La nuova casa

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                                                                        LA  NUOVA CASA

                                                                               (La voliera)                                                                                                                                                                              

                                            

 

                                                                          Commedia in tre atti

                                                                                  E due finali

                                                                                           di

                                                                               Antonio   Sapienza

 

Personaggi:

Filippo Moncada, pensionato, vedovo;

Caterina, sua moglie (in ritratto);

Carlo, suo figlio

Giulia, Architetto;

Cosimo, Capocantiere

Don Crispino, trasportatore

Ragala, Luglio - Agosto 2004

                                                         Atto primo

Sulla scena può essere ricostruito il soggiorno di una casa piccola-borghese: Tavolo con sedie, sparecchiatavola (sulla parete di fronte al pubblico), qualche poltrona, televisore, tavolinetto porta telefono, mobiletto-bar, finestra a destra, porta a sinistra. Oppure: scena spoglia: il solo tavolinetto e una sola poltrona e poi gioco di luci.

All’apertura del sipario, la scena è vuota. Silenzio. Buio. Dopo un minuto circa riprende una luce che illumina lentamente il tavolinetto del telefono, dove è posta una grande fotografia incorniciata con sfarzo. Un’altra, subito dopo, illumina una poltrona dove sta straiato una uomo anziano, il quale con movimenti lenti esce dal torpore di un sonnellino pomeridiano. Egli è Filippo Moncada, pensionato e vedovo. Musica, se occorre.

Dopo un minuto, tutto l’ambiente viene illuminato come se il sole pomeridiano entrasse dalla  finestra. L’uomo si alza con relativa fatica, si stiracchia, si avvicina al mobiletto-bar, come per prendere qualcosa, si abbassa, ma nello stesso istante suona il telefono.

Fil.- Il telefono…(va verso l’apparecchio, lascia suonare altre tre squilli, poi lo prende) Pronto.

        Ah, sei tu…si…si sono sveglio. No, che dici, non mi hai svegliato tu. Volevi sapere se sono in casa? Eccomi, sono presente. Dimmi… Tutto a posto? bene, sono contento. Vieni con un’altra persona? Con l’Architetto? Bene, v’aspetto. Ciao caro, ciao. ( posa il telefono e si rivolge al ritratto di Caterina, la moglie defunta) Era tuo figlio.(pausa) Che voleva? Niente, stavolta non voleva niente… mi voleva dare solo una buona notizia;  Quale notizia? Questa: sembra ci abbiano concesso il prestito. (intanto che Filippo parlerà, le luci si attenueranno rimanendo solo lui illuminato, quindi il ritratto dal tavolino sparirà e in sua vece ci sarà Caterina seduta su una sedia vicino al tavolino, tale da farla sembrare ancora il suo ritratto. Ella verrà lentamente illuminata, quindi, poi, parlerà) Comunque sta venendo qui, ed è in compagnia dell’Architetto Bellia. Non mi chiedere come mai, perché non lo so. (breve pausa) Il prestito? Una cosina piccola, piccola, l’abbiamo dovuto richiedere…  Quanto? Solo quindicimila euro. Come ti dicevo, l’abbiamo dovuto chiedere perchè si sono presentate alcune difficoltà economiche. Sai, i lavori stanno procedendo bene, ma, come al solito, il preventivo si è gonfiato…smisuratamente…Poi c’è stata la faccenda del gas. Sai per farci l’allacciamento abbiamo dovuto sborsare tanti bei soldini…hanno dovuto fare duecento metri di scasso…tubi da passare…rinforzi da fare…come al solito le cose nostre non filano mai lisce. Comunque adesso ci hanno fatto l’allacciamento.(b.p.) Insomma, infine, come ti dicevo,  è un piccolo prestito al quale posso far fronte con relativa tranquillità. ( nel frattempo si versa da bere e si gira verso la moglie, e, come se fosse una cosa normale, dialoga con lei - che non è uno spettro, ma una foto animata dalla sua fantasia, insomma è un dialogo introspettivo)… Anche perchè Carlo ha insistito, lo ha voluto per sicurezza. Non sei d’accordo nevvero?

Cat.- Già. (asciutta, intanto prende un ipotetico lavoro a maglia, e lavora).

Fil.- (Che ha colto la sua contrarietà al prestito e, prima ancora, alla costruzione della nuova casa) Comunque, a parte tutto, la nuova casa sta venendo bene…veramente bene…-

Cat.- Davvero? (punta d’ironia) L’altra volta non mi sembravi tanto contento. 

Fil.- E si! Infatti non ero molto contento (breve pausa) …sai era la forma che mi lascia perplesso. Una forma strana, mai vista, almeno dalla nostre parti. Poi, col tempo, ci ho fatto l’occhio.

Cat.- Lo credo, ne hai avuto coraggio…

Fil.- Che cosa c’entra il coraggio…- beh, forse è stata incoscienza - insomma, si certo, ho dovuto prendere una decisione forte, anzi fortissima, perché, come sai,  erano soprattutto i soldi che mi davano tanta preoccupazione…Ma io mi sono imbarcato in quest’avventura dopo aver avuto un preciso impegno da parte di tuo figlio, cioè, di costruire la nuova casa in base al ricavato della vendita di questa casa, e basta!. Ma, purtroppo, questo impegno, per motivi vari, sta venuto meno. E lui, povero carusu, non ne ha proprio colpa: Troppi imprevisti, davvero imprevisti. - scusa il gioco di parole -: tanto che ho pensato d’avere qualche “cuccu” ca mi “piccìa” . Immaginati: non ci eravamo fatti neppure il segno della croce ed ecco il primo: Fatto lo scavo per le fondamenta, cosa vanno a trovare sotto?

Cat.- Un tesoro.

Fil.-  Dai non scherzare. Vanno a trovate sotto, e mi devi credere, nientedimeno che un  macigno di duemila tonnellate…-

Cat.- Bumm!

Fil.- Ma che bummii a fare? A me hanno detto così: duemila tonnellate, forse anche più; che hanno dovuto fracassare, rimuovere, quasi estirpare…sai quando il dentista ti estirpa la radici di un dente? Ebbene fu lo stesso. Io ero presente.

Cat.- …capirai…

Fil.- (senza cogliere il sarcasmo) E lì il costo è levitato sensibilmente…

Cat.- Diecimila euro…

Fil.- Diecimila o giudilì. Poi la betoniera non entrava dal cancello, ed hanno dovuto abbattere il muro di cinta per…

Cat,- Quattro metri?

Fil.-  Ecco, questo era previsto, ma per un errore del ruspista, ne furono abbattuti dieci.

Cat.- Ah.

Fil.- Già. Ma avresti dovuto vedere come tuo figlio lo ha strapazzato per bene, cosa credi?

Cat.- Lo immagino…

Fil.- No, non fare ironia. Sul serio ti dico! Lo ha fatto a pezzi e…

Cat.-…e anche il progettista, anzi…la progettista…

Fil.- Certo, pure lei se l’è sbranato, una cazziatona che non t’immagini. Comunque sono cose che capitano…non c’è cantiere che non le abbia…

Cat.- E tu come lo sai? Te l’ha detto per caso …la progettista sbrana ruspisti?

Fil.- Caterina, lo so che a te quella progettista non ti è simpatica. Ma a tuo figlio…

Cat.- …nostro figlio…

Fil.- Insomma, a Carlo piace. Dice che è un ottimo architetto, ha un curriculum polposo…

Cat.- Ha un’altra cosa… polposa.

Fil.- “Scanzatini”, ma la tua è proprio antipatia, ma di quella buona. Beh, comunque, il progetto era  più che accettabile…insomma…

Cat.- …insomma s’è fatto infinocchiare, e tu con lui.

Fil.- Ma Caterina, cerca di essere ragionevole, anche una bella ragazza può essere una bravissima professionista. E tuo figlio dice…

Cat.- …quello che dice Carlo non mi interessa: lui ragiona con i testosteroni, non col cervello.

Fil.- Ma il progetto…

Cat.- Quello non è un progetto per una casa di un vecchio (sottolinea la parola vecchio) pensionato e vedovo per giunta - come te. Oh, te l’ho detto! Poi, l’hai ammesso tu stesso che la casa è di forma strana. Ma che mi combini, benedetto uomo!

Fil.- Va bene. Va bene, non è adatta a me. Ammettiamolo pure. Ma, santa cristiana, cosa pensi che io debba vivere in eterno? Dovrà lasciare questo mondo, un giorno o l’altro, e venire a trovarti ovunque tu ti possa essere? Allora cosa se ne farà Carlo di una casa fatta ad uso e consumo di un vecchio pensionato (le fa il verso)? Dovrà ristrutturarla, adattarla, renderla più funzionale, quindi spendere altri “piccioli”.

Così, invece, come stiamo facendo, cerchiamo di dare un colpo alla botte e uno al cerchio: quando non ci sarò più, egli si troverà una bella casa fatta secondo i suoi desideri. Che c’è di male?

Cat.- Filippo, non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Comunque, non ci sarebbe nulla di male se, una volta  accontentato te, egli poi se la possa godere per altri cento anni. Ma c’è un “ma” , anzi: due “ma” grandi quanto tutta la casa: le tue esigenze e il costo! Ora mi domando: Primo: Come ci vivrai tu là, in quella specie di mausoleo, tutto solo? Secondo: il costo: Tu stesso hai detto che avete già sforato il preventivo. E se sforate ancora? Che fai? Un altro prestito? O sospenderai i lavori? E allora dove andrai a vivere quando scadranno i sei mesi di tempo, che il nuovo proprietario di questa casa ti ha dato - per lasciargliela libera? O pagherai anche questa penale?

Fil.- Corna facendo (fa il gesto delle corna), e a parte il fatto che non è un mausoleo, ma una casa moderna, io - io - ho avuto dalla progettista precise assicurazioni sui tempi di consegna. Poi Carlo mi ha garantito che non sforeremo, ma se malauguratamente dovesse succedere, egli farà fronte all’eventualità; anche se questo, francamente, mi darebbe molto, ma molto fastidio.

Cat.- E come farebbe fronte, (sarcastica) cedendo il quinto dello stipendio?

Fil.- Anche quello, lui dici, se occorre.   

Cat.- Me lo figuro…col suo stipendio…( con sopportazione, dopo con veemenza) Ma perché hai fatto questa pazzia? Non stavi bene in questa casa  dove abbiamo vissuto per trent’anni? dove conoscevi tutti i vicini, il quartiere; dove stavi a due passi dal centro? Che bisogno c’era di costruirti la casa in campagna? Forse per tua mania della voliera? O per stare solo come un cane? Già perché poi anche Carlo si sposerà, e se ne andrà per i fatti suoi, oppure lo trasferiscono lontano. Allora tu che farai?

Fil.- Calma, calma…non incominciamo coi “se” e coi “ma”. Sissignore, anche per la voliera. Ma, santa cristiana, tu sai già il vero motivo, che bisogno hai di richiedermelo? Comunque, te lo dico ancora una volta, sperando che sia l’ultima: io in questa casa ci vivo malissimo. E’ buia, è mal fatta, è vecchia come me! Ti affacci dal balcone e vedi quel vecchio e brutto edificio dei vigili urbani, fatto in cemento e vetro, che di notte, illuminato con quei grossi fari, mi sembra proprio il penitenziario di… Alcatraz. Allora, che faccio?  mi affaccio dall’interno? Si? E cosa vedo? Nulla! perchè se non sono le due del pomeriggio, c’è solo buio e desolazione. E i vicini? Non mi vorresti parlare di loro come persone amiche. Tra di noi condomini, come ben sai, c’è solo: buon giorno e buonasera – e deve andare bene. E il quartiere? È in pieno degrado. In quanto al centro, beh, lasciamelo dire: ne faccio volentieri a meno…

Cat.- …perché sei diventato un orso.

Fil.- Sono diventato vecchio, invece. E ho bisogno di pace.

Cat.- Nessuno te la nega questa pace, ma c’è modo e modo di conquistarla: Ecco, per esempio potresti tornartene al paesello, a Solarino, dove abbiamo vissuto la nostra infanzia e l’adolescenza. Lì ci sono ancora i nostri parenti, qualche vecchio amico… insomma saresti tranquillo, in pace, ma non solo! Invece tu, per me, con questa impresa ti stai mettendo nei guai e stai ponendo le basi per una vecchiaia tremenda, fatta di debiti di privazioni e, se non mi consideri cattiva, anche di umiliazioni. Ecco, te l’ho detto!

Fil.- E io rifaccio le corna! e ti ringrazio per l’avvertimento, starò attento (adirato). Ora… comunque… ormai, insomma, sono un uomo, porto i pantaloni? E allora: sono in ballo e  ballerò fino alla fine.  (b.p.) Comunque, dopo ne riparleremo, vedremo chi ha ragione. ( assume l’aria d’imbarazzo e vuole riconciliarsi, quindi gira attorno al tavole ponendosi dietro la sedia della moglie)  Dopotutto c’è nostro figlio…  che farà i miei interessi non credi?. 

Cat.- Lui, si!

Fil.- Lei, la progettista, no?

Cat.- Non lo so. Ma se lo credi, allora sono proprio affari tuoi.

Fil. Ma insomma, “Bedda Matri”, oggi sei proprio pessimista… non ti si può parlare…Ssst, sento dei passi nel pianerottolo (piano). Ma ci pensi? se mi vedesse qualcuno mentre parlo con una fotografia, mi prenderebbero per matto!

Si sente il rumore di serratura. Poi dei passi. Filippo saluta con un gesto la moglie e va incontro al figlio. Luci sulla porta. Buio su Caterina. Quando Carlo e Giulia , entrano  in scena, ci sarà nuovamente luce e il ritratto sul tavolinetto.

Fil.- (precedendo Carlo e Giulia) Venite, venite, accomodatevi.

Giu.- Buon giorno signor Moncada, come sta? ( Giulia è una giovane donna di circa trent’anni, alta e ben messa, veste elegantemente ed è sicura di se)

Fil.-  Buongiorno a lei. E come dovrei stare? Come i vecchierelli…

Car.- Ciao papà. Ma dai papà, non incominciare con la storia della vecchiaia. Non ti si addice! Tu sei ancora in piena forma ( Carlo è un uomo anche lui di circa trent’anni, abbastanza piacevole, ma di carattere insicuro. Veste e parla come un burocrate)

Giu.- Suo figlio ha ragione, lei sembra veramente un giovanotto.

Fil.- Sembrare non è essere. Ma lasciate perdere i complimenti. Avanti sedetevi, prendete qualcosa?

Car.- No, niente, grazie io no.

Giu. Grazie, no.

Fil.- Bene, eccoci qui. (si siede e aspetta che qualcuno parli)

Car.- (guardando prima Giulia, come per dirle: allora parlo io?) Allora papà (intanto estrae dalla tasca dei fogli e li poggia sul tavolinetto) questa  è la pratica per il prestito…

Fil.- Un altro?

Car.- Ma no. E’ sempre quello di prima, solo che, una volta concesso, bisogna istruire la pratica. Ecco, qui ci sono dei documenti da firmare. Certo, avresti dovuto firmarli all’Agenzia, ma siccome mi ha accompagnato… Giulia…cioè…

Fil.- …cioè lei?

Car.- …cioè l’Architetto Bellia, esatto, che è molto conosciuta, cosicché il direttore, su mia precisa  richiesta, allo scopo di toglierti altri fastidi, e dietro garanzia di Giulia…cioè dell’Architetto, ci ha concesso di portare la  documentazione qui, per la firma. Comunque si tratta di pura formalità, ma bisogna farlo. (fa un sospiro e porge una penna)

Fil.- Molto gentili. (prendendo la penna e guardandola come se fosse un serpente velenoso) Dici che bisogna firmare…e io firmo, davanti al garante, anzi alla garante, firmo (riluttante) come è giusto…sperando che sia l’ultima firma (finalmente firma).

Car.- (prima sorpreso, poi mettendo i documenti in tasca) La garante? Ah già, lei.

Giu.- La mia garanzia è solo pura e semplice formalità, mi creda.

Fil.- Comunque grazie.

Car.-  Poi stai tranquillo, questa sarà l’ultima firma, almeno lo spero. E dai, non ti preoccupare. E se ce ne dovessero essere altre, sarebbero sempre per pura  formalità... Poi tu non sei un analfabeta, lo sai che qualsiasi atto o negozio giuridico viene fagocitato dalla burocrazia… firme per questo, firme per quello. Sapessi quante ne metto io.

Fil.- Ma tu le metti le firme per il tuo lavoro, un lavoro di grande responsabilità. Sei un dirigente, rappresenti lo Stato.

Car.- No, non mi riferivo al mio lavoro, ma alle firme per le pratiche amministrative di questa benedetta casa, dopo che tu mi hai fatto la procura: ma lo sai che ho dovuto fare anche un atto notarile per garantire il terreno, per il parcheggio interno?

Fil.- Il nostro terreno per il parcheggio?

Car.- Il nostro, il nostro.

Giu.- E’ una pregiudiziale per ottenere la licenza edilizia.

Fil.- Ma guarda che cose…

Car.- Da non crederci. (b.p.) Senti papà l’Architetto Bellia è venuta per parlarti, ti vorrebbe parlare di una cosetta; ecco,  vorrebbe informarti…insomma vorrebbe dirti…vedi vorrebbe…

Fil.- (spazientito) Vorrebbe, vorrebbe, e vieni al sodo. (poi ripensandoci, sospettoso) Ma che cosa vorrebbe, si può sapere?

Car.- E fammi finire, lo sai che qualche volta m’intoppo.

Fil.- E stoppati allora.

Car.- Insomma (tutto d’un fiato, ma facendo confusione) Vorrebbe apportare una modifica, un’altra copertura della casa, cioè no. Insomma, una cosa…un’altra. 

Fil.- Una cosa, un’altra? (chiedendo chiarimenti, mentre il figlio fa cenno con la mano alla copertura della casa) La copertura? Un’altra? Ma perché questa non va bene?

Car.- No, no, per carità, la copertura va bene ed è sempre quella prevista…solo che lei, la vorrebbe modificare un po’…

Fil.- Ah, finalmente ho capito. Ma, a che scopo?

Giu.- Per scopi puramente architettonici.

Fil.- E io per questi scopi puramente architettonici (sospettoso), quanto dovrei sborsare, sentiamo?

Car.- Nulla…nulla…ce la faremo con lo stanziamento previsto, solo che…

Fil.- Solo che? Avanti, dov’è il trucco?

Car.- No, niente trucchi, per carità…Solo che dovrai rinunciare a qualcosa… insomma, una piccola rinuncia: all’uccelliera in terrazza, per esempio.

Fil.- Voliera Carlo, voliera! (b.p.) Ah, non ci sono trucchi, vero? (poi passeggiando) Quindi, ora, io – per esempio- (rimarca la parola) dovrei rinunziare alla mia voliera? Proprio a quella? E ti sembra – per esempio- una piccola, piccolissima rinuncia per me? Ma se ho voluto la terrazza proprio per la voliera.- E’ una rinuncia piccola piccola, secondo lui (derisorio, guardando Giulia).

Giu.- Punti di vista.

Car.- Ma se non hai mai avuto voliere, cos’è questa novità?

Fil.- Per me non è una novità, mio caro figlio. Sappi che io – io - da ragazzo, l’avevo! E la rivorrei - se non ti disturba molto.

Car.- Per me… però senti, insomma, io non ne capisco nulla di architettura e cose di questo genere. Comunque, parla tu Giulia.

Fil.- Sai che ci guadagno…(quasi tra se)

Car.- Insomma falla prima parlare.

Fil.- Va bene, parlate, parli.

Car.- Benone.

Giu.- Allora, signor Moncada…(intanto prende dei fogli dalla borsa e li poggia sul tavolinetto)

Fil.- Dica signorina…volevo dire Architetto…

Giu.-… Mi chiami Giulia…

Fil.-…signorina Giulia…

Giu.-…Giulia e basta…

Fil.- …Giulia.

Car.- (divertito) Quanti complimenti.

Fil.- ( finto burbero) Stai zitto tu, che sei uno screanzato. Generazione perduta…

Car.- …e senza rispetto.

Fil.- Anche!

Giu.- ( pure lei divertita da quella schermaglia, stando al gioco) Via signori uomini un po’ di rispetto verso una signora…

Car.-…riverisco signora Architetto…

Giu.-… Dottore…

Fil.- …quando la finiamo…

Car.- …già fatto.

Fil.- Allora Archi…Giulia, prima di tutto la voglio nuovamente ringraziare per la cortesia che mi ha usato – sa, per avermi fatto da garante (con una punta di sarcasmo), poi… cosa mi doveva far vedere circa la voliera?

Giu.- Di nulla, glielo già detto: formalità. Ma mi dia del tu, la prego.

Fil. (con pazienza) Allora Giulia, cosa mi dovevi far vedere?

Car.- Alla buonora…

 Giu.-( Prendendo i fogli  e stendendoli sul tavolino ed esaminando il primo)   Dunque, come può vedere signor Moncada…

Fil.- …Filippo…

Giu.- (soddisfatta) …Filippo, questo è il prospetto sud della casa. Orbene, se lo guardi con attenzione, noterai una certa discrepanza d’ordine architettonico, proprio qui sulla terrazza, dove le linee si dovrebbero congiungere in ordine simmetrico…

Fil.- …accorcia…

Giu.-…prego?

Fil.- Accorcia Giulia e andiamo al sodo.

Giu.- (perplessa guarda Carlo che gli fa cenno di proseguire, ma di essere succinta) …dicevo quindi, che per questi motivi, la voliera dovrebbe essere sostituita da una pergola in modo tale che le linee…

Fil.-…Un momento, io il pergolato lo voglio giù, sul lato ovest…

Giu.- (fa cenno come per dire: questo non capisce nulla)…ma io intendevo…

Car.- (intervenendo) Ma papà  la pergola non è il pergolato che intendi tu, essa è una specie di copertura. Spiegaglielo tu Giulia, per favore.

Giu.- (con pazienza prendendo un altro foglie e comparandolo al primo) Vedi Filippo, con questa voliera le linee sono asimmetriche rispetto all’asse della casa, mentre con questa pergola, che non è altro che una copertura a travi lavorate e preverniciate, essa assume una orizzontalità ascendente e si sincronizza armonizzandosi con tutto il contesto estetico…

Fil.- (sbuffando) Giulia, in una parola mi sostituisci la voliera con una “ comu malanova si chiama” solo per le linee simmetriche che sono asimmetriche sull’orizzonte verticale ascendente, e una orizzontalità discendente, il tutto per tre e quattordici, e interdipendente dal contesto estetico scientifico omogeneo  patologico dei miei stivali! Io la voliera la voglio, lì, dov’è prevista, punto e basta!

Giu.- ( fa un gesto sconsolato e rimette a posto le carte, come per dire: con questo non si ragiona) Beh, allora…

Car.- Papà non mi sembri proprio tu! Ma come? Ti si da l’opportunità di avere una casa armonica e tu fai ironia da quattro soldi?

Fil.- Vi chiedo scusa a tutti e due: alla signora Architetto, al signor dottore (poi con veemenza)  ma io alla voliera non voglio rinunziare!

Car.- Ma la puoi fare ovunque: dietro il garage, nei pressi del frutteto, nel cortile posteriore…

Fil.- E si vede che di voliere tu e, con tutto il rispetto, anche Giulia, non ne capite nulla: Gli uccelli vanno assecondati, vanno portati vicino al loro ambiente, cioè il cielo; quindi in alto, più alto che si può, perché essi in alto si appigliano per trascorrere la notte; in alto nidificano, in alto volano: insomma non sono mica rettili? essi vogliono aria, aria, aria perbacco! - proprio come me! E la terrazza è il luogo ideale! eppoi questo mi facilita il compito di accudirli, di curarli, di nutrirli…poi ci sono le covate da proteggere (occhiata significativa a Giulia e a Carlo, poi risoluto). Ma insomma, sono padrone o no?

Car.- (Prima dando un’occhiataccia al padre, poi guardando Giulia) Padrone? Padronissimo! Ma ci sono certe considerazioni…(poi vedendo il padre irremovibile - controscena adatta-)  E va bene, vuol dire che si proverà a coordinare tutto con le esigenze - degli uccelli - con nuove ipotesi. Giulia, potresti cercare qualche altra alternativa?

Giu.- (imbronciata) Ci proverò!

Fil.- (avvicinandosi a Giulia) Ca certu, figghia bedda, provaci - ma via,  vedrai che troverai un’alternativa idonea. Che razza di artista creativa saresti, altrimenti? Se ti ci metti di buon buzzo, vedrai che ne troverai anche mille di alternative - per accontentare questo povero vecchio… e gli uccelli. 

Car.- Adesso la buttiamo sul patetico.

Giu.- Va bene, io ci proverò, anche se penso che sarà complicato e difficile, Comunque, caro Filippo lascia che ti dica che tu sei proprio uno yin.

Fil.- (guardandola a bocca aperta) Cosa sono…un gin?

Car.- …e soda. Ma dai yin è un termine cinese.

Fil.- Ora per capirvi, debbo studiare pure il cinese? Nell’attesa, di grazia cosa sarebbe allora questo yin?

Giu.- (con sopportazione) Yin è un termine che vuol dire negatività. Cioè la parte nera della montagna.

Fil.- (come cadendo dalle nuvole) Gesù Giuseppe Sant’Anna e Maria, oltre la Cina, ora c’è pure la montagna. La nostra muntagna? (facendo riferimento all’Etna).

Car.- Si parla di montagna, genericamente, non d’a muntagna, cioè dell’Etna, come la intendiamo noi.  Ecco stai facendo ‘u Nofriu.

Giu. – Prego?

Car.- Sta facendo il finto tondo. Ma dai papà!

Fil.- Va bene, montagna o muntagna, per me sempre cinese è. Allora dimmi, - signor dottore Moncada - secondo te, dovrei fare il finto saputello? Mi appioppate stu yin e io dico: oh che bello! grazie signori, ma bene signori miei, accomodatevi pure nella mia personalità, fate come se foste a casa vostra. Ecco qui la mia dignità, senza complimenti, servitevi pure, sono agli ordini di voscienza.

Car.- Bonu, và! (contrariato)

Giu.- (con finta comprensione, prima rivolta a Carlo poi a Filippo) Carlo, su, datti una calmata. Senti Filippo, non t’offendere, io spesso, purtroppo, do per scontato che tutti siano a conoscenza della cultura di altri popoli, e ti chiedo scusa. Ma c’è proprio bisogno di prendersela tanto? Comunque la citazione mi è venuta spontanea, adatta al caso specifico.

Fil.- E allora spiegami questo caso specifico.

Giu.- Ti spiego, ti spiego: Lo yim, ovvero il lato in ombra della montagna, significa oscurità, introspezione, durezza, fine delle cose, pessimismo acuto, autunno e inverno. Mentre lo yang è l’opposto: luce, intelligenza, movimento, prosperità, eccitazione, morbidezza, ottimismo primavera ed estate.

In una parola essere yang è positività, essere yin, come dicevo, è negatività  Ora il tuo atteggiamento mi sembrava fatto tutto di negatività.

Car.- Esatto.

Fil.- E avete fatto centro! Io sono tutto negativo, sono oscuro, torbido, duro, finito, pessimista, autunno, inverno, temporale, tempesta, bufera, buriana, burrasca, procella, e anche ciclone, tifone, uragano, tornado, maremoto e, intanto che ci sono - pure terremoto!  Onde per cui vi nego ogni sconvolgimento del progetto originario: voglio la voliera in terrazza!.

Car.- Dio che catastrofismo.

Fil.- Bravo: sono pure catastrofico!

Car.- (intanto che Giulia li guarda perplessa)  Ma dai papà, stai parlando per partito preso. L’hai detto anche tu: diamo del tempo a Giulia e certamente troverà una soluzione al problema della voliera e della linea architettonica da salvaguardare.

Fil.- ( calmandosi) Va bene.  Scusami Giulia, mi sono lasciato andare. Lavoraci su e speriamo che trovi una soluzione per tutto.

Giu.- (fredda, raccogliendo le sue cose, come se non vedesse l’ora d’andarsene) Farò del mio meglio. Adesso debbo proprio andare (guardando spesso l’orologio). Ciao a tutti.

Car.- Aspetta, t’accompagno a casa.

Giu.- No, lascia perdere ho un impegno allo studio.

Car.- (Contrariato) Come vuoi. Ti accompagno alla porta, allora. (escono)

Fil.- (aggirandosi per la stanza) Linee architettoniche… armonie estetiche…pergola…yin… yang … notte, giorno…estate, inverno …malanova a mia. Cosa voglio io? Una voliera, soltanto una semplice, innocua voliera!

Car.- (rientrando contrariato e frettoloso) Vado via pure io, ciao pà.

Fil.- (avvicinandosi al figlio) La vuoi raggiungere, vero? Ti ha mollato, eh?

Car.- Mollato chi?

Fil.- Ma dai, lei, l’Architetto.

Car.- E allora?

Fil.- Allora niente (ammiccante fa cenno di unione con le dita).

Car.- Papà, tra me e lei non c’è nulla, solo rapporti professionali (freddo).

Fil.- Ai miei tempi si chiamavano rapporti intimi, ma sempre quella cosa era ( riammicca).

Car.- Sei sempre il solito (imbronciato).  Ciao, a dopo (esce).   

Appena Carlo sarà uscito, si creeranno di nuovo le condizioni per far cambiare il ritratto della moglie con la medesima in figura.

Cat.- Bella scena, sai?

Fil.- Già, bella scena. (si siede pesantemente nella vicina poltrona).

Cat.- Ha chiacchiera la signora architetto.

Fil.- Già.

Cat.- (imitando Giulia) Mi chiami Giulia ( poi imitando Filippo) Chiamami Filippo. Ridicolo!

Fil.- Va bene, ma non esagerare. In fondo oggigiorno…

Cat.- …oggigiorno ci possiamo prendere queste confidenze…

Fil.- Ma che sei gelosa?

Cat.- Chi io? Diminiscanzi! Poi…di te?

Fil.- E dalle!

Cat.- Scusa Filippo, scusa…non volevo pizzicarti. Beh, in effetti una punta di gelosia ci sarebbe, ma non per te, semmai per Carlo.

Fil.- (alzando il capo e guardandola perplesso) Per Carlo?

Cat.- Beh, ogni mamma è gelosa del proprio figlio, non lo sapevi?

Fil.- Ma lui ha detto che quella non è…insomma… non sono…

Cat.-…amanti?

Fil.- Esatto!

Cat.- Ma tu l’hai sospettato.

Fil.- Io scherzavo. Ma… non dirai sul serio?

Cat.- Evvia scherzo anch’io. Però a Carlo quella non è indifferente.

Fil.- In effetti è un pezzo di figliola.

Cat.- (Con ironia) Ma davvero?

Fil.- ( imbarazzato) Genericamente parlando, si capisce.

Cat.- Comunque, genericamente parlando, è scostante. E sta mettendo nel sacco Carlo.

Fil.- Ma cosa c’entra l’amore con la casa?

Cat.- In apparenza nulla, ma vi sta menando per il naso. Quella mira ad altro, te lo dico io.

Fil.- E a cosa mira: alle mie grandi ricchezze? Al solido patrimonio di Carlo? Al titolo nobiliare della Casata? A cosa?

Cat.- …che spirito di patate…e sta mettendo nel sacco anche te! Vedi voliera.

Fil.- (cercando di minimizzare, ma nello stesso tempo consapevole che Caterina ha ragione) Ma dai, ha fatto qualche difficoltà per motivi estetico-architettonico superabili, superabilissimi.

Cat.- Architettonici o no, per conto mio, nessuno, per nessun motivo,  dovrebbe scontentare il cliente.

Fil.-  E non mi scontenterà, è troppo intelligente per farlo…poi sa che i soldi sono limitati per poterli sprecare con bizzarrie architettonici inutili.

Cat.- Senti, nessuno me lo leva dalla testa che quella è ambiziosa e si vuole fare un nome a vostre spese.. con le sue cervellotiche idee.

Fil.- Ma che cosa dici? Quella il nome nell’ambiente ce l’ha già, me lo ha detto Carlo.  Poi, mica le stiamo facendo costruire il Pantheon.

Cat.- Non necessariamente, non necessariamente. Comunque chi vivrà vedrà.

Fil. Amen.

Cat.- Uffa (b.p.) Va bene, Filippo, sono pessimista, anzi sono yin. Ma è perché non potrei sopportare che ti succedesse qualcosa.

Fil.- A me? Ma dai, non mi succederà nulla, stai tranquilla…nulla…cosa potrebbe accadermi? (b.p.) il peggio che mi poteva succedere è già accaduto cinque anni fa.

Cat.- Quando fu per me?

Fil.- Si. La mia vita si è fermata a quel giorno. Lo sai, no? Vado avanti per inerzia, vivo per non morire. Cosa me ne faccio di questa esistenza senza di te? Tu mi manchi troppo, mi manchi da impazzire! Vedi la casa, questa casa, mi ricorda troppo la nostra vita insieme. E non riesco più a tollerarlo senza trafitture al cuore. Capiscimi! tu, fortunatamente, non sai cosa significa vivere la vedovanza - e non mi riferisco alla banalità del sesso o della solitudine - ma a quel vuoto che ti squarcia il petto, e ti comprime l’anima; quel vuoto che rende vacuo anche il corpo, e che ti fa ondeggiare la testa come un barchetta nel mare di scirocco; che ti  fa illanguidire ogni attimo della vita, al ricordo – struggente - dell’amata che non hai più con te.

Ma, come sai, queste cose riguardano lo spirito, ed io non riesco a penetrarle bene, figurati a spiegarli, ma so per certo che sono presenti in me, tutte, tutte! – lo avverto animalescamente.

Ecco uno dei motivi per cui ho ceduto alle pressioni di Carlo. Una nuova casa, secondo lui,  mi avrebbe fatto riassaporare la vita… Secondo lui, naturalmente.

Ma cosa debbo riassaporare io? la vita? Quale vita, quella che avrei voluto concludere con te, come quando decidemmo, quella volta, di stare insieme per sempre? Ma quella è ormai perduta!

E’ vero! l’abbiamo vissuto bene, noi due buona parte della nostra vita: Insieme l’abbiamo assaporato, con i suoi piaceri; insieme abbiamo goduto delle ore felici; insieme ci siamo fortificati nei tormenti;  insieme abbiamo sopportato tutte le avversità che questa esistenza, che di volta in volta, ci presentava. Avversità non solo nostre, private, ma anche quelle collettive – ti ricordi del terremoto?-. E anche le tragedie come queste guerre assurde, queste malattie nuove, questo terrorismo. Eravamo complementari: Tu mi davi fiducia, io ti davo un po’ di coraggio. 

E, facendoci forza vicendevolmente li abbiamo superato.

Ti ricordi di quando fu di Carlo?

Cat.- Ci crollò il mondo addosso. Giorni d’inferno.

Fil.- Ma non ci lasciammo abbattere: tu con la tua grande forza morale e l’amore materno, io col coraggio della disperazione… e superammo il dramma.

Cat.- Com’eri gigantesco quando, rifiutando la barella, portasti il nostro piccolo tra le tue braccia, sino alla sala di rianimazione. Sembravi un titano, mentre percorrevi il corridoio della corsia; e tutti si facevano da parte rispettosamente: medici, infermieri, pazienti , intanto che procedevi fiero, verso quella porta dove ci avrebbero dato il responso: vita o morte.

Fil.- Si, procedevo fiero perché avevo piena fiducia nel medico che preparò quel miscuglio di medicine, tentando il tutto per tutto. Egli mi sembrava come l’Angelo del Signore che doveva fermare la mano di Abramo, prima che il pugnale che brandiva - trafiggesse Isacco. Procedevo fiero, è vero, ma il mio cuore era al limite dello schiatto! E i miei occhi a stento riuscivano a trattenere il fiume salato che voleva straripare dalle mia palpebre. Ero fiero! Ma le mie gambe si muovevano perché puntellate dalla pietà e dalla disperazione, mentre camminavo verso la sala del responso. Ma ero fiero anche di te, che mi seguivi silenziosa, a fronte alta - senza versare una lacrima, forte come la roccia della nostra montagna. Eri tu la mia forza e la mia fierezza.

Cat.- Eh, quella forza… sapessi quanto mi è costata: Giorno dopo giorno raccoglievo la mia linfa vitale per donarla a lui, al mio piccolo tesoro, che giaceva, inerte, su quel lettino. Linfa che gli ho travasato  – per tempi immisurabili - da me a lui! E le mie forze mi abbandonarono e il mio organismo, si prosciugò e deperì: Fu la vita mia che s’innestò in quella del mio bambino. Io appassii e lui visse e crebbe. E fui felice! Poi, un giorno, vidi nero e tutto finì.

Fil.- Ed io con te.

Cat.- No, non lo dire più. Mai più! Tu hai ancora molti anni di vita da trascorrere, devi anche vegliare su Carlo, lo dovrai vedere sposato, con una famiglia, devi giocare coi suoi figli.

Fil.- Se non posso raggiungerti prima, proprio questo sarebbe il mio più grande desiderio. Ma, come sai, egli ha già trent’anni, e di matrimonio non ne parla mai. E non so anche se ha una ragazza, per poter sperare. Comunque oggigiorno i giovani si sposano belli e maturi e prima o poi, anche Carlo lo farà.

Cat.- Lo voglia Dio. Per lui e per te.   

Si ode il suono del campanello. Filippo si scuote e va ad aprire: stessa procedura per il ritratto.

Entra Filippo e Carlo.

Fil.- Carlo, che c’è? hai dimenticato qualcosa?

Car.- Si, la mia testa e le chiavi.

Fil.- La testa?

Car.- Testa metaforica: Non ci sono con la testa ( prende le chiavi dal tavolino dove li aveva precedentemente lasciati) e anche perché voglio parlare con te – con calma.

Fil.- Ebbene, siediti e parla. (si siede)

Car.- Preferisco restare all’impiedi, se non ti dispiace.

Fil.- Fai come vuoi. E allora?

Car.- Papà, io non so proprio come incominciare…

Fil.- Incomincia dall’inizio.

Car.- Sarebbe troppo lungo. Senti, dimmi, ma questa casa tu la vuoi veramente, oppure no?

Fil.- Ancora con questa storia? Ti ho detto che la voglio. Ma la voglio senza problemi. Non sono più in grado di sopportare contrarietà. E dandoti carta bianca…

Car.-… era proprio questo che volevi significare.

Fil.- Già.

Car.- Grazie della fiducia.

Fil.- Ci mancherebbe. Se non ho fiducia in te…Comunque agisci con giudizio e porta avanti il progetto.

Car.- Grazie ancora. Però questo è il punto: se dobbiamo continuare, non voglio fare più brutte figure con Giulia.

Fil.- Brutte figure? Ma quali brutte figure?

Car.- Come quelli di poco fa: ti sei comportato come un vecchio testardo, come un bastiancontrario, insomma mi hai fatto vergognare.

Fil.- Io? Oh bella! E per non farti vergognare dovrei  accettare tutte le bizzarrie della signora Architetto? E senza fiatare? Ma per chi mi hai preso, per Peppe Nappa? Senti Carlo, io ho acconsentito che Giulia ci riflettesse sopra, e trovasse una sistemazione degna di questo nome, anche se la voliera in terrazza è la sistemazione ottimale per gli uccelli.(b.p., poi abruciapelo) Ma tu lo sai cosa vidi una volta in un bosco?

Car.- Anche il bosco ci voleva (quasi tra se, poi con sopportazione, a Filippo) Cosa vedesti?

Fil.- Vidi più di cento nidi su un altissimo albero. E sai perché lì c’erano tutti quei nidi raggruppati?

Car.- (idem c.s.) No, perchè?

Fil.- Perché il nido più alto era quello di una poiana e gli altri uccelli facendo il loro nido lì vicino, si sentivano tranquilli e rassicurati da eventuali attacchi da parte di predatori.

Car.- E allora?

Fil.- E allora te l’ho raccontato per farti sapere che tu e …quella lì, non capite nulla di nulla sugli uccelli… e della mia passione per essi.

Car.- E con questo?

Fil.- Con questo, basta! Gli uccelli sono affari miei.

Car.- Certo, sono affari di bambini o di…

Fil.- …di vecchiazzi, e dillo!

Car.- Ma insomma, papà, non voglio avere dispute con te. E comunque stavamo parlando del tuo atteggiamento verso Giulia.

Fil.- Allora insisti? Non dovevo…prendere le difese degli uccelli? Non dovevo dissentire?

Car.- Ma che c’entra questo discorso. Tu potevi fare tutte le osservazioni di questo mondo, ma in modo intelligente, corretto, signorile…

Fil.- (prima sbalordito, poi come se avesse capito tutto) Sono stato maleducato? Spiacente allora signor dottore.

Car,- Non la mettere in questi termini, ti prego. Ecco, solamente non vorrei che tu e lei aveste questi scontri di…opinioni, e questo per motivi miei…

Fil.- Ma se è lei che ci tratta come una pezza da piedi. Eppoi io alla voliera non ci rinuncio, mi sono spiegato? Sono trent’anni che la desidero, e questa è l’occasione buona per averla e la voglio! Punto!

Car.- L’ho capito! L’ho capito…è che, come ti dicevo, per motivi miei, non vorrei scontentarla…ecco!

Fil.- Per motivi tuoi? E quali sarebbero? (vedendo Carlo che abbassa gli occhi) Aspetta, aspetta, forse ho capito, il signorino è proprio cotto per la bella Architetta e non la vorrebbe contrariare…vero?.

Car.- Ma che dici?

Fil.- Quello che ti ho appena detto: sei cotto!

Car.- Lo pensi davvero?

Fil.- ( fa cenno di si col capo varie volte) Si.

Car.- Ed è vero, purtroppo.

Fil.- Perché purtroppo?

Car.- Perché credo che…insomma che lei…che lei stia con un altro.

Fil.- E allora? Che problema c’è? Fatti sotto, scalzalo da cavallo e prenditi la bella principessa.

Car.- E’ una parola. Non conosco quel tizio e le sue potenzialità… eppoi Giulia è di acciaio.

Fil.- E tu domala! … (tra se) che poi non sarebbe male… ( a Carlo) e fatti sotto lo stesso, lotta. Può darsi che veda in te maggiori attrattive, può darsi che tu sia il migliore, può darsi…insomma, in amore tutto può accadere. Fatti sotto…e addolciscila, perbacco! Io, per conto mio, cercherò di aiutarti come posso.

Car.- Grazie. Comunque è una parola conquistarla…

Fil.- Rammollito!

Car.- Ma dai…

Fil.- Io, quando fu per tua madre, dovetti lottare strenuamente per farla cedere. Era tutta d’un pezzo. Diceva: niente fidanzamento, niente grilli per la testa: Prima devo concludere gli studi, poi vedremo. Ahò, e niente fu! Proprio proprio. Con pazienza dovetti aspettare che si prendesse prima la maturità per potermi “spiegare”, poi, col padre -  come si usava allora (allusivo).   

Car.- Altri tempi.

Fil.- Comunque altri tempi o no, devi essere più deciso. Insomma, io voglio i nipotini prima di chiudere gli occhi.

Car.- Tu? Ma dai, se i bambini ti danno fastidio anche se giocano...

Fil.- …qui sotto, nel cortile, durante le ore di riposo pomeridiano…

Carl.- Comunque sia…per adesso non posso…no (fermando l’obiezione di Filippo), non è solo per l’atteggiamento di Giulia. (b.p.) E’ anche perché sto con un’altra.

Fil.- Che significa? Hai un’amante?

Car.- Ma via, papà, amante…che vocabolo obsoleto. Adesso si chiamano compagne, amiche, conviventi, anzi meglio: fidanzate.

Fil.- Ma sempre amanti sono!

Car.- Dalle!

Fil.- Ma sei hai una am… amica, con la quale stai, perché ti interessi di Giulia? Forse per…prurito?

Car.- No, no con Giulia vorrei fare sul serio.

Fil.- E con …l’attuale (non vuol pronunziare la parola amante) no? E allora perché ci stai? e come ne uscirai? le farai del male, penso.

Car.- Calma, calma, papà. (b.p.) Se mi dovessi mettere con Giulia, le parlerò sinceramente e quella capirà, e si consolerà…magari con qualche altro. Così è la vita. (poi in fretta per non prolungare la discussione) Comunque papà, voliera o no, ti prego, la prossima volta sforzati di essere più gentile e più malleabile con Giulia, ci tengo, assai assai. Questo è l’aiuto che mi dovresti dare (intanto prende le chiavi e si accinge ad uscire). D’accordo, allora? Parola d’ordine: Niente incaponimenti, niente capricci, niente bastoni tra le ruote, ma umiltà, gentilezza, accondiscendenza…ciao pà.

Fil.- (di sasso) Caliti i brachi, mutu e assuppa! vero ‘o papà? (tra se, poi a Carlo) Sarà servito.

Tela.

                             

    

                                                              Atto secondo

Sulla scena è stato allestito uno dei vani in della casa in costruzione: Pareti di muratura grezza, oggetti da cantiere sparsi, due cavalletti con una tavola dove sono poggiate varie carte e la borsa di Giulia. O, a scelta, gioco di luci.

All’apertura del sipario sulla scena c’è Giulia che studia delle carte con Cosimo, capo operaio. Giulia veste molto casual e i due calzano l’elmetto in testa

Cos.- Guardi qui Architetto (mostra un punto della carte) vede? A me sembrano dieci gradi di inclinazione, e così che ho operato.

Giu.- Ma se lo vedrebbe anche un bambino che sono almeno quindici! Comunque provveda a rettificare.

Cos.- Architetto, ma se lei segnava sulla carta questi benedetti gradi, non avremmo potuto evitare l’equivoco?  Comunque provvederà alla rettifica…certo, non intaccando i miei interessi, è ovvio.

Giu.- Lei faccia quello che deve fare e non stia a criticare. In quanto ai suoi…interessi non si stia a preoccupare, segnali la differenza al signor Moncada.-

Cos.- Padre o figlio.

Giu.- Ma al figlio, diamine.

Cos.- Architetto, mi perdoni, ma ci sarebbe anche la storia della fontana.

Giu.- Quale fontana?

Cos.- Quella che il signor Moncada padre mi ha detto di costruire vicino alla voliera.

Giu.- Io non ne so nulla. Comunque, non faccia niente finchè non glielo dirò io.

Cos.- D’accordo…però a quello cosa dico?

Giu.- A …quello dica che ne dovrà discutere prima con me.

Cos.- Speriamo che non mi faccia storie e, soprattutto non mi faccia perdere tempo. Ce l’ho tra i piedi in continuazione, mi da suggerimenti, mi fa richieste, propone cambiamenti. Chiacchiera con gli operai, racconta di quando lavorava alla Prefettura, da loro consigli di cucina. Insomma, incombe.

Giu.- E lei non le dia conto, altrettanto facciano i suoi operai.

Cos.- Io lo faccio, ma sempre il proprietario è.

Giu.- E io sono il direttore dei lavori e la responsabilità di tutta questa baracca è mia. Chiaro?

Cos.- Per me… Bene allora io procedo secondo gli accordi. (sta per uscire)…Ah, il gradino d’ingresso rettangolare l’ho fatto già sostituire con quello a mezza luna. 

Giu.- Molto bene.

Cos.- Già… Beh, io vado…

Giu.- Benissimo, vada.

Cos.- Architetto, per…l’interesse del gradino lo dico ancora al signor Moncada figlio, vero?

Giu.- Ma certo. Vada adesso, vada. (Cosimo esce e Giulia si china sulla carte. Entra Carlo)

Car.- Ciao Giulia. (si avvicina come per baciarla, ma lei si schiva)

Giu.- Non qui, sul posto di lavoro.

Car.- Ma se lo sanno ormai tutti…-

Giu.- E’ etica professionale. Comunque sei giunto a proposito. Devo parlarti.

Car.- Dimmi…

Giu.- Senti tuo padre la deve smettere di intralciare il mio lavoro. Ti ho gia detto che non lo voglio tra i piedi…eppoi il cantiere è pericoloso…è un luogo dove gli infortuni sono sempre possibili. Accadono anche ad operai esperti,  figurati a un vecchio pensionato che gironzola dappertutto… anche sul tetto.

Car.- Sul tetto?

Giu.- Già, per sovrintendere ai lavori di coibentazione, che secondo lui, sono molto delicati. E lo sai cosa ha detto agli operai che lo pregavano di scendere?

Car.- Casa ha detto?

Giu.- Che quella casa la doveva abitare lui e stava solo facendo i suoi interessi, quindi restava lì. E lì, è pericoloso. Ma che? Mi vuole mettere nei guai?

Car.- Ma no, niente di personale, tu non lo conosci. Forse è meglio così, si sta entusiasmando all’idea della nuova casa… si vuole interessare anche dei particolari, ed è meglio così ti ripeto: prima era scettico e indifferente, quasi amorfo, rasentava la depressione…

Giu.- E falla finita! Egli è solo un vecchio rompiscatole. Comunque nel mio cantiere non lo voglio, perchè importuna gli operai, distraendoli dal loro lavoro, facendogli fare cazzate. Ma lo sai  che la finestra obliqua me l’hanno sbagliate ed è da rifare? E il gradino d’invito della scala è da sostituire per la distrazione di un operaio? Il capocantiere non ne può più! E le spese gonfiano e tu poi ti lamenti. Ora, per chiudere l’argomento tu glielo devi dire con fermezza di non farsi vedere durante le ore lavorative. Dopo - dopo, a fine giornata,  semmai, quando gli operai se ne saranno andati, magari potrà venire, naturalmente accompagnato da te e da me, e nell’occasione potrà anche farmi tutte le osservazioni di questo mondo.

Car.- Giulia, ma è mio padre.

Giu.- E io sono la responsabile della sicurezza del cantiere e non voglio avere guai con l’ispettorato, chiaro?

Car.- Chiaro, glielo dirò.

Giu.- E’ anche per il suo bene, naturalmente…

Car.- Capisco.

Giu. E mettiti l’elmetto.

Car.- Ah, già…(cerca un elmetto, lo trova e lo calza)

Giu.- Cosa c’è ancora (vedendo che non se ne va) cosa vuoi?

Car.- Niente di particolare, oggi sono libero e sono venuto a trovarti.

Giu.- E non dovevi!

Car.- Ma lo sai che io ti voglio vedere sempre. Starei con te notte e giorno, giorno e notte, insomma, sempre! ( le fa le fusa)

Giu.- Hai visto? Mi distrai con le tue antipatiche moine, e io sbaglio.

Car.- Giulia, io ti esprimo il mio amore. Ma capiscilo, io penso sempre a te. Ovunque mi trovi, qualsiasi cosa faccia, sempre!

Giu.- E sbagli!

Car.- Lo so, ti distraggo e sbagli, l’ha detto.

Giu.- A parte i possibili errori sul lavoro, tu sbagli perché stai perdendo la testa. E lo sai che tra noi non c’è nessun legame serio. Sai che si tratta solo di sesso.

Car.- Per me è diverso, io ti amo da morire. Certo il sesso è importante, ma per me non è tutto. Dai lo sai, no?

Giu.- E perché lo so, che ti sto mettendo in guardia. Stai attento, io sono volubile. Eppoi a me il tuo amore  spirituale non garba per nulla. Cerca di mantenerti nei limiti della nostra relazione: sesso e basta!

Car.- Ci proverò, ma sarà difficili. Eppoi al cuore non si comanda.

Giu.- Carlo, ma che cazzate stai dicendo? Che parlare è questo? Ma vergognati! stai usando uno squallido linguaggio da telenovela. Basta. Vattene…per favore, e lasciami al mio lavoro. (si china sulla carte, mentre Carlo, mogio mogio si avvia ad uscire)

Entra Filippo, è adirato..  

Fil.- Ah, eccovi! Ciao Carlo. Signor Architetto, il tuo capocantiere è insolente. E fa pure u Nofriu, per non ascoltarmi, se lo sollecito a fare il lavoro come si deve. Poi, di grazia, mi vuoi spiegare perché non si può costruire la fontana vicino alla voliera?

Giu.- Perché non è prevista nel progetto.

Fil.- E cosa dico ai miei uccelli: non potete fare il bagno perché la fontana non è stata prevista dalla signora Architetto?

Car.- Cosa, cosa ? Il bagno? Gli uccelli?

Fil.- Si, mio caro. Gli uccelli, a differenza di te (lo guarda sottecchi),  fanno il bagno tutte le mattine e anche la sera, se lo desiderano. E cosa credi? Essi sono bestie pulite, pulitissime…eppoi si divertono. E allora vogliamo negare a quei mansueti e canori volatili, che non fanno male a nessuno – dico: a nessuno – ( e guarda significativamente Giulia), il sollazzo di fare un bagno in fresche e dolci acque correnti? Eh, ne avete il coraggio?

Car.- Ma papà, dai, smettila.

Fil.- Zitto tu! Mi dica signora Architetto, allora?

Giu.- (cercando di controllarsi) Senti Filippo, se la smetti di fare il bambino possiamo discuterne, altrimenti pianto tutto e me ne vado. Chiaro?

Fil.- Questo tono lo riservi ai tuoi operai, semmai te lo permettessero. Ora, se non ti dispiace, mi dici perché non si può fare la fontanella?

Giu.- (sempre più irritata) Non si può fare perché…

Fil.- …non è prevista nel progetto, l’hai già detto.

Giu.- (sta per scoppiare, Carlo gli mette una mano nel braccio per calmarla) Bene, ti progetterò una fontanella adatta al contesto.

Fil.- E mi farai avere un’altra fattura per la progettazione? No, grazie. Io la fontanella l’ho già scelta bella e fatta, costa poco e non ci resta che farla impiantare nella voliera…là, in quel posto infelice dove l’hai confinata…decentrata… relegata… esiliata… reietta! (tono solenne)

Giu.- Carlo, intervieni o scoppio.

Car.- E dalle! Comunque, papà, la fontana dev’essere fatta con lo stesso criterio della casa; si deve armonizzare con essa, non si può andare a casaccio...

Giu.-… perché nel progetto c’è il mio nome, che, se non ti dispiace, è conosciuto  nell’ambiente…

Fil.- Ma quale ambiente d’Egitto! Se è questa casa, la mia casa, dico mia, che ti ha permesso di farti sbizzarrire con le tue idee stravaganti e pazzoidi. Stavi fresca sennò. 

Giu.- Ah, è questo che pensi? E allora guarda qui ( fruga nella borsa e prende una rivista di Architettura) Guarda, guarda (intanto sfoglia) Ecco, qui ci sono le foto dei miei lavori, se al signor Filippo Moncada non dispiace.

Fil.- (guardandoli appena) E che vuoi dire? Che sei famosa?

Giu.- No, per carità. Voglio solo dire che ho già costruito tre ville “bizzarre”! Come le chiami tu, e tutte sono state apprezzate…

Fil.- Dai proprietari?

Giu.- Anche.

Fil.- Già, perché non amavano gli uccelli, perché non volevano le voliere. (quasi tra se) Comunque a me non interessa quello che hai fatto nel passato, a me interessa il presente. E il presente è la fontanella per gli uccelli. Essi debbono potersi spaparazzare – sguazzare - quando ne hanno voglia e sfizio - e debbono bere, debbono deliziarsi. Glielo potete negare? (come se avesse detto una grande verità)

Car.- Non sarebbe meglio se prima vediamo se ci stiamo con le spese?  papà, perché si stanno gonfiando paurosamente.

Fil.- Per colpa mia o degli uccelli? O forse della voliera? O per colpa di una semplice fontanella?

Car.- Per quella e per il resto. Dobbiamo contenerci, papà.

Fil.- Allora vuol dire che compro una bacinella e la metto nella voliera: problema risolto.

Car.- Sei sarcastico quanto ti ci metti.

Fil.- Sono…sono solamente comprensivo con quelle bestioline - che hanno tutto il diritto di papariarsi.

Giu.- Avanti, vediamo cosa posso fare. (brusca, come per toglierselo di torno) Sei contento?

Fil.- (ironico) Come una Pasqua… (Sta per uscire)

Giu.- Filippo, visto che sei qui, mettiti l’elmetto. (ne prende uno e glielo porge)

Fil.- Ah, già, l’elmetto d’ordinanza. ( lo calza, saluta militarmente ed esce)

Giu.- E’ impossibile! (sbuffando)

Car.- ( trattenendosi dal ridere) Non lo capisco, non lo capisco proprio. E’ come se gli fosse venuta una frenesia. Chissà cosa sarà.

Giu.- Sarà incipiente demenza senile!

Car.- ( vezzoso) Suvvia, Giulia, sii comprensiva. Allora io vado…(ripensandoci) Senti, ci vediamo stasera?

Giu.- Vedremo. Ho del lavoro da sbrigare.

Car.- E non potresti trovare un momentino per il tuo micio?

Giu.- Di nuovo? Uffa, Carlo, t’ho detto già, qui sono soltanto il Direttore dei Lavori e tu rappresenti la proprietà. Piantala adesso!

Car.- Scusa, scusa.

Giu.- Senti, visto che ci sei, guarda cosa fai per renderti utile: fatti dare da Cosimo l’importo dei costi delle varianti. Ce li ha appuntati lui…gli imprevisti

Car.- Sono grossi questi…imprevisti?

Giu.- Non lo so. Ma è robetta. E adesso lasciami lavorare, ho da risolvere il problema dei pluviali e delle gronde.

Car.- Ma i pluviali e le gronde sono già state comprate.

Giu.- E non mi sembrano adatte, poi c’è un piccolo problema. Comunque vedo cosa si può fare per non ricomprarne altre.

Car.- Certo, tu sai cosa devi fare. ( non esce).

Giu.- Beh, perché non vai? Cosa c’è ancora?

Car.- Ho incontrato il tuo ex, Flavio, e ci siamo chiariti.

Giu.- Già, da uomo ad uomo, come mi dicesti. Hai fatto il compare Turiddu?

Car.- Non scherzare, dai. Abbiamo parlato, apertamente, chiaramente. Io gli ho detto qual è la nostra situazione e lui l’ha compresa in pieno.

Giu.- Approvandola, immagino (ironica) .

Car.- Non ti interessa cosa mi ha detto?

Giu.- Lo so già: ti ha detto: buon pro ti faccia!

Car.- (sbalordito) E tu come lo sai?

Giu.- Perché l’ha detto pure a me, quando gli dissi che stavo con un altro.

Car.- Come parli bene, tesoro. (sdolcinato)

Giu.- Avanti, vai via, ti ripeto, ho da lavorare.

Car.- (sta per uscire) Ciao amore.

Giu.- (sgarbatamente) Vai, vai. (fra se) Certe volte non lo sopporto. 

Cos.- (entrando) Architetto, potrebbe venire di là? c’è l’impiantista che ha dei problemi col bagno.

Giu.- Di cosa si tratta?

Cos.- Credo che si tratti dei servizi.

Giu.- Vengo. Ah, Cosimo, porti al signor Moncada i costi delle nuove varianti.(esce)

Cos.- Certamente. Signor Moncada, mi può dare un minutino? accompagno l’Architetto e sono da lei. (esce)

Car.-  Faccia pure. (poi tra se) Madonna, altre varianti…già siamo diecimila euro sotto… e chi lo sente ora papà?

Entra Filippo

Fil.- Hai visto che furia? E’ passata come una Erinne! Capelli al vento, passo da bersagliere, grinta da carabiniere. Che donna!

Car.- Già.

Fil.- (sedendosi su di un secchio rovesciato, dopo averlo accuratamente pulito) Vedo che vieni spesso qui al cantiere. Ti stai appassionando anche all’architettura…o all’Architetta? Eh? (ammiccando) E dimmi, come va tra lei e te?

Car.- In che senso?

Fil.- In che senso…ma nel senso che pensi tu, marpione!

Car.- Tutto bene… 

Fil.- …Madama la marchesa. Non vuoi parlarne, fai pure…ma guarda che come lo so io, lo sanno ormai tutti…che siete fidanzati.

Car.- Fidanzati… Già, non è certo un segreto, ormai.

Fil.- Ma come sei sostenuto oggi. Quando ne parlammo l’ultima volta, mi sembravi un perdente, ora che ci sei riuscito, mi sembri di uno scontento, o sbaglio?

Car.- Mica stiamo facendo una gara. Comunque ci siamo messi insieme da appena due settimane.

Fil.- Visto? (b.p.) Solo per curiosità: ma come l’hai convinta a sceglierti?

Car.- Non lo so proprio.

Fil.- Davvero?

Car.- Beh, se debbo essere sincero un sospetto ce l’avrei.

Fil.- Puoi dirmelo?

Car.- Ecco, circa quindici giorni fa sono riuscito a farle accettare un mio ennesimo invito a cena. Poi, sai com’e, dopo qualche bicchiere di vino buono in più, siamo finiti a letto. E da allora che siamo assieme…

Fil.- E allora, il sospetto?

Car.- E allora ho il sospetto che si è messa con me perché, come mi dicevi tu da bambino, sono “ben fornito”…

Fil.-  Salute!

Car.- Grazie.

Fil.- E…vi amate? Vi sposerete?

Car.- Papà, non corriamo. Vedremo cosa maturerà.

Fil.- Carlo, l’amore non matura, o c’è oppure non c’è .

Car.- Insomma c’è qualcosa…per adesso ci vediamo di tanto in tanto.

Fil.- A me era sembrato di capire che eri innamorato pazzo di lei.

Car.- Io si. E lei che non si sbilancia.

Fil.- E’ una donna dura.

Car.- Si, sul lavoro.

Fil.- Per me è questione di carattere.

Car.- E di come ha vissuto.

Fil.- Che intendi dire?

Car.- Intendo dire che la vita è stata dura per lei. Vedi, si è fatta tutta da se.  Suo padre era un semplice scalpellino, e, come tu sai, studiare in povertà non è semplice. Poi mirare in alto, come ha fatto lei, è veramente arduo.

Fil.- Beh, per raggiungere il successo tutti debbono fare delle rinunzie, dei sacrifici.

Car.- Retorica, papà, retorica. Comunque sia, dopo, per la carriera, si fanno i sacrifici , non prima, quando si studia. Dimmi, secondo te, chi ha più difficoltà a studiare, il figlio del povero o del ricco?  Chi ha fatto più sacrifici? io, per laurearmi con te alle mie spalle, senza problemi economici, con una cultura di fondo, oppure lei, con un padre semianalfabeta, senza un quattrino e vivendo in un ambiente… povero?

Fil. - Beh, certo…(addivenendone)

Car.- Naturale. Quindi, come era logico, le difficoltà l’hanno corazzata, la forza di volontà l’ha sostenuta ed ha raggiunto il suo obiettivo: la laurea in Architettura. Ed ora ne persegue un altro: il successo, la notorietà. Ma non fine a stessi, o per ambizione – no; eppoi non  è neanche vanitosa, sai? ma in quanto apportatori di altri lavori, altre committenze, tali da poter sviluppare tutto il suo talento. Puoi darle torto?

Fil.- Effettivamente…

Car.- E’ anche tanto pragmatica, quanto io sono fatalista. Ma in privato è deliziosa.

Fil.- Meglio così. E con la tua ex compagna, come è finita?

Car.- Beh, le ho detto che c’era un’altra donna nella mia vita. Si è fatta un breve pianto e si è messa alla ricerca di un altro uomo.

Fil.- Mih, così vanno le cose tra voi giovani d’oggi?

Car.- E non è meglio? Ci sono meno problemi, meno gelosie, meno scenate.

Fil.- Glielo dirò a tua madre.

Car.- Cosa? A mamma?

Fil.- Volevo dire: se ci fosse tua madre lo direi, e stai sicuro che si scandalizzerebbe.

Car.- Altra generazione.

Fil.- Comunque sono contento per te… e speriamo che presto mi darete dei nipotini.

Car.- E dalle, per favore non toccare più quest’argomento. Ascoltami papà, ti ho pregato diverse volte di essere gentile con lei, di non essere scontroso, di lasciarla lavorare in pace, invece tu fai orecchie da mercante e continui ad essere  il solito bastiancontrario, e fai anche il ragazzino caparbio.  E va bene, dico io,  pazienza, è il suo carattere, vuol dire che ho avuto la sfortuna d’avere un padre che è fatto com’è fatto, che non vuole capire e non mi vuole aiutare - basta! Ma ora, come se già tutto questo ciò non bastasse,  vedo che ti sei messo anche a stuzzicarla, a punzecchiarla, a fare ironia gratuita- anzi sarcasmo!, a imporre i tuoi capricci, insomma ho l’impressione che tu voglia arrivare per forza allo scontro frontale. Ecco penso a questo. E credo di non sbagliarmi.

Fil.- Ah, hai avuto la sfortuna di avere un padre…già, gia. E bravo! Bravissimo, e che bella tirata hai fatto, sembravamo a teatro! Bravo! (poi di getto) E invece ti sbagli, caro mio, io ti ho voluto aiutare, ma lei non mi aiuta. (b.p.) Comunque non voglio litigate con te.(come trasognato) Io la stuzzico?  ma quando mai!, faccio ironia?  Sono ironico per natura. O, infine (come voler dire: che mi importa, sono il padrone o no?, poi conciliante)… sentimi bene  Carlo, io cerco soltanto di non farmi sopraffare dalla sua personalità, che è forte, anzi fortissima - e   tu ne sai qualcosa, vero? E vorrei, se posso permettermelo, che la signoria vostra non si “arruffasse”, non ti offendesse; vorrei anche difendere i miei, come chiamarli? Desideri? Necessità? Capricci senili, chiamali così - se vuoi. (quasi sbuffando) Ma insomma, infine sono nel mio diritto. ( poi sforzandosi di calmarsi) Niente di personale. Tutto qui, te lo giuro: “beddamatrisantalfiu”.( giura da popolano, ma mentre parla tiene le mani dietro le spalle, e fa le corna). Avanti, vieni qui, facciamo pace.(si avvicina e lo bacia sulle guance)

Rientra Giulia e si avvicina al tavolo cercando una disegno nella borsa

Car.- Tutto risolto?

Giu.- ( vedendo Filippo si contraria) Quasi.

Car.- E il bagno?

Giu.- C’è da sostituire i sanitari.

Car.- I sanitari, quelli buoni, e perché?

Controscena di Filippo che segue la discussione ora guardando l’uno, ora l’altro con la bocca aperta, come se tentasse di capire meglio.

Giu.- (sempre infastidita) Perché non sono compatibili con gli scarichi.

Car.- Ma…ma non si poteva controllare prima?

Giu.- Certamente, ma quel cialtrone di impiantista non l’ha fatto.

Car.- E allora?

Giu.- E allora compreremo i sanitari compatibili e questi li monteremo nell’altro bagno.( si immette nell’esame di altri fogli)

Fil.- (allarmato) Quale altro bagno? ( a Carlo) Ho due bagni?

Car.- (imbarazzato, cercando di spiegarsi) Vedi, la lavanderia ci è sembrata troppo spaziosa, quindi abbiamo pensato di ricavarne un piccolo bagno per gli ospiti.

Fil.- Quindi, per esempio, io che vivo solo in questa grande casa, ho la necessità di avere un bagno per gli ospiti - che un giorno avrai tu?

Car.- Prevederlo è sempre meglio, no?

Fil.- Certo, prevedere, naturale, ma non provvedere – e subito! Carlo, a me serve una casa per abitarla, non per prevederla. Tu, si, che dovrai prevedere per poi provvedere, ma  per quando sarà… quando verrà…insomma per - dopo, ahò! quando tirerò le quoia (fa il gesto con le dita, per dire quando morirò).

Giu.- Sempre catastrofico ( intanto ha trovato quello che cercava ed esce, infastidita).

Fil.- Ma insomma! Insomma! Volete strozzarmi? Volete darmi una brutta vecchiaia! Volete vedermi al lastrico! Servitevi pure allora (glielo grida dietro a Giulia), ecco Cristo in croce. 

Car.- Papà  siamo sotto di appena diecimila euro; con questi ultimi inconvenienti andremo sotto al massimo di ventimila euro. Non sono una grande somma. Se non ce l’hai tu, provvederò io.

Fil.- E come, di grazia?

Car.- Cederò il quinto dello stipendio.

Fil.- Grazie! Grazie assai! Troppo generoso il mio signor dottore Carlo Moncada – col suo stipendiuccio. Ma io non ci sto lo stesso! Io le mie cose voglio farmele da me, senza ricevere elemosine. E’ casa mia? Ebbene debbo provvedere io a tutte le spese, ma a quelle preventivate!. Comunque grazie lo stesso.

Car.- Ma dai papà, questa casa un giorno, speriamo il più lontano possibile, sarà mia, ed è giusto che contribuisca. Poi abbiamo risparmiato sul costo della mattonelle.

Fil.- Ben fatto. E quanto hai risparmiato?

Car.- Circa diecimila euro.

Fil.- All’anima…(poi pensandoci) Ma che sono mattonelle d’oro? (ripensandoci) Se hai risparmiato diecimila euro, cioè il costo stesso delle mattonelle che vidi io in negozio, quanto vengono a costare effettivamente? Cinquantamila? Centomila? Altro che risparmio.

Car.- Vengono a costare nulla, nemmeno una lira: sai, un amico me li ha regalato…

Fil.- Le mattonelle?

Car.- Certo, quelli per il pavimento della casa.

Fil.- Chi? Ma come regalate? Come si possono regalare? Scusa quelle costano un sacco di quattrini.

Car.- E lui me li ha voluto regalare.

Fil.- (insospettito) Dimmi chi te li ha regalate, Carlo.

Car.- Te l’ho detto un amico, un amico che tu non conosci. 

Fil.-  Non ci vedo chiaro, non si fa un regalo di una simile portata…e sopratutto non si accetta.

Car.- Ma papà, sei tutto d’un pezzo.

Fil.- Io si, e me ne vanto. In quarat’anni di servizio mai c’è stato sul mio conto una piccola macchia o un piccolo dubbio sulla mia correttezza professionale. Ora tu sei un pubblico funzionario e lo sai: non puoi accettare regali da parte di nessuno. Specialmente dei fornitori, degli amministrati, dei richiedenti. Sai come si chiama questo: si chiama corruzione, ed è un reato, se non te lo dovessi più ricordare.

Car.- Ma dai, io non mi sono fatto corrompere da nessuno, figurati. Ho solo fatto …fatto solo un piccolissimo favore: cioè un balzo… come dire: ho fatto balzare in avanti una pratica - che si era arenata. Tutto qui. Solo per zelo. Nessun contraccambio. Niente di niente.

Fil.- E le mattonelle? Cosa sono una scatola di cioccolatini?

Car.- Sono un avanzo di certi lavori che questo amico aveva fatto. Le doveva buttare e me li ha regalati…

Fil.- Ah, le doveva buttare… e te le ha regalate. (con forza) E che mi hai preso per minchione?  Tu mi farai il sacrosanto favore di restituirle, oppure di pagargliele. Non le accetto! Argomento chiuso. E non discutere più.

Car.- Va bene, farò come vuoi tu. ( con finta rassegnazione).

Fil.- Io ti voglio sempre onesto e corretto, ricordatelo. Noi portiamo un nome pulitissimo, senza macchia, da quasi un secolo. Prima di me, mio padre, e prima ancora mio nonno, tutti  dipendenti della Stato, o da semplici impiegati o da funzionari. Ora ci sei tu, funzionario amministrativo di quinto livello. Sei importante lo sai? E anche per questo tu devi mantenere il nostro nome onorato, pulito, anzi immacolato! (b.p.) Ora, se vuoi darmi il tuo contributo per questa nuova casa, esso deve limitarsi a gestire meglio le mie risorse, evitare tutti questi sprechi, tutti questi…imprevisti. E anche a far rispettare i tempi. Lo sai bene che se non terminiamo in tempo dovrò sborsare una grossa penale?

Car.- Grossa quanto?

Fil.- Grossa quanto diecimila euro più millecinquecento per ogni altro mese di ritardo. E siamo in grave ritardo! E se fra due mesi non finiremo, la dovrò pagare come un cornuto! (poi infervorandosi) “Malanova a mia!” Troppe spese, troppe spese. Non ci arrivo, non ce li ho! E come faccio? Come faccio! Altri debiti?  Madonna mia santissima…Finirò per iscrivermi nella lista dei poveri! Contenti?  (ampio giro come per volersi rivolgere al mondo, poi disperandosi) Ma signori miei, signori miei! Quando mai io! Quando mai ho avuto debiti? Quando mai sono stato assillato dalla mancanza di soldi? Quando mai ho spaccato in due il centesimo? ( come se facesse un comizio) Gente, tutto avrei pensato, tutto si poteva dire di me, tranne che finissi la mia vita povero e pazzo! Sul lastrico! ( nuovamente disperato) E ora ci si mette anche mio figlio che per leggerezza, rischia di giocare col codice penale. E tutto questo per una stramaledetta follia (si tormenta le mani e se li porta al viso, tirandosi la pelle delle guance), follia mia, di mio figlio, e di quella…Architetta – ma perché non se ne è rimasta in casa, a fare la calza?! Filippo Mancuso povero! Presente! (s’è posto sull’attenti, saluto militare, ma nella foga della tirata, l’elmetto gli cade per terra e lui lo prende a calci)  Tiè, questo è per il fatalista, questo per la pragmatica e questo è per me povero “Sammastiano vergine e martire!” (Si fa male ad un piede)  Ahi! “Botta di sangu”(esce furioso).

Car.- Calmati papà.

Entra Giulia

Giu.- E’ passato un ciclone?

Car.- Era furioso. Non l’ho mai visto così adirato.

Giu.- Ha fatto il suo psicodramma? Ma gli passerà, vedrai. Fra una settimana inizieremo con la facciata e, non appena l’avrà vista, sono più che sicurissima, che gli passerà. E’ con la facciata che si vede la casa in tutto la complessità della bellezza delle line architettoniche, dello splendore dei colori, della raffinatezza dei materiali. Adesso è come una bella donna sciattona,vestita di casa; ma con la facciata essa si metterà in abito da sera. E vedrà, vedrete e sbalordirete. E poi, montando gli infissi e gli impianti, vedrà quanto è comoda e funzionale. Sai è solo allora che il proprietario la sente finalmente sua.

Car.- Speriamo.

Giu.- Ma non mi fare come tuo padre, che oltre che pessimista è anche tirchio. Non potrei sopportarlo.

Car.- No, ma che tirchio. Certo, non è mai stato prodigo è vero, ma in casa è stato sempre generoso.

( cercando di minimizzare) Forse è nervoso per quel prestito che gli ho fatto accendere… lui non ha mai avuto debiti in vita sua… e per agli altri imprevisti. Forse è preoccupato per la penale che dovrà sborsare se non lascia la casa nei termini previsti. D’altronde, qui, i lavori vanno a rilento…

Giu.- Ecco, hai ripetuto quello che ha detto lui, l’ho sentito sai?. Ma lui può dirlo, è ingenuo, tu no! (b.p.) O forse pure tu ti aspettavi che tutto andasse liscio? Che si potessero rispettare i tempi? Ma le difficoltà, oggettivamente, ci sono sempre e bisogna tenerne conto, e te lo dissi. Una cosa è progettare, un’altra è eseguire. Poi ci sono gli imprevisti, poi ci si mettono gli operai – tanto per la cronaca, oggi lavorano soltanto in due – e, per di più, nel nostro caso, ci si mettono anche i materiali. Quando mi parlasti di questa tua idea di fare una nuova casa per tuo padre, che poi sarebbe stata tua, io non te lo dissi chiaramente quale erano le mie intenzioni? Quando ti presentai il progetto, non lo vedesti come era complesso?  Ora per realizzare una simile costruzione, fuori da ogni schema usuale, le difficoltà si moltiplicano: per esempio, per alzare una parete rettilinea, in blocchi, dall’operaio ci si aspetta soltanto la precisione e la rapidità, ma nel nostro caso gli si richiede anche abilità, perizia, competenza, intelligenza; e i materiali che usiamo? sono eccellenti ma non comuni, e quindi bisogna ordinarli in fabbrica e farli arrivare, tra uno sciopero e l’altro, tra un disguido e l’altro. E i tempi si allungano – smisuratamente! E così via.

Ora non mi si dica più che abbiamo sforato i tempi previsti, sennò m’incazzo!   

Car.- Si, però lui questo non lo concepisce, per lui un accordo è sacro, è un contratto non scritto, ma da onorare come se lo fosse,  e forse anche di più. Egli pur di mantenere la sua parola, è capace di qualsiasi sacrificio, qualsiasi cosa… tranne rubare. Quindi non capisce queste difficoltà e mi tiene sotto pressione. Un semplice ritardo? un contrattempo? e se la prende sempre con me.

Giu.- Per fortuna.

Car.- Già. (addolorato, poi quasi tra se) forse pensa di non arrivarci in tempo, chissà…poi s’è fissato con quella voliera…

Giu.- Comprendo…Comunque non pensare che io sia un’ingrata. Capisco lo sforzo che hai dovuto fare per accettare il mio progetto e di tutte le pressioni che devi sorbirti. E ti ringrazio, ti ringrazio anche per questa opportunità che mi hai dato (b.p., poi con slancio) Oh Carlo, questa è solamente una, ma se tu sapessi quante idee mi frullano in testa, quante soluzioni, quanti sogni mi assillano. E non posso ignorarli. A tutti i costi debbo assecondarli, debbo dargli spazio, debbono nascere! Ma ho bisogno di tempo, mi servono persone che si fidino di me, dei committenti mecenati. E per queste idee o sogni, accantono anche l’amore, come tu stesso mi rimproveri. Ah, se sapessi quale è il mio più grande desiderio…

Car.- …Avere un figlio.

Giu.- Cosa? Un figlio? Io? Ma che sciocchezze dici!

Car.- Non tu, ma io. Non badarci, sognavo, ero soprappensiero.

Giu.- Ah, ma allora io parlo, ti apro il mio cuore, ti metto a parte delle mie aspirazioni, e tu sogni - pensi ad altro?

Car.- Perdonami, ma ti seguivo lo stesso. Se vuoi ti ripeto ciò che hai detto parola per parola. Forse si è trattato di un lapsus freudiano, mio padre desidera ardentemente un nipotino.

Giu.- (vedendolo mortificato) E dai, non fare quella faccia. Avanti, ti perdono, e per consolarti stasera vieni a cena da me (maliziosamente).

Car.- (entusiasta) Davvero? Ma è magnifico.

Entra Cosimo, è trafelato.

Cos.- Signor Moncada. Corra, venga, suo padre…

Giu.-  S’è infortunato?

Car.- Mio padre cosa?

Cos.- Suo padre ha avuto un malessere, è caduto a terra come una sacco di patate.

Car.- Dov’è?

Cos.- Sulla strada, appena fuori dal cantiere, con lui c’è un passante.

Car.- M’accompagni. ( a Giulia) Chiama un’ambulanza, per favore. (escono di corsa)

Giu.- Subito (prende il telefonino e compone il numero, intanto mormora) Fuori dal cantiere, meno male.

Tela

                                                             Atto terzo

Stessa scenografia del primo atto, però ci  sono degli scatoloni in giro, come per un trasloco.

All’apertura del sipario, in scena c’è Filippo seduto su una sedia a rotelle e Caterina seduta dietro il tavolinetto.

Cat.- …eppoi per me è giusto punire coloro che abbandonano gli animali per strada. Alimentano il fenomeno del randagismo. Ti ricordi di quella sera, a Nicolosi, intanto che passeggiavamo in quella strada di campagna, quando quei cani randagi quasi ci attaccarono e ci costrinsero a scappare? Mamma che paura quella volta…

Fil.- (come voce fuori campo) Guarda, che il randagismo è alimentato anche dai quei personaggi di pseudo- buon cuore, che lasciano da mangiare ai cani, diciamo, senza padrone.  

Cat.- Però poveretti, abbandonati così…

Fil.- Si, poveretti, va bene, ma quando sono in branco… Comunque punire chi abbandona gli animali è giusto. Però, sosteneva mio cugino Federico, nessuna struttura pubblica accoglie gli animali che sono divenuti fastidiosi o addirittura pericolosi. Quindi, amaramente aggiungeva:  l’uomo, per legge, non deve maltrattare gli animali, ma questi possono maltrattare l’uomo. Per esempio, mi diceva ancora, prendi quel suo cagnaccio, novello Attila, che gli stava distruggendo, sbriciolando e devastando tutto ciò che aveva a portata di zanne e di fauci! Che so io, dal bucato steso al sole, gli attrezzi da giardinaggio, dal filo del telefono, al coperchio della cisterna, dal pergolato, agli alberelli da frutta, e all’orticello! Poi abbaiava ai temporali e ai fuochi d’artificio, oltre che alla luna! E vicini minacciavano la denuncia per disturbo della quiete pubblica. Ora ditemi, protettori degli animali- proclamava - con un simile animale, per difendersi, cosa doveva fare? Chiamare la protezione civile? il 113? o denunciarlo alla Procura della Repubblica? Te lo immagini i titoli dei giornali: “Uomo denuncia cane per molestie!”    

Cat.- Certo, sono casi limite…sporadici. Vero?(b.p.)…  ma che fai non mi rispondi più?

Fil.- No, stavo riflettendo su quello che sosteneva Giacalone, a proposito dell’insensatezza umana.

Cat.-. Giacalone? Sempre lui?

Fil.- E cosa posso farci se ho un amico che sa quasi tutto? e che mi racconta tanti fatti e fatterelli? Dunque, l’altro ieri mi diceva che agli ambientalisti, qualche anno fa, hanno riportato le vipere sull’Etna, per ripopolarla; e che una di quelle bestiacce così imprudentemente importate, con un morso sul naso, gli ha ridotto il cane in fin di vita.

Cat.- Davvero? E come?

Fil.- A tradimento! mentre quella innocente bestiolina annusava un cespuglio di pitosferi, dove la vipera era acquattata - e proprio nel giardino di casa, a Nicolosi!

Cat.- Guarda chi cosi!  Matri santissima, e se fosse stato lui o sua moglie, a mettere la mano in quel cespuglio?

Fil.-  Lo immagini vero? (b.p.)

Cat.- Appunto! (b.p.) Certo però che gli amici ambientalisti, animalisti, forestali, e quelli del Parco dell’Etna, dovrebbero capire che quando si esagera si esagera…

Fil.- E gli uccelli? Proprio Giacalone – si va bene, sempre lui –  tempo fa, si lamentava anche di essi: mi raccontava che non riesce più a raccogliere quelle quattro ciliegie e due pere che i suoi alberelli riescono a tenere sui rami, superando gelate, siccità, parassiti ecc. perché le ghiandaie glieli mangiano - ancora acerbe…

Cat.- Quello si lamenta di tutto. Ma da quando il mondo è mondo gli uccelli hanno sempre beccato la frutta dagli alberi.

Fil.-  Si è vero, però, sosteneva, adesso ci sono molte, ma molte specie di uccelli che sono protette - insomma non si possono impallinare - e quindi, senza predatori naturali e senza doppiette, essi si sono moltiplicati velocemente. Diceva addolorato: sono nudo! senza difesa. Poi aggiungeva sarcastico: forse, chissà, ci penseranno a difenderlo proprio i parchisti e gli – esageratisti, come lui apostrofa gli ambientalisti e gli animalisti. E si sfogava amareggiato: dimmi, dopo tante spese, fatica e speranze, ho il diritto di raccogliere le mie quattro ciliegie e le mie due pere? O devo andare a comprarmeli dal fruttivendolo, imbottiti di veleno e veleno e veleno? Si o no? (b.p.)

Cat.- E tu cosa gli rispondesti?

Fil.- Di fare lo spaventapasseri part-time!

Cat.- Cattivo.

Fil.- Ma caro Filippo, mi rispose avvilito, forse oggi non è consentito neppure quello!

Cat.- Per non traumatizzarli? Sempre esagerato, lui. (b.p.) Ma che fai, stai di nuovo sonnecchiando, vero? Va bene che adesso parliamo con pensiero, ma tu sei veramente soporifero. E dai, parliamo ancora. Lo sai che mi piace parlare, rivangare il passato, la nostra vita, quella di nostro figlio…A proposito, che te ne pare, cosa ne pensi di lui? Ultimamente il suo comportamento mi sembra strano, molto strano… è come se fosse sempre confuso, incerto – va bene, in un certo qual modo, lo è sempre stato – ma questa volta mi pare che stia esagerando. Eppoi ho l’impressione che sia in balia di quella – Giulia: Pende dalle sue labbra. E stavolta non vorrei contraddirti, ma credo veramente che sia succube di lei. Mi sbaglio, o non mi sbaglio? Tu tentenni: dici forse si e forse no. Eh? Che dici? Non mi rispondi… certo che sei formidabile nel dare pareri (controscena di Filippo).

Senti, per caso ti sei stancato, o ti senti male? No, vero… capisco, sei frastornato; in casa in questi giorni, c’è stato un po’ di trambusto e di eccessivo movimento: smontavano mobili, facevano pacchi, imballavano vasellame… e speriamo che l’abbiano sistemati bene e che tutto arrivi intatto. Sai, sarei curiosa di sapere come Carlo li metterà nella nuova casa. Penso che li disporrà  come li avevo disposti io, trentacinque anni fa. Caso mai, tu dovresti suggerirglielo di fare così, ci terrei tanto tanto …In fondo siamo noi che la dovremo abitare. Cioè, volevo dire: tu, con me vicina vicina.

Fil.- ( con voce di sonno)Beh, e se la nuova casa non fosse ancora pronta?

Cat.- Non sarebbe un disastro. Vuol dire che pazientemente aspetteremo; tanto si tratterà, ormai, di attendere solo qualche giorno, non casca mica il mondo… Su, non essere brontolone, come al solito tuo, certamente non lascerà il mobilio per strada, a marcire all’acqua al vento e al sole…. Stai tranquillo.  Eppoi, pensaci bene, a questo punto, dove andresti ad abitare, se la casa non fosse già pronta?

Fil.- … Sotto gli archi della marina!

Cat.- Ma dai, sciocco di un pessimista, anzi yin. (b.p.)  Non rispondi più? Va bene, va bene, ho capito, stai di nuovo dormendo. Allora, buona pennichella

Stessi effetti di luce per far tornare il ritratto, poi entrano in scena Giulia e Carlo.

Giu.- Dorme? (indicando Filippo)

Car.- Io l’ho lasciato che sonnecchiava. Papà sei sveglio?

Giu.- E come fa a risponderti? L’ictus non gli ha tolto pure uso della parola?

Car.- Si, certo, gli ha devastato tutto il lato destro. Ma sai, l’abitudine. (si avvicina a Filippo e lo guarda meglio) Si, dorme.

Giu.- Ma il dottor Cocuzza cosa dice? C’è qualche probabilità di guarigione?

Car.- Per prima cosa mi dice sempre che è una testa dura; poi allarga le braccia come se sperasse solo in un miracolo.

Giu. – Per quanto riguarda la testa di coccio sono d’accordo. Ma anche se il colpo è stato tremendo, un medico non deve mai allargare la braccia. Poi deve aver pazienza, i malati non debbono essere lasciati senza speranza.  Dico, ma ti fidi di lui?

Car.- Lo ha scelto mio padre, mi scrisse il suo numero telefonico su un biglietto. Sembra che fossero compagni di scuola. E Cocuzza di pazienza ne ha avuto tanta con lui. Mi ha detto che papà aveva il colesterolo a trecento e se ne infischiava. Gli aveva prescritto la pilloletta, e non la prendeva, gli richiedeva certe analisi, e non se le faceva. Insomma è stato tosto.

Giu.- Se l’è voluta, allora.

Car.- Certo. E, come se non bastasse,  era iperteso.

Giu.- Salute! E tu non facevi nulla?

Car.- E chi ne sapeva niente. Diceva sempre di stare benissimo, di sentirsi in forma. Certo, se ci fosse stata viva la mamma…

Giu.- L’avrebbe fatto filare, vero?

Car.- In un certo qual modo, si.

Giu.- Lo teneva in pugno?

Car.- No, no, questo no. Anzi era lui che le reggeva le redini in casa, sempre in senso buono, si capisce, perché l’adorava. Ma la mamma lo avrebbe controllato, gli si sarebbe dedicata.

Giu.- Scusa, ora che ci penso, ma se non ci sono speranze di guarigione, perché nella sua stanza ci sono tutti quegli attrezzi da palestra?

Car.- E’ stato il fisioterapista che glieli ha comprati, dice che servono per la riabilitazione.

Giu.- Ma quale riabilitazione se è fisicamente tutto compromesso. Per me quello gli sta fregando i soldi.

Car.- No, non lo credo. E’ un bravo giovane, figurati lo porta anche nel bagno per le sue necessità. E, come vedi è sempre pulito…

Giu.- Ma di queste cose non se ne occupa l’infermiera?

Car.- Certo. Ma anche lui… eppoi gli fa la barba e, qualche volta, gli ha tagliato anche i capelli. 

Giu.- Sarà, ma per me puzza! Beh, ormai è andato.(gesto come per dire: non conta più) Allora da dove incominciamo?

Car.- Non saprei…intanto dovremo fare portare via tutti i mobili.

Giu.- Bella scoperta!

Car.- Volevo dire: intanto che si portano via i mobili, io chiamo l’ambulanza.

Giu.- E sempre l’America che scopri. Guarda che fai, chiama subito l’ambulanza e dai anche il preavviso alla casa di riposo. Io, se non ti dispiace, mi occupo di contattare il trasportatore per  portavi via i mobili.(guarda Carlo) Tutti … come d’accordo, vero?

Car.- (tentennate) Tutti?

Giu.- Ci sono ripensamenti?

Car.- No, mai! Si, certo, ma si, tutti.

Giu.- Bene adesso telefono e lo confermerò a don Crispino- sai, può darsi che gli serva per regolarsi  su che mezzo impiegare…

Car.- Come vuoi. E lui? (indica il padre)

Giu.- Lui? Lui cosa?

Car.- ( a bassa voce) Chi glielo dice a lui che lo portiamo in una casa di riposo per invalidi, anzicchè nella nuova casa?

Giu.- Gli diremo che ha bisogno di cure riabilitative.

Car.- ( Sempre a bassa voce) Ma ci crederà? Qui a casa, come già sai, viene il fisioterapista, privatamente, a fargli fare i movimenti adatti. Ci crederà?

Giu.- Ti ho detto che gli dirai che deve fare ulteriori  cure specialistiche. Digli anche che là c’è una grande voliera. E che diamine, non sai impapocchiare una scusa decente?

Car.- Giulia, sai, io non sono bravo a  mentirgli.

Giu.- …o non te la senti.

Car.-… mettiamola così.

Giu.- E allora che vuoi, che glielo dica io?

Car.- No, glielo dirò io, ma vorrei dirgli le cose come stanno per davvero.

Giu.- E se si prende una collera e ci resta stecchito?

Car.- Cercherò di avere tatto.

Giu.- Io non gli direi nulla. Sai i colpiti da ictus, hanno le lacrime facili…non sopporterei una scena patetica. Comunque fai pure, vuol dire che io scendo giù, e vado a comprarmi qualcosa da mangiare - intanto che tu  spifferi tutto a lui.

Car.- D’accordo, d’accordo, forse hai proprio ragione. Niente verità. Gli dirò ciò che abbiamo concordato.

Giu.- Oh, finalmente ragioni.

Car.- Non è facile, sai.

Giu.- Lo credo, ma quando una cosa si deve fare che si faccia. A me non importa nulla, non è mio padre, ne mio parente. Ma credo che sia la cosa migliore, per te, portarlo in una casa di riposo anzicchè trascinartelo in giro. Perché nella nuova casa per adesso non può andare, qui non può più restare, dove lo porteresti allora? Non certo da me! Scordatelo! Quindi la scelta è obbligata.

Car.- Va bene, per alcuni mesi, ma dopo si potrebbe…

Giu.- Se stai ancora con me, te lo puoi completamente scordare. Non mi tengo in casa un invalido totale che puzza di cacca e di pipì. Se ci vuoi pensare tu, per conto tuo, fai pure. Portalo nella nuova casa, ma io non verrò mai da te – mi fa senso…eppoi è proprio demente.

Car.- Ma non mi dicesti che saresti venuta a stare con me, nella nuova casa?

Giu.- Esatto.

Car.- E che ti avrei ceduto la camera da letto matrimoniale, il bagno e il soggiorno per farti lo studio privato?

Giu.- Esatto.

Car.- E che ti avrei lasciata libera di fare la tua vita?

Giu.- Esatto.

Car.- E allora, forse potresti accettare…anche lui.

Giu.- Sbagliato!

Car.- Ah…Va bene, va bene, come non detto. (b.p.)  Certo, se capisce ancora, gli diamo un colpo terribile…

Giu.- …alt, alt: gli dai tu! un colpo terribile. Sei tu il figlio, e sei tu che stai prendendo tutte le decisioni…

Car.- …ma tu mi stai aiutando…

Giu.- Ah, la metti così? Ma bene! (si gira adirata, poi con calma glaciale) Certo, ti sto collaborando, ma perché mi hai supplicato di non lasciarti solo in un momento così difficile. Mi hai implorato, ricordi? (imitando Carlo) Giulia, ti prego, io sono molto scosso, vedi di aiutarmi, tu conosci tante persone. Avrei bisogno di un trasportatore, di un’ambulanza, di una casa di riposo decente, (poi aspra) di questo, di quello; e adesso mi rinfacci il mio aiuto?

Car.- Ma nemmeno per idea! Io rinfacciarti? Lo dicevo solo per farmi forza.

Giu.- … e ne hai di bisogno, bamboccio. Ciao, io scendo e cerca di sbrigarti presto, ho tanti di quegli impegni oggi…( Esce)

Car.- Stai tranquilla, mi sbrigherò presto (quasi impappinandosi. Poi rimasto solo, si aggira per la stanza, va vicino al padre, lo osserva, si china, poi si rialza e gironzolando va verso il tavolinetto dove c’è la foto della madre. Egli la guarda, l’aggiusta, la spolvera soffiandoci sopra, quindi la rimette a posto. Intanto Filippo da segni di risveglio. Carlo lo chiama piano piano) Papà, papà…sei sveglio? (lo osserva e vede che effettivamente si sta svegliando) Ti sei fatta un’altra pennichella, briccone. Lo sai che ti hanno consigliato di rimanere sveglio più che puoi. Vediamo un po’: vuoi lavarti il viso?  (Filippo fa cenno di no) vuoi bere qualcosa? ( Filippo idem) Ah, forse è l’ora delle medicine…(guarda le scatole di medicinali poggiate sul tavolino e cerca la ricetta) Già, le medicine… ecco qua: quattro gocce di questo (prende un contagocce e il flacone e ne mette quattro gocce in un bicchiere nel quale versa un dito d’acqua)…si, poi ci sono queste pillole…vediamo…certo, sono una e una (le prende dalle relative scatole e le porge al padre che prende con la mano sinistra e le ingoia con l’acqua del bicchiere delle gocce)… benissimo, sei stato bravo. Vedi che quando ti ci metti riesci a deglutire? Monellaccio! (lo minaccia col dito. Durante tutte le tirate Filippo farà adeguata controscena con viso e con la testa, ma non col corpo, che è paralizzato, farà soltanto dei piccoli movimenti col braccio sinistro. E saranno espressioni di scherno, ti rassegnazione e di rabbia, in base alle frasi che vengono pronunziate dal figlio ). E adesso ti debbo dire qual è il programmino per il mio babbino: dunque, per prima cosa chiamerò un’ambulanza che ti porterà presso la nuova Casa di Cura “Dolce Riposo”- dove hai prenotata una bella camera con vista panoramica - nella quale sarai sottoposto a nuova fisioterapia riabilitativa. E sai? Lì c’è anche una grande voliera, a disposizione dei pazienti che fanno una terapia bio-entologa-integrativa   Sei contento? Si? Bene! Vediamo, ci resterai, vediamo, vediamo… tre o quattro mesi, a seconda di come risponderà il tuo organismo. Poi ti faremo fare una visita specialistica e, se sarà positiva, ti riporteremo a casa. Non in questa, naturalmente, ma nella nuova casa  che sarà pronta, diciamo, fra venti – trenta giorni al massimo, con la tua brava volierina. Intanto, da domani,  lasceremo questa a disposizione del nuovo proprietario… e tutto senza pagare penale! Non sono un asso? Allora, sei contento? E oggi faremo portare via tutti i mobili e li depositeremo presso il magazzino di un Trasportatore di fiducia, che mi ha segnalato Giulia, nell’attesa di riportarli a casa. (qui Filippo farà un gesto come dire: ora si che siamo a posto). Allora, numero uno, fare telefonata per ambulanza…. (prende l’apparecchio e compone il numero, intanto che aspetta la risposta, spolvera di nuovo la foto di sua madre) Pronto? Croce Azzurra? Qui Moncada, ho prenotato una autoambulanza…ah sa già tutto? Allora la fa partire? Grazie. Numero due, telefonare in clinica. Sai, è meglio preavvisarli del nostro arrivo… (chiude la comunicazione, e fa un’altra telefonata) Pronto? Casa Dolce Riposo? Qui Moncada, confermo che arriviamo tra…diciamo un’ora. Grazie. ( chiude e si asciuga il sudore dalle mani e dalla fronte con un fazzoletto, come se avesse fatto un grandissimo sforzo).

Entra Giulia.

Giu.- E allora?

Car.- Tutto a posto, arriva fra poco.

Giu.- L’ambulanza, certo. Ma con lui (indica Filippo col mento)

Car.- Sai (facendo l’allegrone) ho detto a papà della clinica per il nuovo ciclo di  riabilitazione. E’ entusiasta. (controscena di Filippo come per dire: eccome).

Giu. – Ciao Filippo, come và? (Filippo resta immobile)

Car.- Scusalo è ancora mezzo addormentato.

Giu.- Ma certo, come sempre d’altronde. (apre il cartoccio e si mette a mangiare patatine)

Car.- Ma che mangi, patatine fritte? Ma ti fanno ingrassare.

Giu.- Mi andavano…ah, sta  arrivando il furgone.

Car.- Hanno fatto presto.

Giu.- Erano già per strada quando ho telefonato, fra poco saranno qui.

Cer.- Certo…certo. Allora cosa facciamo?

Giu.- Io finisco le patatine, tu, non saprei.

Car.- Io dovrei scegliere cosa portare con noi…

Giu.- …con te, prego.

Car.- …con me. Dunque (si aggira per la stanza ), dunque…dunque.

Giu.- Cerca di non trasformare quella magnifica nuova casa in una bottega di rigattiere. Stai attento!

Car.- Lo so, lo so. Mi porto l’essenziale.

Giu.- Sempre che questo essenziale sia poca roba, altrimenti, seppur provvisoriamente, non te la faccio entrare in casa mia. Chiaro?

Car.- Chiaro. (cerca d’imitarla, ma il suono gli esce chioccio, poi esce).

Giu.- Uffa! (va verso la finestra, passando vicino a Filippo che la segue con la testa, controscena adeguata) Filippo, cosa hai da guardare? Vuoi una patatina (Filippo non le risponde) Vuoi un dolcetto? Ne ho tanti in borsa? (idem) Allora cosa vuoi? Perché mi guardi così? Ce l’hai forse con me? (idem) Spero di no. Anzi sono sicura di no. E perché dovresti averla con me? La casa te l’ho fatta ed è completa – beh, quasi completa: ancora qualche cosuccia qua e là;  la penale non la paghi, il preventivo ha sforato, fin’ora,  solo del cinquanta per cento. E uno sforamento simile è un successo, credimi - domanda a chi vuoi tu. Per me è tutto okkey - ho la coscienza a posto io – Comunque se per te non lo è  pazienza, non so cosa farci. (b.p., intanto guarda fuori dalla finestra, poi come folgorata da un’idea). Senti, per caso ce l’hai con me perché credi che sposi tuo figlio e lo rovini? Stai tranquillo, tranquillissimo, perché non mi sognerei di sposarlo, ne ora ne mai, questo è certo. Vorresti sapere perché non lo sposo?  Ma per il suo bene, sicuro, anzi è sicurissimo…certo per il suo bene. Lo sai perfino anche tu che non siamo bene assortiti - io e lui.(b.p., intanto rientra Carlo – controscena di Carlo - e Giulia non se ne accorge) Va bene, te lo dico in confidenza: a letto è magnifico, ma fuori, fuori è una frana: pasticcione, timido, senza spina dorsale. Insomma, io con un tipo simile non ci saprei stare, proprio per nulla. Certo è onesto, e qualche volta questo può essere una grave colpa, sai, in certi ambienti ha lo stesso significato di fesso! Poi io frequento circoli artistici, culturalmente elevati, gente con idee e soldoni, gente che conta.  E lui, cosa fa? Guarda la televisione o va a vedere la partita di calcio. Capisci? E con una simile palla al piede…(intanto Carlo, con le mani piene di oggetti e di fogli da buttare via, rimane costernato, Giulia si accorge della sua presenza e lo aggredisce) Che fai impalato lì, origli? Spii? Sei impossibile. E’ sei veramente una palla al piede, e tu lo sai già, perché te l’ho detto mille volte e in tutte le salse. Uffa!  

Car.- Ma non era necessario dirlo a lui! (e contrariato si guarda attorno)

Giu.- Ma che siete permalosi di famiglia? Mavvia!

Entra il trasportatore, si chiama don Crispino.

Cri.- Buon giorno…era aperto…(porta uno scatolo di cartone)

Giu.- Carlo questo è don Crispino, il titolare della ditta di trasporti di cui ti parlai.

Car.- Buongiorno…piacere…si accomodi.

Cri.- Piacere mio. Scusate, da dove cominciamo?

Car.- (guardando Giulia per averne l’assenso) Dalla mia camera da letto, poi la camera matrimoniale, poi lo studio, la cucina. Qui per ultimo. Aspettiamo l’ambulanza …per lui. (indica Filippo)

Cri.- (toccandosi la fronte) Buon giorno signore, scusi non l’avevo visto. (poi  a Carlo) Ho capito. ( quindi agli ipotetici operai che aspettano fuori) Allora “carusi” si incomincia dalla camera da letto. (sta per uscire) Ah, se avete qualcosa da buttare via, metteteli in questo scatolo, lo depositeremo noi nel cassonetto della spazzatura.

Car.- Grazie lo faremo.(poi a Giulia che mangiucchia ancora) Potevi risparmiartela quella tiritera della palla al piede, almeno con lui. Sempre suo figlio sono, no?

Giu.- Uffa. E sei anche uno scocciatore.

Car.- Anche questo! (intanto, adirato, getta quello che ha in mano nello scatolo) E lei mangia!

Giu.- Già, debbo nutrirmi.

Car.- Lo vedo…ma se ingrassi?

Giu.- Sono affari miei. Poi, fra non molto, ingrasserò ugualmente.

Car.- E perché? se è lecito.

Giu.- E’ lecito. Perché sono incinta.

Car.- (gioioso) Ma è una bellissima notizia. (sta per abbracciarla, ma Giulia lo scosta)

Giu.- E’ una bella notizia, ma non per te.

Car.- Come sarebbe a dire?

Giu.- Sarebbe a dire che tu non sei il padre.

Car.- (sbalordito) Non…non …non sarei io…il… (controscena di Filippo: prima si era addrizzato, poi si lascia andare deluso)

Giu.- Già.

Car.- E allora chi è?

Giu.- Uffa quanto vuoi sapere.

Car.-  Non debbo saperlo, non credi che ne avrei il diritto?

Giu.- No.

Car.- Ma una spiegazione…almeno.

Giu.- …neppure. Ora basta, me ne vado giù a prendere…aria. (detto come se fosse una liberazione. Esce in fretta)

Car.- (basito sul posto) Questa non me l’aspettavo proprio…non sono io il padre della creatura che porta in grembo. (rivolto a Filippo) Hai sentito pà? Aspetta un bambino e io non sono il padre. Ma allora chi sono io per lei? Un burattino! Per lei sono soltanto un grande fallo e basta? Mannaggia a me, mannaggia. (si avvicina a  Filippo) Avevi ragione tu, senza amore…Ma ti giuro che ci ho provato in tutte le maniere di conquistarla: le ho fatto una corte discreta ma costante; poi per starle più vicino e per accattivarmela – visto che tu in questa casa non ci stavi bene – o almeno così dicevi - ho escogitato la scusa della nuova casa per le tue necessità, affidandole la progettazione. Quindi l’ho assecondata in tutte le sue bizzarrie architettoniche, facendole sperticati elogi alla sua bravura, al suo genio inventivo; le ho finanziando l’opera andando anche ben oltre le nostre possibilità. Poi privatamente, quando ha ceduto – o almeno mi sembrava che avesse ceduto - ho provato con la dolcezza, con l’amore carnale, la passione, la devozione, con la fedeltà. Già, si vede che era proprio unilaterale questa fedeltà.  Niente! Non ho concluso proprio niente! Lei è difficile, ma io sono un cazzone! (Filippo lo guarda senza muovere un nervo) Già, sono un grande cazzone… in verità forse lo sono sempre stato…e mi vado a innamorare di una…di una… (Si ode una voce: “Buttana!”, poi don Crispino passa attraversando lo specchio della porta, spingendo un mobile)

Cri.-… Buttana …della miseria, quanto pesa.   

Car.- (guardando il padre) Esatto, vero? (controscena di Filippo)

Cri.- ( affacciandosi dalla porta) Signore, c’è un infermiere, vuole parlare con lei.

Car.- Grazie, scendo subito. (esce)

Cri.- Signore, ma cosa le è successo? Una “colpo”, vero? (intanto prende uno scatolone) Eh, anche ad un mio amico, tempo fa,  venne una botta tale… e da che era un pezzo d’uomo così, in pochi minuti diventò “nicu nicu”. Ma non succede a tutti, sa? Ad un altro amico invece andò meglio: ora cammina e guida anche la macchina.

Coraggio, può darsi che avrà fortuna. So che va in una casa di cura, beato lei che se lo può permettere…(raccoglie qualche altro oggetto ) La speranza è l’ultima a morire. (rivolgendosi ai suoi ipotetici collaboratori) “Carusi” che facciamo, dormiamo? ( girandosi verso Filippo, poi esce) Allora tanti auguri.

Filippo resta solo e guarda la foto della moglie. Stessa scena del primo atto: la foto che sparisce e Caterina che compare.

Cat.- Che brav’uomo, vero? Certo, è stato crudo, ma a modo suo voleva confortati.

Allora ci siamo. E’ arrivato il momento. Come ti senti? ( Filippo dice col braccio: così, così).  Bene? Mi fa piacere.

Quindi adesso, abbiamo saputo che andremo in clinica, e faremo la cura - che senz’altro ti guarirà.

Fil.-Mah…chissà…

Cat.- Ma non essere pessimista…almeno ti farà migliorare, sicuro, vero? – poi, a fine cura, torneremo nella casa nuova.

Fil.- Mah…

Cat.-Ma insomma, che vuoi dire? E parla! (poi con dolcezza) Comunque,  riavremo i nostri mobili e riprenderemo la nostra vita in attesa di ricongiungerci – anche se tu hai una tale fretta - Certo se Carlo si sposasse saresti più contento, ma con - quella, c’è poco da illudersi … o da fidarsi. Ma lasciamo che se la sbrighino loro, sono giovani, irruenti, irriflessivi, e forse, tra un litigio e l’altro - forse - troveranno la loro strada in comune.

Fil.- Mah…

Cat.- Certo che questa sera sei estremamente comunicativo. Beh, senti,  adesso sii sincero su questo argomento, per una volta tanto: qui, ora, ci stavi proprio bene, vero?

Fil.- Eh…(tentenna la testa)

Cat.-  E certo: di mattina ti accudiva Carlo- e faceva quello che poteva, povero figlio –  poi veniva il fisioterapista, anche lui un buon giovanotto in gamba; poi quella ragazza, l’infermiera, che quando stavi male, veniva anche di notte - che bravissima ragazza. Lo so, lo so, spesso quando ne avevi di bisogno neppure la chiamavi perché, povera giovane, dormiva placidamente. Ma cosa vuoi, di giorno faceva il suo turno in ospedale, di notte qui…Certo a Carlo tutto ciò sarà costato… magari pagava con la tua pensione - d’accordo, ma lui ti si è dedicato... A adesso dimmi la verità, la visita di qualche vicino, insomma vedere gente,  ora ti faceva piacere, no?

Fil.- Ca certu, per consolarmi mi raccontavano tutte le loro disgrazie…

Cat.- Ma era sempre un contatto umano: Peccato, vero? Ma ormai è cosa fatta…dovrai lasciarla questa nostra vecchia casa… Invece nella nuova casa, cosa farai? Resterai alla finestra a vedere passare la gente - la vita - solo soletto, e, ormai, anche la voliera…

Fil.-  Vedremo…

Cat.-  Francamente io non ti capisco…

Fil.- C’è poco da capire… o molto.(misterioso)

Cat.- E se Carlo si sposasse con - quella, vedrai che scenate sarai costretto a vedere, degne dei migliori films americani.

Fil.- … E, se non se la sposasse…

Cat.- … magari. Sai, qualche volta penso che con un po’ di fortuna, chi lo sa, potrebbe anche sposare una brava ragazza, senza grilli per la testa e di buona famiglia, insomma una come noi; e allora si, che e sarai sempre in compagnia. Poi verranno i nipotini, ti salteranno sulle gambe, che speriamo potrai di nuovo usare, e ti racconteranno tutte le loro faccende, i loro piccoli problemi, giocheranno con te, e vorranno il tuo aiuto per fare i compiti. Sicuro, sicuro, come prospettiva non c’è male. E io sarò, come adesso con te, sempre vicina vicina…

Fil.- Zitta, sento dei passi. Vengono ( si odono delle voci . Gioco di luci per far tornare la foto al suo posto). 

Entrano Carlo e Giulia.

Car.- Ho il diritto di sapere.

Giu.- Ancora? Insisti? Ma và!

Car.- Ma insomma, che rapporto sarebbe il nostro? Stai con me e fai figli con un altro uomo?

Giu.- E’ stato un incidente.

Car.- Lo credo bene.

Giu.- E’ stato un incidente: il preservativo s’è rotto.

Car.- (sbalordito) All’anima…

Giu.- E già, è più fornito di te.

Car.- Incredibile, allora, allora, mi hai già sostituito?

Giu.- E te lo debbo proprio dire?

Car.- ( rassegnato) Capisco.

Giu.- Bravo!

Car.- Ma che stupito che sono stato.

Giu.- E non piangerti addosso, non lo sopporto.

Car.- Allora fra di noi tutto è finito?

Giu.- Ahò, ma sei proprio duro di comprendonio. Certo che tutto è finito, ma, sii sincero, era mai iniziata qualcosa?

Car.- Lo so. Il nostro era amore mordi e fuggi.

Giu.- Scopa e fuggi, è più esatto. Ma non ti disperare, Carlo, tu sei soltanto…  secondo. Poi nella vita non si può mai predire cosa avverrà domani (è ironica e divertita perché lo sta prendendo in giro e Carlo non lo capisce) Puoi anche avanzare di grado- chi sa? o di misura… (maliziosamente), in tal caso…

Car.- Si, con un figlio sul groppone.

Giu.- Piantala stupido! Ma non ti sei accorto che t’ho preso in giro? Non sono incinta… Però è vero, c’è un altro.(Carlo passerà da un’espressione di esultanza a un’altra d’abbattimento, idem Filippo) Tu, comunque, stai sempre in campana! Te lo dico sul serio, adesso.

Car.- Bella consolazione.

Giu.- Meglio che niente, ti pare? Ora basta Carlo, sono stufa, e per oggi abbiamo discusso abbastanza, su prendi tuo padre e scendilo giù.

Car.- Di peso?

Giu.- Ma dai, spingi la carrozzina, all’ingresso ci sono gli infermieri… di peso, ma sei proprio sciocco.

Car.- Certo, certo (è riluttante).

Giu.- Allora? Vuoi che l’ambulanza metta le radici giù? (poi con dolcezza) Dai, spingi questo brontolone, portiamolo a …curarsi. (accattivante) Dai, Sbrigati Carletto. Guarda, se facciamo presto, forse riesco a liberarmi dai miei impegni prima di sera… e, forse, dico forse, potresti venirmi a trovare… e chissà…

Car.- (guardandola con occhi sognanti) Dici sul serio? Sarebbe magnifico… una notte con te.

Giu.- E chi ti ha mai parlato di passare la notte con me. Forse, un’ora, o un minuto. O niente! Se mi fai incazzare. Su sbrigati!

Primo finale:

Carlo si avvicina a Filippo, come se volesse prima il suo consenso, poi gira la carrozzella e la spinge verso l’uscita. Passando accanto al tavolinetto Filippo farà cenno al ritratto della moglie, come se lo volesse portare con se, ma Carlo non lo nota.

Giu.- ( notando il gesto di Filippo e pensando che volesse i medicinali) Carlo, vuole i medicinali ( le prende e le porge a Carlo).

Car.- (prendendoli e mettendoseli in tasca, e, non comprendendo le proteste di Filippo, continua a spingere la carrozzina verso l’uscita) Grazie Giulia. Buono papà, non t’agitare, farò piano, anzi pianissimo. 

Giu.- Ciao Filippo (facendo il gesto come per significare: andata senza ritorno).

Carlo e Filippo escono.

Cri.- ( entrando) Possiamo portare via?

Giu.- (girandosi attorno) Potete.

Cri.- ( parlando ai suoi operai che ipoteticamente stanno fuori ) Carusi, ora prendiamo questi.

Giu.- Don Crispino, il rigattiere è stato avvisato?

Cri.- Certamente, ci aspetta. (poi con un certo imbarazzo)  Scusatemi Architetto, è solo per fare le cose in regola: ma il signor Moncada, lo sa, vero?

Giu.- Sa, che cosa?

Cri.- Del rigattiere.

Giu.- Lo sa!

Cri.- Mi scusi ancora, ma Moncada chi?

Giu.- Moncada figlio, naturalmente

Cri.- E… Moncada padre?

Giu.-  Quello – ormai. (come per dire: che conta?)

Cri.- D’accordo. Bene, se Moncada…figlio di…(come per dire:figlio di buona donna!)

Giu.- Don Crispino,  sono affari suoi, non credete? E, ditemi col rigattiere…come avete fissato il prezzo?

Cri.- A forfè!

Giu.- E quanto sarebbe questo - forfait?

Cri.- Quanto basta, appena appena,  per coprire le spese di trasporto.

Giu.- …E anche per il costo di quello scrittoio del XIX ° secolo - tanto carino.

Cri.- Forse…

Giu.- … forse? Sicuro! sicuro - che mi porterete fino a casa…

Cri.- … può darsi.

Giu.- … lo vedremo.

Cri.- Vuole che ci rimetta io?

Giu.- Allora chi io? Ma andiamo, don Crispino, che in questo affare non ci rimette nessuno.

Cri.- E va bene, demonio in gonnella, ma ci rimetto veramente, parola. (esce)

Giu.- Ci rimetto, veramente, parola (gli fa il verso)… e chi ci crede è cornuto! ( inciampa nello scatolo dei rifiuti. Sta per imprecare, quando nota il ritratto di Caterina puntato verso di lei) E tu cosa guardi? Cosa vuoi? Non sei d’accordo? E dillo a tuo figlio, allora. (intanto, con noncuranza, prende il ritratto e lo getta nello scatolo, poi si pulisce le mani, quindi, ancheggiando esce di scena).

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Secondo finale.

Pagina 28

Giu.- E chi ti ha mai parlato di passare la notte con me. Forse un’ora, un minuto. O niente! Se mi fai incazzare. Su sbrigati!

Car.- Vado, vado…(si avvicina a Filippo, ma non ha il coraggio di portarlo via, anzi lo gira verso la finestra, come per fargli vedere per l’ultima volta il cortile) Senti Giulia, faccio dopo. Prima pensiamo alle altre cose.

Giu.- Sei un pusillanime. E fai come vuoi!

Entra Crispino

Cri.- Possiamo portare via anche questi?

Car.- Potete, potete.

Giu.- Don Crispino, il rigattiere è stato avvisato? (quasi tutto il dialogo che segue, verrà fatto sottovoce)

Cri.- Certamente, ci aspetta. Ma, scusatemi l’intromissione, il signor Moncada lo sa? (accenna a Filippo)

Giu.- Lo sa lui. (indica Carlo)

Cri.- Con tutto il rispetto, ma il padrone credo che sia quel signore (indica ancora Filippo), non vorrei avere guai – dopo.

Car.- Non vi preoccupate, comunque grazie per il cortese pensiero.

Cri.- Io non mi preoccupo, ma…(indica ancora Filippo)

Giu.- Chi quello? – ormai (fa cenno come per significare: non conta nulla).

Car.- Procedete don Crispino. Avanti io scendo giù a sistemare le pendenze condominiali col portiere... e faccio salire gli infermieri… Giulia, tu che fai?

Giu.- Vai, vai, adesso debbo parlare con don Crispino, dopo scendo pure io.

Car.- Bene. (scende)

Giu.- ( a Crispino che traffica con dei pacchi) E, ditemi, col rigattiere come avete fissato il prezzo?

Cri.- A forfet.

Giu.- E quanto sarebbe questo forfait?

Cri.- Giusto la spesa del trasloco.

Giu.- Più il costo di quello scrittoio del XIX° secolo – che è tanto carino.

Cri.- forse…

Giu.- Sicuro! Sicuro – che mi porterete fino a casa.

Cri.- …può darsi…

Giu.- …vedremo.

Cri.- Vuole che ci rimetta io?

Giu.- E chi io? Ma andiamo, don Crispino, in questo affare non ci rimette nessuno.

Cri.- Va bene, demonio in gonnella, ma ci rimetto veramente.

Giu.- … ci rimette! chi ci crede è cornuto. ( sta per uscire, poi vede il ritratto di Caterina e, con disprezzo lo prende e lo getta nello scatolo dei rifiuti., quindi ancheggiando esce)

Cri.- ( seguendola con lo sguardo) Già, chi ci crede è cornuto… o magari buttana!

Fil.- ( girando la sedia e alzandosi) Ben detto amico mio, ben detto.

Cri.- (sbalordito) Signor Moncada… ma … ma… parlate…camminate…il miracolo! Il miracolo!

Fil.- E’ vero, il miracolo! e me lo ha fatto san Crispino e santa Caterina.

Cri.- (uscendo di corsa) Il miracolo, Signorina Giulia… architetto… signor Carlo…il miracolo!

Fil.- Chiama, chiama – avvisali!… e sbrigati, perché si cambia itinerario! (si china e prende il ritratto della moglie e lo pulisce con la manica). E Caterina mia, sei sorpresa anche tu? Vero? Ho finto! e ti chiedo scusa, cara. Sai, però il colpetto l’ho effettivamente avuto e qualche giorno d’ospedale l’ho o fatto veramente. Poi, nell’ozio forzato, ho aguzzato l’ingegno e grazie a degli amici, ho simulato la grave malattia, ho fatto finanche il moribondo, ma solo per uscire illeso da quelle sabbie mobili in cui mi ero cacciato: “Bedda matri”, mi stavano affossando in senso metaforico e fisico. Ora ti chiedo nuovamente scusa se non sano stato sincero con te, ma l’ho fatto per essere perfettamente credibile nei panni dell’acciaccato grave…  sai, una sola parolina, e avrei potuto tradirmi e rovinare tutto. E io dovevo assolutamente sapere, e ce l’ho messa tutta, (sussurrato) arrivando anche al punto di fingere di dormire. Ma ora, “salaratu Diu”, so tutto! E so anche cosa debbo fare – adesso.

Ti prego ancora di perdonarmi, cara. Avanti, “nu baciuzzu”  ( finge di dare un bacio alla foto, mentre la posa sul tavolinetto).

Certo ne ho dovuto inventate di balle: il medico Cocuzza? Era il Ragioniere Capo in pensione Gegè Filogamo, mio ottimo amico, che mi teneva compagnia e mi aggiornava su tutti gli avvenimenti esterni; il fisioterapista? Era Alfio, il garzone del barbiere, che, oltre a sbarbarmi, mi organizzò la palestra da camera per consentirmi di fare attività fisica; l’infermiera? Era Agata, la nipote del portiere, che mi faceva la spesa e da paravento per le mie attività casalinghe: cucinare, fare le pulizie, curare la mia igiene personale, ecc. Ora, dopo questa mia  avventurosa malattia , con le idee chiare –chiarissime - ho preso le giuste decisioni: Quali? Torno al paesello, cara Caterina, proprio come mi suggeristi tu. Come faccio? Semplice: Per telefono ho contattato l’avvocato Privitera, l’attuale proprietario della vecchia casa che fu di mio padre- là, a Solarino - e gli ho proposto un affare - vantaggioso economicamente per lui, liberatorio per me. Privitera che conosco fin da bambino, ha capito la mia situazione, ed ha accettato di concludere l’affare, inclusa la clausola di un mio eventuale ripensamento dell’ultima ora – che non ci sarà! Dopodicchè, raggiunto l’accordo di massima, tramite un’Agenzia Immobiliare, abbiamo impostato il compromesso di permuta, che ora – ora – (ampio gesto per significare: dopo quanto ho visto e saputo),  firmeremo proprio qui, in questa casa -  questa sera.

Ed ecco l’affare: la mia nuova casa così com’è, con tutti i miei debiti,  contro la sua vecchia casa,  così com’è, più una piccola differenza a mio favore.

E che ne sai, Caterina mia, nella terrazza  c’è ancora la mia vecchia voliera…

E ora andiamo a farci due risate. (prende la giacca ed esce)

Tela.