La notte di un nevrastenico

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Farsa in un atto

di Riccardo BACCHELLI

da IL DRAMMA n. 251-252

Agosto-Settembre 1957

LE PERSONE

ALBERTO

PORTIERE

PROSDOCIMO

FACCHINO

LIFT CAMERIERE

CAMERIERA

ALFREDO

LA  DONNA

Rappresentata da Fausto Tommei

con la Compagnia del Teatro Alle Maschere di Milano

* Copyright by Riccardo Bacchelli.


(Notte. Prosdocimo dorme supino nella sua stanza, col lume acceso velato, posando il capo su molti guanciali. Alberto e portiere entrano in quella accanto).

Alberto      È questa?                                    

Portiere     E quello è il bagno. Piano, per carità!

Alberto      Siete pure uggioso. Se non fosse così tardi, andrei a cercarmi un altro albergo. Accendete la luce.                                                                  

Portiere      (eseguendo)   Abbassi la voce, abbassi la voce. Se non vuole, vada pure in un altro albergo.

Alberto      Voialtri avete il coltello per il manico. Sapete bene che non si trovano camere neppure a peso d'oro. Eh, finirà la crisi degli alloggi!

Portiere     Finirà, ma per ora fate piano. In pun­ta di piedi. (Il pavimento scricchiola)  Maledetti i pavimenti di legno!

Alberto      Ma, insomma, questo signore non spa­rerà cannonate poi!

Portiere     Non basterebbero rivoltellate, Dio li­beri, se mai! È un nevrastenico. Noi non sapevamo che cosa ci mettessimo in casa il giorno che scese - pareva un avventore come tutti gli altri - dalla carrozza per chiedere una camera. Pareva anzi amenissimo e disse al direttore che scendeva qui perché il nome del nostro albergo gli riusciva invitante. Quella era la carrozza del diavolo!

Alberto      « Al buon dormire »: gli piacque il nome?

Portiere     È il più antico albergo della città. Ha ospitato Napoleone, oltre a Garibaldi, come tutti gli alberghi d'Italia. Il signore soffre d'insonnia; gli piacque l'augurio. Ma da allora chi non dorme più, siamo noi.

Alberto      Ma è uomo da far tanta paura?

Portiere     Oh, se lo vedeste! Il più grande, lungo, allampanato, arcigno, biondiccio, irascibilissimo diavolo nevrastenico del mondo, è lui. Si spera sem­pre che se ne vada prima che nasca uno scandalo o un delitto, che fa tanto danno agli alberghi; e intanto abbiamo il tiranno in questa casa, che passava per l'albergo più come si deve della città, raccolto e lussuoso.

Alberto      Paga?

Portiere     Senza lesinare. Se no l'avremmo già mandato via. Mi raccomando, non vi fate sentire. Se no, guai seri voglion essere. Per le piccolezze del servizio non tratta mai meno che di spari, morti eferiti; piccolezze. Fa tremare con lo sguardo. Ha gli occhi bianchi e rossi, freddi come quelli del coni­glio, ma se si arrabbia, gli si accendono.

Alberto      Diventa un leon-coniglio.

Portiere     Voi  potete scherzare  perché  domattina ve ne andate, ma state attento. È un uomo che non valuta la pelle né la galera. Gli basta una notte per far cose grandi, cose da sbalordire.

Alberto      Insomma, io qui sono in camera mia: e, salvo i limiti dell'educazione, posso fare quel che mi pare.

Portiere     Ahimè, signore, no! Non ci rovinate noi e voi. Non sapete tutto.

Alberto      Non sono in camera mia?

Portiere     Sì e no.

Alberto      Spiegatevi.

Portiere     Questo satanasso ha  affittato le due stanze contigue alla sua, per non sentir rumori né a destra né a sinistra. Vedete se si può far di peggio. Non vi piangerebbe il cuore, se foste un alberga­tore cristiano, di lasciare vuote due stanze in que­ste condizioni di pubblico disagio, quando tanti viaggiatori, poverini, li dobbiamo rimandare indie­tro tutte le notti?

Alberto      Ma le paga?

Portiere     Profumatamente.

Alberto      Allora egli è in casa sua e io me ne vado.

Portiere     Non abbiamo altra camera.

Alberto      Cercherò un altro albergo.

Portiere     Nevica, è quasi mezzanotte e le car­rozze più vicine sono a mezz'ora di strada; un'ora fa ho telefonato per conto di signori viaggiatori a quindici alberghi e mi hanno risposto di non avere liberi nemmeno i bagni. Se volete provare a trovar camera, siete padrone, ma io vi avverto, da galan­tuomo.

Alberto      Potrei passare la notte in un caffè.

Portiere      A  mezzanotte chiudono.  Così  vuol la legge dal tempo della guerra in poi. Non è stata ancora abrogata.

Alberto      Bella legge, opportuna!

Portiere     Non dite male della legge. In grazia sua, più volte abbiamo preso fior di quattrini d'una cameruccia, che neanche i cani...

Alberto      La prospettiva non è confortevole.

Portiere     Una polmonite è tosto presa. Sentite il ragionamento che faccio io e smentitemi, se po­tete. Perché il signor Prosdocimo Malfatti...

Alberto      Chi è costui?

Portiere     È il vicino. Perché affitta questa stan­za qui? Per non sentir rumore. Se voi non vi fate sentire, per lui è come se non ci siate. Che cosa paga, la camera o il silenzio? Il silenzio. Se noi gli lasciamo il silenzio, possiamo prendere la camera. L'altra sera ho persuaso un prete.

Alberto      Non persuadereste me, se non nevicasse.

Portiere     Buonanotte, signore. Mi raccomando.

Alberto      Buonanotte. (Come per un'abitudine)  E domattina, sveglia alle 6. Bussate forte, che ho il sonno duro.

Portiere     A proposito! Ma... insomma, verrò io.

(Il portiere esce. Prosdocimo è addormentato. Alberto si spoglia).

Alberto       Ci si deve trovare anche in situazioni di questo

genere.          E poi chiamano  il  nostro, un secolo civile. Civile, civile; perché? Per via delle lampadine, elettriche. dei tappeti, dei termosifoni?   Delle leggi che impicciano i galantuomini e fan ridere i lestofanti? Scaldate, fasciate ,im­bottite, illuminate a elettricità, sì, ma queste non son altro che tane di lupi e di volpi. Civiltà! Secolo ospitale! Guardate un po', per dormire per non passare la notte sotto la neve - è il diritto che la natura non nega neppure alle belve - guar­date un po' a che si costringe un galantuomo. E questo pazzo furioso che dorme qui accanto! Situa­zione rassicurante. E questi gaglioffi di albergatori; faccio i miei complimenti al legislatore. Bisognerà far piano, perché oggigiorno con queste costruzioni di cemento e ferro, bella la mia civiltà, un soldo casca in soffitta, tinnisce il casamento fin in cantina. In un albergo poi riesce anche un'indecenza, per via di quei tanti rumori intimi che vi si producono per forza, fra tanta gente e non di un solo sesso.

(Sbadatamente butta la prima scarpa sui piantito. Prosdocimo dà uno scossone e si irrigidisce senza aprire gli occhi, come uno che con tutte le forze non vuole ammettere d'essere sveglio. Alberto ascol­ta a più riprese) 

Proprio col tacco ha battuto. Sfortuna! Ora sto fresco. Che tonfo! Maledettissimi cementi armati. Romba ancora. Anch'io però potevo star più attento. Sta' zitto, che non s'è svegliato nessuno. 

(Prosdocimo serra i pugni, e apre gli occhi) 

Il nevrastenico  dorme.  

(Prosdocimo  infuria mutamente sempre rigido) 

M'è andata bene. Vediamo di non fare la seconda.

(Si leva l'altra scarpa e la depone cautamente accanto alla prima).

ProsdocimoIo dormo. Non è vero che mi han­no svegliato, non è vero. Io sogno d'esser sveglio, ho sognato la scarpa oscena e il tonfo orrendo. E se mai fosse vero ch'io sia sveglio, se mai potesse essere vero, vuol dire che è mattina. È mattina. L'orologio dica la verità. Ho dormito le mie belle, sane, sante, salubri otto ore. (Guarda  l'orologio)  Dieci minuti a mezzanotte. Ho dormito venti mi­nuti. È tutto vero. Assassini! (Si rimette sdraiato)  Non è vero, non è vero, non voglio che sia vero. Io  dormo. Io sogno.  Ho sognato anche l'orologio.

Alberto      Mi è parso di sentir muovere il fu­rioso. (Origliando)  No, l'orecchio mi ha ingannato. M'è andata bene. Il paranoico dorme. (Va in bagno a svestirsi).                                     

Prosdocimo                                                                                                                (apre e chiude rapidamente gli occhi)  Sono sveglio. Cani! Non sogno. Mi sono messo a letto alle undici.  Ho fatto la mia solita lettura amena sonnifera contemporanea, alle undici e venti ho posato il libro, (accende il lume)  eccolo qua. (Lo tocca) Mi sono addormentato subito - questi romanzi moderni non fallano - ore undici e trenta: sonno Alle undici e cinquanta: scarpa, tonfo scossone. Non ci volevo credere. Non si dorme più. Ora fino all'alba dovrò rifilar le mie povere spalle indolenzite, la schiena e le ginocchia rotte e stanche in questo covile di tormento e di ribrezzo. Domattina mi sentiranno quelli dell'albergo! Han da imparare a prender in casa gente educata, che non butti le scarpe per terra e per gli angoli, come fossero a giuocar alle bocce all'osteria. Ma se si potesse riprender sonno? Ero in una così buona disposizione.

(Si assetta per pren­der sonno, si rialza a voltare il cuscino, si corica, ma il suo viso passa di grado in grado alle espressioni del dubbio, dello spavento e della furia).

Alberto       (entrando nel letto)   Oh! finalmente, non c'è mobile più delizioso del letto. Povero nevra­stenico, se non può dormire lo compiango. (Spegne il lume).

Prosdocimo              Vendetta di Dio! Lo sapete che male sia l'insonnia? Non mi parlate della fame: la fame aguzza l'appetito ed ha ucciso più gente la gola che la spada. Non mi dite ch'è brutta la sete: si può sempre inghiottire la saliva. D'insonnia si langue, e non si riesce neppure a morire. Per dire che tragedia sia questa, bisognerebbe essere insonne e poeta. Due cose impossibili, perché l'in­sonne, quando è insonne davvero, non pensa, non vede, non sogna che una cosa sola: il sonno, il sonno; che lo delude sempre e specialmente all'ul­timo momento. Il sonno che gli par tanto più bello quant'è più lontano, tanto più odioso quanto più lo desidera. L'insonne è insonne, il resto è frivo­lezza. Nessun patimento può confrontarsi al suo. Dante Alighieri s'è dimenticato di questo supplizio nell'Inferno. È segno che non l'aveva provato, e questo mi fa poi dubitare che fosse addirittura quel gran poeta che dicono. Ha sempre dormito i suoi sonni. Anche nel poema, se mi ricordo bene, s'ad­dormenta tutti i momenti. Era un dormiglione, un uomo fatto alla buona, all'antica. Ho paura che sia una gloria fatta, un nome ricevuto, una celebrità dei professori. C'era più teologia che poesia in quel cervello. Shakespeare, eh, Shakespeare ha scritto: « Macbeth ha ucciso il sonno ». Va là, anche lui! (In tono critico e dottorale)  Macbeth ha assassinato re Duncano, e un criminale che sente i rimorsi, non è un insonne. Che me ne frega a me di re Dun­cano; e non posso dormire? Sinistra avventura di ogni notte! Annunciano la notte le ombre del cre­puscolo, la festeggiano i colori del tramonto; co­mincia larga, colma, indugiata, piena di promesse interminabili come la notte di nozze di una sposa novella. Stanotte dormirò!: questa parola non la sa chi non conosce l'insonnia. Appena tu chiudi gli occhi, c'è qualcuno con te sul tuo guanciale. E il sole, l'odioso sole, quello che tu credevi poc'anzi che fosse partito per uno di quei viaggi che allet­tano coi miraggi della dimenticanza e del mutar nome e connotati i disperati e gli assassini, il sole che tramontando ebbe pietà di te, per renderti la tua pace, il sole tu lo vedi, tu lo senti, tu lo ritrovi mentre vorresti dormire e dimenticare. Dov'è? (Sporgendosi dal letto a additare il pavimento)  È agli antipodi, a poche ore, sta facendo (con un gesto de­scrive l'orbita solare)  il giro della terra a tutta velocità, con impegno, come una locomotiva sulle rotaie indaffarato, stupido, officioso, dinamico. Ho qui l'o­rario del sole.  (Prende un almanacco) Andiamo verso l'equinozio. Credete che ne voglia mancar uno? Puntuale - solstizi, equinozi, che termini bislacchi - puntuale come le ferrovie svizzere. Domattina anticipa di tre minuti e quattro se­condi. Ma che bravo sole! E stanotte avevo potuto prender sonno. E fra pochi istanti il gran sipario della notte comincerà a palpitare ai primi venticelli dell'alba, il suo bel volto nero e casto comincerà a impallidire e ad arrossare come di libidine, se non sarà nuvolo. Nevica, a proposito! Figurarsi che luce domattina!  Che mi valgon   imposte,  finestre, por­te doppie, tende e cortinaggi? Io lo sento nel cosmo il giorno, il sole mi perseguita! Fra poco la notte comincerà a  incrinarsi, la  speranza del sonno se n'andrà del tutto, come colei che unica avresti po­tuto amare, quando ti fa cenno d'addio per sempre. Divento poeta, mondo cane! Ma stanotte avrei dor­mito, se non fosse stata quella scarpa. Voglio tor­nare a dormire a tutti i costi, anche se dovessi sof­focare, crepare! Mia madre, poveretta, mi insegnò: prova a contare e chiudi gli occhi. Il sole mi perse­guita. (Spegne e eseguisce)  Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, - ah, quella scarpa! - sette, otto, - quella scarpa, quella scarpa! - otto, nove, dieci - chi sa? -undici, - questa volta è la buona - dodici, tredici - è proprio vero che come le mamme non ce n'è altre -quattordici, quindici, sedici - quella scarpa! - dicias­sette - diciassette porta sfortuna (con un urlo)  el'al­tra, quando se la leva, l'altra? A me, tutti (suonando i campanelli uno dietro l'altro e poi tutti insieme)  facchino:  una suonata; femme de chambre: una e due; garçon: uno, due, tre; lift: uno, due, tre, quattro; sù tutti, qua tutti, a rapporto. Quanto ci stanno? (Risuona)  Li sveltirò io! (Risuona) Avanti, avanti, poltroni! (Salta dal letto in pigiama)  Li riceverò con tutte le mie decorazioni. (Si mette il tubino)  Avanti, carogne!

Portiere     Avete detto avanti, signore?

Prosdocimo             Ho detto carogne!

Portiere     Ai vostri comandi.   (Agli altri:  fac­chino, cameriere, cameriera, lift, sopraggiunti)  Meno male che non ha il revolver.

Prosdocimo             Dentro tutti! (li fa entrare, chiu­de e intasca la chiave)  Per farsi rispettare da voialtri ci vuol questo.  (Prende dal comodino la rivol­tella)  Al  muro. (Passeggiando davanti ai terrorizzati addossati al muro)  Esercito di prodi, così vi si tiene!  (Canta)  « Se quel guerrier io fossi »... (Esagera la scena a piacere)  « io fossi »...  « io fossi »...

(Smontato intasca il revolver)  E ora due parole fra me evoi. Sapete di che cosa è capace un nevrastenico?

Gli Altri     Sì.

Prosdocimo             Sapete che cosa soffre un insonne?

Gli Altri    Così, così.

Prosdocimo              Guardatemi bene negli occhi. Tut­ti. Vedete, ci vedete dentro quel che patisce un insonne?

Gli Altri    Pietà di noi! Ci vediamo tutto quel che vi pare.                    

Prosdocimo             Orbene, io vi insegnerò, maiali nor-malissimi, che cosa si deve a un ammalato, a un nevrastenico d'eccezione. Perché io sono un nevra­stenico, mettetevelo bene in testa. Nessuno è ne­vrastenico quanto me. La mia è una malattia d'immaginazione. Per chi dicesse questo, (cavando dalia tasca del pigiama il revolver)  ho due palle del cali­bro otto e mezzo, qui, eccole qui, realissime, tanto per persuaderlo. Io sono ammalato, veramente, seria­mente, severamente ammalato. E queste sono cartucce vere.

Gli altri     Sì, signore, sì.

Prosdocimo Non ho bisogno delle vostre ap­provazioni. Sono ammalato. « Crepa! », dite voi in cuor vostro. Ve lo leggo negli occhi. (Gesto di diniego degli altri)  Silenzio, non tollero smentite! No, carini; ha da morire qualcun altro prima di me, e se devo andare al cimitero o in manicomio, voglio che la mia esperienza serva a qualcosa: voglio col mio sacrificio giovare ai nevrastenici venturi, per farli rispettare da tutte le masnade di marciti servi­tori d'albergo.

(Al lift che tenta di suonare un campanello, picchiandogli sulle dita) 

Giù le dita, amorino! Vorresti chiamare gente? Si fa così.

(Fa saltare tutti i campanelli a muro e strappa quello a cordone; col cordone fa un cappio e lo infila al collo del portiere) 

Così parleremo con animo più sereno. Voialtri siete sani. Sani! E il dovere dei sani è di servire gli ammalati. Se no, che ci state a fare, o trivialissimi? Stanotte io voglio il sonno o la vostra pelle: lo giuro. Per salvare un ammalato posson morire dieci sani. I sani si rifanno sempre, ma un sistema nervoso come il mio è più prezioso di cento budelli regolari come i vostri. Voi mi dovete curare, proteggere, servire, rispettare, adorare. Chi è stato a buttar la scarpa?

Portiere     Signor Prosdocimo, per carità, mi ave­te mezzo strangolato!

Prosdocimo             Hai detto le tue orazioni?

Portiere      Ho famiglia, gran Dio!

Prosdocimo             Raccomandati a Lui.

Portiere     Se mi promettete la vita, confesserò.

Prosdocimo              Chi è stato?

Portiere     Io credo questo signore di qua.

Prosdocimo              Di qua? Dunque, voi occupate le stanze mie? Domani ne riparleremo di questo, ora si provveda a far cadere questa scarpa di Damocle.

(Bussa. Alberto si sveglia) 

Alberto      Ohimè, il nevrastenico!

Prosdocimo(entrando, insieme agli altri, con impeto, forzando la porta)  L'altra, l'altra, l'altra.

Alberto       L'altra? Eccola lì. (Si volta dall'altra parte e si riaddormenta).

Prosdocimo(conta e riconta le due scarpe)   Ssss... Non vi oda neppur l'aria. In punta di piedi! Sento che dormirò. Corro dietro al sonno come Zefiro dietro a Flora, come correvo un tempo sui prati della mia fanciullezza. (Torna in camera sua, mette il tu-bino sul lume, entra nel letto, si accomoda per dor­mire, si placa, sorride)  Sonno, mio bel sonno...

Voce di donna(nella stanza accanto, opposta a quella di Alberto)   Alfredo!

Prosdocimo Alfredo! Armando! La tragedia dell'amore. Alfr... Al... Al... Alch...! (Si precipita alla porta, la trova chiusa)  Signora e signore, signore, signore! (Ascolta)  Sì, hanno altro da fare! Pare un bastimento in burrasca. (Bussa)  Signora, signorina, madama! Nocchiero, timoniere, pilota, capitano! (Ascolta)  Ma può l'uomo, nato per portare il capo levato verso le stelle, ridurre la sua immagine a que­ste convulsioni d'orrore e d'infamia? (Si tappa le orecchie e bussa coi gomiti e colle ginocchia)  Lo può? Lo può?

Voce d'uomo(dalla camera)   Che c'è? Che ma­niere son queste?

Prosdocimo             Sapete che codesta camera è mia, pagata da me?

Voce di donna Rifatevela col portiere. Ora ci siamo noi.

Voce d'uomo E ci resteremo. Che volete?

Prosdocimo             Venire a patti.

Voce d'uomo Quand'è così si può trattare, ri­farla finita. (Si apre l'uscio ed entra l'uomo)  In che vi posso servire? V'ha morso la tarantola?

Prosdocimo             Io sono nevrastenico.

Alfredo      Io no.

Voce di donna Alfredo, fa' in modo che non ci disturbi più.                                                  

Prosdocimo             Ah, son io che vi disturbo.

Alfredo      E sul più bello, se posso esprimermi così.

Prosdocimo(spasimando)   Ma io non posso dormire!

Voce di donna(uscendo con sprezzo)   Grazie tante. Nemmeno noi stanotte dormiamo.

Alfredo       (uscendo)  Avete sentito?   (Ridendo)  Nemmeno noi. (Scoppia da fuori il rumore del traffico cittadino).

Prosdocimo              È l'alba, hanno assassinato la notte. notte. (Cade riverso sul letto).

F I N E