La pace

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LA PACE

di Aristòfane

traduzione di Ettore Romagnoli

PERSONAGGI DELLA COMMEDIA:

Due Servi di Trigeo

Trigeo, bifolco àttico

Una Figlia di Trigeo

Ermete

Ammazza, dio della guerra

Fracassa, servo di Ammazza

Coro di Bifolchi attici

Pace, un fantoccio

Pomona, un fantoccio

Galloria, un fantoccio

Un Pritano

Ierocle, spacciaoracoli

Un Mercante di falci

Un Mercante di secchie

Tre Mercanti d'armi

Alcuni Ragazzi

PROLOGO

In fondo all'orchestra, due case, quella di Giove a sinistra, quella di

Trigeo a destra. In mezzo l'entrata d'una caverna, mascherata da grandi

macigni. Un servo, davanti alla casa di Trigeo, intride dentro un tino

del letame, da cui distoglie il viso con disgusto. Dalla casa esce quasi

súbito un altro servo.

SERVO A:

   Dà, dà una pizza per lo scarafaggio,

   sbrígati!

SERVO B:

   Eccola, dagliela, gli prenda

   un accidente a secco! E non gli càpiti

   di trangugiare mai pizze piú ghiotte!

   (Torna ad intridere)

SERVO A (Prende la pizza, entra, e torna quasi súbito):

   Un'altra, qui, di merda di somaro!

SERVO B:

   Siamo daccapo? E dov'è andata quella

   che gli hai portata adesso adesso? Non

   l'ha voluta?

SERVO A:

   Macché! Se l'è ghermita,

   ne ha fatto con le zampe una pallottola,

   e giú, un boccone! E intridine dell'altre,

   svelto! E compatte!

   (Via di corsa)

SERVO B (Si volge al pubblico):

   Datemi una mano,

   in nome degli Dei, vuotabottini

   se non volete ch'io muoia affogato!

SERVO A (Torna affannato):

   Un'altra, un'altra d'un bardassa, dammene:

   ché la vuole ben trita!

SERVO B:

   Eccola qua!

   (Al pubblico)

   Almeno da un accusa, oh spettatori,

   sarò prosciolto! Chi vorrebbe dire

   che ingoio la farina, nell'intriderla?

SERVO A:

   Ahimè, dammene un'altra, e un'altra ancora,

   e intridine dell'altre!

SERVO B:

   Affé d'Apollo,

   io no: questa cloaca non la posso

   piú sopportare!

SERVO A:

   Gli trascino dentro

   addirittura la cloaca?

SERVO B:

   E sí!

   A quel paese... e appresso vacci tu!

   (Il servo A prende il tino, e lo trascina dentro:

   il servo B si volge al pubblico)

   Chi di voialtri mi sa dire dove

   potrei comprare un naso senza buchi?

   Che mestieraccio preparare il pranzo

   per uno scarafaggio! Non c'è il peggio!

   Un cane o un porco, se non altro, quando

   la fai, mandano giú tutto alla buona.

   Questo è spocchioso, e fa lo schizzinoso,

   invece, e non si degna di mangiare,

   se non l'intrido una giornata intera

   in pagnottine, avanti di servirgliela:

   neppur fosse una donna! Adesso guardo

   se dura ancora, il pasto: socchiudiamo

   l'uscio, che non mi veda!

   (Guarda dentro la casa)

   Dàlli! Ingozza

   senza smettere mai, finché tu scoppii

   senza che te n'avveda! Ah, maledetto,

   come diluvia! A testa sotto, e zanne

   protese: pare un lottatore! E intanto

   fa con la testa e con le zampe certe

   mosse in giro, cosí, come chi torce

   canapi grossi pei barconi. - Che

   bestia! Birba vorace e puzzolente!

   Un castigo di Dio! Ma di chi Dio?

   D'Afrodite, direi, no!

SERVO A (Tornando all'improvviso):

   Delle Grazie

   neppure!

SERVO B:

   E di chi è?

SERVO A:

   Di chi? Di Giove

   scatenaventri è un simile prodigio!

SERVO B:

   Ma già qualcuno degli spettatori,

   qualche ragazzo saputello, dice:

   «Che affare è mai codesto? Che significa

   lo scarafaggio?» - E gli risponde un Jonio

   seduto accanto a lui: «Qui, se non erro,

   a Cleone, s'allude: ché l'amico

   ora è nell'Orco, ad ingozzare merda!»

   Ma deve ber, lo scarafaggio! Entriamo!

   (Via)

SERVO A:

   Intanto io l'argomento ai bimbi espongo,

   agli ominucci, agli uomini, alle cime

   d'uomini; e specie, a questi superuomini.

   Il mio padrone è pazzo, d'una strana

   pazzia, non della vostra, ma d'un'altra

   nuova di zecca. Sta da mane a sera

   a contemplare il cielo a bocca aperta...

   cosí... E scaglia contumelie a Giove,

   e dice: «Oh Giove, che ti salta in capo?

   Giú quella scopa! Non spazzare l'Ellade!»

TRIGEO (Dal di dentro):

   Ahimè, Ahimè!

SERVO A:

   Zitti! M'è parso udir come una voce!

TRIGEO (Come sopra):

   Giove, che ne farai del nostro popolo?

   Tu fotti le città senz'avvedertene!

SERVO A:

   Questo, questo è il malanno che v'ho detto!

   N'ha dato un saggio, della sua pazzia.

   State a sentire poi come diceva,

   quando gli prese il male. Borbottava

   fra sé e sé: «Come arrivare dritto

   dritto da Giove?» E fabbricate certe

   scalettine sottili, s'ingegnava

   d'arrampicarsi al cielo, come un ragno:

   e infine cadde, e si spezzò la testa.

   Dopo poi, se n'andò, vattelapesca

   dove; e ieri tornò, recando seco

   un gigantesco scarafaggio etnèo,

   e mi die' l'incombenza di strigliarlo.

   E lo drusciava, a guisa d'un puledro,

   e «Oh Pegaso, - dicea - nobile aligero,

   traggimi a vol, diritto insino a Giove!»

   Ma che farà? Facciamo capolino.

   (Si china a guardare dalla fessura dell'uscio, e súbito

   balza indietro esterrefatto)

   Povero me! Qui, qui, vicini, aiuto!

   Il mio padrone va per l'aria! Vola

   a cavalcioni su lo scarafaggio!

(Dal tetto della casa spunta e si leva in aria un mostruoso

scarafaggio, sul cui dorso sta a cavalcioni Trigeo)

TRIGEO:

   Mio buon somiero, non tanta furia!

   Bel bello, frénati, meno baldanza!

   Non fare súbito troppo a fidanza

   con le tue forze! Prima sgranchisciti,

   e a vol dei membri sciogli il vigore!

   (Lo scarafaggio dà una risposta fuori di tòno)

   E non m'effondere sí tristo odore!

   Ché se poi nutri tale intenzione,

   resta, ti prego, nella magione!

SERVO A:

   Come sbalestri, padrone bello!

TRIGEO:

   Zitto, sta zitto!

SERVO A:

   Pe 'l ciel dove ànfani, senza profitto?

TRIGEO:

   A vol cercando vo, con novello

   ardir, lo scampo del popol tutto!

SERVO A:

   Che vol? Farnetichi senza costrutto!

TRIGEO:

   Le vane chiacchiere tralascia omai:

   fa' buon augurio con gridi lieti,

   e avvisa il popolo che restin cheti,

   e pongan d'embrici sui letamai,

   e sui chiassuoli nuovi ripari,

   e il foro tappino dei tafanàri!

SERVO A:

   Zitto non sto, se non mi dici dove

   disegni di volare!

TRIGEO:

   E dove? Su

   da Giove, in cielo!

SERVO A:

   E che progetto avresti?

TRIGEO:

   Di domandargli come vuol conciare

   tutti gli Ellèni!

SERVO A:

   E se lui non si degna?

TRIGEO:

   L'accuserò di vendere la patria

   ai Medi!

SERVO A:

   Sin ch'io vivo, giurabbacco,

   non sarà!

TRIGEO:

   Non c'è mica altra maniera!

SERVO A (Si volge verso l'interno della casa):

   Ehi, ehi, ehi, ehi, ragazze! Vostro padre

   se ne va di soppiatto verso il cielo,

   e vi lascia qui sole. Supplicatelo,

   poverette, movetelo a pietà!

UNA FIGLIUOLA Dl TRIGEO (Dal di dentro, cantando):

   Oh babbo, babbo, dunque veridica

   era la voce che qui s'intese?

   Davver tra i venti vai con gli aligeri?

   Mi lasci, e parti per quel paese?

   C'è qualche cosa di vero? Rispondimi, se mi vuoi bene!

TRIGEO:

   Non lo vedete, forse? E questa è la causa: che pene.

   quando chiedete pane, figliuole, e mi dite babbino,

   e per comprarlo, in casa il becco non c'è d'un quattrino!

   Ma se la spunto, e torno quaggiú, vi darò pan buffetto,

   e, per il companatico, nespole. Ve lo prometto!

FIGLIA:

   E con che mezzo di trasporto andrai?

   Una barca, costí, non ti ci porta!

TRIGEO:

   Un puledro con l'ali. Altro che barca!

FIGLIA:

   Babbino! E questa idea di porre il morso

   ad uno scarafaggio, e di sospingerlo

   verso i Celesti, come t'è venuta?

TRIGEO:

   Oh non racconta, Esopo, nelle favole,

   che fra gli alati ai Numi ei sol pervenne!

FIGLIA:

   Babbo, babbo, son fole inverosimili!

   Quella fetida bestia andar fra i Numi!

TRIGEO:

   Una volta c'è stata, in odio all'aquila,

   a tempi antichi; e appallottando l'uova

   in grembo a Giove, seppe vendicarsi!

FIGLIA:

   Inforcare di Pegaso le penne

   non era meglio, allora, e comparire

   con piú tragico aspetto in mezzo ai Numi?

TRIGEO:

   Mi ci voleva il doppio di provviste

   da bocca, grulla! Adesso, quel che mangio

   servirà poi di biada a questa bestia!

FIGLIA:

   E se del mar nei gorghi umidi piombi,

   come ti salverai, con quelle penne?

TRIGEO (Con gesto sconcio):

   Ho in pugno un buon timone. Ne saprò

   trarre partito. Ed uno scarafaggio

   di Nasso, può servir come battello!

FIGLIA:

   E qual t'accoglierà porto, se naufraghi?

TRIGEO:

   C'è Portoscarafaggio, nel Pireo!

FIGLIA:

   Bada che, il piè mancandoti, non sdruccioli,

   e, fatto zoppo, offrir non debba a Euripide

   un argomento, e n'esca una tragedia!

TRIGEO:

   Ci starò bene attento! A rivederci!

   (Si volge agli spettatori)

   E voi, per cui mi trovo in queste angustie,

   per tre dí non petate e non cacate:

   ché se questo di su sente l'odore,

   scende a scialare, e il collo io mi scavezzo!

   (Ricomincia l'ascensione dello scarafaggio, durante

   la quale Trigeo canta)

   Brioso, o Pègaso, libra il tuo corso,

   ed agitando l'orecchio ardito,

   dei barbozzali sull'aureo morso

   fa' che risuoni chiaro il tinnito.

   Che, che fai? Come? Verso un chiassuolo

   chini le froge? Lungi dal suolo

   spíccati, stendi rapide l'ale,

   diritto all'aula di Zeus ti lancia,

   e dalla farda lungi le nari

   tieni, e da ogni altro cibo mortale!

   (Guarda verso il Pireo)

   Ehi, coso! Amico! Tu che la pancia

   sgravi nei pressi dei lupanari,

   giú nel Pirëo! Tu mi rovini,

   tu mi rovini! Via, seppelliscila

   presto, gran zolle sopra v'accumula,

   piantaci in vetta dei sermollini,

   di mirra versaci soavi unguenti!

   Ché s'io malconcio di qui precipito,

   per la mia morte, cinque talenti

   trarre ai Chiòti dal loro erario

   farà codesto tuo tafanario!

   (Lo scarafaggio comincia a ridiscendere verso le casa di Giove)

   Ahi, che paura! E non lo dico già

   per celia! Oh macchinista, bada qui!

   Già mi brontola sotto l'ombelico

   un certo soffio! Attento! Ché se no,

   scodello qui la biada a questa bestia!

   (Lo scarafaggio si ferma avanti alla porta di Giove)

   Ma sono, pare, accosto ai Numi. Vedi

   il palazzo di Giove!

   (Scende)

   Chi sarà

   il portiere di Giove?

   (Picchia)

   Aprite o no?

ERMETE:

   Che puzzo d'uomo sento?

   (Fa capolino e balza indietro sbigottito)

   Ercole mio,

   che mostro è questo?

TRIGEO:

   Un ipposcarafaggio!

ERMETE (Con esplosione minacciosa):

   Ah, temerario, ah, schifo, ah, svergognato,

   ah, infame, e tutto infamia ed infamissimo,

   come sei qui, tra gl'infami infamissimo?

   Come ti chiami? Stai zitto?

TRIGEO (Calmo):

   Infamissimo!

ERMETE:

   La razza tua qual è? Parla!

TRIGEO:

   Infamissimo!

ERMETE:

   Il padre tuo chi è?

TRIGEO:

   Chi è? Infamissimo!

ERMETE:

   No, giuraddio, la pelle non la salvi,

   se non mi dici il nome tuo qual è!

TRIGEO:

   Sono Trigeo d'Atmone, vignaiuolo,

   uomo dabbene, punto sicofante,

   punto vago di liti.

ERMETE:

   E perche vieni?

TRIGEO (Offrendogli una bistecca):

   Ti porto questa ciccia!

ERMETE:

   Oh, pover'òmo!

   Come hai fatto a venire?

TRIGEO:

   Ah ghiotto! Vedi

   che adesso non ti sembro piú infamissimo?

   Su' via, chiamami Giove!

ERMETE (Sghignazza):

   Ah ah, ah ah!

   Ti ce ne vuole, ancora, prima d'essere

   presso ai Numi! Da ieri hanno sloggiato.

   Lontano, stanno!

TRIGEO:

   E in che parte del mondo?

ERMETE:

   Senti, del mondo!

TRIGEO:

   E dove mai?

ERMETE:

   Lontano

   lontano! Proprio nel piú fondo buco

   del cielo!

TRIGEO:

   E come va che t'han lasciato

   qui solo solo?

ERMETE:

   Custodisco il poco

   mobilio che ci resta: pentolucce,

   tavolucce, brocchette...

TRIGEO:

   Ma perché

   hanno sloggiato i Numi?

ERMETE:

   Sono in collera

   con gli Ellèni! E qui, poi, dov'erano essi,

   han posto Ammazza, il Nume della guerra,

   affidandovi a lui, che vi conciasse

   a suo piacere. Ed essi sono andati

   quanto potean piú su, per non vedervi

   guerreggiare, né udir le vostre suppliche.

TRIGEO:

   Dimmi: e perché ci trattano cosi?

ERMETE:

   Perché mentre piú volte essi hanno messo

   pace, sempre la guerra avete scelta!

   Appena appena avevano il disopra,

   i Laconi, dicevan: «Pei Dïóscuri,

   l'Atticuccio la sconti!» - La fortuna

   rideva invece agli Attici, e i Laconi

   veniano a chieder pace? Ecco voialtri:

   «Qui c'è l'imbroglio sotto! - Per Atena! -

   Per Giove! - Qui c'è da fidarsi poco! -

   Teniamo Pilo, ed essi torneranno!».

TRIGEO:

   Erano proprio le parole nostre!

ERMETE:

   E per questo, non so se rivedrete

   Pace, piú mai.

TRIGEO:

   No? Dov'è andata?

ERMETE:

   Ammazza

   l'ha gittata in un antro fondo fondo.

TRIGEO:

   Quale?

ERMETE:

   Quello laggiú. Guarda che po'

   po' di macigni ci ha ammucchiati sopra,

   perché mai piú l'aveste a ripigliare!

TRIGEO:

   Dimmi, e di noi che ne vuol fare?

ERMETE:

   So

   questo solo. Iersera è ritornato

   con un mortaio gigantesco.

TRIGEO:

   E che

   se ne farà, di codesto mortaio?

ERMETE:

   Vuol farci un trito di città. - Ma vado,

   io: ché secondo me sta per uscire:

   sento rumore dentro.

TRIGEO:

   Ah, poveretto

   me! Dove scappo, adesso? Anch'io l'ho inteso

   il fragor d'un mortaio da battaglia!

(Perduto, corre qua e là per la scena. Intanto, accompagnato

da terribile fragore, esce Ammazza)

AMMAZZA (È uno spauracchio orribile, e porta un gigantesco

mortaio. Urla):

   Ahimè, mortali, mortali, mortali,

   tutti calamità, quanto fra poco

   dovrà dolervi l'una e l'altra guancia!

TRIGEO:

   Apollo mio, che razza di mortaio!

   Quella ghigna d'Ammazza, che spavento!

   Eccolo, quello che ci fa scappare,

   ci sbigottisce, ce la fa far sotto!

AMMAZZA (Gitta porri nel mortaio):

   Porría, tre volte e cinque, e una dozzina

   di volte sciagurata, oggi sei fritta!

TRIGEO (Agli spettatori):

   Questa, amici, non è roba per noi:

   questo malanno tocca agli Spartani!

AMMAZZA (Gitta agli):

   Ahi, Megara, Megara, come súbito

   tutta sarai tritata in salsa d'aglio!

TRIGEO:

   Cospetto! Cospettone! Quante amare

   lagrime su Megara ha rovesciate!

AMMAZZA (Gitta cacio):

   Anche tu, come sei morta, Sicilia!

TRIGEO:

   Tanta città finir sulla grattugia!

AMMAZZA:

   Ci verso pure questo miele d'Attica!

TRIGEO:

   Coso, pigliane un'altra qualità,

   di miele. È da quattr'oboli, codesto.

   Lascialo stare, l'attico!

AMMAZZA (Si volge verso l'interno):

   Fracassa!

   Fracassa!

FRACASSA (Sbuca all'improvviso: è anch'esso uno spauracchio guerresco):

   M'hai chiamato?

AMMAZZA:

   Un accidente!

   Stai con le mani in mano, è vero? Béccati

   questo cazzotto!

TRIGEO:

   È col sale e col pepe!

FRACASSA (Piange):

   Povero me, povero me, padrone!

TRIGEO:

   L'ha condito con l'aglio, quel cazzotto!

AMMAZZA:

   Piglia il pestello, corri!

FRACASSA:

   Anima mia,

   non c'è! Se ieri, siamo entrati in casa!

AMMAZZA:

   E non corri a pigliarne uno in Atene?

FRACASSA:

   Se corro? Volo! - E già, se no son busse!

   (Via)

TRIGEO (Al pubblico):

   Via, che facciamo, povera gentuccia?

   In che male acque siamo, lo vedete!

   Se quello torna col pestello, questo

   stritola a suo bell'agio le città!

   Schianti, per Bacco, e non ritorni piú!

(Torna Fracassa)

FRACASSA (E rimane impacciato):

   Senti...

AMMAZZA:

   Che c'è? Non l'hai portato?

FRACASSA:

   Ecco...

   Il pestello d'Atene è andato a male...

TRIGEO:

   Oh veneranda Atena! È andato a male?

   Ha fatto bene! Ha colto il punto giusto!

AMMAZZA:

   E svelto, allora, va', pigliane un altro

   a Sparta!

FRACASSA  (Corre via):

   Ecco, padrone!

AMMAZZA:

   E torna súbito!

TRIGEO (Al pubblico):

   Amici che si fa? Questo è il cimento!

   Se qualcuno di voi fu inizïato

   in Samotracia, adesso ha da pregare

   che si pigli una storta, il galoppino!

FRACASSA (Torna):

   Ahimè tapino, ahimè, tapino me!

AMMAZZA:

   Che c'è? Non l'hai portato neppur ora?

FRACASSA:

   Se gli Spartani hanno perduto il loro

   pestello, anch'essi!

AMMAZZA:

   Ah, manigoldo! E come?

FRACASSA:

   L'hanno prestato, in Tracia, ad altra gente

   che ne aveva bisogno, e l'han perduto!

TRIGEO:

   Gemelli miei, che bell'idea fu quella!

   (Agli uditori)

   Forse finirà bene! Animo, amici!

AMMAZZA:

   Riporta in casa questi attrezzi. Io

   rientro, e me lo fabbrico, un pestello!

TRIGEO (Gongolante):

   Ora poi sí, possiam cantare, come

   Dati, che a mezzodí se lo menava:

   che piacere, che gusto, che sollazzo!

   Che bella cosa, adesso, amici Ellèni,

   finirla con le brighe e con le zuffe,

   e liberar l'amor nostro, la Pace,

   prima ch'altri pestelli ce lo vengano

   ad impedire! - Bifolchi, braccianti,

   mercanti, fabbri, meteci, stranieri,

   ed isolani, qui, popoli tutti,

   con picconi e leve e funi qui correte: qui, ché adesso

   del buon Dio la libagione guadagnare è a noi concesso!

PARODOS

(I coreuti, vestiti da bifolchi, recando attrezzi campestri,

entrano impetuosamente, dodici da ciascuna párodos, e, tumultuando

e sgambettando, si affollano intorno a Trigeo, dinanzi l'imboccatura

della caverna)

PRIMO SEMICORO:

   Qui ciascun, per sua salute, di buon grado affretti il passo!

   Al soccorso da ogni parte accorriamo, Ellèni, qui,

   un addio dato alle schiere, ai mantelli da gradasso;

   perché, infine, in odio a Lamaco, ha brillato questo dí.

SECONDO SEMICORO:

   Tu fa' il piano, tu ammaestrane, se qualcosa oprar si deve;

   né temere, in tanto giorno, di vederci ripentiti,

   pria d'avere a luce tratta, con gli ordigni e con le leve,

   la piú grande fra le Dive, la piú amica delle viti!

TRIGEO:

   Zitti, zitti! O inuzzoliti per l'annuncio di tal bazza,

   di lí dentro, con questi urli, stuzzicar volete Ammazza?

CORO:

   Gli è che udir simile bando di piacer mi rïempí:

   non è quel di presentarsi con provviste per tre dí!

TRIGEO:

   Dunque, attenti che quel Cerbero ch'è nell'Orco, borbottando

   ed urlando, ora fra i piedi non si ficchi, come quando

   era qui, per impedirci di riprendere la Pace!

CORO:

   Questa volta non c'è alcuno di strapparmela capace,

   se davvero posso averla fra le mani. Evviva, evviva!

   (Cominciano a ballare)

TRIGEO:

   O finitela d'urlare, o siam fritti! Adesso arriva,

   e a pedate manda all'aria tutti quanti i nostri affari!

CORO:

   E rimescoli, e calpesti, e scombussoli magari!

   Oggi tanto, al mio tripudio porre freno io non saprei!

TRIGEO:

   Che rob'è? Cosa vi piglia? Non facciamo, per gli Dei,

   che per quattro piroette vada a monte un affar d'oro!

CORO:

   Ma se voglia non ne ho punta, di ballar! Ballano loro,

   le mie gambe, mentre fermo me ne sto, per l'esultanza!

TRIGEO:

   Or non piú, ti prego, smetti! Smetti, via, codesta danza!

CORO:

   Ecco, vedi, ho bell'e smesso!

   (Seguitano a ballare)

TRIGEO:

   Già, lo dici, e poi non smetti!

CORO:

   Questo scoscio solo solo, dopo basta, mi permetti!

TRIGEO:

   Questo solo vi concedo: poi finiamola, col ballo!

CORO  (Come sopra):

   Se con ciò t'avvantaggiamo, smetteremo senza fallo!

   (Cresce la foga del ballo)

TRIGEO:

   Vedi un po', mica smettete!

CORO:

   Lascia solo, affé di Giove,

   che scosciam la gamba destra: poi, nessuno piú si muove!

TRIGEO:

   Purché dopo non m'abbiate piú a seccar, ve lo permetto.

CORO:

   A scosciare la sinistra pure, adesso io son costretto!

   Me la godo, me la spasso, me la rido, avvento peti!

   Assai piú che tornar giovani, gittar l'armi ci fa lieti!

TRIGEO:

   Non vi date ancora al giubilo! Non si può cantar vittoria!

   Quando poi l'avremo in pugno, allor sí, fate galloria,

   fra schiamazzi e fra risate.

   Potrà ognuno allora fottere,

   fare in casa una dormita,

   navigare o stare a riva,

   e tra feste, serenate,

   pranzi, fare il sibarita,

   e strillare: «Evviva, evviva!»

CORO:                                  Strofe

   Oh, se pur dato mi fosse d'un tal dí vedere il raggio!

   Ché di brighe sono stracco,

   e del sacco

   che Formíone ha per retaggio.

   Né sarà che iroso e burbero nei giudizi, e cosí duro

   qual m'hai visto ai tempi scorsi, tu mi trovi pe 'l futuro.

   Tutto mite mi vedrai,

   e tornato a gioventú,

   ogni briga porre in bando:

   ché passammo troppi guai,

   ci sciupammo troppo, andando

   con lo scudo e con la picca, pel Liceo, di su, di giú.

   Ma su' via, dinne che cosa

   potrà farci ben avere:

   ché una sorte avventurosa

   ti fe' nostro condottiere!

(Posto fine alle danze, i coreuti si aggruppano simmetricamente

ai due lati della caverna)

TRIGEO:

   Via, questi sassi dove li buttiamo?

ERMETE (Sbuca all'improvviso):

   Temerario birbone, che vuoi fare?

TRIGEO:

   Nulla di male! Come Cilicone!

ERMETE:

   Disgraziato! Sei morto!

TRIGEO:

   Eh, sí, se esco!

   A sorte tirerai, da bravo Ermète!

ERMETE:

   Tu sei morto e stramorto!

TRIGEO:

   Per che giorno?

ERMETE:

   Per súbito!

TRIGEO:

   Se ancora pel trapasso

   non ho comprato cacio né farina!

ERMETE:

   Eppure, sei fottuto!

TRIGEO:

   E in che maniera

   mi toccò questa bazza senz'accorgermene?

ERMETE:

   Ma non lo sai che Giove ha decretata

   la morte per chiunque fosse còlto

   a scavar Pace?

TRIGEO:

   Dunque, ad ogni modo

   mi s'ha da far la festa?

ERMETE:

   Ad ogni modo!

TRIGEO:

   Prestami, per comprare un porcellino,

   tre dramme, allora. Prima di morire

   mi devo inizïare!

ERMETE (Volto al cielo, urla):

   Oh Giove, oh fulmini...

TRIGEO:

   Padrone mio, te ne scongiuro, in nome

   di Dio, non ci scoprire!

ERMETE:

   E mica posso

   star zitto!

TRIGEO:

   Stacci, in nome della ciccia

   che ti portavo tanto di buon cuore!

ERMETE:

   Ma Giove, anima mia, mi polverizza,

   se non gli strillo quello che succede!

TRIGEO:

   Non urlare Ermetuccio, ti scongiuro!

   (Si volge ai coreuti)

   Buona gente, e voi che fate? State lí come piòli?

   Se la bocca vi tappate, chi lo tien, che non si sgoli?

CORO:                                  Antistrofe

   Non sia mai, signore Ermète, non sia mai, deh, non sia mai!

   Il ricordo che al palato

   ti fu grato

   un porcel ch'io t'immolai,

   non sia l'ultima ragione che a giovarne ora ti spinga.

TRIGEO:

   Re, Signore, non ascolti di costoro la lusinga?

CORO:

   Odi, Sire, la mia prece:

   lungo sdegno non ti pigli,

   sí che m'abbia a uscir di mano

   questa Dea! Ne aiuta invece,

   oh il piú splendido ed umano

   fra gli Dei, se i ciuffi aborri di Pisandro e gl'irti cigli!

   E solenni processioni

   sacre vittime, o Signore,

   sempre, in tutte le occasioni

   t'offriremo, a farti onore!

TRIGEO:

   Commuoviti, ti prego, alla lor voce,

   ché ti son piú devoti ora che prima!

ERMETE:

   Perché son ladri piú che per l'innanzi!

TRIGEO:

   E ti svelo un terribile complotto

   che si macchina contro i Numi tutti.

ERMETE:

   Parla! Chi sa che tu non mi convinca!

TRIGEO:

   Dunque, la Luna e il Sole, quel briccone,

   stan da un pezzo tramando a vostro danno,

   ed han tradito ai barbari la patria.

ERMETE:

   E perché fanno ciò?

TRIGEO:

   Perché noialtri

   offriamo i sacrifizi a voi Celesti,

   ed i barbari a loro. E non a torto

   vorrebber che crepaste quanti siete,

   e le vittime vostre averle loro!

ERMETE:

   Ecco dunque perché da un pezzo andavano

   rifilando sui giorni, e rosicchiando

   un po' del loro disco! Era un bel tiro!

TRIGEO:

   Certo! E per questo, Ermète caro, aiutaci

   di buona voglia in quest'impresa; e a te

   dedicheremo le Panatenèe

   e ogni altra festa sacra agli altri Numi:

   le Dipolèe, le Adonie, ed i Misteri:

   tutto ad Ermète. E libere dai guai,

   l'altre città faranno sacrifizi

   a Ermète scacciamali. E godrai tanti

   altri beni. Per primo, ti regalo,

   per far le libagioni, questo calice.

ERMETE (Ai coreuti):

   Quanto mi tocca, ahimè... la roba d'oro!

TRIGEO:

   È affar vostro, brava gente, oramai! Date di piglio

   alle zappe, ed alla svelta - ogni pietra sia divelta!

CORO:

   A tant'opera siam pronti. Guida or tu col tuo consiglio,

   qui restando, le nostre opere, oh il piú saggio fra gli Iddii,

   e vedrai che ad obbedirti noi sarem poco restii!

TRIGEO:

   Porgi la coppa, tu, svelto! Una prece,

   rivolgiamo ai Celesti, e mano all'opera.

ERMETE:

   Si liba, si liba!

   Silenzio, silenzio!

CORO:

   Libiamo ed imploriam che questo giorno

   segni l'avvento per gli Ellèni tutti

   di molti beni. E chi darà di piglio

   di buona voglia ai canapi, quest'uomo

   mai piú non abbia da imbracciar lo scudo!

TRIGEO:

   Ma trascorra la vita in santa pace,

   presso la bella, ad attizzar la brace!

CORO:

   Chi preferisce, invece, aver la guerra...

TRIGEO:

   Bacco, fa' tu che debba ognora svellersi

   dalle gomita cuspidi di lance!

CORO:

   E se alcuno per fregola di fare

   il capitano, si dispiace, o Diva,

   che tu salga alla luce, negli scontri...

TRIGEO:

   possa fare la fine di Cleònimo!

CORO:

   Se un mercante di scudi o di zagaglie,

   per lucrare di piú, brama battaglie...

TRIGEO:

   caschi in mano dei ladri, e campi ad orzo!

CORO:

   Chi non tira perché vuole il comando,

   chi, servo, s'apparecchia a disertare...

TRIGEO:

   sia legato alla ruota, e giú frustate!

   E buone cose a noi! Viva! Peana!

CORO:

   Di' solo evviva! Quel peana levalo!

TRIGEO:

   E allora evviva evviva, evviva solo!

   Ad Ermète, alle Grazie, alle Stagioni,

   ad Afrodite, al Desiderio...

CORO:

   E ad Ares

   no!

TRIGEO:

   No!

CORO:

   Neppure ad Eniàlio!

TRIGEO:

   No!

CORO (I due Semicori dàn di piglio alle funi e incominciano

a tirare):

   Dunque, sotto, alle funi! E ognuno tiri!

CORO:                                  Strofe

   Hop, via!

ERMETE:

   Via, coraggio!

CORO:

   Hop, via!

ERMETE:

   Via, coraggio!

CORO:

   Hop, via! Hop, via!

TRIGEO:

   Ma se la tratta non la dànno

   tutti a un modo! Tirate, avanti!

   I Beoti fan gli sprezzanti!

   Vi si pigli qualche malanno!

ERMETE:

   Via, dunque!

CORO:

   Via, hop!

CORIFEO (Ad Ermète e Trigeo):

   Ma voi due, non tirate mica!

TRIGEO:

   Ah, non tiro, non m'arrapino?

   È una celia la mia fatica?

CORIFEO:

   Se l'affare non fa cammino!

TRIGEO (Inciampa in un coreuta caduto in terra, e finge di

scambiarlo con Lamaco):

   Che ti metti fra i piedi? È un bel sopruso,

   Lamaco! I tuoi babàu mica ci servono!

ERMETE:

   Neppur gli Argivi, da un bel pezzo, tirano!

   Ma stanno a scorbacchiar chi s'arrapina,

   e scroccano la paga a due padroni!

TRIGEO:

   Ma i Laconi, cuor mio, tirano a buono!

CORO:

   Vedi, però? Ci stanno di buon grado

   quelli soltanto ch'ànno a far coi ceppi:

   chi lavora metallo, li frastorna!

ERMETE:

   I Megaresi neppur loro sfondano!

   Ad ogni modo, tirano, perdio,

   con l'acquolina in bocca, digrignando

   come botoli: e muoiono di fame!

TRIGEO:

   Non ne facciamo nulla, amia miei!

   Diam di piglio daccapo, tutti insieme!

CORO:                                  Antistrofe

   Hop, via!

ERMETE:

   Via, coraggio!

CORO:

   Hop, via!

ERMETE:

   Via, per Giove!

CORO:

   Un tantinello ora s'è mossa!

TRIGEO:

   Guardate un po' se son cattivi!

   Uno tira, uno molla! Argivi,

   volete farvi fiaccar l'ossa?

ERMETE:

   Via, adesso!

CORO:

   Via, hop!

CORIFEO:

   Quanti malevoli ci sono!

TRIGEO (Ad alcuni coreuti che spingono con zelo):

   Voi sí che avete la passione

   della Pace! Tirate a bono!

CORIFEO:

   Ma non vedi? C'è chi s'oppone!

TRIGEO:

   Oh Megaresi, andate a quel paese!

   La Dea v'ha in uggia: si ricorda bene

   che voi primi l'avete unta con aglio!

   E voialtri finitela, vi dico,

   Atenïesi, di tirar costí!

   Non sapete far altro che processi!

   Se voi volete liberare Pace,

   cedete un poco verso la marina!

CORIFEO:

   Su' via, tiriamo noi da soli - bravi colleghi campagnuoli!

ERMETE:

   Brave persone, il vostro affare - pare che meglio s'incammini!

CORIFEO:

   Ora va, dice, la faccenda! - Su', coraggio ciascun riprenda!

ERMETE:

   Se nessuno vuole tirare! - Non ci stanno che i contadini!

CORO (Dànno una stratta violentissima):

   Via dunque, al tempo istesso!

ERMETE:

   Ora siamo a buon punto!

CORIFEO:

   Non la lasciamo adesso!

   Cresciam di gagliardia!

ERMETE:

   Ora poi, ci sei giunto!

CORO:

   Hop, insieme, hohop, hop via!

   oh via via, via via, via via!

   oh via via, via via, via via!

(Cadono gli ultimi ostacoli, e i tre simulacri, grandi al vero,

di Pace, Pomona, e Galloria, su una piattaforma, trascinata da

funi, sono tratti dal fondo della caverna sulla scena)

TRIGEO:

   Dispensiera dei grappoli divina,

   con qual parola salutarti? Dove

   pigliar diecimila anfore, per darti

   il benvenuto? La cantina è vuota!

   Oh Pomona, salute! E a te, Galloria!

   Che dolce viso! Che soave olezzo

   di riposo e di mirra in cuor m'infondi!

ERMETE:

   Sembra quello del sacco militare?

TRIGEO:

   D'un uggioso mortale io l'uggiosissimo...

   cesto aborrisco, che sí acuto lezzo

   spira di rutti di cipolle! - Questa

   di pomi olezza, d'ospiti, di feste

   bacchiche, di commedie, di canzoni

   di Sofocle, di flauti, di tordi,

   di versetti d'Euripide...

ERMETE:

   Se poi

   la calunni cosí, finirai male!

   Costei non ama i vati mozzorecchi!

TRIGEO (Seguitando):

   d'ellera, di frantoi, di pecorelle

   che belano, di seni di ragazze

   che corrono pei campi, di fantesche

   briache, di boccali rovesciati,

   e di tante altre dolci cose.

ERMETE:

   Oh vedi!

   Fatta già comunella, le città

   cicalano fra loro, e se la ridono

   allegramente, piene come sono

   di lividure, e con le pèsche agli occhi!

TRIGEO:

   Poi guarda in viso questi spettatori,

   e saprai che mestiere ognuno esercita!

ERMETE:

   Poveri noi! Lo vedi quell'elmaio

   che si strappa i capelli?

TRIGEO:

   Il fabbricante

   di zappe, peta in barba allo spadaio!

ERMETE:

   Il mercante di falci, non lo vedi,

   gongola, e piglia in giro quel lanciaio! -

   Su', di' ai bifolchi ch'ora se ne vadano!

TRIGEO (Con tono da banditore):

   Popoli, udite! I contadini piglino

   gli attrezzi, e al campo facciano ritorno

   tutti, senza giavellotto, senza lancia, senza spada:

   ché già tutta dell'antica pace piena è la contrada.

   Il Peana, or via, s'intòni, quindi all'opere si vada!

PRIMO SEMICORO:

   Giorno caro ai galantuomini e ai bifolchi, sei venuto!

   Quanto godo nel vederti! Alle vigne vo' far motto,

   e a certi alberi di fico che piantai da giovanotto,

   dopo tanto e tanto tempo, vo' rivolgere un saluto!

SECONDO SEMICORO:

   Buona gente, pria la Diva si ringrazi, che la noia

   delle Górgoni dattorno ci ha levato e dei cimieri;

   quindi a casa si sgambetti, si rientri nei poderi,

   dopo aver fatta provvista di vivande in salamoia.

TRIGEO:

   Bella vista! Va compatto, quel drappel, come un biscotto,

   e animato, per Posídone, come un pranzo senza scotto!

ERMETE:

   Ve', che avevano brunite già le vanghe! Sprizzan lampi

   dai rastrelli, contro il sole! Ne godranno i loro campi!

TRIGEO:

   Certo! E ai campi far ritorno, dopo tanto, bramo anch'io,

   e scalzare, col tridente, con la zappa, il fondo mio!

   (Al Coro)

   Ripensando il dolce vivere

   che la Pace a tempi antichi

   vi largiva, o galantuomini,

   e le frutta secche, e i fichi,

   la mortella e il dolce mosto,

   il pratello delle mammole

   che fioriva al pozzo accosto,

   e l'ulive onde abbiam gola;

   alla Diva, di ciò memori,

   su', volgete una parola!

CORO:

   Salve, salve! Come lieti siamo noi, poi che tu vieni!

   Mi struggea per te di brama, tutto ardevo dal desio

   di tornar nel campo mio!

   Sempre fosti, oh desïata, sempre tu, dei nostri beni

   il maggior, di tutti quanti meniam vita campagnuola:

   perché a noi giovi tu sola!

   Una volta, sotto il regno tuo, godemmo senza spesa

   molte care e dolci cose! Tu sei pane, sei difesa,

   pei bifolchi! Sí che adesso, sorridendo di gran gusto,

   t'accorràn vigne, ficuzzi novellini, ed ogni arbusto!

(Durante questo brano, i coreuti, con disciplinate evoluzioni,

sono andati ad aggrupparsi intorno all'altare di Diòniso)

CORO:

   Ma dov'ella, mentre lungi da noi visse, fe' dimora

   cosí a lungo, oh il piú benevolo fra gli Dei, spiegaci ora.

ERMETE:

   Oh finissimi bifolchi, date ascolto ai detti miei,

   se saper bramate come in rovina andò costei.

   Fu di Fidia la disgrazia prima causa del suo male:

   quindi Pèricle, per tema d'incontrar destino uguale,

   paventando la natura vostra, e l'indoli ringhiose,

   la città, pria di passare qualche guaio, a fuoco pose.

   Con la piccola favilla del decreto megarese,

   suscitò tale un incendio, che il gran fumo, nel paese

   ai Laconi e a quelli d'Attica fe' versar lagrime amare.

   Arso allora crepitava suo malgrado ogni filare,

   ed il tin, percosso, al tino con furor calci traéa:

   né alcun v'era a metter bene; e cosí sparve la Dea.

TRIGEO:

   Da nessuno, per Apollo, questa poi l'ho intesa dire,

   che costei con Fidia avesse qualche cosa da spartire!

CORIFEO:

   Neppur io! Lo sento adesso! Ma per esser sua parente,

   cosí vaga è nell'aspetto! Quanto siam poco al corrente!

ERMETE:

   Le città vostre soggette, quando sepper che furenti

   eravate gli uni e gli altri, che vi mostravate i denti,

   per salvarsi dai tributi, mille insidie macchinâro,

   e corruppero i piú grossi dei Laconi col denaro.

   Questi poi, venali come sono, e tutti ipocrisia,

   alla Guerra s'appigliarono, e la Pace scacciâr via.

   E i lor lucri, poscia, addussero i bifolchi a mali estremi;

   perché allor, per rappresaglia, di qui mosser le triremi,

   a beccare i fichi a gente senza colpa né peccato!

TRIGEO:

   Bene, affé! Che di brogiotti m'hanno un albero stroncato,

   ch'io piantavo ed allevavo!

CORIFEO:

   Proprio bene! Ché a me pure

   con un ciottolo una madia fracassâr di tre misure.

ERMETE:

   Come fu tutta la gente di campagna qui raccolta,

   tramutò, senza avvedersene, i costumi d'una volta:

   e neppur vinacce avendo, mentre i fichi le fean gola,

   ascoltava a bocca aperta chi pigliasse la parola.

   E vedutili agli estremi, senza pane, i demagoghi

   spinser via la Dea, che spesso, per desio di questi luoghi,

   apparia tra voi, con urli ch'eran colpi di forcone.

   E se poi fra gli alleati c'era un uom grasso e riccone,

   lo bacchiavan con la scusa che «Brasída ei sostenea».

   E voi, poscia, ve lo sbranavate come una canéa;

   poi che Atene, pel terrore, per la fame, volentieri

   quanto innanzi le gittassero trangugiava. E i forestieri

   nel veder donde piovevano quelle nespole, con l'oro

   sigillâr la bocca a quelli che facean sí bel lavoro;

   e li reser ricchi, mentre, senz'addarsene, il paese

   fu deserto. D'un cuoiaio tali furono le imprese!

TRIGEO:

   Basta, Ermète, Signor nostro, basta, basta, non dir piú,

   e quell'uom, lascialo stare dov'ei trovasi, laggiú!

   Perché adesso piú non è - roba nostra: è tuo: sicché

   dàgli pur, se vuoi, la striglia,

   di' che birbo ei fu durante

   la sua vita, sicofante,

   promotore di tumulti,

   mestatore: questi insulti

   ti rimangono in famiglia!

   (Si rivolge a Pace)

   Ma perché taci, oh veneranda? Dimmelo!

ERMETE:

   Agli uditori non lo dice: è in collera

   assai, con loro: ne ha passate troppe!

TRIGEO:

   Qualche cosa a te solo, almeno, dica!

ERMETE (A Pace):

   Animo, via! Di', come te la senti

   con questi? Parla, oh la piú mangiascudi

   fra le femmine. - Sento. - Ah!, ti lamenti

   di questo? - Ho inteso. - Lo sapete, voi

   perché vi tiene il broncio? - Dopo i fatti

   di Pilo, dice, venne ad offerirvi,

   ella in persona, un cesto pien di tregua:

   ma fu tre volte in assemblea respinta!

TRIGEO:

   In questo ci sbagliammo: ora perdonaci!

   Cuoio avevamo nel cervello, allora!

ERMETE:

   Senti un po' che m'ha chiesto adesso adesso:

   Chi le fu piú contrario, costaggiú,

   chi piú propenso, e adoperò che fine

   avessero le zuffe?

TRIGEO:

   Il piú propenso

   di tutti, e di gran lunga, fu Cleònimo!

ERMETE:

   Che conto fai dei meriti guerreschi

   di Cleònimo?

TRIGEO:

   È un cuore di leone!

   Però non tiene all'arme di famiglia!

   Se parte per il campo, appena può,

   la gitta in terra, e te la pianta, l'arme!

ERMETE:

   Senti che mi diceva ora di chiederti:

   Chi signoreggia il sasso or della Pnice?

TRIGEO:

   Di quei paraggi ora è signore Iperbolo...

   (A Pace che ha girata la testa)

   Ehi, tu, che fai? Perché giri la testa?

ERMETE:

   L'ha girata per cruccio contro il popolo,

   che un patrono sí tristo è andato a scegliersi!

TRIGEO:

   Mai piú l'adopreremo, in checchessia!

   Ma sul momento, non avendo guida,

   e sendo ignudo, il popolo si fece

   un riparo di quello!

ERMETE:

   E che vantaggio -

   dimanda - arreca questo alla città?

TRIGEO:

   Sarem piú illuminati nei consigli.

ERMETE:

   E perché?

TRIGEO:

   Perché Iperbolo è lumaio!

   Prima noi sbrigavamo le faccende

   brancolando nel buio. Adesso, tutto

   sarà deciso a lume di lucerna!

ERMETE (Sghignazza):

   Ah, ah!

   Che m'ha detto di chiederti!

TRIGEO:

   Che?

ERMETE:

   Tanti

   tanti di quei vecchiumi, che lasciò

   a quei tempi. E per primo vuol sapere

   che cosa n'è di Sofocle.

TRIGEO:

   Sta bene:

   e glie n'accade una bizzarra!

ERMETE:

   Quale?

TRIGEO:

   S'è mutato da Sofocle in Simonide!

ERMETE:

   In Simonide? E come?

TRIGEO:

   Divenuto

   rancido e vecchio, per il dio quattrino

   si butterebbe in mar sopra un fuscello!

ERMETE:

   Dimmi: e il bravo Cratino, ancora vive?

TRIGEO:

   Quando i Laconi invasero la terra,

   morí.

ERMETE:

   Di che?

TRIGEO:

   Di che? Di crepacuore!

   Vide un orcio di vino andare in pezzi,

   e non la superò! Ma non immagini

   quanti altri guai toccarono ad Atene!

   (Si rivolge a Pace)

   Mai piú, mai piú, da te staccarci, oh Diva!

ERMETE:

   Quand'è cosí, prendi Pomona in moglie:

   eccotela; e vivendo alla campagna

   con lei, mettete al mondo... bravi grappoli!

TRIGEO (A Pomona):

   Vieni qui, che ti baci, anima mia!

   (Esita)

   Che dici, Ermète? Mi farà del male,

   se, dopo tanto, ruzzo con Pomona?

ERMETE:

   No, se ci trinchi sopra un beverone

   di pimpinella! Oh via! Prendi Galloria,

   e recala in Consiglio, ov'era un tempo.

TRIGEO:

   Consiglio fortunato! Avrai Galloria!

   Quanto brodetto da sorbire, avrai,

   per tre dí, quanta carne e trippa lessa! -

   Tanti tanti saluti, Ermète caro!

ERMETE:

   Altrettanti, brav'uomo! Buon viaggio.

   E non dimenticare!

TRIGEO:

   Oh scarafaggio,

   a casa, a casa! Ripigliamo il volo!

ERMETE:

   Non c'è piú, poveretto!

TRIGEO:

   E dov'è andato?

ERMETE:

   Sotto il cocchio di Giove: e porta i fulmini!

TRIGEO:

   Povera bestia! E lí che mangerà?

ERMETE:

   Di Ganimede liberà l'ambrosia.

TRIGEO:

   Già: ma io come scendo?

ERMETE:

   A meraviglia!

   Niente paura! Fatti qui, vicino

   a questa Dea.

TRIGEO (A Pomona e Galloria):

   Ragazze, qui, seguitemi

   alla svelta! Ché molti già v'aspettano,

   per la voglia che n'hanno... a pinco ritto!

(La piattaforma è trascinata via. Ermète esce. Rimangono nell'orchestra

i soli coreuti, che si volgono verso gli spettatori)

PRIMA PARABASI

CORO:                                  Invito

   Buon viaggio! - Ora noi consegnam questi attrezzi

   ai servi, che li guardino. Ché a ronzar sono avvezzi

   moltissimi ladruncoli, giusto presso le scene,

   per far qualche colpetto. Custoditeli bene!

   E intanto noi del nostro dir la via

   sponiamo, e quale il nostro intento sia!

CORIFEO:                               Parabasi

   Certo scacciar dovrebbero le guardie dalle scene

   il poeta che nella parabasi venisse

   a dir le proprie lodi. Ma se onorar conviene,

   oh figliuola di Giove, il poeta che scrisse

   le migliori commedie, che n'ebbe eccelsa stima,

   il nostro vate merita un elogio coi fiocchi.

   Ei sol, dice, i rivali desistere fe' prima

   dal beffare i cenciosi, dal far guerra ai pidocchi:

   egli bollò d'infamia, per primo, e mise in bando

   quegli Ercoli famosi che intridevan pagnotte:

   ei licenziò quei servi che uscian sempre fiottando,

   perché il loro collega, scherzando sulle bòtte:

   «Chi t'ha messa la pelle - dicesse - in simil concia?

   Qualche sferza le costole t'invase con grande oste,

   ti mise a sacco il dorso?» - Questa robaccia sconcia,

   queste ignobili burle tenne da sé discoste,

   e un'arte grande estrusse, l'innalzò come torre,

   con parole e concetti grandi. Né piazzaiòle

   furono le sue beffe, né su le scene porre

   mai lo vedeste omuncoli da nulla o donnicciòle.

   Ma come Ercole ardito, la prese coi piú grossi,

   tra odor di cuoi movendo, tra fango di minacce.

   Con lo stesso Asprezanne m'azzuffai prima. Rossi

   gli dardeggiavan gli occhi da Cinna: cento facce

   di piaggiator, che un giorno sconteranno l'infamia,

   dintorno lingueggiavano al suo capo: il fetore

   era di foca: i sudici testicoli di Lamia;

   di camello il preterito: torrente apportatore

   di sterminio, la voce. Né, veggendo tal mostro,

   tremai. Per voi, per l'isole pugnando, a faccia a faccia

   gli stetti contro. - Sembrami però sia dover vostro

   l'essermi grati e memori. Né m'ebbi mai la taccia

   di girar le palestre dietro qualche ragazzo,

   quando avessi un successo. Ma pigliavo di botto

   queste mie carabattole, e, dato assai sollazzo,

   noia poca - era l'obbligo mio - facevo fagotto!

                                       Stretta

   Per questo è giusto che stian dalla mia

   uomini e bimbi; e ogni zucca pelata

   esorto pure che aiuto mi dia:

   ché se la palma avrò io riportata,

   dirà ciascuno ai simpòsi ed ai pranzi:

   «Offrite al calvo la tal leccornia,

   andiamo, al calvo mettetela innanzi:

   nulla si nieghi dei vati al piú grande,

   che tanta luce dal cerebro spande!

                                       Strofe

   Fuggi le guerre, o Musa, balla fra i tuoi diletti,

   canta qui gli sponsali

   dei Celesti, le pompe dei Beati, i banchetti

   degli uomini: ben vaga sei tu di cose tali!

                                       Epirrema

   E se Grancino càpita,

   e t'invita a danzar coi figli suoi,

   non dargli retta, e complice

   loro non farti: credi pure a noi:

   paion sacchi, se ballano: sono caccole a brani,

   quaglie cresciute in casa, cercamezzucci, nani.

   Una tragedia, al babbo, pure, gli venne fatta;

   ma verso sera, dice lui, la strozzò la gatta!

                                       Antistrofe

   Questi inni delle Càriti dalla cesarie bella

   cantino i saggi vati,

   quando primaverili note la rondinella

   fra i rami intòni, e a Mòrsimo siano i Cori negati,

                                       Antepirrema

   e a Melanzio. L'asperrima

   udii voce di quello,

   quando nei Cori tragici

   cantava, a lui concessi, e a suo fratello,

   tutti e due Górgoni avide, scotolavecchie, arpíe,

   pescatori di razze, sparecchiapescherie,

   furbi, fetidi becchi! D'uno scaracchio, o Iddia,

   cuoprili, e i riti celebra in nostra compagnia!

PARTE SECONDA

TRIGEO (Entra da una párodos, seguito dai simulacri di Pomona

e Galloria, strascicando le gambe e dando segni di grande

stanchezza. Si ferma dinanzi al proprio uscio):

   Oh che affar serio giungere dai Numi!

   Non me le sento piú, proprio, le gambe!

   (Agli uditori)

   Parevate piccini, di lassú!

   Parevate, dal cielo, birbe assai:

   di qui parete... birbe di tre cotte!

SERVO:

   Oh padrone, sei qui?

TRIGEO:

   L'ho inteso dire!

SERVO:

   Che t'è successo?

TRIGEO:

   La via troppo lunga

   m'ha fiaccate le gambe!

SERVO:

   Oh dimmi!

TRIGEO:

   Che?

SERVO:

   Hai visto a zonzo, in aria, nessun uomo

   all'infuori di te?

TRIGEO:

   No, tranne due

   anime o tre di vati ditirambici.

SERVO:

   E che cosa facevano?

TRIGEO:

   Acchiappavano

   preludi anuotoleteresolcanti.

SERVO:

   È vero quel che dicono, che quando

   si muore, tutti si diventa stelle?

TRIGEO:

   E come!

SERVO:

   E adesso, lí, che stella è

   Ione da Chio, quello che un giorno, in terra,

   scrisse l'Eòa?

TRIGEO:

   Come lí giunse, súbito

   lo chiamarono tutti stella eòa!

SERVO:

   E che son quelle stelle vagabonde

   che corrono bruciando?

TRIGEO:

   Sono stelle

   benestanti, che tornano da cena

   con le lanterne accese. Adesso sbrígati:

   (Gli consegna Pomona)

   piglia alla svelta e porta dentro questa,

   riscalda l'acqua, sciacqua la tinozza,

   e per questa e per me sprimaccia il letto

   matrimoniale; e fatti rivedere,

   dopo! - Io, frattanto, consegno quest'altra

   ai senatori!

SERVO:

   Oh da dove l'hai prese,

   queste?

RIGEO:

   Da dove? Dal cielo!

SERVO:

   Non do

   piú di due soldi dei Numi, se mantengono

   baldracche, tal'e quale a noi mortali!

TRIGEO:

   No... Ma lí pure, sai quanti ci campano

   sopra? Ma dunque, andiamo!

SERVO:

   E per mangiare,

   che devo darle?

TRIGEO:

   Nulla! Non vorrà

   né pane né focaccia: s'era avvezza

   a leccar solo ambrosia, su fra i Numi!

SERVO (Il servo entra, conducendo con se Pomona. Trigeo passeggia

sulla scena pavoneggiandosi):

   Le daremo anche qui roba da lecco!

CORO:

   Il vecchio adesso, a quanto

   si vede a colpo d'occhio,

   se la passa d'incanto!

TRIGEO:

   Quando poi mi vedrete - sposo tutto brillante, che direte?

CORO:

   Degno d'invidia tu

   sarai, di mirra rorido,

   tornato a gioventú!

TRIGEO:

   Lo credo! E allor ch'io palpi - le sue poppine, standole vicino?

CORIFEO:

   Sembrerai piú felice - tu che le piroette di Grancino!

TRIGEO (Cantando):

   Giusto non è? Ché d'uno scarafaggio

   sul cocchio asceso, ho procurato scampo

   agli Ellèni: sicché securamente

   or può per ogni campo

   andare a zonzo o riposar la gente!

SERVO:

   Lavata e linda è la ragazza, è cotta

   la torta già, s'impasta il pan di sèsamo

   e tutto è pronto. Manca solo il bischero!

TRIGEO:

   Via, sbrighiamoci dunque, consegnamo

   al Consiglio Galloria!

SERVO:

   Chi? Che dici?

   Questa è Galloria, che godere un giorno

   noi solevamo, alticci, a Braürone?

TRIGEO:

   Proprio questa! E a pigliarla ce ne volle!

SERVO:

   Padrone mio, che gusto, ogni cinque anni!

TRIGEO (Agli spettatori):

   Chi di voialtri è tanto galantuomo

   da prenderla in consegna, e custodirla

   pel Consiglio?

   (Al servo che si dà da fare oscenamente intorno al fantoccio)

   Ehi tu, coso, che canneggi?

SERVO:

   Nulla! Accaparro, per godermi i giochi

   Istmici, un po' di tenda a questo bischero!

TRIGEO:

   Chi la custodirà? Nessuno parla?

   (A Galloria)

   Vieni! Ti prendo e ti conduco io stesso

   in mezzo a loro.

SERVO (Accenna ad uno del pubblico):

   Quello lí fa segno!

TRIGEO:

   Chi?

SERVO:

   Chi? Arifràde!

TRIGEO:

   Quello? Perché l'abbia

   da investire e succhiar sino al midollo?

   Ma tu, comincia, via, deponi al suolo

   quelle vesti! - Oh pritani, oh consiglieri,

   guardate un po' Galloria! Lo vedete,

   che bazza vi regalo! Ora le gambe

   potete alzarle, e principiar le feste

   dell'Elevazione. Che bellezza

   d'un camino, vedete!

SERVO:

   E c'è del fumo!

   Ché prima della guerra, a tempi antichi,

   ci teneva le pentole, il Consiglio!

TRIGEO:

   Or che l'avete, da domani in poi

   potrete incominciar fiori d'agoni!

   Lottare al suolo, stare a quattro zampe,

   rovesciarla di fianco, reclinarvi

   sulle ginocchia, ungervi d'olio, sbatterla

   giovenilmente al gioco del cazzotto,

   e coi pugni sfondare e con l'uccello.

   Il terzo giorno, corsa di cavalli,

   dove starà cocchiere su cocchiere,

   e daran' guizzi i cocchi rovesciati

   l'un su l'altro, sbuffando e mugolando,

   mentre altri aurighi giaceranno al suolo,

   presso la mèta, a pinco sfoderato.

   Ricevete Galloria, orsú, pritani!

   (S'avanza un pritano e prende il fantoccio)

   Guarda, il pritano, come ha steso súbito

   la mano per pigliarla! Eh, se si fosse

   trattato d'introdurre a ufo, avresti

   detto che la seduta era sospesa!

CORO:

   È della città nostra

   davvero benemerito

   chi tale a noi si mostra!

TRIGEO:

   Qual uomo io sono, molto - lo potrete veder meglio al ricolto!

CORO:

   Ma lo vediamo già!

   Che tu giungi a soccorrere

   tutta l'umanità!

TRIGEO:

   Aspetta a dirlo quando - un boccale berrai colmo di mosto!

CORO:

   A te, dopo i Celesti, - noi sempre assegneremo il primo posto!

TRIGEO:

   E molto infatti di voi benemerito

   son io, Trigeo d'Atmone, io che la plebe

   della città dalle fatiche e i guai,

   e chi scalza le glebe

   seppi affrancare, e Ipèrbolo frenai!

SERVO:

   Via, che dobbiamo fare, ora, noialtri?

TRIGEO:

   Offerir qualche pentolo a costei.

SERVO:

   Pentoli come a Ermète, a quella pittima?

TRIGEO:

   Allora un bue: v'andrebbe questa vittima?

SERVO:

   È bestia da macello! Niente bue!

TRIGEO:

   Forse una scrofa grande e grossa?

SERVO:

   No!

TRIGEO:

   Perché?

SERVO:

   Basta la loia di Teàgene!

TRIGEO:

   Scegli fra quel che resta!

SERVO:

   Un becco.

TRIGEO:

   Un becco?

SERVO:

   Sicuro!

TRIGEO:

   Ambigua è la parola!

SERVO:

   Apposta!

   Perché qualora in assemblea qualcuno

   pèrori per la guerra, tutti quanti

   «Non ci mettere il becco!» gli rispondano.

TRIGEO:

   Dici bene! E saranno piú pacifici

   in tutto il resto, e modi avran da pecori,

   e piú miti saran con gli alleati!

   Su', piglia e porta il pecoro, alla svelta!

   Io fo venir, pel sacrifizio, l'ara.

CORO:                                  Strofe

   Oh come ciò, che i Numi - vogliono, a fine adduce la fortuna!

   La va bene! ed arrivano

   le cose al punto giusto, ad una ad una!

TRIGEO (Alcuni servi intanto giungono con un'ara):

   La cosa è proprio chiara! - Ve' che arrivata già su l'uscio è l'ara!

CORO:

   Mentre di cielo in terra

   scende veloce un'aura

   a spazzar via la guerra,

   affrettarsi conviene:

   chiaro è che adesso un dèmone

   volge le cose nuovamente a bene.

TRIGEO:

   Ecco il canestro - e il farro e il sale e il coltello e le bende;

   e questo è il fuoco - e nulla, tranne il pecoro, s'attende!

CORO:

   Ma fate presto! Ché

   se mai vi vede Chèride,

   a suonar col suo flauto

   s'inviterà da sé;

   e l'una e l'altra guancia

   enfiate a stento, vorrà poi la mancia.

TRIGEO:

   Piglia il canestro ed il bacino, e compi

   a mano dritta il giro dell'altare.

SERVO:

   Il giro è fatto. Che vuoi piú? Comanda!

TRIGEO:

   Ora smorzo nell'acqua questa fiaccola!

   (Eseguisce, e tirato fuori il tizzone spento e bagnato,

   ne spruzza la testa della vittima)

   Scuoti la testa, svelto!

   (Al servo)

   Porgi l'orzo!

   Dammi il bacino, e làvati anche tu;

   e gitta gran mazzocchio agli uditori!

SERVO:

   Ecco!

TRIGEO:

   L'hai dato già?

SERVO:

   Sí, per Ermète!

   E fra quanti uditori son presenti,

   neppur uno ce n'è, senza mazzocchio!

TRIGEO:

   Le donne non l'han preso!

SERVO:

   Verso sera

   l'avranno dai mariti!

TRIGEO:

   Oh via, preghiamo!

   Chi è costí? Dove sono i molti e i buoni?

SERVO (Spruzza acqua sugli spettatori piú vicini):

   Serviamo questi. Sono buoni e molti!

TRIGEO:

   Buoni, li credi?

SERVO:

   E come no? Se stanno

   fermi come piòli sotto questo

   diluvio d'acqua che versiamo noi!

TRIGEO:

   Preghiamo, via, preghiamo senza indugio!

   (Cantando)

   Regina, colendissima

   Dea, veneranda Pace,

   a cui presieder piace

   le danze e gl'Imenei,

   gradisci, o Diva, i sacrifizi miei!

CORO:

   Sí, per Giove, gradiscili,

   né ti prenda mai voglia

   di far come le adultere,

   che siedon su la soglia,

   a sbirciar per la strada,

   e se uno gli bada,

   si ritraggon: se poi

   séguita il suo cammino,

   rifanno capolino.

   Non far cosí, con noi!

TRIGEO:

   No, per Giove, ma tutta, come addicesi

   a gentilezza, svélati a chi t'ama:

   a noi, che ci struggiamo, ormai da tredici

   anni, per te di brama.

   Fine alle zuffe ed ai tumulti metti,

   sí che a chiamar ti s'abbia Sciogliguerra,

   e ai sottili sospetti

   onde contendevam da terra a terra.

   Con succo d'amicizia, tutti gli Èlleni

   stringi novellamente,

   e uno spirito infondi di lievissimo

   oblio nella lor mente.

   Fa' che di grasce si possa vedere

   pieno a ribocco il mercato: cocomeri

   novelli, melegranate, agli, pere,

   pomi, mantelli piccini per gli omeri

   dei servi: che di Beozia ci arrivino

   anatre, oche, palombi, gambecchi,

   e le donzelle Copàidi a ceste:

   che noi si giuochi di gomita a queste

   dattorno, per comperarle, con Mòrico,

   con Verdazzurro, e Telèa, con parecchi

   altri ghiottoni: che arrivi per ultimo

   Melanzio: e quelle vendute già siano;

   e allora ei, schiusa ai gemiti la via,

   intoni di Medea la monodia:

   «Ahimè non vivo piú, non vivo, vedovo

   fatto di lei che giace su la bietola!»

   E la gente se la goda!

   Tai voti esaudisci, Dea che ciascuno loda!

SERVO:

   Prendi il coltello, e poi, da bravo cuoco,

   fa' di sgozzare il becco!

TRIGEO:

   Non è lecito!

SERVO:

   Perché?

TRIGEO:

   Perché la Pace non gradisce

   sgozzamenti ed altari insanguinati.

   Portalo dentro, accoppalo, distacca

   e porta qui le cosce. - E cosí il pecoro

   rimane sano e salvo pel corègo!

CORO:                                  Antistrofe

   A te dunque conviene - qui rimaner sulla soglia, e disporre

   la legna per la vittima,

   e tutto ciò che al sacrifizio occorre.

TRIGEO:

   Di', se in maniera degna - d'un sacerdote ho messa questa legna!

CORO:

   E come no? Qual cosa,

   fra quante dee conoscere

   il saggio, ignori? Ascosa

   quale a te rimanea,

   fra quante dàn di savio

   e d'audace nomèa?

TRIGEO:

   Molto negli occhi - deve a Lucido dar la legna ardente!

   E porto pure il desco - da me: lo schiavo non mi serve a niente!

CORO:

   Chi lodar non vorrà

   l'uom che con suo gravissimo

   stento, dai mali libera

   fe' la sacra città?

   Sicché, d'ora in avanti

   sarà segno d'invidia a tutti quanti!

SERVO:

   È fatto. Ecco le cosce. Le puoi mettere

   sull'ara. Io vô per visceri e libami!

   (Via)

TRIGEO:

   Ci penso io.

   (S'affaccenda qualche tempo intorno all'altare)

   Ma non ritorna, ancora?

SERVO:

   Son qui. Ti pare che sia stato molto?

TRIGEO:

   Arrostiscili a modo. - Ahi! Viene un coso

   coronato d'alloro! Chi sarà?

SERVO:

   Un ciarlatano, pare... È un indovino!

TRIGEO:

   Macché! Per Giove, è Ierocle, lo spaccia-

   oracoli d'Orèo!

SERVO:

   Che vorrà dire?

TRIGEO:

   Verrà per fare qualche opposizione

   alla pace, s'intende!

SERVO:

   Chè! L'attira

   l'odore dell'arrosto!

TRIGEO:

   E noi facciamo

   finta di non vederlo!

SERVO:

   Dici bene.

IEROCLE (S'avanza con gran sussiego):

   Che sacrifizio è questo? E per qual Nume?

TRIGEO (Al servo):

   Bada all'arrosto, e zitto! - Attento al rene!

IEROCLE:

   Non rispondete? A chi sacrificate?

TRIGEO:

   La coda, come si presenta? Bene?

SERVO:

   Bene, oh diletta e veneranda Pace!

IEROCLE:

   Andiamo, scalca, ed offri le primizie.

TRIGEO (Risponde senza quasi guardarlo):

   Meglio è prima arrostirlo!

IEROCLE:

   Questi pezzi

   sono arrostiti, già!

TRIGEO:

   Quanto t'intrighi,

   tu! Chi sei? - Qua la tavola! Qua il vino!

IEROCLE:

   La lingua, a parte, va tagliata!

TRIGEO:

   Lo

   sappiamo bene! Sai che devi fare?

IEROCLE:

   Se me lo dici!

TRIGEO:

   A noi non ci parlare:

   ché questo sacrifizio è per la Pace!

IEROCLE (Tonando):

   Oh sciagurati e stolti mortali...

TRIGEO (Con lo stesso tono):

   Ti pigli un malanno!

IEROCLE (Seguitando):

   stolidi, che non sapete le mire dei Superi, e a patti,

   veniste, uomini voi, con scimmie dagli occhi di fuoco!

TRIGEO (Ghignando):

   Pfu, pfu...

IEROCLE:

   Che ridi?

TRIGEO:

   Care le scimmie dagli occhi di fuoco!

IEROCLE:

   E, timidi gabbiani, credete a volpette, onde l'alma

   è frodolenta, la mente dolosa...

TRIGEO (Mostrando l'arrosto):

   Potesse infiammarsi,

   arcifànfano, il tuo polmon, come infiammasi questo!

IEROCLE:

   Se le divine Ninfe non dissero a Bàcide il falso,

   né Bàcide ai mortali, né a Bàcide ancora le Ninfe...

TRIGEO:

   La vuoi finir, ti pigli un canchero, di bacizzare?

IEROCLE:

   non concedeano i Fati che franti cadessero i lacci

   della Pace, ma prima...

TRIGEO (Al servo):

   Qui sopra ci vuole del sale!

IEROCLE:

   Poi che i beati Celesti non vogliono che si desista

   dalle battaglie, prima che il lupo la pecora impalmi!

TRIGEO:

   Come vuoi, maledetto, che il lupo la pecora impalmi?

IEROCLE:

   Come la blatta avventa fuggendo i suoi fetidi peti,

   come se troppo ha fretta la gatta fa ciechi i piccini,

   cosí non era il tempo maturo per fare la pace!

TRIGEO:

   E proseguire cosí dovevamo la guerra, ed a sorte

   decider chi dovesse versare piú lagrime, quando

   far si poteva la pace, regnare su l'Ellade insieme?

IEROCLE:

   Non potrai fare in modo che il gambero vada diritto...

TRIGEO:

   Non piú, nel Pritanèo, a scrocco pranzare potrai!

IEROCLE:

   Rendere non potrai levigato l'ispido riccio...

TRIGEO:

   La vuoi finire o no, di far l'imbroglione in Atene?

IEROCLE:

   Quale v'affida oracolo a far sacrifizio ai Celesti?

TRIGEO:

   Quest'oracolo, tanto mai bello, che Omero compose:

   Poi ch'essi della guerra disperser la nuvola infesta,

   strinser la pace, e sacra la reser con un sacrifizio.

   Arse che furon le cosce, gustarono prima i budelli,

   poi nelle coppe libarono: io davo l'esempio; né alcuno

   porse la coppa fulgente a quei che responsi spacciava.

IEROCLE:

   Non mi concerne, questo: non l'ha detto già la Sibilla!

TRIGEO:

   Affé di Giove, Omero poeta l'ha detto pur chiaro:

   Non ha tribú né legge, non ha focolare, quell'uomo

   a cui son della guerra civile diletti gli orrori.

IEROCLE:

   Bada che negli inganni non abbia ad avvolgere un nibbio

   la tua mente e ghermisca...

TRIGEO:

   Ragazzo, sta in guardia, ché questo

   oracolo, mi sembra, sciagure minaccia all'entragne.

   Versami un po' di vino, e porta qui pure budelli!

IEROCLE (A parte):

   Se lo volete proprio, mi servo da me nel coscetto!

TRIGEO:

   Si liba, si liba!

IEROCLE (Al servo):

   Versa a me pure vino, e porgimi un po' di budello!

TRIGEO:

   Ciò non riesce ancora gradito ai beati Celesti;

   voglion che mentre noi libiamo, dai pie' tu ti levi! -

   Oh veneranda Pace, con noi resta tutta la vita!

   (Beve)

IEROCLE (Al servo):

   Approssima la lingua!

TRIGEO:

   Tu, anzi, allontana la tua!

SERVO:

   Si liba!

TRIGEO (Porgendo al servo vino e un pezzo di carne):

   Piglia il vino, col tuo bravo pezzo di carne!

IEROCLE:

   Un pezzettino dunque nessuno mi dà di budello?

TRIGEO:

   Non lo possiamo, prima che il lupo la pecora impalmi!

IEROCLE:

   Sí, ginocchioni t'imploro...

TRIGEO:

   Tapino, tu invano m'implori:

   ché render non potrai levigato l'ispido riccio!

   (Rivolto agli uditori)

   Venite con noialtri, spettatori:

   di visceri ce n'è pure per voi!

IEROCLE:

   E per me, nulla?

TRIGEO:

   Ingozza la Sibilla!

IEROCLE (Sbircia i visceri):

   Mangiare solo voi? No, perdio! - Giusto

   mi stanno a tiro! Adesso li sgraffigno!

   (Arraffa un pezzo di budello e scappa)

TRIGEO:

   Oh dàlli, oh dàlli, a Baci!

IEROCLE (L'acciuffa):

   Testimonii

   voi...

TRIGEO:

   Di quanto sei ghiotto e gabbamondo!

   (Al servo)

   Dàgli giú, col bastone, al gabbamondo!

SERVO:

   Dàgli tu! Io lo sbuccio di codesto

   vello, che avrà scroccato con gl'imbrogli. -

   Lasci quel vello, spacciasacrifizi?

   Ci senti? Oh, che corvaccio, c'è venuto

   dall'Orèo? Vuoi volartene all'Elimnio?

SECONDA PARABASI

CORO:                                  Strofe

   Che giubilo, che giubilo,

   finirla con le buffe,

   con le cipolle e il cacio!

   Non godo io, no, di zuffe!

   Ma con gli amici starmene

   vo' presso il fuoco invece,

   gli asciutti ceppi ardendovi,

   d'està sbarbati; e il cece,

   la faggiòla, su la bracia

   arrostire; ed alla Tracia

   accoccar baciozzi, quando

   si sta mògliema lavando.

CORIFEO:                               Epirrema

   Oh dolcezza insuperabile, quando il campo è seminato,

   e dal cielo un Dio l'arrora, dire ad un del vicinato:

   «Che si fa, di', nel frattempo, Capoborgo?» - «A me talenta

   berne un dito, mentre un Nume ci protegge la sementa!»

   Di favette abbrustolisci, su', mogliera, tre misure,

   ed aggiungivi granone, e dei fichi scegli pure.

   E una voce, nel podere, costaggiú, la Sira dia

   a Manète, perché torni: tanto oggi non c'è via

   di potar né di zappare; ché il podere è un acquitrino!

   Su', qualcun dalla dispensa rechi il tordo e il lucherino.

   C'era poi del fior di latte, quattro lepri in casa c'era,

   se la gatta non le avesse sgraffignate ieri sera:

   ché facea rumore dentro, e raspava non so che.

   Una, oh bimbo, al babbo recane, e per noi serbane tre.

   E a Bruttino di mortella chiedi inoltre un po' di rami,

   con le bacche e tutto; e insieme Buonagrazia anche si chiami

   - tanto è, già, tutta una strada, -

   ché a vuotar venga un bicchiere

   qui con noi, mentre al podere

   un Iddio propizio bada.

CORO:                                  Antistrofe

   Quando le sue dolcissime

   arie la cicaletta

   ripete, i lemni pampini

   riguardar mi diletta,

   se invaian già - ché il grappolo

   han primaticcio - e il fico

   farsi maturo e turgido.

   E allor lo gusto, e dico:

   «Oh carissima stagione!»

   E di timo un beverone

   su ci trinco; e mi c'ingrasso,

   e l'estate meglio passo,

CORIFEO:                               Antepirrema

   che a vedermi avanti qualche maledetto comandante,

   con tre ciuffi sopra l'elmo, e un mantel tutto sgargiante,

   il cui panno, in Sardi proprio, dice lui, fu tinto in rosso.

   Ma se a zuffa andar conviene quel mantello avendo in dosso,

   Sardi in Cizico mutata sembra allora, e il rosso in giallo.

   E per primo il tacco egli alza, come un fulvido ippogallo,

   i cimier' crollando: io sodo sto a guardar le reti mie.

   Dopo, in pace, insopportabili son le lor soperchierie;

   ed iscrivono, e scancellano due, tre volte, dalla lista

   questo e quello. «Domattina s'esce in campo!» - La provvista

   non ha fatto un pover'uomo; perché uscendo, ancora nulla

   non sapeva; e stando innanzi al Pandión, si vede sulla

   lista; e corre, e amaramente, ne l'intrigo, il ciglio bagna.

   Ecco qui come ci trattano, noi venuti di campagna;

   e riguardo ai cittadini hanno sol questi codardi,

   ai Celesti invisi e agli uomini; ma scontare presto o tardi

   mi dovran le loro colpe,

   se Dio vuol; ché non mi piace

   chi leon si mostra in pace,

   e in battaglia astuta volpe.

PARTE TERZA

TRIGEO:

   Evviva, evviva!

   Ce n'è venuta, di gente, al banchetto

   di nozze!

   (Dà al servo una cresta d'elmo)

   Prendi questa cresta, e sbratta

   la tavola. Oramai non serve ad altro!

   E sopra il desco, mettici panini,

   ciambelle, tordi arrosto, e lepri a iosa.

(Giungono un mercante di falci e un mercante di secchie)

MERCANTE DI FALCI:

   Dov'è, dov'è Trigeo?

TRIGEO:

   Rosola tordi!

MERCANTE DI FALCI:

   Carissimo Trigeo, che macca è stata

   per noi la pace ch'ài conclusa! Prima,

   non arrivavo a vendere una falce,

   neppure per un soldo! Ora le vendo

   per cinque dramme. E lui vende tre dramme

   le secchie per i campi. Ora, Trigeo,

   di queste falci e queste secchie, pigliane

   pure quante ne vuoi, senza pagare.

   (Gli offre anche leccornie)

   Gradisci pure questa roba. Abbiamo

   prelevato dal frutto della vendita

   questi regali per le nozze tue!

TRIGEO:

   Posate, presto! - Entrate nella sala

   del banchetto. Vedete, che un mercante

   d'armi s'avanza, pieno di corruccio.

(S'avanzano tre mercanti d'armi carichi di loro mercanzie)

UN MERCANTE D'ARMI:

   Trigeo, m'hai messo in mezzo ad una strada!

TRIGEO (Accennando ai ciuffi degli elmi):

   Che hai, tapino? Una ciuffite acuta?

MERCANTE D'ARMI:

   M'hai rovinata l'arte, m'hai levato

   il pan di bocca. E pure qui al lanciaio!

TRIGEO:

   Quanto ne vuoi, di questi due pennacchi?

MERCANTE D'ARMI:

   Quanto me n'offri, tu?

TRIGEO:

   Quanto? Mi pèrito!...

   (Esamina i cimieri)

   Pure, il bocciuolo è un lavoretto fine...

   Tre misure, le vuoi, di fichi secchi?

   Mi può servire a spolverare il tavolo!

MERCANTE D'ARMI:

   Valli a pigliare, questi fichi secchi!

   Meglio di nulla, poi, saranno sempre!

TRIGEO:

   Porta via, porta via! Perdono il pelo!

   Alla malora! Che pennacchi sono?

   Non li vorrei nemmeno per un fico!

MERCANTE D'ARMI:

   Oh questo usbergo a garbo? Dieci mine

   valeva! Guarda un po' come combacia!

TRIGEO:

   Su questo, poi, non ci rimetti certo.

   Cedilo a me, pel prezzo che ti costa:

   ché per cacarci pare fatto apposta!

MERCANTE D'ARMI:

   Non buttar giú la merce mia, finiscila!

TRIGEO (Pone ritto in terra l'usbergo e ci si pone a sedere):

   Si mettono di qui tre sassolini:

   è ingegnosa?

MERCANTE D'ARMI:

   Citrullo, e da che parte

   ti netti, poi?

TRIGEO:

   Da questa! Infilo prima

   una mano di qui: di qui quell'altra...

   (Infila le due mani nei fori delle braccia)

MERCANTE D'ARMI:

   Bravo! A due mani?

TRIGEO:

   E sí! Non mi ci pigliano,

   a nascondere i buchi della nave!

MERCANTE D'ARMI (Fingendosi scandalizzato):

   Cacare in un corsal di dieci mine!

TRIGEO:

   Ma sí, ti pigli un male! - Il culo, poi,

   non lo do via, nemmen per mille dramme!

MERCANTE D'ARMI (Cedendo):

   Dammi questi quattrini.

TRIGEO:

   Anima mia,

   mi sbuccia il coderizzo! Non lo compero,

   portalo via!

MERCANTE D'ARMI (Piglia una tromba):

   Che me ne devo fare

   di questa tromba! Un tempo, l'ho pagata

   sessanta dramme!

TRIGEO:

   Versa un po' di piombo

   nella campana, infila una bacchetta

   lunga e diritta nell'imboccatura,

   e ti diventa un còttabo perfetto.

MERCANTE D'ARMI:

   Ah! tu mi beffi!

TRIGEO:

   Te ne dico un'altra.

   Versaci il piombo, come ti dicevo,

   sopra attaccaci un piatto di bilancia,

   con degli spaghi, e adopralo in campagna,

   per misurare i fichi secchi ai servi.

MERCANTE D'ARMI (Mostra due caschi):

   Come m'hai rovinato, infesto dèmone!

   Per questi due, spesi una mina, allora!

   Ora che me ne fo? Chi me li compera?

TRIGEO:

   Fa' quattro passi, e vendili in Egitto!

   Per misurar sirmea, non c'è di meglio!

MERCANTE D'ARMI (Al suo compagno):

   In che male acque siamo, elmaio mio!

TRIGEO:

   Ma se lui non ci scàpita!

MERCANTE D'ARMI:

   E che vuoi

   che se ne faccia di quei caschi, adesso?

TRIGEO:

   Se ci appiccica i manichi, li vende

   assai di piú che come sono adesso!

MERCANTE D'ARMI:

   Andiamo via, lanciaio!

TRIGEO:

   E no, che a lui

   gli compero le lance!

MERCANTE D'ARMI:

   E quanto m'offri?

TRIGEO:

   Se le sega per mezzo, glie le pago

   una dramma ogni cento: ci farei

   dei pali per le viti!

MERCANTE D'ARMI:

   Qui c'insultano!

   Leviamoci di mezzo, disgraziato!

TRIGEO:

   Eh sí, perdio, che già escono i figli

   degli invitati per pisciare - o meglio

   per ripassare quanto han da cantare.

   (Dalla casa escono parecchi ragazzi. Trigeo si volge ad uno di essi)

   Oh ragazzetto, quel ch'ài da cantare,

   férmati accanto a me, provalo fuori!

RAGAZZO:

   Degli aïtanti eroi cantiamo in principïo...

TRIGEO:

   Smetti,

   disgraziato tre volte, con questo cantare d'aíta,

   giusto in tempo di pace! Non hai, proprio, tatto! All'inferno!

RAGAZZO:

   Quando, movendo gli uni su gli altri, furono presso,

   cozzaron l'un su l'altro gli scudi e dei clipei le brocche...

TRIGEO:

   Dei clipei? La finisci? Parlare di clipei a noi?

RAGAZZO:

   Il pianto dei guerrieri levossi commisto alle preci...

TRIGEO:

   Il pianto dei guerrieri? Dovrai pianger tu, se ci canti

   il pianto dei guerrieri, per Bacco! Ed a brocche per giunta!

RAGAZZO:

   Che cantar devo, dunque? Di' tu quel che udire ti piace!

TRIGEO:

   Quando dei buoi le carni mangiarono - e simile roba...

   Qui prepararono il pranzo, coi manicaretti piú ghiotti.

RAGAZZO:

   Dunque, gustaron la carne dei bovi, e le molli cervici

   sciolsero dei corsieri, poi ch'erano sazi di guerre!

TRIGEO:

   Ora sí! Della guerra erano stanchi,

   e pranzarono. Adesso canta il pranzo!

RAGAZZO:

   Finito il pranzo, alzarono...

TRIGEO:

   Il gomito? Gente beata!

RAGAZZO:

   L'aste, e balzaron dai valli con inestinguibile grido.

TRIGEO:

   Schianta, bimbetto, tu con le tue zuffe!

   Non canti altro che guerre! Di chi sei

   figliuolo?

RAGAZZO:

   Io?

TRIGEO:

   Sí, tu, perdio!

RAGAZZO:

   Di Lamaco!

TRIGEO:

   Alla malora! Certa roba, valla

   a cantare ai lancieri! Ov'è il figliuolo

   di Cleònimo? Canta qualche cosa,

   prima d'entrare. Brighe, non ne canti,

   tu, lo so già! Prudente è il babbo tuo!

RAGAZZO B:

   Uno dei Sai si gode lo scudo, che presso un cespuglio,

   ineccepibile arma, mal mio grado lasciai.

TRIGEO:

   Dimmi, con questi versi, alludi, oh bardassa, al tuo babbo?

RAGAZZO B:

   Salvai la pancia ai fichi, cosí!

TRIGEO:

   Svergognando il tuo nome!

   Entriamo, entriamo! Il figlio di tuo padre

   non la scorda davvero, certa roba!

   (Ai coreuti)

   Voi che restate mentre - io vo, con questa roba empite il ventre,

   e fatela sparire! - Colpo di dente non deve fallire!

   Ohóp! Dategli sotto! E a due palmenti,

   poveracci, ingozzate: ché avere buoni denti

   non serve proprio a nulla - se qualche cosa non ci si maciulla!

CORIFEO:

   Da sé ci pensa ognuno - non per questo è il tuo dir meno opportuno.

   Oh voi che prima colla - fame eravate in lotta, una satolla

   fate di lepre, adesso: ché ogni giorno

   non vedi torte sole solette andare attorno!

   E non perdete morso - se non volete aver presto rimorso!

TRIGEO:

   Fate silenzio adesso - e qualcuno la sposa accompagni qui fuori,

   si rechino le fiaccole - faccia plaüso il popolo con giulivi clamori,

   e ciascuno gli attrezzi - di campagna riporti di nuovo al suo podere,

   dopo avere scacciato - Iperbolo, e ballato molto, e alzato il bicchiere,

   e pregati gli Dei che dian quattrini

   agli Ellèni; e che a tutti orzo di molto,

   di molto vino frutti ogni ricolto;

   e non ci manchi il fico

   da rosicchiare; e ci diano bambini

   le nostre mogli; e i beni si ritrovino

   che abbiam perduti, come a tempo antico;

   e vada in bando il luccicante brando!

IMENEO

TRIGEO (A Pomona):

   Moglie mia, vieni al podere:

   pronto è il letto: bel vedere

   ci farai, bella ragazza!

CORO:

   Imen, oh Imeneo!

PRIMO SEMICORO:

   Come è giusto che tal bazza

   a goder l'abbia Trigeo!

CORO:

   Imen, oh Imeneo,

   Imen, oh Imeneo!

PRIMO SEMICORO:

   Che facciamo alla sposina,

   che facciamo alla sposina?

SECONDO SEMICORO:

   Una bella pigiatina,

   una bella pigiatina!

PRIMO SEMICORO:

   Lo sposino a braccia alziamo,

   noi schierati in prima riga,

   e alla sposa lo portiamo!

TRIGEO (Alzano a braccia Trigeo e lo portano in trionfo):

   Camperete da signori,

   senza avere alcuna briga,

   e cogliendo fichi fiori!

CORO:

   Imen, oh Imeneo,

   Imen, oh Imeneo!

PRIMO SRMICORO:

   Grosso, è il fico del marito!

SECONDO SEMICORO:

   Della sposa è saporito!

TRIGEO:

   Dillo, quando cioncherai,

   quando il buzzo pieno avrai!

CORO:

   Imen, oh Imeneo,

   Imen, oh Imeneo!

TRIGEO:

   Oh salute, genti belle!

   Chi mi segue fino a casa

   mangerà buone ciambelle!

(Tutti escono con alte grida di giubilo)