La princpessa d’Elide

Stampa questo copione

NOTA

Il teatro di Molière è qui presentato nella traduzione di Luigi Lunari, che per la BUR (Biblioteca Universale Rizzoli) ne sta traducendo l’opera omnia.

I testi sono qui pubblicati senza presentazioni o note: gli interessati possono comunque risalire – almeno per i titoli più noti – ai singoli volumetti pubblicati nella BUR, e per vari titoli minori al volume antologico  “Molière – Commedie”, sempre a cura di Luigi Lunari, nella collana “radiciBUR”.

Le traduzioni sono condotte su testi originali  in tutta fedeltà filologica;  ma di alcuni di essi esistono anche versioni e adattamenti – sempre ad opera del sottoscritto Luigi Lunari –  in occasione di particolari allestimenti, con interventi drammaturigici e aggiunte di canzoni (come ad esempio per Il Borghese Gentiluomo e per Le Furberie di Scapino). Queste rielaborazioni – ove interessino – si possono leggere chiedendone i testi a Luigi Lunari, tel. 039.883177 o via e-mail luigi.lunari@libero.it


M O L I E R E

.

LA PRINCIPESSA D'ELIDE

COMMEDIA GALANTE

MISTA DI MUSICA E DI NUMERI DI BALLETTO

Traduzione di Luigi Lunari

Copyright  Luigi Lunari Via Volturno 80  20047 Brugherio (MB)

Tel. +39.039.883177    e.mail   luigi.lunari@libero.it


.

PERSONAGGI

LA PRINCIPESSA D'ELIDE.

AGLANTE, cugina della Principessa.

CINZIA, cugina della Principessa.

FILLIDE, cameriera della Principessa.

IFITA, padre della Principessa.

EURIALO, principe di Itaca.

ARISTOMENE, principe di Messena.

TEOCLE, principe di Pilo.

ARBATE, precettore del principe di Itaca.

MORONE, intrattenitore della Principessa.

LICA, servitore di Ifita.

PERSONAGGI DEGLI INTERMEZZI

L'AURORA.

LICISCA, addetto ai cani.

Tre addetti ai cani.

Un satiro

TIRSI.

CLIMENE.


.

PRIMO INTERMEZZO

Scena I - CANTO DELL'AURORA

Quando l'amore ai vostri occhi offre amabili scelte,

Giovani bellezze, lasciatevi infiammare;

Sdegnate d'esibire quell'orgoglio indomabile

Di cui vi dicono che è bello essere armate.

Nell'età in cui si è amabili

Nulla è più bello che amare.

Sospirate liberamente per un fedele innamorato,

E sfidate coloro che vorrebbero biasimarvi.

Un cuore tenero è amabile, e la fama di crudele

Non è fama che possa essere apprezzata.

Nel tempo in cui si è belle

Nulla è più bello che amare.

Scena II - SERVI ADDETTI AI CANI E MUSICISTI

Olà! Olà! In piedi, in piedi, in piedi:

per la caccia in programma che tutto sia pronto.

Olà! Olà! In piedi, presto in piedi.

PRIMO

La luce invade anche gli angoli più scuri.

SECONDO

L'aria sui fiori si trasforma in perle.

TERZO

Gli usignoli danno inizio al loro canto.

E dovunque si odono i loro piccoli concerti.

TUTTI INSIEME

Sà, sù, in piedi, presto in piedi!

(Parlando a Licisca che sta dormendo)

Che è questo, Licisca? Come? tu russi ancora,

tu che tanto promettevi di precedere l'Aurora?

Andiamo, in piedi, presto in piedi:

tutto dobbiamo preparare per la caccia che è in programma.

In piedi, presto in piedi, sbrighiamoci, in piedi.

LICISCA (svegliandosi)

Accidenti! Siete dei bei fracassoni, voialtri, che urlate così a squarciagola di mattina presto!

MUSICI

Non vedi la luce che si spande dappertutto?

Sù, in piedi, Licisca, in piedi.

LICISCA

Eh, lasciatemi dormire ancora un po' ve ne supplico.

MUSICI

No, no, in piedi, Licisca, alzati.

LICISCA

Non vi chiedo più di un quaro d'ora.

MUSICI

No, no, in piedi, presto, in piedi.

LICISCA

Ehi, vi prego!

MUSICI

                In piedi.

LICISCA

Un momento.

MUSICI

                In piedi.

LICISCA

Di grazia!

MUSICI

                In piedi.

LICISCA

Eh!

MUSICI

                In piedi.

LICISCA

Io...

MUSICI

                In piedi.

LICISCA

L'avrei fatto subito.

MUSICI

No, no, in piedi, Licisca, in piedi:

tutto dobbiamo preparare per la caccia che è in progreamma.

Presto in piedi, sbrighiamoci, in piedi.

LICISCA

E va bene! Lasciatemi, mi alzo. Siete proprio dei bei tipi, a tormentarmi così. Per colpa vostra starò poco bene per tutta la giornata, perchè, vedete, il sonno è necessario all'uomo; e quando non si dorme abbastanza per recuperare, succede... che... si è...

((Licisca si riaddormenta.))

PRIMO

Licisca!

SECONDO

Licisca!

TERZO

Licisca!

TUTTI INSIEME

Licisca!

LICISCA

Al diavolo questi fracassoni! Vi riempisse la gola di pappa bollente!

MUSICI

In piedi, in piedi.

Subito in piedi, sbrighiamoci, in piedi!

LICISCA

Ah, che fatica, non riuscire a dormire quanto si vuole!

PRIMO

Olà, oh!

SECONDO

Olà, oh!

TERZO

Olà, oh!

TUTTI INSIEME

Oh! Oh! Oh! Oh! Oh!

LICISCA - Oh!, Oh! Oh! Oh!  La peste a tutti quelli che urlano come cani! Possa andare al diavolo se non vi accoppo. Ma guarda un po' che razza di gusto ci trovano, a venirmi a cantare in questo modo nelle orecchie. Io...

MUSICI

                In piedi.

LICISCA

E dàgliela!

MUSICI

                In piedi.

LICISCA

Il diavolo che vi porti!

MUSICI

                In piedi.

LICISCA (alzandosi)

Ancora? Ma si è mai vista una tale smania di cantare? Perdiana, io divento matto! Ma dato che ormai mi hanno svegliato, voglio svegliare gli altri, tormentandoli come hanno fatto con me. Sù, ehi! Signori, inpiedi, in piedi, presto, basta dormire. Farò un fracasso del diavolo dappertutto. In piedi, in piedi, in piedi!  Sù, in fretta! Oh! Oh! Oh!In piedi, in piedi! Tutto dobbiamo preparare per la caccia che è in programma; in piedi, in piedi! Licisca, in piedi! Oh! Oh! Oh! Oh! Oh!

 


 

.

ATTO PRIMO

Scena I - EURIALO, ARBATE

ARBATE - Questo silenzio sognante, la cui tetra consuetudine vi spinge sempre a ­cercare d'esser solo; questi lunghi sospiri che sfuggono al vostro cuore, e questi sguardi attoniti così gravidi di languore, sono senza­ dubbio molto eloquenti per gli uomini della mia età; e io credo, ­signore, di comprendere assai bene questo linguaggio; ma senza il­ vostro permesso, onde non correre troppi rischi, non oso essere tanto­ audace da spiegarlo.

EURIALO - Spiega pure, Arbate, spiega pure in tutta libertà questi sospiri, questi sguardi e questo triste silenzio.  io ti permetto senz'altro di­ dire che l'amore mi ha vincolato alle sue leggi, e che anch'esso mi­ cimenta; e consento anche a che tu imputi a mia vergogna le debolezze ­di un cuore che accetta di farsi domare.

ARBATE - E io dovrei biasimarvi, signore, per i teneri moti cui vedo oggi indulgere i vostri sentimenti?  Neppure la disgrazia di questa tarda­ età riesce a inasprire il mio animo contro i dolci trasporti della­ fiamma d'amore; ed anche se il mio destino volge ormai ai suoi ultimi­ giorni, dirò che l'amore si intona bene ai par vostri, e che il­ tributo reso ai tratti d'un bel viso è chiara testimonianza di ­bellezza d'animo, e che difficilmente un giovane principe può essere ­grande e generoso senza essere anche innamorato.  E' una qualità che ­io amo molto in un monarca; un cuor tenero è segno di grande nobiltà; ­e io ritengo che tutto si possa presumere da un principe quando si­ vede che il suo cuore è capace d'amare. Sì, questa passione, che tra ­tutte le passioni è la più bella, trascina dietro di sè cento altre ­virtù; essa spinge i cuori alle nobili azioni, e non vi è grande eroe­ che non ne abbia sentito gli ardori. La vostra infanzia, signore, si è ­sviluppata sotto i miei occhi, ed io ho visto fiorire la speranza­ delle vostre virtù; i miei sguardi osservavano in voi le qualità in­ cui ben riconoscevo il nobile sangue da cui eravate nato; mi­ apparivate di bella presenza, di gran tono, d’animo fiero; non­ passava giorno che non risplendessero il vostro coraggio, la vostra­ saggezza; ma un poco mi inquietava non vedere in voi ombra d’amore; ma ­poichè ora i languori di questa invincibile ferita dimostrano che­ anche il vostro animo è sensibile a quel fascino, io esulto, e il mio­ cuore colmo di letizia guarda ora a voi come a un principe perfetto.

EURIALO – Ahimè, mio caro Arbate! Se un tempo io ho sfidato la potenza dell’amore, ecco che ora egli se ne prende piena vendetta; e se tu­ sapessi in quali sofferenze il mio cuore sprofonda, tu stesso ti­ augureresti che non si fosse mai innamorato. E infatti, considera il­destino cui mi conducono gli astri: io amo, amo ardentemente la­ principessa d’Elide; e tu sai di quale orgoglio, sotto un aspetto sì ­affascinante, i suoi sentimenti si armano contro l’amore; e come essa­ non faccia che fuggire, in questa nobile festa, la folla degli innamorati che brigano per conquistarla. Ah, come è falso che colei­che siamo destinati ad amare ci affascini di diritto fin dal suo primo ­apparire!, e che basti uno sguardo ad accendere in noi le fiamme cui­ il  destina fin dalla culla le nostre anime!  Di ritorno da Argo,­ passo di qui, e il caso offre la Principessa ai miei occhi; mi­ accorgo, sì, di tutto il fascino che essa emana, ma con l’occhio con­ cui si guarda una bella statua; osservo a mio agio la splendente­ giovinezza di quei tratti, ma nessuno segreto desiderio nasce nel mio­ cuore, e faccio ritorno ai lidi d’Itaca dove rimango tranquillamente­ per due anni senza più sovvenirmi di colei. Una voce diffonde a un­ tratto alla mia corte la notizia del grande disprezzo che essa­ manifesta per l’amore; dovunque si parla dell’odio invincibile che la­ sua anima altera nutre per Imeneo; e di come, novella Diana, essa non­ faccia che percorrere le selve, un arco in pugno e una faretra a­ tracolla, e non ami che la caccia e lasci sospirare invano l’eroica­ gioventù della Grecia intera.  Pensa come son fatti i cuori; e la­fatalità! Quello che non avevano saputo fare la sua apparizione e la­ sua bellezza, lo fa la pubblica voce di questo suo rigore: nasce nel­ mio cuore un impulso sconosciuto, che non so dominare; questo suo­ disdegno tanto conclamato mi ha segretamente lusingato a ricordare­ tutte le sue fattezze; e il mio spirito, guardandola ora con nuovi ­occhi, me ne ricostruì un’immagine così nobile e così bella, e mi­ dipinse così ricco di gloria e di dolcezze il trionfo su quella fredda­ indifferenza, che il mio cuore, alle lusinghe di una tal conquista,­ perse tosto ogni orgoglio per la propria libertà: contro tale esca, esso ebbe un bell’indignarsi: la sua dolcezza si arrogò un tal dominio ­sui miei sensi che io, trascinato dall’impulso di un potere occulto,­ da Itaca ho immediatamente fatto vela per questi luoghi; e faccio velo ­al vero scopo dei miei ardenti voti, fingendo d’essere qui, in questi­ luoghi famosi, perché l’illustre Ifita, padre della Principessa, qui­ riunisce la maggior parte dei principi greci.

ARBATE – Ma a quale scopo, signore, prendete queste precauzioni? E perché ostinarvi in quest’aria di mistero? Voi, a quanto dite, amate la Principessa e siete qui per acquistare meriti ai suoi occhi; e nessuna­ premura, nè parole nè sospiri, devono ancora informarla dei vostri­ ardenti desideri? Quanto a me, questa politica che non permette al­ cuore di manifestarsi, mi è incomprensibile; e non capisco a quali­ frutti possa aspirare un amore che sfugge a tutte le occasioni di­ farsi avanti.

EURIALO – Ma che altro otterrei, Arbate, dichiarando le mie pene, se non attirarmi il disprezzo di quell’anima altera, e gettare anche me nel­ rango di quei principi devoti che la qualifica di innamorati le rende­ odiosi?  Tu vedi quanto sia inutile l’omaggio dei loro cuori, che le ­tributano i sovrani di Messena e di Pilo, e di quanto sia vano il­ pomposo clamore delle più alte virtù con cui essi confortano la loro ­rispettosa assiduità: vedere le loro cure respinte da un sì triste­ silenzio, vale a frenare tutta la violenza del mio amore; in questi­ nobili anch’io mi vedo condannato, e nel disprezzo con cui sono accolti leggo la mia sentenza.

ARBATE – Ma è proprio in questo disprezzo e in questo altero carattere che il­ vostro cuore deve vedere un più luminoso destino ai propri voti; ­poichè il destino vi propone la conquista di un cuore difeso soltanto­ da una giovanile freddezza, e che non contrappone all’ardore che vi­ sollecita l’invincibile tenerezza di un qualche altro legame.  Un­ cuore già occupato mostra una grande resistenza, ma quando un’anima è libera la si conquista facilmente; e in tutta la fierezza della sua­ indifferenza non vi è nulla di cui non possa trionfare un poco di­ pazienza. Cessate di nasconderle dunque il potere che su di voi­ esercitano i suoi occhi, manifestate clamorosamente il vostro amore, e lungi dal tremare per i precedenti altrui, animate le vostre speranze­ proprio vedendo i voti altrui respinti. Può essere che per commuovere­ quelle severe grazie voi abbiate doti nascoste che gli altri principi ­non hanno; e nel caso che il capriccio tirannico della sua alterigia­ non vi riservi un destino più propizio, vi sia almeno di conforto­ vedere che assieme a voi son disdegnati anche i vostri rivali.

EURIALO – Mi piace vederti insistere perchè il mio amore si dichiari: combattendo le mie ragioni, tu mi solletichi l’anima; con quel che ­t’ho detto volevo solo accertarmi della tua approvazione a quel che ho ­fatto, poiché insomma, visto che debbo confidarmi con te, bisognava­ pur spiegare alla Principessa il mio silenzio, e forse, mentre qui te­ ne parlo, o Arbate, il segreto del mio cuore è già svelato. Questa ­battuta di caccia, che come sai lei ha intrapreso al levar­ dell’aurora, per sfuggire alla folla dei suoi adoratori, è l’occasione ­che Morone ha scelto per dichiarare il mio amore...

ARBATE – Morone, signore?

EURIALO – Questa scelta ti stupisce un poco: tu lo conosci per il suo ruolo di ­buffone, ma sappi che lo è molto meno di quanto non voglia sembrare, e che malgrado il compito che svolge  egli ha più ­buon senso di tanti che ridono di lui. La Principessa si compiace­ delle sue buffonerie; egli sa rendersi amabile con le mille battute­ divertenti, e in queste occasioni può dire e osare cose per cui altri ­mai avrebbero l’ardire; mi sembra l’uomo giusto per l’impiego che­ intendo farne; per me, a quanto dice, nutre una perfetta devozione, e­ poiché è nato proprio nelle mie terre intende appoggiare il mio amore­ contro tutti i miei rivali. Qualche soldo che gli ho messo in mano per dar vigore al suo zelo...

Scena II – MORONE, ARBATE, EURIALO

MORONE (senza essere visto)  - Aiuto! Salvatemi da quella belva crudele!

EURIALO  - Mi sembra di udir la sua voce.

ORONE (senza essere visto) – A me, per favore, a me!

EURIALO – E’ proprio lui. Dove corre, in tanto spavento?

MORONE – Dove posso sfuggire a quello spaventoso cinghiale? Eterni  dèi,salvatemi voi da quelle zanne terribili. Vi prometto, sempre che non mi prenda, quattro libbre d’incenso e due vitelli tra i più grassi. Ah, sono morto!

EURIALO –Che hai?

MORONE  - Ho creduto foste voi quella belva, signore, le fauci pronte a sfigurarmi: e non riesco a riprendermi dalla paura.

EURIALO – Ma che c’è?

MORONE – Oh, che strano carattere è quello della Principessa, e a quante sciocche compiacenze bisogna piegarsi, a seguirla nella caccia e nelle sue stravaganze! Ma che razza di gusto ci trovano, tutti i cacciatori, ad esporsi così a mille e mille paure?  Passi ancora se si andasse acaccia di lepri, di conigli, e di giovani daini: son tutti animali di natura tranquilla, che quando ci vedono non fanno altro che scappare.Ma l’andare a prendersela con queste bestie feroci, che non hanno nessun riguardo per le facce degli uomini, e che danno la caccia aquelli che vogliono cacciarli, è un passatempo stupido, che io proprio non sopporto più.

EURIALO – Ma dicci insomma di che siu tratta.

MORONE (voltandosi) – Questo maledetto divertimento che s’è messa in testa la nostra Principessa!... Ma l’avrei giurato che ci faceva questo scherzo: con la corsa dei carri in programma quest’oggi, c’era proprio bisogno di andare a pensare a questa seccatura della caccia, per mostrar disprezzo per i suoi begli occhi, e far vedere che...  Ma zitti.Finiamo prima il racconto e riprendiamo il filo di quel che stavodicendo? Che cosa ho detto?

EURIALO – Stavi parlando di maledetto divertimento.

MORONE – Ah, sì! Schiacciato dunque da questo orribile lavoro (perchè mi e robardato da grande cacciatore, e mi ero tirato giù dal letto ai primi albori) io da bravo mi ero tirato da parte, mi ero trovato il posticino giusto per farmi un bel pisolino, stavo cercando la posa giusta e, ben sistemato, stavo già prendendo l’aire per russare a dovere, quando un rumore minaccioso m’ha fatto alzare gli occhi, ed ho visto da una macchia della foresta fitta e oscura uscire un cingliale di grandezza enorme. Il quale...

EURIALO – Che c’è?

MORONE – Niente. Non abbiate paura, ma lasciatemi per piacere mettermi qui in mezzo a voi due: chè potrò raccontarvi tutto più a mio agio.  Ho visto dunque questo cinghiale, il quale, inseguito dai nostri, aveva un’aria terribile con tutto il pelo dritto; gli occhi fiammeggianti erano tutta una minaccia, e il muso era atteggiato a una smorfia orrendo, le fauci aperte a mostrare tra la bava, a chi osava insidiarlo, di quelle zanne che... vi lascio immaginare!  A questa terribile vista io ho raccolto le mie armi; ma quella bestia feroce, senza impressionarsiper questo, veniva dritta contro di me, che non le avevo detto niente.

ARBATE – E tu l’hai atteso a piè fermo?

MORONE – Fossi matto. Ho mollato giù tutto e son corso via come il vento.

ARBATE – Fuggire davanti a un cinghiale, anziché abbatterlo! Questo, Marone, non è un gesto di coraggio...

MORONE – Lo ammetto: non è un gesto di coraggio ma è un atto di giudizio.

ARBATE – Pure, se non ci si conquista gloria eterna con qualche impresa...

MORONE – Servo vostro, io preferisco che di me si dica: “Qui, fuggendo senza farselo dir due volte, Morone salvò la propria vita dai furori d’un cinghiale”, piuttosto che “In questo luogo il prode Morone, con eroica audacia affrontando l’impetuoso assalto d’un cinghiale, sulle sue zanne vide compirsi il proprio fato.”

EURIALE – Molto bene...

MORONE  - Sì, con tutti i miei rispetti alla gloria, preferisco due giorni in questo mondo che mille anni nella storia.

EURIALE – In effetti, la tua scomparsa dispiacerebbe ai tuoi amici; ma ora che ti sei un poco ripreso dalla paura, posso chiederti se della passione che mi divora...

MORONE – Non è il caso, signore, che vi nasconda il vero: non ho ancora fatto niente, non ho ancora trovato il momento propizio per parlarle.

Il mestiere di buffone ha i suoi vantaggi; ma spesso le nostre libere inziative vengono scoraggiate. Il discorso sulla vostra passione è unpo’ delicato, e nel caso della Principessa è un affare di stato. Voi sapete qual’è la nomea di cui si vanta, e sapete che ha in testa una filosofia che dichiara guerra aperta al matrimonio, e che ti considera l’Amore come una divinità di nessun conto. Per non irritare quel suo carattere di tigre, devo manovrare le cose con molta abilità; perché con le persone importanti bisogna sempre stare attenti a come si parla, dato che a volte siete gente abbastanza difficile.  Lasciatemi fare questa manovra con calma. Io per voi mi sento pieno di uno zelo tutto fuoco: voi siete il mio principe naturale, e altri legami potrebbero contribuire al bene che vi voglio. Mia madre, ai suoi tempi, passava per una bella donna, e non era di natura troppo arcigna e severa: vostro padre buonanima, principe coraggioso, in materia di galanterie era un pericolo pubblico; e io so che Elpinore, che per il fatto d’esser marito di mia madre passava per mio padre, oggi racconta come un grande onore ai pastori che a quei tempi il Principe andavas pesso a casa sua, e che in quel periodo, al villaggio, tutti lo salutavano con rispetto. Basta, come che sia, io voglio darmi da fare affinchè...  Ma ecco qui la Principessa e due dei vostri rivali...

 Scena III – LA PRINCIPESSA e il suo seguito, ARISTOMENE,

 TEOCLE, EURIALO, ARBATE, MORONE

ARISTOMENE –E voi, signora, imputate ai nostri giusti allarmi il pericolo da cui insieme vi abbiamo salvata?  Quanto a me, io avrei pensato che l’abbattere con i nostri colpi quel cinghiale che stava portando contro di voi il proprio furore fosse una circostanza (al di là dellavostra caccia) di cui rendere grazie alle nostre buone stelle; ma di fronte alla vostra freddezza capisco che devo mutare atteggiamento, e  rimproverare la mia mala sorte al destino fatale che mi ha coinvolto in questa cosa che vi offende.

TEOCLE –Da parte mia, signora, io considero un’emerita fortuna il gesto che per voi ha travolto il mio cuore, e malgrado le vostre proteste non posso risolvermi a rinfacciare al destino una tale occasione. So che tutto dispiace in una persona non gradita; ma fosse il vostro corruccio ancor maggiore, rimane comunque un piacere infinito, quando infinito è l’amore, il poter salvare da un periglio la donna amata.

LA PRINCIPESSA – E voi credete, signore, dato che parlar mi tocca, che quello fosse un pericolo in grado d’impressionarmi; che l’arco e la freccia, così pieni di fascino per me, non siano nelle mie mani che delle inutili armi, e che io frequenti tanto assiduamente questi monti, queste pianure e questi boschi, senza osar concepire la speranza di potere da sola, nella caccia, badare alla mia difesa?  Certo, da tempo avrei pure approfittato di queste assidue premure che ora mi sembrano tanto inutili, se fosse accaduto che il mio braccio, in casi come questo, non riuscisse a trionfare di una bestia inferocita!  Per lo meno, segiudicate che la maggior parte delle donne non sia in grado di reggere a imprese simili, concedetemi l’onore di una più alta stima; e fatemi tutti e due, signori, la grazia di credere che quale che fosse il cinghiale di oggi, io ne ho vinti in passato di ben più maligni.

TEOCLE – Ma, signora....

LA PRINCIPESSA – Ebbene, sia. Vedo che avete una gran voglia di sentir dire che vi devo la vita: d’accordo. Sì, senza di voi, avrei posto fine ai miei giorni; vi ringrazio di tutto cuore per il grande aiuto; e vado subito dal Principe a dirgli quali bontà per me vi ispira il vostro amore.

 ((Escono la Principessa, Teocle e Aristomene.))

Scena IV – EURIALO, MORONE, ARBATE

MORONE – Uh! Chi ha mai visto un carattere più scontroso?  Le dispiace che, grazie a dio, quel brutto cinghiale sia stato ucciso! Oh, come avrei volentieri ricompensato, e generosamente, chi ne avsse liberato anche me!

ARBATE – Vedo, signore, che questo disdegno della Principessa vi preoccupa; ma in esso non vi è nulla che possa ostacolare i vostri piani. Verrà anche il suo momwento, e può darsi tocchi proprio a voi l’onore di renderla più sensibile.

MORONE – Bisogna che sappia del vostro amore prima della corsa, e che...

EURIALO – No, Morone, non è più questo ciò che voglio. Guardati bene dal farne parola, e lascia fare a me: ho deciso di prendere la strada opposta.Vedo fin troppo bene che il suo cuore si ostina nel disprezzo di tutti i profondi omaggi con cui si crede di conquistarla; e il dio che mi impegna a sospirar per lei, mi ispira ora una diversa astuzia. Sì, è lui che mi dà questa improvvisa ispirazione, e da lui ne attento il fortunato evento.

ARBATE – E si può sapere, signore, in qual modo sperate...

EURIALO – Lo vedrai tra poco. Andiamo, e non dir niente.


SECONDO INTERMEZZO

 

Scena I

MORONESaluti e baci. Quanto a me, io me ne resto qui, perchè devo fare una ­chiacchieratina con questi alberi e con queste rocce.

Boschi, fonti, fiori, che vedete il mio pallore,

se voi non lo sapete, vi dico io che sono innamorato.

Fillide è il bell’oggetto

che tiene avvinto il mio cuore;

di lei mi sono infatuato

vedendola mungere una vacca.

Le sue dita tutte bagnate di latte, e mille volte più bianche,

con quanta grazia premevano i capezzoli di quelle mammelle!

Uff, questo ricordo è proprio quel che ci vuole

per ridurmi alla disperazione.

Ah! Fillide! Fillide! Fillide!

Ah, ehm, ah, ah, ah, hi, hi, hi, oh, oh, oh.

Questa sì che è un’eco divertente! Hom, hom, hom, ha, ha, ha, ha, ha.

Uh, uh, uh. Questa sì che è un’eco divertente![1]

Scena II

UN ORSO, MORONE

MORONE -  Ah, signor orso, servo vostro di tutto cuore! Di grazia, risparmiatemi. Vi assicuro che come vivanda non valgo proprio niente,­ son tutto pelle e ossa, e vedo là in fondo un po’ di gente che­ farebbero molto meglio al caso vostro. Eh! Eh! Eh! Eccellenza, piano,­per piacere.  Là, là, là, là. Ah! Eccellenza, come è graziosa e ben­ fatta Vostra Altezza! Ella ha l’aria veramente galante, e la più graziosa figuretta del mondo. Ah, bel pelo, bella testa, begli occhi ­brillanti e ben tagliati! Ah, e che bel nasino! Che bella boccuccia!­Che bei dentini! Ah! Che bel collo! Che belle zampine! Che belle unghiette ben curate! Aiuto! Soccorso! Sono morto! Misericordia!­ Povero Morone! Ah, mio dio! Presto, a me, a me, che son perduto!

(Compaiono i cacciatori)

Ehi, signori, abbiate pietà di me! Bene! Signori, uccidetemi quella­ brutta bestia. O , degnati di assisterli! Bene! Eccolo che­ scappa! Eccolo che si ferma, e che si scaglia contro di loro. Bene!­ Ecco uno che gli tira un colpo sul muso. Eccoli tutti attorno a lui!­ Coraggio! Saldi, sù, amici miei! Bene! Dateci dentri! Ancora! Ah! ­Eccolo a terra; è fatta, è morto. E adesso scendiamo giù anche noi, a ­dargli un sacco di botte. Servo vostro, signori; mille grazie per­ avermi liberato da quella bestia. E adesso che l’avete accoppata, io­ voglio finirla e poi far festa con voi.

ATTO SECONDO

Scena I  - LA PRINCIPESSA, AGLANTE, CINZIA

LA PRINCIPESSA –  Sì. mi è gradito dimorare in luoghi tanto piacevoli; tutto ciò che vi si scopre incanta lo sguardo, e di tutti i nostri palazzi la sapiente struttura non regge il confronto con la semplice bellezza di ciò che  qui ha creato la natura.  Questi alberi, queste rocce, quest’acqua, questi pascoli hanno per me un tal fascino che mai vorrei lasciarli.

AGLANTE – Anch’io apprezzo come voi la serenità di un rifugio siffatto, ove sia possibile mettersi in salvo dal tumulto delle città.  Questi luoghi sono abbelliti da mille affascinanti oggetti; e ciò che non può non soprendere è che  il dolce istinto di fuggire la moltitudine trovi già alle porte di Elide un luogo solitario così bello ed ampio.  Ma, a dirvi il vero, in questi giorni così clamorosi, il vostro ritirarvi qui mi sembra intempestivo; e suona a disprezzo di tutti quei grandi preparativi che tanti principi hanno fatto per la pubblica festa. Lo spettacolo pomposo della corsa dei carri dovrebbe ben meritare l’onore di essere visto da voi.

LA PRINCIPESSA – Che diritto ha, ciascuno di loro, di volere la mia presenza? E, in fondo, che cosa devo io alla loro magnificenza?  Son tutte cure nate dal desiderio di conquistarmi, e il mio cuore è il premio al quale tutti concorrono. Ma quale che sia la speranza posta a lusignare  un simile progetto, molto m’ingannerei se uno di essi risultasse vincitore.

CINZIA –  Fino a quando il vostro cuore guarderà con tanta ostilità gli innocenti propositi di intenerirlo, e giudicherà come attentati alla vostra persona le cure che si prendono amor vostro?  So bene che a difendere la causa dell’amore si rischia con voi di cadere in disgrazia; ma poiché ho l’onore di essere del vostro stesso sangue, concedetemi d’esser contraria alla severità che ostentate, e di non incoraggiare con espressioni adulatrici la vostra risoluzione di non cedere mai all’amore.  Che cosa vi è di  più bello dell’innocente fiamma che si accende in un cuore all’apparire di un degno oggetto?  E quale felicità darebbe la vita su questa terra, se l’amore venisse bandito di tra i mortali?  No, no, è al seguito dell’amore che si gustano tutti i piaceri, e vivere senza amore è davvero un  non vivere.

AVVERTENZA – L’intenzione dell’autore era quella di procedere così nella commedia. Ma un ordine del Re che sollecitava questa impresa lo ha obbligato a completare il testo in prosa, e di trattare sbrigativamente varie scene che avrebbe svolto con maggior ampiezza ove ne avesse avuto l’agio.

AGLANTE – Per me, io ritengo che questa passione sia la cosa più piacevole della vita; che è indipensabile amare per vivere felicemente, e che non v’è piacere che non sia insipido senza il condimento di un po’ d’amore.

LA PRINCIPESSA – E voi potete tutte e due, essendo quel che voi siete, pronunciare parole siffatte?  E non dovreste invece arrossire, nel difendere una passione che è soltanto errore, debolezza, follia, e i cui eccessi appaiono tanto ripugnanti alla gloria del nostro sesso?   Voglio difendere l’onore del nostro esser donne fino all’ultimo giorno della mia vita, e mai mi arrenderò a questi uomini che ai nostri piedi fanno la parte degli schiavi per farsi un giorno nostri tiranni.  Tutte quelle lacrime, quei sospiri, quegli omaggi, quei salamelecchi, altro non sono che trappole tese al nostro cuore, per spingerlo ad una resa codarda. Quanto a me, allorchè vedo certi esempi, e le orripilanti bassezze nelle quali cadono tutti coloro sui quali questa passione estende il suo potere, sento il mio cuore che si ribella; e trovo intollerabile che un’anima che si vanti d’un poco di fierezza non senta come un’orribile vergogna il cedere a tante debolezze.

CINZIA – Eh!  Signora, esistono debolezze che non sono poi così vergognose, e alle quali è bello cedere anche ai più alti e gloriosi gradini.  Spero che un giorno anche voi muterete opinione; e che col favore del  si possa vedere tra poco anche il vostro cuore…

LA PRINCIPESSA –  Silenzio, non completate questo strano augurio. Troppo invincibile è il mio orrore per questo genere di umiliazioni: e se mai mi accadesse di abbassarmi a tanto, mai potrei perdonarmelo.

AGLANTE – State in guardia, Signora.  L’Amore sa vendicarsi di chi lo disprezza, e forse un giorno…

LA PRINCIPESSA –  No, no, io sfido tutti i suoi trucchi; e la grande potenza che tanti gli danno è solo una chimera, una scusa di chi possiede un cuore debole, che lo dichiarano invincibie per giustificare la propria debolezza.

CINZIA –  Ma insomma, tutto il mondo riconosce la forza dell’amore, e voi vedete che gli dèi stessi sono soggetti al suo imperio. Ci si dice che Giove stesso abbia amato ben più di una volta, e che anche Diana, di cui tanto vantate l’esempio, non si è vergognata a sospirare d’amore.

LA PRINCIPESSA – Le voci popolari sono sempre inficiate d’errore; gli dèi non sono fatti come se li rappresenta il volgo; e attribuire loro le debolezze degli esseri umani vuol dire solo mancargli di rispetto.



Scena II – MORONE, LA PRINCIPESSA, AGLANTE, CINZIA, FILLIDE

AGLANTE – Vieni, avvicinati, Morone, aiutaci a difendere l’Amore contro gli ostili sentimenti della Principessa.

LA PRINCIPESSA – Ecco il vostro partito farsi forza davvero di un grande difensore.

MORONE – In fede mia, signora, io credo che dopo il mio esempio non ci sia più niente da dire, e che non si possa più mettere in dubbio la forza dell’Amore. Per lungo tempo ho sfidato le sue armi, e ho fatto la mia parte come chiunque altro; ma è andata a finire che ho dovuto abbassare le arie, e lì accanto a voi c’è la traditrice[2] che mi ha reso più mite di un agnello.  Dopo di che, non serve farsi riguardo ad amare; e poiché ci sono passato io, non c’è motivo che non ci passino gli altri.

CINZIA – Che cosa?  Anche a Morone càpita di amare?

MORONE – Eccome!

CINZIA – E di voler essere amato?

MORONE – E perché no?   Non ho tutto quel che occorre per cose del genere? A me sembra che la mia faccia sia passabile, e che quanto a bella presenza, grazie a dio, non sono secondo a nessuno.

CINZIA – Senza dubbio, avrebbe torto chi…

Scena III-  LICA, LA PRINCIPESSA, AGLANTE, CINZIA, FILLIDE, MORONE

LICA –  Signora, il principe vostro è venuto a trovarvi, ed ha con sé i principi di Pila e dItaca, e quello di Missena.

LA PRINCIPESSA – O !  Che cosa si propone, portandomeli qui?  Ha forse deciso la mia rovina, obbligandomi a scegliere uno di loro?

Scena IV – IL PRINCIPE, EURIALO, ARISTOMENE, TEOCLE, LA PRINCIPESSA, AGLANTE, CINZIA, FILLIDE, MORONE

LA PRINCIPESSA –  Signore, vi chiedo licenza di anticipare con poche parole l’espressione dei pensieri che forse vi occupano.  Vi sono due verità, signore, sicure e costanti sia l’una che l’altra, e di cui posso farvi eguale certezza: l’una è che voi avete su di me un potere assoluto, e che nulla potreste ordinarmi cui io non rispoinderei subito con la più cieca obbedienza; l’altra è che io considero il matrimonio simile alla morte, e che mi è impossibile contrastare questa naturale avversione. Darmi un marito, e uccidermi è la stessa cosa; ma la vostra volontà viene prima di tutto, e l’obbedienza mi è più cara che la vita.  Detto questo, parlate, signore: dite pure liberamente tutto ciò che volete.

IL PRINCIPE – Figlia mia, sbagli ad allarmarti così, e mi dispiace che tu possa nutrire il pensiero che io sia un così cattivo padre da voler fare violenza ai tuoi sentimenti, e ricorrere come un tiranno al potere che il  mi ha dato su di te.  Io mi auguro, in verità, che il tuo cuore possa risolversi ad amare; tutti i miei voti sarebbero soddisfatti, ove questo si verificasse; e se ho voluto le feste e i giochi che stanno per celebrarsi è solo per attirare qui tutto ciò che la Grecia ha di più illustre, e che tra tanta nobile gioventù tu abbia ad incontrare colui sul quale tu possa arrestare i tuoi occhi e decidere i tuoi pensieri.  Io non chiedo al  altra gioia che quello di vederti accanto uno sposo. Ancora questa mattina, onde ottenere questa grazia, ho offerto un sacrificio a Venere; e se interpreto bene il linguaggio degli dèi, Venere mi ha promesso un miracolo.  Ma comunque sia, con te voglio comportarmi come un padre che vuol bere a sua figlia. Se troverai qualcuno su cui posare il tuo sguardo, la tua scelta sarà la mia, e io non terrò presente né la ragion di stato né i vantaggi di una qualsivoglia alleanza; se il tuo cuore rimarrà insensibile, mi guarderò bene dal fargli forza. Ma tu almeno sii gentile di fronte alle cortesie che ti verranno tributate, e non far sì che io debba scusarmi della tua freddezza.  Comportati con questi principi con il rispetto che è loro dovuto, accogli con  con animo grato le testimonianza del loro zelo, e non mancare di assistere a questa corsa in cui daranno prova della loro valentia.

TEOCLE – Tutti faranno del loro meglio per assicurarsi il premio di questa corsa. Ma per dire il vero, io non ardo troppo dal desiderio dei vincere, dal momento che non è il vostro cuore ad essere in gioco.

ARISTOMENE – Per me, signora, voi siete il solo premio al quale da sempre tendo; voi siete colei che voglio contendere in questa prova di valore, e la sola cosa per cui mi preme aver l’onore della vittoria è quella di ottenere un grado di vittoria che più mi avvicini al vostro cuore.

EURIALO - Quanto a me, signora, questi pensieri non mi appartengono per nulla.  Poiché in tutta la mia vita ho fatto professione di non piegarmi mai all’amore, tutte le mie cure non si dirigono affatto là dove mirano gli altri. Io non ho alcuna ambizione sul vostro cuore, e tutto ciò cui aspiro è il solo onore di vincere la corsa.

(La lasciano)

LA PRINCIPESSA – Donde viene questo fiero orgoglio così inaspettato?  Principesse, che dite voi di questo giovane principe?  Avete notato il tono con cui si è dichiarato?

AGLANTE – Un tono davvero un po’ troppo superbo.

MORONE – Ah, un bel colpo, questo che le ha tirato!

LA PRINCIPESSA – Non trovate che sarebbe bello umiliare un po’ tanto orgoglio, e addomesticare un cuore che fa tanto il gradasso?

CINZIA – Siete troppo abituata a ricevere espressioni adoranti da tutto il mondo, ed è evidente che un complimento siffatto vi sorprende.

LA PRINCIPESSA – Vi confesso che le sue parole mi hanno dato una certa emozione, e che vorrei proprio trovare il modo di castigare la sua alterigia. Non avevo nessuna voglia di andare ad assistere a questa corsa; ma ora ci voglio proprio andare, e fare di tutto per farlo innamorare.

CINZIA – Fate attenzione, signora: il vostro piano è pericoloso, e quando si vuole far cadere in trappola qualcuno, può succedere di rimanere intrappolati.

LA PRINCIPESSA – Ah, non abbiate paura, vi prego.  Suvvia, rispondo io di me stessa.

TERZO INTERMEZZO

Scena I – MORONE, FILLIDE

MORONE – Fillide, resta qui.

FILLIDE –  No, lasciami andare con gli altri.

MORONE – Ah, crudele!  Se fosse Tirsi a pregartene, resteresti qui eccome!

FILLIDE –  Potrebbe essere, perché è mio diritto trovarmi meglio con uno che non con un altro; e infatti lui mi diverte con la sua voce, tu mi stordisci con i tuoi strilli. Quando canterai bene come lui, ti prometto che ti darò retta.

MORONE – Ehi, fermati un momento.

FILLIDE – Non ci penso neanche.

MORONE – Per favore!

FILLIDE – T’ho detto di no.

MORONE – E io non ti lascio andare.

FILLIDE – Ah, e come fai?

MORONE – Ti chiedo solo di stare un attimo con te.

FILLIDE – E va bene:  Sì, rimango qui, a patto che tu mi prometta una cosa.

MORONE – E sarebbe?

FILLIDE – Di non dirmi niente di niente.

MORONE – Eh, Fillide!

FILLIDE – Altrimenti, me ne vado via subito.

MORONE – Vuoi che…?

FILLIDE – Lasciami andare.

MORONE – E va bene, sì. Non dirò neanche una parola.

FILLIDE – E sta bene attento, perché alla minima parola io taglio la corda.

MORONE (fa una scena di gesti) -  Va bene. Ah! Fillide!... Eh!...   E’ scappata, e io come faccio a prenderla?  Ecco quel che succede: se sapessi cantare, mi andrebbe molto meglio.  Quasi tutte le donne al giorno d’oggi si lascian prendere per le orecchie; è per colpa loro che tutti si occupano di musica, e per aver successo bisogna fargli ascoltare canzonette e poesiole.  Bisogna proprio che impari a cantare per fare come gli altri. Bene, ecco qui l’uomo che fa al caso mio.

Scena II – SATIRO, MORONE

SATIRO – La, la, la.

MORONE – Ah, Satiro, amico mio!  Ti ricordi quello che mi hai promesso tanto tempo fa: insegnami a cantare, ti prego.

SATIRO –  D’accordo.  Ma prima di tutto, sta a sentire una canzone che ho appena composto.

MORONE – E’ così abituato a cantare che non sa parlare in altro modo. Su, canta, ti ascolto.

SATIRO –  Portavo in una…

MORONE – Una canzone, hai detto?

SATIRO –  Portavo…

MORONE – Una canzone da cantare…

SATIRO – Portavo…

MORONE – Una canzone d’amore, accidenti!

SATIRO –         Portavo in una gabbia

                          due usignoli presi al laccio

                          quando la piccola Cloris

                          tra le ombre di un boshetto

                          fece brillare ai miei occhi sorpresi   

                          i fiori del suo bel viso

       Ahimè, ho detto ai due usignoli, ricevendo i colpi

       Di quei suoi occhi così abili nel fdare conquiste.

       Censolatevi  povere piccole bestie

       Colui che viu ha presi è ben più prigionbiero di v oi.

                                   Col vostro canfto vosì dolcer

                                   Cantate alla mia bella

                                   O uccelli, cantate tutti

                                   La mia pena mortale

                                   Ma se la crudele

                                   Si mette in corruccio

                                   Azl racconto fedele

                                   Dcel male che sento per lei

                                   Uccelli, allora tacete

                                   Uccelli allora tacete.

MORONE – Ah, com’è bella! Insegnala anche a me.
SATIRO – La, la, la, la.

MORONE – La, la, la, la.

SATIRO – Fa, fa, fa, fa.

MORONE – Fa tu!

ATTO TERZO

Scena I – LA PRINCIPESSA, AGLANTE, CINZIA, FILLIDE

CINZIA –   E’ pur vero, signora, che questo giovane principe ha dato prova di un’abilità non comune, e che il tono con il quale si è presentato è alquanto soprendente.  Dalla corsa è uscito vincitore. Ma ho forti dubbi che egli ne esca con l’identica disposizione d’animo con cui vi è entrato; perché in effetti gli avete indirizzato piccoli tratti dai quali è ben difficile difendersi; e, tralasciando ogni altra cosa, la grazia con cui oggi avete danzato e la dolcezza della vostra voce, hanno avuto un fascino in grado di smuovere anche i cuori più insensibili.

LA PRINCIPESSA – Eccolo che s’intrattiene con Morone. Cerchiamo di sapere di che cosa parla. Non disturbiamo il loro colloquio, ma avviamoci per questa strada in modo da incontrarli.

Scena II – EURIALO, MORONE, ARBATE

EURIALO – Ah, Morone, te lo confesso, sono rimasto incantato, poiché mai tanti tratti affascinando hanno colpito tutti insieme i miei occhi e le mie orecchie.  E’ una donna  adorabile sempre e dovunque, certo! Ma in questa occasione si è imposta su tutte le altre, e nuove grazie hanno raddoppiato lo splendore delle sua bellezze.  Mai il suo viso è apparso adorno di più vivi colori, né mai i suoi occhi si sono armati di tratti più vivi e penetranti.  La dolcezza della sua voce si è pienamente dispiegata nell’affascinante melodia che si è degnata di cantare, e le maravigliose note che le uscivano dalle labbra sono penetrate nel profondo dell’anima mia, imprigionando tutti i miei sensi in un’estasi dalla quale mi è tuttore impossibile liberarmi.  Poi ha esibito una grazia assolutamente divina, tracciando con quei piedini adorabili, sullo smalto di una tenera aiuola, affascinanti figure che mi rapivano fuori di me, vincolandomi con inestricabili nodi alle dolce ed esatte movenze con le quali tutto il suo corpo seguiva e moti dell’armonia.  Insomma, mai anima ha vissuto più potenti emozioni della mia; e venti volte almeno ho pensato di dimenticare i miei propositi, e di gettarmi ai suoi piedi per dichiararle in tutta sincerità l’ardore che io sento per lei.

MORONE – Guardatevene bene, signore, e date retta a me.  Voi avete adottato il migliore comportamento possibile, e molto mi ingannerei se questo non vi giovasse appieno.  Le donne  sono animali di bizzarra natura, noi le viziamo con le nostre dolci attenzioni; e io sono certo che senza la nostra sottomissione e l’aria adorante con cui le coccoliamo sarebbero loro a correrci dietro.

ARBATE – Signore, ecco lì la Principessa che si è un poco allontanata dal suo seguito.

MORONE – Restate comunque saldo sulla strada che avete preso.  Vado io a sentire quel che avrà da dirmi.  Voi intanto passeggiate qui lungo questi sentierini, senza dare a vedere di aver voglia di raggiungerla; e se vi capita di incrociarla, statevi con lei il meno possibile.

 

Scena III – LA PRINCIPESSA, MORONE

LA PRINCIPESSA – Tu, Morone, frequenti dunque il principe di Itaca?

MORONE – Ah, signora, è molto tempo che ci conosciamo.

LA PRINCIPESSA – E come mai non è venuto qui, ed anzi quando m’ha vista ha preso quall’altra strada?

MORONE – E’ un uomo curioso, che ama soprattutto starsene con i suoi pensieri.

LA PRINCIPESSA – C’eri anche tu quando mi ha rivolto quel complimento?

MORONE – Sì, signora, c’ero anch’io; e l’ho trovato un po’ impertinente, con i permesso di Vostra Altezza.

LA PRINCIPESSA – Ti confesso, Morone, che quella fuga mi ha contrariata; e avrei proprio voglia di catturarlo, e di umiliare un poco il suo orgoglio.

MORONE – In fede mia, signora, fareste proprio bene, e lui se lo meriterebbe proprio. Ma per dir la verità, dubito molto che vi possiate riuscire.

LA PRINCIPESSA – Perché?

MORONE – Perché?  Perché è l’uomo più orgoglioso e scontroso che mai si sia visto.  Secondo lui non vi è persona al mondo che meriti di averlo per sé, e la terra stessa non è degna di ospitarlo.

LA PRINCIPESSA – Ma insomma, non ha parlato di me?

MORONE – Lui? No!

LA PRINCIPESSA – Non ha detto niente della mia voce, della mia danza?

MORONE – Neanche una parola.

LA PRINCIPESSA – Certo si è che questo disprezzo è seccante;  non sopportare un’alterigia che non si piega ad apprezzare nulla.

MORONE – Egli non apprezza e non ama che se stesso.

LA PRINCIPESSA –  Di tutto ho fatto per sottometterlo come si merita.

MORONE – Nelle nostre montagne non vi è marmo o roccia che sia più duro e più insensibile di lui.

LA PRINCIPESSA –  Eccolo.

MORONE – Lo vedete come passa, senza minimamente badare a voi?

LA PRINCIPESSA – Per favore, Morone, fagli sapere che sono qui e digli di venire a a parlare con me.

Scena IV – LA PRINCIPESSA, EURIALO, MORONE, ARBATE

MORONE – Signore, vi comunico che tutto va bene. La Principessa desidera che voi la avviciniate. Ma state bene attento a non continuare nella parte che vi siete assunto; e per esserne sicuro di non dimenticarla, non state troppo tempo con lei.

LA PRINCIPESSA – Siete davvero un animo solitario, signore.  E il vostro è un carattere davvero straordinario, che vi porta a rinunciare così alle donne, e di fuggire, alla vostra età, quelle galanterie di cui si piccano tutti i vostri simili.

EURIALO – Un tal carattere, signora, non è poi così straordinario, poiché se ne trovano esempi anche senza allontanarci troppo da qui.  E voi non potete condannare il mio proposito di non amare alcuna donna, senza condannare anche il vostro stesso proposito.

LA PRINCIPESSA – Vi è una grande differenza, poiché ciò che si addice al nostro sesso può non convenire al vostro.  E’ bello che una donna sia insensibile e conservi il proprio cuore intatto alle fiamme dell’amore; ma ciò che in lei è una virtù, in un uomo diventaun delitto; e dato che la bellezza è retaggio del nostro sesso, voi non potete non amarci senza derubarci degli omaggi che ci sono dovuti, e senza macchiarvi di un’offesa che ci ferisce profondamente.

EURIALO – Io non vedo, signora, come possano coloro che non vogliono amare essere sensibili a questa sorta d’offese.

LA PRINCIPESSA – Non è un buon motivo, signore, poiché anche senza voler amare ci è sempre gradito essere amate.

EURIALO –  Per me, io la vedo diversamente: e nel proposito che mi sono assunto di non amare, mi seccherebbe essere amato.

LA PRINCIPESSA – E la ragione?

EURIALO – La ragione è nel fatto che nei riguardi di chi ci ama si hanno degli obblighi, e che mi seccherebbe essere ingrato.

LA PRINCIPESSA – Questo vuol dire che per fuggire l’ingratitudine dovreste amare colei che vi ama?

EURIALO – Io, signora?  Ma nient’affatto. E’ vero che mi dispiacerebbe essere un ingrato, ma mi rassegnerei comunque ad esserlo piuttosto che amare.

LA PRINCIPESSA – Vi potrebbe amare una persona, cui forse il vostro cuore…

EURIALO – No, signora, nulla può essere in grado di sfiorare il mio cuore. La mia libertà è la sola padrona a cui rivolgo i miei voti; e quand’anche il  ponesse tutte le sue cure nel comporre una perfetta bellezza, quand’anche raccogliesse in lei tutti i doni più meravigliosi e del corpo e dell’anima, e quand’anche infine sciorinasse davanti ai miei occhi un miracolo di intelligenza, di abilità e di bellezza, e questa persona mi amasse facendomi oggetto di ogni immaginabile tenerezza, ve lo confesso in tutta franchezza: io non saprei amarla.

LA PRINCIPESSA – Si è mai vista una cosa simile?

MORONE – La peste colga questo bruto!  Avrei proprio voglia di rifilargli un pugno.

LA PRINCIPESSA (tra sé) – Tanto orgoglio mi confonde, e  mi indispettisce al punto che non mi riconosco più.

MORONE (al Principe) – Forza e coraggio, signore!  Meglio di così non potrebbe andare.

EURIALO – Ah, Morone, non ne posso più! Ho fatto una fatica terribile.

LA PRINCIPESSA – Vuol dire essere veramente insensibili, per dire le cose che avete detto.

EURIALO – Il  non mi ha dato altro carattere che questo.  Ma signora, io disturbo la vostra passeggiata, e la mia buona educazione mi avverte che voi amate la solitudine.

Scena V – MORONE, LA PRINCIPESSA

MORONE – Non è certo da meno di voi, signora, quanto a durezza di cuore.

LA PRINCIPESSA – Darei volentieri tutto ciò che posseggo per la soddisfazione di trionfare su di lui.

MORONE – Lo credo.

LA PRINCIPESSA – E tu non potresti, Morone, aiutarmi in questo proposito?

MORONE – Sapete bene, signora, che io sono tutto al vostro servizio.

LA PRINCIPESSA – Parlagli di me, quando vi vedete; vantagli con abili parole la mia persona e i privilegi della mia nascita; e cerca di scuotere i suoi sentimenti con qualche dolce speranza. Ti permetto di dire tutto quel che vuoi, onde legarlo a me.

MORONE – Ci penso io.

LA PRINCIPESSA – E’ una cosa che mi sta molto a cuore. Desidero ardentemente che egli mi ami.

MORONE – E’ davvero ben fatto, sì, quel piccolo furfante. Bella presenza, un bel viso; credo che potrebbe essere ben degno di una principessa.

LA PRINCIPESSA –  E potrai pretendere da me tutto quello che vuoi, se trovi il modo di accendere per me il suo cuore.

MORONE – Non c’è nulla che io non possa fare. Ma, signora, di grazia: che cosa fareste voi se si risolvesse ad amarvi?

LA PRINCIPESSA – Ah, tutto il mio piacere sarebbe nel vedermi trionfare sulla sua vanità, punire il suo disprezzo con la mia freddezza, ed esercitare su di lui tutte le crudeltà che sarò in grado di immaginare.

MORONE – Non  cederà mai.

LA PRINCIPESSA – Ah, Morone, bisogna fare in modo che ceda.

MORONE – No, impossibile. Io lo conosco, i miei sforzi saranno inutili.

LA PRINCIPESSA –  In ogni caso bisogna tentare di tutto, e vedere se davvero la sua anima è così insensibile.  Andiamo, voglio parlare con lui, e dare attto a un’idea che mi è venuta in mente.

QUARTO INTERMEZZO

Scena I -  FILLIDE, TIRSI

FILLIDE – Vieni, Tirsi. Lasciamoli andare, e narrami un poco i tuoi tormenti come tu sai fare.  E’ da molto tempo che i tuoi occhi mi parlano, ma mi è più gradito sentire la tua voce.

TIRSI (cantando) –   Tu m’ascolti, ahimè, nel mio triste languore

                                 ma nulla a me giova, o bellezza senza pari;

                                      perché alle tue orecchie arrivo

                                      ma non raggiungo il tuo cuore.

FILLIDE –  Va, va, è già qualcosa arrivare alle orecchie, che al resto pensa il tempo.  Cantami invece un qualche nuovo lamento che hai composto per me.

Scena II – MORONE, FILLIDE, TIRSI

MORONE – Ah, ah!  Ti ho colta, crudele.  Tu ti allontani dagli altri per dare ascolto al mio rivale.

FILLIDE – Sì, mi sono allontanata per questo. Te lo ripeto ancora: sto bene con lui, perchè si ascoltano volentieri gli innamorati quando si lamentano in modo così piacevole come nel suo caso. Perché non impari a cantare come lui?  Ti ascolterei con lo stesso piacere.

MORONE – Se non so cantare, so fare altre cose; e quando…

FILLIDE – Taci; voglio sentire lui. Dimmi, Tirsi, tutto quel che vuoi.

MORONE – Ah, crudele!...

FILLIDE – Silenzio, ho detto, o mi farai andare in collera.

TIRSI -                       Alberi fitti, e voi, prati smaltati

                                   la bellezza di cui l’inverno vi ha spogliati,

                                   la primavera ora ve la rende;

                                   il vostro fascino, ecco, è qui di nuovo

                                   ma al mio cuore ahimè, nessuno rende

                                   la gioia che purtroppo più non provo.

MORONE –  Accidenti, che non ho anch’io una bella voce!  Ah, natura matrigna, perché non hai dato anche a me di come cantare?

FILLIDE – Davvero, Tirssi, non c’è niente di più gradevole, e tu sconfiggerai sempre tutti i tuoi rivali.

MORONE – Ma perché non so cantare anch’io? Non ho anch’io uno stomaco, una gola e non so parlare anch’io come tutti gli altri? Sì, sì, dài!”  Voglio cantare anch’io, e farti vedere che l’amore può tutto.  Ecco qui un a canzone che ho composto per te.

FILLIDE –  Sì, sentiamo: mi va di ascoltarti, visto che è un caso così raro.

MORONE – Coraggio, Morone!  Un po’ di audacia è quel che ci vuole.

       (Canta)

                          Il tuo estremo rigore

                          s’abbatte sul mio cuore

                          Ah, Fillide, ascolta i lagni

                          di Morone che si muore;

                          che cosa ci guadagni

                          a uccidere il mio cuore?

Evviva Morone!

FILLIDE – Niente di meglio al mondo! Però, Morone, mi piacerebbe davvero aver l’onore di qualcuno che muore d’amore per me. E’ una soddisfazione che non mi è ancora capitata; e io credo che saprei amare con tutto il cuore un uomo che tanto mi amasse da togliersi la vita.

MORONE – Tu ameresti un uomo che si uccidesse per te!

FILLIDE – Sì.

MORONE – E questo basterebbe a conquistarti?

FILLIDE – No.

MORONE – E’ cosa fatta.  Vorglio farti vedere che posso uccidermi quando voglio.

TIRSI (canta) –          Ah, qual dolcezza estrema

                          morir per ciò che s’ama!   (Bis)

MORONE – E’ un piacere che potrai avere quando vorrai.

TIRSI (canta) –   Coraggio, Morone, muori prontamente

                           da generoso amante!

MORONE – Vorrei pregarti di non occuparti dei tuoi affari, e di lasciarmi morire come pare e piace a me. Sù, sarò d’esempio a tutti gli amanti. Te’, non sono il tipo da fare tante scene. Guarda qui questo pugnale. E sta bene attento a come me lo pianto nel cuore.  (Facendosi beffe di Tirsi)  Servo tuo umilissimo: neanche fossi matto.

FILLIDE – Orsù, Tirsi. Vieni a farmi risentire l’eco della tua canzone.

ATTO QUARTO

Scena I – EURIALO, LA PRINCIPESSA, MORONE

LA PRINCIPESSA –  Principe, poiché fino a questo momento abbiamo dimostrato una grande conformità di sentimenti, e poiché il Cielo sembra aver messo in noi la stessa passione per la libertà un’identica avversione per l’amore, sono ben contenta di aprirvi il mio cuore, e di confidarvi un mutamento che certo vi sorprenderà.  Ho sempre considerato il matrimonio come una cosa orribile, e aveva giurato di rinunciare alla vita piuttosto che piegarmi a perdere quella libertà che amavo così teneramente. Ma a un tratto qualcosa ha dissolto tutte queste mie convinzioni.  E i miei occhi sono stati oggi folgorati dai grandi meriti di un principe; e improvvisamente la mia anima, come per miracolo, si è fatta sensibile ai tratti di questa passione che ho sempre disprezzato.  Prima d’ogni cosa ho ravvisato alcune buone ragioni a favore di questo mutamento, che posso sostenere con la volontà di andare incontro così alle ardenti collecitazioni di un padre e ai desideri di tutto un regno; ma, per dire il vero, mi preoccupa il giudizio che potreste formulare sul mio conto, e vorrei sapere se condannate o meno questa mia idea di darmi finalmente uno sposo.

EURIALO –  Una decisione, signora, che io non potrei che approvare.

LA PRINCIPESSA – Su chi pensate che, secondo voi, cadrebbe la mia scelta?

EURIALO – Potrei dirvelo se fossi nel vostro cuore; ma poichè non vi sono, mi guardo bene dal rispondere.

LA PRINCIPESSA – Provate ad indovinare, facendo qualche nome

EURIALO –  Avrei troppa paura di sbagliare.

LA PRINCIPESSA – Ma insomma, per chi vi augurereste che io mi dichiarassi?

EURIALO –  A dire il vero, so bene chi mi augurerei che fosse; ma, prima di parlare, devo conoscere il vostro pensiero.

LA PRINCIPESSA – Ebbene, principe, voglio svelarvi ogni cosa. Sono sicura che voi approverete la mia scelta; e per non tenervi più a lungo nell’incertezza, si dico subito che è il principe di Messene colui che con i suoi meriti si è attirato i miei voti.

EURIALO – O Cielo!

LA PRINCIPESSA – La mia idea ha funzionato, Morone: guarda come si turba!

MORONE(alla Principessa)  – Bene, signora.  (Al Principe) Coraggio, signore. (AllaPrincipessa)  E’ fatta. (Al Principe) State calmo.

LA PRINCIPESSA –  Non pensate che io faccia bene, e che questo principe ha tutte le qualità che si possano desiderare?

MORONE  (al Principe) – Riprendetevi e badate a rispondere.

LA PRINCIPESSA – Come mai non dite parole, Principe, e sembrate così sorpreso?

EURIALO – Lo sono, in effetti. E mi riempie di stupore, signora, come il Cielo abbia potuto formare due anime così simili in tutto come le nostre, in  cui sia visibile questa grande conformità di sentimenti, ma che tutto ad un tratto, contemporaneamente, diano libero corso ad un’identica decisione di sfidare gli strali dell’Amore, e nello stesso istante appaiano volere con la stessa facilità rinunciare alla fama di insensibili.  Perché infatti, signora, dato che il vostro esempio me ne autorizza, non esiterò a dirvi che l’amore oggi si è reso padrone del mio cuore, e che una delle principesse vostre cugine, l’amabile e bella Aglante,  ha dissolto in un batter d’occhio tutti i progetti della mia orgogliosa fierezza.   Sono più che lieto, signora, che grazie a questa coincidenza di sconfitte, noi non si abbia nulla da rimproverare l’uno all’altra, e non ho il minimo dubbio che così come io lodo infinitamente la vostra scelta, voi approverete la mia.  Bisogna che questo miracolo sia reso manifesto agli occhi di tutto il mondo, e che non si debba ritardare d’un istante la felicità mia e la vostra.  Per quel che mi riguarda, signora, vorrei sollecitare i vostri suffragi onde ottenere colei che desidero, mentre io corro subito a presentare la mia domanda al principe vostro padre.

MORONE – Ah, bravo!  Ah, bravissimo!

Scena II –  LA PRINCIPESSA, MORONE

LA PRINCIPESSA – Ah, Morone, non ne posso più!   Quest’ultima botta, che proprio non m’aspettavo, sbaraglia definitivamente tutto il mio piano.

uest

MORONE – E’ pero che la botta è sorprendente, tanto più che in un primo tempo avevo pensato che il vostro stratagemma avesse colpito nel segno

LA PRINCIPESSA –  Ah, è una rabbia che mi porta alla disperazione, che un’altra abbia la soddisfazione di conquistare il cuore che volevo conquistare io.

Scena III – LA PRINCIPESSA, AGLANTE, MORONE

LA PRINCIPESSA –  Principessa, devo pregarvi di una cosa che bisogna assolutamente che voi mi accordiate. Il principe di Itaca vi ama e vuole domandare la vostra mano al principe mio padre.

AGLANTE – Il principe di Itaca, signora?

LA PRINCIPESSA – Sì.  Me ne ha dato assicurazione or ora, e ha chiesto i miei buoni uffici presso di voi; ma io voglio pregarvi di rifiutare questa proposta e di non prestare orecchio a tutto ciò che egli potrà dirvi.

AGLANTE – Ma, signora, ove fosse vero che questo principe mi ama, perché, non avendo voi alcun desiderio di impegnarvi, non dovreste tollerare che…

LA PRINCIPESSA – No, Aglante.  Vi chiedo di farmi questo piacere: di voler permettere, che non avendo avuto io la soddisfazione di sottometterlo, lo spogli della gioia di conquistare voi.

AGLANTE – Signora, è giocoforza obbedirvi; ma vorrei dire che la conquista di un cuore siffatto non sarebbe una vittoria da disdegnare.

LA PRINCIPESSA – No, no, non avrà il piacere di sfidarmi fino a tanto.

Scena IV – ARSTOMENE, MORONE, LA PRINCIPESSA, AGLANTE

ARISTOMENE – Signora, sono qui ai vostri piedi, per ringraziare l’Amore della felice sorte che mi è toccata, e per testimoniarvi, con tutto il mio ardore, i sentimenti che provo per la straordinaria bontà con cui vi degnate di favorire il più sottomesso dei vostri prigionieri.

LA PRINCIPESSA – Come?

ARISTOMENE – Il principe di Itaca, signora, mi ha testè assicurato che il vostro cuore ha avuto la bontà di dichiararsi a mio favore, in merito alla celebrata scelta che tutta la Grecia attende.

LA PRINCIPESSA – Vi ha detto di aver appreso questo dalla mia voce?

ARISTOMENE – Sì, signore.

LA PRINCIPESSA – E’ uno sciocco; e voi siete un po’ troppo credulone, principe, a prestar fede così in fretta a quel che vi ha detto. Una simile notizia meriterebbe piuttosto, pare a me, che sulle prime se ne dubitasse; diversa cosa sarebbe il crederci se l’aveste intesa da me in persona.

ARISTOMENE – Signora, se troppo pòresto mi sono illuso…

LA PRINCIPESSA – Di grazia, Principe, tronchiamo questi discorsi; e se volete compiacermi, concedete ch’io possa godere di qualche istante di solitudine.

Scena V – LA PRINCIPESSA, AGLANTE, MORONE

LA PRINCIPESSA – Ah, con quale strano rigore il Cielo mi coinvolge in questa vicenda.  Voi almeno, Principessa, ricordate la preghiera che vi ho fatto.

AGLANTE – Ve l’ho già detto, signora, non posso che obbedrivi.

MORONE – Ma, signora, se egli vi amasse, voi non  lo vorreste, e tuttavia non volete che sia di un’altra.  Vuol dire fare proprio come il cane del giardiniere.[3]    

LA PRINCIPESSA – No, non posso sopportare che egli sia felice con un’altra; e se così dovesse essere, credo che ne morrei dal dispiacere.

MORONE – Davvero, signora, qui bisogna guardarsi in faccia: voi vorreste che il giovane principe fosse vostro, e in tutto quel che dite e fate si vede chiaramente che ne siete un poco innamorata.

LA PRINCIPESSA – Io? Oh Cielo, io innamorata? E voi avete l’insolenza di venirmi a dire queste cose? Via dal mio sguardo, impudente, e non presentatevi mai più davanti a me.

MORONE – Signora…

LA PRINCIPESSA –  Via di qui, vi ho detto, altrimenti vi farò allontanare in altro modo.

MORONE – In fede mia, il suo cuore ha avuto quel che si merita, e…

(I suoi occhi incontrano uno sguardo della Principessa, che lo convince a ritirarsi.)

Scena VI – LA PRINCIPESSA.

Da quale sconosciuta emozione sento sorpreso il mio cuore; e quale segreta inquietudine è venuta ad un tratto a turbare la tranquillità della mia anima?  Possibile che sia vero quello che ho inteso, e che senza rendermene conto io ami davvero quel giovane principe?   Ah, se così fosse, ne sarei disperata; ma è impossibile che sia così, poiché sono certa di non poterlo amare!  Come?  Io sarei capace di una simile debolezza!  Io che sono rimasta perfettamente insensibile anche vedendo  tutto il mondo ai miei piedi; nè omaggi, né complimenti, né suppliche soino mai riusciti a scalfire il mio cuore, e sempre  si è visto trionfare il mio orgoglioso disdegno.  Ho disprezzato tutti coloro che mi hanno amata, e mi sarei innamorata dell’unico che mi disprezza?  No, no, so benissimo che non lo amo.  Ma se non è amore quello che sento, che cos’altro potrebbe essere?  E donde viene questo veleno che mi scorre in tutte le vene, e non mi lascia in pace con me stessa?   Esci dal mio cuore, chiunque tu sia, nemico che ti nascondi.  Aggrediscimi a viso aperto, assumi ai miei occhi il sembiante della più paurosa belva delle nostre foreste, affinchè con i miei dardi e le mie frecce io possa liberarmi di te.  E voi, deliziose creature che sapete l’arte di addolcire con la dolcezza del vostro canto le peggiori inquietudini, venite qui, di grazia, e cercate di dissipare con la vostra musica il tormento in cui mi trovo.

QUINTO INTERMEZZO

CLIMENE, FILLIDE

CLIMENE – Fillide cara, dimmi: che cosa pensi dell’amore?

FILLIDE – E tu, mia fedele compagna, che cosa ne pensi?

CLIMENE – Mi hanno detto che sia peggio di un avvoltoio

                      poiché  chi ama soffre pene crudeli.             

FILLIDE –    A me han detto che non vi è passione più bella,

                     e che fare a meno dell’amore è rinunciare alla vita.         

CLIMENE –  E a quale delle due tesi assegneremo la vittoria?

FILLIDE –     A cosa dobbiamo credere?  Al male o al bene?

CLIMENE e FILLIDE (insieme) – Cediamo all’amore anche noi

                          così sapremo a chi dover credere.

FILLIDE –  Cloris non fa che lodare l’amore e i suoi ardori.

CLIMENE – Amarante per amore non fa che spargere lagrime.

FILLIDE –    Se amore aggrava i cuori di tanti tormenti

                     come mai piace tanto arrendersi a lui?

CLIMENE –  Se i suoi ardori hganno tanto fascino

                      perché impedirci di gustarne la dolcezza?

FILLIDE –     A cosa dobbiamo credere? Al male o al bene?

TUTTE E DUE INSIEME –

                          Cediamo all’amore anche noi

                          Così sapremo a chi dover credere?

LA PRINCIPESSA (a questo punto le interrompe, e dice loro:) – Andate avanti da sole, se volete.  Io non riesco a stare tranquilla; e per quanto dolci siano i vostri canti,  essi non fanno altro che raddoppiare la mia inquietudine.

ATTO QUINTO

Scena I – IL PRINCIPE, EURIALO, MORONE, AGLANTE, CINZIA

MORONE – Sì, signore, non è uno scherzo: sono, come si suol dire, caduto in disgrazia; ho dovuto tagliare la corda di corsa, e voi mai avete visto un’arrabbiatura più brusca che la sua.

IL PRINCIPE – Ah, Principe, quanto sarei grato a questo stratagemma amoroso, se davvero fosse riuscito nell’arcano di toccare il suo cuore!

EURIALO – Qualsiasi cosa vi sia stata riferita in proposito, signore, io da parte mia non oso ancora lusingarmi con questa dolce speranza; ma infine, ove non appaia troppo temerario nell’osare aspirare all’onore di imparentarmi con voi, se la mia persona e i miei domini…

IL PRINCIPE – Principe, non dilunghiamoci in tanti complimenti.  In voi io trovo di che soddisfare ogni aspirazione paterna; e se riuscite a conquistare il cuore di mia figlia, di altro non avete bisogno.

Scena II – LA PRINCIPESSSA, IL PRINCIPE, EURIALO, AGLANTE, CINZIA, MORONE

LA PRINCIPESSA –  O Cielo, chi vedo qui?

IL PRINCIPE – Sì, l’onore di un legame con voi mi è di grandissimo premio, e io sono ben lieto di sottoscrivere con tutti i miei voti la richiesta che mi fate.

LA PRINCIPESSA – Signore, mi getto ai vostri piedi per chiedervi una grazia. Avete dimostrato per me una tenerezza infinita, e io sono certa di dovervi molto di più per la bontà di cui m’avete fatta oggetto che non per la vita stessa che mi avete dato. Ma se mai per me avete avuto affetto e solidarietà, ve ne domando oggi la più evidente prova che mai possiate accordarmi: di non ascoltare, signore, la richiesta di questo principe, e di non permettere che la principessa Aglante si unisca a lui.

IL PRINCIPE – E per quale ragione, figlia mia, vorresti opporti a questa unione?

LA PRINCIPESSA – La ragione è nel fatto che odio questo principe, e che voglio, se possibile, ostacolare tutti i suoi progetti.

IL PRINCIPE – Tu lo odii, figlia mia?

LA PRINCIPESSA – Sì, e con tutto il cuore, ve lo confesso.

IL PRINCIPE – Ma che cosa ti ha fatto?

LA PRINCIPESSA – Mi ha disprezzata.

IL PRINCIPE – E in che modo?

LA PRINCIPESSA – Non mi ha giudicata abbastanza bella per indirizzare a me i suoi voti.

IL PRINCIPE – E come ti può essere d’offesa questo?  Tu hai sempre respinto tutti.

LA PRINCIPESSA –  Non importa. Doveva innanorarsi anche lui, come tutti gli altri, e lasciarmi se non altro la soddisfazione di respingerlo. La sua dichiarazione è per me un affronto; ed è per me una vergogna grande che sotto i miei occhi, nel bel mezzo della vostra corte, egli si dichiari per altra donn a che per me.

IL PRINCIPE – Ma che cosa ti interessa in lui?

LA PRINCIPESSA – Mi interessa, signore, vendicarmi della sua indifferenza; e poiché so bene che egli ama ardentemente Aglante, voglio impedire, col vostro permesso, che egli sia felice con lei.

IL PRINCIPE – La cosa dunque ti sta molto a cuore?

LA PRINCIPESSA – Sì, signore, certamente; e se non otterrò quel che chiedo, mi vedrete senza dubbio morire ai vostri piedi.

IL PRINCIPE – Sù, su, figlia mia, confessa finalmente che il merito di questo principe ti ha fatto aprire gli occhi, e che qualsiasi cosa tu possa dire, la verità è che ti sei innamorata di lui.

LA PRINCIPESSA – Io, signore?

IL PRINCIPE – Sì, tu lo ami.

LA PRINCIPESSA – Io lo amo, voi dite? E voi mi attribuite una simile debolezza? O Cielo, questa è dunque la mia disgrazia!  Posso io, senza morirne, ascoltare queste parole? E dovrò dunque giungere a tal punto di infelicità da sentirmi sospettata di amarlo?  Ah, chiunque altro, signore, m’avesse tenuto un tal discorso, non so che cosa farei!

IL PRINCIPE –  E va bene, sì, tu non lo ami, anzi: lo odii, d’accordo!  E per accontentarti gli proibisco di sposare la principessa Aglante.

LA PRINCIPESSA – Ah, signore, voi mi ridonate la vita!

IL PRINCIPE – Ma onde impedire che egli possa mai diventare suo sposo, è necessario che lo sposi tu.

LA PRINCIPESSA – Voi vi burlate di me, signore: perché non è questo che egli chiede.

EURIALO – Perdonatemi, signora, la mia temerarietà è sufficiente per questo, e chiamo il principe vostro padre a testimone del fatto che solo voi io ho chiesto in sposa. Non posso tenervi più a lungo in questo inganno; devo ora togliermi la maschera, ed anche a costo che voi possiate servirvene contro di me, svelare ai vostri occhi i veri sentimenti del mio cuore.  Io non ho mai amato che voi, e mai amerò altra che voi.  Voi, signora, avete dissolto quella insensibilità di cui sempre mi ero vantato; e tutto ciò che posso avervi detto altro non è stato che un trucco, che un istinto segreto mi ha ispirato, e che sono riuscito a mettere in pratica solo con inimmaginabile violenza su me stesso.  Ma certo il trucco doveva pur svelarsi ben presto, e solo mi meraviglia che esso si sia protratto per la metà di un giorno; perché in verità io morivo, bruciavo nel profondo del cuore mentre vi mascheravo i miei sentimenti, e mai si è  visto un cuore soffrire di una costrizione siile alla mia.  Se questo trucco, signora, ha in sé qualcosa che vi offende, io sono pronto a morire per vendicarvene; non dovete che dirmelo, e la mia mano si glorierà di eseguire immediatamente la sentenza che voi pronucerete.

LA PRINCIPESSA – No, no, Principe, non vi serbo alcun rancore per il vostro inganno; ma tutto quello che ora mi avete detto, preferisco pensarlo ancora un trucco, che non la verità.

IL PRINCIPE – Va bene, figlia mia, ma insomma: vuoi prendere questo principe per sposo?

LA PRINCIPESSA – Signore, io ancora non so quel che voglio. Datemi il tempo di pensarci, vi prego, e di dissipare la confusione in cui mi trovo.

IL PRINCIPE – Giudicate voi, Principe, che cosa significa questo, e in qual conto possiate tenerlo.

EURIALO – Aspetterò quanto voi vorrete, signora, i vostri ordini sul mio destino. E se sarà una condanna a morte, obbedirò senza la minima protesta.

IL PRINCIPE – Vieni avanti, Morone. Qui oggi è giorno di festa, e voglio rimetterti in grazia con la principessa.

MORONE – Signore, d’ora in avanti sarò il migliore dei cortigiani, e mi guarderò bene dal dire quel che penso.

Scena III – ARISTOMENE, TEOCLE, IL PRINCIPE, LA PRINCIPESSA, AGLANTE, CINZIA, MORONE

IL PRINCIPE –  Ho motivo di temere, Principi, che la  scelta di mia figlia possa non ricadere su di voi: ma ecco qui due principesse che potranno consolarvi di questo piccolo contrattempo.

ARISTOMENE – Signore, sappiamo quel che ci conviene; e se queste amabili principesse non disprezzano troppo questi due cuori che altri hanno respinto, noi potremmo grazie a loro pervenire all’onore di entrare a far parte della vostra famiglia.

Scena IV – FILLIDE, ARISTOMENE, TEOCLE, IL PRINCIPE, LA PRINCIPESSA, AGLANTE, CINZIA, MORONE

FILLIDE – Signore, la dea Venere sta divulgando in tutto il mondo la notizia che il cuore della Principessa è mutato. Tutti i pastori e tutte e pastorelle testimoniano la loro gioia con danze e canti; e se vi degnate di questo spettacolo, vedrete le pubbliche manifestazioni di gioia diffondersi fin qui.

SESTO INTERMEZZO

CORO DI PASTORI E DI PASTORELLE CHE DANZANO

                          Usate meglio, o fiere bellezze,

                          del vostro potere di affascinare ogni cosa;

                          amate, amabili pastorelle!

                          I nostri cuori sono fatti per amare!

                          Per quante difese si erigano,

                          viene sempre il momento della resa!

                          Nulla vi è che possa resistere

                          ai dolci incanti dell’Amore.

                          Non tardate a seguire e gustare

                          il piacere d’accendersi d’amore:

                          un cuore comincia davvero a vivere

                          nel momento in cui impara ad amare.                

Per quante difese si erigano,

                          viene sempre il momento della resa!

                          Nulla vi è che possa resistere

                          ai dolci incanti dell’Amore.


[1] nota 716

[2] Fillide.

[3] “…che pur non mangiando cavoli, impediva che li mangiassero gli altri” (cfr. Molière, Oeuvres complètes, Ed. Garnier, vol I p. 919, n. 725