La pistola a tamburo

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LA PISTOLA A TAMBURO

Scena unica

Di ANSELMO JONA

PERSONAGGI

LUCIANO MAURI

LUDOVICO FREDRIK

ANNA DONATI

UN USCIERE

UNA DATTILOGRAFA

In una grande città moderna

L' azione si svolge nello studio di Luciano Mauri, direttore di un grande organismo indu­striale. L'arredamento è tutto costituito da ampi tendaggi, un gran tavolo, qualche poltro­na, due scaffali, un telefono.

Mauri                            - (al telefono) Alle cinque? Alle cin­que è troppo tardi... Un appuntamento? No, caro commendatore: non ho appuntamenti. Un the danzante? Voi impazzite: non ho al­cuna disposizione per quella trigonometria ritmica che è il ballo moderno... Siete curio­so ed ingenuo in un tempo. Un vero uomo d'affari non dice mai la verità quando parla a tu-per-tu. Figuriamoci poi al telefono che è stato inventato soltanto per poter dire le bugie con maggior comodità! Non insistete, vi prego. Pronto? Alle cinque è troppo tardi ripeto. Volete sapere proprio la verità? Vi servo subito. Alle quattro e mezzo mi uccido!... Scherzo?... Sono pazzo? No, sono semplicemente un uomo pratico. Addio, (riaggancia, il ricevitore) Auff! (a Max che entrando ha udito l'ultima parte della telefonata ed è come incretinito) Vi at­tendo da un quarto d'ora. Il Consiglio d'Am­ministrazione della Società Lux, di cui sono consigliere delegato, avrà luogo domani alle cinque. E' necessario che voi prepariate la solita relazione mensile...

Max                               - (continuando ad osservare fissamente Mauri) La relazione, va bene, ma...

Mauri                            - Dove farete presenti le gravi perdite subite recentemente sul mercato di Glascow.

Max                               - (c. s.) Glascow, va bene, però...

Mauri                            - (seccato) Va bene, ma, però... Però oggi voi non capite un accidente!

I Max                            - Accidente? Non ripetete quella pa­rola. Avete ragione: vi sono dei momenti in cui non comprendo nulla.

Mauri                            - Rassicuratevi: non si tratta di un fenomeno isolato. Farete dunque presenti nella relazione le perdite subite e preparerete la mia lettera di dimissioni.

Max                               - Vi dimettete?

Mauri                            - Mi dimetto. Non è vi è nulla di stra­no che io mi dimetta da un consiglio di am­ministrazione dal momento che fra un'ora al massimo mi dimetterò anche dalla vita.

Max                               - Dalla vita? Allora  la telefonata   «mi uccido alle quattro e mezzo! »... non è uno scherzo?

Mauri                            - Non è uno scherzo. Se lo fosse sarebbe appena degno di un burlone di provincia. Mi uccido veramente a quell'ora. Vi pare che io sia tanto allegro, oggi? La vita è una cosa frivola, ma togliersi la vita è una cosa seria.

Max                               - Molto, molto seria. E voi non lo farete appunto per questo.

Mauri                            - Sono in vena di serietà, oggi.

                                      - Non lo farete perché l'azienda senza il vostro controllo sarebbe rovinata.

Mauri                            - Lo è già. Il mio controllo non è più necessario. Siamo rovinati, Max. Non posso fronteggiare i miei impegni. Non vi è rimedio possibile. Il disastro è completo.

Mix                               - Nessuna via di scampo?

Mauri                            - Vicolo chiuso: disonore o suicidio.

Max                               - Scegliete senz'altro il disonore.

Mauri                            - No. Lo fanno tutti: non sarebbe una trovata originale. Scelgo il suicidio.

Max                               - Oppure la fuga, signor Mauri: è più comoda.

Mauri                            - Frequentate troppo il cinematografo, ragazzo mio: le fughe degli avventurieri rovinati non riescono che nei films americani.

Max                               - Un aiuto, allora. Cercate un aiuto. Troverete della solidarietà...

Mauri                            - La nostra vita è avvelenata dal pregiudizio della solidarietà umana. Quando eravamo bambini ci dissero che l'umanità intera scontava atrocemente il peccato originale di un uomo solo e che il nostro dovere (era di volerci bene nel dolore, aiutarci... Noi abbiamo creduto a tutto questo ed abbiamo fatto malissimo. Non chiederò nulla. Non troverei un soldo di solidarietà.

Mix                               - Il vostro pessimismo è sconcertante. Su­perate Schopenhauer.

Mauri                            - Schopenhauer esaltando il suicidio ha dimostrato di essere uno squisito umorista, ricco di risorse. Il suicidio è infatti un espe­diente deliziosamente pratico.

Max                               - Troppo pratico.

Mauri                            - Quando gli impegni che non puoi soddisfare ti stringono, quando i creditori non ti concedono più una pausa di tranquillità, ti sono sempre vicini nell'attesa dell'istante propizio per buttarti nel fango... taci... scom­pari, basta un colpetto qui (indica il cuore) e li pianti tutti in asso, delusi. E' una burla deliziosa.

Max                               - Ma la vita è sacra! Nessuno di noi ha il diritto di sopprimere violentemente la pro­pria esistenza.

Mauri                            - Questa è la riposante opinione di tutti coloro che alla propria esistenza conferiscono un valore sproporzionato.

Max                               - La vita ha un valore inestimabile.

Mauri                            - Siete proprio voi a dire questo. Voi, per esempio, perché vivete? Siete un uomo grigio senza aspirazioni, senza desideri. I vostri desideri sono tutti da cento lire. Perché vivete ancora? Per lo stipendio? E' una pic­cola, povera cosa senza importanza.

Max                               - Infatti vi ho chiesto di aumentarmelo.

Mauri                            - Un aumento non avrebbe migliorata la vostra esistenza, non avrebbe eccitata la vostra sensibilità. I vostri desideri sarebbero sempre rimasti da canto lire. Dovreste ucci­dervi, Max. La vostra vita è spaventosamente inutile!

Max                               - Preferisco l'aumento di stipendio.

(Entra l'usciere. Sul vassoio che egli reca sono varie carte. Max prende due biglietti da visita).

Mauri                            - Anna Donati, (fra se) Anna... Anna. Una notte d'amore. Ludovico Fredrik. Dieci anni di affari. Fate entrare il signor Fredrik. Dite alla signora di attendere

(l'usciere esce).

Max                               - (porge a Mauri una carta blu) Un ca­blogramma della Western Union Company.

Mauri                            - (lo apre nervosamente) Benissimo. Il disastro si va consolidando: ancora un falli­mento nell'Arcipelago della Sonda. Leggete.

Max                               - (legge ad alta voce il telegramma cifrato) Tirkas, ciflis, merovics, angslaff. Atkins ». E' terribile!

Mauri                            - Avete capito qualcosa?

Max                               - No. Ma corro a prendere il codice.

Mauri                            - Sono cinque parole: per decifrarle impieghereste due ore. Fra un'ora sarò morto.

(Max esce).

 L'usciere                       - (entra annunciando) Il signor Lu­dovico Fredrik.

(/ due uomini dopo essersi fissati per un istante negli occhi, si fanno un inchino. Poi Lu­ciano Mauri indica una poltrona a Fredrik che ringrazia con gesto. Il telefono squilla. Mauri stacca il ricevitore).

Mauri                            - Pronto. Chi parla? Come? Ah, siete voi, miss Margaret. Dite... (a Fredrik): E' una vecchia maniaca della beneficenza: ora me la lavoro io! No, miss Margaret, non parlate italiano, vi prego. Le inglesi che par­lano l'italiano hanno sempre l'aria di scher­zare con il cane. Parlate la vostra lingua. Dite che non capisco l'inglese? Infatti non lo ca­pisco. Ma questa notte me lo studierò. Tele­fonatemi domani.

Max                               - (che è entrato durante la telefonata e ne ha sentita l'ultima parte) Come potrete risponderle al telefono? Domani sarete morto!

Mauri                            - Appunto per questo le ho detto di telefonarmi... Chiamate la dattilografa.

Max                               - (suona e la dattilografa entra. E' molto elegante e porta gli occhiali alla Harold Lloyd).

Mauri                            - (a Fredrik) Voi permettete? Ho qualche piccola cosa da sbrigare.

Fredrik                          - (fa un gesto di consenso).

Mauri                            - (alla dattilografa) Prendete un mio biglietto di visita. Scrivete: « Per ringrazia­menti. Al signor Arturo Franchi - Città.

Max e Fredrik               - (ridono).

Mauri                            - Non sorridete così. Comprendo la vostra ironia: tutto a macchina. Anche i sem­plici biglietti di ringraziamento. Ma la mia vita non è forse una macchina? Non so più scrivere a mano che la firma. Ed anche la mano la traccia meccanicamente.

L'usciere                        - (entrando) La signorina Donati insiste per essere ricevuta.

Mauri                            - La signorina Donati ha torto: non la riceverò che fra qualche minuto. Andate. (a Max) Tutto è meccanico nella mia esi­stenza: l'amore, il lavoro. A proposito, Max: vi informerete entro oggi sull'andamento della nostra Opera Minorenni dattilografi. (Fredrik scoppia a ridere) Niente di strano, signor Fredrik. Quando i miei affari filavano ho erogato una forte somma per la fondazione di una scuola modernissima dove ai bimbi non s'insegni a vergare a mano le aste, ma a] scrivere direttamente a macchina. Che vi è di strano in tutto questo? La nostra civiltà è meccanica.

Fredrik                          - (ride ancora).

Max                               - Il signore trova la notizia molto diver­tente.

Mauri                            - Che è avvenuto, Max, di quel bambi­no che abbiamo collocato la settimana scorsa alla scuola dattilografi? Ha fatto progressi?

Max                               - Molti, evidentemente. Vi ha ringra­ziato con una bellissima lettera.

Mauri                            - A macchina?

Max                               - A mano...

Mauri                            - Il risultato è brillante. (Fredrik ride ancora).

L'usciere                        - (entrando) La signorina Donati vuole essere ricevuta. Minaccia di rompere i quadri se non la introducono subito qui. Che debbo fare?

Mauri                            - Togliere i quadri e poi dire alla signori­na di attendere ancora qualche minuto (l'usciere esce). La nuova dattilografa è stata ammessa in ruolo?

Max                               - Non è stato possibile. Si è rifiutata di portare gli occhiali cerchiati di tartaruga. L'ho rimandata.

Mauri                            - Avete fatto molto bene. In un ufficio moderno non deve esistere soltanto un'armo­nia estetica fra i mobili ma anche un'armonia estetica fra gli impiegati che sono il necessario complemento del mobile. Direte anzi al ra­gioniere capo di smetterla con quell'impos­sibile cravatta rossa. Stona maledettamente con il colore del tavolino.

Fredrik                          - (ride ancora rumorosamente).

Max                               - (a Luciano che è stupito) Il signor Fre­drik giudica il nostro sistema molto diver­tente.

Mauri                            - Il signor Fredrik ha torto. Dai miei impiegati io non pretendo soltanto della genialità e dell' onestà, ma anche dell'ele­ganza. I loro sarti debbono essere inglesi. Le loro unghie non debbono ignorare le atten­zioni preziose di una manicure.

L'usciere                        - (entrando) La signorina Donati...

Mauri                            - Che c'è ancora? Avete tolti i quadri?

L'usciere                        - Sì, ma la signorina Donati si è sfogata sui vetri: ne ha rotti due.

Mauri                            - E' una donna energica. Mi piace: fatela entrare. Voi, signor Fredrik, mi con­cedete questa breve parentesi sentimentale, non è vero? (Fredrik acconsente con il solito gesto) E' come un bicchiere di acqua dopo l'arsura degli affari...

Anna                             - (precipitandosi nella stanza) Final­mente! Soffocavo, credimi. Un quarto d'ora d'attesa penosa, interminabile, (con un altro tono) Come mi trovi?

Mauri                            - Senza cercarti, Anna.

Anna                             - Morivo d'angoscia.

Mauri                            - Siediti e non esagerare. E’ incredi­bile la facilità con la quale muoiono le donne...

Anna                             - Non esagero, Luciano. Conosci i miei nervi: sempre tesi come la corda di un arco, come...

Mauri                            -... Come i cambi con l'America!

Anna                             - Non scherzare, ti prego. Ho passeg­giato, ho scongiurato l'usciere di lasciarmi en­trare. Niente. Duro, fermo, inesorabile.

Mauri                            - E' un caro ragazzo.

Anna                             - E' un caro mascalzone insensibile al pianto di una donna. Perché ho pianto, sai. Osserva i miei occhi     - (avvicina il volto a quello di Luciano ed improvvisamente lo bacia).

Luciano                         - (a Fredrik) Voi mi scusate, non è vero?

Fredrik                          - (fa un gesto di rassegnazione. Esce len­tamente con falsa disinvoltura).

Mauri                            - Grazie, (ad Anna) Il pianto delle amanti non commuove più: è una risorsa trop­po sfruttata.

Anna                             - Era sincero. Era pianto d'angoscia.

Mauri                            - D'angoscia, perché?

Anna                             - Perché temevo di essere giunta troppo tardi, quando ormai...

Mauri                            - (interrompendola bruscamente) Bam­bina! Non hai imparato ancora a vivere men­tre io so già morire.

Anna                             - Dunque è vero? Tu ti uccidi?

Mauri                            - Mi uccido. E come lo sai?

Anna                             - Max, il tuo segretario, mi ha detto tutto.

Mauri                            - Era un segréto...

Anna                             - E il destino dei segreti è quello di essere svelati. Hai deciso di ucciderti. E lo dici con tanta calma?

Mauri                            - Con la calma che mi è abituale.

Anna                             - Ma il suicidio non rientra nelle tue abitudini!

Mauri                            - Ma lo accetto serenamente. Non vi è nulla di straordinario nella mia decisione. Mi uccido, scompaio. Un uomo di meno, quattro righe di cronaca...

Anna                             - Permetti almeno che io mi meravigli : il suicidio di un amante è un fatto nuovo nella mia vita...

Mauri                            - Che ti lusinga?

Anna                             - Che mi atterrisce.

Mauri                            - T'invidio sinceramente, Anna. Tu sei dotata ancora della facoltà divina dello stupore. E' triste, credimi, non potersi più stupire di nulla. Le vicende umane ci appa­iono sbiadite, le donne tutte uguali.

Anna                             - Ecco, tu ti uccidi per una donna!

Mauri                            - No, Anna. Non mi uccido per una donna. Sarebbe sciocco, un gesto di cattivo gusto.

Anna                             - Quella donna morrebbe dal rimorso.

Mauri                            - Bambina! Quella donna invece di torturarsi si servirebbe del mio cadavere a scopo pubblicitario per la sua azienda sentimentale. Agli altri uomini direbbe: - Un uomo - lo sai? un uomo celebre, un grande industriale si è ucciso per me...

Anna                             - Il tuo cinismo è orribile.

Mauri                            - Non è cinismo: è praticità. Una don­na per la quale un uomo si è ucciso rag­giunge in un attimo la notorietà. E' come la tigre che ha sbranato il domatore: tutti la trovano più interessante.

(Si ode d'improvviso una lieve musica da ballo che commenterà poi tutta la scena).

Anna                             - Che c'è di là? Un dancing?

Mauri                            - (calmo) No, l'ufficio.

Anna                             - Nei tuoi uffici si balla?

Mauri                            - Ma, no! Ogni giorno a quest'ora Glascow ci trasmette radiotelefonicamente i prez­zi raggiunti sul mercato. Oggi l'operatore ha sbagliato lunghezza d'onda ed udiamo, invece dei cambi, il jazz del Savoy Hotel di Edim­burgo.

Anna                             - E' divertente. Ma tu sei tetro, Luciano, sei ammalato di spleen.

Mauri                            - Ma no, Anna. Lo spleen è una ma­lattia che serve soltanto agli inglesi per con­quistarsi le colonie senza dar troppo nell’occhio. Ignoro che cosa sia l'amore. Non ho mai amato veramente. L'amore per me non è stato altro che l'avventura di una notte. Le donne che ho conosciuto sulla mia strada hanno sempre lasciata la mia casa al mattino, con un fascio di rose rosse e senza illusioni.

Anna                             - Lo so, Luciano. Anch'io ho vissuto, l'avventura con te. Ed al mattino anche a me hai detto: (contraffacendo) Vedi piccola, bisogna che ci lasciamo. Un'avventura d'amo­re prolungata è come una frase di spirito troppo ripetuta: non diverte più. Addio». Tu, alle donne, non hai fatto vivere che un capitolo del loro dramma d'amore. Perché in ogni donna che ama c'è un dramma.

Mauri                            - C'è una pochade, Anna, di cui l'ul­timo atto è un atto matrimoniale. E' questo l'amore?

Anna                             - No, questo non è l'amore, quello vero, eterno.

Mauri                            - E' qualcosa di più dolce, Anna. Tu fai della poesia oggi che le navi filano i settanta all'ora e gli aeroplani i quattrocento. Non ap­partieni al tuo tempo: per essere coerente do­vresti accendere le tue sigarette strofinando insieme due pezzi di legno.

Anna                             - L'amore eterno, Luciano, l'unione di due vite...

Mauri                            - L'amore eterno è come quel confetto americano, il chewing-gum: lo mastichi, lo rigiri in bocca ed infine non ti rimane che un poco di poltiglia grigia senza profumo. La avventura di una notte, invece, è come un  fondant: si scioglie subito, ma ti lascia la bocca profumata.

Anna                             - A te la bocca è rimasta amara. Hai bi­sogno d'amore, tu. Di un amore sereno, sem­plice.

Mauri                            - No, Anna: questo è soltanto romanti­cismo da oleografia. I fidanzati che continua­no a baciarsi dietro le piante dei giardini pubblici non servono che a giustificare le cartoline illustrate. Gli innamorati che si ac­contentano del « Ti amo » sono come quegli eserciti che fanno le grandi manovre per un secolo senza mai decidersi a fare la guerra.

Anna                             - Ebbene, io « Ti amo! », Luciano!

Mauri                            - Non così forte, Anna: soltanto le in­giurie si gridano; le parole tenere si sussurrano.

Anna                             - (pianissimo) Ti amo...

Mauri                            - Non lo so, Anna, non lo voglio sapere. Non chiederò mai il cuore ad una donna. Po­trebbe anche averne uno e darmelo per tutta la vita. Sarebbe una cosa seccante...

Anna...                          - E deliziosa che ti offrirebbe anche della gioia. Una piccola donna fedele, tutta tua...

Mauri                            - (ridendo) La fedeltà...

Anna                             - Lo so: è un miracolo.

Mauri                            - Ed ai miracoli, bambina, non cre­dono che gli sciocchi.

Anna                             - Non hai mai avuto un ideale?

Mauri                            - No. L'ideale... (squilla il telefono) L'ideale... pronto!... l'ideale, bambina mia... più forte, vi prego, non sento nulla... l'idea­le... duecento lire per tonnellata? Siete pazzo! A Cuba... l'ideale... costa di meno. Domani nel vostro ufficio? No: domani sarò morto! (riaggancia il ricevitore) L'ideale è un oggetto grazioso ed inutile. Non ho mai avuto un ideale, così come non ho mai avuto un] cane pechinese, un cappello a cilindro, una collezione di francobolli.

Anna                             - Un'aspirazione?

Mauri                            - Due ne ho avute. La ricchezza ed una piccola casa posta in una di quelle repubblichette lontane che hanno duecento abi­tanti ed i francobolli lunghi con la giraffa! stampata sopra a colori vivi. Non ho mai potuto raggiungere l'isola lontana e la ricchezza è svanita.

Anna                             - Sei rovinato?

Mauri                            - Come un castello del Trecento. De­finitivamente.

Anna                             - (dopo una pausa) Che importa! La po­vertà non è un delitto!

Mauri                            - Frase fatta. La povertà infatti non è un delitto. E' semplicemente il risultato di una serie di sciocchezze, (a Fredrik che è rientrato ed osserva l'orologio) Abbiate un po' di pazienza. (Fredrik fa il solito gesto di rassegnazione) Grazie.

Anna                             - (piano) Chi è quel signore in nero?

Mauri                            - Un grande industriale.

Anna                             - Mi fa l'effetto di un becchino.

Mauri                            - Sono rovinato. E senza rimedio. Non è il caso di farsi illusioni.

Anna                             - Fattene, invece: ti recheranno la fe­licità.

Mauri                            - Sciocchezze. La gioia non è nell'avve­nire ma tutta nel passato. Nella vita s'impie­gano quarant'anni a rievocare la gioia di due giorni.

Anna                             - Questa tua amarezza non ha trovato mai un sollievo?

Mauri                            - Mai.

Anna                             - Nel lavoro, per esempio?

Mauri                            - Ah, no! Il lavoro uccide bambina. E1 il padre di tutti i vizi. Il lavoro ha fatto della mia vita un congegno meccanico che si è an­dato logorando ogni giorno un poco. Ora una molla si è spezzata ed il congegno domani non funzionerà più. (Fredrik si agita nervosamente ed osserva ancora l'orologio) E' tardi, pic­cola. Addio. Ho ancora un affare importante da regolare con il signor Fredrik. (Fredrik ripete il gesto di rassegnazione).

Anna                             - E mi lasci così, senza una parola...

Mauri                            - Te l'ho detta, la parola: Addio. (Anna scoppia a piangere. Luciano preme un bottone. Accorre l'usciere) Accompagnate la signorina a casa. Non si sente bene: una cattiva notizia l'ha addolorata. (La musica del radiotelefono è cessata. Anna esce piangendo, sorretta dall'usciere) Le donne hanno un modo curioso di consolarvi nella sventura: piangono. Il bicchiere d'acqua è bevuto. La parentesi sentimentale è finita ed è durata diciotto minuti.

Fredrik                          - Venti.

Mauri                            - Allora perdonatemi.

Fredrik                          - Parliamo dunque del nostro affare.

Mauri                            - Prego: del mio ultimo affare.

Fredrik                          - Può darsi infatti che sia l'ultimo. Non dovreste dirlo, però. Un vero uomo di affari non conclude mai il suo ultimo affare. L'al-di-là può riserbargli anche un orizzonte commerciale.

Mauri                            - Siete divertente, signor Fredrik.

Fredrik                          - No, sono superstizioso: è un'altra  cosa. Credo fermamente nell'esistenza ultra-terrena.

Mauri                            - E' un grazioso passatempo. Siete gentile dicendo questo ad un uomo che sta per morire.

                                      - (Fredrik, compitissimo, s'inchina)

Fredrik                          - Il suicidio, caro collega, è sempre un segno di indipendenza spirituale. Voi siete rovinato, completamente rovinato. Potreste ricorrere al solito espediente: il fallimento: No: voi vi uccidete. Tutto questo è molto bello!

Mauri                            - Trovate?

Fredrik                          - Sì. Ammiro in voi l'uomo che è venuto dal nulla, che ha iniziato il suo lavoro togliendo la polvere dai mobili ed ora la polvere la fa con la sua automobile.

Mauri                            - Questo non conta. La realizzazione delle proprie speranze è spesso la fine di un bel sogno.

Fredrik                          - Ammiro in voi l'energia straordi­naria, la calma assoluta, la freddezza...

Mauri                            - Troppe cose ammirate in me Fredrik. Io non sono che un boxeur senza fortuna.

Fredrik                          - Che è rovesciato sulle corde del knock-out della sfortuna, lo so. E vi compiango.

Mauri                            - Perdete il vostro tempo, Fredrik. Compianto non è una parola compresa nel codice commerciale.

Fredrik                          - Come volete. Non vi compiango. Mi dovete dodici milioni.

Mauri                            - Giustissimo: vi debbo dodici milioni. Ed io non ve li posso pagare.

Fredrik                          - Anche questo so, purtroppo.

Mauri                            - E' molto triste non poter pagare i propri debiti.

Fredrik                          - E ' ancora più triste non potere in­cassare i propri crediti. (Il telefono squilla imperioso).

Mauri                            - Pronto. Ancora voi, Gisella?... Mi amate? Me lo ripetete da una settimana. Do­mani partite per la Riviera? Benissimo. Io parto oggi. E vado lontano, lontano. Venirvi a raggiungere a Cannes? Impossibile. Non fa­rò mai 15O chilometri per una vergine!

Fredrik                          - Siete scortese. Io li farei molto vo­lentieri 15O chilometri per una vergine.

Mauri                            - Voi, uomo d'affari?

Fredrik                          - Li farei per fuggirla, s'intende.

Mauri                            - Siete faceto, Fredrik.

Fredrik                          - E' il mio temperamento immuta­bile.

Mauri                            - Anche quando avete un forte credito e non lo potete incassare?

Fredrik                          - Specialmente allora. Il grande disa­stro non mi impressiona. Soltanto il lieve in­conveniente mi turba. Il vostro è un grande disastro: non mi impressiona.

Mauri                            - Dodici milioni, pensate!

Fredrik                          - Mi saranno utili certamente.

Mauri                            - Anche senza incassarli?

Fredrik                          - S'intende. Un uomo d'affari della mia tempra supera gli ostacoli.

Mauri                            - Il mio debito è un ostacolo insor­montabile: non ve lo pagherò mai. Mi uccido!

Fredrik                          - Me lo pagherete uccidendovi.

Mauri                            - Non comprendo? oppure fate della ironia di pessimo gusto?

Fredrick                        - L'ironia è negazione. Io invece costruisco.

Mauri                            - Costruite quello che volete, ma spiegatevi.

Fredrik                          - Voi vi ammazzate?

Mauri                            - La mia decisione è irrevocabile.

Fredrik                          - Col veleno...

Mauri                            - No: appartengo al mio tempo, non a quello di Lucrezia Borgia!

Fredrik                          - La pistola...

Mauri                            - Ecco: la pistola. Una piccola pistola automatica, un giocattolo.

Fredrik                          - Il giocattolo della morte.

Mauri                            - E' un bel titolo per racconto d'av­venture. Un colpo al cuore, uno solo ed è la fine.

Fredrik                          - Ebbene, voi non vi ucciderete con la pistola automatica!

Mauri                            - Ah no, è perché?

Fredrik                          - Perché mi dovete 12 milioni.

Mauri                            - Questo non c'entra, non ha impor­tanza.

Fredrik                          - Per voi, no. Per me 12 milioni sono invece un capitale.

Mauri                            - Non avete scoperto nulla di nuovo. Mi ucciderò con l'arma che mi garberà. Ho vissuto sempre come ho voluto ed intendo mo­rire nelle stesse condizioni...

Fredrik                          - Avete degli obblighi, degli impegni d'onore.

Mauri                            - E' vero...

Fredrik                          - Che dovete soddisfare perché siete un gentiluomo.

Mauri                            - Ne ho l'intenzione, ma non posso. Mi uccido per questo.

Fredrik                          - Vi ucciderete, sta bene, ma con la pistola a tamburo.

Mauri                            - A tamburo?

Fredrik                          - A tamburo. Con la pistola a tam­buro di mia fabbricazione.

Mauri                            - Siete geniale.

Fredrik                          - E voi intelligente. Uccidendovi con la pistola a tamburo di mia fabbricazione voi farete un'enorme pubblicità alla mia ditta. L'avete subito capito.

Mauri                            - Dodici milioni in pubblicità? E' straordinario Fredrik, è colossale ma io rifiuto. Ho la mia pistola automatica e mi ser­virò di quella.

Fredrik                          - Come volete. Vi offrivo il modo di soddisfare i vostri impegni d'onore. Rifiu­tate?

Mauri                            - Rifiuto!

Fredrik                          - Siete un mascalzone.

Mauri                            - Signore!

Fredrik                          - Signore!

Mauri                            - Se ripetete l'insulto vi strozzo.

Fredrik                          - Non siete pratico: al primo ten­tativo vi ucciderei con la meravigliosa pistola a tamburo di mia fabbricazione.

Mauri                            - E' un inutile pezzo di ferro.

Fredrik                          - E' portentosa. Osservatela - (la estrae di tasca e la porge a Mauri) Perfetta in tutti i suoi congegni. Scatto rapidissimo. Preci­sione assoluta di tiro.

 

Mauri                            - Non sono d'accordo con voi. Le pi­stole automatiche sono le preferite da tutti i suicidi moderni. Esaminate questa (estrae la sua e gliela posa sotto il naso).

Fredrik                          - (la osserva per un istante) Non è brutta, infatti. Ma io non cambio la mia opinione.

Mauri                            - Ed io non cambio la mia pistola.!

Fredrik                          - Avete torto. Avete visto il tamburo?

Mauri                            - Benissimo.

Fredrik                          - Ebbene è una vera delizia: i proiettili partono che è un piacere a vederli...

Mauri                            - Ne dubito. Vi ripeto che appartengo al mio tempo. Le pistole che noi confrontia­mo rappresentano due epoche. Io mi incido con l'arma della mia epoca...

Fredrik                          - Ma è una fissazione!

Mauri                            - Affatto. Se i suicidi di cinquant'anni fa rivivessero, butterebbero certamente in un canto la pistola a tamburo per togliersi  la vita con quella automatica.

Fredrik                          - Avete della fantasia. Ma io insisto: tutti i congegni della mia pistola sono perfetti nei minimi dettagli...

Mauri                            - Le vostre chiacchiere sono inutili, signore: io non compero pistole. Le uso… (estrae a sua volta la pistola automatica e fa per puntarsela al petto).

Fredrik                          - Alt! (gli afferra il braccio) Una pa­rola ancora. Volete morire senza aver soddisfatti i vostri impegni?Non è una morte degna di un gentiluomo. Mi fate schifo. Uccide­tevi con la mia pistola automatica e morirete contento, con la coscienza a posto,

Mauri                            - Non è una soddisfazione.

Fredrik                          - E' però un orgoglio. Non avete che f a firmare una semplice dichiarazione: «Io Luciano Mauri dichiaro che non ci si am­mazza bene che con le rivoltelle a tamburo, marca Fredrik ». Voi pagate il vostro debito perché ve lo abbuono in cambio pubblicità.

Mauri                            - E' un'idea.

Fredrik                          - Vero? Un'eccellente idea. Accet­tate?

Mauri                            - Accetto, (preme il tasto. Entra k dattilografa) Scrivete, signorina (detta) «Io sottoscritto, Luciano Mauri, oggi suicida per gravi dissesti finanziari, ritengo mio do­vere dichiarare che non ci si ammazza bene (signorina, le virgole, mi raccomando, che le virgole siano al loro posto!) che con le rivoltelle a tamburo fabbricate dalla Ditta Fredrik ». Fatto. Va bene?

Fredrik                          - Benissimo,  (depone il foglio sul tavolo) La firma!

Mauri                            - Eccola.

Fredrik                          - Ora che tutto è fatto, ora che non avete che da spararvi, un rimorso, un piccolo rimorso mi coglie. Se mi permettete di dire! la verità...

Mauri                            - Non datevi questo disturbo, Fredrik.  Un uomo d'affari deve abituarsi non solo a non dire la verità, ma nemmeno a pensarla.

Fredrik                          - Come volete, allora. Eccovi la pi­stola.

Mauri                            - (esaminandola) Brutta; brutta pi­stola... pesante... lavorata in serie...(mentre parla  carica l'arma) Ne vendete molte?

Fredrik                          - Moltissime e tutte a pagamento ra­teale.  

Mauri                            - Cattivo affare, allora, poiché chi compra ora la vostra pistola a tamburo è generalmente un suicida povero che, dopo morto, non vi pagherà le rate restanti.

Fredrik                          - Siete un ingenuo. Innanzi tutto il suicidio è quasi sempre un tentato suicidio: una piccola ferita al braccio, una al viso; in secondo luogo la prima rata è sufficiente a pagare la pistola.

Mauri                            - Vi ammiro a mia volta, signor Fredrik: avete del talento, (all'orologio batte un colpo) Le quattro e mezzo sono scoccate, Fredrik. Io mi uccido... (punta l'arma) Mi assicurate un buon funzionamento dell'arma?

Fredrik                          - Ve la garantisco per un anno.

Mauri                            - Addio, Fredrik...

Fredrik                          - (commosso) No, no, non ancora. ( Ditemi, Mauri, ditemi che cosa provate in questo momento...

Mauri                            - Un grande dispiacere.

Fredrik                          - Grande?

.                                     - Enorme: quello di dovermi ammaz­zare con questa brutta ed antiquata pistola a tamburo.

Fredrik                          - Il suicidio è sempre reclamistico.

Mauri                            - In questo caso, reclamistico per voi.

Fredrik                          - Anche per voi. L'al di là...

Mauri                            - Non parlatemene più: ci vado su­bito, nell'al di là. Addio, ancora...

Fredrik                          -  (afferrandogli il braccio) Un istante, vi prego. Non ho mai avuto il coraggio di guardare in faccia la morte... (Si pone a leggere il giornale osservando di tanto in tanto curiosamente la scena).

Mauri                            - Siete a posto? Non vi da noia la faccia della morte? Allora, pronti! (punta ancora la pistola al petto, preme il grilletto due o tre volte, ma la pistola fa cilecca).

 (I due uomini si guardano per un istante, poi Luciano scatta).

Mauri                            - Questa è una truffa, signor Fredrik. Un'ignobile truffa. La vostra pistola a tam­buro è un inutile pezzo di ferro.

Fredrik                          - Signore! Non ripetete quanto avete detto o vi strozzo.

Mauri                            - Siete un ingenuo: al primo tentativo vi ucciderei con la mia portentosa pistola au­tomatica. Non acconsentirò mai a rilasciarvi la dichiarazione. Per ammazzarsi la vostra pistola a tamburo bisogna inghiottirla (afferra la dichiarazione e la fa in pezzi).

Fredrik                          - Mancate dunque ai vostri impegni? Non vi uccidete più?

Mauri                            - Mi sono già ucciso. Fredrik. Quei tre colpi della vostra pistola che non scatta­va hanno spezzati i miei nervi! Ora spezzerò anche la vostra ignobile pistola (fa per but­tarla a terra).

Fredrik                          - (fortissimo) No! no! La mia pistola funziona benissimo. L'ho perfezionata io...

Mauri                            - Ah! ah!

Fredrik                          - L'ho curata in tutti i particolari con amore...

Mauri                            - Ed è diventata una ferravecchio!

Fredrik                          - Un gioiello, è diventata. Un gioiello che nelle vostre mani si è trasformato in uno sciocco giocattolo. Perché una pistola Fre­drik funzioni, bisogna caricarla con dei pro­iettili Fredrik. Ma nella pistola Fredrik aveva messi i proiettili fabbricati da un mio con­corrente (afferra la pistola dalle mani di Mauri e gesticola) Mettete i miei proiettili e vedrete che funzionerà benissimo, (dalla pi­stola parte d'improvviso un colpo e Fredrik si abbatte fulminato su una poltrona. Una breve pausa. Poi Mauri si avvicina al cadavere e lo osserva. La scena deve essere ese­guita in modo burattinesco).

Mauri                            - (premendo il campanello) E' vero: funziona benissimo,  (alla dattilografa che è entrata) Signorina, faccia un'altra copia di quella dichiarazione.

FINE