La polizia

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LA POLIZIA


tre atti

di Slawomir Mrozek

Unica traduzione autorizzata di Vera Petrelli Verdiani

I edizione marzo 1963

Lerici editori, Milano

Personaggi

Il direttore di polizia

Il prigioniero ex-cospiratore

e poi Aiutante

Il sergente di polizia-provocatore

La  moglie del sergente-provocatore

Il generale

Un poliziotto

Gli atti I e III si svolgono nell'ufficio del direttore di Polizia.

L'atto II si svolge in casa del Provocatore.

Osservazioni per un'eventuale messa in scena

Queste pièces non contengono nient'altro all'infuori di quello che contengono, nel senso che non sono un'allusione a qual­cosa di particolare e neanche una metafora, per cui non bisogna cercare di decifrarle. Il ruolo principale dev'esservi sostenuto dal testo spoglio, presentato nel modo più preciso possibile, e col senso logico delle battute e delle scene posto in maniera ben chiara. Qualora queste pièces vengano messe in scena, esse esi­gono dallo spettatore uno sforzo d'attenzione dovuto alla loro densità d'impianto. Quindi, se non sono rappresentate in ma­niera più che chiara e pulita, risulteranno faticose. L'affermazione che queste pièces non sono una metafora, ma solo ciò che sono, nella loro durata scenica limitata nello spa­zio e nel tempo, porta con sé alcune conseguenze. Non vi si può aggiungere alcuna "trovata" scenografica, né per gusto umoristico né per decorazione scenica. Non occorre " sot­tolineare" nulla, e con uguale cautela bisognerà procedere nei confronti dell'"atmosfera". Bisogna anche evitare di aggiunge­re delle azioni sceniche eccessivamente ampliate. In una pa­rola, non bisogna fare nulla che si allontani da una rappresentazione estremamente "trasparente", un po' rigida e statica, pulita e "sotto sotto". Una triste esperienza ci insegna che ogni tentativo di "sottolineare", di "interpretare" e di cari­care esageratamente i testi dell'autore di queste piccole pièces sono risultati dei fiaschi dal punto di vista artistico. Non si tratta neppure, Dio ce ne guardi, di commedie, nel sen­so che non bisogna accentuarne i lati comici. Se vi sono delle battute umoristiche, esse lo sono nel senso che non vanno pronunciale col tono di chi premetta « attenzione, adesso dico una spiritosaggine ». In caso contrario, ne verrebbe fuori qual­cosa di mancato, di poco elegante, se non addirittura di cat­tivo gusto.

Non sono neanche, e non lo sono affatto, pièces "moderne" o "sperimentali". Mi pare che non occorra  dilungarsi ulterior­mente su ciò che si intende con tali definizioni. Mi rendo conto che questi postulati possono attirarmi l'obie­zione di non sapere che cosa sia la teatralità. Non è di questo che si tratta, e può anche darsi che io non sappia che cosa sia la teatralità, o che addirittura non la senta affatto. Sono invece convinto, e so con certezza, che certi elementi della cosiddetta "teatralità", del pensiero teatrale, si sono banalizzati, appiatti­ti, diventando dei feticci fine a se stessi ed entrando in un certo senso a far parte dell'arsenale del pensiero senza pen­siero, del pensiero automatico. Tra l'altro, anche l'interpretazione delle pièces come "metafore" creatrici e nuove, può tra­sformarsi a sua volta in uno schema mentale (tanto più che queste pièces sembrano addirittura invitare a, come suol dirsi, facilitarsi le cose proprio mediante l'applicazione di schemi, quali "metafora", "commedia", "modernità" e via dicendo), Pur sapendo, dunque, ciò che queste pièces non sono, non so che cosa esse siano, ma questo non fa parte dei miei doveri. Questo, ormai, è il teatro che deve saperlo. Supporre che i po­stulati da me esposti possano limitare il regista e non lasciargli più niente, significherebbe nonavere un vero rispetto per il teatro, accusarlo di povertà e diristrettezza.

                                                                                                                      L'autore


Atto primo

L'ufficio del direttore di Polizia. Requisiti indispensabili: una scri­vania, due sedie, un'entrata bene in vista. Due ritratti: uno dell'In­fante (un neonato in una carrozzina antiquata, oppure un bambino, dipinto nello stile dei ritratti borghesi di bimbi del diciannovesimo secolo) e l'altro del Reggenti; (un vecchio rammollito dalla grinta minacciosa, coi baffi).

Tutti i personaggi che hanno qualcosa a che fare con la Polizia por­tano lunghi baffi. Il Prigioniero-Cospiratore porta un pizzetto alla congiurato del diciannovesimo secolo. Tutti i poliziotti hanno gli stivali e la sciabola. I colletti delle divise sono rigidi e alti. La giacca da borghese del Provocatore è striminzita, gli tira da tutte le parti. I bottoni metallici delle divise sono lucidissimi. Le divise sono blu scuro.

Direttore (in piedi, finisce di leggere uno scritto) "...E rinnegati col più profondo disgusto i miei cri­mini, non chiedo altro che di servire e aiutare il nostro governo con tutte le mie forze, col rispetto e l'amore più vivi, per tutta la vita...". (si siede, ripiega lo scritto)

Prigioniero    Non lo metta via. Lo firmo.

Direttore   Come?

Prigioniero    Ho detto che lo firmo.

Direttore    Ma perché?

Prigioniero Come, perché? Sono dieci anni che mi inter­roga, mi osserva, mi tiene in prigione; tutti i giorni, da dieci anni a questa parte, mi pre­senta quel foglio perché lo firmi, e ogni volta che mi rifiuto di farlo mi minaccia spiacevoli conseguenze o cerca di convincermi che dovrei farlo. E ora, che finalmente mi decido a firma­re, per uscire subito di prigione e servire il governo, si stupisce e mi chiede il perché.

Direttore    Ma  così  all'improvviso...  Senza  preparazione...

Prigioniero    Signor direttore, ho la crisi.               

Direttore    Quale crisi?

Prigioniero La crisi interiore. Non voglio più lottare con­tro il governo.

Direttore    Come   no?!

Prigioniero Sono stanco, ormai. Continui pure chi vuole, a lottare contro il governo. Che vuole che le di­ca? Forse delle spie di potenze straniere, o ma­gari degli agenti... Io non più. Ho fatto la mia parte.

Direttore (con tristezza) Non me lo sarei mai aspettato da voi. Abbandonare la lotta contro il gover­no! Diventare un conformista! E da chi me lo devo sentir dire! Dal prigioniero più anziano del  Paese.

Prigioniero Appunto, signor direttore. È vero che sono l'ultimo  prigioniero?

Direttore    (esitando) Sì...

Prigioniero Lo vede? Ormai tutti si sono convinti da un pezzo che abbiamo il miglior regime del mon­do. I miei ex compagni hanno confessato le loto colpe, sono stati perdonati e se ne sono tornati a casa. Non c'è più nessuno da arre­stare. Io sarei l'ultimo cospiratore. Bel cospira­tore davvero. Tutto sommato, io sono un filatelico.

Direttore Già, ora parlate così. Ma chi fu, a gettare la bomba sul generale?

Prigioniero Roba vecchia, signor direttore. E poi la bomba non scoppiò neanche. Non merita proprio la pena di parlarne.

Direttore Davvero non vi riconosco più. Per dieci anni vi siete rifiutato di confessare, vi siete compor­tato magnificamente. Quante volte, invece di crollare e di  firmare, avete sputato fieramente sui ritratti (si alza scattando sull'attenti) del no­stro Infante e di suo zio il Reggente. (si siede) Ormai c'eravamo abituati l'uno all'altro. Era tutto sistemato, ed ecco che voi, di punto in bianco, vorreste distruggere tutto il passato.

Prigioniero  Ma se le dico che non ha più senso. Se non mi sentissi  tanto  isolato  ideologicamente, forse tirerei ancora avanti. Ma quando penso che già da tanto tempo il nostro splendido, fertile e ricco Paese  inneggia al  (scatta sull'attenti)  nostro Infante e a suo zio il Reggente, che tutte le prigioni sono deserte e che solo io, io solo... No, signor direttore, glielo dico francamente, ho perso le mie convinzioni d'una volta. Se tutto il Paese è schierato con il governo contro di me, dev'esserci una ragione. A farla breve, abbiamo un ottimo governo e basta.  

Direttore    Hmmm... Hmmm...             

Prigioniero    Come dice?                                

Direttore (si alza, assumendo un tono ufficiale) Accoglien­do con gioia e sincera soddisfazione la confes­sione del prigioniero, testimoniante la crisi prodottasi in lui sotto l'influsso educatore del carcere, mi sento purtuttavia in dovere di assicurarmi che le sue nuove convinzioni, sod­disfacenti e istruttive da ogni punto di vista, siano radicate e durature. (sedendosi, con tono mutato) Dunque, se è lecito, perché ritenete che il nostro governo sia buono?

Prigioniero Signor direttore! Ma dove li ha gli occhi? Ma se mai prima d'ora nella storia il nostro Paese ha raggiunto uno sviluppo paragonabile a quel­lo attuale. Dalla finestra della mia cella, se ci porto sotto la branda, sulla branda metto il bugliolo rovesciato, ci monto sopra e mi alzo sulla punta dei piedi, vedo un prato meravi­glioso, che ogni primavera fiorisce di fiori di ogni colore. Ebbene, all'epoca della fienagione, su  questo  prato arrivano  dei contadini  a  falciare l'erba. Nel corso di questi dieci anni ho potuto notare sui loro volti un'espressione sod­disfatta che cresce di anno in anno.

Direttore Lo sapete che il regolamento proibisce di guar­dare dalla finestra?

Prigioniero Ma non a scopo idealistico-conoscitivo-educatore. Ma questo non è ancora niente, signor direttore. Dietro al prato c'è una collinetta, e dietro alla collinetta, nel corso di questi ultimi sette anni, è sorto uno stabilimento industriale. Vedo un camino, che spesso fuma.

Direttore    Quale nemico di ogni notizia infondata, vi in­formo che si tratta di un crematorio.

Prigioniero    Perché lei vorrebbe che si continuasse a sep­pellire i morti sotto terra, come si faceva secoli addietro? Perché, secondo lei, gli atei non han­no diritto di disporre liberamente del proprio corpo e del proprio funerale al pari dei cre­denti? Quanto mi dice non fa che confermare le mie intuizioni, e cioè che nel Paese regna la più ampia tolleranza, anche nel campo delle convinzioni religiose.

Direttore    Siiiii...

Prigioniero Prendiamo per esempio l'arte, la cultura. Quan­te volte cammino in su e in giù, più in lungo che in largo, giacché lei sa, la cella è ret­tangolare, e mi entusiasmo.

Direttore    Eh già, non si può negare.

Prigioniero    Lo vede?

Direttore    Sono in servizio, e non posso facilitarmi i compiti.Vale a dire che non posso accettare la vostra crisi troppo precipitosamente. Devo prima assicurarmi coscienziosamente che in voi non ci sia ancora qualche incertezza, qualche dubbio. Non vi pare di vedere tutto un po' troppo rosa? Per esempio, non si potrebbero trascurare, nell'insieme della vita del Paese, alcuni particolari fenomeni come, faccio per dire, le ferrovie?

Prigioniero Neanche il più accanito nemico del nostro regime governativo potrebbe negare che, come fenomeno in sé, le ferrovie da noi esistano.

Una pausa. Il Direttore e il Prigioniero si guardano. Il Direttore si alza, esce da dietro la scrivania, cammina in silenzio in su e in giù. Si ferma un attimo, guarda i ritratti dell'Infante e di suo zio il Reg-gente. Il Prigioniero lo segue con lo sguardo come una pallina da ping-pong.

Direttore Bè, e da questo lato... (indica i ritratti) Non vi sono mai venute in mente certe idee... (spazientito) Insomma! Voi mi capite!

Prigioniero    Signor direttore, non capisco.

Direttore (irritato) Parola mia, a sentirvi parlare in que­sto momento si crederebbe che al generale gli abbiate tirato una pasta, invece che una bomba. Non vi è mai passato per la mente che (scatta sull'attenti) il nostro Reggente, zio del nostro Infante (riposo) è un cretino?

Prigioniero    (alzandosi indignato) Signor direttore...

Direttore (dominandosi) Va bene, va bene. Naturalmen­te, che non lo è. (riprende a camminare in su e in giù) Questo per quanto riguarda le sue fa­coltà mentali. Tuttavia ammetterete che anche le menti più eccelse possono avere le loro pic­cole debolezze più in giù, vale a dire nella sfera delle abitudini, delle inclinazioni.

Si ferma, fissa il Prigioniero strizzandogli l'occhio. Il Prigioniero non reagisce. Il Direttore gli si avvicina di più, strizza di nuovo l'occhio molto significativamente, in maniera accentuata e accompagnando il gesto con una mossa della testa e addirittura del collo, come se volesse gettare un occhio sul Prigioniero. Il Prigioniero si guarda intorno, come se la strizzatina non fosse diretta a lui ma a qualcuno alle sue spalle.  Una pausa.

Prigioniero    Signor direttore, perché mi fa l'occhietto?

Direttore (sbottonandosi affannosamente il colletto della divisa) Vergognatevi! Voi, un vecchio cospira­tore,  farmi  una  domanda simile!

Prigioniero Ma questo è appunto l'influsso educatore del carcere, di cui lei parlava poco fa! Le giuro che ho addirittura dimenticato che cosa possa significare questo modo di fare l'occhietto. Che sia un'allusione? Che sia qualcosa di penoso nei riguardi delle persone del nostro Infante: e di suo zio  il  Reggente? Parli,  in  nome del Cielo!

Direttore  Dunque voi non pensate che il nostro zio Reg­gente sia un vecchio degenerato?

Prigioniero    Chi? Quel puro vegliardo?!

Direttore (ricomincia a camminare per la stanza) Dunque bene, molto bene... (si ferma) In nome del Co­mando Centrale, mi compiaccio con voi per la vostra evoluzione. (tende la mano al Prigionie­ro, che la stringe) Ma non dobbiamo per que­sto abbandonarci a una gioia troppo precipi­tosa. Lo dico sia per voi, in cui si produce questa crisi, speriamo sincera, sia per me, che ho il dovere di non credervi troppo alla leggera. Dunque, voi affermate di non pensare che lo zio Reggente sia quello che sapete. Tuttavia la psicologia ci insegna che a volte uno crede di non pensare, mentre in realtà pensa. Che cosa  avete da dire?

Prigioniero Lei ha ragione, signor direttore. Ma è proprio questo. A volte crediamo di pensare che, pur non pensando, pensiamo, mentre in realtà non pensiamo. Il pensiero è una potenza, signor direttore.

Direttore  (sentenzioso, duro, sospettoso e indagatore) Ma unicamente al servizio dell'uomo.

Prigioniero    Naturalmente.

Direttore (di malavoglia) E va bene. E adesso, per fa­vore, date un po' un'occhiata al nostro Infante. Piccolo, eh?

Prigioniero    Come tutti i bambini.                 

Direttore    Volevate dire " merdoso ", vero?

Prigioniero Signor direttore, se non fosse per la sua divisa e per il suo grado, comincerei quasi a sospet­tare che lei abbia davvero ragione. Ma quando il direttore della Polizia in persona dichiara che il nostro giovane capo è un merdoso, quest'affermazione   non  può mai e  poi  mai essere vera.  L'avesse detto un mercante, o magari uno stradino qualunque,  allora  forse comincerei  a dubitare. Ma il capo della Polizia! No! Questo non fa che confermarmi nella stima e nell'am­mirazione più viva per la persona del nostro Infante e... si capisce, anche di suo zio il Reg­gente.

Il Direttore, stanco, torna a sedersi. Il Prigioniero invece si alza, e si avvicina alla scrivania prendendo l'iniziativa.

Prigioniero Mi creda. Ormai l'ho fatta finita con le mie vecchie, false idee antigovernative. Le cause di questa trasformazione sono di doppia natura, che definirei esterna e interna, ed è proprio questa duplicità la miglior garanzia della pro­fondità e della durevolezza della mia evoluzione alle quali lei, signor direttore, tiene tanto, mosso in ciò da una giusta preoccupazione per il mio bene. Le cause esterne sono appunto quelle alle quali abbiamo in parte già accen­nato, e cioè il generale sviluppo del nostro Paese, cosa di cui ci si può convincere non fosse che leggendo il primo giornale bene in­formato. Ma si guardi un po' intorno. Non na­sconda la testa nella sabbia di fronte ai risul­tati raggiunti. Nel Paese si sta male? Ma ba­sterebbe prendere, per esempio, il suo stipen­dio, per rendersi conto dell'infondatezza di simili recriminazioni. In una parola, sono di­ventato un entusiasta e  non lo nascondo.

Il Prigioniero si siede, avvicinando la seggiola alla scrivania.

Prigioniero (in tono più confidenziale) Ciononostante, se lei dubita che delle cause d'ordine generale possano essere abbastanza forti per garantire l'irreversibilità della mia rieducazione, gliene prospetterò delle altre, e cioè quelle che defini­sco di natura interiore e, in un certo senso, più personale. Vede, signor direttore, fin da bambino io non ho mai saputo che cosa fossero l'ordine, l'armonia, il fine sublime e la disci­plina. Sempre libertà, nient'altro che libertà. Questa monotonia, per così dire, del mio cibo spirituale, ha soddisfatto soltanto una parte del mio Io. Il sentimento di indignazione per il ri­gore, la volontà di ribellarsi alle limitazioni e all'autorità, si, di tutto questo ne avevo finché ne volevo. Ma durante quegli anni si sviluppò in me una certa insoddisfazione. Arrivai alla conclusione di essere, in un certo senso, un perseguitato.  Io, libero rivoluzionario, modello di tutti i cospiratori, cominciai a provare  una sorta di  strana  nostalgia. Ma come?, mi chie­devo. Perché il destino mi ha mutilato, privan-domi della gioiosa esperienza dell'accordo, della sottomissione, della lealtà, del caro sentimento di far tutt'uno col potere? Perché mi ha tolto il dolce consenso al compiersi delle inevitabilità politiche, con l'aggiunta del piacere che, senza sforzarmi a provocare tali inevitabilità, mi sarei contentato di accettarle, pur con­servando intatta la consapevolezza, così confor­tante per il morale, della mia attività? Ero un uomo incompleto, signor direttore, finché non capii che non era troppo tardi. Si, era giunto il momento in cui il mio primo Io, ribelle e ricercatore, era morto per troppa sazietà, e l'altro Io si  svegliava, reclamando a gran voce il cibo a lui necessario, e cioè l'armonia piena di gioia e di tranquillità, la trepida speranza, la pace che nascono dal sentirsi pienamente inseriti. La gioiosa certezza che il governo del nostro Infante e di suo zio il Reggente (si al­zano, si  siedono)  è  buono, intelligente e vir­tuoso come  noi stessi,  ci dà un senso di voluttà sconosciutoci poveri individualisti, limi­tati nella loro negazione e in questa loro stessa incompleta umanità. Soltanto ora, signor diret­tore, ho raggiunto la pienezza. Sono l'ultimo prigioniero in questo Paese florido e leale fino in fondo. L'ultima macchia sull'azzurro del go­verno del nostro Infante e di suo zio il Reg­gente. L'unico corvo che col nero delle sue ali oscura il puro arcobaleno del nostro Paese. È solo per causa mia che si mantiene ancora in vita la polizia, è solo per colpa mia che non si possono rimandare a casa giudici e secondini. Che non si possono trasformare in asili le pri­gioni deserte. È solo per causa mia, signor diret­tore, che lei deve starsene qui, in questo ufficio soffocante, invece di andarsene via, per i cam­pi, per i prati, con la lenza o magari con il fucile, dopo essersi liberato di questa fastidiosa divisa. Ebbene, signor direttore, io le dichiaro: avete vinto. La polizia ha compiuto la sua mis­sione fino in fondo. L'ultimo uomo che aveva ancora qualcosa contro il governo getta le armi e non chiede di meglio che di unirsi al più presto al coro di tutti i cittadini osannanti al nostro Infante e a suo zio il Reggente. Per la prima volta nella storia del mondo l'ideale del­l'ordine nello Stato si è realizzato alla lettera, in maniera totale. Ed ecco che ora, con la mia persona, scompare anche l'ultimo ostacolo. Que­sto dovrebbe essere un giorno di grande festa nella vita del Paese, signor direttore. È il gior­no della vittoria definitiva, del coronamento dell'opera alla quale lei ha atteso per tutta la vita, e alla quale peraltro era stato chiamato. Oggi firmerò quel foglio, cosa a cui lei ha cer­cato invano di convincermi per dieci anni. Con questo stesso gesto otterrò immediatamente la libertà e incomincerò a sostenere il governo. An­zi, voglio inviare una lettera aperta all'Infante e a suo zio il Reggente, la lettera più umile, più impregnata di vivissimo amore e rispetto che sia mai stata scritta.

Direttore    Avete  detto che vi  piace la filatelia? Prigioniero    (sorpreso)  Sì, ma che c'entra adesso?

Direttore Pensateci bene. Siete veramente deciso a la­sciarci? Potreste rifletterti ancora, con calma, rafforzare la vostra decisione. Sapete come si dice, la gatta frettolosa fece i gattini ciechi. Nel frattempo noi potremmo facilitarvi la rac-colta dei francobolli. Abbiamo degli agenti sparsi in tutti i Paesi del mondo, che ci man­dano i loro rapporti. Potremmo staccare i fran­cobolli e regalarveli per il vostro album. In libertà non è così facile procurarsi dei buoni francobolli.

Poliziotto    (entrando) È tornato il sergente.

Direttore     Fatelo  passare.

Entra il Sergente. È tarchiato, rubizzo in volto, coi baffi due volte più lunghi di quelli degli altri. Zoppica, appoggiandosi al Poliziotto. Ha un occhio pesto. Davanti ai ritratti dell'Infante e di suo zio il Reggente si irrigidisce sull'attenti, poi si accascia su una sedia. Indos­sa un impermeabile e un cappellaccio verde a tesa piccola.

Direttore  Eallora, sergente, ci siete riuscito? Ma che aspetto avete! Cos'èsuccesso?

Sergente    (geme)

Direttore    Vi fa male?

Il Sergente fa cenno di sì con la testa, poi tira fuori di tasca un fazzoletto  e se lo preme sull'occhio. Il Direttore fa  segno di uscire al Poliziotto.

Direttore    Adesso potete parlare.

Sergente  Mi hanno picchiato quando, in veste di provo­catore, ho tentato di gridare delle frasi contro il governo.

Direttore  Ma chi vi ha picchiato? Non vorrete dirmi che è stato...

Sergente    Purtroppo, sì. Mi ha picchiato  il popolo leale.

Direttore    (sprofondando cupamente in se stesso)  Me lo aspettavo.

Prigioniero    Lo vede, signor direttore? Tutto conferma la mia tesi.

Direttore  (duramente)   Non disturbate, per  favore! Sergente, fate un'esposizione dettagliata!

Sergente  Subito dopo aver ricevuto le sue istruzioni, mi sono dato da fare per metterle in atto. Anzi­tutto ho acquistato un abito borghese, benché - lo faccio notare - non posso soffrire gli abiti borghesi. Per maggior verosimiglianza ho indos­sato anche un cappelluccio verde a tesa stretta e un impermeabile. Successivamente mi sono recato per strada. Per qualche tempo ho as­sunto un atteggiamento provocatorio nei riguar­di dell'Ufficio Centrale dei Pesi e delle Misure, ma nessuno ci ha fatto caso. Allora sono andato in piazza e ho cominciato a fare le boccacce davanti al monumento dell'Infante e di suo zio il Reggente. (si alza, si siede) Ma anche sta­volta non se n'è accorto nessuno, sa com'è, si­gnor direttore, hanno tutti fretta. Quindi mi sono allontanato, e ho preso posto nella coda davanti al chiosco della birra. Mi guardo in­torno e vedo che nella fila intorno a me ci sono soltanto cittadini comuni, all'incirca dalla trentesima alla trentottesima categoria di pa­ghe. « Siamo a cavallo » penso tra me e me. La coda avanza, e intanto io penso e ripenso come fare ad attaccare. Finalmente ci arrivo, e quando viene il mio turno, faccio all'uomo della birra, come se niente fosse: « Mi dia una birra piccola governativa. » Capisce, signor di­rettore? Governativa. Come dire che è il go­verno che fa la birra, o che le birre sono pic­cole perché sono del governo, o che so io... Ma quello, o che non capisse, infatti aveva l'aria un po' scema, o che non volesse capire, fatto sta che mi chiede: « Bionda o scura? » Allora io canto a chiare note: « Fa lo stesso, tanto l'agricoltura va in malora, e chi non ruba, con lo stipendio solo crepa di fame. » A questo punto, quelli che mi stavano dietro si avvici­nano, e uno di loro mi chiede se per caso non stia facendo delle allusioni alla nostra realtà, perché lui è un funzionario statale e non tolle­ra che si diffami lo Stato. Bè, io allora mi butto allo sbaraglio, e sputo tutto sugli allevamenti, sul commercio estero e anche qualcosa sulla polizia, specie quella segreta. Qui ti si fa avanti un giovanotto, col caschetto, e comincia a dar­mi addosso. « Tu, la nostra polizia » mi fa « lasciala stare, perché di questo passo finisce che ti metti a sobillare contro l'esercito, a voler limitare il servizio militare o magari ad abo­lirlo del tutto, e invece io vado di leva proprio quest'autunno. » Come sente queste parole, una vecchietta che stava un po' più in là inco­mincia a sbraitare. «Guardatelo, lui, non gli garba la polizia! E dire che neanche una set­timana fa ho fatto una richiesta di perquisizione in casa  mia,  e questo disgraziato vorrebbe mettermi i bastoni  tra le ruote!  Dopo la perquisizione ci si sente sempre tanto più leali e leggeri, mentre  senza ci si sente così strani. »

Io vedo  che qui le cose si mettono male. Ma lei mi conosce, signor direttore, sto nella polizia da quando ero bambino, senza contare che per me il servizio di provocazione è una cosa sacra, per quanto sia un servizio duro e, come le ho detto, i vestiti  borghesi mi  diano tanto fastidio. Quindi non ci faccio caso, e dico aper-tamente quel clhe ho da dire, prima sulle tasse, poi sugli ospedali, e finalmente sul  nostro In-fante (si alza) e su suo zio il Reggente.  « Ah sì? È così? Vieni a calunniarci i nostri amatissimi capi? » hanno esclamato tutti in coro, e mi hanno pestato.

Prigioniero    Bravi! Brave persone!

Sergente Perciò, capisce, signor direttore, mentre mi pic­chiavano, due opposti sentimenti combattevano nel mio cuore: un sentimento di tristezza e un sentimento di gioia. Mi rattristavo perché non avevo eseguito il suo ordine e non ero riuscito a provocare nessuno, e così continueremo a non avere nessuno da arrestare. D'altra parte mi rallegravo che il rispetto e l'amore per il go­verno e le persone (si alza) del nostro Infante e di suo zio il Reggente fossero così forti e diffusi nel popolo, come lei stesso può peraltro constatare dal mio occhio.

Prigioniero (a se stesso, entusiasmato) Magnifico Paese! Ma­gnifica gente!

Direttore    Ci vorrebbe un po' d'acqua vegeto-minerale.

Prigioniero Signor direttore! Il racconto del sergente mi ha convinto definitivamente. Desidero rinnegare all'istante le mie vecchie convinzioni, alle quali non posso più pensare senza un senso di ribrez­zo. Firmo immediatamente l'atto di fedeltà. Mi dia carta, penna e calamaio.

Direttore    (sconsolatamente)  Allora  siete  proprio  deciso?

Prigioniero Niente potrà farmi cambiare idea. Appena la­scerò questo edificio, al quale mi legano tanti ricordi, andrò senza indugio ad arruolarmi. Avanti, firmiamo!

Direttore    Allora  rinunciate  ai  francobolli?

Prigioniero Che cosa sono mai dei francobolli, quando mi attende l'arruolamento al servizio dell'Infante (sialza) e di suo zio il Reggente? La passione del collezionista diventa nulla, in confronto allo spirito del servizio. Cos'è mai un album, quando posso abbandonarmi alle delizie della lealtà, conosciute per la prima volta in vita mia, dopo la tenebrosa tappa dell'anarchia?

Direttore Eva bene. Non insisto più. Eccovi carta, penna e calamaio. L'avete voluto voi. (porge rabbio­samente l'occorrente per scrivere al Prigioniero)

Prigioniero    Finalmente!

Firma.

Il Direttore riprende il foglio lo asciuga, ci soffia su, poi suona. Entra il Poliziotto.

Direttore Portategli la sua roba! (al Prigioniero) Lei mi ha deluso. Credevo che fosse più duro. Aveva resistito così bene...

Il Poliziotto porta la roba del Prigioniero. Un mantello, una ma­schera, una bomba.

Direttore  Lei ha diritto alla restituzione della roba che aveva con sé al momento dell'arresto.

Prigioniero    Fantasmi del passato!

Il Prigioniero prende dalle mani del Poliziotto il mantello da cospi­ratore e se lo butta sul braccio. Si mette in tasca la maschera. Il Po­liziotto gli porge la  bomba.

Prigioniero Oh, no! Questa non la voglio più. L'ho finita per sempre, con queste cose. Signor direttore, vuol accettare questa bomba da parte mia, in ricordo dei momenti trascorsi insieme? Sarà la testimonianza del suo paterno trionfo su di me. Ecco tutto quel che è rimasto dell'ultimo cospiratore. Anche la maschera. (estrae la maschera di tasca e gliela porge)

Direttore    Come vuole.

Il Direttore prende con indifferenza bomba e maschera dalle mani del Prigioniero e le mette nel cassetto.

Prigioniero Le faccio i miei più affettuosi rallegramenti. L'ultimo cospiratore è morto. Ènato un nuovo suddito. Se fossi in lei, farei sparare i cannoni e darei tre giorni di vacanza ai suoi uomini. Ma che dico, tre giorni. D'ora in poi non avran­no più nulla da fare. Addio, e grazie di tutto.

Direttore    Non c'è di che.

Il Prigioniero stringe una dopo l'altra le mani del Direttore, del Ser­gente, del Poliziotto ed esce. Il Poliziotto si volta secondo il regola­mento ed esce anche lui. Il Direttore e il Sergente rimangono in silenzio. A un tratto, dietro la finestra, si leva l'urlo del Prigioniero, ormai per strada.

Prigioniero    (invisibile oltre la finestra) Viva il nostro In­fante e suo zio il Reggente!!!

Direttore    (nascondendo il viso tra le mani, disfatto) Dio, Dio...

Sergente    (sognante) Se  provassimo  a  provocarlo...

Atto secondo

L'azione si svolge in casa del Provocatore. Alle pareti sono appesi i ben noti ritratti dell'Infante e di suo zio il Reggente, nonché il ri­tratto di nozze del Sergente-provocatore e di sua moglie. Una porta e una finestra, bene in vista. Un tavolo, due sedie. Un manichino, sul quale è appesa la divisa completa, molto ben tenuta, del Ser­gente, con alcune decorazioni. Accanto un piccolo paravento, da sotto al quale spunta un paio di stivali. Un ficus, o anche una palma. Un piccolo tavolino sul quale è poggiato un peso, un attrezzo da solle­vamento ginnastico.

La moglie del Provocatore. Il Direttore, come nel primo atto, ma tra­vestito, con un mantello e un cappuccio sopra la divisa. Ha la sciabola.

Direttore    (col cappuccio calato sugli occhi) Buongiorno, signora. È in casa suo marito?

Moglie    Non è ancora rientrato dal servizio.

Direttore  Non è rientrato dal servizio? Ma oggi, se non sbaglio, non è il suo giorno di libertà?

Moglie Sì, ma a lui non piacciono i giorni liberi. Che cosa desiderava? (Il Direttore avanza in mezzo alla stanza e solleva il cappuccio) ...il signor direttore!

Direttore    Ssss... Non così forte. Suo marito non ha lascia­to detto quando tornava?

Moglie  No. È. andato in città, a provocare un po' di sua  iniziativa. Chi lo sa, quanto gli ci vorrà.

Direttore   La prego, non si disturbi. Vedo che stava cucendo.

Moglie  (vergognosamente, nascondendo il lavoro) Macché...  roba da poco. Sono solo dei galloni per le mutande di mio marito. Ci soffre tanto, con quei vestiti borghesi... Vuol sempre  avere addosso qualcosa di militare, sia pure di sotto... (improvvisamente, cambiando tono, supplichevole) Signor direttore!

Direttore     (guardandosi intorno) Chec'è?

Moglie   Signor direttore, 1o esoneri da questo servizio. Non lo mandi più a provocare vestito in borghese.

Direttore   E  perché mai?

Moglie   Non può immaginare come sia andato giù da quando va in giro in borghese. Lui non ci può stare senza la divisa. Si consuma.

Direttore    Cara signora, non so che farci. Si provoca sem­pre in borghese.

Moglie   Ma almeno il berretto, non potrebbe tenerlo? Per lui sarebbe già un sollievo.

Direttore    No, signora. Il berretto attirerebbe l'attenzione.

Moglie (in tono confidenziale) Eh già, certo. Ètanto di quel tempo che non arresta più nessuno. Quan­do è con lei, probabilmente non se ne fa accor­gere, ma in casa è diventato così pesante da sopportare. Un nuovo arresto gli farebbe proprio bene.

Direttore    (sentenziosamente) Senza provocazione  non c'è arresto.

Moglie (con cupa tristezza) Ormai non credo più nean­che  a questo.

Direttore    Ma lei non conosce proprio nessuno che andrebbe bene?

Moglie Macché! Tutti leali, che Dio li guardi. Del re­sto, se ci fosse qualcosa, sarei la prima a in­formarne mio marito, perché smettesse di tor­mentarsi. Ma, tanto, ci pensa sempre lui a chiedermelo.

Direttore    E i vicini? Forse qualche lontano parente?

Moglie Iiiih... Tutti benpensanti anche loro. C'era, sì, un vecchio, qui nella nostra strada, che si la­mentava, ma era per via della podagra, non per il governo. E poi morì anche lui, poco dopo. Per precauzione, probabilmente.

Direttore    Eh, già. Tutto zitto, tutto calmo... E lei, com'è che ha conosciuto suo marito?

Moglie Eh, fu tanto tempo fa, signor direttore. Lui de­nunciò me, io denunciai lui, e così ci conoscemmo.

Direttore    Avete figli?

Moglie Sì, due, ma ora sono rinchiusi. Devo farli uscire?

Direttore    No,   no, non vorrei disturbare.  Ero venuto su solo un momento, per vedere suo marito.

Moglie Chissà, può anche darsi che sia già qui. Si fer­ma sempre a origliare per le scale. Vado subito a vedere. (Esce)

Passi che si allontanano per le scale. La finestra si apre ed entra il Sergente, in borghese, con l'impermeabile e il cappelluccio verde in mano.

Sergente    Il signor direttore in casa  mia! Quale onore!

Direttore  Ssss! Sono qui in veste ufficiosa. Poi vi dirò. Ma perché non entrate dalla porta?

Sergente  Sono venuto dai tetti perché ho pensato che forse avrei trovato qualcosa di illegale. Tanto, dovevo tornare a casa lo stesso, e così mi son detto, perché non passare dai tetti? È tutta stra­da, e c'è caso che peschi qualcosa. Perché giù, sa, è sempre tutto in ordine.

Direttore    Ebbene?

Sergente (allargando le braccia) Niente, signor direttore. Degli uccelli e basta. Mia moglie non c'è?

Direttore    È andata sulle scale, credeva che foste là.

Sergente  Origlia sempre per le scale, ne avrà per un bel pezzo. Signor direttore, lei non si offende se mi cambio subito? Senza la divisa mi sento nudo.

Direttore  Potete cambiarvi quando vi pare e piace. Siete a casa vostra, e questo è il vostro giorno di libertà.

Sergente  (andando dietro al paravento) Eh, già. Invece ho pensato che, chissà, , forse proprio oggi po­teva essere la volta buona, e sono uscito. Ho provocato un po' in mattinata, ma è stato tutto inutile. Non fanno che andare in su e in giù e gridare evviva.

Direttore Se nella polizia fossero tutti come voi, forse non saremmo giunti a questo allarmante stato di lealtà. Cioè, volevo dire che è grazie a voi che godiamo di un ordine così perfetto. Meri­tate una promozione.

Sergente  (che durante questo tempo si spoglia e indossa la divisa dietro al paravento) Piccolezze, signor direttore. M'è solo venuto l'uzzolo di fare due passi  e di provarci. Anzi, a me piace.

Una pausa. Il Sergente finisce di cambiarsi. Esce vestito di tutto punto in divisa, sciabola e decorazioni. Si stira con voluttà.

Sergente  Ah, che sollievo! Finalmente mi sento in li­bertà. Tornare dal lavoro, potersi cambiare, lei non ha idea che piacere sia. Cioè, mi  scusi. (si rende conto del suo comportamento troppo confidenziale) Sono le abitudini che si prendono a lavorare in borghese.  Gli abiti  borghesi demoralizzano subito. Mi scusi, signor direttore, bisognerà che mi  controlli.

Direttore   Sciocchezze. Oggi ho cose ben più importanti per la mente. Allontanate vostra moglie con una scusa qualsiasi, in modo che non entri qui. Dev'essere ancora sulle scale. È una bravissima donna, ma ho bisogno di parlare in confidenza con voi.

Sergente    Sì, signor direttore!  (Esce)

Passi che si allontanano per le scale. Il Direttore si leva il mantello e si siede. Dei passi. Ritorna il Sergente.

Sergente  L'ho mandata a comprare della colla resistente all'acqua.

Direttore   Non potevate trovare una scusa migliore?

Sergente  Ma non è una scusa, signor direttore. Effettiva­mente mi s'è strappato l'impermeabile l'ultima volta che mi hanno picchiato.

Direttore    Bè, va bene, va bene. È andata lontano?

Sergente    Ne avrà per tre quarti  d'ora.

Direttore Suppongo che siate sorpreso di questa mia visita.

Sergente    Come comanda, signor direttore.

Direttore    Dunque siete sorpreso.

Sergente  Sì! Il direttore di Polizia in persona, in casa mia! Mi sarei aspettato piuttosto una rivoluzione!

Direttore Non sogniamo a occhi aperti, mio caro ser­gente. Del resto, un sergente di polizia vigi­lante si aspetta sempre una rivoluzione. Ma non è questo che volevo dire. Voi siete irre­prensibile nel servizio.

Sergente  Come potrebbe essere altrimenti, signor direttore?

Direttore Tuttavia nel vostro comportamento esemplare c'è qualcosa di più di una normale coscienzio­sità e di un normale senso del dovere.

Il Sergente scatta sull'attenti.

Direttore    Non importa. Sedetevi, piuttosto.

Sergente Col suo permesso, signor direttore, preferirei esercitarmi un po', visto che lei è così gentile.

Direttore    Fate degli esercizi?

Sergente  Tutti i giorni a quest'ora, quando sono in casa, mi esercito un po' col peso o con l'estensore. Devo mantenermi allenato, per ogni evenienza. Sviluppa i muscoli. (gonfia il bicipite) Vuol toccare, signor direttore?

Direttore   No. Lo vedo anche di qui. Se volete esercitarvi, esercitatevi pure.

Il Sergente si rimbocca una manica, prende il peso dal tavolino e ritorna davanti al Direttore. Senza smettere di ascoltarlo con atten­zione, ogni tanto compie dei sollevamenti ritmici. Di tanto in tanto si tasta il bicipite, per controllare se si è indurito. Può anche cambiar di mano. Contemporaneamente è assorto nella conversazione col Di­rettore.

Direttore Come vi ho già detto, voi non siete soltanto un ottimo poliziotto. Ho scoperto in voi qualcosa di  più.

Sergente    (molto   disciplinarmente)   Sì,   signor  direttore!

Direttore    Ho scoperto in voi il portatore di un'idea.

Sergente    Sì, signor direttore!

Direttore  Non indossate forse gli abiti borghesi quando il servizio lo richiede, benché non possiate soffrirli?

Sergente  Sì, signor direttore! Io per il servizio indosso qualunque cosa!

Direttore  Appunto. Cioè, in un certo senso, voi sacrifi­cate i vostri piaceri personali sull'altare del servizio. Ma questo è ancora poco. Osservan­dovi, sono giunto alla conclusione che il vo­stro zelo, il vostro ardore, la vostra dedizione superano di gran lunga i compiti che eseguite in maniera tanto esemplare, benché siano tutt'altro che facili.

Sergente    Sì, signor direttore!

Direttore  Voi mi fate l'effetto di un Ercole che spacchi la legna e porti l'acqua. Si tratta indubbiamente di lavori pesanti e necessari, tuttavia non sono fatti sulle sue misure. In voi c'è una forza, sergente, una forza che solo in parte tro­va il suo sfogo nel servizio normale. Perché voi siete qualcosa di più di un semplice funziona­rio... Siete ispirato dall'idea dell'ordine e della disciplina generale. Siete il mistico dell'idea po­liziesca, il santo della polizia. Sergente, in que­sti ultimi  tempi siete andato giù.

Sergente    Dormo  male,  signor direttore.

Direttore    Ecco, appunto.  E ditemi, fate dei sogni?

Sergente    Sì, ma certi sogni scemi...

Direttore    Ditemi pure.

Sergente  Non so neanch'io come mi vengano. A volte sogno che ci sono due me stessi.           

Direttore    Su, coraggio, coraggio.

Sergente  Uno in divisa e uno in borghese. Camminiamo per i campi, gli uccellini cinguettano, l'aria è calda... E a un tratto a me, cioè a noi due, cioè ai due me, succede qualcosa di strano qui dentro... come una smania di... e poi di an­dare lontano... e l'erba profuma, sa com'è in primavera, signor direttore, e allora... vien su una voglia di arrestare qualcuno, di arrestare almeno una di quelle lepri che se ne stanno sulle prode, o magari una cutrettola. Allora mi guardo, cioè ci guardiamo intorno, aguzziamo lo sguardo, ma non c'è mai nessuno, nessuno da poter arrestare, neanche a buttarsi sulla terra soffice, battere il capo e piangere. Ed è proprio qui che viene la parte più scema.

Direttore    (teso) Avanti, avanti!

Sergente  Allora sogno di arrestare me stesso. Cioè il me stesso in divisa arresta il me stesso in borghese. E mi sveglio tutto sudato.

Il racconto del sogno costituisce  un grosso sforzo per il Sergente. Durante tutto il racconto non fa gli esercizi.

Direttore Quanto mi dite è interessante, molto interes­sante. Sergente, quand'è che avete compiuto il vostro ultimo arresto?

Sergente  (pesantemente, oppresso) Cosa vuole, signor di­rettore, non merita neanche la pena di parlarne.

Direttore    Adesso fate bene  attenzione a quanto vi dirò.

Sergente    Sì, signor direttore!

Direttore  Lo sapete che ormai non arresterete più nessuno?

Sergente  (lasciando cadere di mano il peso) Come, signor direttore, come?!

Direttore (si alza dalla sedia e comincia a camminare per la stanza) Vi dirò di' più. Non solo non arresteremo più nessuno, ma neanche vostro figlio, neanche vostro nipote e il vostro proni­pote arresteranno più nessuno. L'intero corpo di polizia si trova sull'orlo dell'abisso, alla vi­gilia della catastrofe. Perché esiste la polizia? Per arrestare coloro che agiscono contro l'ordine costituito. Ma se costoro non ci sono  più? Se proprio per effetto di un servizio di polizia sempre  più perfetto e sviluppato è scomparsa tra  i cittadini anche l'ultima ombra di rivol­ta, ma che dico, anche l'ultimo moto di anti­patia, se un entusiasmo  generale  regna sovra-no? Se è stato affermato una volta per sempre l'amore per il nostro (scatta sull'attenti) In­fante e per suo zio il Reggente? Che deve fare, in questo caso, la polizia? Ho cercato di mettervi riparo, e perciò vi ho ordinato di di­ventare provocatore. Ma avete visto voi stesso che anche quest'ultima ancora di salvezza si è rivelata vana. Non solo non siete riuscito a provocare  nessuno, ma appena avete cercato di gridare delle frasi contro il governo, vi han­no picchiato di santa ragione.

Sergente    (toccandosi l'occhio)   Ormai s'è sgonfiato.

Direttore Non è questo, il punto. Qui si tratta di un problema di ordine generale. Era un pezzo che aspettavo e temevo questo momento. Il no­stro ultimo cospiratore ha firmato l'atto di fe­deltà, e dopo essere uscito di prigione si è subito arruolato al servizio dell'Infante e di suo zio il Reggente. Ho cercato di trattenerlo, gli ho promesso dei francobolli, ma è stato tutto inutile. Sapete che cosa significa questo? Significa che abbiamo delle splendide prigioni, costruite con tanto dispendio di capitali, della gente addestrata e pronta a sacrificarsi, dei tri­bunali e delle amministrazioni, e persino degli archivi, ma non abbiamo neanche un indizia­to, neanche la più piccola traccia. La gente è diventata bestialmente, atrocemente, selvaggia­mente leale.

Sergente    Sì, signor direttore. È un fatto. Io li...

Direttore  Scoccherà presto l'ora in cui bisognerà togliersi la divisa, e allora rimpiangerete invano anche un misero interrogatorio, invano vi torcerete la notte! Non vi servirà a niente cucirvi i gal­loni sulle mutande. Dormite male fin d'ora, ep­pure siete ancora in servizio. Pensate un po' a come vi sentirete allora, eh?

Sergente    No, no!!!

Direttore E invece sì, sì! Vi toglieranno la vostra divisa, vi daranno una qualsiasi giacca sportiva, un paio di calzoni alla zuava e poi, via! Andatevene pure per i prati, con la lenza o anche col fucile, prego! Godetevi pure le vacanze a vo­lontà! Potrete arrestare tutte le lepri e le cutrettole che vorrete, sempre che la caccia sia aperta.

Sergente    E non esiste un rimedio, signor direttore?

Direttore  (affettuosamente, mettendogli una mano sul braccio)  Sono venuto qui non soltanto come capo della polizia, non soltanto come vostro superiore. In questo difficile momento sia io che voi siamo solo dei semplici poliziotti, che davanti alla distruzione che minaccia l'opera della loro vita, si tendono la mano e si consi­gliano fraternamente sulla possibilità di salvarla. (tende la mano al Sergente, il quale la strin­ge, molto commosso, asciugandosi una lacrima con la sinistra) E ora, state a sentire. L'uomo che può ancora salvare tutto siete voi.

Sergente    Io?

Direttore  Sì, voi. Fate attenzione a quel che vi dirò. Chi è che ci occorre? Ci occorre anche un solo individuo da poter mettere in prigione. Da met­tere in prigione per un motivo qualsiasi, che rivesta sia pure in minima parte un carattere di attività sovversiva. Dopo molti tentativi da parte nostra, appare ormai chiaro che un uomo del genere non lo troveremmo più procedendo secondo gli schemi consueti, ossia in maniera, per così dire, naturale. Dobbiamo, se così posso esprimermi, crearlo. La mia scelta è caduta su di voi.

Sergente    Non capisco bene, signor direttore.

Direttore    Cos'è  che non capite?

Sergente    Quello che devo (are.

Direttore Le stesse cose che avete fatto finora. Gridare delle frasi contro il governo; con questa differenza, che noi non lo tollereremo più e vi met­teremo in prigione.

Sergente    Me?!

Direttore  Vi assicuro che l'esecuzione del compito che vi affido è molto più elevata, dal punto di vista della morale poliziesca, della comune provoca­zione di un cittadino qualunque, seguita dal suo arresto. Lì si trattava di un semplice esple­tamento delle vostre funzioni, mentre qui si tratta della fervida esecuzione di un atto non privo di una sua specifica poesia, al quale può essere chiamato soltanto un poliziotto eletto, ispirato, imbevuto fino al midollo dall'idea poliziesca. Era questo che avevo in mente, quando vi ho detto che vedevo in voi il fuoco della vocazione poliziesca, cosa rara a trovarsi anche nei migliori. Che in voi c'è qualcosa che per troppo tempo non è riuscito a trovare la sua via d'uscita, e che ha lungamente atteso la missione che solo ora vi rivelo. Voi dovete essere il sergente-redentore.

Sergente  Signor direttore, se è per me, volentieri, con tutte le mie forze. Mi fa male la testa, signor direttore.

Direttore    Non fa niente. E adesso rimettetevi in borghese.

Sergente    Di nuovo?!  Ma perché?!

Direttore    Non vorrete provocarvi in divisa, no?

Sergente    Ma come, di già? così, subito?

Direttore   Naturalmente, non c'è tempo da perdere. Voi vi cambiate, poi apriamo la finestra perché si senta bene fin nella strada, voi vi affacciate alla finestra e gridate a squarciagola qualcosa contro l'Infante (scattano entrambi sull'attenti) e suo zio il Reggente. Poi io tiro fuori la scia­bola, vi arresto, ed è fatta.

Sergente    Gesù, Gesù, ma  io sono della polizia!...

Direttore Più della polizia di chiunque altro. Ma è pro­prio quando uno è della polizia, e finge da­vanti agli altri di non essere della polizia, che è doppiamente della polizia. Ma essere della polizia, e fingere davanti a se stessi di non es­sere della polizia, questo sì, che significa essere della polizia profondamente, voluttuosamente, direi quasi a pieni polmoni, allora sì, che si è stra-polizieschi come nessun altro poliziotto, o addirittura, direi, poliziotti due volte.

Il Sergente va dietro il paravento e gemendo, piagnucolando, riveste gli abiti borghesi. Il paravento è basso, gli si  vedono spuntare la testa  e  i polpacci.

Direttore  Oggi stesso invio un rapporto al generale. Do­mani mattina il nostro Infante e suo zio il Reggente saranno informati che è stato sco­perto e arrestato un cospiratore. Saremo salvi.

Sergente  (finendo di abbottonarsi) Che cosa devo gridare?

Direttore  Non avete qualcosa di bell'e pronto, tra le vecchie  cose?

Sergente  Potrebbe andare che il Reggente, zio del nostro Infante (scattando sull'attenti) è un porco?

Direttore  Mi pare un po' troppo allusivo. Qui ci vuole qualcosa di forte, inequivocabile, senza reticen­ze, perché possa arrestarvi al cento per cento.

Sergente    Forse  vecchio porco?

Direttore  Va già meglio. Apriamo la finestra. (aprono la finestra) Uno... due...

Sergente    Un momento!

Il Sergente si stacca dalla finestra, corre a prendere una spazzola dietro al  paravento e con un colpetto  trepidante toglie unpo'  di polvere dalla divisa appesa di nuovo sul manichino. Ripone la spaz­zola, ritorna alla finestra.

Sergente    Ora sono pronto! (inspira aria nei polmoni) Direttore    Uno... due... tre!...

 Sergente    (urlando)   Il nostro Reggente, zio del nostro Infante, è un vecchio porco!

Direttore  (estraendo la sciabola, con voce tonante) Vi ar­resto in nome dell'Infante e di suo zio il Reggente!

Moglie    Signore Iddio!!! Ecco che ricomincia a provo­care! Potresti anche riposarti un po'!

Direttore    Taci, donna!  Stavolta c'è riuscito davvero!


Atto terzo

L'ufficio del Direttore, come nel primo atto.

Un Poliziotto appende delle ghirlande di foglie verdi. Sta prepa­rando le decorazioni per l'arrivo del generale. Il Direttore e il Pro­vocatore siedono l'uno di fronte all'altro, il Direttore dietro alla scri­vania, il Provocatore al posto del Prigioniero nel primo atto.

Direttore  Avete nuovamente tentato di limare le sbarre della finestra, e avete preso a calci il secondino. È già la seconda volta.

Sergente  Signor direttore, non so più neanch'io che cosa mi succeda da un po' di tempo a questa parte.

Direttore    Vi manca qualcosa?

Sergente    (depresso) No, grazie.

Direttore  E invece, al vedervi, si direbbe proprio chevi manchi qualcosa. Siete pallido, taciturno.

Sergente  Forse sarà perché sto in prigione, signor direttore.

Direttore  Mando tutti i giorni un rapporto su di voi al generale. Grazie a voi abbiamo già ottenuto i fondi per ingrandire la prigione, addestrare del nuovo personale e rafforzare la sorveglian­za... (il Sergente fa una smorfia) Il generale si interessa personalmente al vostro caso. Dice che siete molto pericoloso, e che è stata una gran fortuna avervi acciuffato in tempo... (il Sergente fa spallucce) A non conoscervi, si direbbe qua­si che non ne siate contento. Il generale ha annunciato che verrà oggi, perinterrogarvi di persona.

Sergente    Booooh... Direttore    Non  siete mica malato? Dormite bene?

Sergente    Mica tanto.

Direttore    Fate dei sogni?

Sergente    Niente di speciale.

Direttore    Che cosa sognate?

Sergente    Di  camminare  nei campi.

Direttore    Gli  uccellini  cinguettano,  vero?

Sergente   Come fa a saperlo?

Direttore    Siete in divisa, o in borghese?

Sergente    In borghese. Col cappotto e i calzoni alla zuava.

Direttore    Sì, e poi?

Sergente  Cammino, e vedo un albero. Su un ramo c'è lei,  che mangia del  formaggio.

Direttore    Io sto su un ramo, e mangio del formaggio?

Sergente   Sì. Io mi fermo sotto l'albero, lei apre la bocca per arrestarmi, e allora il formaggio le casca per terra.

Direttore    E  voi lo raccattate?

Sergente    No.  Non mi piace il formaggio.

Direttore    (seccato) Che sogno stupido.

Sergente    Vero, signor direttore?

Direttore    Volete bere qualcosa?

Il Direttore, senza aspettare risposta e per metter fine a quella situa­zione imbarazzante, apre uno sportello della scrivania e ne tira fuori una bottiglia e dei bicchieri.  Versa la birra.

Sergente Grazie. (beve. Ad un tratto posa il bicchiere) Veramente, non dovrei bere con lei, signor direttore.

Direttore    E perché no?

Sergente  Perché sono soltanto un semplice... Signor di­rettore, che cosa sono in  realtà, adesso?

Direttore    Che razza di domanda!  Siete voi stesso!

Sergente   Che cosa vuol dire essere se stessi, signor di­rettore? Perché, ormai, io non so più che cosa sono: un poliziotto o un carcerato? E poi, sono me stesso quando sono un poliziotto, o quando sono un carcerato? Oppure, quando sono me stesso sono un  poliziotto o  sono un carcerato?

Direttore   Ma se vi ho spiegato tutto quando vi ho arre­stato!  Ricominciate daccapo?

Sergente  Ma allora era tutto chiaro, signor direttore, perché non era che il principio, e io sapevo bene chi ero: un bravo sergente di polizia in servizio segreto. Per quanto, a dirla franca, le cose cominciarono a guastarsi fin da prima, quando diventai provocatore. Non si arrabbi, signor direttore, ma ora mi rendo conto che cominciò tutto di lì, tant'è vero che se avessi saputo come andava a finire, avrei chiesto di mandarci un altro, a fare il provocatore. Non per niente quel vestito borghese mi faceva stare tanto male. Un poliziotto non dovrebbe mai togliersi la divisa. Non si può mai sapere.

Direttore Ciononostante, però, non vi è passato per la mente di lamentarvi. Lavoravate di vostra ini­ziativa anche nei giorni di libertà.

Sergente  Ma sì, gliel'ho già detto, perché allora era tutta un'altra cosa. Non avevo neanche il più lieve presentimento. Persino dopo, quando lei, signor direttore, venne a trovarmi e mi aprì nuovi orizzonti dicendomi che le ricordavo Ercole, bè, certo, era un po' dura, però era ancora tutto chiaro, e sapevo di essere un poliziotto di prim'ordine. Lei stesso, signor direttore, mi disse che ero addirittura il migliore di tutti. Il brutto è venuto solo dopo, quando lei mi ha arrestato e ho cominciato a star dentro. Non è tanto lo star dentro in sé, quanto essere quello che sta dentro. È una cosa che fa il suo effetto, su un uomo. È stato di lì, che tutto ha comin­ciato a confondersi sempre di più.

Direttore    Spiegatevi meglio.

Sergente  Da principio mi ricordavo ancora di che cosa si trattava, e tutto quel che lei mi aveva spie­gato. Poi ho incominciato ad avere delle lacune, degli smarrimenti, mi sono spaventato, e ho incominciato a ripetermi: sono un sergente in servizio segreto, sono un sergente in servizio segreto,  e  addirittura  super-segreto.   Ma  poi...

Direttore    Cosa, poi?

Sergente  Poi ho smesso di ripetermelo, perché non ne capivo più il senso. Ma di dov'ero partito, si­gnor direttore?... Ah, ecco! Volevo precisamente dire che sono solo un semplice...

Direttore    Un  semplice che cosa,  maledizione?

Sergente  O un semplice poliziotto, o un semplice car­cerato,  e sia come l'uno, che come l'altro...

Direttore  Non sapete ragionare che in maniera primitiva. Ecco che cosa vuol dire affidare dei posti di responsabilità a della gente priva di un'istru­zione superiore. Al vostro posto un uomo di una certa levatura...

Sergente  Volevo dire che sia come l'uno, che come l'altro, ritengo di non dover bere insieme a lei, signor direttore. Se devo considerarmi un po­liziotto, allora non posso permettere che lei beva con un carcerato, e cioè con me, dato che effettivamente sono un carcerato. Se invece de­vo considerarmi un carcerato, un cospiratore di cui hanno paura il generale in persona e per­si no lo stesso governo, allora, a mia volta, sono io che  non  posso bere con lei.

Direttore   Perché?

Sergente  Perché allora, come tale, devo comportarmi in maniera adeguata alla moralità e al ruolo di un cospiratore incarcerato, e non posso bere col rappresentante del potere, col capo della polizia.

Direttore    Siete ammattito?

Sergente  No, signor direttore, È più forte di me. Può forse, adesso, farmi uscire di prigione? No, non può. Quindi devo continuare a star dentro. E se devo continuare a star dentro, questa circo­stanza agisce su di me in maniera sempre più forte. Ho tentato di resistere. Ma sento che ogni giorno di prigionia in più provoca dentro di me qualcosa di terribile, che io stesso non rie­sco  ancora a capire chiaramente.

Direttore  Forse, dopotutto, siete veramente malato. Avete mai avuto fastidi coi polmoni?

Sergente  Non è questo, signor direttore. Sono sano come un pesce, l'ha visto anche lei come mi eserci­tavo col peso, e se poi m'avesse visto con l'e­stensore! Qui si tratta di ben altro. Lo sa che da quando m'ha messo dentro, cominciano a risvegliarmisi delle idee nuove?

Direttore    Controllatevi  meglio.

Sergente  Proprio così, sa? Per esempio, prima viaggiavo spesso in treno, ma non ne avevo mai pensato niente di speciale. Ma a starsene sempre rin­chiuso, uno comincia ad assumere una posi­zione, diciamo così, critica. Già, e ricorda, non fosse che per la noia. E lo sa a che conclusione sono arrivato?

Direttore  Come faccio a saperlo? Tanto vale che me lo diciate subito.

Sergente    Che le nostre ferrovie sono un disastro.

Direttore  Vi rendete conto di quel che dite? Vi avverto che da questo momento metto a verbale le vo­stre  parole.

Sergente  E lei le metta a verbale. Uno gonfia, gonfia, finché a un certo punto non può più stare zitto. O prendiamo per esempio l'arte e la cultura. Ma chi sa dire, signor direttore, perché mai avremmo tanto perseguitato, tormentato quei poveri artisti...

Direttore  (scrivendo velocemente) Un po' più piano. Com'erano le ultime due parole?

Sergente    Quei  poveri artisti, ho detto.

Direttore ... tisti. Ecco. (alzando gli occhi dal foglio e smettendo di scrivere) No, non è possibile. In nome del vostro lungo servizio, pensate davve­ro quello che dite? Abbiamo lavorato insieme per tanti anni, ormai era tutto sistemato, e tutt'a un tratto ve ne venite fuori con certe idee... Credete davvero che nel Paese si stia così male? Ripensateci.

Sergente  Ma cosa vuole che ripensi! Dalla finestra della mia cella, se ci porto sotto la branda, sulla bran­da metto il bugliolo rovesciato e ci monto so­pra, vedo un prato. Proprio in questi giorni sul prato vengono i falciatori. A osservarli bene, si capiscono molte cose. Se vedesse, signor diret­tore, che musi lunghi, che scontentezza dipinta sui loro volti!

Direttore  Ma questo è puramente soggettivo da parte vostra! Indipendentemente dagli effetti ai quali conduce, leali o sleali che siano, la soggettività come metodo è di per sé contraria ai nostri programmi! Dovrei dunque punirvi anche se non aveste detto niente circa la scontentezza. E inoltre, sapete benissimo che il regolamento vieta di guardare dalla finestra.

Sergente Ma non a chi lotta contro il governo, signor direttore. Costui non si rifiuterà una piccola trasgressione supplementare. Anzi, se ne farà addirittura un minuto dovere, una specie di complemento, per non parlare poi della soddi­sfazione. Insomma, basti dire che io guardo dalla finestra, e che anche la vista del nuovo cre­matorio mi dà parecchio da pensare. Non è un investimento.

Direttore  Perché, vorreste che gli atei non avessero di­ritto di disporre liberamente dei propri fune­rali? Siete contrario alla tolleranza religiosa, e poi avete il coraggio di criticare l'attività dello Stato negli altri settori.

Sergente  I morti non sono un argomento vivo. Del resto, anche se non guardassi dalla finestra, le pareti della mia cella sono ricoperte di scritte. Uno non ha niente da fare, e legge. A volersi sof­fermare un po' su certune, non sono poi tanto stupide.

Direttore    Quali scritte, per esempio? Sergente    « Abbasso la tirannia », signor direttore.

Direttore  Basta! Dunque è così? Siamo arrivati a questo punto? Allora probabilmente anche il nostro (sull'attenti) Reggente, zio del nostro In­fante (il Sergente tuttavia continua a star se­duto) è un cretino?!

Sergente    (con tristezza) Sì, signor direttore.

Direttore    (soffocando di rabbia)  Umph!!!

Durante questo tempo il Poliziotto si aggira per la stanza, ma non troppo, in modo da non disturbare il dialogo: porta dei rami d'abe­te, appende le ghirlande, sparisce, ritorna. In questo momento sta appunto rullando.

Poliziotto    Il signor generale è arrivato.

Il Direttore si precipita a nascondere la bottiglia, si aggiusta la di­visa. Poco dopo entra, in divisa di aiutante, senza barba ma coi baffi polizieschi, l'ex-cospiratore ed ex-prigioniero. Si ferma sull'at­tenti accanto all'ingresso di faccia agli spettatori e di profilo alla porta da cui deve entrare il Generale. Anche il Direttore e il Poli­ziotto scattano sull'attenti. Il Sergente si alza di malavoglia. Entra il Generale, opportunamente impennacchiato e, naturalmente, coi baffi. Si avvicina al Sergente e gli si ferma davanti, osservandolo.

Generale    Dunque è questo...

Direttore    Sì,  è lui.                         

Generale  Ha l'aria di un capo. Avete scoperto il resto dei  suoi uomini?

Direttore  Non ancora, ma lo interroghiamo sistematicamente.

Generale  Una preda pericolosa. Gli avete trovato addosso del materiale esplosivo?

Direttore    Finora, no. Ma non perdiamo la speranza.

Generale (fischia prolungatamente) Dunque è ancora più pericoloso di quanto pensassi. È perfido. Un co­spiratore comune ne porta sempre addosso al­meno un paio di chili. Ho l'impressione che abbiamo messo le mani su qualcosa di grosso. Lei cosa ne dice, tenente?

Aiutante  Sì, signor generale. Se non gli è stato trovato niente addosso, significa che la cosa si annida in  profondità.

Generale  Permette, signor direttore, le presento il mio aiutante. È stato nominato da poco consigliere speciale nel settore cospiratori e attività sov­versive in genere. È un esperto e un conoscitore del  ramo.

Direttore    È impossibile, signor generale!

Generale    Le è successo qualcosa?

Direttore  Eccellenza, mi perdoni se oso... Generale, lei è vittima di un errore, o di un inganno, quest'uomo...

Generale    Parli, dunque!

Direttore   È stato proprio lui a gettare quella bomba contro di lei!

Generale   Chi?

Direttore    Il  suo attuale aiutante  e  mio ex-prigioniero...

Generale    La prego, la prego, continui.

Direttore Le assicuro che non mi sbaglio. Lo conosco benissimo. Per dieci anni si è seduto davanti a me, qui, su questa seggiola. È impossibile che Vostra Eccellenza abbia per aiutante un uomo simile!

Generale   Tenente, cos'ha da dire?

Aiutante  In effetti il signor direttore ha ragione. Sono il suo ex-prigioniero. Il fatto che mi abbia ri­conosciuto con la divisa e senza la barba fa onore al suo spirito d'osservazione, alle sue capacità professionali.

Direttore    Niente impertinenze!

Aiutante  Sono effettivamente l'ex-prigioniero del signor direttore, tuttavia il signor direttore sembra di­menticare che ho firmato l'atto di fedeltà e che sono stato rimesso in libertà. (al Direttore)  Sua Eccellenza ne è perfettamente al corrente.

Generale  Si calmi, direttore. È vero, ne sono perfetta­mente al corrente. Vede dunque da sé che ho le mie buone ragioni per presentarle il tenente come un esperto in materia di lotta contro l'attività sovversiva.

Direttore  Ma quella bomba... la bomba... È ancora nel mio cassetto.

Generale Mio caro direttore, tutti, prima o poi, dobbia­mo gettare una bomba contro un generale. È un'esigenza dell'organismo. Prima ci si passa, e meglio è. Quanto a me, ripongo nel mio nuovo aiutante la più completa fiducia, pro­prio perché c'è già passato. Quanti ce ne sono, che non hanno ancora soddisfatto questo loro bisogno naturale... Non si offende, se le chiedo se ha mai gettato una bomba contro un generale?

Direttore    Eccellenza!

Generale Lo vede? Neanch'io. Da questo punto di vista, la prego di scusarmi, ma ho più fiducia nel mio aiutante che in lei, o addirittura in me stesso. Le assicuro che, se volesse essere con­siderato un capo di polizia esemplare, nel suo piano di lavoro dovrebbero essere comprese an­che le misure necessarie affinché io non mi getti addosso una  bomba. Ci ha mai pensato?

Direttore    No, signor generale.

Generale  Lo vede? Ci pensi. La persona di un generale è proprietà del governo e dello Stato, e non dell'individuo che ricopre tale grado. Di conseguenza, qualunque tentativo in questo senso, sia pure da parte mia, dovrebbe venire quali­ficato come un attentato a un grado militare e quindi, indirettamente, allo Stato. E qualora un giorno lei dovesse arrestarmi per questo mo­tivo, il fatto che oggi io richiami su ciò la sua attenzione, ossia in un certo senso riferisca, ossia fino a un certo punto fornisca un'infor­mazione confidenziale al capo della polizia, possa allora costituire una circostanza attenuan­te a mio favore. Dico così, per ogni evenienza.

Il Direttore scatta sull'attenti.

Generale  Per ritornare alla persona del tenente, le dirò di più. È entrato in servizio da poco, è ve­nuto a noi da una posizione che ci era, a dir poco, radicalmente avversa, eppure ha già rag­giunto il grado di ufficiale. Non senza meriti, naturalmente. Non c'è che da congratularsi col suo zelo e la sua laboriosità. Noi della vecchia guardia, signor direttore, queste doti le aveva­mo come distribuite a rate dentro di noi, men­tre in lui l'amore per il governo come tale è esploso tutt'insieme limpido e puro, proprio perché compresso dai lunghi anni della sua precedente attività antigovernativa. Per quanto riguarda le sue mansioni attuali, suppongo che lei non dubiti che, nel campo della lotta con­tro tale attività,  abbia un'esperienza superiore a quella di chiunque altro.  Perciò, dimostrandogli dell'antipatia, ella non può che esporsi a un'accusa infondata, non voglio dubitarne, di invidia per la  sua fulminea carriera.

Direttore    Signor generale, le assicuro...                     

Generale  Va bene, va bene... L'ho portato appositamente con me, sapendo che ci attendeva una seduta faticosa con questo nemico del nostro (sull'at­tenti) Infante e di suo zio il Reggente. Le ga­rantisco che ne vedremo delle belle. Vogliamo incominciare?

Tutti prendono posto, sedendosi qua e  là per l'interrogatorio. Una certa animazione, come prima di uno spettacolo..

Generale    A  lei la parola,  tenente.       

Direttore    Mi permetto di  osservare...                

Generale  Ma come, ricomincia? Si vergogni, questa pre­venzione per i giovani finirà per sembrarci sospetta.

Aiutante  Temo che l'aspetti una delusione, Eccellenza, per non parlare poi del direttore di polizia. La faccenda è breve e chiara.

Direttore    Lei crede, giovanotto?

Generale  Sembra anche a me che lei stia esagerando. Sap­piamo che a causa dell'inaudita perfidia e astu­zia dell'accusato non possiamo disporre di alcu­na prova materiale contro di lui. La portata della sua attività clandestina ci è data soltanto dal suo grido all'indirizzo del nostro (si alzano) Reggente, zio del nostro Infante, grido che ha smascherato direttamente il criminale, causan­done l'arresto immediato. Giacché, se il crimi­nale gridava cose simili, chissà quanto terribile doveva essere quel che tacitamente diceva tra sé e sé. Ciononostante, non possediamo ancora del materiale che ci permetta di conoscere e penetrare le gesta del criminale. Ecco, non fosse che il fatto, già menzionato, che non gli è stato trovato addosso del materiale esplosivo. Su quali basi ritiene dunque che la faccenda sia breve e chiara?

Aiutante Infatti. In questo momento io non mi curo di far affiorare, per così dire, alla superficie gli atti ostili del criminale. Tuttavia sostengo in ma­niera categorica che essi si trovano in forma perfettamente sviluppata nella sfera della per­sonalità dell'accusato, e che anche se non sono stati ancora commessi, sono reali esattamente co­me se lo fossero stati, purché vogliamo ricono­scere che il tempo è uno solo, e che non si divide fondamentalmente in tempo passato e presente. Dal punto di vista dell'inchiesta si tratta di una verità assolutamente evidente e a carico.

Direttore    Signor generale, permette una parola?

Generale    Ma certamente, prego.

Direttore  Non voglio negare che abbiamo a che fare con un delinquente eccezionalmente pericoloso, e tutti coloro che affermano che la polizia non ha più nulla da fare meritano soltanto un sorriso di compatimento, se non l'arresto. Tuttavia, mi pare che non tanto l'affermazione in sé, quanto il metodo del collega tenente siano una manife-stazione di quella simpatica, sebbene impulsiva fiducia nelle proprie forze, tipica dei novellini.

Generale    Direttore, l'avevo pregata...

Aiutante  A quanto mi risulta, il criminale ha incomin­ciato la sua attività ostile dopo un lungo perio­do di lealtà, anzi, addirittura di collaborazione col governo.

Direttore    Infatti, mio giovane collega.

Aiutante  Abbiamo dunque a che fare con un individuo insolitamente pericoloso. In lui si è operato un processo analogo a quello che il signor gene­rale ha avuto la  bontà di tratteggiare un mo-

mento fa nei miei riguardi, solo che questo è un processo in direzione inversa. Quest'uomo, in età relativamente tarda, cosa che contribui­sce ad aggravare ulteriormente le circostanze, ha conosciuto per la prima volta le delizie che nascono dalla sensazione di essere perseguitato. Com'è noto, tale sensazione dà un'illusione del­la propria superiorità esattamente identica, per intensità, a quella data dalla sensazione di ti­morata lealtà, di accordo con le idee regnanti, sebbene nella fattispecie essa sia diametral­mente opposta, e perciò straordinariamente at­traente per i soggetti che non l'abbiano ancora provata.

Direttore  Non sono d'accordo. Quest'uomo è un ribut­tante esempio di criminale, ciò è evidente, tut­tavia non vedo in che cosa debba essere peg­giore di tanti altri che... tirano bombe contro i generali!

Generale    Ancora con questa bomba!

Costernazione, colpetti di tosse, il Direttore soffia tra i baffi.

Aiutante  Signor direttore, le assicuro che quest'uomo è capace di gettare senza batter ciglio una bomba contro tre generali.

Direttore (bruscamente al Sergente, col suo tono da supe­riore di una volta) Attenti! (il Sergente scatta istintivamente sull'attenti) Dite immediatamen­te se gettereste una bomba contro il signor generale in persona.

Generale  Coraggio, parlate pure francamente, non preoccupatevi di me.

Sergente  Quanto a questo, no, signor direttore. Certo, possono venirmi tante idee, non dico di no, ma­gari sulle ferrovie, sull'agricoltura e altre an­cora, ma tirare una bomba sul signor generale...

Direttore    (trionfante) Avete visto, signori?

Aiutante (al Sergente, con insistenza) Immaginatevi di andarvene a spasso di domenica pomeriggio, e di avere per l'appunto una bomba con voi. Ve la siete portata dietro così, senza saper bene perché. Tutt'intorno è pieno di gente, di belle donne, ed ecco che a un tratto vedete un generale.

Sergente    Uno vero?

Direttore   (aspramente) Vi richiamo all'ordine!

Aiutante  Naturalmente. Il generale vi viene dritto ad­dosso. Non devia d'un passo, sembra quasi che vi si offra. Le medaglie gli scintillano sul petto, gli stivali brillano. Voi sentite che finalmente gliela farete pagare una volta per tutte, e che un generale così bello non vi capiterà mai più.

Sergente    Carogna!

Direttore    Per l'ultima volta...

Aiutante    Bè? Bè?

Silenzio.

Sergente (sta lottando con se stesso. Infine, con un pro­fondo sospiro di rassegnazione) No, non posso.

(distensione generale)

Direttore    Credo che questo possa bastare, generale.

Generale  A dire la verità, comincio a chiedermi con stu-pore per quale motivo lei ostacoli l'inchiesta.

Direttore     Io ostacolo l'inchiesta? Io?

Generale  Così mi sembra. Le preme che non venga pro­vato  nulla a carico di quest'uomo?

Direttore    Io protesto...

Generale Ma se sta ostacolando in maniera evidente l'aiu­tante nel suo tentativo di smascherare defini­tivamente il criminale, di metterlo a nudo in tutta la sua ignominia!  L'avverto che mi sento in dovere di parlare di questo suo atteggiamen­to col Reggente, zio del nostro Infante. (si alzano)

Direttore  Desidero a mia volta dichiarare a Vostra Ec­cellenza che in qualità di capo della polizia possiedo i mezzi necessari per dimostrare a Vo­stra Eccellenza l'inopportunità di una simile iniziativa.

Generale    Lei mi minaccia?

Direttore  Non oserei mai, signor generale. Constato, sem­plicemente. Ad ogni modo me ne lavo le mani, e non mi riterrò responsabile dell'ulteriore svi­luppo degli avvenimenti.

Cenerate  Ma benissimo! Torniamo al nostro interrogatorio.

Aiutante  Posso chiedere che il prigioniero venga allon­tanato per un momento?

Generale    Ma certamente. Signor direttore...

Il Direttore suona. Entra il Poliziotto.

Direttore  Accompagnatelo nel corridoio. Lo riporterete dentro quando suonerò.

Il Poliziotto conduce fuori il Sergente.

Aiutante  Insisto nell'affermare che in sostanza l'accusato è colpevole di un attentato a mezzo di bomba nei confronti del signor generale. La difficoltà sta unicamente nel fatto che, essendo egli un individuo primitivo, ha troppa poca fantasia. Tuttavia ho un mio piano.

Generate    L'ascoltiamo con piacere.

Aiutante  Nella scrivania del signor direttore si trova la bomba che una volta lanciai contro il signor generale. La bomba è guasta, della qual cosa la prova migliore è l'odierna presenza del generale tra di noi. Ora, io propongo di far venire l'im­putato e di dargli la bomba.  Poi apriremo la porta, il signor generale andrà nel corridoio, e allora vi garantisco che, non appena si troverà la bomba tra le mani e il signor generale di fronte, gli istinti anarchici e libertari si risveglieranno in lui completamente. Trovandosi nell'impossibilità di resistervi ulteriormente, egli scaglierà la bomba. In tal modo otterremo una prova lampante e inconfutabile della sua vo­lontà di nuocere e del suo crimine, in condi­zioni quanto mai ravvicinate a quelle naturali.

Generale  Ma è una pazzia! Lei, che cosa ne dice, signor direttore?

Direttore  Ritengo che il suo aiutante, in qualità di eccel­lente conoscitore del problema e di promettente ufficiale malgrado il suo breve tirocinio, abbia ragione. Lei non dovrebbe scartare alla leggera questo esperimento, generale, ostacolando così l'inchiesta.

Aiutante  Torno a ripetere che la bomba è innocua. La spoletta non faceva contatto, perlomeno l'ultima volta.

Generale    Quindi, tenente, lei pensa che...

Aiutante  Io faccio il mio dovere, suggerendo il mezzo più efficace per smascherare l'attività sovversiva. Per il bene del servizio e in nome (si alza, si alza­no) dell'Infante e di suo zio il Reggente. (sie­dono)

Generale  Tuttavia lei mi sembra un po' troppo dotato, mio giovane amico.

Direttore Anch'io, come suo amico, le sconsiglio di tra­scurare l'inchiesta. In via confidenziale l'avverto che nei rapporti segreti che invio direttamente al (si alzano, si siedono) Reggente, zio del no­stro Infante, sarò costretto a descrivere particolareggiatamente la sua posizione e il suo at­teggiamento nei riguardi del servizio, e nella fattispecie la misura del suo zelo nello scoprire i nemici del nostro (si alza, si alzano, si siedono) Infante e di suo zio il Reggente.

Generale  (depresso) Mi faccia un po' vedere questa bom­ba. Ci devo riflettere.

Il Direttore si avvicina  alla scrivania, porta la bomba al Generale, che la porge all'Aiutante, il quale la restituisce al Direttore.

Aiutante    Sì, è la stessa.

Generale   Sicuro?

Aiutante    Sicurissimo.

Direttore   Dunque, signor  generale? Vuol rinunciare?

Generale   Ma cosa crede? Sbrighi questa faccenda con l'imputato.

Il Direttore suona. Il Poliziotto introduce il Sergente.

Direttore    Puoi andare.

Il Poliziotto esce.

Direttore   Dovete gettare questa bomba contro il signor generale.

Sergente    Così, di punto in bianco?

Direttore   Il signor generale si metterà nel corridoio, e voi starete qui.

Generale   Se rimandassimo a domani?

Direttore   Come preferisce, generale. Del resto, possiamo anche consultare il parere del governo su questa faccenda.

Generale   No, no. Bè, allora vado. (si chiude la porta alle spalle)

Il Direttore mette in posizione il Sergente, gli indica i gesti che deve compiere per il lancio, gli mette la bomba tra le mani. L'idiozia della situazione aumenta.

Aiutante    Generale, ancora una parola!

Generale    (socchiudendo la porta) Eh?

Aiutante   Lasci la porta aperta, altrimenti come fa a get­tarle la bomba addosso?

Generale   Ah, già, giusto. (apre la porta)

Aiutante   Dategli anche la mia maschera. Dovrebbe es­sere ancora nel cassetto. Bisogna che l'illusione sia perfetta.

Viene data la maschera al Sergente.

Direttore  (facendosi da parte)  Pronti. Prego, tenente, prego.

Aiutante  Bene. Dunque: ve ne state andando a spasso... Belle donne, ecco, qui dov'è il signor direttore, il sole splende, e lì (indicando il corridoio) c'è il generale. Le medaglie scintillano, gli stivali brillano, e ora voi pensate che finalmente glie­la farete pagare una volta per tutte, capite un generale...

Il Sergente lancia la bomba.

La luce si spegne per un secondo, un lampo, un boato, poi ancora un attimo di buio e torna la luce normale. Il Direttore e l'Aiutante stanno uno davanti all'altro, in silenzio per un momento.

Direttore  Se non erro, lei era affezionalo al generale. Co­me superiore era piuttosto indulgente nei suoi riguardi.

Aiutante  Proprio tutto il contrario che nei suoi. Il fatto di essere capo della polizia da qualche anno non prova nulla. Anche la pensione è una gran bella cosa.

Direttore  Sarei curioso di sapere che cosa avrebbe da dire se adesso io l'arrestassi. Deve ammettere che questa faccenda della bomba è perlomeno poco chiara.

Aiutante  Lo ammetto ben volentieri. Tanto poco chiara, che la parte che ella vi ha avuto risulta estre­mamente oscura. In tal caso avremmo un in­teressante esempio di arresto reciproco.

Direttore  Vedo che lei arriverà lontano, sebbene non tan­to lontano quanto spera, e non al mio posto, cioè alla carica di capo della polizia, ma in di­rezione totalmente opposta. La arresto. (estrae la sciabola e arresta l'Aiutante)

Aiutante  Benissimo. Temo tuttavia che con ciò lei abbia anche toccato il fondo delle sue risorse. Le fac­cio inoltre osservare che qualsiasi risibile tenta­tivo da parte sua di accusarmi d'aver causato lo scoppio della bomba, si rivolgerà automa­ticamente contro di lei.

Direttore    E in che modo, piccolo mio?

Aiutante  Semplicissimo, vecchietto mio. Lei mi accuserà di ostilità al governo e di attentato. Le chiede­ranno dove si trovava al momento in cui quel tenente firmava l'atto di fedeltà e usciva di prigione. Che direttore di polizia è mai, se un qualsiasi prigioniero riesce a dargliela a bere? Che protettore della sicurezza è mai, se non è riuscito a scoprire il suo gioco e l'ha lasciato andar via? Obiettando che mi ha rilasciato giu­stamente, giacché il mio pentimento era since­ro, lei sarà nel vero, perché infatti io ero e sono tuttora sincero nella mia lealtà, e devoto al governo fino allo spasimo. Ma con queste stesse parole lei annullerà l'accusa di attentato mossa contro di me, mettendosi nella ridicola posizione di un meschino intrigante. Ma tor­niamo a noi! Che ne direbbe, se adesso l'arre­stassi a mia volta?

Direttore  Non creda che la polizia sia al disopra dell'arresto. No. È l'arresto, che è al disopra di noi. Esso è al disopra di tutto. Sono un poli­ziotto di vecchia data. Quindi, la prego... Se è appena in grado di motivare...

Aiutante Certamente, che sono in grado. La questione sta così: tra i doveri elementari di un capo di polizia è compresa la protezione dei generali dagli attentati a mezzo di bombe. E lei, invece, che ha fatto? Ha consegnato con le sue stesse mani una bomba a un pericoloso cospiratore, gli ha mostrato lei stesso come doveva fare per gettarla. È spaventoso.

Direttore    È impazzito? Ma se è stata sua, la proposta!

Aiutante   ...che lei ha appoggiato con così sospetta sollecitudine.

Direttore  Ma in un certo senso sotto le sue pressioni, perché era lei, che lo voleva, era lei, che mi­rava a questo esperimento con la bomba!

Aiutante  Ma io non sono il capo della polizia. Torno a ripetere: qual è il dovere elementare di ogni capo di polizia? Anche un bambino le rispon­derebbe: proteggere i generali dagli attentati a mezzo di bombe.

Direttore  Ma quella bomba doveva essere guasta! L'ha detto lei stesso.

Aiutante  Io non c'entro. Lei non era obbligato a credermi.

Direttore  Ma se lei stesso, un momento fa, mi ha assicu­rato di aver detto la verità e di essere devoto al governo.

Aiutante Infatti è vero. Tuttavia lei, come direttore di polizia, dovrebbe sapere che ciò che è vero non deve per questo avere un significato speciale, e che può eventualmente averlo, oppure aver­ne uno opposto, oppure averne addirittura più d'uno, a seconda di determinate circostanze. Lo vede? Malgrado il suo lungo tirocinio, non sa ragionare che in maniera primitiva.

Direttore (rassegnato) E va bene, allora arrestiamoci a vicenda, fintantoché la situazione non venga chiarita.

L'Aiutante estrae la sciabola e arresta il Direttore.

Entra il Generate.

Direttore    Generale, lei è vivo?!

Aiutante  Le faccio notare che l'esclamazione testé sfug­gita al signor direttore è quanto mai aggra­vante per lui. Lo stupore espresso dalla frase: « Generale, lei è vivo » sta a provare che il signor direttore si aspettava, o addirittura con­tava su qualcos'altro.

Generale Tutto sommato, mi vedo costretto ad arrestarvi entrambi. Qui le possibilità sono due. O è stato un caso, oppure uno di voi tre ha stretto la spoletta. Dato che neanche noi siamo ancora in grado di arrestare un caso, non rimane che la seconda possibilità. Il prigioniero non lo conto, perché tanto è già arrestato. Dunque, ri­manete voi due.

Direttore Giusto. I trascorsi del signor tenente daranno certo parecchio da pensare al tribunale.

Aiutante I moventi del signor direttore costituiranno un caso classico nel suo genere, per coloro che dirigeranno l'inchiesta. Può anche darsi che qui entri in parte, per non parlare delle ac­cuse più gravi ed effettive, il desiderio di com­promettere l'aiutante del signor generale. Desi­derio comprensibile, provocato da cause di na­tura puramente personale, ma che non ha nien­te a che fare col servizio del nostro governo.

Direttore  Signor generale, sono spiacente di dichiararle che l'arresto, che l'arresto proprio in nome del governo.

Generale    Me? Per che cosa?

Direttore  Per aver esposto con leggerezza i gradi di ge­nerale a un attentato per mezzo di bomba. Lei è accusato di favoreggiamento dell'attività sov­versiva. È stato lei stesso a richiamare la mia attenzione su questo punto. Peraltro questa sa­rà una circostanza attenuante a suo favore.

Aiutante Resterebbe da stabilire se un poliziotto che ha già arrestato una persona con la quale si trova contemporaneamente in stato di comune arresto, e cioè il signor direttore e io, possa arre­stare una terza persona dalla quale e stato peraltro precedentemente arrestato insieme a quella prima persona alla quale lo lega il primo reciproco arresto.

Direttore  L'arrestato non ha il diritto di parlare!

Aiutante    Altrettanto, signor direttore.

Generale  Signori, mi pare che la polizia sia piena di lavoro!

Sergente (che finora se n'è rimasto dimessamente in di­sparte, lancia un urlo, alzando il braccio. Il ri­belle si è scatenato dentro di lui) Viva la libertà!!!

Sipario.