La paura

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LA PAURA

Dramma in tre atti

di VINCENZO TIERI

PERSONAGGI

ROLAND MACK

WARNER

FREDERIC LUPS

L’AUTORE, Joseph Amar

IL PRIMO ATTORE Ladislao Savoir

IL CARATTERISTA

IL GENERICO

LO SPETTATORE RITARDATARIO

IL 1° SIGNOREDELLA PLATEA

IL 2° SIGNOREDELLA PLATEA

IL 3° SIGNOREDELLA PLATEA

IL DIRETTORE DEL TEATRO

IL DIRETTORE DI SCENA

IL SUGGERITORE

UNA MASCHERA DEL TEATRO

IL MEDICO DEL TEATRO

UN MACCHINISTA

L’ARMAIOLO, Leumann

LUIGI SUSTER

CARLO PEIAN

UNA GUARDIA IN BORGHESE

GUARDIE IN BORGHESE E IN DIVISA

LA PRIMA ATTRICE, Magda Salome

LA GENERICA

LYDIA BASCO

CLOTILDE BASCO

MADDALENA GIDE

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Quando il pubblico è tutto a posto e la sala non è più illuminata che dai riflettori della ri­balta, si ode l'ultimo segnale che annunzia il principio dello spettacolo. Ma, prima che la tela si levi, a una delle porte della sala scoppia un incidente fra uno spettatore ritardatario e una maschera.

Spettatore ritardatario            - Io le dico che lei mi lascerà passare!

Maschera del teatro               -  Mi dispiace, signore; ma io non lascio passare più nessuno.

Spettatore ritardatario            -  E perché? Io ho il mio biglietto e ho il diritto di entrare!

Maschera                                - Abbia  pazienza, signore! Lei ha letto gli striscioni? «Nessuno sarà ammesso nella sala a spettacolo incominciato ».

Spettatore ritardatario            - Io non ho letto niente. Io non sono obbligato a leggere gli stri­scioni.

Maschera                                - Ma anche i giornali, scusi!...

Spettatore                              - Io non leggo i giornali.

Maschera                                - E io non la lascio passare.

Spettatore ritardatario            - Ma se Io spetta­colo non è neanche incominciato...

Maschera                                - Non importa. Io ho già avuto l'ordine di chiudere le porte.

Spettatore ritardatario            - E io le dico che m'infischio degli ordini cretini!

Il direttore del teatro             - (intervenendo) Ma insomma, che c'è? Non si può più entrare. Permetta, signore, che faccia chiudere la porta.

Spettatore ritardatario            - Lei, prima di tut­to, doveva non farmi vendere il biglietto!

Direttore del teatro                - Passi al botteghino e si faccia restituire il denaro.

Spettatore ritardatario            - Niente affatto. Io ho comperato il mio biglietto e ho il diritto di entrare.

Primo signore della platea      - Basta, perbac­co! Non ci sono agenti in questo teatro?

(Al gruppetto dei contendenti si avvicinano due agenti e la discussione prosegue a soggetto, sottovoce, ma animatissimo).

 Secondo signore della platea            - (al primo si­gnore della platea) Lei fa presto a dire. Ma vorrei vedere se anche lei fosse arrivato in ri­tardo.

Primo signore della platea      - (al secondo si­gnore) A teatro bisogna venire in orario.

Secondo signore della platea             - Io a teatro vengo quando mi fa comodo.

Primo signore della platea      - E io, direttore di teatro, faccio entrare la gente fino a quando fa comodo a me.

(Il gruppo dei contendenti passa nel vestibolo del teatro e la maschera chiude la porta).

Secondo signore della platea - (gridando verso la porta) Ma è una soperchieria! Vorrei es­sere io, per farvi vedere!

Terzo signore della platea      - Soperchieria o non soperchieria, mi pare che sarebbe ora di far alzare il sipario.

Luigi Suster                           - (da una poltrona d'orchestra, alzandosi) Andiamo! Non vi riscaldate per così poco!

Primo signore della platea      - Ssss!

Luigi Suster                           - (quasi sottovoce a Carlo Peian, ch'è suo vicino di poltrona e s'è alzato anche lui) Quello (allude allo spettatore ritardatario) è un ammiratore di Magda Sàlome. Figurati se molla!

Carlo Peian                            - Perché? Stasera recita Magda Sàlome?

Luigi Suster                           - Come, non lo sai?

Carlo Peian                            - Non lo sapevo. Su i manife­stini non hanno nemmeno segnato il nome degli attori.

Luigi Suster                           - Non l'hai sentita mai?

Carlo Peian                            - Sì, una volta: dieci anni fa. Ma allora era una bambina. Ti piace?

Luigi Suster                           - Così.

Carlo Peian                            - Io non so, poi, che cosa cL trovino di straordinario. Mi pare una donna qualunque.

Luigi Suster                           - E intanto... Duelli, tragedie...

Carlo Peian                            - E quel signore...? (Accenna allo spettatore ritardatario come per dire: « È un suo amante? »).

Luigi Suster                           - Ma no! È un innamorato. Uno dei tanti.

Carlo Peian                            - Ha molti innamorati?

Luigi Suster                           - Una schiera, un esercito. Ma, pare, tutti a bocca asciutta.

Primo signore della platea      - (a Carlo e a, Luigi) Be', adesso dobbiamo sentire voi e lo spettacolo?

(Alcuni spettatori battono i piedi sul pavi­mento. Carlo e Luigi siedono. La porta della platea si riapre e lo spettatore ritardatario en­tra, accompagnato dalla maschera).

Secondo signore della platea - (al primo si­gnore della platea) Ha visto se è entrato?

Primo signore della platea      - Se era per me.

Terzo signore della platea      - Silenzio, ora!

(Lo spettatore ritardatario prende posto. Si ode fortissimo un nuovo segnale che annunzia lo spettacolo. Dalla platea qualcuno fa « Ssss! ». Alla ribalta, prima ancora che il velario si apra, appare il direttore di scena).

Direttore del teatro                - (al pubblico) Signore e signori, questa sera si rappresenta il dramma in tre atti di Joseph Amar intitolato « La paura ». L'autore, riprendendo un'antica tradi­zione, desidera che, prima dello spettacolo, sia­no presentati al pubblico gl'interpreti principali del dramma. Protagonista è la signorina Magda Sàlome      - (appare alla ribalta la prima attrice in elegantissimo vestito da sera) che ritorna alle scene dopo un non breve periodo di assenza. (Dalla platea e dai palchi alcuni spettatori get­tano fiori all'attrice, che ne raccoglie uno o due e s'inchina sorridendo in segno di ringrazia­mento). La signorina Magda Sàlome interpreterà la parte di Ludmilla, creatura modernissima, che forse gli uomini giudicheranno con rigore ma che le donne, nel segreto della loro coscien­za, non potranno disapprovare. L'autore appro­fitta dell'occasione per ringraziare la signorina Magda Sàlome dell'amoroso fervore con cui in­terpreta la difficile sua parte. Altro interprete principale del dramma è l'attore Ladislao Savoir (appare alla ribalta il primo attore, in frak) che recita per la prima volta a fianco della signorina Sàlome e che nel dramma ha la parte di Lurkoff, un dongiovanni dei nostri tempi, al quale, se non le donne, certamente gli uomini accorderanno tutta la loro indulgenza e solida­rietà. L'autore presenterebbe anche il terzo personaggio principale del dramma: la rivol­tella del primo attore, (il primo attore mostra una rivoltella) se lo stato civile delle armi po­tesse sfidare le spietate esigenze della pubblicità a pagamento. Tuttavia l'autore avverte che que­sta rivoltella avrà una parte predominante nel dramma di questa sera, anche se le leggi della finzione scenica impongono che essa non sia caricata in tutta regola. Il pubblico sa che die­tro le quinte altre rivoltelle, contemporanea­mente a questa, spareranno i loro colpi innocui (il direttore del teatro, così dicendo, mostra al­tre due rivoltelle che rimette subito in tasca) appunto per l'eventualità che la rivoltella-pro­tagonista (accenna a quella eh'e nelle mani del primo attore) faccia cilecca. Infine l'autore osa credere che un uomo, una donna, e una rivol­tella abbiano in sé tutte le qualità necessarie a creare un conflitto interessante. (Il direttore del teatro, il primo attore e la prima attrice s'inchi­nano e si ritirano).

Luigi Suster                           - (a Carlo Peian) Che impres­sione t'ha fatto la Sàlome?

Carlo Peian                            - Mah! Nessuna. Avrà delle virtù segrete per affascinare gli uomini.

 Primo, secondo e terzo signore della platea             - Ssss! Silenzio! Ssss!

(Si apre il velario e incomincia la rappresen­tazione del dramma ce La Paura »).

(La scena rappresenta una camera della più moderna e raffinata eleganza. Due verande, ar­moniosamente intonate allo stile dell'ambiente si aprono ai due angoli del fondo. Una porta a destra e una a sinistra. Telefono. Un orologio che segna l'una).

La generica                            - (in vestito da cameriera prepara prima il letto e poi un pigiama da notte per la signora, provando dinanzi allo specchio che ef­fetto farebbe questo pigiama addosso a lei).

Un generico                           - (in livrea da cameriere; dalla destra) Così tardi?

La generica                            - Tanto, prima delle due... Sta­sera è andata all'opera; dopo l'opera, a pranzo.

Il generico                              - Con chi?

La generica                            - Mah! Vedremo. (Sempre di­nanzi allo specchio, tenendo il pigiama appog­giato lungo il davanti del proprio corpo) Tu non credi che se io avessi dei pigiami così, e dei ve­stiti come i suoi, farei perdere anch'io la testa agli uomini?

Il generico                              - Non a me certamente.

La generica                            - (ironica) E già! Tu, se non sono signore dell'alta società...

Il generico                              - Puoi dirlo anche senza far la caricatura.

La generica                            - Ma va!

Il generico                              - Perché? Tu credi che soltanto le cameriere abbiano avventure amorose nelle case signorili?

La generica                            - Ma naturale!,

Il generico                              - E perché?

La generica                            - In amore gli uomini sono più... comunisti.

Il generico                              - E le donne no?

La generica                            - Le donne lo sarebbero anche loro. Ma sono più ambiziose. Hanno paura di degradarsi. I camerieri hanno qualche fortuna negli alberghi, con qualche signora di passag­gio; ma non nelle case signorili.

Il generico                              - Eppure...

La generica                            - Avanti, ho capito. Racconta­mi quest'altra avventura.

Il generico                              - Io non racconto niente.

La generica                            - Ma se stai morendo dalla vo­glia di raccontarmela!

Il generico                              - T'ho forse raccontato niente finora?

La generica                            - Accidenti! Me ne hai raccon­tate per lo meno venti. Tutte storie natural­mente.

Il generico                              - Storie? E allora questa cos'è? (mostra un orologio d'oro).

La generica                            - L'avrai rubato.

Il generico                              - Bada, sai. Non ti permettere...

La generica                            - Allora si sarà trattato di una vecchia signora.

Il generico                              - Già. Una vecchia signora di sedici anni.

La generica                            - Bum!

Il generico                              - (battendosi con una mano le lab­bra) Vorrei non essere un gentiluomo!

La generica                            - Mi diresti il nome?

Il generico                              - Forse. E ti farei venire uno svenimento dalla sorpresa.

La generica                            - Mamma mia! E chi è, dun­que? La figlia dell'Imperatore?

Il generico                              - Non dico la figlia dell'Impera­tore; ma insomma...

La generica                            - Una duchessina? Una viscon-tessina?

Il generico                              - Una nobile certo. Molto no­bile. Nobilissima.

La generica                            - Via, fuori il nome. Se no tu crepi.

Il generico                              - Questo mai.

La generica                            - Me lo dirai più tardi: quando ne avrai inventato uno bello.

Il generico                              -E allora te lo dico. A patto che tu mi giuri... Mi pare d'aver sentito una macchina (Si ferma, in ascolto).

La generica                            - (guarda l'orologio) È appena l'una. Non può essere. (Si ferma, in ascolto, anche lei) Possibile? (corre a una delle verande, guarda giù) È una macchina, sai. Corri.

(Il generico esce dalla destra, in fretta. La ge­nerica si precipita a mettere a posto il pigiama, guarda intorno se tutto sia in ordine, fa l'atto di uscire dalla destra, ma ritorna indietro, come spaventata).

Primo attore                           - (entra in fretta nervosissimo, seguito dal caratterista) Vedi? Non c'è.

Il generico                              - (entrando subito dopo) Signo­re, perdoni il mio ardire; ma la signora desi­dera...

Primo attore                           - (al generico) Va via tu, (poi, alla generica) E anche tu.

La generica                            - Ma signore, che dirà mai la signora, quando torna?

Il generico                              - Se vogliono accomodarsi in salotto...

Primo attore                           - (al generico e alla generica) Andate via, ho detto. (Il generico e la generica escono).

Il caratterista                          - (al primo attore) Prova a telefonare.

Primo attore                           - Eh, no. Voglio che lei mi trovi qui, all'improvviso.

Il caratterista                          - Tanto, l'avvertirà la ser­vitù.

Primo attore                           - E come? L'unico telefono è qui. Ella, quando fa tardi, passa dall'altra strada, ecco (indica la porta di sinistra) ed en­tra da questa parte,

Il caratterista                          - L'aspetteranno giù, per avvertirla.

Primo attore                           - Non credo. Comunque... (esce un momento dalla destra, rientra subito; poi, dopo aver passeggiato un poco lungo la camera) Adesso non dirai che si tratta di sogni, di fantasia... Lo vedi anche tu. È passata l'una, e non c'è. Dall'Opera è uscita durante il secondo atto: verso le dieci.

Il caratterista                          - Vedi, caro Lurkoff. Tu vuoi che io ti sia testimone in questa incresciosa avventura; e io, non ho nessuna ragione di ne­garti questo favore. Ma temo che tu scelga male il tuo bersaglio. È con lei che devi prendertela, non con lui.

Primo attore                           - Con tutt'e due, con tutt'e due. Lei è una sgualdrina e lui un mascalzone.

Il caratterista                          - Ma scusa. Lui potrebbe anche ignorare che Ludmilla è la tua amante.

Primo attore                           - Ma se lo sanno le pietre della via.

Il caratterista                          - Lo sanno: cioè lo suppon­gono. Mica tu lo hai pubblicato come si fa per i matrimoni. Tu, dinanzi al mondo sei un uomo ammogliato. Nessuno ha il diritto, o, peggio ancora, il dovere, di sapere quel che è successo nell'intimità della tua casa; nessuno ha il di­ritto e il dovere di sapere « ufficialmente » che tu abbia un'amante.

Primo attore                           - Nessuno? E neanche lei, neanche la mia amante?

Il caratterista                          - Vedi, dunque, che arrivi al mio ragionamento. Il torto è di lei, in ogni caso; non già di lui.

Primo attore                           - E tu, in coscienza, puoi dire che Paolo Stern ignori i miei rapporti con Lud­milla?

Il caratterista                          - Ufficialmente, pubblica­mente, può e deve ignorarli.

Primo attore                           - E che m'importa della «uf­ficialità». Il fatto è che lui sa benissimo questa cosa. Il fatto è che lui m'ha portato via una donna, me l'ha rubata.

Il caratterista                          - Rubata!? L'ha presa. Tu conosci le donne meglio di me!

Primo attore                           - Non è vero, sai. Ludmilla non è donna che si possa prendere come le altre.

Il caratterista                          - Questa tua convinzione di­mostra una sola cosa: che tu ne sei fortemente innamorato.

Primo attore                           - (ammettendo, a capo chino) Forse.

Il caratterista                          - (sorridendo) Come vedi, anche Don Giovanni, talvolta, s'innamora.

Primo attore                           - (sorridendo anche lui) Don Giovanni s'innamora sempre.

Il caratterista                          - Be': finalmente hai sor­riso. È passata. Andiamo. Evitiamo le compli­cazioni.

Primo attore                           - (ritornando cupo) Ah, no! Questa soddisfazione a Paolo Stern non gliela darò mai! !

Il caratterista                          - Se credi dipenda da te solo...

Primo attore                           - E da chi altro dipende?

Il caratterista                          - Da lei, da Ludmilla, scusa.

Primo attore                           - Tu non la conosci.

Il caratterista                          - La conosco e la giudico dai suoi atti.

Primo attore                           - Non basta. (Una pausa) So quel che debbo fare. (Un'altra pausa) Vedi, mio caro: quella è una donna tanto corrotta quanto vile. Gioca col pericolo ma ha paura. Una paura folle. Paura fisica, sai. Io la terrò legata a me per mezzo della paura.

Il caratterista                          - Temo che tu ti faccia delle illusioni.

Primo attore                           - Non escludo che la paura le piaccia, le faccia gola, le serva da eccitante. Chi può sapere il groviglio di sentimenti che s'agita, si contorce e spasima nella paura di una donna!!? Ma io so che ogni dissidio fra me e lei è stato composto e superato dalla mia minaccia di farle del male fisicamente.

Il caratterista                          - Dagli effetti non si direbbe.

Primo attore                           - Eppure è così. Adesso non potrei avvalorare con degli esempi la mia con­vinzione, ma so che l'atto di colpirla con la mia mano, il tentativo di stringerla alla gola, la mia minaccia di morderla, l'hanno sempre spaven­tata e inebriata, ne hanno fatto uno strumento docilissimo non soltanto del mio amore, ma per­fino del mio capriccio.

Il caratterista                          - Non hai il sospetto che le tue siano teorie da trattato di psicopatia ses­suale?

Primo attore                           - E che me ne importa? L'u­nico sentimento dominabile delle creature uma­ne è la paura.

Il caratterista                          - Io, dalla mia donna, vor­rei essere amato, non già temuto!!

Primo attore                           - Non sei sincero.

Il caratterista                          - Sono sincerissimo.

Primo attore                           - No, non sei sincero. Nell'amore noi siamo sempre egoisti, tirannici, bru­tali. Se veramente siamo innamorati, le ragioni per cui la donna soggiace al nostro amore non c'interessano. Si tratti di calcolo, di capriccio, di vizio, di debolezza, di paura, per noi è la stessa cosa che se si trattasse d'amore. L'ipotesi che l'amore sia altruista, che l'amore si com­piaccia in egual misura di quello che dà e di quella che riceve, è un'ipotesi assurda. La donna è uno strumento di gioia, come il de­naro! È necessario forse che il denaro ci ami?

Il caratterista                          - (scrolla il capo, in atto di disapprovazione) Sarebbe facile risponderti che il denaro è soltanto una cosa; mentre la donna è una cosa, sì, ma è anche un'anima.

 Primo attore                          - Io non credo che le donne abbiano un'anima.

Il caratterista                          - Eh, andiamo.

Primo attore                           - Ssss! Viene. Va' di là, un momento, e aspettami.

Il caratterista                          - (accingendosi a uscire) Lurkoff, promettimi di non fare sciocchezze.

Primo attore                           - Va', va': ti prego. (Il Carat­terista esce per la destra. Subito dopo la porta di sinistra si apre e appare la prima attrice).

Prima attrice                           - Sei qui?

Primo attore                           - (nervosissimo) Come vedi.

Prima attrice                           - Mi avevi detto che stanotte non eri libero.

Primo attore                           - È nella tradizione che ogni tanto i « mariti» fingano di partire.

Prima attrice                           - Non sapevo che fossimo già sposati.

Primo attore                           - Se fossimo già sposati, non avresti varcato ancora viva quella soglia.

Prima attrice                           - Mi avresti uccisa?

Primo attore                           - Sì! !

Prima attrice                           - Allora so che mi basterà sposarti quando sarò stanca di. vivere.

Primo attore                           - Può darsi che io non attenda che tu sia stanca di vivere...

Prima attrice                           - Per sposarmi?

Primo attore                           - (cavando di tasca la rivoltella) No. Per ucciderti.

Prima attrice                           - (alzando istintivamente il brac­cio come per difendersi) Sei un bruto. (Una pausa. Il primo Attore pone la rivoltella su un mobile. La prima Attrice si avvicina a quel mo­bile come preparandosi a impedire a lui di ri­prendere l'arma).

Primo attore                           - Perché sei uscita? Dove sei stata fino a quest'ora?

Prima attrice                           - Sono stata all'Opera.

Primo attore                           - Sì, sei stata all'Opera fino alle dieci, ma adesso sono quasi le due.

Prima attrice                           - Sono andata a pranzo con degli amici.

Primo attore                           - Dove?

Prima attrice                           - Al « Mendelssohu ».

Primo attore                           - (va al telefono, con l'intenzione di controllare se la donna abbia detto la verità).

Prima attrice                           - È inutile che tu telefoni. Il locale è già chiuso.

Primo attore                           - (accingendosi a telefonare) Il ce Mendelssohu » chiude all'alba    - (incomincia a formare il numero).

Prima attrice                           - Ma io ho sbagliato, ho detto il «Mendelssohu» ma volevo dire il «Luxor».

Primo attore                           - (preparandosi a cambiare nu­mero) Allora chiamo il ce Luxor».

Prima attrice                           - Il « Luxor » chiude all'una.

Primo attore                           - Non fa niente. Conosco il Direttore. Chiamo il Direttore a casa.

Prima attrice                           - Non voglio che tu mostri alla gente d'interessarti dei fatti miei.

Primo attore                           - (buttando il ricevitore su l'ap­parecchio) Dimmi dove sei stata.

Prima attrice                           - Te l'ho detto; al «Luxor ».

Primo attore                           - Non è vero. Tu sei uscita alle dieci dall'Opera e sei salita su la macchina di Paolo Stern.

Prima attrice                           - E allora, se lo sai, perché me lo domandi?

Primo attore                           - (avvicinandosi, minaccioso) Te lo domando per vedere fino a qual punto ar­rivi la tua falsità e la tua spudoratezza. (Le agi­ta le mani contro il viso, nervosamente) Te lo domando per vedere se almeno hai il coraggio di ammettere che sei una donna qualunque, una donna da marciapiede (stringe i pugni e li abbassa, allontanandosi, come per evitare la tentazione di strangolarla) Ora vorrei sapere da te che cosa debba fare un uomo nelle mie condizioni...

Prima attrice                           - Abbandonarmi al mio de­stino.

Primo attore                           - (sorpreso) È la prima volta che tu mi dici questo!...

Prima attrice                           - Perché per la prima volta io sento che non si può più andare avanti.

Primo attore                           - (fissandola, come per com­prenderla) Ah...

Prima attrice                           - Questa vita è diventata tor­mentosa, umiliante (una pausa).

Primo attore                           - Continua.

Prima attrice                           - Non ho altro da dirti.

Primo attore                           - No, no. Tu hai qualche al­tra cosa da dirmi. Tu hai da dirmi che sei in­namorata di Paolo Stern.

Prima attrice                           - (scrolla le spalle).

Primo attore                           - È così?

Prima attrice                           - E se fosse così?

Primo attore                           - (avvicinandosi) Tu devi ri­spondermi chiaramente. È così?

Prima attrice                           - Non toccarmi, sai!

Primo attore                           - (prendendola per le braccia)

                                               - Rispondimi!

Prima attrice                           - Lasciami!!...

Primo attore                           - (scuotendola) Prima devi ri­spondermi!...

Prima attrice                           - (divincolandosi) Ma lascia­mi. Mi fai male!...

(Il primo Attore fa l’atto di scostarla per prendere la rivoltella. Ella, disperatamente, si libera, pone le sue mani su l'arma).

Primo attore                           - (tentando di prendere l'arma)

                                               - Maledetta!

Prima attrice                           - (con le mani sull'arnia) No, no, no. Ti prego! Non ammazzarmi.

Primo attore                           - (scostandosi) Hai paura? (una pausa) Non hai paura di vivere così, nella melma in cui vivi: e hai paura di morire. Ma insomma chi sei? che cosa sei?

Prima attrice                           - (piegata su l'arma affannosa­mente) Io non voglio scontare con la morte, l'amore che ti ho dato. Io ho il diritto di tra­dire come te, e di vivere tradendo, come te.

Primo attore                           - (sogghignando, sarcastico) Ah, ah! È la protesta dello schiavismo femminile, poniamo la questione sul terreno sociale. Bène. Bene! Gli uomini e le donne hanno eguali di­ritti anche nell'amore.

Prima attrice                           - (C. S.) No, No! Ti sbagli.

Primo attore                           - E allora che cosa?

Prima attrice                           - Io mi ribello al tuo amore dispotico: non posso sopportare la tua oppres­sione.

Primo attore                           - La mia? O  quella degli uo­mini? O  anche quella di Paolo Stern?

Prima attrice                           - Oh lui non mi opprime.

Primo attore                           - Ah, ecco, lui non ti opprime. Questo è! (una pausa; poi nervosissimo) Al­lora tu hai toccato l'estremo dell'abiezione; hai amato e rovinato cento uomini prima di arrivare a me e non hai ancora capito che tutti gli uomini incominciano col non opprimere e poi tutti diventano i più crudeli oppressori. Illusa! Illusa!...

Prima attrice                           - (rivoltandosi spavalda) Ti inganni. L'ho capito. Appunto perché l'ho ca­pito non permetterò più a nessuno di oppri­mermi.

Primo attore                           - E come farai? Sentiamo... Li abbandonerai tutti dopo la luna di miele?

Prima attrice                           - Può darsi.

Primo attore                           - (le si avventa nuovamente con­tro) Sgualdrina! (nuovamente si scosta, strin­gendo i pugni) Ma io non te lo permetterò. M'è venuto questo capriccio. Io sono l'oppressore che ti darà il colpo di grazia. O  schiava del mio amore ; o morta! !!...

Prima attrice                           - E che te ne faresti del mio corpo inerte, della mia carne fredda, senz'ani­ma? Schiava è come se fossi morta per te!...

Primo attore                           - Non me ne importa niente.

Prima attrice                           - Allora ammazzami. Non ho più paura...

(In un baleno, egli si precipita su la rivoltella, la impugna, la spiana contro la donna. Ella ter­rorizzata, cerca uno scampo con lo sguardo, cor­re verso una delle verande, fa l'atto di ripararsi dietro una delle persiane. Ma nel frattempo il colpo parte. Si odono contemporaneamente tre o quattro colpi, che si suppone provengano an­che dalle quinte, sparati per Veventualità che l'arma dell'attore non funzioni. Si ode, nel fra­gore dei colpi, un grido lacerante della prima Attrice, che cade sul terrazzino della veranda, al di là della scena, in modo che dalla platea  - dopo la caduta - si vedano soltanto i suoi piedi).

Il caratterista                          - (in fretta dalla destra) Che hai fatto?

Il generico e la generica         - (precipitandosi an­che loro su la scena) Che è stato?

(Tutti e tre gli accorsi si guardano d'intorno, come sbigottiti, cercando la prima Attrice. Il primo Attore pallido, con l'arma ancora in pu­gno, fa un sorriso disperato) .

Primo attore                           - No niente. Ho sparato in aria. È stato per farle paura (una pausa. Nel silenzio si ode la voce del suggeritore che dà alla prima Attrice la nuova battuta. A questo punto la rappresentazione del dramma «La paura » è interrotta.

Il suggeritore                          - (dalla cuffia) Vigliacco! E se mi avessi colpita veramente? (Gli attori, su la scena aspettano che la prima Attrice, riap­parendo, dica la sua battuta. Il Suggeritore la ripete, con voce leggermente più forte, dopo aver battuto due dita sul legno del palcosce­nico) Vigliacco! E se mi avessi colpito vera­mente?

Primo attore                           - (credendo che la prima Attrice non abbia fatto ancora in tempo a ripresen­tarsi, ripete le ultime parole della battuta) È stato per farle paura.

Il suggeritore                          - (C. S.) Vigliacco! E se mi avessi colpita veramente? (Un'altra pausa).

Il direttore di scena                - (dall'interno, sottovo­ce) Signorina Sàlome tocca a lei!...

Il suggeritore                          - (battendo ancora le dita sul legno) E se mi avessi colpita veramente?

(Preoccupati, tutt'e tre gli attori che sono su la scena, si appressano alla veranda, guar­dano il corpo della donna disteso. Si piegano, rialzano il volto impallidito).

Primo attore                           - Giù il sipario!

Il suggeritore                          - Che è successo?

Il direttore del teatro             - (accorrendo anche lui) Ma che cos'è? Si sente male?

Il caratterista                          - Vedo del sangue. Un me­dico! C'è un medico?

Il medico del teatro               - (dalla platea, salendo rapidamente sul palcoscenico) Un momento. Fate vedere. Scostatevi. (Mentre tutti si scosta­no, egli si piega in ginocchio, sul corpo del­l'Attrice) Ma è ferita!

Voci                                       - Ferita? E come è possibile?

Il medico del teatro               - (dopo aver ascoltato il cuore dell'Attrice, si alza turbatissimo) Per­bacco! Questa signora è morta!...

Voci                                       - Morta?

Il direttore del teatro             - (rivolto al pubblico) Prego il pubblico di scusare... di pazientare un momento, forse la signorina Sàlome è ca­duta e s'è fatta male...

(Movimento sul palcoscenico. Accorrono dei macchinisti. Trambusto, vocio. Qualcuno porta dei cuscini, altri dell'acqua. Mentre tutti sono intorno al corpo dell'attrice, il medico si avanza fino alla ribalta).

Il medico                                - (guardando fra il pubblico) Non c'è per caso un funzionario di Polizia?

Una guardia in borghese        - (dalla platea sale rapidamente sul palcoscenico) Ma che cos'è successo?

Il medico                                - Quell'attrice è morta in seguito a un colpo d'arma da fuoco.

La guardia in borghese          - (guardando in platea)

                                               - Ci dev'essere in sala l'Ispettore Roland Mack (lo scorge, lo chiama) Signor Ispettore!

Roland                                   - (dalla prima fila delle poltrone, si alza lentamente, sale anche lui sul palcoscenico. Ha una ricca capigliatura di un biondo oro e due basette lunghe).

La guardia in borghese          - (indicando Roland al Medico) Ecco: è il nuovo Ispettore Capo.

(Mentre Roland si avvicina al medico e ascol­ta quello che costui gli dice piano, si odono delle voci in platea).

Luigi Suster                           - Quello è Roland l'Ispettore che scoprì l'autore del delitto Murger.

Carlo Peian                            - Quello che stava a Chicago?

Luigi Suster                           - È bravissimo. Ma come può essere accaduto un fatto simile.

Roland                                   - (rivolgendosi alle maschere del tea­tro) Tenete chiuse le porte. Che nessuno esca. (Al Direttore di scena) Lei faccia chiudere la porta del palcoscenico     (alla Guardia in bor­ghese) Tu va' a metterti di guardia alla porta del palcoscenico. (Guardando in platea) C'è nessun'altra guardia? (vedendo una Guardia in divisa) Tu vieni qui.

La guardia in divisa               - (Sale sul palcoscenico)

                                               - Comandi!

Roland                                   - Telefona subito al deposito che mandino un plotone di guardie.

La guardia in divisa               - (al Direttore del teatro) Il telefono per favore.

Il direttore del teatro             - (indicando l'interno del palcoscenico) Di là. (A un macchinista) Accompagnalo al telefono.

Roland                                   - (dice qualche cosa sottovoce alla guar­dia in divisa, che segue subito il macchinista nell'interno del palcoscenico. Poi, rivolto al pubblico) Debbo chiedere alla cortesia di lor signori di non lasciare la sala e ciascuno di non lasciare il proprio posto, fino a quando io non abbia compiuta la prima fase del mio do­vere.

Spettatore ritardatario            - (alzandosi in piedi, dal suo posto) E che c'entriamo noi?

Roland                                   - E chi siete voi?

Spettatore ritardatario            - Io sono uno spet­tatore qualunque, e chiedo di poter uscire dalla sala quando mi pare e piace.

Roland                                   - Ditemi il vostro nome, per favore.

Spettatore ritardatario            - Ma questa è bella!

Roland                                   - (facendo l'atto di scendere in platea) Volete dirmi il vostro nome?

Spettatore ritardatario            - Incominciate col dirmi il vostro!

Roland                                   - (seccato, ma dominandosi) È giu­sto! (Scende in platea e si avvicina allo spettatore ritardatario, mostrandogli una tessera) Ec­co, io sono l'ispettore Roland Mack, commis­sario di pubblica sicurezza, vi prego di mostrar­mi i vostri documenti.

Spettatore ritardatario            - Io non ho docu­menti in tasca.

Roland                                   - Allora favorite un momento di se­guirmi.

Spettatore ritardatario            - (seguendolo) Adesso andare a teatro è peggio che varcare la frontiera. (Sale, dietro Roland, sul palcosce­nico).

Luigi Suster                           - (in platea, a Carlo Peian) Questo è lo spettatore ritardatario.

Carlo Peian                            - L'ammiratore della Sàlome?

Roland                                   - (volgendosi rapidamente verso la pla­tea) Chi ha detto l'ammiratore della Sà­lome?

Carlo Peian                            - (alzandosi, a malincuore) Io.

Luigi Suster                           - (intervenendo subito) Sì, l'ha detto lui; ma dietro informazione mia. Per ca­so, io conosco il signore (accenna allo spettatore ritardatario).

Roland                                   - (a Luigi Suster) Chi è e che cosa sapete di lui?

Luigi Suster                           - (imbarazzato) Debbo dirlo?

Roland                                   - Sì, per favore. Volete salire qui sopra?

Luigi Suster                           - (sale sul palcoscenico).

Spettatore ritardatario            - (a Luigi Suster) Ma io non vi conosco.

Roland                                   - (allo spettatore ritardatario) Zitto, voi! (A Suster) Vi prego: il vostro nome?

Luigi Suster                           - Io sono l'avvocato Luigi Suster.

Roland                                   - Che cosa sapete?

Luigi Suster                           - (sempre a malincuore, cercan­do le parole) Io abito nell'albergo Miramare dove abita questo signore, di cui conosco sol­tanto il cognome: Lampson.

Roland                                   - (allo spettatore ritardatario) Vi chiamate Lampson?

Spettatore ritardatario            - Sì. Aldo Lampson. Ma io vorrei sapere che c'entro io, in tutta que­sta faccenda. La signorina Sàlome è stata uccisa sul palcoscenico; io stavo in platea.

Roland                                   - (allo spettatore ritardatario) Come fate voi ad asserire con tanta sicurezza che la Sàlome è stata uccisa e, per di più, ch'è stata uccisa sul palcoscenico?

Spettatore ritardatario            - Ma diamine! È una cosa che hanno vista tutti. (Poi, un po' tur­bato) D'altra parte, non mi pare che qualcuno abbia potuto sparare dalla platea.

Roland                                   - (con un sorriso ambiguo) Vi create degli alibi?

Spettatore ritardatario            - (indignato) Ma che alibi d'Egitto! Non complichiamo le cose!

Roland                                   - (c. s.) Siete voi, mi pare, che vo­lete complicarle. Perché non lasciate parlare il signor Suster? (A Suster) Vi prego, signore: dite tutto.

Luigi Suster                           - Io, dunque, abito nell'al­bergo Miramare dove abita il signore e dove abitava anche la signorina Sàlome.

Roland                                   -  Abitava? Siete sicuro anche voi che sia morta.

Luigi Suster                           - (seccato) Eh, lo avete detto voi... o il medico... Non so. Certo qualcuno l'ha detto.

Roland                                   - Infatti la signorina Sàlome è mor­ta. Proseguite.

Luigi Suster                           - Dieci giorni fa, quando arrivò la Sàlome per partecipare a questa rappresen­tazione, arrivò anche il signor Lampson.

Spettatore ritardatario            - Fu un caso.

Roland                                   - (allo spettatore ritardatario) La­sciatelo parlare!

Luigi Suster                           - Si disse subito che il signor Lampson fosse un fervido ammiratore dell'at­trice; la quale, tuttavia, resisteva a lui e a tutti gli altri suoi ammiratori.

Spettatore ritardatario            - E che c'entra questo?

Luigi Suster                           - Il signor Lampson era il più ardito, il più tenace, il più deciso a espugnare la fortezza. Appunto ieri mattina...

Spettatore ritardatario            - Voi non avete il diritto di offendere la memoria di una morta!

Roland                                   - (allo spettatore ritardatario) E ba­sta, perbacco! Non interrompete continuamente!

Spettatore ritardatario            - Io mi ribello a questo metodo assurdo di fare delle indagini. Questa non è più un'inchiesta per far luce su un delitto; questa è una rappresentazione.

Roland                                   - (colpito dall'osservazione) Potrei rispondere che nell'esercizio delle mie funzioni non accetto consiglio da nessuno; e, se lascio che il pubblico assista a questa inchiesta, una ragione c'è. Ma voi, giovanotto, mi sembrate troppo audace e irrequieto per potervi permet­tere il lusso di andare in giro senza documenti personali... E, dal momento che ci tenete, ver­rete a passare la notte in guardina rimanendo a mia disposizione.

Spettatore ritardatario            - Questo è un so­pruso. Ricordatevi che me la pagherete!

Roland                                   - (ironico) Quanto costa?

Spettatore ritardatario            - Potrebbe costare qualche gradino della carriera.

Roland                                   - Voi sapete chi sono?

Spettatore ritardatario            - Oh, lo so, lo so! Siete Roland Mack; quello che tre mesi fa, in conflitto, uccise l'assassino di Murger. Siete il divo della polizia americana! A voi non sfugge niente! Lo so, lo so! Ma voi avreste anche il dovere di sapere chi sono io e trattarmi con maggiore riguardo.

Roland                                   - (freddo) Perbacco, che loquela! Lampson,  - Non mi ricordo.

Spettatore ritardatario            - Domandatelo al vostro Colonnello di Cicago!

Guardia in borghese               - (dal fondo del palcosce­nico, trascinando Maddalena Qide) Signor ispettore, questa signora tentava di fuggire dalla porta del palcoscenico.

Maddalena                             - (alla guardia) Non è vero. La­sciatemi. Io non volevo fuggire.

Primo attore                           - (staccandosi dal gruppo che sta intorno al corpo della prima attrice) Mad­dalena, che c'è?

Roland                                   - (a Maddalena) Chi siete?

Primo attore                           - È la signora Maddalena Gi­de, una mia cara amica.

Roland                                   - Attrice della compagnia?

Primo attore                           - È un'attrice; ma non è scrit­turata nella nostra compagnia. Viene in teatro soltanto per accompagnare me.

Maddalena                             - (con. forza) Per accompagnarlo e per vigilarlo e per difenderlo. Perché sono la sua amante. Perché l'amo.

Primo attore                           - (in tono di rimprovero) Mad­dalena!

Roland                                   - Un momento, un po' di calma. Perché, signora, volevate fuggire?

Maddalena                             - Ebbene, se proprio volete sa­perlo, io ho ucciso Magda Sàlome.

Primo attore                           - (a Maddalena) Tu?

Roland                                   - (scostando il primo attore) Un momento, un momento. (A Maddalena) Come e perché l'avete uccisa?

Maddalena                             - Poco fa, approfittando del mo­mento in cui si sparavano in aria quei colpi di rivoltella. L'ho uccisa perché tentava di por­tarmi via il mio amante, il mio amore.

Roland                                   - Dov'è l'arma con cui l'avete uc­cisa?

Maddalena                             - Non so, non ricordo. L'ho but­tata.

Roland                                   - Signora, tentate di ricordare dove l'avete buttata.

Primo attore                           - Ma non è possibile! Questa donna si accusa di un delitto che non può aver commesso. Ella non aveva nessun'arma; e an­che se l'avesse avuta, non avrebbe potuto usar­la con tanta precisione, perché non è in grado di sparare.

Maddalena                             - Nessuno meglio di me può sa­pere la verità. Io ho commesso il delitto! Per gelosia.

Roland                                   - Signora, un po' di. calma. Non basta affermare di aver commesso un delitto. Bisogna dimostrare di averlo commesso.

Maddalena                             - Io lo dimostro. Vedrete. Ecco qua. (Si avvicina alla veranda; tutti gli astanti si scostano) Mentre la Sàlome recitava col mio amante, io ero dietro la veranda, in attesa, perché sapevo il momento preciso in cui la Sàlome, recitando, si sarebbe avvicinata a questa parte della scena. Il Direttore di scena era dalla parte opposta, pronto a sparare in aria, per finzione, un colpo. (Al direttore di scena) È vero, di­rettore?

Direttore di scena                  - È vero.

Maddalena                             - Vicino al direttore di scena vi era un macchinista, con un'altra rivoltella cari­cata a polvere in attesa di sparare anche lui un colpo in aria per il caso che la rivoltella del direttore e quella del primo attore non funzio­nassero al momento opportuno. È vero?

Direttore di scena                  - Verissimo. , Roland - Chi è questo macchinista?

Uno dei macchinisti               - (facendosi avanti) Io. Ecco la rivoltella di cui mi sono servito       - (mostra una rivoltella).

Roland                                   - (al macchinista) Avete sparato?

Macchinista                            - Sì, in aria, com'era conve­nuto. La mia rivoltella era stata caricata a pol­vere dal direttore.

Direttore di scena                  -  Io stesso avevo cari­cato quella rivoltella, la mia e la rivoltella del primo attore. Anch'io ho sparato in aria.

Maddalena                             - Ecco, tutti e tre hanno sparato in aria. E anche se per errore avessero puntato le armi contro la Sàlome, nulla sarebbe acca­duto, perché le rivoltelle erano tutte caricate a polvere. Solo la mia rivoltella era caricata per ferire e per uccidere. Io ho sparato contro l'at­trice.

Primo attore                           - (a Maddalena) Ma chi ti aveva data la rivoltella?

Maddalena                             - L'avevo.

Primo attore                           - Noi viviamo insieme da due anni e io non ho mai saputo che tu avessi una rivoltella.

Maddalena                             - L'avevo comprata oggi, per questo.

Roland                                   - E in quale negozio, signora?

Maddalena                             - Non ricordo il negozio.

Roland                                   - Eppure, bisognerà ricordarlo.

Spettatore ritardatario            - (a Roland) Ma qui si cerca di scoprire l'assassino o si cerca di nasconderlo?

Roland                                   - (allo spettatore ritardatario) Quel­lo che si cerca, lo vedrete!...

Medico del teatro                  - (a Roland) Debbo far notare che la Sàlome è stata colpita alla parte sinistra del petto, evidentemente mentre girava su sé stessa nel fingere di voler evitare il colpo dell'attore che recitava con lei. La ferita è stata prodotta in maniera evidentissima, da una ri­voltella speciale, inconfondibile, quella che re­ca la marca Kappa Nove, col silenziatore. È una rivoltella con cui si può sparare a una di­stanza considerevole e i suoi proiettili produ­cono una ferita lacerante, che lascia una specie di raggiera intorno al foro principale.

Roland                                   - (dopo aver ascoltato attentamente  A Maddalena) Signora, non siete voi l'assas­sina. Potete andare.

Spettatore ritardatario            - Ma come? Quella s'accusa e la si manda via così?...

Roland                                   - (allo spettatore ritardatario) Ades­so credo di avere il diritto di dirvi che non ca­pite nulla. La signora si accusa, perché suppone che a uccidere la Sàlome sia stato il suo amante, il primo attore, e quindi cerca di salvarlo.

Primo attore                           - Oh!

Maddalena                             - (contemporaneamente) Non è vero.

Roland                                   - È vero, signora, è vero. Potete an­dare. Se avrò bisogno di voi, vi farò chiamare. (E, mentre Maddalena si ritira dietro le quinte parlando animatamente col primo attore, Roland si rivolge al medico) Dottore, per piacere, il colpo non è stato sparato, per caso, dal basso in alto?

Medico                                   - È un particolare che potrà essere stabilito precisamente dall'autopsia. Ma fin da questo momento posso affermare che con no­vanta probabilità su cento, il colpo è stato spa­rato proprio dal basso in alto.

Roland                                   - Per esempio, potrebbe essere stato sparato dalla cuffia del suggeritore.

Suggeritore                            - Prego di credere che io...

Roland                                   - (guardando il suggeritore) Credo, credo... O  potrebbe essere stato sparato anche più in là, dalla platea...

Voci                                       - Dalla platea?

Roland                                   - Conosco le rivoltelle Kappa Nove. Sono infallibili.

Armaiolo                                - (dalla platea, avvicinandosi al pal­coscenico) Signor ispettore.

Roland                                   - Chi siete?...

Armaiolo                                - Sono Curio Leumann, l'armaiolo della 38a strada. Io sono l'unico depositario in questa città delle rivoltelle Kappa Nove. Sta­mattina alle dieci, una signora, che potrei ri­conoscere benissimo, se la rivedessi, ha com­prato nel mio negozio una rivoltella Kappa Nove.

Roland                                   - Favorite qua sopra. (L'armaiolo sale sul palcoscenico).

Roland                                   - Avete riconosciuto la compratrice dell'arma in quella signora che poco fa si accu­sava del delitto?

Armaiolo                                - Escludo assolutamente che sia lei. Sono tuttavia quasi sicuro che la compra­trice dell'arma è tra gli spettatori. Entrando in teatro l'ho vista nei corridoi.

Roland                                   - Era sola?

Armaiolo                                - Parlava con un signore basso, tarchiato, con la caramella.

Roland                                   - (al direttore di scena) Prego di far accendere le luci in platea. (Il direttore di sce­na dà ordini agli elettricisti e la platea s'illu­mina. L'armaiolo guarda con attenzione in giro. Roland rivolto alla platea continua:) Se questa signora, essendo in teatro, volesse avere la com­piacenza di presentarsi... (Nessuno risponde). Tanto, fuggire da questo locale, in questo mo­mento è difficilissimo e fra poco sarà impossi­bile.

(Si ode il passo cadenzato di un plotone di guardie, che è arrivato nel corridoio. Subito do­po si apre una delle porte ed entrano tante guardie in divisa quante sono le porte della sala. A ciascuna porta si metterà una guardia; e similmente una guardia si metterà a ciascuna delle porte esterne del teatro, in modo che du­rante gli intervalli gli spettatori possano circo­lane entro il teatro senza poterne uscire).

Sottufficiale delle guardie in divisa   - (da una porta del corridoio, a Roland) Signor ispettore, tutto è a posto.

Roland                                   - (al pubblico, continuando) Ecco: il teatro è presidiato' e circondato. Se la signora che stamane ha comperato la rivoltella Kappa nove nell'armeria Leumann vuol presentarsi... (nessuno risponde). Sta bene. (All'armaiolo) Favorite seguirmi. La cercheremo. (Mentre egli fa l'atto di scendere dal palcoscenico nella sala, dall'interno del palcoscenico arriva correndo l'i­spettore Warner che si rivolge subito a Roland).

Warner                                   - (a Roland) Signor Mack.

Roladn                                   - (voltandosi) Che c'è?

Warner                                   - (guarda verso la platea come per di­re: «Posso parlare? »).

Roland                                   - Avanti, avanti, dite pure.

Warner                                   - All'albergo Miramare nella ca­mera occupata dalla attrice Magda Sàlome è stato commesso un furto.

Roland                                   - Quando?

Warner                                   - Due ore fa. Io rivedevo l'elenco dei nuovi arrivati, quando fui avvertito che qual­cuno, entrato per mezzo dì chiave falsa, nella camera della Sàlome, aveva rubato. Salii subito a vedere e trovai tutta la camera in disordine. Dal primo esame non pare che si tratti d'un furto di gioielli o di denaro. Infatti ho trovato per terra alcune collane, molti anelli e anche una borsetta contenente tremila dollari. Eviden­temente sono stati rubati dei documenti, ma l'autrice del furto...

Roland                                   - L'autrice?

Warner                                   - Sì. Una donna. Era stata sorpresa e fermata dalla servitù...

Roland                                   - E dov'è?

Warner                                   - L'avevo condotta al commissaria­to, quando ho appreso che qui, in teatro, Magda Sàlome era stata uccisa. Così ho condotta qui la ladra.

Roland                                   - E dove è?

Warner                                   - (facendo segno dietro le quinte) Vieni!

(Entra Lydia Basco accompagnata da un agente).

Lydia                                     - (vedendosi sul palcoscenico, dinanzi al pubblico, si copre il volto con le mani) No, qui no, qui no!

 Roland                                  - (le si avvicina, la costringe a mo­strare il volto) Fatevi vedere, signora, fatevi vedere...

Armaiolo                                - (subito) Ecco: è questa la si­gnora che stamane ha comperato nel mio ne­gozio la rivoltella Kappa Nove.

Roland                                   - (a W'arner) Avete detto due ore fa?

Warner                                   - (guardando l'orologio) Esatta­mente!

Roland                                   - Allora non è lei che può aver spa­rato qui, in teatro...

Armaiolo                                - Io l'ho veduta nei corridoi quan­do sono entrato.

Roland                                   - (all'armaiolo) Quando siete en­trato?

Armaiolo                                - Molto tempo prima dello spetta­colo.

Roland                                   - Quanto tempo?

Armaiolo                                - Non so precisare, ma certo sono venuto prestissimo, perché non avevo ancora biglietto e temevo di trovare tutto esaurito.

Roland                                   - (a Lydia) Come vi chiamate?

Warner                                   - (intervenendo) Si chiama Lydia Basco. Ho io tutte le generalità.

Roland                                   - (a Warner) Che Cosa aveva ru bato?

Warner                                   - Addosso non aveva nulla. Ma si sospetta che non fosse sola. Infatti, mentre fuggiva, nel momento in cui fu sorpresa dalla servitù dell'albergo, un uomo l'aveva preceduta

Roland                                   - Come era quest'uomo?

Warner                                   - La servitù dice che si trattava di un uomo basso, tarchiato.

Roland                                   - (all'armaiolo) Forse quello con cui parlava nel corridoio del teatro, quando voi la vedeste?

Armaiolo                                - (si stringe nelle spalle).

Roland                                   - (a Lydia) Sapete che Magda Sàlome è stata uccisa con la rivoltella che voi compraste stamane nella armeria Leumann?

Lydia                                     - (terrorizzata) Uccisa? (Scoppia in un pianto dirotto, si agita, guarda d'intorno) E dov'è? Dov'è? (Fa l'atto di lanciarsi verso le quinte).

Warner                                   - (fermandola) Un momento.

Roland                                   - (al direttore di scena) Per favore, volete far chiudere il sipario?

Direttore di scena                  - Giù il sipario! (Mentre il sipario si chiude, Roland e Werner trattengono a stento Lidia Basco, In quale, di­battendosi ancora, grida come una forsennata).

Lydia                                     - Lasciatemi! Dov'è? Dov'è? Dove l'avete portata? Voglio vederla!

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Durante l'intervallo fra il primo e il secondo atto il pubblico, tanto nella sala quanto nel ri­dotto del teatro, sarà stato vigilato dalle guardie in divisa e dalle guardie in borghese. Qualcuno dei personaggi che partecipò alla vicenda dalla sala si sarà mescolato al pubblico vero; e, verso la fine dell'intervallo, lo stesso Roland ed il Warner e il medico del teatro avranno più volte attraversato il ridotto e la sala, dando l'impres­sione che la chiusura del velario non ha per nulla interrotto l'azione della polizia.

Quando saranno stati dati i segnali della ri­presa e il pubblico sarà tornato tutto al proprio posto e i lumi della sala saranno spenti, si ri­presenterà alla ribalta il direttore del teatro.

Direttore del teatro                - (al pubblico) Signo­re e signori, non essendo possibile proseguire la rappresentazione del dramma « La Paura » di Joseph Amar, ne potendosi d'altra parte conge­dare il pubblico prima che le indagini della po­lizia intorno all'assassinio di Magda Sàlome sia­no espletate, l'ispettore Roland Mack continuerà a compiere il suo dovere a sipario alzato. L'i­spettore Roland Mack, suo malgrado, non può permettere l'uscita del pubblico dalla sala, pri­ma di avere interrogato rapidamente tutti gli spettatori, prendendo le generalità di ciascuno. Egli chiede scusa del disturbo ch'è costretto a dare al pubblico e particolarmente alle signore ; ma, fino a quando colui o colei che ha sparato contro l'attrice Magda Sàlome con la rivoltella Kappa Nove non si sarà deciso a costituirsi, queste operazioni di polizia sono indispensabili. Dal canto suo, il pubblico aiuterà l'opera della giustizia dicendo tutto quello che gli sembri utile alla ricostruzione di questo misterioso dramma da cui è stata funestata la serata. (S'in­china e si ritira dietro il velario, che subito do­po sarà aperto).

La scena è la stessa del primo atto. È stato solo aggiunto o spostato un tavolino, attorno al quale siedono Roland, Warner, che all'alzarsi della tela continuano le loro indagini. Dinanzi a loro è in piedi l'autore del dramma « ha Paura ».

Roland                                   - (all'autore) Dunque, voi siete l'au­tore del dramma ce La Paura».

Autore                                    - Sissignore.

Roland                                   - Sapete come si sono svolti i fatti?

Autore                                    - Approssimativamente. Quando i fatti accaddero, io ero uscito fuori del teatro, dalla parte del palcoscenico, perché di solito non posso assistere alla rappresentazione dei miei lavori.

Roland                                   - (sorridendo) Soffrite... del titolo del vostro dramma?

Autore                                    - (sorridendo anche lui) Già.

Roland                                   - Dunque, si era alla terza scena del vostro dramma; quella in cui il primo attore spara contro la prima attrice.

Autore                                    - Non contro. Spara in aria. Egli vuol fare l'esperimento decisivo per vedere se veramente con la paura gli riesca di tener le­gata a sé la propria amante.

Roland                                   - Infatti, quando egli ha sparato il colpo, accorrono i personaggi che sono nella stanza contigua; il caratterista, la generica che fa da cameriera e il generico che fa da came­riere. Costoro domandano che cosa sia accaduto. Il primo attore risponde: «Ho sparato in aria. È stato per farle paura ». Al che la prima at­trice, che si era riparata dietro le persiane della veranda, deve esclamare: «Vigliacco! E se mi avessi colpita veramente? ». A questo punto del­la rappresentazione il suggeritore disse più vol­te la battuta all'attrice: ma ella non la raccolse. Credendo che si trattasse di un contrattempo, il primo attore ripete la propria battuta: « E sta­to per farle paura ». Ma nemmeno questa volta l'attrice si mosse. Ella era caduta nell'interno della scena; era stata colpita da una rivoltella Kappa Nove; era morta. L'identificazione dell'arma con cui la Sàlome fu uccisa sembra escludere ch'ella sia stata colpita dal primo at­tore, o dal direttore di scena o dal macchinista che contemporaneamente spararono in aria i loro colpi. D'altra parte, io ho potuto consta­tare che le tre rivoltelle della scena, tutte di marca eguale ma diversa da quella della rivol­tella omicida, erano state caricate a polvere dallo stesso direttore di scena. Sul palcoscenico e nei camerini, finora, non è stata rinvenuta alcun'altra arma. La signora Maddalena Gide, amica del primo attore, si accusò lei del delitto, temendo, io credo, che a uccidere la Sàlome fosse stato proprio il primo attore. Che cosa sapete voi delle relazioni fra la Sàlome, il pri­mo attore e l'amica di costui?

Autore                                    - (reticente) Io, veramente...

Roland                                   - Chiedo alla vostra lealtà la mag­giore precisione. Io so che voi eravate intimo di tutt'e tre le persone, e che tanto la Sàlome quanto il Savoir, e cioè il primo attore, s'erano uniti in compagnia soltanto in omaggio a voi e per rappresentare il vostro dramma.

Autore                                    - Come sapete voi tutto questo?

Roland                                   - (con un sorriso ambiguo) Potrei rispondervi che è il mio mestiere. Ma non voglio apparire più bravo di quello che sono. Ieri sera io venni a teatro ad assistere alla prova generale per vedere se fossero stati eseguiti al­cuni tagli ordinati dalla Censura sul copione. Il direttore del teatro mi informò di queste cose.

Autore                                    - (rassegnato a parlare) Io conobbi Magda Sàlome tre anni fa a Nizza. Fu lei che mi suggerì, in parte, il tema del mio dramma e mi disse che, se io lo avessi scritto, ella lo avrebbe recitato volentieri. Allora ella era l'a­mante di Ladislao Savoir, il primo attore.

Roland                                   - Ah!... La Sàlome, dunque, era l'amante del Savoir, tre anni fa?

Autore                                    - Sì, credo anzi che la Sàlome mi abbia chiesto il dramma appunto per rappre­sentare un brano della sua vita intima col Savoir.

Roland                                   - Il Savoir la teneva legata a se per mezzo della paura?

Autore                                    - La scena in cui il primo attore spara, con le naturali modificazioni, dev'essere accaduta sul serio fra i due amanti.

Roland                                   - Ah! ecco.

Autore                                    - Durante le prove, essi la recita­vano sempre con un turbamento invincibile, soffrivano per davvero.

Roland                                   - Di modo che voi supponete che veramente il primo attore, durante la scena, avrebbe potuto sparare contro la Sàlome?

Autore                                    - Questo lo escludo.

Roland                                   - E perché lo escludete?

Autore                                    - Oramai fra i due s'erano stabiliti dei rapporti tranquilli, amichevoli. Il Savoir è innamorato di Maddalena Gide, di colei che si accusava autrice del delitto. La Sàlome, a sua volta... (Una pausa).

Roland                                   - E la Sàlome?

Autore                                    - La Sàlome aveva rinunziato per sempre all'amore. Questo, almeno, diceva lei. E infatti, per quel che so io, ella resisteva tenacemente agli assalti, alle preghiere, alle sup­pliche dei suoi innumerevoli adoratori. Qual­cuno si uccise.

Roland                                   - Non sospettate che ella avesse un amante segreto?

 Autore                                   - Era un anno che io avevo con lei una grande familiarità. Escluso l'amore, può dirsi che per un anno io abbia fatto con lei vita in comune.

Roland                                   - E come spiegava, la Sàlome, co­desta sua decisione di rinunziare all'amore?

Autore                                    - Non so se la spiegasse. Certo non amava. Soleva dire: « Se io avessi dell'ingegno, potrei fare ora delle cose mirabili, perché quel­lo che occupa i tre quarti della vita di una donna, l'amore, è ormai lontanissimo da me, dal mio spirito, dai miei sensi.

Roland                                   - E voi credete che ella, in tutto questo tempo, non abbia avuto nemmeno delle relazioni passeggere, nemmeno un capriccio?

Autore                                    - Non so. Naturalmente, c'erano del­le ore, qualche volta dei giorni, che io non la vedevo.

Roland                                   - Dunque, non potete escludere, in maniera assoluta, che la sua rinunzia fosse com­pleta, anche fisicamente...

Autore                                    - Voi capite che non posso esclu­derlo in maniera assoluta. Ma la sua freddezza, la sua indifferenza, perfino l'assenza di ogni crudeltà, in lei, di fronte ai suoi esasperati am­miratori, potrebbero farmelo credere.

Roland                                   - Per colpa di chi avvenne la rot­tura fra lei e il Savoir?

Autore                                    - Per volontà di lei.

Roland                                   - Il Savoir s'era rassegnato?

Autore                                    - (reticente) Non so.

Roland                                   - Avanti. Abbiate la bontà di par­lare.

Autore                                    - Il Savoir, durante le prove del mio dramma, mi confidò, talvolta, che, sebbene in­namorato di Maddalena Gide, era turbato dalla vicinanza della Sàlome. Mi diceva: ce Se non fosse per il bisogno che ho di vivere e per l'amicizia che ho per voi, non affronterei que­sta sofferenza ».

Roland                                   - Nient'altro?

Autore                                    - Tre sere fa, dopo la prova, il Sa­voir entrò improvvisamente nella camera di lei. Ma fu respinto. Per di più Maddalena Gide lo sorprese nell'atto di uscire dalla camera della Sàlome. Ecco perché ora Maddalena Gide può aver creduto che autore del delitto fosse il Savoir.

Roland                                   - Allora la Gide odiava, o per lo meno temeva la Sàlome.

Autore                                    - Può darsi.

Roland                                   - Voi non escludete che la Gide possa essere stata lei...?

Autore                                    -  No, no. La Gide non può essere stata.

Roland                                   - Potrei essere anch'io del vostro parere. Ma intanto, attraverso quello che voi dite...

Autore                                    - La Gide ha paura delle armi.

Roland                                   - Ma una paura può essere superata da una paura più forte. La Gide poteva aver paura di perdere il proprio amante.

Autore                                    - Ella non aveva questa paura.

Roland                                   - Perché voi avete sentito il bisogno di far presentare al pubblico gl'interpreti del vostro dramma prima dello spettacolo?

Autore                                    - L'ho dichiarato: è una tradizione antica.

Roland                                   - Permettetemi di dirvi che la vostra spiegazione non mi convince.

Autore                                    - (offeso) E perché?

Roland                                   - (sorridendo) Oh! non crediate che io possa lontanamente sospettarvi autore del de­litto. Voi solo potevate avere interesse vero e profondo che quanto è accaduto non accadesse. Ma il particolare mi sembra importantissimo per un'altra ragione. Ieri sera, durante la prova generale, si parlò di un capriccio che ebbe spes­so la Sàlome quando recitava, prima di questo suo ritorno alle scene. Il capriccio consisteva in questo: che molte volte all'ora dello spetta­colo, ella, ora con una scusa e ora con un'altra, abbandonava il teatro e lo spettacolo doveva essere rinviato. Pagò molte penali per questo. Ieri sera, essendole stato ricordato il capriccio, ella disse: « Basta che io mi presenti al pub­blico, che veda il pubblico, e non c'è pericolo che mi rifiuti di recitare ». Inoltre, ella si aspet­tava delle feste, per questo suo ritorno, e voi non volevate che le feste le fossero fatte du­rante, la rappresentazione del vostro dramma. Così fu deciso, soltanto ieri sera, di rimettere in onore quella che voi chiamate una tradizione antica e che consiste nel presentare gl'interpreti principali prima dello spettacolo.

Autore                                    - Ebbene?

Roland                                   - Ebbene, voi forse ignorate che due ore fa, prima che la Sàlome fosse uccisa, nella sua camera, all'albergo Miramare, è stato com­piuto un furto.

Autore                                    - Un furto?

Roland                                   - Già. È chiaro che il ladro o i ladri hanno compiuto il furto, quando sono stati per­fettamente sicuri che la Sàlome avrebbe reci­tato e quindi non sarebbe ritornata improvvi­samente all'albergo.

Autore                                    - Questa cosa mi sorprende.

Roland                                   - Forse vi sorprenderà ancora di più, quando saprete, che, avvenuta la presen­tazione degli interpreti, voi - personalmente voi - avete telefonato dal telefono del palco­scenico queste precise parole: « Lo spettacolo è incominciato ».

Autore                                    - (turbato) Chi afferma questo?

Roland                                   - Lo afferma uno che vi ha visto e vi ha sentito nel momento in cui avete tele­fonato.

Autore                                    - (c. s.) Non ricordo.

Roland                                   - Voi conoscete la signora Lydia Basco?

 Autore                                   - (c. s.) La conosco.

Roland                                   - La signora Lydia Basco è stata sor­presa nella camera di Magda Sàlome, a rubare. (A Warner) Chiamate la Basco. (Warner esce).

Autore                                    - Ma il vostro sospetto è atroce.

Roland                                   - Caro signore. Io non ho sospetti. Io, per ora, espongo dei fatti, ne cerco la con­ catenazione logica. Vorrei che tutto procedesse speditamente, per liberare questi signori (ac­cenna al pubblico) dall'obbligo di rimanere qui dentro tanto tempo. (Ritorna Warner con Lydia Basco).

Roland                                   - (subito, a Lidia) Voi conoscete questo signore? (accenna all'autore).

Lydia                                     - (subito) Io no.

Autore                                    - (subito anche lui) Forse non mi ha visto bene. (A Lydia) Signora, sono io.

Lydia                                     - Io non vi conosco.

Autore                                    - Ma andiamo! Che storia è questa? Io sono Joseph Amar, l'autore del dramma «La paura». Voi mi conoscete benissimo.

Lydia                                     - È la prima volta che vi vedo.

Autore                                    - È inaudito. Ma voi ignorate, forse, la gravità della vostra menzogna. Qui si sospetta che io vi abbia telefonato al principio dello spet­tacolo. Ora io ho già detto di conoscervi e ho già detto che non vi ho mai telefonato. Perché, improvvisamente, tentate di far credere che io e voi non ci conosciamo? Non capite che così state avvalorando l'iniquo sospetto?

Lydia                                     - Ripeto e confermo che io non vi co­nosco.

Roland                                   - (intervenendo, all'autore) Non vi preoccupate. (Ironico) È un caso di amnesia. La signora, quando ha saputo che la Sàlome è stata uccisa, stava per svenire. Ora il trauma, lo choc, possono averle tolto temporaneamente la memoria. Aiuterò io, tutt'e due, a uscire da questa imbarazzante situazione. (Sempre all'au­tore) Voi ricordate, almeno ora, di aver telefo­nato al principio dello spettacolo?

Autore                                    - Prima che aggravi l'infamante so­spetto intorno alla mia persona, dirò una cosa che non volevo dire. È vero che io ho telefo­nato al principio dello spettacolo. Ma ho tele­fonato a una signora che è la mia amante e che mi rifiuto assolutamente di nominare, perché si tratta di una donna maritata. Ella, non vo­lendo affrontare le emozioni della prima rap­presentazione del mio dramma, mi aveva pre­gato di tenerla informata delle fasi dello spet­tacolo, atto per atto. Io, ripromettendomi di annunziarle l'esito del primo atto, l'avevo in­tanto avvertita del principio.

Roland                                   - È verosimilissimo. Avremo modo, comunque, e sia pure con le dovute cautele, di fare i necessari confronti. Ma come e perché voi conoscete questa signora (accenna a Lydia) che dice di non conoscervi?

Autore                                    - Perché ella dica di non conoscermi, è un mistero. Certo ella era una amica in­tima di Magda Sàlome.

Roland                                   - Di questo ci eravamo accorti quan­do ella apprese la notizia del delitto.

Autore                                    - L'avrò vista per lo meno cento volte durante i miei amichevoli rapporti con la Sàlome. L'ultima volta (fa l'atto di pensare e di ricordare) aspettate... (una pausa) L'ultima volta ella entrò improvvisamente nella camera della Sàlome. Fu a Miami. Tre mesi fa. Io leg­gevo alla Sàlome il terzo atto del mio dramma. Mi ricordo precisamente le parole che ella dis­se alla Sàlome: «Rosemblath è stato ucciso in un cofiitto con la polizia! ».

Roland                                   - Come avete detto?

Autore                                    - Rosemblath. L'assassino di Mur­ger. Non vi ricordate del delitto di Cicago, che fece tanto chiasso?

Roland                                   - (freddo) Credo di ricordarmene. Murger, il gioielliere, fu ucciso da Rosemblath, un vero bandito. Una sera, dopo tre mesi dal delitto, Rosemblath che si era rifugiato sulle montagne di Rockford, fu ucciso in conflitto dall'ispettore di polizia Roland Mack. Quell'i­spettore sono proprio io, che debbo a quella mia tremenda fatica la promozione ad ispettore capo.

Lydia                                     - (furibonda contro Roland) Assas­sino! Assassino!

Roland                                   - (fissando Lydia) Signora, ma voi chi siete? Non si è mai parlato di voi, e io non vi ho mai vista in quel periodo di tempo. Co­noscevate Rosemblath?

Lydia                                     - Non lo conoscevo personalmente, ma avevo ragione di amarlo

Roland                                   - Amarlo?

Lydia                                     - Lo amavo perché egli era figlio della stessa mia madre!...

Roland                                   - E dov'è questa madre di Rosem­blath, se non si è sentito mai parlare di lei?

Lydia                                     - Era da molti anni in America. Mor­to il suo primo marito, padre di Rosemblath, mia madre era passata a seconde nozze; e da queste nozze sono nata io.

Roland                                   - Rosemblath diceva di ignorare la sorte della propria madre; forse la credeva morta.

Lydia                                     - Ella non poteva rivelarsi perché sa­peva la torbida, avventurosa vita di suo figlio; e forse aveva paura di comprometterlo. Ma lo amava perdutamente, parlava sempre di lui, sof­friva delle avventure tremende di quell'uomo ormai tagliato fuori dalla società. Ed io avevo imparato ad amarlo attraverso le ansie e le sof­ferenze di mia madre, della madre comune.

Roland                                   - (turbato) Perbacco! E dire che io ho cercato tanto quella donna, in quel tempo... E come conoscevate Magda Sàlome?

Lydia                                     - Magda Sàlome era stata l'amante di Rosemblath... (sorpresa dell'autore).

Roland                                   - Ma voi conosceste la Sàlome quan­do era l'amante di Rosemblath?

Lydia                                     - No, dopo. Ritornata in America, po­co prima di mia madre...

Roland                                   - Vostra madre è in America?

Lydia                                     - Sì. Ritornata in America, seppi dei rapporti fra la Sàlome e Rosemblath, volli co­noscere l'attrice, diventammo amiche.

Roland                                   - E la Sàlome amava ancora Rosemblath?

Lydia                                     - L'odiava, ne aveva una paura terribile. Ma io sentivo che nel fondo di quest'odio c'era ancora dell'amore; e speravo di ritrovare I Rosemblath, di condurre i due amanti alla conciliazione. Poi venne il delitto di Cicago. Rosemblath uccise il gioielliere Murger.

Roland                                   - E forse voi sapete la ragione per cui Rosemblath uccise il gioielliere Murger?

Lydia                                     - Si disse che lo uccise per depredarlo. Forse fu anche per questo. Ma certo lo uccise soprattutto per gelosia. Perché il Murger era  stato, a sua volta, l'amante di Magda Sàlome.

Roland                                   - Chi vi disse questo particolare?

Lydia                                     - La Sàlome.

Roland                                   - (pensieroso, come disorientato) Perbacco! (Una pausa; poi di nuovo a Lydia) E voi perché negate di conoscere il signor Joseph Amar, autore del dramma « La Paura »? (Lydia non risponde) Oramai il vostro diniego mi sembra assurdo. Che cosa temete? (Lydia  non risponde. Roland si rivolge all'autore) Avanti, parlate voi, a che cosa attribuite il diniego di questa signora?

Autore                                    - Io mi sento scombussolato. (Una pausa) Permettetemi di riepilogare, di fissare i punti essenziali di questa vicenda aggrovigliata. E Io ignoravo che Magda Sàlome fosse stata l'amante del bandito Rosemblath. Ignoravo che questa signora fosse sorellastra di Rosemblath. Io, di Rosemblath, non sapevo più di quello che I pubblicarono i giornali. Il gioielliere era la seconda vittima di quel pericoloso bandito che fu I ucciso da voi. Adesso mi spiego certe parole oscure che Magda Sàlome mi diceva talvolta, Ella diceva: «Forse io sarò uccisa!». Mi viene il sospetto ch'ella temesse di essere uccisa dal Rosemblath. Morto costui non pensate che l'assassino di Magda Sàlome possa essere un dipendente del bandito, una specie di suo erede spirituale?

Roland                                   - (pensieroso) Potrebbe essere...

Warner                                   - (intervenendo, rapido) Un momento. Il sospetto del signore mi sembra degno d'attenzione. La signora Lydia Basco ha comprato lei, stamani, la rivoltella Kappa Nove.

Lydia                                     - Io ho comprato la rivoltella...

Warner                                   - Riconoscete, finalmente, di averla  comprata voi?

Lydia                                     - L'ho comprata per una persona che E forse, se sarà necessario, nominerò; ma che non può aver compiuto il delitto perché al momento del delitto era con me, nella camera della Sà­lome, all'albergo Miramare...

Warner                                   - E con quale pretesto questa per­sona vi indusse a comprare la rivoltella?

Lydia                                     - Mi disse che era abituato ad andare armato e che aveva perduto la sua arma.

Warner                                   - E voi non vi meravigliaste che mandasse voi a comprarla?

Lydia                                     - (riflettendo come smarrita) Sì, in­fatti, mi meravigliai. Adesso voi mi ricordate un particolare strano... Perché io, pur mera­vigliandomi, accettai?... Non so, non so. Mi pare di impazzire... Del resto, io escludo che la rivoltella con cui fu commesso il delitto sia pro­prio quella comprata da me.

Warner                                   - (a Roland) Signor Mack, che ve ne pare?

Roland                                   - (come trasognato) Continuate pure. Io seguo una mia idea.

Warner                                   - (a Lydia) Ammetterete, signora, ch'è molto singolare quello che dite. Incomin­ciamo col vedere chi sia questa persona che v'ha incaricata di comprare la rivoltella Kappa Nove. Chi è? (Lydia non risponde) Il vostro amante? (Lydia non risponde) Sta bene. Lo direte. Certo, non si va a comprare una rivol­tella per conto di uno sconosciuto o magari di un semplice amico. Dunque, questa persona vi manda a comprare una rivoltella, voi la com­prate, gliela consegnate; poi egli vi prega di an­dare a rubare, insieme con lui, nella camera del­la Sàlome...

Lydia                                     - Non abbiamo rubato.

Warner                                   - Per lo meno avete tentato di ru­bare.

Lydia                                     - Nemmeno.

Warner                                   - Di modo che vi sembra possibile farci credere che siete entrata con quella per­sona, furtivamente nella camera di un'estranea...

Lydia                                     - Non furtivamente. Una cameriera dell'albergo conosceva i miei rapporti con la Sàlome, e non si meravigliò di vedermi entrare nella camera di lei.

Warner                                   - Come apriste la porta?

Lydia                                     - Avevo una chiave che la Sàlome por­tava sempre con sé. Questo particolare, anzi, rassicurò la cameriera.

Warner                                   - Nessuna cameriera dell'albergo mi disse questo particolare.

Lydia                                     - Quella cameriera finiva il servizio proprio in quel momento. Si chiama Ester. Po­tete cercarla e interrogarla.

Warner                                   - E chi vi aveva dato la chiave?

Lydia                                     - La Sàlome!

Warner                                   - Per quale ragione?

Lydia                                     - Aveva dimenticato un portasigarette che le serviva al secondo atto.

Warner                                   - E per cercare un portasigarette voi avete messo sossopra tutto quello ch'era in quella camera, buttando per terra biancheria, gioiel­li, carte, denaro?

Lydia                                     - Non sono stata io.

Warner                                   - Allora è stata la persona che v'ac­compagnava...

Lydia                                     - Quella persona non m'accompagnava.

Warner                                   - Andiamo!

Lydia                                     - Insomma io sono andata per pren­dere il portasigarette. Dopo averlo preso, sono salita in camera mia.

Warner                                   - Lo ammetto. Voi abitate nello stes­so albergo.

Lydia                                     - Quando stavo per uscire dall'albergo, ho avuto il sospetto di aver dimenticato aperta la porta della camera della Sàlome. Infatti era così. Sono entrata e vi ho trovato quella persona che aveva messo tutto sossopra.

Warner                                   - E come aveva fatto quella per­sona a entrare nella camera o a sapere che n'era stata lasciata aperta la porta?

Lydia                                     - Anche lui abita nello stesso albergo.

Warner                                   - Oh! Adesso incominciamo a ragio­nare. Come vi spiegò il fatto di essersi intro­dotto a quell'ora nella camera della Sàlome?

Lydia                                     - Non potè spiegarmi nulla, perché io gridai per la sorpresa e per Io spavento. Alle mie grida accorsero le cameriere. Allora egli riuscì a fuggire. Questo è tutto.

Warner                                   - Non avete sospetti su quello che egli abbia rubato o abbia tentato di rubare?

Lydia                                     - Nessun sospetto.

Warner                                   - Volete dirci il suo nome?

Lydia                                     - (con rancore) Adesso ve lo dico perché credo di essere stata ingannata anch'io. (Guardando nel vuoto) Potrebbe essere lui l'as­sassino di Magda Sàlome.

Warner                                   - Prima Io avete escluso. Adesso lo ammettete.

Lydia                                     - Tra la sua fuga e il momento del delitto è passato un tempo sufficiente perché egli potesse venire in teatro.

Roland                                   - (intervenendo) La cosa è un po' difficile, perché all'ora fissata non fu più am­messo nessuno nella sala. O  meglio, fu ammesso uno spettatore, che gridò per entrare. È di là. (A Warner) Chiamatelo.

Warner                                   - Ecco: subito. Ma la signora stava per dire un nome.

Roland                                   - Penso io. (Warner esce. Roland si rivolge a Lydia) Come si chiama?

Lydia                                     - Frederic Lups.

(Rientra Warner con lo spettatore ritarda­tario).

Roland                                   - (a Lydia, indicandole lo spettatore ri­tardatario) È costui?

Lydia                                     - (dopo aver guardato lo spettatore ritar­datario) No.

Warner                                   - (a Roland) Ha detto il nome?

Roland                                   - Sì.

Spettatore ritardatario            - Almeno permettete che ritorni al mio posto. Sentirò pure io. Dal palcoscenico si sente poco e male.

Roland                                   - (seccato, allo spettatore ritardatario) Ritornate di là voi.

Spettatore ritardatario            - Sentite: Se voi credete che possa essere io la vittima di tutto questo imbroglio, vi sbagliate.

Roland                                   - Vi ho detto di ritornare di là!

Spettatore ritardatario            - Ma io ho pagato come tutti gli altri.

Roland                                   - (a Warner) Accompagnatelo.

Spettatore ritardatario            - (seguendo Warner)

                                               - È un arbitrio incredibile, un abuso di potere. (Esce con Warner).

Roland                                   - (a Lydia) Signora, ho bisogno di sapere ancora due cose. Prima di tutto: dov'è vostra madre?

Lydia                                     - Lei non c'entra, a quest'ora, non ha il più vago sospetto di quello ch'è accaduto.

Roland                                   - Signora, vi prego, ditemelo. Ho bisogno di vederla, d'interrogarla.

Lydia                                     - Se sapesse che voi avete ucciso Rosemblath, suo figlio, ella vi ucciderebbe.

Roland                                   - (abbassando il capo) Io ho fatto il mio dovere.

Lydia                                     - Il vostro dovere non era quello di uccidere; era tutt'al più quello di arrestarlo.

Roland                                   - Io mi sono difeso.

Lydia                                     - Vi odio!

Roland                                   - Io vi comprendo, signora. E sono triste che voi mi odiate. Ma qui, ora, non si riapre il processo Murger; qui si va alla sco­perta di un nuovo delitto.

Lydia                                     - Può darsi che i due delitti siano legati fra di loro.

Roland                                   - Allora tanto meglio. Allora la ne­cessità di sentire vostra madre è più evidente. Vi prego di dirmi dove si trova vostra madre.

Lydia                                     - (a malincuore) Ella abita al nu­mero 25 della 38a strada.

Roland                                   - (a Warner, che nel frattempo è ritor­nato) Fate venire qui, subito, la signora Basco. (Warner esce).

Lydia                                     - Se voi le fate del male, dandole un'emozione troppo forte, io mi vendicherò.

Roland                                   - State tranquilla, signora. E ora ditemi un'altra cosa. Perché insistete nel ne­gare di conoscere il signor Joseph Amar?

Lydia                                     - Non intendo rispondere.

Roland                                   - Signora, è necessario che voi ri­spondiate. (All'autore) Volete dir voi qualche cosa che ci illumini?

Autore                                    - Per me è inesplicabile. (A Lydia, dopo una pausa) Signora, parlate voi. (Lydia tace) Autorizzate per lo meno me a parlare? (Lydia tace). Mah! Parlerò ugualmente. (A Ro­land) Fra me e la signora Basco vi furono dei rapporti molto stretti...

Roland                                   - Quando?...

Autore                                    - Nel tempo in cui la conobbi in casa della Sàlome. Io sperai di sposarla; ella sperò di sposarmi. Poi gli eventi resero impossibile questo matrimonio.

Warner                                   - (ritornando in fretta) Ho mandato a chiamare la signora Basco madre. Ma ora c'è un fatto molto importante. Il sergente Rast ha potuto arrestare l'autore del furto consumato nella camera della Sàlome.

Lydia                                     - Frederic Lups.

Roland                                   - E dov'è?

Warner                                   - È qui.

Roland                                   - Dov'è stato arrestato?

Warner                                   - Nello stesso albergo Miramare.

Roland                                   - Dall'ora del furto al momento dell'arresto non ne era uscito?

Warner                                   - No.

Roland                                   - Questo esclude che sia stato lui l'uccisore di Magda Sàlome. E che cosa aveva rubato?

Warner                                   - Una lettera.

Roland                                   - Fatelo entrare.

(Egli ha appena pronunziato queste parole, quando il primo signore della platea grida dalla sala):

Primo signore della platea      - Qui per terra  c'è una rivoltella.

Roland                                   - (voltandosi) Che cosa?

Primo signore della platea      - (andando verso il palcoscenico) Ecco: al mio posto, per terra, ho trovato questa rivoltella.

Roland                                   - Quando? Ora?

Primo signore della platea      - (che intanto è sa­lito sul palcoscenico) Proprio ora. Più volte avevo avvertito col piede un corpo duro. Ma su le prime non vi avevo fatto caso. Poi, guardando nell'ombra, quasi sotto la sedia, ho potuto ve­dere che si trattava di un'arma.

Roland                                   - Date. (Prende dalle mani del pri­mo signore della platea l'arma, la guarda) È proprio una rivoltella Cappa nove- (L'esamina attentamente) È stato sparato un colpo solo. (A Warner) Chiamate l'armaiolo. (Mentre Warner esce, egli si rivolge a Lydia) La riconoscete per quella che stamane comperaste nell'armeria Leu­mann?

Lydia                                     - Mi pare. Ma io non m'intendo di armi.

Roland                                   - (all’armaiolo che è entrato subito insieme con Warner) È questa l'arma acquistata stamane nel vostro negozio dalla signora?

Armaiolo                                - (prende l'arma, ne legge un nu­mero sul manico) 5775. È proprio questa!...

Roland                                   - (riprendendo l'arma) Potete an­dare - (l'armaiolo esce). Dunque il colpo è stato tirato dalla platea. Lo sparatore, evidentemente, ha buttato l'arma durante l'intervallo. (Con un sospiro) Siamo forse a buon punto. (A Warner) Volete chiamare la persona arrestata nell'alber­go Miramare? (Warner s'affaccia fra le quinte e spinge in avanti Frederic Lups, che è un uomo basso, tarchiato, vestito molto bene, e porta la caramella. Roland si rivolge subito a lui) Ga­lantuomo, a evitare discussioni inutili vi av­verto... (Mentre egli ha appena incominciato a parlare si precipita su la scena il primo attore).

Primo attore                           - (a Roland) Io conosco questo signore (accenna a Frederic Lups). Posso dare informazioni forse molto importanti.

Frederic Lups                         - (squadra il primo attore con aria freddissima).

Roland                                   - (al primo attore) Un momento, si­gnor Savoir. Uno alla volta. (Poi a Frederic Lups) Dunque dicevo che intendo evitare discus­sioni inutili. Voi sapete che stamane avete in­dotto la signora Lydia Basco a comperare questa rivoltella Kappa Nove nell'armeria Leumann. Con questa rivoltella, poco fa, in questo teatro, è stata uccisa dalla platea l'attrice Magda Sà­lome, mentre recitava. Contemporaneamente, o quasi, voi vi siete introdotto nella camera che l'attrice Sàlome occupava all'albergo Miramare e vi siete stato sorpreso dalla signora Lydia Ba­sco. Fuggiste in un primo momento, siete stato arrestato poco tempo dopo nello stesso albergo Miramare e vi è stata sequestrata una lettera che voi avete rubato nella camera della Sàlome.

Warner                                   - (mostrando una lettera) La lettera è questa.

Roland                                   - (a Warner) Un momento!... (A Frederic Lups) Che cosa avete da dirci in me­rito a questi fatti così strani?

Frederic Lups                         - (freddissimo) Io? Niente.

Roland                                   - Riconoscete in quest'arma quella che avete fatta comprare stamane? (gli mostra la rivoltella).

Frederic Lups                         - La riconosco.

Roland                                   - Siete stato voi a servirvene per uc­cidere Magda Sàlome?

Frederic Lups                         - Io sono venuto in teatro un'ora prima dello spettacolo per accompagnare la signora Lydia Basco, che è la mia fidanzata. Sono ritornato subito all'albergo Miramare e non ne sono più uscito fino al momento in cui un sergente di polizia è venuto a pregarmi di accompagnarlo qui. Non avevo capito finora nemmeno la ragione per cui fu perquisita la mia camera e mi. fu presa quella lettera.

Warner                                   - Questa è una lettera indirizzata a Magda Sàlome e voi l'avete rubata nella sua camera.

Frederic Lups                         - Io non sono mai stato nella camera della Sàlome.

Lydia                                     - Non è vero. Vi ho sorpreso io mentre mettevate tutto sossopra.

Frederic Lups                         - (a Lydia) Deve trattarsi di un equivoco.

Roland                                   - (a Frederic) Andiamo. È inutile ne­gare. Voi siete entrato nella camera della Sà­lome e avete rubato quella lettera.

Frederic Lups                         - Se questo vi fa piacere...

 

Roland                                   - (nervoso) Piacere o non piacere, questi sono i fatti. Ditemi piuttosto come mai la vostra rivoltella non era più in vostro possesso al momento del delitto.

Frederic Lups                         - (facendo l'atto di toccare la tasca posteriore dei pantaloni) L'avrò perduta o me l'avranno rubata.

Roland                                   - Quando siete venuto in teatro, l'a­vevate in tasca?

Frederic Lups                         - Non ci ho fatto caso...

Lydia                                     - (a Frederic Lups) E perché avete in- ' dotto me a comperarla?

Frederic Lups                         - (a Lydia) Anche voi, dun­que, siete contro di me? (Una pausa) Non mi ricordo. Certo, in quel momento, avevo da fare...

Lydia                                     - Cosi, infatti, mi avete detto; e poi m'avete detto altre parole che non ricordo bene. Ma adesso è chiaro che m'avete nascosto la ra­gione vera.

Frederic Lups                         - (un po' seccato) Che ra­gione! (Cercando le parole) Si tratta di una su­perstizione... Dicono che le armi bisogna farle comperare da una donna... Del resto... io non ho ucciso e non ho indotto nessuno ad uccidere...

Warner                                   - E perché avete rubato questa let­tera?

Roland                                   - (a Warner) Leggetela.

Warner                                   - La lettera reca questo indirizzo: Signora Magda Sàlome, Villa Buonritiro - Mia­mi. Non c'è nessun timbro postale e nessuna data. La lettera dice così: «Uno per uno, tutti, E poi, forse, tu stessa. Nessuna forza lo impe­dirà ».

Primo attore                           - Io posso dare qualche spie­gazione intorno a quella lettera.

Roland                                   - (al primo attore) Parlate.

Primo attore                           - Quella lettera mi fu mostrata due mesi fa, a Miami da Magda Sàlome. Era av­venuta già da molto tempo la nostra riconcilia­zione.

Roland                                   - (al primo attore) Voi eravate stato l'amante di Magda Sàlome?

Primo attore                           - Sarebbe inutile negarlo, ormai.

Roland                                   - Perché e in quale circostanza vi fu mostrata quella lettera?

Primo attore                           - Si parlava dell'argomento che sopra gli altri crucciava l'animo dell'attrice: La paura! Ella era oppressa dal sentimento della paura. Questo sentimento aveva finito col rego­lare tutti i suoi atti, col governare tutta la sua vita. Il dramma di Joseph Amar doveva essere una specie di prova, un tentativo di liberazione. Ella diceva: ce Soltanto i sentimenti che ho po­tuto fingere sulla scena non hanno più nessuna presa nell'animo mio. Può darsi che, recitando il dramma della " Paura " io mi liberi da questa ossessione, riacquisti il dominio di me stessa». E debbo dire che da molto tempo ella cercava l'occasione di aver paura, per imparare a difen­dersene. Forse gli uomini che ella amò, dopo Rosemblath, erano per lei altrettante occasioni. Io stesso, forse, fui per lei un'occasione di pau­ra, perché ella sapeva di dover temere il rancore e la gelosia di Rosemblath.

Roland                                   - Ma voi avete detto che quella let­tera vi fu mostrata due mesi fa. Due mesi fa Rosemblath non esisteva più, perché era stato ucciso in conflitto.

Primo attore                           - Questo è il punto essenziale. A questo punto entra in iscena l'uomo che ha rubato la lettera (accenna a Frederìc Lups). Costui era un amico intimo di Rosemblath (se­gni di stupore fra gli astanti). Un giorno Magda Sàlome ine io mostrò. Mi disse: «Ecco: egli mi segue dovunque. Morto Rosemblath egli ha forse l'incarico di continuare la fosca vendetta. Ades­so è stato ucciso il gioielliere Murger, Fra poco, forse, uccideranno voi ».

Warner                                   - Voi chi?

Primo attore                           - La Sàlome temeva che un'al­tra delle vittime designate fossi io: perché il programma di Rosemblath e poi il programma dei suoi complici era quello di uccidere tutti gli amanti di Magda Sàlome. Lo avete letto nel­la lettera: « Uno per uno, tutti». Questo vuol dire!... Tre sere fa la Sàlome era spaventatis-sima perché nell'albergo aveva riveduto que­st'uomo. (Accenna ancora a Frederic Lups).

Roland                                   - (a Lydia) E voi, ch'eravate amica della Sàlome, perché siete diventata la fidanzata di costui?

Lydia                                     - Ignoravo questi particolari. La Sà­lome non mi aveva mai detto che Rosemblath avesse dei complici. E poi io non confidavo a lei le mie avventure personali.

Warner                                   - Allora i fatti sono ormai abbastanza chiari. Frederic Lups voleva uccidere Magda Sàlome per continuare le vendette di Rosemblath. Per facilitare il suo compito era 1 entrato in relazione intima con la signora Basco. Questa sera ha inviato un suo complice in teatro a compiere il delitto. Nel medesimo tempo, egli si è affrettato a rubare la lettera che poteva comprometterlo, perché è forse una lettera scrit­ta da lui stesso. Se dal teatro non è uscito nes­suno, fra poco l'assassino sarà nelle nostre mani.

Roland                                   - (fissando Warner) Mi pare che il ragionamento fili benissimo.

Warner                                   - (entusiasmato) Signor Mack, vo­gliamo incominciare a esaminare uno per uno gli spettatori?

Roland                                   - Incominciamo...

Warner                                   - (rivolto al pubblico) Signore... e signori...

Secondo signore della platea - (rapidissimo, dalla sala passa sul palcoscenico gridando) È inutile, è inutile la vostra fatica. L'uccisore sono io. Prendetemi. (Tutti i personaggi lo guardano).

Warner                                   - Chi siete voi?

Secondo signore della platea             - Sono il complice di Rosemblath. Nessun altro è responsabile diretto o indiretto del mio delitto. Arrestatemi.

Warner                                   - (a Roland) Ecco fatto, signor Mack!...

Roland                                   - (inarcando le labbra e guardando a lungo il secondo signore della platea) Aveva una strana fretta, improvvisa, di accusarvi, si direbbe che abbiate fretta di mandare il pubblico a casa (una pausa). Andate. Voi non avete la faccia dell'assassino... L'assassino lo troveremo...(poi rivolto ai macchinisti) Per piacere il sipario...

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Nuovamente, lungo il secondo intervallo, guar­die e funzionari si sono mescolati al pubblico nella sala e nel ridotto del teatro, le cui porte sono state sempre vigilate, da guardie) in divisa.

Quando sano stati dati i segnali della ripresa e il pubblico è tutto a posto, Roland appare alla ribalta:

Roland                                   - (al pubblico) Non vi avrei, distur­bato, signori, se non fossimo ormai all'epilogo di questa drammatica vicenda e se non fosse necessario un po' d'ordine. Privati così violen­temente di uno spettacolo, voi, dopo tutto, ave­te assistito a un altro spettacolo. Avete il diritto di vederne la fine. Certo è per me particolar­mente increscioso che un dramma vero abbia sostituito un dramma finto. Venuto in Teatro per divertirmi, io stesso mi sono trovato nella necessità di lavorare. Ma tutti, in questo mo­mento, serviamo la giustizia: e, prima della giustizia umana, la giustizia divina. Ancora po­che battute ed io confido di poter mostrare lo sciagurato protagonista del dramma di questa sera. (Ai macchinisti) Per favore, sipario...

Si apre il sipario. La scena è sempre quella del primo atto. In un angolo quasi raggruppati, sono Lydia Basco, Frederic Lups, il primo at­tore, l'Autore.

Warner                                   - (entrando subito dall'interno del pal­coscenico, a Roland) Signor Mack, è giunta la signora Basco, madre.

Lydia                                     - (staccandosi dal gruppo, a Roland) Per carità, non le fate male! E vecchia, è stanca. Un'emozione troppo forte potrebbe ucciderla. Ella è assolutamente estranea a quanto è avvenuto qui dentro e fuori.

Roland                                   - Abbiate fiducia in me, signora, il mio desiderio e il mio dovere sono quelli di non fare alcun danno, a vostra madre.

Lydia                                     - Bisogna che io vi dia un'altra pre­ghiera.

Roland                                   - Dite.

Lydia                                     - Tacetele la vostra qualità e il vostro nome. Non le dite di essere l'uccisore di Rosemblath, di suo figlio. Questo le farebbe assai male.

Roland                                   - (pensieroso) È giusto.

Lydia                                     - Ella ormai, ha una specie di manIa. Non parla che di questo suo figlio.

Roland                                   - State tranquilla, signora (A War­ner) È stata sommariamente informata delle ra­gioni per cui l'abbiamo fatta venire fin qui?

Warner                                   - Sì.

Roland                                   - Sa che c'è sua figlia?

Warner                                   - Sì.

Roland                                   - Che cosa ha detto?

Warner                                   - Parla poco. Ha ascoltato le cose che le sono state dette con una calma strana, come da una lontananza infinita. Quando le è stato detto: ce Signora, necessariamente siamo ancora sul palcoscenico di un teatro, ella ha sol­tanto domandato: « C'è anche il pubblico »?

Roland                                   - Le avete detto di sì?

Warner                                   - Naturalmente.

Roland                                   - E lei?

Warner                                   - È la prima volta che ella abbia avuto un sorriso. Un sorriso indefinibile. Ha detto: « Il pubblico non mi fa paura. Da giova­ne, ho fatto l'attrice».

Roland                                   - (a Lydia) Ha fatto l'attrice?...

Lydia                                     - Sì. Quando era giovane in Europa. D. suo secondo marito era proprietario di un Teatro.

Roland                                   - Era?...

Lydia                                     - L'anno scorso è morto. Io ero venuta in America tre anni fa. Lei venne appunto l'anno scorso. Il suo sogno era quello di ritro­vare suo figlio, di riunirsi finalmente a lui. E forse, se lo avesse trovato, non sarebbe accaduto quello che è accaduto (una pausa).

Warner                                   - (a Roland) La faccio entrare?

Roland                                   - Un momento - (si muove un po' nervosamente lungo la scena) (un'altra pausa).

Warner                                   - (a Roland) Voi credete che questa signora possa darci veramente dei lumi?

Roland                                   - Di quali altri lumi avete bisogno?

Warner                                   - (imbarazzato) Mah!... Non saprei, ignoro, il vostro piano... Quelli che si sono ac­cusati autori del delitto, voi li avete respinti.

Roland                                   - Vi sembravano i veri assassini?

Walter                                    - No, non dico questo. Voi avete certamente intelligenza e acume da vendere. Ma ormai il campo delle indagini è ristretto... (Ha un attimo di perplessità) Forse faccio male a parlare? ...

Roland                                   - Al contrario, parlate pure...

Warner                                   - Dico che il campo delle indagini è ristretto. È chiaro che fra la banda, la quale faceva capo a Rosemblath e quella che ha com­messo il delitto di stasera corrono dei rapporti impressionanti. Soltanto un lontano emissario di Rosemblath può avere ucciso Magda Sàlome. L'uccisore non può che avere sparato dalla pla­tea...

Roland                                   - Ne siete sicuro?

Warner                                   - Le apparenze sono queste. Voi stesso, del resto, le avete trovate verosimili. L'arma è stata trovata in platea.

Roland                                   - Non pensate che possa esservi stata buttata per ingannare noi?

Warner                                   - Voi credete che il delitto possa essere stato compiuto dal palcoscenico??

Roland                                   - (rapido) Volevo soltanto sentire il vostro parere. Fate entrare la signora Basco.

(Warner esce un attimo e rientra con la si­gnora Clotilde Basco, che è una vecchia di oltre 7O  anni, ma li porta assai bene. Ella entra, si guarda d'intorno come trasognata).

Lydia                                     - (con voce tremula) Mamma!

Clotilde                                  - (guardandola con un sorriso triste) Non ti spaventare, figlia...

Roland                                   - (porgendo una sedia a Clotilde; un po' emozionato) Signora, volete accomodarvi?

Clotilde                                  - (appoggiandosi alla sedia) No, per ora no. Sono forte abbastanza. Più tardi, forse.

Roland                                   - (cercando le parole) Signora, vi abbiamo dovuto disturbare contro il nostro vo­lere. Se fosse stato possibile saremmo venuti a interrogarvi in casa. Ma un particolare di questa triste vicenda mi ha costretto a pregarvi di ve­nire fin qui. È un particolare che nessuno, for­se, ha notato (una pausa). Debbo incominciare un po' da lontano (un'altra pausa). Io ho co­nosciuto vostro figlio Rosemblath.

Clotilde                                  - (prima s'appoggia alla sedia, poi vi cade sopra, vinta dall'emozione).

Lydia                                     - (facendo atto di impazienza, a Roland) Zitto, zitto! (S'avvicina alla madre).

Roland                                   - (senza raccogliere l'interruzione di Lydia, a Clotilde premuroso) Signora, vi sen­tite male?

Clotilde                                  - No, è passato.

Roland                                   - Non so se sappiate che vostro figlio ebbe dei rapporti con l'attrice che è stata uccisa stasera in questo teatro.

Clotilde                                  - Lo seppi da mia figlia, quando venni in America.

Roland                                   - Conosceste anche l'attrice?

Clotilde                                  - Non volli mai vederla.

Roland                                   - E perché, signora?

Clotilde                                  - Io amavo troppo mio figlio per sopportare la vista di colei che lo rovinò...

 

Roland                                   - Credete che Rosemblath si sia ro­vinato per lei?

Clotilde                                  - (fissando Roland) Perché mi ri­volgete questa domanda? È un rimprovero che fate a me, a me madre, che mi allontanai da mio figlio quando egli era quasi ancora un ra­gazzo?

Roland                                   - Io non vi rimprovero, signora.

Clotilde                                  - Me lo avete detto con una voce!... (Una pausa) Questo sospetto fu anche in me, qualche volta. Qualche volta mi sono rimpro­verata di aver posposto i miei doveri di madre agli impulsi del mio cuore. Io ero innamorata di colui che fu il secondo mio marito. Ma la verità è che mio figlio, in quel tempo, era un po' mio nemico. È terribile come i figli si disin­teressino dei bisogni intimi, dei bisogni umani della loro madre. Mi fa paura il ricordo di quel sentimento strano, complesso, inesplicabile, con cui mio figlio, tanto più si staccava da me, quan­to più io mi legavo all'uomo amato. Forse, non avendomi compresa, mio figlio mi odiò tutta la vita. E io invece l'ho amato. Quanto l'ho ama­to! L'ho portato dentro di me, quasi fisicamen­te, come nel primo periodo della maternità. Io potevo ben essere nello stesso tempo donna e madre. Ma lui forse non poteva essere nello stesso tempo figlio e uomo per comprendermi e per non odiarmi.

Roland                                   - Signora, io non credo che vostro figlio vi abbia mai odiato. Forse voi non sapete che è stato trovato un suo diario, dopo la sua morte. In questo diario si parla spesso e a lungo di voi. Forse questo diario vi sarebbe stato con­segnato, se la vostra esistenza ormai non fosse stata un mistero per tutti.

Clotilde                                  - E adesso dov'è questo diario? Chi lo possiede?

Roland                                   - Signora, ne parleremo dopo. Ades­so io debbo far violenza alla stessa mia commo­zione e proseguire il mio interrogatorio. Il tem­po stringe. (Una pausa) Dunque, voi non voleste mai conoscere l'attrice Magda Sàlome, perché la riteneste la causa maggiore della rovina di vostro figlio. Conoscete almeno i motivi per cui Rosemblath si distaccò dall'attrice e poi la perseguitò, deciso a uccidere tutti gli amanti di lei?

Clotilde                                  - No. Io non conosco questi motivi. Io so appena quello che pubblicarono i gior­nali. I giornali non parlarono quasi mai, o par­larono di sfuggita, dei rapporti fra mio figlio e l'attrice. L'ultima volta poi, non se ne parlò affatto. Si disse che Rosemblath avesse ucciso il gioielliere Murger a scopo di rapina...

Roland                                   - Ebbene, ora è venuto in luce che forse non si tratta soltanto di rapina. Anche il Murger era stato amante dell'attrice Sàlome, e, come si è detto, Rosemblath voleva uccidere tutti gli amanti di lei.

Clotilde                                  - Così li avesse uccisi prima che uccidessero lui!

Roland                                   - (con un sorriso triste) Lui fu uc­ciso per una fatalità, senza odio, da un uomo che doveva compiere fino in fondo il suo dolo­roso dovere.

Clotilde                                  - Non lo dite! io odio l'uccisore di mio figlio! Sento che, se potessi, mi vendi­cherei terribilmente di lui. Egli m'ha tolto la possibilità di rivedere mio figlio, di compiere finalmente il mio dovere di madre. Per lui mio figlio è morto prima di avere imparato ad amarmi.

Roland                                   - (turbato) Signora, debbo pregarvi ancora una volta di non allontanarvi troppo dall'argomento di questo penoso interrogatorio. (Una pausa; passeggia nervosamente lungo la scena) Io posso garantirvi che vostro figlio vi amò fino al suo ultimo respiro. Io parlai con lui. Mi ricordo certe sue parole febbrili: le di­ceva come parlando a se stesso, con una sovraeccitazione nervosa, con una eloquenza piena di drammaticità. Mi pare di sentirlo ancora: ce Vor­rei vedere mia madre. In questa maledetta pena dell'amore, quello che i figli non sanno fare per le madri, le madri sanno fare per i figli. Io sento ch'ella saprebbe curare il mo spasimo, come si cura una ferita. Sento che saprebbe guarirmi dall'amore di questa donna, come mi guarirebbe da un male fisico ». E parlando tre­mava, si strappava la camicia, come se il cuore gli volesse scoppiare. Era uno spettacolo pietoso e terribile.

Lydia                                     - (affannosamente, a Roland) Basta, basta!... Non a voi tocca ricordare questo! Siete crudele. Continuate a compiere il vostro dovere di inquisitore!...

Clotilde                                  - (a Lydia, debolmente ma con dispe­rata tenerezza) Lascialo dire, figlia, mi fa bene sentire queste cose. Mi fa bene sentirlo parlare.

Lydia                                     - (come dissennata) Ma tu non sai, mamma; tu non sai!

Roland                                   - (a Lydia, con tono di rimprovero) Signora! ?

Lydia                                     - (c. s.) No, no, no! Io debbo impe­dire questo. Io debbo impedire che questo con­forto venga a mia madre proprio da voi.

Clotilde                                  - (fissando la figlia) E chi è lui?

Roland                                   - (subito, a Lydia) Signora, vi prego!

Lydia                                     - (furibonda) È una commedia inde­gna. È una commedia turpe. Io non posso tolle­rare che continui.

Roland                                   - Signora!...

Lydia                                     - (rapida a Clotilde) Mamma, quest'uomo... (Mentre ella sta per parlare Roland le si getta addosso, sperando di impedirglielo; ma Lydia si libera e continua gridando) Quest'uomo è l'ispettore Roland Mack, è l'uccisore di Rosemblath.

Clotilde                                  - (coprendosi il volto con le mani) Ohhh!!!

Roland                                   - (guarda ora l'una, ora l'altra donna, come atterrito; poi dice) Voi non sapete, non potete immaginare quello che io provo in que­sto momento. Voi non sapete la vertigine che mi viene sentendomi investito da questa vam­pata, che è insieme d'odio e d'amore. Più forte è l'odio che voi provate per Roland Mack e più forte è l'amore che voi sentite per Rosemblath. (A Lydia) Pazza, pazza, perché avete parlato? Perché mi avete messo in questa situazione an­gosciosa? Come posso sopportare che questa donna    - (accenna a Clotilde), questa dolente crea­tura provi per me del rancore, per me che l'amo, per me che mi sento morire al pensiero di non essere amato da lei un attimo solo? (Si torce le mani, è disperato!).

Lydia                                     - E voi non avete pensato, uccidendo Rosemblath, che qualcuno avrebbe sofferto del­la sua morte?!

Roland                                   - (con angoscia) Non dite, non dite così. Non posso sentire!...

Clotilde                                  - (sollevandosi a stento) Portatemi via! Non posso respirare l'aria che respira l'as­sassino di mio figlio.

(Lydia aiuta Clotilde a sollevarsi, la conduce lentamente verso l'uscita).

Lydia                                     - Ecco, mamma, andiamo via, venite via.

Roland                                   - (balzando sulla soglia) Prima pas­sate sul mio corpo, se volete!...

Lydia                                     - (eretta, terribile) Maledetto! Male­detto!...

Roland                                   - Non ripetete questa parola, se non volete che commetta delle pazzie.

Clotilde                                  - (a Lydia) È giusto. Tu no. Io, io debbo dirla. (A Roland) Maledetto!

Roland                                   - (cadendo ai piedi di lei, contorcen­dosi) No, tu no, tu no, mamma, mamma, mam­ma mia (le tocca il lembo estremo della veste, le bacia la veste furiosamente. Stupore generale, d'intorno. Una pausa).

Clotilde                                  - (a Roland, con un fil di voce) Al­zati.

Roland                                   - (si alza pallidissimo. È spaventato dal­le sue parole. Ha gli occhi lucidi e sbarrati di un pazzo; si rivolge agli astanti) Non m'avete ancora riconosciuto? Ella sì, mia madre, sì, m'ha riconosciuto!  Io sono Rosemblath!!!

Warner                                   - Rosemblath? (movimento gene­rale).

Tutti                                       - (guardandosi) Rosemblath?!...

Warner                                   - (nervosissimo) Aspettate, fermate­vi tutti! (a Roland) Come siete voi Rosemblath?

Roland                                   - Tre mesi fa, sulle montagne di Rochford, io uccisi in conflitto Roland Mack, ispettore di polizia.

Warner                                   - Ma che dite? Siete impazzito?

Roland                                   - Non so se viva ancora una madre a cui io debba chiedere perdono. Adesso so, at­traverso la voce di mia madre, come sia terribile la maledizione della donna a cui fu ucciso un figlio (una pausa). Mi ricordo con terrore la scena sanguinosa in cui cadde ai miei piedi. Era­vamo fra i boschi, verso il tramonto. Io dopo avere ucciso il gioielliere Murger, avevo vagato per le campagne senza una mèta. Non mangiavo da tre giorni, non dormivo da tre notti. Con un coraggio eroico quel funzionario mi aveva inse­guito da solo, e da solo mi affrontava. Se Dio può essere testimonio ad una creatura colpevole come me, Dio sa come non avrei voluto ucci­derlo a nessun costo. Egli compiva il suo do­vere; io avevo compiuto soltanto le mie ven­dette contro un essere che aveva straziato il mio cuore d'amante, che aveva calpestato il mio or­goglio di uomo. Ma i miei nervi erano stanchi, tutte le forze mi avevano abbandonato. Vidi con­tro di me la rivoltella di Roland Mack, mi parve di sentire il fragore del primo colpo. Presi la rivoltella... sparai...

Warner                                   - Ma il cadavere fu riconosciuto per quello di Rosemblath, non già per quello di Roland Mack.

Roland                                   - La terribile idea mi venne dopo. Mack mi rassomigliava molto. Soltanto i suoi capelli erano biondi e i miei quasi scuri. Scesi in città, mi ossigenai; mi feci alcune ferite in modo da poter coprire il mio volto con le ben­de; ritornai sul luogo del delitto... (a stento, con terrore) non ragionavo più... Resi irricono­scibile il volto del povero morto, m'impossessai di tutti i suoi documenti, mi feci portare all'o­spedale dove rimasi circa un mese sotto il nome di Roland Mack.

Warner                                   - E nessuno dei funzionari che ven­ne a trovarvi vi riconobbe?

Roland                                   - Come avrebbero potuto? Le ben­de non lasciavano scoperto che gli occhi e un po' della fronte. Durante quel mese sotto il no­me di Roland Mack fui nominato ispettore capo e trasferito. Ormai l'atroce commedia si impo­neva anche a me, mi dava la speranza di rifare la mia vita...

Clotilde                                  - (più con i gesti che con le parole, chiede di sedere. Soccorsa da Lydia, ritorna al suo posto, s'abbatte, e si mette a piangere).

Roland                                   - (soffrendo) Mamma, non piangere così, mi fa male...

Warner                                   - (fremendo) Allora siete voi che...

Roland                                   - Ssss. Vi prego! Lasciatemi dire. So­no vostro, ormai non fuggirò. (Una pausa. Ri­torna quasi freddo, racconta) Ieri sera venni in teatro col pretesto di assistere alla prova gene­rale del dramma «La Paura». Il nome di quella donna, la presenza di quella donna m'avevano riacceso nel sangue la passione antica. Forse qualcuno conosce la nebbia rossa che invade il cervello di chi ama e si sente tradito. Udivo le parole del copione come una musica irritante e ostile. Mi pareva talvolta che al posto dell'attore fossi io e potessi ancora soggiogare l'infe­dele con la paura. Con lei recitava Ladislao Savoir, l'altro nemico. Mi ronzavano nelle orec­chie le parole della lettera sequestrata: «Uno per uno, tutti... ».

Warner                                   - Dunque quella lettera è vostra?

Roland                                   - (senza rispondere, seguendo il filo dei suoi ricordi) Notai che durante la scena del primo atto avrei potuto sparare dalla platea se avessi avuto una rivoltella Kappa Nove. Sta­mane diedi l'incarico di comprarla a Frederic Lups, che è mio amico. Qull'altro che si accu­sava del delitto non c'entra affatto. Egli è sol­tanto un mio amico che, vedendomi già in peri­colo, intendeva sacrificarsi per me. Il mio scopo era quello di uccidere l'attore Savoir. Purtrop­po - o forse fortunatamente - il colpo sbagliò bersaglio, e uccise la donna da cui ebbi molta gioia nella mia vita, ma anche molta pena. Il mio primo istinto fu quello di salvarmi ancora; e la cosa mi sembrò facile quando fui invitato a compiere le prime indagini. Poi... avete visto che cosa è accaduto... Non mi glorio dei miei delitti. Forse mi farà bene scontarli, sia pure con la morte. Ringrazio Iddio che mi ha con­cesso di rivedere mia madre; e a mia madre chiedo perdono. Ammiro l'opera sagace della polizia, alla quale senza volerlo tolsi tre mesi fa uno dei funzionari migliori. (Si rivolge al pubblico) Prego questi signori di scusarmi.

(Warner si accinge a mettergli le manette. Clotilde e Lydia piangono).

FINE