Kirkland, voi dite che una ferita avrebbe potuto passare inosservata. Ma voi avete trovato traccia di tale ferita?

KIRKLAND – No.

STEVENS – Per cui non potete fornire la prova che il decesso avrebbe potuto avere una causale diversa dalla caduta?

KIRKLAND – In realtà, no.

STEVENS – Grazie, dottore. (Il dottor Kirkland si alza e va a sedersi su una delle sedie riservate ai testi esclusi).

FLINT – John Hutchins.

USCIERE (chiama dalla porta dei testimoni) – John Hutchins!

HUTCHINS (entrando) – Presente! (Hutchins è un uomo sulla cinquantina, pulito, ma con i vestiti quasi consumati. Si avvia timidamente verso lo scrittoio del cancelliere facendo inchini e rivoltandosi nervosamente il cappello tra le mani).

CANCELLIERE (tenendogli la Bibbia ripete la formula del giuramento come sopra).

HUTCHINS – Lo giuro. (Si siede sulla sedia dei testimoni).

FLINT – Nome, prego?

HUTCHINS – John Johseph Hutchins.

FLINT – Professione?

HUTCHINS – Guardiano notturno del grattacielo Faulkner.

FLINT – Il signor Faulkner aveva un ufficio in quel grattacielo?

HUTCHINS – Sissignore.

FLINT – Sapete chi era il proprietario dello studio che si trova sul tetto del grattacielo?

HUTCHINS – Certo signore: era il dottor Faulkner.

FLINT – Chi ci stava in quello studio?

HUTCHINS – Il signor Faulkner e la signorina Borg, signore… Voglio dire, prima del matrimonio del signor Faulkner.

FLINT – E dopo il matrimonio?

HUTCHINS – Dopo il matrimonio, la signorina Borg ci viveva da sola.

FLINT – Vi risulta che il signor Faulkner sia venuto a far visita alla signorina Borg dopo il matrimonio?

HUTCHINS – Sissignore. Una volta. Una volta sola.

FLINT – Che fu?

HUTCHINS – La notte del 16 gennaio.

FLINT – Diteci quel che sapete, Hutchins.

HUTCHINS – Ecco, signore. (Durante il racconto di Hutchins la luce si spegne e la scena che egli descrive viene proiettata su uno schermo predisposto sopra la tribuna presidenziale. Si vede Karen Borg in una mirabile toletta da sera bianca e una sciarpa. E’ seguita da Carlo Faulkner e da Gusti Reagan, entrambi in frac, che sorreggono un uomo che ha un soprabito sport color grigio scuro. Si ha l’impressione che sorreggono un uomo ubriaco fradicio e quasi senza coscienza. Sembrerebbero dei compagni di baldoria che tornano a casa da un orgia. Faulkner e Karen ridono. Entrano nell’ascensore. Regan, tutto riguardoso, quasi con tenerezza dà la mano a Karen per farla entrare nell’ascensore. Ultimo si vede Faulkner che ride, nel preciso momento che l’ascensore si richiude).

HUTCHINS – Ero entrato in servizio alle dieci di sera. Mezz’ora dopo suonarono al portone. Scesi ad aprire la porta. Era la signorina Borg: con lei c’era il signor Faulkner. Confesso che rimasi un po’ stupito, perché dovete sapere che la signorina Borg ha la chiave di casa e di solito apre da sé.

FLINT – Era sola con il signor Faulkner?

HUTCHINS – Nossignore. C’erano altri due signori.

FLINT – Chi erano?

HUTCHINS – Non so.

FLINT – Non li avevate mai visti, prima?

HUTCHINS – Nossignore. Mai.

FLINT – Potete darci qualche connotato?

HUTCHINS – Erano tutti e due alti e piuttosto magri. Ricordo benissimo che uno di loro aveva gli occhi chiari. Dell’altro non ho potuto vedere la faccia per via del cappello che si era tirato sugli occhi. Quello, con il dovuto rispetto, mi pareva che ne avesse un po’ più del dovere.

FLINT – Cosa volete dire?

HUTCHINS – Eh… che era ubriaco fradicio … con tutto il rispetto, naturalmente. Non si reggeva in piedi, ragion per cui il signor Faulkner e l’altro giovane dovevano sorreggerlo. Hanno dovuto portarlo, semplicemente, come un sacco nell’ascensore.

FLINT – Il signor Faulkner appariva preoccupato?

HUTCHINS – No, anzi. Era molto allegro.

FLINT – Non vi è parso, dunque, un uomo che pensi ad uccidersi?

STEVENS – Opposizione, vostro onore.

GIUDICE – Accolta.

FLINT – E gli altri? Anche gli altri erano allegri?

HUTCHINS – Sissignore. La signorina Borg sorrideva. Il signor Faulkner ha fatto una risata nel chiudere l’ascensore.

FLINT – Parlateci ora dell’uomo dagli occhi chiari.

HUTCHINS – Era allegro anche lui. Insomma, c’era soltanto l’ubriaco che non aveva voglia di ridere. E se nessuno fa opposizione, mi permetterò di dire che ebbi l’impressione…

STEVENS – Opposizione, vostro onore.

GIUDICE – Respinta.

HUTCHINS – Grazie, signor giudice. Dicevo che ebbi l’impressione che fossero tutti brilli, salvo, beninteso, il vostro rispetto, signor presidente.

FLINT – Li avete visti uscire, durante la notte?

HUTCHINS – Sissignore. Il primo, circa un quarto d’ora più tardi.

FLINT – Il primo, chi?

HUTCHINS – Il più ubriaco; uscì dall’ascensore senza l’aiuto di nessuno e mi parve meno ubriaco di quando era entrato. Camminava da sé, ma sbandava un tantino.

FLINT – Avete visto dove andava?

HUTCHINS – Vedendolo in quelle condizioni, mi parve di doverlo aiutare a trovare l’uscita, ma quando mi vide avvicinare, quello se l’è svignata. Sissignore, svignata. E’ salito su un’auto che era ferma davanti alla porta ed è filato via. Sono sicura che non è andato lontano: l’hanno certo arrestato.

FLINT – Che cosa ve lo fa pensare?

HUTCHINS – Un’altra macchina che si è mossa subito dopo la sua. (Karen sembra animarsi d’un tratto. Uscendo dalla sua calma glaciale, si alza e chiama Hutchins).

KAREN – Com’era la macchina?

GIUDICE – L’accusata favorisca non interrompere. (Stevens dice qualcosa all’orecchio di Karen e la costringe a sedersi di nuovo).

FLINT – Se la signorina Borg consente a me di fare questa domanda, la sua curiosità sarà soddisfatta. (A Hutchins) Signor Hutchins, stavo giusto per domandarvi di quale macchina si trattava.

HUTCHINS – Una grande limousine nera, che era ferma a dieci metri dalla prima.

FLINT – E chi c’era in quella seconda macchina?

HUTCHINS – Io non vidi che un uomo.

FLINT – E che cosa vi faceva credere che la seconda vettura inseguisse la prima?

HUTCHINS – Ah, non posso dire davvero di esserne sicuro. Ma mi è sembrato strano che si muovessero quasi contemporaneamente.

FLINT – Avete visto uscire nessun altro?

HUTCHINS – Sissignore: l’altro sconosciuto che scese circa dieci minuti dopo.

FLINT – Che ha fatto?

HUTCHINS – Niente di speciale, signore. Mi è parso che avesse molta fretta: è uscito quasi di corsa.

FLINT – E poi?

HUTCHINS – Allora ho cominciato il mio giro di ispezione per lo stabile, e poi, circa un’ora più tardi, ho sentito degli urli per la strada. Sono sceso giù di corsa e nel vestibolo ingresso ho visto la signorina Borg uscire dall’ascensore col vestito tutto strappato. Piangeva e diceva parole sconnesse. Si è slanciata sulla strada, e io le sono corso dietro. Abbiamo attraversato la folla e allora … (si ferma)

FLINT – E allora?

HUTCHINS (commosso) – E allora abbiamo visto il signor Faulkner sfracellato sul marciapiedi.

FLINT – E la signorina Borg, che ha fatto?

HUTCHINS – Ha lanciato un grido tremendo ed è caduta sulle ginocchia. Ah, signore, una cosa terribile. Vedete, io ho fatto la guerra, ma un corpo ridotto così non l’ho visto mai.

FLINT – Grazie, signor Hutchins.

STEVENS (a Hutchins) – Scusate, Hutchins. Voi avete detto che, dopo il matrimonio, il signor Faulkner era venuto una sola volta a far visita alla signorina Borg; e che fu precisamente la notte del 16 gennaio. Volete dirci, ora, se vedete sempre e tutti, quelli che entrano di notte nello stabile?

HUTCHINS – Nossignore. Io non resto sempre nel vestibolo d’ingresso; e poi devo fare i miei giri d’ispezione. Se, poniamo, un invitato ha la chiave, può entrare benissimo senza che lo veda io.

STEVENS – In altri termini, la signorina Borg è possibile che abbia ricevuto un certo numero di visite, compreso il signor Faulkner, senza che voi ne sapeste nulla.

HUTCHINS – Sissignore. Possibilissimo.

STEVENS – Grazie. (Hutchins si alza e va a sedersi in una delle sedie per i testimoni).

FLINT (chiama) – Omero Van Fleet. (Entra Omero Van Fleet. Alto, non più tanto giovane, è quel che si può dire “corretto”. Corretto nei vestiti, d’una sobria eleganza; corretto nei modi, calmo e riservato, comportamento da uomo d’affari. Modesto e dignitoso al tempo stesso).

CANCELLIERE (ripete la formula del giuramento).

VAN FLEET – Lo giuro.

FLINT (quando Van Fleet è seduto) – Nome?

VAN FLEET – Omero Van Fleet.

FLINT – Professione?

VAN FLEET – Detective privato.

FLINT – Avete ultimamente un incarico in rapporto a questa causa?

VAN FLEET – Quello di pedinare e sorvegliare il signor Carlo Faulkner.

FLINT – Chi vi pagava per questo lavoro?

VAN FLEET – La signora Faulkner.

FLINT – Avete pedinato il signor Faulkner anche la notte del 16 gennaio?

VAN FLEET – Sì.

FLINT – Potete dirci qualche particolare?

VAN FLEET – Comincerò dalle ore 6.30 di quella sera.

FLINT – Perché alle 6.30 di quella sera?

VAN FLEET (parla rapidamente, con gran precisione; come un impiegato che fa una relazione al suo principale) – Sei e trenta pomeridiane. Il signor Faulkner lascia la sua residenza a Long Island: è in frac. Esce in macchina e si mette al volante. E’ solo. Particolare importante: va a una velocità fantastica fino a New York.

FLINT – E a New York, dove si ferma?

VAN FLEET – Davanti al grattacielo Faulkner, dove entra. Sono le sette e cinquantasette minuti. Gli uffici sono tutti chiusi. Aspetto di fuori nella mia macchina. Alle 9.35 il signor Faulkner esce con la signorina Borg, che è in abito da sera. Particolare importante: la signorina Borg ha sul petto un mazzo d’orchidee. Orchidee di una grandezza straordinaria. Partono in macchina.

FLINT – Per dove?

VAN FLEET (dopo un attimo di perplessità) – Nessuno è perfetto, in questo basso mondo.

FLINT – Che volete dire?

VAN FLEET – Voglio dire che ne perdetti ogni traccia.

FLINT – Bene. E che faceste dopo averne perdute le tracce?

VAN FLEET – Sono tornato al grattacielo Faulkner ed ho atteso.

FLINT – A che ora sono ritornati.

VAN FLEET – Alle dieci e trenta, esattamente. Li seguiva una macchina grigia, guida interna. E’ sceso prima il signor Faulkner che ha aiutato a scendere la signorina Borg. Mentre lei suonava il campanello della porta, lui ha aperto lo sportello della macchina grigia. Un uomo, in frac, che mi parve piuttosto alto, ha aiutato a scendere un terzo individuo con un soprabito sport grigio scuro. Particolare importante: questo terzo individuo dava segni non equivoci di ubriachezza. Entrarono tutti e tra nello stabile, con la signorina Borg.

FLINT – E immediatamente dopo, che faceste?

VAN FLEET – Lascia la mia macchina ed entrai al “Gary’s Grill” che è proprio in faccia allo stabile Faulkner. Devo dire che quando sono in servizio ho l’abitudine di mangiare un boccone ogni cinque ore… ed erano esattamente cinque ore che avevamo lasciato Long Island. Sono quindi entrato al “Gary’s Grill”, mi sono seduto presso la finestra da dove potevo sorvegliare l’ingresso dell’edificio di Faulkner.

FLINT – Notaste qualche cosa?

VAN FLEET – Niente di niente… per almeno quindici minuti. Poi, è uscito l’uomo dal soprabito grigio e ha messo in moto la macchina a guida interna: quella grigia. E se noi consideriamo che anche le idee di quell’uomo dovevano essere un po’ grigie per la sbornia, noi dovremmo constatare una netta preminenza di toni grigi in questo episodio…

FLINT – Non è rilevante. E poi?

VAN FLEET – Poi questo complesso di grigi è partito a tutta velocità verso sud.

FLINT – Vedeste uscire il terzo?

VAN FLEET – L’uomo in frac. Sì. Dieci minuti dopo. Si è avvicinato ad una macchina ferma vicino al marciapiede. Non so come ha fatto ad entrarci dentro: doveva avere una chiave, perché ha aperto lo sportello e ha messo immediatamente in marcia. E si è allontanato anche lui in direzione sud.

FLINT – Avete visto altre volte il signor Faulkner in compagnia di questi due uomini?

VAN FLEET – No. Mai. Era la prima volta.

FLINT – Che faceste dopo la partenza successiva dei due uomini?

VAN FLEET – Ho aspettato. (Pausa) Il signor Faulkner è ora solo nello studio con la signorina Borg. Io sono curioso, per esigenze di mestiere. E mi metto in agguato ad un osservatorio che mi è già servito altre volte.

FLINT – Dove?

VAN FLEET – Da “Moss” : un club notturno situato sul tetto dello stabile Brooks, tre porte più in là dello stabile Faulkner. Particolare : soltanto da “Moss” a prezzi abbordabili si può trovare un certo cocktail a base di gin… (si riprende) Domando scusa: è un rilievo personale, e noi lo trascureremo, se preferite.

FLINT – Sì, preferisco. Gradirei invece che mi diceste quali vantaggi vi offriva quel posto di osservazione.

VAN FLEET – Ecco : lo stabile Brooks è un poco più elevato dello stabile Faulkner. Offre una veranda all’aperto come prolungamento della sala da ballo. Non c’è che da uscire su quella veranda per vedere lo studio di Faulkner chiaro come il palmo della vostra mano.

FLINT – E così avete fatto voi.

VAN FLEET – Esattamente. Esco. Guardo e …

FLINT – Che vedete? (Come alla scena precedente la luce si spegne in scena si volge sullo schermo, la scena descritta da Van Fleet. Si vede il balcone e il giardino pensile dello studio di Faulkner. Nel chiaro di luna si distinguono o grandi alberi e, dietro, il lussuoso grattacielo. Il vestito bianco di Karen brilla al chiaro di luna. E’ sola con un uomo di cui si scopre a malapena, nell’oscurità, la sagoma scura. Ella trascina fino al parapetto del balcone quell’uomo che appare un corpo inanimato. Raccogliendo tutte le proprie forze, lo solleva fino al parapetto, lo lascia e rimane a guardarlo precipitare).

VAN FLEET – Scarsa visibilità. Il vestito bianco di Karen brilla al chiaro di luna. Ella trascina il corpo di un uomo fino al margine del balcone. L’uomo è nell’oscurità. E’ Faulkner. Non è cosciente. Raccogliendo tutte le sue forze la signorina Borg lo solleva fino al parapetto; d’un tratto lo abbandona e sta un attimo a vederlo roteare nel vuoto. (Fine della proiezione. Luce in scena).

FLINT – E voi?

VAN FLEET – Io mi precipito in sala. Grido quello che ho visto. La folla si precipita con me giù per le scale, e scopriamo, sul marciapiede, proprio davanti allo stabile Faulkner, un cadavere intriso di sangue, atrocemente sfracellato. La signorina Borg è li che piange da spaccare il cuore.

FLINT – E allora avete rivolto la parola alla signorina Borg?

VAN FLEET – No. E’ arrivata la polizia e io ho raccontato quello di cui ero testimone oculare, così, come ho riferito nel mio rapporto.

FLINT – Grazie per la vostra deposizione. (Stevens si alza e si dirige a passi lenti verso Van Fleet, fissandolo con insistenza).

STEVENS – Volete essere così cortese, signor Van Fleet, di dirmi quando avete iniziato la vostra missione per conto della signora Faulkner?

VAN FLEET – Il 13 ottobre scorso.

STEVENS – Bene. In che data fu celebrato il matrimonio tra il signor Faulkner e la sua sposa?

VAN FLEET – Il 12 ottobre, cioè il giorno prima.

STEVENS – Esattamente. Il giorno prima. In altri termini, la signora Faulkner via ha stipendiato per spiare e pedinare il marito dal primo giorno dopo il matrimonio.

VAN FLEET – Dio mio, pare proprio così.

STEVENS – Quali istruzioni vi diede la signora Faulkner quando si rivolse a voi?

VAN FLEET – Di sorvegliare tutti gli atti e i movimenti del signor Faulkner, e di fornirle un dettagliato resoconto.

STEVENS – Non via chiesto di occuparvi in modo particolarissimo della signorina Borg?

VAN FLEET – No.

STEVENS – Il signor Faulkner è stato a fare visita alla signorina Borg dopo il matrimonio?

VAN FLEET – Frequentemente.

STEVENS – Di giorno?

VAN FLEET – Raramente.

STEVENS – Avete informato la signora Faulkner di queste visite?

VAN FLEET – Naturalmente.

STEVENS – Quali furono le sue reazioni?

VAN FLEET – Perdonate avvocato: la signora Faulkner è una gran dama, e come tale non ha l’abitudine di esprimere in pubblico i propri sentimenti.

STEVENS – S’intende. Ma vi è parsa per lo meno seccata, rattristata?

VAN FLEET – Non direi. (Con un tono leggermente forzato) Il signor Faulkner era il migliore dei mariti e amava sua moglie sopra ogni cosa al mondo.

STEVENS – Come lo sapete voi?

VAN FLEET – Sono le precise parole della signora Faulkner.

STEVENS – Ditemi, signor Van Fleet, potete dirmi con precisione a che ora avete lasciato il vostro osservatorio di fronte allo stabile Faulkner per il ritrovo notturno “Moss”, la notte del 16 gennaio?

VAN FLEET – Esattamente alle 11.32.

STEVENS – Quanto tempo occorre normalmente per il tragitto da un punto all’altro?

VAN FLEET – Tre minuti.

STEVENS – Che ore erano quando usciste sulla veranda del locale “Moss”?

VAN FLEET – Le 11.57.

STEVENS – Sono quindi passati esattamente 22 minuti dal momento in cui entraste nel locale e quello in cui usciste sulla veranda. Che avete fatto in quell’intervallo di tempo?

VAN FLEET – Vi dirò, ecco. (un po’ impacciato) C’è un dancing da “Moss” – non so se rendo l’idea – un dancing e … capite… qualche altro svago … complementare.

STEVENS – Avete approfittato, scusate, di questi … svaghi?

VAN FLEET – Beh,se proprio volete saperlo, ho bevuto semplicemente un cocktail – o due, magari due – ma quello a supporre che ero ubriaco…

STEVENS – Non ho fatto una simile ipotesi… almeno per ora. Vediamo un po’: voi avete scorto la signorina Borg spingere nel vuoto il corpo del signor Faulkner. Tutto questo accadeva a una certa distanza da voi, nell’oscurità della notte, e voi avevate bevuto un paio di cocktail a base di gin, naturalmente.

VAN FLEET – I cocktails non c’entrano.

STEVENS – Siete proprio sicuro che la signorina Borg abbia spinto nel vuoto il corpo del signor Faulkner? Non potrebbe essere accaduto, per esempio, che la signorina Borg avesse piuttosto “lottato” con lui?

VAN FLEET – Curiosa idea di lottare… con un corpo inerte. La signorina Borg l’ha sollevato a fatica: dico quello che ho visto.

STEVENS – Signor Van Fleet, io vorrei sapere che consegne vi ha dato la signora Faulkner prima di venire a deporre in giudizio.

VAN FLEET (indignato) – Nessuna mia dato consegne di sorta, signore. Del resto la signora Faulkner non è nemmeno a New York. Suo padre l’ha condotta con sé in California perché si possa rimettere da un esaurimento nervoso.

STEVENS – Signor Van Fleet, credete che il suicidio di Faulkner sia molto lusinghiero per la signora Faulkner?

FLINT – Opposizione.

GIUDICE – Opposizione accolta.

STEVENS – Signor Van Fleet, voi che in qualità di detective eravate in relazione con la signora Faulkner, potete forse valutare la somma di denaro che la vostra cliente sarebbe disposta a corrispondere a chi venisse qui a testimoniare che suo marito è stato assassinato?

FLINT – Opposizione, vostro onore.

GIUDICE – Opposizione accolta.

VAN FLEET – Mi preme di ricordare al signor Stevens che potrebbe andare incontro a una querela, se si permette simili insinuazioni.

STEVENS – Non ho fatto insinuazioni di sorta, signor Van Fleer, ma una semplice domanda, in via generica.

VAN FLEET – In tal caso vi risponderò, in via generica, che la falsa testimonianza non rientra nei compiti di un investigatore privato. Noi ci facciamo pagare per il nostro lavoro, ma ci sono cosa che non vediamo.

STEVENS – Non soffre eccezione questa regola… generale?

VAN FLEET – No signore. Non soffre eccezioni.

STEVENS – Grazie, signor Van Fleet.

KAREN – Un momento prego. Signor Stevens, vorrei che gli faceste ancora una domanda.

STEVENS – Dite, signorina Borg (La signorina Borg mormora qualche parola all’orecchio di Stevens che appare sorpreso) Va bene (A Van Fleet) Di che marca è la vostra macchina, signor Van Fleet.

VAN FLEET (sorpreso a sua volta) – E’ una guida interna Builk color grigio scuro, modello 1932: vecchia come vedete; ma mi serve ancora a meraviglia (Karen mormora ancora qualche parola all’orecchio di Stevens).

STEVENS (A Van Fleet) – Avete notato voi una macchina che avrebbe seguito quella dell’uomo dal soprabito grigio?

VAN FLEET – No, in verità. C’erano molte macchine: il traffico è molto intenso a quell’ora.

STEVENS – Grazie, signor Van Fleet. (Van Fleet si alza e va a sedersi su una delle sedie riservate ai testimoni).

FLINT (Chiama) – Sergente Sweeney! (Entra il sergente di polizia Sweeney e viene alla sbarra. Ha un grosso testone rotondo e la fisionomia di un uomo candido. Ha in mano un taccuino).

CANCELLIERE (La solita formula del giuramento).

SWEENEY – Lo giuro. (Si siede).

FLINT – Nome?

SWEENEY – Elmer Sweeney.

FLINT – Professione?

SWEENEY – Sergente di polizia.

FLINT – Nella notte del 16 gennaio siete stato incaricato di un inchiesta sulla morte di Carlo Faulkner?

SWEENEY – Si, signore. Fui il primo ispettore di polizia ad arrivare sul luogo.

FLINT – Avete interrogato la signorina Borg?

SWEENEY – Non subito. Prima di poter fare qualcosa, un tale, di nome Van Fleet, mi si è precipitato addosso e si è messo a sbraitare come un asino, con il dovuto rispetto, e a raccontare, anche a chi non voleva sentire, che aveva visto lui Karen Borg gettare di sotto Faulkner dall’alto del suo studio.

FLINT – Qual è stata la reazione della signorina Borg sentendo questo?

SWEENEY – Sembrava impietrita. Era in piedi, lì così, e gli occhi le brillavano come due fiamme. Poi, tutto a un tratto, è scoppiata a ridere; una risata che non finiva più. Parola mia, mi ha dato un colpo al cuore: ho pensato che diventasse matta.

FLINT – Che avete fatto?

SWEENEY – Ho impartito disposizioni perché fosse trattenuta per l’interrogatorio; l’abbiamo messa in ascensore, perché io dovevo perquisire lo studio. (Pausa) Ah! Quelli studio, vi dico io… !

FLINT – Vi avete scoperto qualcosa di anormale?

SWEENEY – D’anormale, caspita!

FLINT – Che cosa?

SWEENEY – La camera da letto.

FLINT – Ah! E che cosa avete trovato nella camera da letto?

SWEENEY – Camice da notte, signore. Camice da notte di pizzo, di un pizzo così fine che sembrava carta di sigarette.

FLINT – E nient’altro?

SWEENEY – Oh, sì. Nella stanza da bagno una vasca di vetro. Abbiamo aperto i rubinetti. Acqua profumata.

FLINT – Io non vi ho domandato ragguagli sul valore… estetico dello studio. Desidero sapere, semplicemente, se avete trovato nella “camera da letto” qualcosa di anormale in relazione con la morte di Carlo Faulkner.

SWEENEY – Nella camera no, ma nel salottino sì.

FLINT – Che cosa?

SWEENEY – Entrando nel salottino, la mia attenzione fu subito attratta da una… (In questo momento l’auditorio è in agitazione. E’ entrata Nancy Lee Faulkner; attraversa la sala e sale la scaletta. E’ una donna di 22 anni, bionda, fine, delicata: la grazie e il fascino femminile personificati. Il suo viso incarnato rosa contrasta con le sue gramaglie. Veste alla perfezione ed è evidente che il suo vestito esce dalle mani di un gran sarto. Stile severo e d’un gusto perfetto per un abito da lutto. Quando appare tutti gli occhi si voltano verso di lei. Ma Nancy Lee non guarda che Karen. Flint non può reprimere un’esclamazione di sorpresa).

FLINT – Signora Faulkner!

NANCY (lentamente e sommessamente) – Ho pensato che volesse sentirmi come testimone, signor Flint.

FLINT – Difatti, signora Faulkner. Ma vi credevo in California.

NANCY – C’ero: ma sono scappata.

FLINT – Scappata?

NANCY – Mio padre era preoccupato per la mia salute. Si è opposto alla mia partenza. Ma io ho voluto compiere il mio dovere fino alla fine, verso la memoria di… (la sua voce trema un poco) di mio marito. Ho pensato che la mia salute fosse una cosa secondaria in un tale momento, e sono venuta per mettermi a vostra disposizione.

FLINT – Signore, apprezzo altamente il vostro gesto. Accomodatevi, prego. Vi sentiremo tra poco. (Siede in una delle sedie riservate ai testimoni).

FLINT (a Sweeney) – Continuate pure, sergente. Stavate per parlare di quello che avete trovato nel salottino.

SWEENEY – Ho trovato una lettere posta in evidenza contro una bottiglia di Champagne sulla tavola. Era sigillata, con un indirizzo in questi termini : “Da aprirsi dalla prima persona che la troverà”. (Il cancelliere porge una lettera a Flint che la mostra a Sweeney).

FLINT – Questa vero?

SWEENEY – Sissignore, la riconosco.

FLINT – Favorite leggerla alla giuria.

SWEENEY (leggendo) – “Se qualche storico vorrà più tardi raccontare quali sono stati i coefficienti di felicità che mi hanno permesso di sopportare un’esistenza che pareva ideale, gli dirò che ho avuto due sole gioie nella mia vita: il mio staffile e Karen Borg.” Firmato: Carlo Faulkner.

FLINT – Avete interrogato la signorina Borg dopo la scoperta della lettera?

SWEENEY – Sì. Mi confermò che quella lettera era stata scritta in realtà da Faulkner che l’aveva posata poi sulla tavola raccomandandole di non toccarla. Quando ebbe capito che cosa voleva fare tentò di opporvisi: dovette persino sostenere una lotta con lui, ma senza risultato.

FLINT – Le avete fatto qualche domanda sulla gente con la quale avevano passato la serata?

SWEENEY – Sì. Mi rispose che i due uomini erano amici di Faulkner e che non li aveva veduti mai prima di allora. Secondo lei, il signor Faulkner sarebbe andato a prenderli in un ritrovo notturno portandoseli poi a casa. (Consulta il suo taccuino) Mi ha detto che si chiamavano… vediamo… (cerca) Jeery White e Dik Saunders.

FLINT – Avete verificato se questi due uomini erano veramente nel cerchio delle conoscenze del signor Faulkner?

SWEENEY – Sì.

FLINT – Ebbene?

SWEENEY – Nessuno ne ha mai sentito parlare.

FLINT – E la signorina Borg vi ha affermato, come ha fatto nel corso delle indagini, di averli visti per la prima volta la notte del 16 gennaio?

SWEENEY – Sissignore.

FLINT – E ha insistito su questa circostanza?

SWEENEY – Sissignore. E molto.

FLINT – Grazie. (Sweeney fa per alzarsi).

STEVENS – Un momento, sergente. La signorina Borg vi ha detto di avere dovuto sostenere una lotta per impedirgli di uccidersi?

SWEENEY – Sì.

STEVENS – Avete notato sull’abito della signorina Borg qualcosa che comprovasse quella lotta?

SWEENEY – Sissignore. Aveva l’abito tutto stracciato. Ricordo molto bene: la veste era attaccata alle spalle con spalline di diamanti: una era staccata; sicchè la signorina doveva tenersi su la veste con una mano.

STEVENS – Ed a vedere tutto ciò, che avete pensato?

SWEENEY (impacciato) – Scusi, signore, devo proprio rispondere?

STEVENS – Certamente: dovete.

SWEENEY – Ebbene… ho pensato…

STEVENS – Che cosa?

SWEENEY – Ho pensato. Eh, caspita, se anche l’altra spallina potesse andare in malora, sarebbe un gran bel vedere. (Risate. Il giudice batte con il martello sul suo tavolo).

STEVENS – Ho pausa di non essermi spiegato. Io volevo sapere se vi è parso che il vestito potesse essere stato stracciato durante una lotta.

SWEENEY – Certo, questa fu la mia impressione.

STEVENS – Un’ultima domanda: perché vi siete divertito ad aprire i rubinetti del bagno?

SWEENEY (impacciato) – Ma, ci avevano detto che non c’era acqua nei serbatoi.

STEVENS – Che cosa doveva esserci?

SWEENEY – Ci avevano detto che c’era dello Champagne. E allora, capite, abbiamo aperto tutti i rubinetti.

STEVENS (ridendo) – Sarà bene non dar fede a tutte le chiacchiere che corrono sul conto di Carlo Faulkner. Grazie, sergente. (Sweeney si alza e va a sedersi vicino agli altri testimoni. Ora tutti gli sguardi convergono su Nancy Lee Faulkner, in attesa).

FLINT – Signora Faulkner. (Nancy si alza e si dirige lentamente alla sbarra. E’ calma, però si ha l’impressione che questa prova le costi molta pena e che debba fare un violento sforzo per compiere tale suo dovere).

CANCELLIERE (solita forma del giuramento).

NANCY – Lo giuro. (Siede. Siamo di fronte al simbolo della bellezza e della gioventù: lo sguardo di Nancy, ansioso, è assorto in tristi ricordi lontani).

FLINT – Prego, il vostro nome?

NANCY – Nancy Lee Faulkner.

FLINT – Parente del defunto?

NANCY (con pena) – Ero sua moglie.

FLINT (tono grave) – Signora Faulkner, vi chiedo di pensare a colui che fu vostro marito e di dirci ora, sotto il vincolo del giuramento, se supponete davvero che avesse motivo di uccidersi.

NANCY (lentamente con profonda convinzione) – E’ assolutamente escluso. Ne sono convinta.

FLINT – Vorreste spiegarci meglio il vostro pensiero?

NANCY – Molti accusavano Faulkner di condurre una vita… (esita) insomma… l’accusavano di avere talvolta non troppi scrupoli negli affari. Ma aveva ormai capito i suoi errori d’un tempo ed era pronto a riparare dal momento che … che entrai nella sua vita.

FLINT – In che epoca faceste la conoscenza di Carlo Faulkner?

NANCY – Nel mese di luglio dell’anno scorso.

FLINT – Dove l’avete incontrato?

NANCY – A un ballo, in casa di amici nostri di Newport.

FLINT – Non vi era ignota la fama di Carlo Faulkner. Lo dicevano un barbaro senza pietà. Fu questa l’impressione che vi fece al momento del vostro primo incontro?

NANCY – Tutt’altro. E’ stato subito gentile, simpatico e premuroso… quella sera. Poi mi disse che io ero la prima donna al mondo per la quale provava… del rispetto. Ho sempre creduto che una simpatia reciproca ci avesse legato l’una all’altra sin dal nostro primo incontro.

FLINT – Quando avete rivisto il signor Faulkner.

NANCY – Tre giorni dopo. Lo invitai a colazione nella nostra villa di Long Island: c’era anche mio padre.

FLINT – E dopo l’avete riveduto spesso?

NANCY – Molto spesso. Le sue visite si fecero sempre più frequenti fino al giorno… (le si spegne la voce).

FLINT – Fino al giorno?

NANCY (in un soffio) – Fino al giorno che mi chiese di essere sua moglie.

FLINT – In quali circostanze.

NANCY – Durante una gita in auto. Eravamo soli. Io ero al volante. (Le trema la voce, tace per qualche secondo, lottando contro l’angoscia che le danno questi ricordi, poi fa uno sforzo su se stessa e riprende la sua deposizione in un pallido sorriso di scusa). Scusatemi. E’ un’angoscia, lo capite… così terribile rivivere nel pensiero quel giorno felice. (Pausa) Improvvisamente mi prese una mano. Mi fissò negli occhi e mi disse : “A che scopo simulare? Io vi amo, Nancy”. (Le si spezza ancora la voce in un singhiozzo. Non resiste più, si chiude il viso tra le mani).

FLINT (commosso, suo malgrado) – Vi chiedo scusa, signora Faulkner, e se volete interrompere possiamo riprendere domani la deposizione. (Al giudice) D’accordo, vostro onore?

NANCY (solleva il capo, con gli occhi ancora pieni di lacrime) – No. No, grazie. Posso continuare. Fu quello il momenti che, per la prima volta, fui informata dello stato disperato degli affari di Faulkner. Volle che io sapessi proprio da lui la verità e alla fine della sua confessione… ho ancora nelle orecchie le sue parole: “Non posso chiedervi di essere mia moglie”, mi disse, “perché non ho che un avvenire assai buio e malsicuro da offrirvi”. (Pausa) Ma io, io l’amavo e gli risposi che tutto questo non aveva più importanza per me.

FLINT – E lui, il signor Fauklner, quando fu annunciato il vostro fidanzamento, appariva ancora disperato per il corso dei suoi affari?

NANCY – Oh, no affatto. Più di una volta mi ha detto che il mio coraggio e la fiducia che io gli dimostravo erano un prezioso aiuto per lui. E poi mi pareva un dovere salvare le sue imprese, un dovere verso coloro ai quali aveva arrecato dei torti; verso le vedove e gli orfani di quelli che gli avevano affidato i loro risparmi.

FLINT (approva col capo) – Rimaneste a New York dopo le vostre nozze?

NANCY – Sì. Non ci fu un viaggio di nozze perché gli affari di Faulkner esigevano allora tutte le sue cure, senza distrazioni. Ci stabilimmo nella nostra villa di Long Island, e Faulkner lasciò il suo studio di New York.

FLINT – Il signor Faulkner vi aveva informata della sua amicizia con… Karen Borg?

NANCY – Sì. Quindici giorni dopo il matrimonio. Venne e mi disse:”Mia cara, devo confessarti una cosa. C’è una donna…c’è stata una donna nella mia vita”. Io gli risposi :”Lo so. Forse è meglio non parlarne”.

FLINT – E lui che cosa disse?

NANCY – Questo :”Karen Borg è la causa e il simbolo dei miei anni più torbidi”.

FLINT (ripete alla giuria) - “L la causa e il simbolo dei miei anni più torbidi”. (Poi si volge a Nancy, che prosegue).

NANCY – Io gli risposi che lo capivo e che aveva ragione. “Ma, aggiunsi, non si deve essere cattivi. Dovresti sistemare la signorina Borg”. Mi garantì che non l’avrebbe abbandonata nell’indigenza, ma che non voleva più rivederla a nessun costo.

FLINT – Quando ebbe luogo questo colloquio?

NANCY (con voce spenta) – Qualche giorno prima della sua morte.

FLINT – E che fece il signor Faulkner nella giornata del 16 gennaio?

NANCY – La passò tutta in città, trattenuto, come sempre, dai suoi affari. Tornò a Long Island verso la fine del pomeriggio per dirmi che non poteva pranzare a casa. “Non ho tempo di pranzare adesso” mi disse. “Pranzeremo insieme al mio ritorno, se non ti dispiace”. Poi mi prese tra le sue braccia e mi guardò senza dir nulla, con gran tenerezza. Sulla soglia si è voltato ancora e mi ha detto, semplicemente : “Vado a un appuntamento molto importante”. Ha esitato un po’, ed alla fine ha aggiunto: “Molto importante per la nostra felicità”, mi ha sorriso ed è partito.

FLINT – Come avete interpretato questa frase?

NANCY (dopo una pausa) – Ho pensato che facesse allusione a una rottura con Karen Borg.

FLINT – Vi è parso stravagante il comportamento di vostro marito?

NANCY – No.

FLINT – Appariva triste?

NANCY – No. Carlo non era mai triste.

FLINT – Voi, che rispondeste?

NANCY – Nulla. Sono rimasta un po’ davanti al cancello a vederlo partire in macchina. Nel momento di sparire alla svolta della strada mi ha salutato con la mano. Io sono rimasta lì a lungo a considerare la nostra felicità, e il nostro amore che si svolgeva come un sogno. (Le trema la voce) Ero lontana dal pensiero che il nostro romanzo stava per chiudersi quasi in quel momento stesso, e che la gelosia di una donna mi avrebbe ucciso colui che amavo. (Si abbandona sulla sedia col viso tra le mani e piange. Il suo pianto è soffocato dalla voce stentorea di Stevens).

STEVENS – Opposizione, vostro onore. Faccio istanza perché queste parole siano cancellate dal verbale dell’udienza.

IL GIUDICE – Non sia messa a verbale l’ultima frase della testimone.

FLINT – Come vi piace. Grazie, signora Faulkner.

STEVENS (freddo) – Signora Faulkner, volete ora rispondere a qualche mia domanda?

NANCY – Certo, signor Stevens.

STEVENS (calmo) – Voi avete detto di avere vissuto con vostro marito un meraviglioso romanzo d’amore?

NANCY – E’ così.

STEVENS - … e che questo amore aveva determinato la redenzione di un’anima, era fondato su un sentimento alto e nobile; e avete insistito su questo punto, cioè sulla fiducia reciproca.

NANCY – Sì.

STEVENS (con altro tono, di colpo e quasi con ferocia) – E allora perché avete pagato un detective per pedinare vostro marito?

NANCY (un po’ scossa) – Io… cioè… non ho preso un detective per pedinare mio marito, ma per proteggerlo.

STEVENS – Vorreste spiegarvi meglio?

NANCY – Ma sì, ecco… Qualche tempo prima Faulkner aveva ricevuto lettere minatorie da un gangster: un certo Gusti Regan, se ben ricordo. Mio marito non gli aveva dato la minima importanza. Non aveva paura di nessuno, lui: e non aveva voluto essere scortato. Ma quelle minacce avevano invece preoccupato me. Perciò il giorno dopo il matrimonio andai dal signor Van Fleet, e lo pregai di proteggere la vita di mio marito. Naturalmente non dissi nulla a Faulkner perché si sarebbe senza dubbio opposto alla mia idea.

STEVENS – Dite, signora: come poteva un detective privato, seguendo a rispettosa distanza il signor Faulkner, proteggerlo da un attentato?

NANCY – Sembra che quando qualcuno si fa accompagnare da un detective i gangsters lo vengano subito a sapere. Io pensai quindi che nessuno avrebbe osato assalire mio marito se lo avessi fatte seguire ininterrottamente dal signor Van Fleet.

STEVENS – Sicchè la missione del signor Van Fleet consisteva unicamente nel proteggere Faulkner alle spalle?

NANCY – Sì.

STEVENS – Faulkner “solo”?

NANCY – Sì.

STEVENS (con insistenza) – Non Faulkner “e” la signorina Borg?

NANCY – Signor Stevens, è una supposizione offensiva per me.

STEVENS – Non mi è parso, signora Faulkner, che voi faceste risparmio di insulti, poco fa.

NANCY – Mi spiace signor Stevens. Non ne avevo l’intenzione. Ho sempre sentito pietà per la signorina Borg.

STEVENS – Avete detto che Faulkner era deciso a non rivedere più la signorina Borg.

NANCY – E’ vero.

STEVENS – Eppure è provato che andava a trovarla dopo il matrimonio. Ci andava spesso, “e di notte”. Il vostro detective ve ne aveva informata, no?

NANCY – Sì. Lo sapevo.

STEVENS – Allora, come spiegate la contraddizione?

NANCY – Non la spiego. Non so di che ricatti lo minacciava quella donna.

STEVENS – Come spiegate la condotta di Faulkner che, mentre vi lasciava a casa col pretesto di andare a “liquidare” la sua amante, se ne va allegramente a passare la serata con lei e con altri amici in un locale notturno?

NANCY – Come protei spiegarvelo? Non crederete che Faulkner m’abbia informata del modo che avrebbe usato per rompere con la sua amante. Tutto ciò che io so è questo: che mio marito è andato a casa della signorina Borg, e che vi ha trovato la morte.

STEVENS – Vorrei che ora rispondeste a un’altra domanda: voi avete detto che il signor Faulkner aveva cambiato vita.

NANCY – Sì.

STEVENS – Potete dichiarare oggi, qui, sotto il vincolo del giuramento, che Carlo Faulkner vi amava?

NANCY – Senza dubbio. Carlo Faulkner mi amava.

STEVENS – Grazie, signora.

KAREN (con calma e scandito) No. No è finito. (Tutti gli sguardi convergono su di lei) Vorreste farle ancora una domanda, signor Stevens?

STEVENS – Certo, quale?

KAREN – Domandatele se “lei” lo amava.

NANCY (glaciale, senza guardarla) – L’amavo, signorina Borg.

KAREN (balza in piedi) – Come osate dire questo, voi? Dimenticate, allora “perché” vi ha sposata. Tutto quello che avete detto qui davanti al giudice è pura menzogna. Ah, si vede che non c’è più lui a difendervi. (Il giudice picchia alla disperata col martelletto, ma ormai Karen ha parlato, Nancy, col respiro affannoso, ribatte subito).

NANCY – Voi mentite! E io non sopporterò più la vostra sfacciataggine. Con che diritto pretendete voi di interrogarmi, voi che mi avete assassinato il marito? (Le due donne sono faccia a faccia, trattenute dagli avvocati e da un agente che si interpone).

FLINT – Signora Faulkner!

KAREN (balzando in piedi un’altra volta) - Signora, una di noi non ha detto la verità. E noi sappiamo benissimo, tutte e due, chi è che ha mentito.

FLINT (ironico) – Ma certo! Certo!

IL GIUDICE – Basta! L’udienza è sospesa. Si riaprirà tra un quarto d’ora. (Tutti si alzano. Gli agenti portano via l’accusata. Il pretorio si svuota rapidamente).

FINE DELLA PRIMA UDIENZA


SECONDA UDIENZA

(La stessa scena del primo atto. I personaggi entrano in scena secondo il procedimento usato fin qui, ma più rapidamente.)

USCIERE – Signori, la Corte. (Entra il giudice. Tutti si alzano in piedi). Corte suprema numero undici dello Stato di New York. Presidenza di suo Onore giudice Wilson. (Il giudice si siede e batte il martelletto. Tutti si siedono).

GIUDICE – Il popolo dello Stato di New York contro Karen Borg.

FLINT – Pronto, vostro onore.

STEVENS – Pronto, vostro onore.

GIUDICE – La parola al Procuratore Generale.

FLINT (chiama) – Magda Swanson. (L’usciere dalla porta verso l’interno chiama Magda Swanson).

USCIERE – Di qui, signorina. (Entra Magda Swanson. Di mezza età, labbra strette e sottili, sguardo sospettoso. Un tono di rigidità e di pudore offeso. Vestiti fuori moda, ma vi si nota una lindura meticolosa, quasi esagerata).

CANCELLIERE (ripete la formula del giuramento).

MAGDA – Lo giuro. (Prende la Bibbia, se la porta lentamente alle labbra, la bacia con solennità e la posa di nuovo, compiendo questa piccola cerimonia con profonda convinzione religiosa).

CANCELLIERE – Accomodatevi.

MAGDA – No, grazie. Non sono stanca.

CANCELLIERE (additandole la sedia , severo) – Accomodatevi, prego.

FLINT (quando è seduta) – Nome?

MAGDA (secco) – Lo sapete, se mi avete chiamata.

FLINT (severo) – Nome, prego.

MAGDA – Magda Swanson.

FLINT – Professione?

MAGDA – Cameriera.

FLINT – Presso chi eravate ultimamente?

MAGDA – Presso il signor Carlo Faullkner, e, prima, presso suo padre.

FLINT – Quanto tempo siete stata al loro servizio?

MAGDA – Ero nella famiglia da 28 anni. Mi ricordo del signor Faulkner che era ancora appena un bambino.

FLINT – Quali mansioni avevate in casa Faulkner?

MAGDA – Mi occupavo principalmente dello studio, e poi della casa.

FLINT – E adesso ditemi, signora Swanson…

MAGDA (in tono offeso) – “Signorina” Swanson.

FLINT – Domando scusa, “signorina” Swanson. Cosa sapete della relazione tra la signorina Borg e il signor Faulkner?

MAGDA (con violento sdegno) – Le donne oneste come dovrebbero essere lasciate fuori da questi ignominiosi argomenti. Disgraziatamente, signore, il peccato corre per il mondo, e si accampa dappertutto, sfacciatamente, che è una vergogna!

FLINT – Bene. Diteci quello che sapete, signorina Swanson.

MAGDA – Il giorno stesso che questa donna ha conosciuto il signor Faulkner, è andata nel suo letto. Ah, signore, è un grande errore che un uomo dimentichi di fare una netta distinzione tra il suo letto e il suo ufficio. Quella lì, (con disprezzo) furba, ha messo lo zampino di qua e di là: letto ed ufficio. Certe volte, in camera, accadeva che parlassero di prestiti e dividendi; certe altre si chiudevano a chiave nell’ufficio, e chi avesse spinto lo sguardo per il buco della serratura, avrebbe visto la sua camicia di pizzo attaccata al chiavistello della finestra.

STEVENS (balza in piedi) – Mi oppongo, vostro onore.

FLINT – La signorina Borg avrebbe dovuto opporsi, e c’è di che, fin da diversi anni fa.

STEVENS – Sono affermazioni offensive per la signorina Borg.

FLINT – Domando scusa, ma sono fatti attinenti alla causa, le relazioni tra la signorina Borg e il signor Faulkner.

GIUDICE (batte con il martelletto) – Signori, silenzio! (A Magda) La teste è pregata di una maggiore circospezione nelle sue dichiarazioni.

MAGDA (s’impunta) – Signor Presidente, il peccato sempre quello è e tale rimane, con qualunque nome lo si chiami.

FLINT – Signorina Swanson, vi pregherei di precisare un punto: prescindendo dall’influenza che in via del tutto informale la signorina Borg aveva sul signor Faulkner, potreste citarci una circostanza che provi come la condotta di questa donna abbia fatto torto al defunto?

MAGDA – Questo, poi sì. Tutti i denari cha ha sperperato per lei, chi li conta più.

FLINT – E allora parlateci della prodigalità del signor Faulkner. (Proiezione sullo schermo della scena narrata da Magda. Camera da letto di Faulkner. Sola luce, quella del fuoco del caminetto. Karen sul divano, spalle nude al pubblico. Danza dei riflessi del fuoco sulle sue spalle, il resto precisamente come da descrizione orale della testimone).

MAGDA – Subito. Ve lo dico subito. Per esempio: aveva fatto fare per lei una veste di platino. Sì, dico giusto, “di platino”: un tessuto fine e morbido più della seta. Scaldava la veste al caminetto, poi aiutava la donna ad infilarsela. Nello splendore di quella guaina argentea, era anche più indecente della nudità. Più la veste era calda e più le faceva piacere, e rideva. Un riso d’inferno e dannazione; e allora lui la baciava appassionatamente.

STEVENS – Opposizione, vostro onore. (Fine della proiezione). Questo particolare della testimonianza è irrilevante in causa e non può che indisporre la giuria a danno della signorina Borg.

KAREN (molto calma) – Lasciatela dire, Stevens. (Con un sorriso provocante verso la giuria) Può anche darsi che, invece, disponga la giuria in mio favore. (Reazioni diverse nei presenti. Stevens guarda Karen. Il giudice batte il martelletto sul tavolo).

FLINT – Signor Stevens, vi compiango di cuore. La vostra cliente non è davvero facile da manovrare.

GIUDICE – Silenzio! Opposizione respinta.

FLINT (a Magda) – Avete mai osservato se il matrimonio aveva corrisposto alle speranze di Faulkner?

MAGDA – E’ stato felice per la prima volta in vita sua, felice come il neofita che ha trovata la via della virtù.

FLINT – Secondo voi in quel momento ci fu nulla che avrebbe potuto rattristarlo fino al punto di spingerlo al suicidio?

MAGDA – No, niente.

FLINT – Dite, signorina Swanson, come ha accolto la signorina Borg la notizia del matrimonio di Faulkner?

MAGDA – Senza una parola. Pareva una statua di pietra. E’ però anche vero che qualche giorno dopo il matrimonio l’ho sentita piangere e gridare per tutta la notte. Sì, l’ho sentita piangere, ed era la prima volta che le succedeva in vita sua.

FLINT – Sicchè, ha sofferto molto.

MAGDA – Sofferto? Quella lì? Ma via! Un uomo più o meno che importanza può avere per una come lei. Prova ne sia che la sera stessa del matrimonio di Faulkner, lei si è data a un altro.

FLINT – A chi, precisamente?

MAGDA – A uno che io non conoscevo. L’ho visto allora per la prima volta.

FLINT – Diteci quanto sapete.

MAGDA – Avevo assistito al matrimonio del signor Faulkner: una cerimonia meravigliosa. Povero signor Faulkner, quel giorno era così bello, così elegante. E la sposa, in bianco, candida e pura come un giglio. (Ostenta commozione). Ho pianto, pianto come se avessi avuto vicino a me due miei figli. Sono tornata a casa presto, per la porta di servizio. Lei non ha sentito. Era in casa. Ma non era sola.

FLINT – Chi c’era con lei?

MAGDA – Un uomo. Mi sono lasciata scivolare giù dal tetto fino al giardino d’inverno e l’ho visto, nel buoi: l’uomo la stringeva tra le braccia, così forte da spezzarle le reni. Sì, signore. Lei piegava, letteralmente, sotto le sue carezze e per un momento ho pensato che le loro labbra non si sarebbero più potute staccare. Allora ho sentito le parole sacrileghe che ha detto lui.

FLINT – Potreste ripeterle?

MAGDA – A detto: “Tutto il resto della mia vita e la vita eterna, se esiste, per possederti un’ora sola, mia adorata…”

FLINT – Avete più rivisto quell’uomo?

MAGDA – Sì, una volta.

FLINT – Quando?

MAGDA – La notte del 16 gennaio. (Movimenti vari).

FLINT – Vogliate precisare, signorina Swanson.

MAGDA – Quel giorno mi era parsa molto strana. Mi ha chiamato e mi ha messo per tutto il resto della giornata in libertà. Naturalmente questa mansuetudine mi ha subito fatto drizzare gli orecchi.

FLINT – Perché?

MAGDA – Capirete, era martedì; il mio giorno di libera uscita era il giovedì e io non avevo chiesto nulla. Avevo voglia io di dire che non mi importava affatto di andare fuori, ha insistito.

FLINT – E voi siete uscita?

MAGDA – Sì.

FLINT – Che ora era?

MAGDA – Potevano essere le quattro. Ma io ho pensato tra me che ci doveva essere qualcosa sotto e sono tornata.

FLINT – A che ora?

MAGDA – Verso le dieci di sera. In casa non c’era nessuno. Ho aspettato. Mezz’ora dopo sono tornati, con il signor Faulkner. Ho avuto paura di essere scoperta e mi sono squagliata: ma ho avuto comunque il tempo di osservare i due uomini che erano con loro. (Con disgusto) Uno era ubriaco, ma ubriaco fradicio: che orrore.

FLINT – E l’altro? Lo conoscevate?

MAGDA – L’altro era alto e magro, con gli occhi chiari, e l’ho riconosciuto subito. Era l’uomo che aveva baciato la signorina Borg.

FLINT (in tono di trionfo) – Grazie, signorina Swanson. (Magda sta per lasciare la sbarra, ma Stevens la trattiene).

STEVENS – Un momento, signorina Swanson. Ora ho io qualche domanda da farvi.

MAGDA (vendicativa) – Domande! Ma quel che sapevo l’ho detto già.

STEVENS – D’accordo. Ma restano alcuni punti che vorrei precisare meglio.

MAGDA – E quali?

STEVENS – Voi asserite di avere visto lo sconosciuto baciare la signorina Borg, vero?

MAGDA – Sì.

STEVENS – E faceva già quasi buoi, vero?

MAGDA – Sì.

STEVENS – Oh! La notte del 16 gennaio, mentre con tanto candore stavate spiando la vostra padrona, l’avete vista tornare a casa con Faulkner, e voi siete scappata in fretta per non farvi sorprendere. Così avete detto voi, mi pare, poco fa.

MAGDA – Avete buona memoria.

STEVENS – E ciò nonostante, avete avuto il tempo di vedere i due uomini che accompagnavano il signor Faulkner.

MAGDA – Sì.

STEVENS – Bene. Potreste descriverci, approssimativamente, quell’ubriaco?

MAGDA – Come potrei? Prima di tutto avevo molta fretta, e poi era troppo buoi per poter distinguere i tratti della persona.

STEVENS – Bene. Dunque, era troppo buoi. E voi avevate molta fretta. E, nonostante tutto questo, voi avete potuto identificare l’altro uomo, che, notate, avevate visto appena una volta, e nell’oscurità, anche questa volta.

MAGDA (con tutta la forza del suo amor proprio offeso) – Ma, signore, io sono qui a deporre sotto vincolo di giuramento: e lo rispetto come rispetto la religione. Ho detto che era lo stesso uomo. L’ho detto e lo ripeto. Ma non mi fate altre domande perché io, di uomini, non sono pratica. Non me intendo. (Breve pausa, con forza) E me ne vanto!

STEVENS – Grazie, signorina Swansons. (Magda va a sedersi in una delle sedie riservate ai testimoni escussi. Se la scena sarà applaudita, il Presidente batterà il martello sul tavolo, gridando).

GIUDICE – Silenzio! Se si ripeteranno simili manifestazioni, farò sgomberare l’aula.

FLINT – Se vostro onore permette, l’accusa vorrebbe procedere alla escussione di un ultimo testimone: il signor John Graham Witfield. (Chiamato dall’usciere, entra il signor Witfiled seguito da Nancy Lee Faulkner. Il signor Witfiled è alto, capelli grigi, elegante e distinto, un perfetto gentleman. Nancy, alle sue spalle, testa bassa: vesti di gusto anche più severo che al primo atto e più strettamente a lutto. Witfield le carezza una mano quasi per darle coraggio, poi si avvia al settore riservato ai testi; Nancy va a sedersi a sinistra, di fianco a Magda).

CANCELLIERE (ripete la formula del giuramento).

WITFIELD – Lo giuro.

FLINT (quando Witfield è seduto) – Nome?

WITFIELD – John Graham Witfield.

FLINT – Professione?

WITFIELD – Presidente della Banca Nazionale Witfield.

FLINT – Grado di parentela con il defunto Carlo Faulkner?

WITFIELD – Ero suo genero.

FLINT – Voi siete particolarmente qualificato, signor Witfield, a illuminarci sulle questioni finanziarie in questa causa. Potete dirci in che stato si trovavano gli affari del signor Faulkner nei giorni immediatamente precedenti la sua morte?

WITFIELD – La situazione era critica, ma non disperata. Ho tentato di salvare le imprese di mio genero facendogli un prestito personale di venticinque milioni di dollari: in pura perdita, naturalmente.

FLINT – Che cosa vi ha indotto a fare questo ingente prestito al signor Faulkner?

WITFIELD – Faulkner era il marito della mia unica figlia: e la felicità di mia figlia è quel che mi importa di più al mondo.Inoltre un secondo motivo; meno familiare, questo: prevedendo le incalcolabili tragedie che si sarebbero determinate se i piccoli risparmiatori fossero stati rovinati da un crack, considerai mio dovere fare tutti gli sforzi possibili per impedire una tale eventualità.

FLINT – Benissimo. Ma avreste ugualmente sacrificato una somma così cospicua, se aveste pensato che gli affari di vostro genero erano ormai votati ad una catastrofe inevitabile?

WITFIELD – Naturalmente no. Il tentativo era pericoloso, certo, ma io avevo piena fiducia che il mio senso degli affari avrebbe evitato una catastrofe… se Faulkner fosse vissuto.

FLINT – Signor Witfield, volete dirci se il signor Faulkner era felice con vostra figlia, e se tra i due sposi regnava una perfetta armonia?

WITFIELD – Ho sempre considerato la famiglia come l’istituto più importante della nostra compagine sociale. Voi mi credereste quindi se vi dico quanto valore io attribuivo al fatto che mia figlia fosse felice nel matrimonio. E posso affermare che essa aveva trovato nel matrimonio con Faulkner la felicità perfetta.

FLINT – Volete ora dirmi, signor Witfiled, che opinione avevate del signor Faulkner?

WITFIELD – Devo riconoscere che non avevamo gli stessi principi ideali, e che eravamo di mentalità diametralmente opposte. Io credo che la prima esigenza umana è di compiere il proprio dovere; lui con credeva che al suo proprio piacere. E nonostante questa divergenza, io gli volevo bene come un figlio.

FLINT – Da quello che sapete di lui, stimate possibile il suicidio?

WITFIELD – Inammissibile.

FLINT – Grazie, signor Witfield. (Witfield si alza, Stevens lo ferma con un gesto).

STEVENS – Signor Witfield, voi volevate molto bene a vostro genero?

WITFIELD – Sì.

STEVENS – Siete mai stato in disaccordo con lui? Vi è mai accaduto di andare in collera, durante una disputa?

WITFIELD (con uno sorriso cordiale di superiorità) – Signor Stevens, io non perdo mai la calma.

STEVENS – Se la memoria non mi inganna, certe difficoltà sarebbero sorte all’epoca del vostro formidabile prestito a Faulkner. Dissero perfino che aveste smentito l’esistenza di un prestito.

WITFIELD – Fu un puro equivoco; ve lo posso garantire. Qualcuno dei miei soci fece correre la voce di una tale smentita, perché questo prestito li aveva colti un po’ di sorpresa.

STEVENS – Il crack Faulkner vi ha fatto perdere, avete detto, molto denaro?

WITFIELD – Sì.

STEVENS – Sicchè voi oggi attraversereste un periodo di ristrettezza finanziaria?

WITFIELD – Sì.

STEVENS (cambia tono) – Allora come potete permettervi il lusso di offrire 25.000 dollari di premio per l’arresto e la traduzione in processo penale di Gusti Regan?

FLINT – Opposizione. Circostanza non attinente a questa causa.

WITFIELD (al giudice) – Vostro onore, io desidero, anzi, mettere in chiaro questo punto. Sta di fatto che io ho offerto quel premio spinto da un senso di civismo. L’uomo volgarmente chiamato Gusti Regan è un noto delinquente. Quei 25.000 dollari erano destinati, nelle mie intenzioni, a facilitare l’arresto del pericoloso delinquente. Ciò premesso, sono d’accordo con il signor Flint che la circostanza non è attinente con la causa in corso.

STEVENS – Signor Witfield, volete dirci perché siete partito così improvvisamente per la California prima dell’inizio del processo?

WITFIELD – Mi è molto facile rispondervi. Questa tragedia aveva annientato mia figlia. Me la sono portata via in tutta fretta: per salvarle la salute e forse anche la vita.

STEVENS – Voi amate profondamente vostra figlia?

WITFIELD – Sì.

STEVENS – E avete fatto sempre tutto il possibile per soddisfarle ogni minimo desiderio?

WITFIELD – Certo. E ne sono orgoglioso…

STEVENS – Quando a lei, o a voi, piace una cosa, voi non badate al prezzo, vero?

WITFIELD – I nostri mezzi ce lo permettono.

STEVENS (freddo) – Di conseguenza non avreste mai negato a vostra figlia di comprarle l’uomo che le piaceva.

FLINT – Vostro onore! Noi…

WITFIELD (furibondo) – Signor Stevens!

STEVENS – Voi non avreste esitato, non è vero, a spendere tutta la vostra ricchezza per pagarle quest’uomo?

GIUDICE – Opposizione accolta.

STEVENS – Un’altra cosa, signor Witfield. (Ironico) Voi forse negherete che il vostro denaro abbia avuto una parte considerevole nel licenziamento della signorina Borg; e negherete di aver diretto al signor Faulkner un ultimatum in questo senso.

WITFIELD (con un tono meno cortese e meno calmo) – La vostra insinuazione è priva di fondamento. Mia figlia non era gelosa della signorina Borg, più di quanto lo fosse per il passato burrascoso del signor Faulkner. E’ raro che un uomo vada al matrimonio senza lasciare dei morti dietro di sé.

STEVENS – Ecco! Un’affermazione alquanto audace, signor Witfield! Ricordatevi che vostra figlia ha pagato quello che la signorina Borg ha avuto gratis.

FLINT – Opposizione, vostro onore. (Ma già Witfield è balzato in piedi, livido in faccia, tremante di collera. Il giudice batte col martelletto sul tavolo, ma non riesce a ristabilire la calma. Nancy Lee si è alzata in piedi e ha cercato di calmare il padre, durante l’ultima battuta).

NANCY – Papà, papà!

WITFIELD (a Stevens) – Voi siete un mentitore! Un mentitore impudente! Lo sapete con chi parlate, voi?

NANCY – Babbo!

STEVENS (con una calma che è un insulto) – Proprio questo volevo farvi dire. Grazie, signor Witfield.

FLINT (al giudice) – Vostro onore, chiedo che la frase oltraggiosa dell’avvocato della difesa sia cancellata dal verbale.

GIUDICE – Accordato. (Witfield va a sedersi vicino a Nancy Lee che gli prende una mano e lo guarda con affetto e sollecitudine).

STEVENS – E io chiedo che il processo sia cancellato dal ruolo per mancanza di prove.

FLINT – Ma via!

GIUDICE (dopo una riflessione) – Respinto.

STEVENS – Io faccio opposizione. Signore e signori della giuria! Non è possibile giudicare Karen Borg senza giudicare Carlo Faulkner. Quest’uomo si era posto scientemente, volontariamente fuori dall’umanità : per lui le leggi esistevano unicamente per fornirgli il pretesto di metterle in ridicolo. Faulkner non era fatto per il matrimonio. Faulkner può avere fatto ricorso ai mezzi più disperati… compreso il suicidio. Comunque, eccone le prove. Il mio primo testimone è Giacomo Chandler (L’usciere, al solito, fa la chiamata di Giacomo Chandler, che entra. E’ un uomo di mezza età, dai gesti un po’ buffi. Si ferma davanti al cancelliere).

CANCELLIERE (formula del giuramento).

CHANDLER – Lo giuro. (Va a sedersi, non senza avere inciampato sul praticabile,perché  è un pò miope).

STEVENS – Nome?

CHANDLER – Giacomo Chandler.

STEVENS – Professione?

CHANDLER – Perito di grafologia del Dipartimento. Polizia di New York. (Stevens prende la lettera che l’ispettore Sweeney ha letta precedentemente e la porge a Chandler).

STEVENS – Riconoscete questa lettera?

CHANDLER – Sì. E’ la lettera che fu trovata nello studio del signor Faulkner la sera della sua morte. Fui incaricato di procedere all’esame grafologico.

STEVENS – Per stabilire che cosa?

CHANDLER – Per stabilire se era stata scritta dal signor Faulkner o no.

STEVENS – E che cosa avete concluso?

CHANDLER – Che era stata scritta da Carlo Faulkner.

STEVENS – Prendo atto del risultato della sua perizia.

FLINT (vedendo che Chandler si alza) – Un momento, signor Chandler. Siete stato avvertito, nel corso dell’inchiesta, che la signorina Borg, quando era segretaria del signor Faulkner, aveva preso l’abitudine di firmare col nome del suo principale sui documenti irrilevanti. Avete voi confrontato da vicino queste firme apocrife con la firma autentica del signor Faulkner?

CHANDLER – Sì.

FLINT – Che avete concluso?

CHANDLER – Tutti i miei complimenti alla signorina Borg. La differenza è quasi impercettibile.

FLINT – Sicchè, credete che essa abbia potuto manipolare quella lettera in  modo così perfetto, in modo che sia impossibile dimostrare la contraffazione?

CHANDLER – E’ poco probabile, ma è possibile.

FLINT – Grazie.

STEVENS – Signor Chandler! Potete affermare che questa lettera è un falso?

CHANDLER – E’ possibile, ma è poco probabile.

STEVENS – La vostra perizia vi porta dunque alla conclusione che è stata scritta da Carlo Faulkner?

CHANDLER (indeciso) – Eh, sì.

STEVENS – Grazie. (Flint protesta. Chandler va a sedersi vicino a Magda Swanson).

STEVENS (chiama) – Sigurd Anderson! (Entra Sigurd Anderson e si dirige verso il posto dei testi. E’ un uomo di una trentina d’anni, un po’ timido, calmo, riservato. Figura di ingenuo. Come Magda Swanson è svedese).

CANCELLIERE (formula del giuramento).

ANDERSON – Lo giuro.

STEVENS (quando Anderson si è seduto) – Come vi chiamate?

ANDERSON – Sigurd Anderson.

STEVENS – Nazionalità?

ANDERSON – Svedese.

STEVENS – Professione?

ANDERSON – Il mio ultimo impiego fu quello di segretario del signor Carlo Faulkner.

STEVENS – Quanto tempo durò questo impiego?

ANDERSON – Il signor Faulkner mi assunse come segretario ai primi di novembre, vale a dire alla partenza della signorina Borg.

STEVENS – Che facevate voi, prima?

ANDERSON – Il contabile, sempre in casa del signor Faulkner.

STEVENS – Per quanto tempo?

ANDERSON – Per otto anni.

STEVENS – Eravate a conoscenza delle relazioni intime tra la signorina Borg e il signor Faulkner?

ANDERSON – Oh. (impacciato) signor avvocato, tutti gli impiegati erano al corrente, ma nessuno fiatava.

STEVENS – Quando le succedeste, la signorina Borg vi passò lei le consegne per il vostro nuovo incarico?

ANDERSON – Sì.

STEVENS – In che stato d’animo vi parve? Vi parve in preda alla collera, al rammarico, o al risentimento?

ANDERSON – No. Era calma come sempre, e mia ha fornito con cortese compiacenza tutti i particolari che mi occorrevano.

STEVENS – Siete mai stato testimone di discussioni tra la signorina Borg ed il signor Faulkner?

ANDERSON – Oh, no.

STEVENS – Mai disaccordi, tra loro?

ANDERSON – Signor avvocato, non poteva esserci più disaccordo tra la signorina Borg ed il signor Faulkner, che tra voi e la vostra immagine quando vi guardate allo specchio. (Entra un funzionario del tribunale che consegna a Stevens una busta. Questi la apre e legge. Sembra profondamente stupito, alla lettura. Si rivolge a giudice e dice).

STEVENS – Se vostro onore permette, vorrei segnalare un incidente che per me è una mistificazione, ma di cui mi sfuggono i moventi: un uomo ha telefonato poco fa chiedendo di essere ricevuto immediatamente da me. Gli hanno risposto che non era possibile ed allora mi ha mandato questo biglietto. (Legge). “Non fate l’interrogatorio di Karen Borg finchè non ci sia.” Senza firma. (Karen Borg si alza di scatto. Resta in piedi con gli occhi di fiamma: tutti gli sguardi si concentrano su di lei. Ha perduto la gran calma che aveva avuto finora).

KAREN – Chiedo di essere interrogata immediatamente; sì, immediatamente. (Impressione profonda dell’auditorio).

FLINT – Posso chiedervi perché, signorina Borg?

KAREN (non raccogliendo) – Avete capito, signor Stevens. Interrogatemi subito!

STEVENS (molto sorpreso) – Ma, signorina Borg, non è possibile. Anderson non ha ancora terminato di deporre.

KAREN – Allora presto, si spicci. (Si rimette a sedere, e per la prima volta dà segni di irrequietezza. Flint la sorveglia con curiosità).

STEVENS (ad Anderson) – Avete assistito a qualche colloqui d’affari tra il signor Faulkner ed il signor Witfield?

ANDERSON – No, mai. Ma ho visto spesso da noi in ufficio il signor Witfiled. Il signor Witfield non poteva sopportare il signor Faulkner.

STEVENS – Su che cosa si fonda questa vostra asserzione?

ANDERSON – Ho sentito, un giorno, le parole del signor Witfield. Il mio principale, Faulkner, aveva perduto molto denaro. Witfield gli ha domandato, in tono sarcastico, che cosa avrebbe fatto in caso di fallimento. Faulkner ha alzato le spalle e ha risposto alla leggera: “Mi par semplice: non mi resterebbe che ammazzarmi.” Allora il signor Witfiled l’ha guardato in modo strano e ha detto: “In questo caso, amico mio, cercate di non sbagliare colpo”.

STEVENS – Voi prendeste sul serio le parole del signor Witfield?

ANDERSON – Sì, perché il signor Witfield è un carattere che fa paura. Tutte le volte che l’ho visto andare in collera, ho avuto paura.

STEVENS – Dove eravate, Anderson, la notte del 16 gennaio nell’ora in cui il signor Faulkner ha trovato la morte?

ANDERSON – Nel nostro ufficio dello stabile Faulkner. Mi capitava spesso di lavorare anche di notte. I nostri affari si erano messi così male… capite?

STEVENS – Che cosa avete fatto quando sapeste della morte di Faulkner?

ANDERSON – Ho pianto. Sì, come un ragazzo. Poi, ripresa un po’ di calma, ho pensato di avvertire il signor Witfield. Gli ho telefonato a Long Island, ma sua figlia mi ha risposto che non era in casa. E così ho dovuto annunciare io, alla signora, la morte di suo marito.

STEVENS – E quali furono le prime parole della signora nel ricevere la notizia?

ANDERSON – Ha gridato: “Per l’amor di Dio, non dite niente ai giornali”.

STEVENS – Grazie. (Karen si alza di scatto, per farsi interrogare).

FLINT – Un momento, signorina Borg, che è tutta questa fretta? Si direbbe che abbiate paura di vedere giungere qualcuno qui… Eh? (Le impone col gesto di rimettersi a sedere).

KAREN (obbedisce senza parlare, con ripugnanza).

FLINT (ad Anderson) – Signor Anderson, voi siete stato presso il signor Faulkner per più di otto anni, vero?

ANDERSON – Sì.

FLINT – Eravate al corrente delle truffe del vostro principale?

ANDERSON – No.

FLINT – Oh, guarda. Ma ora lo sapete che era un ladro delinquente?

ANDERSON – No.

FLINT – Ma via! Vorreste farci credere di essere stato sempre all’oscuro su ciò che nascondevano le operazioni finanziarie, in apparenza così brillanti, del signor Faulkner?

ANDERSON (calmissimo) – Sapevo che si dava a operazioni che potevano riuscire soltanto a lui. Ma non ho mai sospettato del mio principale, e quel che faceva lui non poteva essere riprovevole, e neanche discutibile.

FLINT – Perché?

ANDERSON – Perché lo faceva lui e si chiamava Carlo Faulkner.

FLINT – Questa vostra fedeltà, signor Anderson, è veramente lodevole e degna di tutta la nostra ammirazione. Sicchè, voi, per il vostro principale, avreste fatto qualunque cosa?

ANDERSON – Sì.

FLINT – E siete altrettanto affezionato alla signorina Borg?

ANDERSON – Il signor Faulkner l’amava.

FLINT – Naturalmente. In tali condizioni è lecito supporre che, per affetto verso il vostro principale, non avreste esitato a mentire e …

STEVENS – Opposizione, vostro onore.

GIUDICE – Opposizione accolta.

ANDERSON (con indignazione repressa) – Signor avvocato, io non ho mentito mai. Il signor Faulkner è morto, non potrebbe quindi chiedermi di mentire per lui. Ma se avessi la possibilità di scelta, preferirei mentire per Carlo Faulkner, che dire la verità per voi.

FLINT – Bravo, signor Anderson. Ecco una dichiarazione di cui vi sono più grato di quanto possiate figurarvi. Grazie. (Anderson si volge timidamente verso Stevens).

ANDERSON – Signor avvocato, potrei restare qui?

STEVENS – Ma certo. Sedetevi, signor Anderson. (Anderson va a sedersi vicino a Witfield e a Nancy).

STEVENS (solenne) – Karen Borg! (Karen si alza. Ora è calma. Va direttamente alla sedia dei testimoni: il cancelliere la ferma e ripete la formula del giuramento).

KAREN – E’ inutile, non credo in Dio.

GIUDICE (severo) – La teste è pregata di prestare giuramento.

KAREN (alza la mano con indifferenza) – Giuro.

STEVENS – Il vostro nome.

KAREN – Karen Borg.

STEVENS – La vostra ultima professione?

KAREN – Segretaria di Carlo Faulkner.

STEVENS – Per quanto tempo siete stata la sua segretaria?

KAREN – Dieci anni.

STEVENS – Quando conosceste Faulkner?

KAREN – Nell’aprile del 1935.

STEVENS – Quanti anni avevate?

KAREN – Diciotto.

STEVENS – E lui?

KAREN – Trentacinque.

STEVENS – Raccontateci il vostro primo incontro.

KAREN – Avevo risposto ad un suo annuncio economico su un giornale. Cercava una stenografa. L’ho visto per la prima volta nel suo ufficio a Stoccolma. Era solo.

STEVENS – Come vi ricevette?

KAREN – Si alzò senza dire una parola. Mi guardò fisso a lungo, molto a lungo. Seguitava a tacere, ma aveva all’angolo della bocca una piega di dispetto e nello sguardo una punta di disprezzo. Uno sguardo che non ho potuto sostenere. Non sapevo se inginocchiarmi davanti a quell’uomo o prenderlo a schiaffi. (Pausa) Non ho fatto ne una cosa ne l’altra; e gli ho spiegato perché ero lì.

STEVENS – E via ha assunta in servizio, subito?

KAREN – Prima disse che ero troppo giovane. Poi mi ha buttato lì un blocchetto di stenografia e mia ha ordinato di mettermi subito al lavoro perché aveva molta fretta. Io ho obbedito.

STEVENS – E avete lavorato per tutta la giornata?

KAREN – Tutta la giornata. Mi dettò sempre più rapidamente senza darmi il tempo di dire una parola. Non ha mai sorriso una volta: e non mi ha mai tolto gli occhi di dosso.

STEVENS – E… quando… (esita).

KAREN – Quando mi sono data a lui? (Pausa) Non mi sono data. Mi ha preso di forza.

STEVENS – Quando?

KAREN – Lo stesso giorno. Pareva che provasse una specie di piacere a darmi degli ordini. Come se facesse schioccare una frusta sopra una bestia da domare.

STEVENS – Perché non vi piaceva questo?

KAREN – Proprio perché mi piaceva. Finite le otto ore dissi che non sarei tornata il giorno dopo. Mi guardò senza dire niente. Poi, tutto ad un tratto, mi domandò se ero già stata con un uomo. Gli risposi di no. Allora mi offrì mille corone se volevo spogliarmi. Io rifiutai e, siccome minacciava di prendermi per forza, lo sfidai: “Provatevi”. (Pausa) Da quella sera non ci lasciammo mai più.

STEVENS – E avete vissuto, lavorato insieme, e insieme avete conosciuto la fortuna, il successo, quasi la gloria.

KAREN – Sì. Per dieci anni. Appena guadagnato il primo milione, mi portò a Vienna. Là mi comprò il piccolo revolver con l’impugnatura di diamanti: un giocattolo, perché, disse, io non ero che una bambina. Al nostro dodicesimo milione andammo in India. A Delhi mi regalò una pesante collana di metallo, come la portavano in paese, ma il fermaglio era un meraviglioso diamante nero. Più tardi, quando un governo europeo ci accordò il primo prestito di venticinque milioni di dollari, mi portò a New York. In quell’epoca mi regalò il vestito di platino.

STEVENS – Potete dirci a quanto ammontava il patrimonio di Faulkner nel momento di massimo splendore?

KAREN – Non potrebbe dirvelo forse neanche lui. Non possedeva niente di suo. Prendeva quel che gli occorreva. Quando aveva un debito con una delle sue Società, cancellava le somme dai libri di quella e li distribuiva sul conto di molte altre. Era molto facile perché i conti e i bilanci li facevamo tutti noi.

STEVENS – Perché un uomo della genialità di Faulkner ricorreva poi a certi metodi?

KAREN – Il suo scopo era quella di costruire una rete enorme da gettare sul mondo intero e di cui tenere i capi in mano sua. Per questo gli occorrevano somme enormi e un credito illimitato. Allo scopo di sostenere la fiducia, pagò dividendi sul capitale; dividendi quattro cinque volte superiori agli utili.

STEVENS – Quando risalgono le prime difficoltà finanziarie del signor Faulkner?

KAREN – A più di un anno fa. Carlo si trovò nella necessità di sottoscrivere lui stesso una gran parte dei due ultimi prestiti, rimasti scoperti.

STEVENS – A quell’epoca il signor Faulkner venne in America con uno scopo preciso?

KAERN – Dovevamo fare alla banca Witfield  un rimborso di dieci milioni di dollari e non eravamo in grado . Domandammo una proroga. Witfield ce la rifiutò: e in questo momento entra in campo la sua figliola.

STEVENS – In campo, come?

KAREN – Carlo la conobbe ad un ballo da amici. A un tratto lei le fece capire che la interessava. Carlo la rivide varie volte, poi, per ragioni… diplomatiche. Un po’ di tempo dopo, una mattina, Carlo mi si è avvicinato, mi ha preso la mano e mi ha detto: “Karen, la mia salvezza è nelle tue mani. Sei disposta a salvarmi?” Io gli risposi: “Certo, che devo fare?”, e poiché restava senza parole, io aggiunsi : “Si tratta di Nancy Witfiled, vero?”. Rispose con un cenno affermativo. Seguì un lungo silenzio e alla fine, sorridendo, dissi: “Sta bene, Carlo”. Mi domandò ancora: “Questo muterà nulla tra noi?”. Io risposi: “Certamente no”.

STEVENS – In quel momento Faulkner aveva già chiesto alla signorina Witfield di sposarlo?

KAREN – No: “è la signorina Witfield” che lo chiese a lui.

STEVENS – Sapete in che circostanza?

KAREN – Sì. Carlo mi raccontava tutto. Erano usciti insieme per una gita in auto. Improvvisamente si fermò e gli dichiarò, di punto in bianco : “A che scopo dissimulare ancora? Io vi voglio e voi lo sapete. E io ho l’abitudine, quando voglio una cosa, di pagarmela”. Carlo le domandò allora quanto era disposta a pagare: “La proroga”, gli disse, “d’un certo prestito di dieci milioni di dollari che vi sono necessari per salvare la vostra azienda. Se eviterete la galera per truffa sarà solo per grazia mia, e solo mia”. (Nancy Lee si alza di scatto, tremante di collera).

NANCY – Menzogna! Abominevole menzogna! Come potete voi…

GIUDICE (batte col martelletto sul tavolino) – Calma, signori, prego. Chiunque turberà il corso del dibattimento sarà immediatamente espulso dalla sala. (Witfield mormora qualcosa all’orecchio di Nancy e la persuade a sedersi ancora, tentando di calmarla).

STEVENS (a Karen) – E che cosa le rispose Faulkner?

KAERN – Le rispose che questo le sarebbe costato enormemente caro. E lei rispose: “Al denaro io non bado… non sono abituata a contarlo”. E poiché Carlo le faceva osservare che sarebbe stato unicamente un mercato da cui non doveva aspettarsi nessun segno di affetto, ella interruppe il colloquio dicendo: “Io non ho bisogno d’affetto. Voi avrete il denaro, e io voi”. Così fu concluso l’affare.

STEVENS – Faulkner seppe mai la reazione di Witfield padre nell’apprendere la notizia?

KAREN – Da quello che Carlo mi riferì, quando la figlia gli comunicò la decisione, fu preso da una collera furibonda e minacciò di uccidere Carlo. Ma lei tanto insistè, che suo padre si persuase ad accordare una dilazione e ad aprire a Carlo un credito illimitato.

STEVENS . Insomma, in altri termini, Faulkner si era venduto in funzione di ultima ipoteca.

KAREN – Sì. E questa ipoteca non aveva, ai suoi occhi, maggior valore di tutte le altre.

STEVENS – Il signor Faulkner veniva a trovarvi, dopo il matrimonio?

KAREN – Sì. Molto spesso.

STEVENS – Questo matrimonio lo prendeste come un affronto personale?

KAREN – Ci eravamo abituati a considerare i nostri affari come una lotta quotidiana. Quest’ultima lotta era più dura per me che per lui. Ecco tutto.

STEVENS – Perché Faulkner vi ha lasciato due settimane dopo il suo matrimonio con Nancy Witfield?

KAREN – Per forza. Witfield rifiutava di anticipargli il denaro promesso, finchè Carlo avesse avuto un’amante. Era l’ultimatum di Nancy Witfield: che non si dovesse mai più parlare di me. E’ stata una condizione molto dura per noi due, e sono sicura che, se Carlo fosse vissuto, Witfield l’avrebbe pagata cara.

STEVENS – Ma quando Faulkner vi ha lasciato, Witfield si sarà affrettato a fare gli anticipi che gli aveva promesso?

KAREN – No.

STEVENS – Come mai?

KAREN – Carlo si serviva da sé.

STEVENS – Non capisco.

KAREN – Eppure è semplice. Carlo imitò la firma del signor Witfiled, su venticinque milioni di buoni di garanzia.

STEVENS – Come lo sapete?

KAREN (calmissima) – L’ho aiutato io a farlo. (Movimento nell’uditorio. Stevens appare sbalordito. Flint ride).

STEVENS – Witfield ha scoperto il falso?

KAREN – Glielo ha detto Carlo.

STEVENS – Che cosa ha fatto allora Witfield?

KAREN – S’è affrettato ad avvallare i buoni. Un simile scandalo in famiglia avrebbe avuto un effetto disastroso sull’andamento dei suoi affari.

STEVENS – Ma quel gesto ha poi avvantaggiato molto il signor Faulkner?

KAREN – Oh, solo per qualche giorno. Andavamo incontro ad una scadenza particolarmente grave, e avevamo notato qualche segno di diffidenza in giro. Carlo aveva largamente bruciato il suo credito e non ci restava più niente da sperare.

STEVENS – E Faulkner che pensava di questo stato di cose?

KAREN – Sapeva che era la fine. Ma la coalizione di tutti contro di lui, non gli faceva paura. Aveva ormai sfidato l’universo e le sue leggi. E poiché non teneva troppo alla vita… (A questo punto un uomo in abito da viaggio compare in fondo alla sala. Si apre un varco attraverso gli astanti e sale sulla scena).

REGAN (gridando dal fondo) – Vi avevo detto di aspettare me! (Karen lancia un grido. Balza in piedi e manifesta un’estrema agitazione. Flint, Witfield e molti altri si alzano e da ogni parte si sentono esclamazioni di sorpresa).

UN AGENTE – E’ Regan. Gusti Regan. Attenzione!

KAREN (disperata e supplichevole) – Larry, tacete. Mi avevate promesso di non venire qui. (Il giudice batte sul tavolo il martelletto, ma non arriva a portare la calma).

REGAN (salendo sul palcoscenico) – Karen, voi non sapete, non potete capire… (Karen vi volge verso il giudice e, prima che glielo possano impedire, grida).

KAREN – Vostro onore. Chiedo che quest’uomo non sia autorizzato a deporre!

FLINT – E perché, signorina Borg?

KAREN (senza raccogliere, con voce che domina il tumulto) . Vostro onore…

REGAN – Karen! (A Stevens) Fermatela, per l’amor di Dio, impeditele di …

GIUDICE – Silenzio!

KAREN – Vostro onore. Quell’uomo mi ama. E’ capace di fare qualunque cosa per salvarmi. Se necessario, mentirà. (Si ferma di colpo e getta uno sguardo di sfida a Regan, che resta immobile a guardare Karen senza dire parola. Al tumulto precedente, succede un silenzio pesante. Allora, lentamente, calmo, Regan lascia cadere queste parole).

REGAN – Karen, il vostro sacrificio è inutile. “Egli è morto”.

KAREN (incredula, inebetita) – Morto? Morto?

FLINT – Ma che c’è? Chi è morto?

KAREN (barcollando) – Oh, lui no! Lui no!

REGAN – Karen, Carlo Faulkner “è stato assassinato”.

KAREN (dà un urlo) – Oh!

FLINT – Come, signorina Borg, non lo sapevate voi? (Karen non risponde. Vacilla, perde conoscenza. Regan s Stevens accorrono. Commozione in giro).

GIUDICE (picchiando con il martelletto) – L’udienza è sospesa. Il dibattimento proseguirà domani mattina alle 10. (Come alla fine del primo atto, la scena si svuota rapidamente. Regan si è eclissato. Stevens e un agente portano via Karen barcollante).

(Entrano degli strilloni di giornali che distribuiscono al pubblico una edizione speciale con in prima pagina il resoconto delle due udienze. A parole enormi questo titolo: “NON ERA IL CADAVERE DI FAULKNER”).

FINE DELLA SECONDA UDIENZA


TERZA UDIENZA

(Per le entrate, stesso ritmo del secondo atto. E’ la mattina dopo. Nancy, Witfield e Anderson sulle sedie dei testimoni. Il cambiamento più evidente è quello che si nota nell’atteggiamento di Karen. E’ seduta al tavolo della difesa, a testa china, braccia abbandonate. Calma, di una calma mortale. Se si muove, se parla, sembrano, i suoi gesti e le sue parole, controllate, ma si ha l’impressione di avere di fronte una creatura stroncata. L’usciere batte con il martelletto).

USCIERE – Signori, la Corte! (Entra il giudice, tutti si alzano). Corte suprema n. 11 dello stato di New York. Presidenza di suo onore il giudice Wilson. (Altro colpo di martelletto. Tutti si siedono).

GIUDICE – Il popolo dello Stato di New York contro Karen Borg.

FLINT – Pronto, vostro onore.

STEVENS – Pronto, vostro onore.

FLINT – Col permesso di Vostro Onore, comunicherò alla giuria di avere spiccato un mandato di arresto contro Regan, perché costui ha certamente partecipato al delitto. Disgraziatamente Regan è sfuggito alla nostra sorveglianza. L’ultima volta che l’ho visto parlava con l’avvocato della difesa, ed io vorrei…

REGAN (dal fondo della sala) – Un momento, vi prego. (Attraversa la sala e si avvicina calmo a Flint) Che dite? Che io ero scomparso? Allora perché mi sarei presentato ieri? (Indica il pubblico) Per dare spettacolo a quella gente lì? (Alza le spalle). Ma via! Inutile spiccare un mandato di arresto contro di me. Io non mi muovo di qui. (Additando Karen) Se quella donna è colpevole, allora lo sono anch’io.

FLINT – Va bene. Toglietevi pure il cappello e sedetevi là. (Regan siede al tavolo della difesa. Lancia a Karen uno sguardo di incoraggiamento che è magari uno sguardo di intesa).

GIUDICE – La parola alla difesa.

STEVENS – Karen Borg.

KAREN (si alza, sale sul praticabile e si siede. Non ha più il suo aspetto altero. Sembra fare un violento sforzo su se stessa).

STEVENS (grave) – Signorina Borg, quando ieri avete deposto davanti a questa corte, conoscevate tutta la verità in merito?

KAREN (con voce spenta) – No.

STEVENS – Considerato quello che è accaduto alla fine dell’udienza precedente, desiderate ritrattare le vostre precedenti affermazioni?

KAREN – No.

STEVENS – Con la vostra testimonianza di ieri, era vostra intenzione difendere o proteggere qualcuno?

KAREN – Sì.

STEVENS – Chi?

KAREN – Carlo Faulkner.

STEVENS – E credete ancora utile difenderlo?

KAREN – No. (Parla con sforzo). Ormai non è più utile… non è più utile…

STEVENS – Sostenete ancora che Carlo Faulkner si è ucciso?

KAREN – No. (Ora, d’improvviso, con voce ferma e alzando la testa) “Carlo Faulkner non si è ucciso. E’ stato assassinato”. E non da me. Oh, vi supplico, credetemi. Non parlo per me, ormai che mi importa più il verdetto della giuria? Ma è necessario, capite, è necessario che l’assassino sia punito. Vi dirò tutta la verità. Ho mentito nel corso dell’istruttoria. Ho mentito al mio stesso avvocato. Avevo intenzione di mentire anche qui, davanti alla Corte… ma ora vi dirò la verità.

STEVENS – Ieri, quando ebbe luogo l’incidente, stavate per raccontarci come il signor Faulkner contava di tirarsi fuori dalle terribili difficoltà che l’assillavano.

KAREN – Aveva intenzione di sparire. Ma non di uccidersi. (Guardando i giurati in faccia). E’ vero. Io ho gettato il corpo di un uomo dal 20° piano, ma quell’uomo era già morto quando io l’ho buttato nel vuoto, e non era Carlo Faulkner. (Rumori).

STEVENS – Spiegatevi, signorina Borg.

KAREN – Carlo voleva che la sua morte fosse ufficialmente constatata, per poter riuscire nel suo piano: bisognava evitare ricerche, inchieste. Perciò doveva sparire. Il suicidio era soltanto una commedia. In realtà dovevamo partire insieme. Tutto era stato preparato fin nei minimi dettagli, e da lunghe settimane. Carlo aveva messo da parte dieci milioni di dollari provenienti dal falso dei buoni Witfield. Ma avevamo bisogno di qualcuno che ci aiutasse. Qualcuno che non fosse in rapporto con Carlo, e su cui non potessero cadere sospetti. Un solo uomo avrebbe potuto renderci questo servizio: Regan.

STEVENS – Come siete entrata in relazione con lui?

KAREN – L’avevamo conosciuto qualche mese prima. Aveva, come posso dire, aveva tentato di fare affari con Carlo… senza però riuscire nell’intento. Regan ed io diventammo presto buoni amici. Amicizia segreta. E quando Carlo pensò che qualcuno avrebbe potuto favorire la nostra scomparsa, io pensai istintivamente a Regan.

STEVENS – Che cosa vi faceva credere che Regan si sarebbe prestato per un’impresa così pericolosa?

KAREN – Regan era innamorato di me.

STEVENS – Ed ha acconsentito ad aiutarvi, nonostante questo?

KAREN – Ha acconsentito “per” questo.

STEVENS – In che consisteva il vostro piano, signorina Borg?

KAREN – Ecco. Sul far della notte del 16 gennaio un criminale di nome Lefty fu assassinato da una banda rivale in casa di sua madre. Forse ricorderete di aver letto sui giornali che il corpo di Lefty era misteriosamente scomparso. Ebbene, fu Regan a portarlo via. Personale, corporatura di Lefty, perfino il colore dei capelli, corrispondeva ai connotati di Carlo… (Pausa) … ed è l’uomo che ho lanciato nel vuoto.

STEVENS – L’aiuto di Regan si è limitato a questo?

KAREN – Doveva anche noleggiare un aereo e portare Carlo in America del Sud. Regan aveva fatto a suo tempo il pilota. Quel giorno, il 16 gennaio, Carlo trasferì sotto altro nome 10 milioni di dollari in tre banche di Buenos Aires. Io l’avrei raggiunto all’albergo Continental, un mese dopo. Fino a quell’epoca era inteso che non avremmo più comunicato in nessun modo tra noi. Per nessun pretesto e qualunque cosa avvenisse noi non dovevamo rivelare il nostro segreto.

STEVENS – E il 16 gennaio che cosa accadde in realtà?

KAREN – Carlo quella sera venne da me. Quando gli apersi la porta, sorrideva, come un uomo che corra con gioia incontro a un gran pericolo. Abbiamo pranzato insieme e poi siamo andati a trovare Regan. Regan aveva messo indosso al cadavere di Lefty un abito da viaggio. Tornammo a casa tutti in auto. Carlo voleva a tutti i costi farsi notare. Perciò suonammo, sebbene io avessi la chiave del portone di casa. Eravamo in abito da sera per dare l’impressione di gente che tornasse da un locale notturno. Carlo e Regan sostenevano il cadavere come se si fosse trattato di un amico ubriaco. Il guardiano notturno ci ha aperto la porta e noi siamo saliti in ascensore.

STEVENS – E poi, dopo?

KAREN – Dopo, Carlo si è messo i vestiti che aveva addosso il cadavere. Ha scritto la lettera che voi conoscete. Abbiamo bevuto un cocktail. Poi Carlo e Regan hanno trascinato il cadavere fino al balcone e lo hanno lasciato lì, appoggiato al parapetto. E poi, poi, mi hanno lasciata sola. Carlo è uscito per primo. E’ sceso con l’ascensore. Io sono rimasta un po’ sulla soglia della porta. Ho visto girare la lancetta dell’ascensore… 15° piano… 5° piano… ho sentito la porta richiudersi… Era finita. Carlo era partito… partito…

STEVENS – E poi?

KAREN – Poi è uscito Regan qualche minuto dopo. Si erano dati appuntamento a trenta chilometri da New York, in un punto dove Regan aveva lasciato il suo aereo. Sono rimasta sola per un’ora. Non ho avuto il coraggio di aspettare sulla terrazza… per quel cadavere che era lì vicino; e mi sono stesa sul letto in camera mia. C’era ancora, abbandonato sulla seggiola, il pigiama di Carlo. L’ho preso. Mi parve che conservasse ancora il calore del suo corpo. E dopo mi è parso che quella storia non dovesse mai più finire. Sentivo nel buoi, il tic-tac della pendola vicino al mio letto. Dopo un’ora, che mi parve un secolo, mi alzai. Sapevo che l’aereo era già arrivato molto lontano. Mi sono stracciata il vestito per far credere a una lotta, mi sono avvicinata al balcone, ho spinto il cadavere nel vuoto e mi è parso che si portasse con sé, sparendo, tutte le disavventure di Carlo. E non immaginavo che in quello stesso momento, anche lui… (si chiude il viso tra le mani e tace).

STEVENS – Grazie, signorina Borg.

FLINT (dopo una pausa, si alza) – Confesso, signorina Borg, che non mi lasciate più molto da dire. Ma, dite un po’, il signor Faulkner aveva un’idea proprio molto chiara della differenza tra il bene e il male?

KAREN - Carlo non si è mai preoccupato di distinguere il bene dal male. Il solo dilemma che si presentava alla sua mente era:” Posso” o “Non posso”.

FLINT – E voi, signorina Borg, non avete mai provato rimorso di essere complice dei suoi delitti?

KAREN – Per me il solo dilemma era “Questo gli piace”, “Questo non gli piace”.

FLINT – Avete detto che Carlo Faulkner vi amava?

KAREN – Sì.

FLINT – Non vi ha mai chiesto di sposarlo?

KAREN – No. Perché doveva chiedermelo?

FLINT – Ignorate, sembra, che esistono leggi repressive del concubinato?

KAREN – Leggi, scusate, fatte “da chi” e “per chi”?

FLINT – Signorina Borg, vi ha avvertito il vostro avvocato che quanto dite qui può essere usato contro di voi?

KAREN – Io sono qui per dire la verità.

FLINT – Naturalmente. Voi amate Carlo Faulkner, vero?

KAREN – Sì.

FLINT – “Nonostante” le sue tare?

KAREN – Proprio per le sue tare.

FLINT – Ecco “esattamente quello che volevo farvi dire”. E adesso, che avreste fatto voi se una donna vi avesse portato via l’uomo che adoravate così pazzamente? Supponiamo che quella donna fosse giunta a toccargli il cuore, e che con lei provasse qualcosa di diverso da quel desiderio animalesco che voi avevate acceso in lui; supponiamo che quella donna avesse trasformato il barbaro spietato che amavate voi e ne avesse fatto una persona dritta, proba e onesta.

STEVENS – Opposizione, vostro onore.

GIUDICE – Accolta!

KAREN – Ma io voglio rispondere. Ho da dire al Procuratore generale che egli, in questo momento, insulta la memoria di Carlo Faulkner.

FLINT – Davvero? E voi, voi credete di non averlo offeso da vivo, quando aveste una relazione amorosa con un criminale?

REGAN (balza in piedi) – Ah, perdio! (Due agenti si sono subito alzati, pronti a immobilizzarlo).

KAREN (calma) – Lascia andare, Larry. (Regan torna a sedersi, di mala grazia). Vi sbagliate, signor Flint. Regan era innamorato di me, ma io non l’amavo.

FLINT – E non vi ha chiesto la ricompensa abituale, come prezzo della sua collaborazione?

KAREN – Non mi ha chiesto nulla.

FLINT – Allora, non era geloso di Faulkner?

KAREN – No.

FLINT – Non gli avete neanche domandato il suo aiuto per vendicarvi dell’uomo che aveva preferito sposare un’altra?

STEVENS – Opposizione!

GIUDICE – Accolta.

FLINT – Voi avete detto che eravate la sola a conoscere le azioni criminali di Faulkner?

KAREN – Sì.

FLINT – E ne sapevate abbastanza per mandarlo in prigione?

KAREN – Non avrei mai fatto una cosa simile, io.

FLINT – Ma “avreste potuto”, se aveste voluto.

KAREN – Forse.

FLINT – E allora, signorina Borg: ecco la spiegazione delle visite di Faulkner dopo il suo matrimonio! Egli si era corretto e posto sulla buona strada. Tentava con tutte le sue forze di evitare un crollo. Ma voi, voi, gli tenevate sospesa sul capo questa spada di Damocle. “Voi”, e voi sola, potevate rovesciare i suoi piani e smascherarlo prima che egli avesse il tempo di riparare alle sue malefatte. Sicchè non era forse piuttosto la paura che l’amore a trattenervelo fra le braccia?

KAREN – La paura? Non conosceva neanche il significato di questa parola.

FLINT – “Chi” era al corrente del trasferimento dei dieci milioni di dollari nelle banche di Buenos Aires?

KAREN – Carlo, Regan ed io.

FLINT – Ah, Regan? Anche Regan? Faulkner aveva forse motivi di affari perfettamente legittimi per questo trasferimento, sì?

KAREN – No, che io sappia.

FLINT – Per lo meno non volete dirlo. Un’altra cosa: per dieci anni consecutivi, Faulkner vi ha tenuta in un lusso vertiginoso. Le vostre predilezioni per le vesti di platino e altri oggetti di gusto altrettanto discutibile ma altrettanto costosi…

KAREN – Sì.

FLINT – E vi dava noia l’idea di dover cambiare tenore di vita, vero? Per nessuna ragione al mondo avreste consentito a che Faulkner restituisse ai piccoli risparmiatori il denaro che gli avevano affidato.

KAREN – I piccoli risparmiatori non mi interessano.

FLINT – E non volevate vederlo povero.

KAREN – Non dovevo vederlo povero.

FLINT – S’intende, s’intende. (Con forza) Perché voi e il vostro criminale innamorato avete ucciso Faulkner… per mettere le mani sui dieci milioni di dollari di cui voi soli conoscevate l’esistenza.

STEVENS – Opposizione, vostro onore.

GIUDICE – Opposizione accolta.

FLINT- Voi avete sentito ieri qui la deposizione di vari testimoni i quali hanno affermato che Faulkner non aveva alcun motivo per attentare ai suoi giorni. Perché avrebbe desiderato di morire, se era felice per la prima volta in vita sua? Ma “voi”, voi lo odiate, a cagione di questa felicità che un’altra gli aveva arrecato… Questo è: non è vero?

KAREN (altezzosa) – Evidentemente voi non avete capito Carlo Faulkner.

FLINT – E’ probabile. Vediamo ora se comprenderò meglio “voi”. Voi il primo giorno che vedeste quest’uomo, ne restate ammaliata. Per dieci anni avete convissuto con lui, illegittimamente, apertamente. Avete scroccato il denaro di migliaia di piccoli risparmiatori di tutto il mondo, e avete falsificato buoni per venticinque milioni di dollari. Avete seguitato ad essere l’amante di quell’uomo anche dopo il matrimonio. Ciò del resto non vi ha impedito di coltivare un’amicizia, per lo meno bizzarra, con un noto criminale. E ce lo siete venuta a raccontare qui, con orgoglio, senza il minimo pudore, direi quasi a sfida. “E voi immaginate che noi non vi crediamo capace di commettere un omicidio”.

KAREN (perde la calma) – Siete fuori strada, signor Flint. Io sono capace di uccidere. (A un gesto di Stevens si riprende: più dolce). Sono capace di uccidere, per amore di Carlo Faulkner.

FLINT – Grazie, signorina Borg. (Calma e indifferente, Karen torna a sedersi al tavolo della difesa).

STEVENS (chiama) – Lawrence Regan! (Regan si alza per testimoniare).

CANCELLIERE (Ripete la formula del giuramento).

REGAN (abbozza un gesto vago e disinvolto) – Giuro.

STEVENS – Nome?

REGAN – Lawrence Regan.

STEVENS (dopo una breve esitazione) – Pro…fessione?

REGAN (calmo, sollevando un sopracciglio per ironia) – Hm… senza professione.

STEVENS – Quando conosceste Karen Borg?

REGAN – Cinque mesi fa.

STEVENS – Dove l’avete incontrata?

REGAN – Negli uffici di Faulkner. Ci ero andato… hm… già… ecco a proporgli un affare. Ma quando ho visto la sua segretaria ho dimenticato lo scopo della visita.

STEVENS – Come mai vi siete legato d’amicizia con la signorina Borg?

REGAN – A dire il vero il nostro primo incontro non ebbe nulla di amichevole. La signorina Borg non mi volle lasciare entrare nell’ufficio di Faulkner. Mi disse che avevo abbastanza soldi da poter comperare le orchidee a chili… e che quindi non avevo niente da chiedere né a che fare con il suo principale. Io le ho risposto che ci avrei ripensato su, e me ne sono andato. E ci ripensai, e molto: ma non agli affari. Non ho pensato più che a lei. E il giorno dopo le ho mandato un chilo di orchidee. Voi non potete figurarvi quanto costa un chilo di orchidee. (Pausa). Ecco, cominciò così.

STEVENS – Eravate al corrente delle relazioni tra la signorina Borg e Faulkner?

REGAN – Anche prima di vederla, lo sapevo. E con questo? Sapevo anche di essere un innamorato senza speranza. Ma non ci potevo fare niente.

STEVENS – Non avete mai sperato che un giorno la signorina Borg vi avrebbe corrisposto?

REGAN – No.

STEVENS – Non avete mai tentato di imporle il vostro amore?

REGAN (dopo una breve pausa) – Vi è proprio necessario, sapere questo?

STEVENS – Sarebbe… indispensabile.

REGAN – Ebbene, io una volta, io… l’ho baciata per forza. Fu la sera del matrimonio di Faulkner. Era sola. E io la desideravo molto. Lei mi sfuggì e mi fece comprendere che era inutile, ma poi, non pensammo più, né io né lei, a quella scena.

STEVENS – Quando fu che la signorina Borg vi parlò, per la prima volta, del progetto di fuga ideato da Faulkner?

REGAN – Ai primi di gennaio: vale ha dire un paio di settimane circa prima della morte di Faulkner.

STEVENS – E “Lefty” apparteneva alla vostra banda?

REGAN (con aria di superiorità) – Lefty? (Alza le spalle). Non fatemi ridere.

STEVENS – Conoscete i suoi assassini?

REGAN – No.

STEVENS (dopo una lieve esitazione) – Voi quindi non sapevate che la vita di quel criminale era in pericolo.

REGAN (con lo stesso movimento ironico del sopracciglio e con burlesca ingenuità) – Eh, ma un po’ me la sentivo correre.

STEVENS – Cosa è successo la notte del 16 gennaio?

REGAN – Ve l’ha detto la signorina Borg. Almeno la prima metà del fatto, poiché l’altra metà non la conosce.

STEVENS – E voi conoscete la seconda metà?

REGAN – Naturalmente, altrimenti non sarei qui.

STEVENS – Cosa è accaduto dopo che lasciaste lo studio?

REGAN – Io sono uscito dieci minuti dopo Faulkner. E sono salito su una macchina che uno dei miei uomini aveva lasciata davanti alla porta, perché Faulkner si era preso la mia, e sono partito a tutta velocità.

STEVENS – Dove andaste?

REGAN – A Meadow Lane, a 20 chilometri da New York. Di prima sera ci avevo lasciato il mio aereo. Eravamo rimasti d’accordo che Faulkner doveva arrivare prima di me e aspettarmi.

STEVENS – A che ora arrivaste a Meadow Lane?

REGAN – Intorno a mezzanotte. C’era un magnifico chiaro di luna che mi scopriva distintamente le carreggiate delle gomme sulla mota della strada: in realtà la vettura di Faulkner mi aveva preceduto di pochi minuti. Io arrivai sul luogo fissato verso mezzanotte e mezzo. Guardai. L’aereo non c’era più.

STEVENS – E che faceste allora?

REGAN – L’ho cercato per un paio d’ore. L’auto di Faulkner era nascosta nel luogo fissato, ma era vuota. Sull’erba della prateria si distinguevano i solchi di due ruote. L’aereo dunque aveva decollato. Ma come aveva fatto Faulkner, che non sapeva pilotare.

STEVENS – Avete poi scoperta la chiave di questo mistero?

REGAN – Ho rovistato dappertutto con la torcia elettrica. Tra parentesi: faceva un freddo da caccia alle anitre; l’erba era gelata.

STEVENS – Trovaste nulla?

REGAN – Sì. Una macchina.

STEVENS – Ah!

REGAN – Nascosta in un boschetto dall’altro lato del sentiero. Era una grande limousine nera.

STEVENS – Che avete fatto?

REGAN – Prima di tutto ho cercato di scoprire a chi apparteneva. Gli sportelli erano chiusi: ho spaccato un vetro, e quando ho visto il nome che era scritto sulla targhetta interna, mi sono messo dentro ed ho deciso di aspettare.

STEVENS – E quanto tempo avete aspettato?

REGAN – Tutto il resto della notte. Verso l’alba due dei miei uomini entrarono nella prateria. Eravamo d’accordo che avrebbero dovuto ricondurre indietro le due macchine: quella di Faulkner e la mia. Sono andato incontro a loro e ho detto che portassero via solo la macchina di Faulkner, perché la mia la volevo tenere io. Quando quelli se ne furono andati io mi rimisi di fazione dentro la limousine nera.

STEVENS – E allora?

REGAN – Poco dopo ho visto venire avanti un uomo, nella mia direzione. Era il proprietario della limousine.

STEVENS – E che avete fatto?

REGAN – Ho fatto finta di dormire; ma spiavo ogni suo movimento. Scorgendomi, l’uomo lanciò un grido di sorpresa. Capite, non si aspettava di trovarmi là.

STEVENS – E poi?

REGAN – Allora ho fatto finta di svegliarmi e ho detto: “Toh, siete voi?”. Mi a chiesto :” E voi chi siete? Che fate lì”. E io: “Mi chiamo Gusti Regan: forse avete sentito parlare di me qualche volta. Ho avuto delle noie e sono costretto a darmi alla macchia per un po’ di tempo. Questa macchina è venuta come l’olio nel lume”. “Bene, fa lui, adesso siete pregato di scendere subito perché ho fretta”.

STEVENS – E voi scendeste?

REGAN – Non fatemi ridere! Io gli domandai perché aveva tanta fretta. Mi rispose che non erano fatti miei. Io ho sorriso e gli ho detto “Sentite amico, non per me, ma un notissimo giornalista che si trova ad essere un mio buon compagno. Quando io gli avrò raccontato che un uomo come voi si gingilla in un luogo deserto all’ora dei lattai, è capace di tirarci giù due colonne sul suo giornale”.

STEVENS – E lui che ha risposto?

REGAN – Non ha aperto bocca. Ha tirato fuori un libretto di assegni e ha detto: “Basteranno cinquemila dollari per farvi tacere?”. Io gli ho risposto: “Funziona. Io mi chiamo Lawrence Regan”. Lui ha riempito l’assegno, l’ha firmato, ed eccolo qui… (Regan porge s Stevens l’assegno che si è tratto di tasca).

STEVENS (dopo averlo letto) – Produco questo segno come prova. (Porge a sua volta l’assegno al cancelliere che vi getta un colpo d’occhio e manifesta una viva sorpresa).

FLINT – Che vuol dire tutto ciò? Chi era quell’uomo?

STEVENS – Rispondetegli voi, Regan. Chi era?

REGAN – Il cancelliere non ha che da leggere. (Stevens fa un cenno al cancelliere che legge).

CANCELLIERE (legge) – 17 Gennaio 1946. Pagate all’ordine del signor Lawrence Regan la somma di cinquemila dollari. Firmato: Graham Witfield. (Baccano, Witfield è balzato in piedi).

WITFIELD – Questo assegno non ha nessuna attinenza…

NANCY – Papà, papà! (E’ stravolta) Non è possibile!

FLINT – L’avvocato della difesa si rende conto che il suo testimone va un pò troppo oltre?

REGAN – Se non credete a me, non avete che da chiamare un perito.

GIUDICE (battendo furibondo il martelletto) – Silenzio! Silenzio!

STEVENS – Noi produciamo questo assegno come prova.

FLINT – Opposizione.

GIUDICE – Opposizione respinta. L’assegno è ammesso come prova.

STEVENS – Che avete fatto, poi, dopo aver ricevuto l’assegno?

REGAN – Me lo sono messo in tasca e ho ringraziato Witfield. Dopo ho tirato fuori la pistola, gliel’ho puntata sotto il naso e ho detto:”E adesso, vecchia canaglia, mi direte che ne avete fatto di Faulkner”. Lui ha aperto la bocca come un pesce tirato fuori dall’acqua, ed è rimasto muto come un luccio.

WITFIELD – Vostro Onore! Si può tollerare che una così bassa calunnia, così assurda, sia lanciata in pubblico, in mia presenza?

GIUDICE – Silenzio! Il testimone è autorizzato a deporre. Io lo avverto tuttavia che se la sua testimonianza risulterà falsa dovrà subirne tutte le conseguenze. Seguitate, signor Stevens.

STEVENS – Che ha fatto allora il signor Witfield?

REGAN – Dapprima ha brontolato: “Io no so cosa intendete dire”; allora io ho insistito, delicatamente, con la mia pistola, e gli ho domandato dove aveva messo Faulkner. “Se mi uccidete” ha ribadito, “voi non lo saprete mai”. E siccome volevo sapere se Faulkner era ancora vivo, ho insistito, meno delicatamente. Notate che non avevo nessuna intenzione di ucciderlo, almeno sul momento. Egli mi disse.”Se mai racconterete questa storia si saprà che il suicidio di Faulkner era tutta una commedia, e lo ritroveranno”. Evidentemente non c’era da ribattere su questo punto. Aveva ragione. L’ho lasciato andare via, sicuro che l’avrei riacciuffato quando l’avrei voluto io.

STEVENS – Avete poi tentato di ritrovare Faulkner?

REGAN – Certo! E senza perdere un attimo, sono saltato sull’aereo per Buenos Aires. Ho battuto tutta la città. Ho messo annunci sui giornali. Nessuno si era presentato alle Banche per ritirare i milioni depositati al nome stabilito.

STEVENS – Avete avvertito la signorina Borg delle vostre infruttuose ricerche?

REGAN – No, no. Era inteso che tra noi si dovesse vivere ognuno per conto proprio per un mese. E poi la signorina Borg era stata arrestata, sotto accusa dell’omicidio di Faulkner, che io credevo ancora vivo. Allora ho aspettato all’albergo Continental di Buenos Aires.

STEVENS – Che cosa aspettavate?

REGAN – La scadenza del termine di un mese che ci eravamo fissati. Vi assicuro che quel giorno mi è parso lungo. E Faulkner non è venuto.

STEVENS – Allora?

REGAN – Allora ho capito che era morto. Sono tornato a New York con la speranza di ritrovare il mio aereo. Avevo capito che Witfield non poteva essere andato lontano la notte del 16 gennaio, e noi abbiamo trovato l’aeroplano ieri.

STEVENS – Dove?

REGAN – In una valle deserta del New Jersey a 160 chilometri de Meadow Lane. L’ho riconosciuto dal numero del motore, perché dopo l’atterraggio lo avevano incendiato.

STEVENS – L’aereo era vuoto?

REGAN – No. Nella carlinga c’era il cadavere di un uomo carbonizzato.

STEVENS – E quell’uomo, avete potuto identificarlo?

REGAN – A dire la verità, no: era irriconoscibile. Ma la statura era esattamente la sua. Era lui, non c’è dubbio. Ho esaminato il cadavere, o piuttosto, i resti. Ho scoperto due ferite d’arma da fuoco: di pistola. Una in una costola, un po’ sopra il cuore, e l’altra alla mano sinistra, gliela aveva attraversata. Hanno dovuto prima disarmarlo, e quindi la ferita alla mano. Poi un colpo di pistola in pieno al cuore. (Di stile) Ho mandato subito due dei miei uomini ad avvertire la polizia del New Jersey, per le constatazioni di legge.

STEVENS (dopo una breve pausa) – Grazie Regan.

WITFIELD – Vostro onore, posso ora…

GIUDICE – Un momento. Prima il testimone sarà sentito in contraddittorio.

FLINT – Domando scusa, signor Witfield. (A Regan) Dite un po’, Regan, qual è precisamente… la vostra professione?

REGAN (sornione) – Ah, vi farebbe proprio tanto piacere che ve lo dicessi?

STEVENS – Opposizione, vostro onore! Il teste ha diritto di non rispondere a questa domanda.

GIUDICE – Opposizione accolta.

FLINT – Signor Regan, che fate quando i vostri eventuali clienti rifiutano di pagare la protezione che voi offrite loro?

REGAN (sornione) – Ah, la, la! La legge mi autorizza a non capire il senso della vostra domanda.

FLINT – Benissimo. Non avete il dovere di capire. Posso allora chiedervi se leggete i giornali?

REGAN – Potete.

FLINT – E dunque?

REGAN – Aspetto la domanda.

FLINT – Volete dirci per cortesia se leggete i giornali?

REGAN – Qualche volta, ogni tanto.

FLINT (prendendo il giornale che gli porge il suo segretario) – Allora avete forse letto che “il signor James Sutton junior, avendo rifiutato di pagare la protezione che gli offriva… un notissimo criminale, la sua bellissima villa di Westchester fu distrutta da un’esplosione, subito dopo la partenza dei suoi invitati”. Ebbene, signor Regan, dobbiamo considerarla come una pura coincidenza?

REGAN (impassibile, ironico) – Una coincidenza notevole, signor Flint, “se è dopo la partenza degli invitati”.

FLINT – E avrete letto senza dubbio anche questo: che un certo signor Van Dorn non avendo voluto pagare…

STEVENS – Opposizione, vostro onore! Questo interrogatorio non è influente alla causa.

GIUDICE – Opposizione accolta.

FLINT – Voi avete detto di non conoscere gli assassini di Lefty?

REGAN – Esatto.

FLINT – Detto tra noi, ne conoscerete almeno uno, forse.

REGAN – No. Non ne vedo.

FLINT – Allora, come avete potuto sapere che era stato assassinato?

REGAN – Voce di popolo.

FLINT – Sì. Sì. Sì. Voi avete parlato di tracce e ruote d’auto sul suolo pantanoso?

REGAN – Sì.

FLINT – Ma avete detto che faceva un freddo da caccia alle anitre. E il dottor Kirkland, nella sua deposizione, ha insistito sul fatto che quella notte faceva un gelo da spaccare le pietre.

REGAN – Da spaccare le pietre, da spaccarle; dipende da che pietre.

FLINT (sornione) – Ecco. Siccè, dunque, non vi era rimasto proprio alcun rancore contro il signor Faulkner per il fatto che aveva respinto la vostra prima proposta… di affari?

REGAN – Nessun rancore.

FLINT – E… dite un po’, signor Regan, che fareste voi se vi portassero via la donna che amate?

REGAN – Non esco mai senza la mia pistola.

FLINT (con un gesto pronto agli agenti) – Oh! (Gli agenti bloccano Regan, mentre Flint gli toglie la pistola che getta sul tavolo del cancelliere).

FLINT – Benissimo! Sicchè voi, Gusti Regan, che non uscite mai senza pistola, vorreste farci credere di essere capace del gesto nobile di allontanarvi e di gettare la donna che amate tranquillamente in braccio del rivale. Ma andiamo, via!

STEVENS – Vostro onore! Noi… (Stevens avanza verso il testimone. Regan con gesto calmo lo spinge da parte e poi, rivolto a Flint).

REGAN – Io l’amavo.

FLINT – Davvero? Allora, se l’amavate, perché avete lasciato che Faulkner seguitasse a far visita alla signorina Borg dopo che fu sposato?

REGAN – Che diritto avevo ad oppormi?

FLINT – O non avevate piuttosto l’intenzione di fare fruttare la vostra … generosità?

REGAN – Provatelo.

FLINT – La miglior prova è la vostra cordiale intesa con la signorina Borg.

STEVENS – Opposizione!

GIUDICE – Opposizione accolta.

FLINT – E dov’è il vostro complice, l’uomo che simulava l’ubriachezza?

REGAN – Posso darvi il suo preciso indirizzo: Cimitero di Evergreen – Cappella mortuario della famiglia Witfield, e posso aggiungere che è il posto più di lusso che abbia mai abitato il povero Lefty.

FLINT – Bene. Vorrei ora precisare un punto. Voi asserite che l’uomo sepolto al cimitero di Evergreen, è un tale “Lefty” e che Carlo Faulkner è quello che avete scoperto nell’aereo incendiato. Sì?

REGAN – Sì.

FLINT – Che cosa ci prova che non sia vero il contrario? Questo racconto straordinario non sarebbe allora che il supremo tentativo di salvare la vostra amante. Ieri ci ha detto che voi sareste pronto a fare qualunque cosa per lei e che, al bisogno, non esitereste davanti alla menzogna.

STEVENS – Opposizione, vostro onore!

GIUDICE – Opposizione accolta.

FLINT – E allora, dateci la prova che avete, signor Regan.

REGAN (fissando negli occhi Flint) – Signor Flint, voi siete il Procuratore Generale e io sono, insomma, sono quello che sono. Facciamo entrambi un gran brutto mestiere. Che volete? E’ la vita. Ma ci credete caduti così in basso, voi ed io, che quando ci troviamo sulla nostra via qualcosa di bello, siamo incapaci di fermarci e di voltarci? Io l’amavo. Lei amava Faulkner. Non abbiamo altra prova.

FLINT – Credevo che Gusti Regan sapesse fornirci qualche migliore argomento. Grazie. (Regan torna a sedersi all’estrema destra. Karen lo guarda e gli tende la mano. Egli gliela stringe e siede).

STEVENS – John Graham Witfield! (Witfield si alza di scatto e va, rapido e risoluto, al suo posto di teste). Signor Witfield, dove eravate la notte del 16 gennaio?

WITFIELD (calmissimo) – A casa mia.

STEVENS – Curioso! Il teste Anderson ha affermato proprio qui di avervi telefonato dopo mezzanotte e che voi non eravate in casa.

WITFIELD – Non mi sentivo bene. Avevo dato ordine di non disturbarmi.

STEVENS – Avete un testimone che possa confermare questa circostanza?

WITFIELD – Signor Stevens, dovreste capire che non ho l’abitudine di preordinarmi gli alibi. Il mio modo di vivere, gli affari che mi tengono occupato sono tali da escludere certe necessità.

STEVENS – Quante automobili possedete, signor Witfield?

WITFIELD – Quattro.

STEVENS – Di che…

WITFIELD – Vi dirò subito, poiché sembrate impaziente di saperlo, che una di queste è una limousine nera. Solo mi permetto di ricordarvi che non è la sola limousine nera in circolazione a New York.

STEVENS – Secondo voi la storia del signor Regan non è che un tessuto di menzogne, vero?

WITFIELD – Un tessuto di sfacciate menzogne.

STEVENS (con una specie di ferocia) – Allora volete dirci chi a riempito l’assegno di cinquemila dollari?

WITFIELD (con semplicità) – Io.

STEVENS – Firmato a Meadow Lane?

WITFIELD – Mai più! Non conosco Meadow Lane e non bazzico certo genere di individui, potete capirlo: tutto ciò si è svolto per corrispondenza.

STEVENS – Vorreste spiegare più chiaramente?

WITFIELD – E’ molto semplice. Noi conosciamo tutti i mestieri che fa Regan. Quest’uomo aveva minacciata mia figlia. Confesso di avere avuto la debolezza di cedere alla sua richiesta oltraggiosa. Ho preferito spedirgli un po’ di denaro che vedere la vita di mia figlia in pericolo.

STEVENS – Vedete… io mi domando come avreste fatto voi a vendicarvi dell’uomo che avesse abbandonato vostra figlia per un’altra donna.

FLINT – Opposizione, vostro onore!

GIUDICE – Opposizione accolta!

STEVENS – Voi odiavate Faulkner. Volevate la sua perdita. Avevate indovinato la sua intenzione di simulare il suicidio.

WITFIELD – Non avevo indovinato proprio nulla di simile.

STEVENS – Non avete passato la notte del 16 gennaio a spiare le mosse di Faulkner?

WITFIELD – Ah, no davvero.

STEVENS – Non ne avete seguito la pista sulla vostra limousine nera?

WITFIELD – E’ fantastico. E, prima di tutto, come lo avrei riconosciuto? Neanche lo stesso Van Fleet, il detective, l’ha riconosciuto.

STEVENS – Van Fleet, lui, non poteva sospettare nulla. Ignorava totalmente il piano di Faulkner, mentre voi…

WITFIELD (con magnifica calma) – Mio caro signor Stevens, come potevo io sapere che il piano di Faulkner sarebbe stato messo in attuazione “proprio quella notte”?

STEVENS – Non avevate proprio nessun ragguaglio sui fatti e sui gesti di Faulkner?

WITFIELD – Proprio nessuno.

STEVENS – Per esempio, non avevate saputo che Faulkner aveva trasferito i dieci milioni di dollari in certe banche di Buenos Aires?

WITFIELD – Non ne ho mai saputo niente. (In questo momento Anderson balza in piedi e si porta nel mezzo).

ANDERSON – Signori! Il signor Witfield si sbaglia! Dei dieci milioni lo sapeva. Glielo avevo detto io… (Stevens si precipita verso di lui e gli parla piano).

FLINT (ad Anderson) – Sentite, amico, voi non potete…

STEVENS (pronto) – Grazie, signor Witfield.

FLINT (a Witfield) – Grazie. (Witfield torna a sedersi presso la figlia).

STEVENS – Venite pure alla sbarra, signor Anderson. (Anderson esegue) Voi avete parlato al signor Witfield di quel trasferimento di soldi?

ANDERSON – Mi aveva chiesto più di una volta dove erano andati a finire quei dieci milioni di dollari. Non sapevo che fosse un segreto. E quel giorno, il 16 gennaio, alle undici e tre quarti, gli ho detto che si trovavano a Buenos Aires.

WITFIELD – Che è questa commedia?

STEVENS (ad Anderson) – Sicchè voi avete dato la notizia al signor Witfield, “alle undici e tre quarti”?

ANDERSON – Sì, che Dio mi perdoni. Io non sapevo. Avrei dato la mia vita per il signor Faulkner; sono io, io, responsabile della sua morte!

STEVENS – Grazie, signor Anderson.

FLINT – Anderson, eravate solo col signor Witfield quando l’avete messo al corrente?

ANDERSON (sorpreso) – Sì.

FLINT – Ma la vostra deposizione differisce pienamente da quella del signor Witfield!

ANDERSON (con voce meno sicura) – Sì.

FLINT – Rileggetemi, signore, lo stenoscritto della vostra deposizione di ieri. Voi avete dichiarato che preferireste mentire per Faulkner e Karen Borg, che dire la verità per me.

ANDERSON (impacciato) – Sì.

FLINT – Cose che si dicono. Ma adesso torniamo alla notte del 16 gennaio. Vedete di che cosa vogliamo parlare? Della notte del 16 gennaio.

ANDERSON – Sì.

FLINT – Dove eravate, signor Anderson, la notte del 16 gennaio?

ANDERSON – Ma, a casa mia.

FLINT (sferzante) – Alt! Voi ieri, da quello stesso posto dove siete ora, rispondendo ad una domanda della difesa, avete detto che quella notte eravate nell’ufficio dello stabile Faulkner. (Al giudice Wilson) Vostro onore, ecco una falsa testimonianza colta in flagrante.

GIUDICE – Agente, accompagnate il teste nell’ufficio del signor Smith.

USCIERE – Andiamo. (Un agente e l’usciere conducono via Anderson).

FLINT – Eh, sarebbe troppo facile…

WITFIELD – Spero che tutti si siano ormai persuasi che tutto ciò non è che una gran messa in scena, sapientemente organizzata dalla banda alla quale appartiene anche questa donna.

STEVENS – Alla giuria il compito di pronunciarsi. La difesa ha finito.

GIUDICE – Nessun altro testimone?

FLINT – No. O piuttosto sì, vostro onore. Vorrei richiamare qualcuno, Nancy Lee Faulkner. (Nancy prende posto alla sbarra).

FLINT – Signora Faulkner, il signor Witfield era in casa la notte del 16 gennaio?

NANCY (con grande stanchezza) – Sì. Mio padre aveva un… violento mal di testa. E’ salito in camera sua e mi ha avvertito che non voleva essere disturbato.

FLINT – Che ora poteva essere?

NANCY – Non… non ricordo molto bene. Ma doveva essere intorno a mezzanotte.

FLINT – Avete visto uscire Witfield quella notte?

NANCY – No. (Ad un tratto non resiste più) Oh, vi supplico di credermi; quella orribile storia è inverosimile. E’ impossibile che mio padre…

STEVENS – Opposizione, vostro onore!

GIUDICE – Opposizione accolta!

FLINT – Grazie, signora Faulkner.

STEVENS (rapidamente) – Signora Faulkner, voi siete molto affezionata a vostro padre. E avete per lui una devozione piena ed intera, vero?

NANCY (stupita alla domanda) – Sì.

STEVENS (con tono significativo) – Grazie. (Nancy torna al suo posto).

GIUDICE – La parola alla difesa. (Stevens si alza. Karen balza in piedi).

KAREN – Un momento, prego. (Si volta verso Witfield: si sente che riesce a mantenersi calma solo per uno sforzo disperato). Signor Witfield, ho chiesto di vedervi, ieri. Non avete voluto venire. Avevo tuttavia una proposta da farvi. Ve la faccio oggi. Prima che la giuria si ritiri per deliberare, io prendo su me tutte le responsabilità: confesso l’omicidio, sì, lo confesso, ma a un patto: che voi mi diciate come è morto e quali furono le sue ultime parole. (Witfield e Regan si alzano di colpo).

WITFIELD – Una simile minaccia è ridicola e non ha bisogno di commenti. Se davvero non foste colpevole non mi fareste una proposta simile. (Regan e Stevens costringono Karen a sedersi di nuovo. Karen si lascia cadere sulla sedia, né alzerà più la testa durante le arringhe dei due avvocati avversari).

GIUDICE – La parola all’avvocato della difesa.

STEVENS – Vostro onore, signore e signori della Giuria. Siete qui sul punto di decidere della sorte di una donna. Ma non su questa donna soltanto cadrà il giudizio vostro. Prima di pronunciare il vostro verdetto su Karen Borg, è indispensabile che, nell’intimo della vostra coscienza, formuliate il vostro verdetto su Carlo Faulkner. Vi è stato detto che quest’uomo aveva riconosciuto le proprie colpe e che aveva deciso di cambiare vita. Credete voi veramente che Carlo Faulkner fosse uomo da pentirsi, da curvare la fronte sotto il peso dei rimorsi? Se voi lo credete davvero, allora sì, Karen Borg è colpevole. Pensate alle deposizioni che avete sentito. E’ stata vista una limousine nera seguire la vettura di Carlo Faulkner, quando questi lasciò lo studio la sera della sua morte. Witfield ha dichiarato e riconosciuto di essere in possesso di una “limousine nera”. L’uomo che ha ucciso Faulkner ne ha portato via il cadavere su un aereo; ora Witfield ha avuto, a suo tempo, il “brevetto di pilota”. Inoltre Witfield ha confessato di aver riempito di suo pugno l’assegno di cinquemila dollari sabato 17 gennaio, vale a dire il giorno seguente al delitto. Witfield afferma di aver mandato quell’assegno a Regan per ammansirlo, perché gli avrebbe minacciato la figlia. Ecco una cosa inverosimile. Pensate un po’ a Regan, innamorato pazzo di Karen Borg; e se non doveva, al contrario, tributare una infinita riconoscenza a colei che, sposando Faulkner, lo liberava del rivale presso Karen. Witfield afferma di aver passato la notte del 16 gennaio chiuso in casa sua: ma non ha altra prova a testimoniare, per confermare il suo alibi, che la propria figlia. Credete voi a tutto quello che la signora Nancy ha detto di Faulkner? Non avete la sensazione che una menzogna in più o una in meno poco pesi a questa donna quando si tratta si salvare il padre? Il teste Anderson ha deposto che Witfield avrebbe risposto a suo genero che minacciava di uccidersi: “Se lo farete, mio caro, guardate di non mancare il colpo”. Sono queste le parole di uno che vuole bene a suo genero, come pretende il signor Witfield? E adesso pensate un po’ ai seri motivi che aveva Witfield per liberarsi di Carlo Faulkner. Faulkner gli aveva portato via quello che aveva di più prezioso: il suo denaro e sua figlia. Faulkner aveva abbandonato sua figlia per un’altra donna. Credete che Witfield fosse uomo da ammettere un simile stato di cose? E non fu piuttosto il suo orgoglio ferito e la sua sete di vendetta, a incitarlo alla strage dell’uomo che aveva tutte le ragioni di odiare? Ora pensate alla donna che vi sta di fronte: Karen Borg. La donna di cui la vita fu tutta e interamente votata al suo unico Dio: l’uomo che amava. Questa donna bisogna comprenderla. Potete comprenderla, voi? Chi giudicherete? Karen Borg? No! Voi stessi, signore e signori della Giuria, sarete l’oggetto del vostro giudizio: voi giudicherete voi stessi. Saranno le vostre anime ed i vostri cuori, messi a nudo, quando rientrerete qui dentro per pronunciare il vostro verdetto. Credetemi. Io vi parlo a mente fredda; non sono infatuato della mia cliente, non subisco il suo fascino; con la più profonda convinzione vi dico: Karen Borg non e colpevole!

GIUDICE – La parola al Procuratore Generale.

FLINT – Signore e signori della Giuria! Io sono d’accordo con l’insigne collega della difesa, almeno su un punto. Quando dice, cioè, che sareste voi stessi l’oggetto del vostro verdetto. Per me, io vi dico questo: ecco qua davanti a voi Karen Borg, che aveva tre buoni motivi, equivalenti i quasi, per uccidere Faulkner. Primo: Faulkner l’aveva allora ripudiata per sposare la signorina Witfield. Secondo: sotto il benefico influsso di questa sposa, Faulkner, che stava per mutare genere di vita, si disponeva ad indennizzare le sue vittime; il che significava qualche decina di milioni di dollari sui quali contava l’attività ricattatoria della accusata. Terzo: nonostante le sue affermazioni, Karen Borg amava Gusti Regan, il suo criminale innamorato. Ricordatevi ora che lei e Regan erano i soli a sapere che Faulkner aveva trasferito dieci milioni di dollari nelle banche di Buenos Aires. Per impadronirsene bastava uccidere Faulkner e inscenare la commedia del suicidio. La verità, eccola, è questa: il 16 gennaio, dopo un pranzo in cui si erano trovati riuniti Karen Borg, Faulkner, Regan e un altro individuo che la polizia non dispera di rintracciare, tutti si recarono nello studio del 20° piano. Là certamente il finanziere fu oggetto di un tentativo di ricatto a cui senza dubbio dovette opporre resistenza. I due uomini se ne andarono allora, lasciando all’accusata la cura della vendetta di tutti. Questa donna aspettò mezz’ora circa, poi compì la sua sinistra mansione: e prima di lanciare nel vuoto il corpo di Faulkner, vergò la famosa lettera firmata Carlo Faulkner. Ed ecco fabbricata l’impalcatura del suicidio! Non era mal congegnata, bisogna riconoscerlo. Ma ecco che compare Omer Van Fleet, il detective privato. Van Fleet che veduto Karen Borg spingere nel vuoto Faulkner dal parapetto. Catastrofe! Smarrimento! Allora vi si serve caldo caldo il secondo sistema della difesa. E salta fuori la storia del diabolico signor Witfield: dell’aeroplano fantasma che tutti sanno pilotare e che si cerca, di notte, al lume di una torcia tascabile! La storia di Lefty, cadavere che si presta gentilmente, che Regan va a deporre delicatamente nel New Jersey, da dove ritorna dichiarandovi di aver trovato il cadavere di Faulkner. Che prova vi si può addurre? Nessuna. Dovete credergli sulla parola. E voi dovrete darmi atto che la parola di Regan, virtuoso di revolver, è una ben misera cosa! Aggiungete a tutto questo l’entrata melodrammatica, per non dire operettistica, di Gusti Regan qui nel pretorio, lo svenimento simulato di Karen Borg, mille contraddizioni, mille inverosimiglianze come quelle tracce profonde di ruote d’auto su un terreno completamente gelato. Ma andiamo! So bene che questa donna ha messo in linea tutte le sue batterie per vincere questa difficile battaglia. Ha spiegato qui le sue più rare doti di seduzione. Io la consideravo, durante la sua deposizione: vi fissava intensamente, vi affascinava, con la sua risolutezza come col suo pianto. Ebbene, vi farò una piccola rivelazione. (Prende un foglio e legge) :”Karen Borg, per un certo tempo, si distinse a teatro. Le si riconoscevano doti indiscutibili di attrice. E’ stata anche, qualche mese, con la celebre attrice tragica Ethel Barrymore”. Ecco un fatto estremamente significativo! Anche quello che ha svolto qui davanti ai vostri occhi altro non era che una commedia. Com’è pure messa in scena quell’abito a lutto che l’accusata ha creduto di dover indossare oggi per smuovere più facilmente a pietà. Io affido questi fatti alla vostra riflessione. E vi prego anche di ricordarvi di quel falso testimone Anderson, citato dalla difesa, e che abbiamo dovuto fare arrestare in piena udienza. Quale partito scegliete voi? (Addita Regan) D’un ricattatore? Oppure (indica Witfield) quello di un gran filantropo che a giusto titolo è considerato un modelli di drittura e di probità? (Mostra Karen) Il partito di un’avventuriera oppure (mostra Nancy) quello di una sposa irreprensibile? A voi la scelta. Quanto a me, più che una convinzione, ho una certezza. (Indica Karen) Questa donna è colpevole. (Pausa) Signore e signori della Giuria, voi condannerete Karen Borg, perché, con l’aiuto di Gusti Regan, fu lei ad uccidere Carlo Faulkner.

GIUDICE – Signore e signori della Giuria, l’usciere vi accompagnerà adesso in Camera di Consiglio. Vi ricordo che il vostro compito è puramente quello di determinare se l’accusata è colpevole o non colpevole. (I giurati, dietro la guida dell’usciere, entrano in Camera di Consiglio. Pausa). Signori, credo che potremo attendere qualche momento: la deliberazione non prenderà molto tempo.

FLINT – Se la difesa non ha obbiezioni.

STEVENS – Nessuna. (Stevens va a parlare al giudice. Flint mette in ordine i suoi documenti. Stevens chiama il suo segretario, che lo raggiunge. Regan è sempre seduto all’estrema destra. Karen Borg, che sulla sedia già dava segni di sfinitezza, sviene e cade sul pavimento. Stevens, Regan e gli agenti accorrono. Il segretario di Stevens esce di corsa e torna con una bottiglietta).

FLINT – Lasciatela, non è niente.

WITFIELD (dopo una pausa, al giudice) – Vostro onore, mia figlia è sfinita da questo lungo processo: potreste autorizzarci a tornarcene a casa?

GIUDICE – Signor Witfield, vi chiedo di pazientare ancora pochi minuti.

WITFIELD – Va bene.

GIUDICE – Agente, andate a vedere a che punto sta la deliberazione. (Un agente entra in Camera di Consiglio. Regan, che è tornato nel suo angolo, si accende una sigaretta. Un agente avanza e gliela fa spegnere. L’altro agente torna dalla Camera di Consiglio).

AGENTE – Eccoli, vostro onore. (La giuria riprende i posti di prima. Silenzio più che mai solenne. Tutti si alzano, eccetto Karen Borg. L’usciere batte due colpi di martelletto e grida).

USCIERE – Imputata, alzatevi! (L’imputata si alza. Aiutata da Stevens viene avanti un paio di passi. L’usciere seguita). L’accusata guardi la Giuria. Che dite voi? Colpevole o non colpevole?

(Il capo giurato risponde. Se la risposta è “Colpevole” il finale è il seguente)

STEVENS (Balzando in piedi) – Ci appelleremo da questo giudizio!

KAREN (lo interrompe) - Non ci appelleremo. (Ai giurati) Signore e signori della giuria, vi ringrazio di risparmiarmi la pena di uccidermi da me stessa. (Gli agenti la portano via. Il procuratore generale fa arrestare Regan).

(Se la risposta è “Non colpevole”, il finale è il seguente)

KAREN – Signore e signori della giuria, io vi ringrazio, vi ringrazio a nome di Carlo Faulkner. (Regan e Stevens la raggiungono).

(In entrambi in casi la battuta finale è del giudice, che dice)

GIUDICE – L’udienza è tolta. (Batte un colpo di martelletto. Tutti escono).

FINE DEL PROCESSO

SIPARIO