UNA PULCE NELL’ORECCHIO
( Una zanzara tigre nell’ orecchio- Quando si è troppo gelosi…)
commedia comica in tre atti di Pasquale Calvino
liberamente ispirata al teatro
di Georges Feydeau
Molti sono i cambiamenti apportati al testo di Feydeau e speriamo che il grande genio comico, dal suo mondo, non se ne dispiaccia.
PERSONAGGI:
1m-VITTORIO EMANUELE CHANDIDO VITTORIO, assicuratore, marito di Raimonda,è fedele alla moglie
-POCHE POLDO , dipendente dell’ albergo(sosia di Vittorio-doppia parte)
2m-CAMILLO CHANDIDO CAMILLO segretario, strano balbuziente, nipote di Vittorio, amante di Antonietta, cuoca di casa e moglie di Etienne, il maggiordomo.
3m-ROMANO TOURNEL ROMANO, molto amico di Vittorio, playboy incallito, innamorato di Raimonda.
4m-CARLOS HOMENIDES DE HISTANGUA -CARLO marito di Luciana, amica di Raimonda,gelosissimo, spagnolo caliente e molto virile
PERSONAGGI FEMMINILI:
1-ETIENNE ETTORINA è una specie di comandante e amministratrice della casa di Vittorio e Raimonda e sorella di Antonietta, la cuoca di casa, che ama molto gli uomini
2-Rugby E un pensionante dell’ albergo veramente ammalato e interpretato come doppio ruolo da Eugenia, cameriera giovane dell’ albergo
:
3-DOTTORESSA FINACHE DR.ssa FINALE medico e amica di casa
4f-RAIMONDA CHANDIDO RAIMONDA moglie di Vittorio, è una strana gelosa
5f-LUCIANA DE HISTANGUA LUCIANA amica di Raimonda e moglie di Carlos lo spagnolo
6f-OLIMPIA FERRAILLON OLIMPIA cameriera dell’ albergo, sorella della direttrice Agostina
7f-ANTONIETTA ANTONIETTA cuoca di Raimonda, è una donna molto disponibile, moglie del maggiordomo Etienne amante diCamillo.
8-BATTISTINA- zia di Agostino Ferraillon(recita la parte della malata nel letto girevole)
9f-AGOSTINA
FERRAILLON Direttrice d’ albergo e sorella di Olimpia
fEUGENIA EUGENIA, cameriera giovane dell’ albergo-può avere anche altro ruolo(Rugby)
L’azione si svolge nel mese di giugno. Il primo e terzo atto casa di Vittorio Emanuele Chandido, il secondo nell’ albergo della Micia Innamorata.
ATTO PRIMO
La scena figura il salotto dei Chandebise. Stile inglese. Il lato sinistro della scena è liscio, il lato destro ha una breve ansa. Sul fondo, un grande vano a fondo pieno e centinato, al centro del quale è una porta a due battenti (serrature e chiavistelli esterni). A destra e a sinistra del vano, porte a un solo battente, con chiavistelli esterni. A sinistra, in primo piano, una finestra. A destra, in primo piano, una porta a un battente, in mogano come le altre (serratura e chiavistello interni). In secondo piano, nell’ansa, un caminetto piuttosto alto. Nell’intavolato, piccoli pannelli di seta disegnata a ranuncoli gialli; tende della finestra e tendaggi per il grande vano del fondo nella stessa seta; tendine bianche alla finestra. Il mobilio, in genere, è di mogano e instile inglese. Sul fondo, nel pannello che divide il grande vano dalla porta di destra, uno chiffonier stretto e abbastanza alto. Gli fa pendant, a sinistra del vano, un mobiletto di riscontro. A sinistra, tra la finestra e il fondo, un piccolo mobile con tre cassetti. Davanti alla finestra, una panca imbottita senza spalliera. Contro la panca, uno di quei grandi scrittoi inglesi a forma di X, che, chiusi, non tengono più posto di una cartelle da disegno e, aperti, formano una tavola che contiene nel suo interno tutto l’occorrente per scrivere. Al levarsi del sipario, questo mobile è chiuso. In mezzo alla scena, sulla sinistra, non lontano dalla panca, ma più verso il fondo, un piccolo divano con la spalliera in mogano traforato, messo sghembo e col dorso al pubblico. Di frontee sempre al di là della panca, un tavolinetto di stile diverso, con una sedia per lato. Sulla destra, un grande tavolo collocato perpendicolarmente alla scena. Una sedia per lato. Sopra il caminetto, uno specchio. Stampe inglesi inquadrate nei pannelli. Ninnoli a volontà. Nella hall esterna, in faccia alla porta del grande vano, una panca da sala di ingresso. Sopra, al muro, un telefono. Invisibile al pubblico, la porta di ingresso dello scalone.
All’aprirsi del sipario, Camillo è in piedi; si appoggia al lato sinistro dello chiffonier, e volta le spalle al vano di fondo. Sta consultando un dossier che ha preso da uno dei cassetti. Un tempo. La porta sul fondo a sinistra si apre lentamente e si vede far capolino Antonietta. Essa getta uno sguardo inquisitore nella stanza, poi, scorgendo Camillo intento al suo lavoro, gli si avvicina in punta di piedi, gli afferra la testa con le due mani, dal di dietro, e gli dà un brusco bacio.
CAMILLO (sorpreso, riprende a stento l’equilibrio; brontolone) — Ma no, non si può! (Si deve capire con la mimica e la gestualità, ma deve dire:
A-o! O-i- uò!).
ANTONIETTA — I padroni sono usciti. Mi fai pensare che dopo di avermi conquistata… totalmente…non ti piaccio più…Mi dicevano(piagnucolona) le amiche: “ Non cedergli subito…” e io invece…per vederti felice…e ora!(Camillo, a gesti, fa capire che potrebbe entrare qualcuno) Ma di cosa hai paura? Se c’è qualcuno che può temere qualcosa sono io…con mio marito che gira sempre per casa…Dovevo sposare il maggiordomo di un’ altra famiglia…che stesse in un’ altra casa…Allora?! Me lo dai un bel bacetto?
CAMILLO — (è impacciato)Eh, sì!(e i)
ANTONIETTA — Svelto, dammi un bel bacetto! Quelli che sai dare solo tu!(Camillo scrolla le spalle come fanno i bambini imbronciati). Su, su! (Camillo per un momento la guarda, come chi non sa se debba ridere o adirarsi, poi, improvvisamente eccitato, le dà un grosso bacio goloso. Su questo, la porta in fondo si apre: sono Etienne, marito di Antonietta e la dottoressa Finache).
ETIENNE (ancora nel vestibolo) — Avanti, avanti, dottoressa.
CAMILLO e ANTONIETTA (insieme) — Oh! Cielo ! Ettore,mio marito! (Si separano bruscamente. Camillo, battendosela come un coniglio, si eclissa dalla porta di destra. Antonietta si è spostata rapidamente a sinistra: e lì, come inebetita, si ferma).
ETIENNE (a Antonietta, mentre Finache si è spostata un po’ in avanti e a destra) — Che cosa fai qui?
ANTONIETTA — Ehm... Io? Sono... sono venuta a prendere gli ordini... Gli ordini per il pranzo. Camillo, il Signor Camillo mi ha detto che il Signor Vittorio vorrebbe che io, cuoca di origine napoletana, preparassi un bel “ sartù di riso” per primo e “polpettone” per secondo.
ETIENNE — Molto male…sono io che devo prendere gli ordini e poi riferirli a te…Sono io il maggiordomo…il capo della servitù…Che non si ripeta più.. Ora va subito via, fila in cucina! Il salotto non è posto per una cuoca.
ANTONIETTA — Ma...
ETIENNE — Fila! E non discutere i miei ordini!(Antonietta esce da sinistra brontolando).
FINACHE (seduto sulla seggiola a sinistra del tavolo) — Che marito autoritario!
ETIENNE — le donne….!!!??? Se non le comandiamo, ci comandano. Io non mangio di questo pane.(pensando che si trova di fronte a una donna). Ciò logicamente non vale per voi che siete una donna colta…un medico…
FINACHE — Ho paura che vi piace troppo comandare…vestirvi d’ autorità…poi le donne se troppo sottomesse si ribellano…si vendicano…tradiscono i mariti troppo autoritari…
ETIENNE — Vedete, signora dottoressa, quella donnina in fatto di fedeltà è più di un cane fedele..,non mi tradirebbe per niente al mondo…ma che dico tradirebbe…nemmeno un bacio sulla guancia… darebbe ad un altro uomo…è più fedele di un cane…come dicevo… ma è gelosa come non so chi... Se ne scappa continuamente in questa stanza, e nelle altre dell’appartamento, soltanto per spiarmi, è di una gelosia patologica…
FINACHE (alzandosi) — E’ bello avere una donna fedele…Tutta per se…Beh, visto che il signor Vittorio non c’è...io andrei…
ETIENNE (bonario, condiscendente, tenendo le due mani nella pettorina del suo grembiule) — Oh, che importa? Ho tempo libero e posso benissimo tenervi compagnia, io poi…(allusivo) non sono così fedele come mia moglie Antonia…
FINACHE — Come? Ah, certo. E’ molto amabile da parte vostra... e molto accattivante e tentatore il vostro sguardo e ciò che dite…. Ma avrei timore di abusare… Non sapete a che ora rientrerà il signor Vittorio?
ETIENNE — Non prima di un buona mezz’ ora.
FINACHE — Perbacco! (prende sul tavolo il cappellino e se lo mette in testa). Sentite... stando così le cose, nonostante il piacere che avrei rimanendo con voi...
ETIENNE — La signora mi lusinga!
FINACHE — Affatto, affatto: ma non si vive solo per divertirsi. Devo visitare un malato, qui vicino. Vado a liquidarlo.
ETIENNE (scandalizzato) — Oh! Come?!
FINACHE — Beh? Oh, non nel senso che state pensando. No, no, grazie a Dio! Ho molti malati e ci tengo! Sono la base del mio commercio….della mia missione …Volevo dire che liquido, sbrigo… la mia visita e torno qui fra un quarto d’ora.
ETIENNE — Sarebbe inopportuno insistere (si allontana ).
FINACHE (con un’aria di finta contrizione) — Vogliate scusarmi. (Fa per uscire. Etienne s’inchina. Finache avanza di nuovo) Dimenticavo. Se il vostro padrone rincasa prima che io sia tornata (trae di tasca un fascicolo) consegnategli questo. E ditegli che ho visitato il cliente che mi ha mandato: sta benissimo, può assicurarlo tranquillamente.
ETIENNE (indifferente e distratto) — Ah.
FINACHE — A voi non importa.
ETIENNE (con un gesto di noncuranza) — Oh.
FINACHE — Si capisce. Neppure a me importa. Solo — che questo interessa al signor
Direttore della “Boston Life Company “.
ETIENNE — Cioè il signor Vittorio…il padrone.
FINACHE — Giusto…il Signor Vittorio, grande assicuratore…e, visto che siete così gentile… Insomma, ditegli che il suo spagnoloè un uomo di prim’ordine...che sta molto bene in salute… Come si chiama? Ah, sì, don Carlos Homénidés de Hìstangua…Può assicurarlo senza problemi…
ETIENNE (viene avanti) — Lo spagnolo, sì, Carlos Histangua. Si, sì, lo conosco. A proposito, sua moglie è di là, nel salone. (sedendosi come se fosse a casa sua sulla seggiola a destra del tavolo, mentre Finache rimane in piedi dal lato opposto) — Vorrei chiedervi, caro dottore, poichè ce ne stiamo qui tranquillamente...
FINACHE — Quel che soprattutto ammiro in voi, è che non siete per niente superbo.
ETIENNE ( senza supponenza, ma con naturalezza e bonarietà) — Perchè dovrei esserlo? Sono un uomo saggio e sapiente…e solo un uomo geniale può vivere come me, sconosciuto ai più , senza successi e senza gloria…col sorriso o quasi sulle labbra…ma non per questa mia filosofia dovrei essere superbo…Comunque..sentite dottoressa: quando si sente un doloretto... ma sedetevi.
FÌNACHÈ (ubbidendo, sempre ironica) — Pardon.
ETIENNE - (Si è collocato bene in faccia a Finache e spinge indietro il busto sulla sua poltrona, che è in equilibrio sulle gambe posteriori) — Cosa vuol dire quando si sente, a tutti e due i lati della pancia,un poco più giù…voi mi capite… come un dolore che trafigge? Anche se siete donna…una donna medico..(Per ben precisare i punti, si dà con le mani dei piccoli colpi ai due tali dell’ addome).
FINACHE (Seduto in faccia a Etienne) — Beh, la cosa dipende spesso dai testicoli.
ETIENNE — Sì? E’ il mio caso!
FINACHE (conservando a stento la sua serietà) —Allora, amico mio, dovrete farvi visitare e forse bisognerà toglierli…eliminarli…il male bisogna eliminarlo alla radice....
ETIENNE (alzandosi e dirigendosi verso il fondo)— Neppure per sogno. Li ho e me li tengo.
FINACHE (si è alzato anche lui) — Vi prego di notare che non li voglio…non mi servono… No ho gatti…ai gatti piacciono molto.
ETIENNE — (impaurito)Oh! non si sa mai! Ci potrebbe essere la micia dell’amica…il gatto di una amica…
LUCIANA (comparendo dalla porta di sinistra, a Etienne) — Potete dirmi, per favore... (scorgendo Finache). Chiedo scusa, signore. (A Etienne). Siete sicuro che la signora Raimonda Chandebise rincaserà presto?
ETIENNE — Sicurissimo, signora. La signora mi ha perfino raccomandato: “Se la signora Luciana... “, ehm... insomma, mi ha detto tutto il suo nome.
LUCIANA (soccorrendolo) — Luciana Homénidès de Histangua, nata Passera.
ETIENNE (approvando) — Esattamente, “... dovesse venire, non lasciatela andar via: ho assolutamente bisogno di vederla ».
LUCIANA — Difatti mi ha scritto così. Per questo mi meraviglio... Comunque, aspetterò ancora.
ETIENNE — Va bene, signora. (Luciana si avvia verso il fondo come per ritornare nella stanza da cui era uscita, ma si ferma sentendo la voce di Etienne) Io stavo giusto conversando colla signora dottoressa...
FINACHE (ironica) — Sicuro. Noi conversavamo.
ETIENNE (facendo le presentazioni) — La dottoressa Finache. E’ medico della “Boston Life Company”, e mi diceva di aver visto vostro marito, questa mattina.
LUCIÀNA — Ma no!
FINACHE (avvicinandosi un po’ a lei, mentre Etienne si è spostata verso il fondo) — E’ esatto, signora... Ho avuto l’onore di visitare il signor Carlos de Histangua.
LUCIANA — Mio marito si è fatto visitare? Che strana idea.
FINACHE — Sono le piccole indiscrezioni di tutte le Compagnie di Assicurazioni. Signora, mi congratulo... Voi avete un marito di ferro !... Che salute! Che temperamento!
LUCIÀNA (a bassa voce, con un sospiro e lasciandosi cadere sulla sedia a sinistra della scena, in faccia al divano) — Ah, signora! A chi lo dite! Troppa salute…non ne posso più!...
FINACHE — Ma non è lusinghiero, piacevole tanta forza…tanta mascolinità…
LUCIANA — Oh, sì, signora... ma così faticoso!
FINACHE — Senza fatica non si ottiene nulla.
ETIENNE (con un sospiro) — E dire che la signora Plucheux non pensa ad altro!
LUCIANA — Chi è la signora Plucheux?
ETIENNE — Antonietta…la cuoca…la mia sposa! Mi fa provare sempre tanta vergogna! Le occorrerebbe un uomo come il marito della signora…quegli uomini che pensano sempre a una cosa…alle donne..,tutte le sere…nessuna esclusa…e anche di giorno…
FINACHE — Mio Dio, mi viene un’ idea…con l’autorizzazione della signora e col consenso del signor de Histangua, si potrebbe forse rimediare.
ETIENNE – Come?
DOTTORE- Antonietta potrebbe far amicizia…stretta, intima con il signor Carlos e piacendosi…La signora Luciana risparmierebbe il lavoro…la fatica…potrebbe riposare… Antonietta sarebbe molto contenta … le farebbe un gran bene…Voi Ethienne non vi sacrifichereste alle esigenze di vostra moglie…
ETHIENNE-Ah, no! Mi sacrifico io…
LUCIANA (alzandosi, gaia) — Oh, dottoressa, veramente... non accetto neppure io!
FINACHE (ridendo) — Vi chiedo scusa, signora: questo demonio di Etienne mi fa dire delle corbellerie…delle sciocchezze. (Traversando la scena per andare a prendere il suo cappello) Io scappo.
LUCIANA (inchinandosi) — E senza rancore, dottoressa.
FINACHE — Lo spero bene (si avvia verso il fondo con Etienne)
ETIENNE (accompagnando il dottore) — Per ritornare al nostro discorso, dottoressa... quando io mi chino così, i miei testi…testicoli...
FINACHE — Ah, sì? Prendete una purga, calmerà i dolori. (Escono).
LUCIANA (seguendo la dottoressa con lo sguardo) Che tipo. (Guarda il suo orologio). Un’ora e sette minuti di ritardo! Raimonda chiama questo aspettarmi con impazienza... Mah... (Luciana si siede su una delle sedie a sinistra e prende una rivista, che sfoglia distrattamente).
CAMILLO (venendo dal fondo destra e dirigendosi verso il mobile per rimettervi il dossier che aveva preso all’inizio, scorge Luciana) — Oh, pardon signora). (In realtà — e lo stesso accadrà per tutto l’atto — egli deve parlare in modo assolutamente inintelliggibile, con una voce nasale e pronunciando solo le vocali — ma in modo netto — come le persone che hanno il palato perforato).
LUCIANA (alzando il capo e con un leggero inchino) — Signore...
CAMILLO — Naturalmente la signora aspetta il direttore della « Boston Life Company »? (Quel che giunge allo spettatore è più o meno questo:a- u-a-en-e a i-o-a a-e-a i i-e-o-e e-a o-on i-e om-a-i? ».
LUCIANA (un po’ sorpresa) — Come?
CAMILLO (ripete,cercando di far capire nello stesso modo indistinto di prima) — Io dico: la signora aspetta il Signor Vittorio …direttore della Compagnia di Assicurazioni: Boston Life Company?
LUCIANA (con un sorriso inquieto) — Vi chiedo scusa: non capisco bene ciò che dite...
CAMILLO (più lentamente) — E’ semplice, io domando: la persona che la signora aspetta, è bene il signor diret...
LUCIANA (interrompendolo, e come per scusarsi di non capire) — No, no! Io conosco solo il francese. French! Vous savez parler français ? (Si alza).
CAMILLO — Eh? Ma io!
LUCIANA — Rivolgetevi al cameriere. Io non appartengo alla famiglia. Ho appuntamento con la signora Raimonda Chandebise.
CAMILLO — Oh, oh! Vi domando scusa. (raggiunge il mobile camminando all’indietro e inchinandosi). Io mi informavo perché se fosse stato per il signor direttore della Boston Life Company...
LUCIANA — Sì, signore, sì.
CAMILLO (è arrivato al mobile, vi ripone il dossier, richiude il cassetto, poi, al momento di uscire dal fondo destra) — Vi prego ancora di scusarmi.
LUCIANA (che l’ha guardato uscire stupefatta, dopo una breve pausa) — Deve essere ostrogoto. (sempre parlando è passata a destra).
ETIENNE (giungendo dal fondo) — Sono venuto a vedere se la signora non si annoia troppo. Io posso (civettuolo) farle compagnia!
LUCIANA (vivacemente) — Oh, voi potrete spiegarmi: poco fa èentrato un uomo...
ETIENNE (con un leggero moto di sorpresa) —Un uomo?
LUCIANA — Sì. Mi ha parlato in…una strana lingua…ostrogoto o non so che… Non so assolutamente che cosa mi ha raccontato. (Imitando Camillo) On a ou e a ai o en... Qualcosa di simile.
ETIENNE (ridendo) — Ah! E’ il signor Camillo.
LUCIANA — Uno straniero?
ETIENNE — No, no. E’ il nipote del signor Vittorio, il figlio di suo fratello.., il suo nipote di primo grado… germano, ecco... Ma capisco come la signora si sia impressionata: il signor Camillo ha un piccolo difetto di pronuncia, non può pronunciare le consonanti...
LUCIANA — Ma no!
ETIENNE — Sì, signora. Quando non si è abituati è molto imbarazzante. Io da poco comincio a capire qualcosa...
LUCIANA — Vi ha dato delle lezioni?
ETIENNE — No, ma a forza di sentirlo l’orecchio si abitua!
LUCIANA (sedendosi sulla sedia a sinistra del tavolo) — Sì, sì.Capisco.
ETIENNE — Il signore l’ha preso come segretario perchè non poteva trovare nessun altro impiego, a causa — con tutto il rispetto — della sua dannata maniera di parlare.
LUCIANA — Eh! Un uomo che ha solo vocali da offrirvi.
ETIENNE — Non è molto, si capisce! Va bene che quando scrive dà anche le consonanti, ma non si può scrivere sempre, vero? (Andando oltre il tavolo) Che peccato! Un ragazzo così serio, così a modo! Mi credete se vi dico che non gli si conosce una donna…una fidanzata…un’amante?
LUCIANA — Ma no!
ETIENNE (ingenuo) — Io almeno non gliene conosco e non credo…anzi sono sicuro…poi non esce quasi mai da casa…
LUCIANA (alzandosi) — Potrebbe avere qualche amore casalingo…con una cameriera…una cuoca…comunque è’ ben fortunato, il vostro giovanotto se non perde la testa per le donne…
ETIENNE (sospirando) — Ah, sì! (Vedendo Raimonda comparire sul fondo) C’è la signora Raimonda!
LUCIANA (andandole incontro) — Finalmente!
RAIMONDA (entrando impetuosamente) — Luciana carissima…mia grande amica, sono desolata... non credevo di ritardare tanto…(A Etienne, mentre si avvia al di là del tavolo, su cui posa la borsetta) Andate, Etienne!
ETIENNE — Sì, signora. (A Luciana) La signora mi scusa?
LUCIANA — Come no? (Etienne esce).
RAIMONDA (togliendosi il cappello, che posa sul mobile a destra della porta di fondo) — Ti ho fatto aspettare molto?
LUCIANA —(ironica) No…per niente…qualche minuto…
RAIMONDA — Vengo da così lontano! Ti spiegherò. (bruscamente, avvicinandosi a Luciana). Ti ho scritto di venire perchè mi accade qualcosa di molto grave! Gravissimo! Terribile!(quasi piangendo) Mio marito mi tradisce, ci pensi…che tragedia! Che insopportabile tragedia mi ha colpita…Voglio morire!...
LUCIANA — Vittorio Emanuele?
RAIMONDA — Vittorio Emanuele, proprio.
LUCIANA — Ah! (cerca di minimizzare) Ma non prendertela tanto…per gli uomini è diverso(Raimonda guarda nel vuoto)…non ci mettono il sentimento…è come se gustassero un piatto di cibo diverso…se poi si innamorano chiedono la separazione, il divorzio… Ma mi ascolti?
RAIMONDA — (è rapita e non ha seguito)Che canaglia! Oh, ma io lo sorprenderò sul fatto! (Passa in primo piano).
LUCIANA — Lo sorprenderai? Vuoi dire che non hai una prova?
RAIMONDA — Eh, no! Non l’ho! Il Vigliacco non si è ancora fatto scoprire! Oh, ma l’avrò! Avrò una prova con testimoni…
LUCIANA — E come?
RAIMONDA — Non lo so. Me la troverai tu. (Siede sul divano).
LUCIANA (in piedi accanto a lei) — Io?
RAIMONDA — Oh, sì, sì! Non dirmi di no, Luciana. In collegio eri la mia migliore amica. Anche se ci siamo perdute di vista per dieci anni, ci sono cose che niente può cancellare. Ti ho lasciata Luciana Passera e ti ritrovo Luciana Homenidès de Histangua: e va bene, il tuo nome si è allungato, è diventato più importante… ma il tuo cuore è rimasto uguale. Ho il diritto di considerarti ancora la mia migliore e unica grande amica.
LUCIANA — Questo è certo.
RAIMONDA — E allora a chi se non a te posso rivolgermi quando ho bisogno di aiuto? In un fatto così privato…intimo…delicato…e tremendamente tragico…
LUCIANA (senza convinzione, sedendosi tuttavia in faccia a lei) —Non esagerare… Sei molto buona, ti ringrazio molto della tua fiducia…ma
RAIMONDA (continuando il suo discorso) — Dimmi allora: che cosa devo fare?
LUCIANA (interdetta) — Eh? Per...?
RAIMONDA — Per sorprendere mio marito, no? Per avere la prova del suo tradimento…
LUCIANA — Ma io non saprei... Mi hai chiamata per questo?
RAIMONDA — Si capisce.
LUCIANA — Che idea! Anzitutto, chi ti dice che tuo marito è colpevole? Potrebbe esserti fedelissimo.
RAIMONDA — Lui?
RAIMONDA — Andiamo! Non sono una bambina. Che cosa diresti, tu, se improvvisamente tuo marito non ti desse più quelle manifestazioni d’ affetto…di coccolamento…di erotismo…insomma mi capisci o no?
LUCIANA — Diamine! Ti ho capita…ma non hai le prove!
RAIMONDA — Ci sono cose che non ingannano.
LUCIANA — Esatto. Tuo marito può essere che abbia un’ amichetta o più d’ una…
RAIMONDA – Andiamo! Non sono una cretina. Cosa diresti, tu, se improvvisamente tuo marito, dopo essere stato un marito... un marito pieno di fuego... un marito insomma molto maschio…, ecco !... cessasse di esserlo — così — da un momento all’altro? Non piano piano nel tempo…ma da un giorno all’ altro…
LUCIANA (deliziata) — Direi: aah!..Che grande fortuna! .però ci sono tanti motivi!
RÀIMONDA — Eh! diresti solo aah! Che grande fortuna!.. Questo si racconta prima. Anch’io prima trovavo noioso e monotono questo amore continuo, questa eterna primavera. Mi auguravo persino, pensa, una nuvola, una contrarietà, una preoccupazione, insomma! Stavo addirittura pensando di trovargli un amante, una donna che lo accontentasse in tutti i suoi desideri…a volte anche strani… non fosse che per crearmi, una preoccupazione! Ma dovevo cercarla io…l’ amante per mio marito…una donna fidata.. insomma una persona buona... dolce…un’ amica di entrambi…non doveva cercarsela lui l’ amante…doveva piacere prima a me…poi forse avrei dovuto trovare un amante anche per me…così per non annoiarmi…per non stare a guardare…
LUCIANA — Un amante, tu?
RAIMONDA — Capirai, cara mia, si passano dei momenti! Avevo già fatto la mia scelta: tanto per non dirti il nome, il signor Romano Tournee, il migliore amico di mio marito… Sai, quel signore con cui abbiamo pranzato insieme avant’ieri... Non ti sei accorta di nulla? Mi meraviglio. Una donna... Beh, siamo stati lì lì, mia cara…
LUCIANA — Oh!
RAIMONDA — Perchè oh! E’ il migliore amico di mio marito. Dunque era automaticamente designato per. Essere il mio amante... (alzandosi). Oh, ma adesso che mio marito mi tradisce non prenderò più un amante! Non ne ho più voglia!
LUCIANA (alzandosi e avviandosi verso destra) —Vuoi che ti dica una cosa?
RÀIMONDA — Che cosa?
LUCIANA — In fondo, tu sei innamoratissima di tuo marito.
RAIMONDA — Innamoratissima io?
LUCIANA — Se non è così, perchè te la prendi tanto?
RAIMONDA — Mi secca il fatto in sè!Di essere presa per scema…che non mi ha detto niente…Se me lo avesse chiesto…per vederlo felice…glielo avrei…forse…permesso…ma così no…non è possibile… Io, sì, volevo tradirlo, ma solo per curiosità… ma che mi tradisca lui no…lui mi tradisce prima di me!?e io no, niente amante…eh, no è possibile..,Se io avessi già un amante…avrei potuto chiudere un occhio…forse anche due…ma così no…io fedele e lui no…non è giusto…non è morale!
LUCIANA (prendendo il suo cappotto) — Hai una morale stupenda! Perché non scrivi un libro di etica: “Quando il marito può avere l’ amante”…venderai un sacco di copie…
RAIMONDA — Allora tu mi dai torto?!....
LUCIANA (posando il cappotto sulla tavola a destra) — No, no. Solo che.., ciò che mi hai detto non prova niente.
RAIMONDA (avanzando oltre il tavolo) — Come, non prova niente! Quando un marito è stato per anni e anni un torrente impetuoso…un mandrillo…un coniglio..un topo…lo chiamavo “zocc…TOPONE e ad un tratto, improvvisamente, piff!... più niente!...come una donna…e io lo tento…mi spoglio davanti a lui…e lui mi dice :
“Che bella che sei” e niente…non prende iniziative…allora io mi avvicino…lo coccolo…e lui: “ Non ora, scusami cara…ma devo lavorare…
LUCIANA (seduta a sinistra del tavolo) — Il Po è nelle stesse condizioni, ha poca acqua ma non puoi dire che ha abbandonato il suo letto…è un fatto momentaneo perché piove poco…il clima è cambiato…L’ hai fatto visitare? Qualche farmaco ci vuole! Il peperoncino rosso che è un rimedio naturale!
RAIMONDA — Oh! Ma quale farmaco…quale peperoncino…mio marito è una nave che ha cambiato scalo…ha cambiato porto…e non è una cosa momentanea…è molto tempo che non fa scalo nel vecchio porto…Capisci a me! Ha trovato un porto nuovo…più bello…più lussureggiante…più giovanile…
LUCIANA — Ma non dire sciocchezze…Non hai mai visto nei casinò della gente che sbalordiva per il coraggio con cui chiedeva qualunque banco, poi, da un momento all’ altro, giocare timidamente, una fiche da cento soldi?
RAIMONDA (adiratissima, con voce di testa) —Giocasse almeno la fiche da cento soldi! Macchè! Lui è il signore che gira intorno al tavolo.La fiche non la tocca… non la gioca…la tiene in tasca…così per bellezza…Capisci a me! (Risale verso il mobile sul quale aveva posato il cappellino).
LUCIANA — Ragione di più! Ciò non prova che si faccia sbancare altrove. Prova semplicemente che è sbancato…che non vuole giocare…che non ha desiderio…voglia di giocare…contempla la fiche e non la gioca…ma in futuro la potrà prendere…accarezzare e giocarla nel miglior modo…e vincere…
RAIMONDA (che ha ascoltata appoggiata con le spalle al mobile di fondo, le braccia incrociate) —Ah! Siii! (Avanza fino al tavolo e fruga nella sua borsetta, da cui trae un paio di bretelle che brandisce sotto il naso di Luciana). E queste allora?
LUCIANA — Che roba è? La biancheria intima della sua amante…
RAIMONDA (perentoria) —No… Un paio di bretelle.
LUCIÀNA (sullo stesso tono) — Difatti mi sembravano.
RAIMONDA — E sai di chi sono, queste bretelle?
LUCIANA — Dio mio povera amica mia… è passato all’ altra sponda…questo fatto si…è veramente tragico..
RÀIMONDA (vivamente) —Ah, ah, tu pensi…No non credo…ora ti spiego Ah, ah!
LUCIANA —Spiegami? Io ho detto così... perchè suppongo che se hai delle bretelle con te, siano o di tuo marito o di un altro signore a cui tuo marito le abbia tolte…
RAIMONDA (che ha riposto le bretelle nella borsetta, andando a posare questa sul mobile di fondo e tornando in avanti, sempre parlando, al centro della scena) — Dunque mio marito le ha ricevute stamattina per posta, queste bretelle?
LUCIANA — Per posta?
RAIMONDA — Sì, in un pacco postale che ho aperto inavvertitamente mentre ispezionavo la posta di mio marito.
LUCIANA — E perchè ispezionavi la sua posta?
RAIMONDA (con tono naturalissimo) — Per sapere cosa ci fosse dentro.
LUCIANA (inchinandosi ironicamente) — E’ una ragione.
RAIMONDA — Si capisce.
LUCIANA — Questo, tu lo chiami aprire un pacco... inavvertitamente!
RAIMONDA — Diamine! Ho detto inavvertitamente perché il pacco non era indirizzato a me.
LUCIANA — Ah!
RAIMONDA — Adesso vuoi riconoscere o no che se gli hanno rimandato le sue bretelle per posta significa che le aveva dimenticate da qualche parte?
LUCIANA (alzandosi e avviandosi a sinistra) —Riconosco.
RAIMONDA — Bene. E sai che nome si deve dare a questo “qualche parte”?
LUCIANA (fingendo lo spavento) — Mi fai paura.
RAIMONDA — L’albergo della Micia Innamorata, cara mia!
LUCIANA — Che cos’è?
RAIMONDA — A giudicare dal nome, non è né una pensione di famiglia, né un albergo per congressi, conferenze…
LUCIANA (scrollando la testa) — L’albergo della Micia Innamorata!
RAIMONDA (andando a prendere dal mobile a sinistra della porta di fondo una scatoletta di legno o di cartone, con la quale torna tosto in avanti)—Quando penso al nome dell’ albergo penso ai gemiti dei gatti… Ecco la scatola che conteneva le bretelle. Vedi l’etichetta? E, sotto, nome e indirizzo di mio marito: “ Signor Chandebise, Via Roma, Brindisi”.
LUCIANA (leggendo l’intestazione) — Mittente : Albergo della Micia Innamorata, è vero.
RAIMONDA — Tutto è così sconveniente! (Torna a posare la scatola su un tavolo a destra). Ora capisci che non c’è pericolo di sbagliare: io lo sono... (intende cornuta).
LUCIANA — Oh!
RAIMONDA — Mio Dio, mi era già venuto un dubbio avendo visto mio marito così...senza pressione… diciamo ipoteso
LUCIANA (venendole in aiuto) —Come il Pò.
RAIMONDA — Ecco. Mi domandavo, naturalmente: “Che cosa avrà? Come mai?” Ma adesso, adesso ho una strana pulce nell’orecchio!, che dico pulce…c’è una zanzara tigre nel mio orecchio… (Va a riporre la scatola nel mobile da cui l’aveva presa).
LUCIANA — Ne hai motivo.
RAIMONDA (tornando in avanti) — Se poi tu vedessi quell’albergo, cara mia! Sembra fatto da un erotomane per erotomani…
LUCIANA — “ Se tu vedessi”? Allora lo conosci?
RAIMONDA — Si capisce! Ne torno ora! (Siede).
LUCIANA — Ah!
RAIMONDA — Per questo ero in ritardo.
LUCIANA — Oh.
RAIMONDA — Capirai, volevo esser sicura. Così mi sono detta: c’è solo un mezzo, interrogare l’albergatore, uno strano albergatore…sembrava una donna vestita da uomo… Bene, credi che sia facile interrogare un albergatore? Non ha voluto sentir ragioni. Muto come un pesce.
LUCIANA — E’ l’abc del mestiere.
RAIMONDA — Insomma, è evidente che possiamo contare solo sulle nostre forze. Gli uomini si sostengono fra loro, noi dobbiamo fare altrettanto. Conosci i fatti e sei più furba di me. Che cosa devo fare?
LUCIANA — Ora mi prendi alla sprovvista.
RAIMONDA — Su! Un lampo di genio!
LUCIANA — Non è facile. (Pensa). Vediamo... Ecco. Potresti chiedere una spiegazione a tuo marito.
RAIMONDA (alza le spalle) — Mi risponderebbe con una menzogna. Non c’è niente al mondo di più bugiardo di un uomo... se si eccettua una donna.
LUCIANA — Oh, aspetta! Forse c’è un mezzo, che ho visto impiegare spesso in teatro.
RAIMONDA — Quale? Dì!
LUCIANA — Oh, niente di geniale. Ma con gli uomini, — funziona! Si prende un foglio di carta da lettere ben profumato e si scrive una lettera al proprio marito... una lettera ardente, si capisce, come se fosse di un’altra donna... e alla fine gli si dà un appuntamento.
RAIMONDA — Un appuntamento?
LUCIANA — Al quale naturalmente si va, senza farsi vedere… Se il marito viene, si è sicure che è un uomo che cerca avventure…
RAIMONDA — Ho capito. Perfetto. Forse non è geniale, ma i mezzi più classici sono quelli che danno i risultati migliori. (Mentre va a prendere il mobile scrittoio che è davanti alla finestra e lo porta davanti al divano e lo apre). Scriviamo subito a Vittorio Emanuele.
LUCIANA (disinvolta) — Scriviamo a Vittorio Emanuele.
RAIMONDA (si è seduta sul divano e si appresta a scrivere; ripensandoci) — Già. Ma riconoscerà la mia scrittura.
LUCIANA (serissima) — Se gli hai scritto altre volte, è certo.
RAIMONDA (alzandosi) — Senti, la tua scrittura... non la conosce. Tu. Gli scrivi tu. (Parlando, tira Luciana per un braccio per farle prendere il suo posto).
LUCIANA (resistendo) — Io? Ah, no, no! Questo no. E’ una cosa troppo delicata.
RAIMONDA (su un tono severo) — Sei la mia migliore amica o non lo sei?
LUCIANA (cedendo) — Tu mi trascinerai all’inferno.
RAIMONDA — Bene. Ci troverai mio marito con le sue amanti…
LUCIANA (rassegnata, sedendosi sul divano di fronte allo scrittoio) — Dammi della carta da lettere.
RAIMONDA (dallo scrittorio tira fuori un blocco di carta da lettere) — Ecco!
LUCIANA — Ma non della tua! La riconoscerebbe!
RAIMONDA — Che sciocca sono! E’ vero!
LUCIANA — Non hai dell’altra carta, della carta tenera, suggestiva?
RAIMONDA (tirando fuori una scatola di carta da lettere dal mobile a sinistra della porta in fondo)— Mio Dio, avrei questa qui lilla. Non è molto suggestiva...
LUCIANA — Non lo è. Però profumandola molto... Hai ancora il mio profumo, cioè quel profumo che ti regalai io a Natale?
RAIMONDA — Certamente…è quello che ci vuole… Aspetta. (Sempre parlando, va a premere il campanello a destra della finestra.
Compare Camillo,che esce dalla camera di destra, con in mano un dossier. Egli getta uno sguardo inquisitore nella stanza.)
CAMILLO Chiedo scusa.
RAIMONDA (in piedi accanto al mobiletto a sinistra della scena) — Che cosa volete, Camillo?
CAMILLO (nel suo linguaggio incomprensibile) —Non badate a me. Guardavo se il Signor Vittorio Emanuele era rientrato.
RAIMONDA (con grande semplicità, su un tono di normale conversazione) — Non ancora. Perchè?
CAMILLO (come sopra) — Perchè ho tutta la posta da fargli firmare, e poi devo chiedergli dei chiarimenti riguardo a un contratto che sto preparando. Ho qualche dubbio, e avrei voluto...
RAIMONDA — Credo che non tarderà molto.
CAMILLO — Bene. Aspetterò. In fondo non c’è altro da fare, vero? Lui non c’è e qualunque cosa io dicessi...
RAIMONDA — Si capisce, si capisce! (A Luciana, che dall’inizio del dialogo ascolta a bocca aperta, con lo sguardo che va da un interlocutore all’altro per fissarsi infine, ammirativo, su Raimonda). Perchè mi guardi così?
LUCIANA (imbarazzata) — Come? Per niente, per niente!
CAMILLO (a Luciana, giovialmente) — E così, signora, mia cugina non vi ha fatto aspettare troppo?
LUCIANA (interdetta, ma volendo dimostrare che ha capito) — Effettivamente, signore, vi riconosco. Abbiamo anche conversato, poco fa.
RAIMONDA (maliziosa) — No, no, non ti parla di questo. Ti dice che finalmente sono rientrata a casa e che non ti ho fatto aspettare troppo.
CAMILLO (approvando) — ì... ì...
LUCIANA (imbarazzata e sforzandosi di essere amabile) — Ah! Ah, sì, sì, perfettamente.
RAIMONDA (facendo le presentazioni) — Ah! Scusa, il signor Camillo Chandebise, nostro cugino. La signora Luciana Homénidès de Histangua. (Camillo fa un inchino, mentre Raimonda torna ad avviarsi verso l’estrema sinistra).
LUCIANA (alzandosi) — Felicissima, signore... Scusatemi se poco fa non vi ho capito. Sono un po’ dura d’orecchio.
CAMILLO (gioviale) — Oh, è molto amabile da parte vostra dirmi questo, signora. La verità è che mi si capisce difficilmente, dato che ho un piccolo difetto di pronuncia...
LUCIANA (sorridendo falso, come chi non capisce nulla) — Oh, sì, sì. (a Raimonda, come per chiederle aiuto) Che cosa?
RAIMONDA (con una comica serietà) — Ti dice che ha un piccolo difetto di pronuncia.
LUCIANA (fingendo stupore) — Come?... Ma no! Dite davvero? Beh, sì, forse... ora che me l’avete fatto notare.
CAMILLO (con sorrisi e inchini) — Siete troppo indulgente.
ANTONIETTA (entrando dal fondo e avanzando) —La signora ha suonato?
RAIMONDA (mentre Luciana siede sul divano) — Sì, ma non per voi. Volevo Adele. Ho suonato due volte, no?
ANTONIETTA — Adele è uscita un momento per delle compere, così sono venuta io.
RAIMONDA — E’ lo stesso. Andate in camera mia e portatemi una scatola di profumo che è nel cassetto di destra della mia toilette. (vedendo che Camillo la guarda con desiderio).E vestite meno scollata…Avete capito!
ANTONIETTA — Va bene signora.
RAIMONDA — Sulla scatola vedrete stampato «peonia azzurra ».
ANTONIETTA Sì, signora. (Voltandosi per uscire, Antonietta trova alla sua sinistra Camillo. Con aria scherzosa descrive intorno a lui, che è imbarazzatissimo, un semicerchio, tenendo gli occhi negli occhi. Arriva così oltre di lui verso il fondo. In questo momento, volgendo le spalle al pubblico, dà un violento pizzicotto con la mano sinistra al fianco sinistro o sul sedere di Camillo, e esce con la più imperturbabile aria da santarellina).
CAMILLO (proiettato in avanti dal dolore) — Ahi!
RAIMONDA e LUCIANA (di soprassalto) — Cosa c’è?
CAMILLO (mentre Antonietta esce) — Niente niente. Un... un dolore acuto qui nel fianco.
RAIMONDA — Uhm. Dipende dai reumi.
CAMILLO (fregandosi il fianco e spostandosi a destra con degli inchini all’indietro) — Dipende... dipende sicuro dai reumi. (Un tempo) Vado a riprendere il mio lavoro... (salutando) Signora...
LUCIANA (si inchina leggermente) — Signore.
CAMILLO (giunto alla porta) — I miei omaggi. (Esce. Le due donne lo guardano uscire, poi, appena è scomparso, scoppiano a ridere).
LUCIANA - Giuro che ti ammiro per come lo capisci.
RAIMONDA (maliziosa) — Per questo mi guardavi, eh?
LUCIANA — Sì.
RAIMONDA — Cosa vuoi, è la forza dell’abitudine. Ma mi sei piaciuta quando volevi fargli credere che non avevi trovato nulla di strano nel suo modo di parlare.
LUCIANA — Non volevo mortificarlo.
ANTONIETTA (giungendo da sinistra, con in mano un flacone) — E’ questo, signora?
RAIMONDA (prendendo il flacone) — E’ questo, grazie. (Siede su una delle seggiole che stanno di fronte al divano su cui è seduta Luciana. Antonietta esce). Forza! Vediamo di scrivere la lettera prima che rientri mio marito.
LUCIANA — Hai ragione. (Disponendosi a scrivere) Allora, come gli prepariamo il cibo?
RAIMONDA — Questo è il punto.
LUCIANA — Anzitutto dobbiamo stabilire dove la nostra sconosciuta ha ricevuto il colpo di fulmine vedendo tuo marito.
RAIMONDA — Certo. Dove?
LUCIANA — In questi giorni siete andati a teatro?
RAIMONDA — Mercoledì scorso, al Teatro Impero. Col signor Tournel…il migliore amico di mio marito…
LUCIANA — Tournel?
RAIMONDA — Quello che ti ho detto che per poco diventava il mio amante.
LUCIANA — Ah, sì. Ottimamente. Ora vedrai. (Scrivendo): “Signore! vi ho visto mercoledì scorso al Teatro Impero ..”.
RAIMONDA (con una smorfia) — Non ti sembra un po’ freddo, per un colpo di fulmine?
LUCIANA — Un po’ freddo?
RAIMONDA — Sembra il verbale di un usciere. Io non so, ma credo che avrei scritto, così, brutalmente: “ Io sono quella che non ha tralasciato un istante di guardarvi, l’altra sera al Teatro Impero!”. E niente « Signore », niente! Via! Continuiamo.
LUCIANA — Ehi, ma tu hai la vocazione...
RAIMONDA (modesta) — Mio Dio, ti dico quello che scriverei...
LUCIANA — Bene, bene, siamo d’accordo. (Strappa dal blocco di carta il foglio cominciato, che lascia sullo scrittoio, e comincia subito a scrivere sul nuovo foglio di carta). “ Io sono quella che non ha tralasciato un istante di guardarvi... “.
RAIMONDA (dettando) — « ... l’altra sera al Teatro Impero » Così! E’ caldo! E’ diretto!
LUCIANA — E’ vissuto! (continuando) “... Voi eravate alla terza fila, a destra nel corridoio… con vostra moglie e con un signore...”.
RAIMONDA — Il signor Tournel.
LUCIANA (sempre scrivendo) — Sì, ma questo non deve dirlo la signora. (Tornando al testo della lettera) « ... Delle persone che mi erano vicine hanno fatto il vostro nome... ».
RAIMONDA (ripetendo come in un dettato) — “... hanno fatto il vostro nome...”.
LUCIANA (ripetendo anche lei e scrivendo) — “... nome... Così ho saputo chi eravate... “.
RAIMONDA — Come è semplice!
LUCIANA (scrivendo) — « Da quella sera, io penso sempre a te…non dormo più e, quando raramente riesco a riposare… non sogno che te... ti desidero come non ho mai desiderato un uomo…farei qualsiasi follia per averti…sei come una droga…Io sono un fuoco che divampa e potrebbe bruciare tutto il bosco…Tu solo puoi spegnere questo fuoco…».
RAIMONDA — Oh, oh! Non ti pare un po’ esagerato?
LUCIANA — Certo! Ma è quel che ci vuole! Queste cose sono sempre esagerate per gli altri, ma mai per noi stessi.
RAIMONDA — Se tu così credi, va bene anche per me…
LUCIANA (scrivendo) « Io sono pronta a fare una pazzia. Volete farla con me? Vi aspetto oggi alle cinque all’albergo della Micia Innamorata camera n…».
RAIMONDA — Proprio lo stesso albergo? Non diffiderà?
LUCIANA — Anzi! Ne sarà solleticato! Poi si troverà a suo agio…conosce tutti…gli inviano le bretelle a casa… Ma dobbiamo prenotare la camera… (prende il telefono , compone il numero e cambiando voce)) — « Parlo con l’ Albergo della Micia Innamorata…Mi occorre una camera matrimoniale per il pomeriggio…è possibile? Si va bene la n. 16...No non so a chi servirà la camera… io sono la cameriera…Ho avuto l’ ordine dal maggiordomo.Diranno : siamo i signori della camera n. 16…va bene? ».
LUCIANA (approvando col capo e scrivendo) — “OK.Camera n. 16! Grazie e buona giornata…no il prezzo non interessa…
RAIMONDA — Un po’ di tirocinio ci vuole.
LUCIANA (scrivendo) — « Una donna che vi ama e vi desidera e farà tutto per voi ». Fatto! Il profumo, adesso!
RAIMONDA (che ha sturato il flacone mentre Luciana scriveva) — Eccolo. (Le porge il flacone).
LUCIANA — Va bene. (Versa il profumo sulle sue dita e ne asperge il foglio).
RAIMONDA (si alza vedendo che il profumo ha fatto spandere tutto l’inchiostro) — Oh! L’ inchiostro non era asciugato del tutto…
LUCIANA (stesso gesto di disappunto di Raimonda) — Accidenti!
RAIMONDA — Bel lavoro!
LUCIANA — Sì.
RAIMONDA — Tutto da rifare.
LUCIANA — Aspetta! Ho un’idea. (Torna a scrivere). « Post scriptum. Perchè, scrivendoti, non posso trattenere le mie lacrime? Oh, fa che siano lacrime di gioia e non di disperazione ». (Parlato) Ecco fatto! E alla peonia azzurra! Via!
RAIMONDA — Uhm. Troverà che hai pianto molto, per essere una donna sola.
LUCIANA — Lascia andare. Gli sembrerà naturalissimo. E ora l’indirizzo. (Scrive sulla busta). “Signor Vittorio Emanuele Chandebise, Via Roma Brindisi. Personale..SPM…Sue proprie mani… “. (Si alza e passa sul davanti mentre chiude la busta). Ecco. Adesso ci occorre un fattorino. Puoi mandare qualcuno a cercarlo?
RAIMONDA (che ha chiuso lo scrittoio e lo sta rimettendo a posto) — Mi chiedevi se ho qualcuno? Certo. Ho te.
LUCIANA (seccata) — Io? Scusa sai...ma…
RAIMONDA — Ma è inevitabile! Cerca di capire. Io non posso mandare un domestico da un fattorino con questa lettera e dirgli che deve farla riportare a mio marito. Neppure io posso andare: se mio marito chiede al fattorino di descrivergli la signora e lui indica me, tutto va all’aria. Tu invece sei adattissima. Perfetta.
LUCIANA — Evviva.
RAIMONDA — E poi, sei la mia migliore amica, sì o no?
LUCIANA — Oh, sì. Ma ho idea che tu ne abusi. (Suona il campanello esterno).
RAIMONDA — Hanno suonato. Dev’essere mio marito. (Si avvia verso il fondo a sinistra e indica a Luciana la porta, ugualmente a sinistra) Svelta! Da qui, e poi per la porta a destra: ti troverai in anticamera.
LUCIANA (dal centro della scena si avvia alla parta indicata) — Va bene. A tra poco.
RAIMONDA — A tra poco. (Luciana esce, mentre Raimonda va a chiudere il suo flacone nel mobiletto a sinistra. In questo momento la porta del fondo si schiude e si scorge nel vestibolo Chandebise che parla con Etienne. Dietro di lui è Tournel).
CHÀNDEBISE (ancora col cappello in testa, a Etienne) — La dottoressa vi ha detto che sarebbe ripassata?
ETIENNE — Sì, signore.
CHANDEBISE — Benissimo. (A Tournel, che tiene in mano il suo cappello) Avanti, vecchio mio. (Lo fa passare. Tournel avanza o destra del tavolo di destra) Ti posso lasciare un momento? Devo firmare la posta.
RAIMONDA (che i due non avevano visto) — Camillo ti sta aspettando come se fossi il Messia.
CHANDEBISE (a sinistra e un po’ in avanti del tavolo di destra) — Oh, sei qui?
TOURNEL (da dov’è) — Buon giorno, cara signora.
RAIMONDA — Buongiorno, Tournel. (A suo marito) Sì, sono qui.
CHANDEBISE — Ho incontrato Tournel per la scala, così siamo saliti insieme.
RAIMONDA (indifferente) — Ah.
TOURNEL (tirando fuori delle carte dalla busta di pelle che ha portato e che posa sul tavolo) — Ti ho portato un elenco di nuovi clienti da assicurare.
CHANDEBISE — Ottimamente! Tra un po’ lo vedremo. (Parlando si tira su i pantaloni come chi è infastidito dalle bretelle).
RAIMONDA (alla quale il gesto non è sfuggito) —Perchè ti stai tirando su i pantaloni? Forse le bretelle ti danno fastidio?
CHANDEBISE — Sì.
RAIMONDA — Ma non sono quelle che ti ho comperato io?
CHANDEBISE — Sì, sì che lo sono.
RAIMONDA — Prima non ti davano fastidio.
CHANDEBISE — Le ho tirate troppo.
RAIMONDA (facendo mostra di avvicinarsi a lui) — Niente di grave, te le allento subito.
CHANDEBISE (rinculando istintivamente) — Ma no... no! Non è il caso, le allenterò io.
RAIMONDA (punta) — Ah?...Non vuoi che lo faccia io! Va bene, come vuoi tu(con acrimonia)
CHANDEBISE (a Tournel) — Ti chiedo scusa. Torno tra un momento.
TOURNEL — Vai pure, vai pure! (Chandebise apre la porta della camera di destra).
VOCE DI CAMILLO (che accoglie l’ingresso di Chandebise) — Ah.(guarda l’ orologio)
CHANDEBISE (seccato da questa esclamazione, il cui tono equivale a qualcosa come: « tu! oh, non sei davvero in orario! ») — Ebbene? Qualcosa che non va? Ho avuto da fare. (Esce e chiude la porta alle sue spalle).
TOURNEL (appena Chandebise è uscito, si precipita verso Raimonda, che è in fondo al palcoscenico, un po’ a sinistra) — Ah, Raimonda, Raimonda, questa notte vi ho sognata! E’ stato bellissimo…vi ho amato…in sogno..ma ora…nella realtà…potremo recitare il sogno…realizzare il sogno…
RAIMONDA (spezzandogli lo slancio) — Ah, no, amico mio, no. Grazie tante, ma no non è cosa…Accontentatevi di avermi avuta in sogno…E’ già molto… Mentre mio marito mi tradisce non posso davvero pensare di fare altrettanto.
TOURNEL (sbalordito) — Come? Cosa dite?
RAIMONDA — Certe cose vanno bene quando non si ha altro a cui pensare. Io ho altro a cui pensare…
TOURNEL — Ma Raimonda, Raimonda!... Mi avevate detto... Mi avevate fatto sperare...
RAIMONDA — Davvero? Può darsi. Ma non c’erano ancora state le bretelle. Ora che ci sono le bretelle... non si pensa più a noi!...si pensa solo alle bretelle…arrivederci…anzi addio. (Esce da sinistra).
TOURNEL (per un attimo è come abbrutito) — Raimonda! Beh, questa è grossa! Quali “bretelle”? Che cosa significano le “bretelle”? (parlando è arrivato alla sinistra del tavolo di destra).
CAMILLO (sulla soglia della porta di fondo a destra) — Signor Tournel! Mio cugino vi vuole.
TOURNEL (di cattivo umore) — Che cosa?
CAMILLO (sforzandosi, senza riuscirci, di articolare meglio le parole) — Mio cugino vi vuole.
TOURNEL (c. s.) — Io non capisco quello che dite. Quando vi deciderete a parlar chiaro?!
CAMILLO — Un momento! (tira fuori dalla tasca della giacca un blocco di carta, dal taschino una matita e, scandendo ogni sillaba, scrive): Mi-o cu-gi-no vi vuo-le. (e dà il foglietto a Tournel).
TOURNEL (leggendo) — « Mio cugino vi vuole ». E va bene. Non potevate dirlo? (sempre brontolando raccoglie le sue carte; la busta di pelle, invece, la lascia sul tavolo; esce dal fondo destra).
CAMILLO (appena Tournel è uscito) — Villano! (sempre parlando avanza fin quasi al proscenio) Un vero fenomeno, vi assicuro! Io mi disturbo per venirlo a cercare e lui sbraita. (In questo momento la porta di fondo si apre, e Etienne introduce Finache).
ETIENNE — Sì dottoressa, è tornato.
FINACHE — Bene.
ETIENNE — Vado ad avvertirlo. (intanto Camillo, che non li ha sentiti entrare, continua le sue lamentele).
CAMILLO — Quel che è troppo è troppo! Io gli dico, gentilissimo: « Tournel, mio cugino vi vuole ». Lui me lo fa ripetere, io allora glie lo scrivo, e lui ha la faccia tosta di rispondermi: «Non potevate dirlo? ». Benone. Non mi disturberò mai più per un simile porcospino!
FINACHE (che da qualche momento lo contemplava) — Caro Camillo, recitiamo dei monologhi adesso?
CAMILLO (ha un soprassalto) — Eh? Ah, siete voi, dottoressa? No, stavo brontolando contro un tipo che ce l’aveva con me per via...
FINACHE (che non capisce niente) — Sì, sì, non incomodatevi... (cambiando tono) A parte questa questione, che c’è di nuovo, piccolo demonio? Sempre baldorie?
CAMILLO (si avvicina vivamente a Finache, e, su un tono di voce più basso) — Oh, oh, zitta! Tacete!
FINACHE — Dimenticavo! Qui, voi passate per l’austero Camillo. E tenete alla vostra reputazione.
CAMILLO (sui carboni ardenti) — Vi prego!
FINACHE — Purtroppo, di fronte al proprio medico arriva sempre un’ora della vita in cui bisogna togliere le vesti al santarellino che ci siamo costruiti !... Vi assicuro che mi diverto molto, io che so tutto, quando vedo gli altri che si immaginano...
CAMILLO (ridendo verde) — Sì, si...
FINACHE — Ditemi, avete approfittato del mio consiglio?
CAMILLO — Quale?
FINACHE — Riguardo all’albergo della Micia Innamorata. Non potete amarvi con la vostra bella…in casa…il marito, il maggiordomo… può sorprendervi…e sarebbe una tragedia greca…Eschilo…Sofocle…Euripide…Se mi ascoltate…ci allontaniamo dalla tragedia e andiamo verso Aristofane…Menandro…Plauto
CAMILLO (angosciatissimo) — Oh, tacete!
FINACHE — Di che avete paura? Siamo tra amici!Alla micia innamorata ci siete andato o no?
CAMILLO (esita un secondo, getta uno sguardo a destra e a sinistra, poi, a voce bassa) — Sì.
FINACHE — Che cosa ne dite?
CAMILLO (estatico, volgendo gli occhi al cielo) —Oh! Tutto bene in quel senso…ma ho perdute le bretelle che mi ha regalato mio cuginoVittorio…
FINACHE — Eh?! Che cosa vi importa? Le ritroverete le bretelle... E anche se non le ritroverete che importanza possono avere le bretelle…di fronte alla realizzazione concreta dell’ amore…dell’ eros…Ma vi vedo imbarazzato. Su, andate ad avvertire vostro cugino.
CAMILLO (felice della diversione) — Benissimo. Benissimo.
FINACHE — Aspettate. Dimenticavo di darvi il vostro apparecchio.
CAMILLO (tornando indietro) — Quale apparecchio?
FINACHE (tirando fuori di tasca un piccolo astuccio) — Quello che vi avevo promesso... e che vi permetterà di parlare come tutti gli altri.
CAMILLO — Ah, sì! Lo avete lì?
FINACHE — Sì. Lasciate che vi spieghi. In voi, che cosa impedisce la facoltà di parlare? Un vizio congenito, la volta del palato che non ha avuto il tempo di formarsi. Per conseguenza i suoni, invece di trovare quella parete naturale che li fa rimbalzare all’esterno, si perdono nei condotti interni,
CAMILLO — E’ così.
FINACHE — Ebbene, io vi ho portato questa parete che vi manca. Guardate com’è graziosa, con che cura è presentata!
CAMILLO — Fate vedere!
FINACIIE (aprendo l’astuccio) — Un palato d’argento, caro mio, come nei racconti di fate.
CAMILLO (giungendo le mani ammirato) — Oh!
FINACHE — E in uno scrigno, signor mio... Non è da tutti, avere il proprio palato in uno scrigno!
CAMILLO — Finalmente potrò parlare!
FINACHE — Come?
CAMILLO — Finalmente... (vuol mettersi subito il palato in bocca).
FINACHE (glielo impedisce afferrandolo al pugno) — Non così. Prima dovete metterlo a bagno in un po’ d’acqua con acido borico.
CAMILLO — Avete ragione. Comunque, io dicevo... (articolando meglio che può) Finalmente potrò parlare?
FINACHE (che ha capito) — Ma certo potrete parlare! E come! Se avete del talento potrete persino recitare alla Comédie Francaise.
CAMILLO (radioso) — Ah!... Vado a metterlo subito nell’acqua. (va verso il fondo).
VOCE DI CHANDEBISE — Camillo!
FINACIIE — Vi chiamano.
CAMILLO — Ditegli che torno subito. (Sparisce dal fondo).
CHANDEBISE (entrando dal fondo destra) — Camillo!
FINACHE (andando verso di lui) — Torna subito: ha una piccola faccenda da sbrigare. (tendendogli la mano). Come va?
CHANDEBISE — Oh, dottoressa Finache, buongiorno. Sono proprio contento di vedervi, devo parlarvi.
FINACHE — Ero venuta poco fa: ve lo ha detto Etienne?
CHANDEBISE — Sì, sì. Per il certificato di de Histangua, vero? Sembra che abbia una salute di ferro.
FINACHE — Di acciaio…il ferro invecchia…arrugginisce…una salute d’ acciaio…l’ acciaio è sempre magnifico. Ecco il certificato. (Tira fuori di tasca un foglio e lo porge a Chandebise).
CHANDEBISE (prendendo il foglio) — Grazie.
FINACHE (sedendosi a sinistra del tavolo) — Di che cosa dovete parlarmi?
CHANDEBISE (sedendo in faccia a lui, a destra del tavolo) — Beh, io volevo... Ecco volevo consultarvi a titolo personale, su una questione un po’ delicata. Dottoressa, mi capita una cosa piuttosto strana….e mi imbarazza il fatto che non siete un uomo..ma dato che siete anche una lontana parente…
FINACHE — Il medico non ha sesso…è asessuato(cerca di abbottonare meglio la camicetta per la scollatura)Che cosa vi preoccupa?
CHANDEBISE — Come posso spiegarvi? Voi sapete che ho una moglie deliziosa.
FINACHE — Su questo siamo d’accordo.
CHANDEBISE — Bene. Poi, sapete che io non sono né un libertino né un dongiovanni a caccia di avventure…
FINACHE — Ah.
CHANDEBISE (leggermente seccato) — Come, ah? Perchè dite: “ Ah? ” Sì!
FINACHE — Amico mio, io non posso sapere i fatti vostri..le vostre esigenze in fatto di donne…
CHANDEBISE — Ve lo assicuro io. E a questo punto non vi meraviglierete se vi dirò che in mia moglie si riassumeva tutto: la sposa e l’amante... Il che significa che sono sempre stato per lei — tra noi posso vantarmene — un marito soddisfacente e molto soddisfatto da quel punto di vista…
FINACHE — Ah! Bene…ne ho molto piacere…la soddisfazione erotica fa anche bene alla salute…fisica e mentale…
CHANDEBISE — Vi assicuro. Soddisfacente e anche qualcosa di più!
FINACHE — Benissimo, benissimo. Mi congratulo. Solo, non vedo dove vogliate arrivare...
CHANDEBISE — Appunto, appunto... Eh, Dottoressa, non è facile!
FINACHE — Non è facile cosa?
CHANDEBISE — E’ imbarazzante... Io mi trovo... Io sono... Beh, sentite, vi racconto un fatto, un esimodio…un episodio, che vi illuminerà...
FINACHE — Benissimo! Coraggio!
CHANDEBISE — Ecco. Un bel giorno, o meglio una sporca notte... , io ero... molto affettuoso, come sempre. Mi ero espresso in questo senso con la mia signora . e lei aveva accolto favorevolmente la proposta... Ebbene tutto a un tratto, non so per quale ragione... mi è preso un malessere, una specie di stordimento,giramento di testa… e... e... capitemi, Finache... Insomma, mi sono sentito diventare bambino.., un piccolo bambino...
FINACHE — Povero amico mio!
CHANDEBISE — Potete dirlo, povero me: perchè ormai è finita. Io sono vittima di un’idea fissa. Non provo neppur più a lottare... Niente: bambino! Ho cinque anni…ho HI Hi(piange come un bimbo)
FINACHE — Via, alla vostra età!
CHANDEBISE — Oh, dottoressa, vi prego! Non è il momento di scherzare!
FINACHE (alzandosi) — Ma non vi aspetterete che prenda tragicamente il vostro caso! E’ un caso di tutti i giorni. Voi siete vittima di un semplice fenomeno di autosuggestione. Vincerlo dipende solo da voi. Un po’ di forza di carattere, perbacco! Volere è potere!
CHANDEBISE — Eh, eh!
FINACHE — Ma certo! Fidatevi di me!
CHANDEBISE (pensoso) —Non è facile quando non si sente più appetito…e si vede del buon cibo…Ma forse avete ragione….proverò ad autosu …autosuggestionarmi che ho fame…tanta fame…
FINACHE — A parte il lato psicologico, voi avete bisogno di sport, di ginnastica. Ora vi visiterò. E’ chiaro che lavorate troppo, state troppo chiuso in ufficio. ( lo afferra con le mani alle spalle e gli fa marcare il busto). Visto? Se aumentate la gobba…diminuite la superficie anteriore…Mi capite? Sono chiara?Avete una netta tendenza a ingobbirvi. (Passandogli davanti). Per questo vi ho ordinato le bretelle ortopediche. E magari non le avete messe…Pancia in dentro e petto in fuori…così dovete camminare…E le bretelle ortopediche dove sono?
CHANDEBISE (tirandosi su il gilet per far vedere le bretelle) — Sì sì che le ho messe! Anzi, per esser costretto a tenerle sempre ho persino regalato tutte le mie bretelle normali. Le ha ereditate mio cugino Camillo. Però, queste sono davvero brutte.
FINACHE — Bah. Le vedete solo voi .Le vecchie le avete regalate a vostro cugino Camillo.!(Ricorda che Camillo gli ha detto di averle perdute)Ben fatto! Queste se sono brutte non le vede nessuno…
CHANDEBISE — Magari! Poco fa mia moglie stava per scoprirle.
FINACHE — Non sarebbe stato un gran disastro!
CHANDEBISE (avviandosi a destra) — Grazie! Non mi manca che aggiungere questo ridicolo all’altro.
FINACHE (seguendolo) — Ah, voi mettete della vanità dove non dovrebbe essercene. (cambiando tono). Su, toglietevi la giacca e il pantalone…spogliatevi… Vi visito. (Mentre Chandebise si appresta a togliersi la giacca, la porta di fondo si apre e entra Luciana, introdotta da Etienne).
LUCIANA (a Etienne) — Avvertite la signora per piacere.
CHANDEBISE (ricomponendosi prontamente) — Oh!
ETIENNE — Sì, signora (esce).
CHANDEBISE (a Finache, passandogli davanti per avvicinarsi a Luciana) — Rimandiamo. (a Luciana). Voi, cara signora!
LUCIANA — Come state?
CHANDEBISE — Bene, come spero di voi. Siete venuta a trovare mia moglie?
LUCIANA — Torno, anzi. Ero uscita per una commissione, ma poco fa ero qui e ho visto Raimonda...e anche la signora …dottoressa…
FINACHE — Effettivamente.
CHANDEBISE — Allora non occorrono presentazioni... Aveva un aspetto nervoso?
LUCIANA (indicando Finache) -— Chi?
CHANDEBISE — No, mia moglie. Questa mattina non so cos’abbia: è da prendere con le molle.E’ isterica…
LUCIANA — Non mi è sembrato.
CHANDEBISE — Meglio così.
RAIMONDA (comparendo dalla porta di destra) —Ah, eccoti!
LUCIANA (andando verso di lei) — Ti risaluto.
RAIMONDA (a voce bassa) — Fatto?
LUCIANA (anche lei a voce bassa) — Fatto. E’ già qui.
RAIMONDA — Bene.
ETIENNE (portando la lettera sul vassoio) — Signore!
CHANDEBISE — Che c’è?
LUCIANA (a bassa voce a Raimonda) — Ci siamo!
ETIENNE — Un fattorino ha portato una lettera personale per il signore.
CHANDEBISE — Per me? (alle due donne). Permettete? (tira fuori i suoi occhiali, se li mette sulla punta del naso, apre la lettera, poi, dopo averla letta, non può reprimere un’esclamazione di sorpresa) Ma guarda un po’!
RAIMONDA (pronta) — Cosa c’è?
CHANDEBISE — Niente.
RAIMONDA (perfida) — Non sarà una seccatura?
CHANDEBISE — Oh, no, no... E’... è un affare di lavoro..assicurazioni.
RAIMONDA (secca) — Ah! (a Luciana, a voce bassa, furiosa) Andiamo! Mi sembra che tutto sia chiaro! (escono da sinistra).
CHANDEBISE (a Finache, mentre si avviano verso sinistra) — Incredibile, mia cara, incredibile! Voi donne siete sorprendenti! Non indovinereste mai quel che mi capita.
FINACHE — Cosa vi capita?
TOURNEL (comparendo sulla porta di destra, con il suo dossier in mano) — Di’! Ti rendi conto che mi hai piantato di là...
CHANDEBISE — Vieni qui. Arrivi a proposito.
TOURNEL (venendo avanti e posando, mentre passa, il suo dossier sul tavolo) — Che cosa c’è? (a Finache) Buongiorno, dottoressa
FINACHE — Buongiorno, Tournel.
CHANDEBISE — Ragazzi miei, tenetevi forte! (dosando il suo effetto). Ho provocato... una passione fulminea.
FINACHE — Voi?
TOURNEL — Tu?
CHANDEBISE — Vi ho messi a terra, eh? (passando fra i due). Sentite! Non invento niente. (Legge dando rilievo ad ogni parola) « Io sono quella che non ha tralasciato un istante di guardarvi, l’altra sera al teatro impero ... ».
TOURNEL — Tu?
FINACHE — Voi?
CHANDEBISE (pavoneggiandosi) — Io, voi! Esatto! Non ha tralasciato un istante di guardarmi!
TOURNEL — Accidenti, che donna!
CHANDEBISE (stringendogli la mano) — Grazie!
TOURNEL (gli prende la lettera e continua lui la lettura) — « Voi eravate in un palco con vostra moglie e un signore... ».
CHANDEBISE — E un signore! Sei tu: « E un signore. », cioè X..., non play boy, ma … entità trascurabile, polvere.
TOURNEL — Hai finito?
CHANDEBISE — Aspetta, aspetta. (gli riprende la lettera e legge) “ Delle persone che mi erano vicine hanno fatto il vostro nome, così ho saputo chi siete... “.
TOURNEL (con stizza) — Che astuzia!
CHANDEBISE — ...”da quella sera, io non sogno che voi... “.
I DUE (non riescono a riaversi) — Ma no!
CHANDEBISE (pavoneggiandosi sempre più) — Non sogna che me! (dando un colpo a Tournel) Capito, Tournel?
TOURNEL — Ma come, c’è scritto così?
CHANDEBISE (con aria di sufficienza, facendo constatare sulla lettera) — Ma sì, vecchio mio! C’è scritto così.
FINACHE (di fronte all’evidenza) — C’è scritto.
TOURNEL (che continua a non rendersi conto) —Dio, quant’è curioso. (a Finache) Non vi sembra?
FINACHE (non sapendo che cosa rispondere) —Beh, tutto è possibile.
TOURNEL — Si capisce. (beffardo) Dipende dalla digestione.
CHANDEBISE (prosegue la sua lettura) — “Io sono pronta a fare una pazzia. Vuoi farla con me?” (parlato) Povera piccola. Cade bene! (a Finache) Eh!, dottoressa?
FINACHE — E perché?
CHANDEBISE — Dopo quello che vi ho confessato... I biscotti saporiti capitano sempre a chi non ha denti…
FINACHE (nancurante) — Bah! (va a sedersi a destra del tavolo).
CHANDEBISE (leggendo) — «Ti aspetto oggi alle cinque all’albergo della Micia Innamorata, MIAO…MIAO camera n. 16 ».
FINACHE (ha un soprassalto) — All’albergo della Micia Innamorata?
CHANDEBISE (andando sino alla sinistra del tavolo) — Sì.
FINACHE — Oh, bene! La signora se ne intende, ha pratica!
CHANDEBISE — Perché? Forse questo albergo... Guarda che cosa significa essere un’anima candida. Io non lo sapevo.
FINACHE — Neppure voi, Tournel?
TOURNEL (imbarazzato …mentre va oltre la tavola, trovandosi così in mezzo ai due) — Conosco quell’albergo di nome, nient’altro.
CHANDEBISE (improvvisamente) — Oh, amici miei!
I DUE — Cosa c’è?
CHANDEBISE — Essa ha pianto.
I DUE — No!
CHANDEBISE — Proprio! Ha pianto! Sentite. (leggendo) «Post-scriptum. - Perché, scrivendoti, non posso trattenere le mie lacrime? Oh, fa che siano lacrime di gioia e non di disperazione ». Povero cuoricino! E non è da dire che finga. Guardate questo foglio: inondato. (mette la lettera sotto il naso di Tournel che è in piedi, le due mani appoggiate sul tavolo).
TOURNEL (annusando la lettera) — Ah, ragazzi miei!
I DUE — Cosa?
TOURNEL — Che cosa avrà messo nelle sue lacrime per farle così profumate? (viene in avanti al centro della scena).
FINACHE — Silenzio! La lacrima ha il suo segreto, la lacrima ha il suo mistero! Rispettiamo questo mistero.
CHANDEBISE (alzandosi) — Scherzate pure!... Ah!, mio vecchio Tournel, anch’io desto delle passioni. E così, mentre ce ne stavamo a teatro, tranquilli, senza sospettar nulla, una donna ci divorava con gli occhi.
TOURNEL — Ecco.
CHANDEBISE (a Tournel) — Tu non hai notato se una donna ci faceva l’occhietto?
TOURNEL — No!... Cioè, mi è sembrato, un momento, ma credevo che fosse per me, e allora...
CHANDEBISE — Ah, a te è sembrato... (cambiando bruscamente tono) Oh, triplo idiota che sono! Ma è chiaro, è chiarissimo!
I DUE — Cosa succede?
CHANDEBISE — Non l’ho colpita io, ma tu!
TOURNEL — Io?
CHANDEBISE — Sicuro! Ti ha scambiato per me! Qualcuno avrà fatto il mio nome guardando verso il palco, e lei, che naturalmente aveva occhi solo per te...
TOURNEL (vanesio) — Credi?
CHANDEBISE — E’ così!
TOURNEL (c. s.) — Certo che probabilmente... Eh, sì.
CHANDEBISE — Ma guardami! Sono in grado di provocare amori improvvisi, io? Tu invece.., ma si capisce, è il tuo compito. (a Finache) E’ il suo compito. (a Tournel) Tu hai l’abitudine di far girare la testa alle donne! Sei bello, tu! E sei simpatico…sempre sorridente…e ipnotizzi le donne…
TOURNEL (lusingatissimo, schermendosi solo per la forma) — Ma via! Ma cosa dici!
CHANDEBISE — Sicuro, sicuro! Non è un mistero.
TOURNEL — No, no. Si potrà dire che ho dello charme, ecco.
CHANDEBISE — Là! Ha dello charme, lui! Ah, civettone!Tu le donne le soggioghi..coarti la loro volontà…le plagi..le ipnotizzi…anche a distanza notevole…in teatro… Delle donne si sono perfino suicidate per te! E’ vero o no?
TOURNEL (modesto) — Oh... una, una sola.
CHANDEBISE — Ti par niente?
TOURNEL — E poi ora sta benissimo.
CHANDEBISE — Questo non vuol dire.
TOURNEL _-Devo aggiungere che la cosa è contestabile. Si è avvelenata mangiando molti frutti di mare.
I DUE — Frutti di mare?
TOURNEL — L’avevo appena lasciata e così lei ha sparso la voce che era stato per il dolore... Ma ha un bel dire, quando si vuol morire non si scelgono i frutti di mare... E’ troppo aleatorio.
CHANDEBISE (categorico) — Lasciamo andare! Non si può aver dubbi, questa lettera porta il mio nome, ma è indirizzata a te.
TOURNEL (esitante, a Finache) — Voi cosa ne pensate?
FINACHE (spalancando le braccia e non volendo prender partito) — Oh... io...
CHANDÈBISE — Ma sì, ma sì! E poiché la lettera è tua, andrai tu!
TOURNEL (difendendosi senza convinzione) ,— Ma no! No!
CHANDEBISE — Anzitutto io questa sera non sono libero: offriamo un banchetto al direttore della Sede Americana e quindi...
TOURNEL — No, senti, davvero...
CHANDEBISE — Ma smetti! Muori dalla voglia di andare!
TOURNEL — Credi?
CHANDEBISE — Toh, guarda il tuo naso! Preme!
TOURNEL (storcendo gli occhi per guardarsi ti naso) — Freme! Il mio naso! E va bene! Accetto!
CHANDEBISE (mollandogli una pacca amichevole su una spalla e facendolo passare al centro) — Ah, civettone! (risale un po’).
TOURNEL — Tanto più che la cosa mi garba. (a Finache) Ho appena rotto una relazione in vista di un’avventura su cui contavo e che per il momento ho dovuto rimandare.
CHANDEBISE (che è di nuovo avanzato e si trova fra i due) — Ah, con chi?
TOURNEL (interdetto dalla presenza di Chandebise) — Ma con... Ehm... Non posso dirtelo! (passa a destra).
CHANDEBISE (a Finache, scimmiottando Tournel) —Non può dirmelo! (a Tournel) Ah, Casanova…anzi Dongiovanni! Ha una connotazione meno positiva…
TOURNEL — La tua sconosciuta mi servirà da interregno.
CHANDEBISE (su un tono brillante) — Felicissimo di cedertela.
TOURNEI. (imitandolo) — Non si può essere più amabili. (senza transizione) Su, dammi la lettera!
CHANDEBISE — Come? Ah, no! Del resto a che ti serve? Tu devi semplicemente andare all’albergo in questione e chiedere della camera prenotata n.16. Capisci, lettere come queste non ne ricevo spesso. Voglio, che un giorno i miei nipotini - ammesso che riesca ad averne - possano trovare questa lettera fra le mie carte e dirsi: «Doveva essere davvero bello, simpatico, affascinante… il nonno e anche molto intellegente, se svegliava passioni come questa! ». Sarò bello almeno per i posteri!... Su, dottoressa, venite a visitarmi.
TOURNEL (avviandosi dietro di lui) — E le firme? (E’ passato oltre il tavolo e mostra il suo dossier).
CHANDEBISE — Due minuti e sono da te. Venite in questa camera, Finache, nessuno ci disturberà.
FINACHE — Come preferite. (escono da destra, primo piano).
TOURNEL (sempre col suo dossier in mano, brontolando) — Due minuti! Due minuti! Doveva anche farsi visitare... (dopo un momento, con un sorriso di compiacimento). L’albergo della Micia Innamorata!... Chi sarà questa micia che si è innamorata di me?
RALMONDA (ha il cappellino in testa) — Il signor Chandebise non c’è?
TOURNEL — E’ di là con la dottoressa. Volete che lo chiami?
RAIMONDA — (subitanea)A far che?(comprendendo) Si fa visitare dalle donne il signore…ci volevano anche i medici femmine…Io per me voglio un medico maschio… No, no, non disturbatelo! Quando lo vedrete, ditegli per piacere che io esco con la signora Luciana De Histangua... e che non stia in pensiero se rientrerò tardi: probabilmente pranzerò con la mia amica.
TOURNEL — Beh, credo che anche lui rientrerà tardi.
RAIMONDA (subito) per confonderlo) — E perché?
TOURNEL (che non scorge nessuna malizia nella domanda) — Se non. sbaglio, mi ha detto che questa sera ha un banchetto per il suo direttore d’America.
RAIMONDA — Ah, vi ha detto così? Non mi dispiace saperlo, ma è falso, perchè il banchetto sarà domani. Ho visto l’invito con i miei occhi!
TOURNEL — Allora ha sbagliato giorno. Vado ad avvertirlo. (fa cenno di andare da Chandebise).
RAIMONDA (fermandolo con un gesto) — No, no. Non ha sbagliato giorno. Risparmiate il vostro zelo. L’errore è assolutamente intenzionale, lui vuole un alibi che gli permetta di tornare a casa questa sera e di affermare che ha confuso le date... So io come regolarmi.
TOURNEL (volendo por riparo alla sua goffe) —Ma vi assicuro che era sincerissimo! Andiamo, non ha nessuna ragione di raccontare delle bugie a me.
RAIMONDA — E a me sì, invece, vero?
TOURNEL — Eh!, già. Cioè, no. Niente affatto! Voi volete farmi dire cose che non ho detto e che non penso.
RAIMONDA — Poverino! Ma credete che non abbia capito il vostro gioco? Voi sapete che adesso che mio marito mi tradisce non potete sperar nulla da me, e allora vi credete furbissimo tentando di persuadermi che è il più fedele degli sposi.
TOURNEL — Vi giuro che sono sincero.
RAIMONDA — Sì? Tanto peggio. Per me sarà come se non lo foste... Addio. (si avvia a sinistra).
TOURNEL (tentando di fermarla) — Raimonda!
RAIMONDA — Paraninfo! (ed esce sbattendogli la porta sul viso).
TOURNEL (che istintivamente ha fatto un salto indietro, interdetto) — Paraninfo! Mi ha detto paraninfo! Oh!
CAMILLO (arriva dal fondo con un bicchiere pieno d’acqua e una bustina di acido borico. Il bicchiere non è a calice ed è colorato) — Oh, signor Tournel! Siete di miglior umore?
TOURNEL — Toglietevi dai piedi! (parlando, Tournel è passato davanti a Camillo ed è uscito da destra, secondo piano).
CAMILLO (è rimasto un attimo mogio mogio, poi) Che bestione! (va al di là del tavolino, poi, stando di fronte al pubblico, posa il bicchiere sul tavolo e apre la bustina dell’acido borico). Quanto mi è stato difficile trovare l’acido borico... (versa il contenuto della bustina nel bicchiere, poi prende il bicchiere con una mano e il suo palato d’argento con l’altra; lo tiene un momento tra l’indice e il pollice, come l’ostia sopra il calice, poi, con amore) Bagnati, palato mio, bagnati... (stacca l’indice dal pollice e il palato cade nel bicchiere, Camillo agita il bicchiere e lo fa riposare).
ETIENNE (annunciando) — El señor Don Homenidès de Histangua.
HOMENIDES (entrando spavaldamente in scena) —Yo ve saludo!
CAMILLO (salutando) — Ah, il signor De Hìstangua!
HOMENIDES — El señor Chandebisse, non c’è?
CAMILLO — Sì, sì. Mio cugino è occupato col dottore, ma sarà qui tra un attimo.
HOMENIDES — Ah, bueno! Bueno! (in questo momento la porta di destra si apre e appaiono Finache e Chandebise).
CAMILLO — Eccoli qui!
FINACHE (avviandosi verso l’estrema destra come chi voglia andarsene) — Insomma, dovete far solo quello che già vi avevo detto e se volete un poco di peperoncino…aiuta e fa bene…è un afrodisiaco naturale…
CHANDEBISE —(cerca di cambiar discorso vedendo lo spagnolo) Benissimo, siamo d’accordo.
HOMENIDES — Caro amigo... yo sono el vuestro servidor.
CHANDEBISE — Ah, mio caro... Come state?
HOMENIDES — Bueno, bueno! E il nostro dottore anco? La salute è buena?
FINACHE — Buonissima! Della vostra è inutile chiedere! Scusatemi, stavo uscendo.
HOMENIDES — Ma yo ve prego!
FINACHE — Arrivederci!
TUTTI — Arrivederci!
HOMENIDES (appena Finache è uscito) — Por favore, la mia spossa è aqui?
CHANDEBISE — Sì, sì. Con mia moglie.
HOMENIDES — Yo lo supponevo. Me aveva detto que me avrebbe anticipato.
CHANDEBISE (guarda Homenides stupito) — Vi avrebbe cosa?
HOMENIDES — Se comprende. Es venuta?
CHANDEBISE — Ah. Vj aveva detto che vi avrebbe preceduto.
HOMENIDES — Non è la stessa?
CHANDEBISE — Sì, sì... Volete che la faccia chiamare?
HOMENIDES — No! Yo la vedrò tra un momento. Ah, Chandebisse, yo fui esta mattina en l’ufficio della vuestra Compagnia. Yo vidi vostra doctoressa
CHANDEBISE — Me lo ha detto.
HOMENIDES — Sì, sì. Ei me ha fatto urinare.
CHANDEBISE — Come?
HOMENIDES — Fare pippi, fare pippi!
CHANDEBISE (capendo) — Ah, sì, certo.
HOMENIDES — Por que, questo?
CHANDEBISE — Che cosa?
HOMENIDES — Por que me ha fatto fare pippi?
CHANDEBISE — Diamine. Bisognava stabilire se siete in grado di farvi assicurare.
HOMENIDES — En que lo riguarda? Non me aseguro io, ma mia moglie.
CHANDEBISE (interdetto) — Ma voi non me lo avevate detto.
HOMENIDES — Yo ve dissi: yo voglio fare una asegurazione !... Voi no me avete chiesto por qui.
CHANDEBISE (gioviale) — Beh, il piccolo equivoco è facilmente rimediabile... La signora Homenides dovrà soltanto andare nell’ufficio della Compania e...
HOMENIDES — E que cossa? Le faranno fare como a yo?
CHANDEBISE — Eh, si capisce...
HOMENIDES (freddissimo, molto teso e netto) —Yo no lo voglio!
CHANDEBISE — Ma...
HOMENIDES (alzando a mano a mano il tono) —Yo no lo voglio! Yo no lo voglio! (L’ultimo « Yo no lo voglio» è molto scandito e rilevato) Yo no lo voglio! (parlando passa davanti a Chandebise).
CHANDEBISE — Signor Homenides, andiamo !... Bisogna essere ragionevoli: è la regola!
HOMENIDES (fa un brusco voltafaccia che lo porta petto a petto con Chandebise; violento) — Le regole, io le spezzo. Yo l’ho fatta pippi por lei.
CHANDEBISE (con grande energia) — Ah, no, no! Non è possibile!
HOMENIDES (ritornando a destra) — Bueno! Es semplice: no sarà asegurata.
CHANDEBISE — Siete così geloso?
HOMENIDES — No es gelossia. Yo trovo esto abbassamento de degnidad.
CHANDEBISE — E’ un pregiudizio!
HOMENIDES — Gelosso, yo! Oh, no, yo no lo sono.
CHANDEBISE (sforzandosi di essere amabile) —Perchè siete ben sicuro della fedeltà della signora Luciana De Histangua, eh? Del resto, non c’è da stupirsi.
HOMENIDES — No c’entra nada. Solo, yo so que ella sa que yo sarei terrible. Ella non oserebbe mai!
CHANDEBISE — Oh!
HOMENIDES (tirando fuori dalle tasche di sx un coltello e da dx una pistola che brandisce tenendo la canna verso Chandebise) —Vedete esti cincilli?
CHANDEBISE (proteggendosi istintivamente con la mano, e correndo intorno a Homenidés come intorno a un asse, al fine di evitare la canna della pistola; e così passa a destra) — Eh, là, là! Piano! Via, via! Non scherzate con queste cose!
HOMENIDES (alzando le spalle) — No c’è pericolo. E’ todo in sigurezza.
CHANDEBISE (non molto rassicurato) — Sì, ma sapete...
HOMENIDES (a denti stretti) — Si yo la prendessi con on señor, ah, ah, el señor! Avrebbe subito una balla... nella schiena!... que riuscirebbe fuori... dalla schiena.
CHANDEBISE (sbalordito) — Eh? A lui?
HOMENIDES (brutale e quasi gridato) — No! A ella!
CHANDEBISE — Ah, ah !... Sì, sì!!! Ehm, perchè voi supponete che... (gesto delle mani per indicare due individui vicini).
HOMENIDES — Que cossa? Yo suppongo?... Ah, yo suppongo?
CHANDEBISE (volendo evitare di metterlo totalmente in collera) — No! Niente, niente!
HOMENIDES (più calmo) — Yo le ho fatto avvertimento nella nostra prima noche di nozze.
CHANDEBISE (a parte) — Graziosa dichiarazione!
HOMENIDES (rimettendosi in tasca la pistola e il coltello e andando a sinistra) — Oh, ella no se azzarderebbe.
TOURNEL (comparendo sulla porta di destra) —Allora, vogliamo lavorare?
CHANDEBISE — Un momento, scusa.
TOURNEL — Ah, no. Non posso davvero aspettarti ancora. Ho dell’altro da fare!
CHANDEBISE — Ma sono subito da te! Prepara intanto i contratti.
TOURNEL (un po’ seccato) — Oh! (Ritorna nella stanza da cui era uscito, chiudendosi la porta alle spalle).
HOMENIDES — Qui es quest’uomo?
CHANDEBISE — Il signor Tournel.
HOMENIDES — Tournel?
CHANDEBISE — Un mio amico, che è anche produttore della Compagnia di assicurazioni.
HOMENIDES — Ah!
CHANDEBISE (credendo che Tournel sia ancora nella stanza, e volendo presentarlo) — Un adorabile ragazzo! Il signor Tournel!... Toh, non c’è più! Ha un solo difetto: civetta come una ragazza!
HOMENIDES (con indulgenza) — Pfi!
CHANDEBISE — A proposito, ha una gran fretta di andarsene perchè una donna lo aspetta.
HOMENIDES (ridendo) — Ah.
CHANDEBISE – (un po’ fatuo) Ho detto “lo aspetta”, ma forse aspetta me... (dal taschino della giacca tira fuori a metà la lettera, che, parlando, accarezza compiaciuto con la mano) Perchè a me lei ha scritto una bruciante lettera d’amore!
HOMENIDES (interessato) — Es verdad! (Spinto dalla curiosità). E qui è esta donna?
CHANDEBISE — Non lo so! Non ha firmato. (tira fuori del tutto la lettera).
HOMENIDES (profondo) — Probabilmente qualche anonima.
CHANDEBISE — Lo penso anch’io. Dev’essere una donna della buona società... una donna sposata.
HOMENIDES — Da que cossa lo arguziate?
CHANDEBISE — Pardon?
HOMENIDES (ripetendo a voce più alta) — Da que cossa lo arguziate?
CHANDEBISE (ripetendo macchinalmente) — Da che cosa lo arguzia? Beh, anzitutto dallo stile, dal tono. Le
cocottes sono meno sentimentali e più positive. Del resto, se volete farvi un’idea... (ha spigato la lettera e la porge vanitoso a Homenidés)
HOMENIDES (prende la lettera ridendo) — Allora in esta faccenda c’è un cornuto.
CHANDEBISE — E ne ridete?
HOMENIDES (giubilante, con voce di testa) — Yo me diverta! Come me gusta!
CHANDEBISE — Animo malvagio.
HOMENIDES (scorre con lo sguardo la lettera e getta un grido) — Ah!
CHANDEBISE (stupito) — Cosa c’è?
HOMENIDES (sbotta, percorrendo il palcoscenico a grandi passi fino a arrivare all’estrema sinistra) —Caramba! Hija de la perra que te parrò!
CHANDEBISE — Ma che cosa avete!
HOMENIDES — La scrittura de mia moglie e ancho le parfum…
CHANDEBISE (sobbalzando) — Cosa dite?
HOMENIDES (piombando su di lui e schiacciandolo contro il tavolo) — Ah! Misserabile! Canaglia!
CHANDEBISE (tentando di liberarsi) — Eh, là! Eh, là!
HOMENIDES (con una mano lo tiene alla gola, con l’altra cerca la pistola, che tiene nella tasca dei calzoni) — Il mio bulledogh! Dov’è il mio bulledogh?
CHANDEBISE (cercando istintivamente per terra intorno a lui) — C’è un cane?
HOMENIDES (tirandolo fuori la pistola) — Ah, eccula!
CHANDEBISE (alla vista della pistola puntata addosso a lui) — Mavia! Ma andiamo!
HOMENIDES (alza il cane, e toglie la sicura della pistola, sempre tenendo Chandebise contro il tavolo per mezzo di un ginocchio che gli ha piantato nel ventre) — Ah! La signora te scrive!
CHANDEBISE (riuscendo a liberarsi e guadagnando la destra passando davanti ai tavolo) — Ma no! Ma no! Anzitutto non si tratta certo di vostra moglie! Al giorno d’oggi le donne hanno tutte la stessa scrittura.
HOMENIDES (spostandosi un po’ a sinistra) — Yo la conosse!
CHANDEBISE — E poi, in fondo, che c’entro? Non ci vado io, ci va Tournel.
HOMENIDES — Tournel? Quale? L’uomo che era aqui adesso? Bueno! Lo ammazzerò!
CHANDEBISE (va prontamente fino alla porta di fondo a destra, passando per il lato destro del tavolo) — Eh? Ma no! Non è ancora accaduto niente!... Vado subito io a avvertire Tournel e tutto va a posto.
HOMENIDES (che è risalito parallelamente a Chandebise, ma, più svelto di lui, gli sbarra il passo) — Yo ve lo proibisco! Yo voglio lasciar consumare la cossa! Yo ho la prova, poi yo ammazzo!
CHANDEBISE (cercando di rabbonirlo) — Andiamo, Histangua! (In questo momento si ode il brusio delle voci di Luciana e di Raimonda).
HOMENIDES (spingendo Chandebise verso la porta di destra in primo piano e minacciandolo con la pistola) — Sento la voce de mia moglie! Entra qui tu!
CHANDEBISE — Histangua, amico mio!
HOMENIDES (feroce) — Yo te sono tuo amigo, ma yo te ammazzo como un cane. (Chandebise vorrebbe parlare) Andate! Andate o yo sparo!
CHANDEBISE (non se lo fa dire due volte e sparisce attraverso la porta che Histangua gli indica) — No! No! (Homenides dà un giro di chiave, poi si terge la fronte; sta quasi soffocando).
LUCIANA (giunge in scena seguita da Raimonda) — Ah, eravate qui, marito mio.
HOMENIDES (sforzandosi di sembrare calmo) —Sì, yo ero aqui. Yo ero aqui.
RAIMONDA (passando davanti a Luciana per andare incontro a Homenides) — Oh, buongiorno, signor Histangua.
HOMENIDES — Buongiorno, signora... State bene, sì?... Il marido?...
RÀIMONDA — Bene, grazie.
HOMENIDES — E i bambini?
RAIMONDA — Veramente.., non ne ho.
HOMENIDES — Peccato!... Bueno, sarà por un’altra volta.
RAIMONDA (ridendo) — Certo, certo!
LUCIANA (che da qualche istante lo osserva) —Che cosa avete?
HOMENIDES (con rabbia contenuta) — Yo no tiengo nada.
LUCIANA (poco convinta) — Ma! Io esco con Raimonda. Non avete bisogno di me?
HOMENIDES (c. s.) — No, no! Andate, ve prego... Andate!
LUCIANA — Allora, arrivederci.
RAIMONDA — Arrivederci, caro signore.
HOMENIDES (rabbioso) — A rivedervi, signora, a rivedervi.
LUCIANA (che vuoi mettersi il cuore in pace) —Que tienes, querido mio? Por que me pones una cara asì?
HOMENIDES (tanto più nervoso quanto meno vuoi dimostrare d’esserlo) — Te aseguro que no tiengo nada.
LUCIANA — Ah! Jesus! Que caracter tan insoportable tienes! (Le due donne escono).
HOMENIDES (appena sono uscite, sbotta) — Oh! Sin verguenza! Oh! La garça! La garça! La garça! (E’ arrivato all’estrema destra quando sente tambureggiare alla porta di destra, primo piano. Raggiunge con un balzo la porta). Basta! Basta o sparo! (Il rumore cessa. Homenides rimonta nervosamente per la destra e arriva in prossimità della porta di fondo quando questa si apre per dare passaggio a Tournel).
TOURNEL — Il signor Chandebise non c’è?
HOMENIDES (a parte, digrignando i denti) — Ecco aqui l’altro, el Tournel. (A voce normale, con dei sorrisi sotto i quali si avverte la voglia di mordere). No, señor, no, non è aqui.
TOURNEL (senza accorgersi dello stato in cui si trova Homenides) — Va bene. Se lo vedete, potete per cortesia dirgli che ho lasciato tutti i contratti sulla sua scrivania e che dovrà soltanto prendersi nota dei nominativi?
HOMENIDES (piantato bene in faccia a Tournel) —Sì, señor, sì.
TOURNEL — Quanto a me... non posso aspettarlo ancora.
HOMENIDES (nervosissimo dietro il velo della sua falsa amabilità) — Va bene, andate!
TOURNEL (stupito) — Come?
HOMENIDES (non controllandosi più) — Andatevene o yo ve...! (Le sue mani, assai vicine al collo di Tournel, si contraggono come se volesse strangolarlo).
TOURNEL — O voi mi, che cosa?
HOMENIDES (riuscendo con un ultimo sforzo a padroneggiarsi) — Ma niente señor, proprio niente. (Molto amabile) Andate, andate.
TOURNEL — Ah. (Avviandosi) Che strano tipo. (Salutando). Signore! (E esce dal fondo).
HOMENIDES — Ah, scoppio! (Scorge il bicchiere che conteneva il palato di Camillo e vi si dirige di corsa)- Ah! (Ne beve avidamente il contenuto)— Ah, esto asse bien. (subito si rende conto dello strano gusto di ciò che ha bevuto). Puah! Cossa hanno puesto por farlo tanto salato? (Posa con disgusto il bicchiere vuoto sul tavolo e viene in avanti dall’estrema destra).
CAMILLO (compare dal fondo destro e viene in avanti lungo il lato sinistro del tavolo) — Il signor Histangua, tutto solo?
HOMENIDES (fa un balzo verso di lui) — Oh, voi! (Si calma subito). Arrivate opportuniamente. Yo vado via.
CAMILLO — Ah.
HOMENIDES — Dopo que yo sarò andato via (indica la porta destra in primo piano) quella porta, visto? Yo ve autorizzo: potete aprire al vuestro padrone. Via! (Parlando lo ha preso per i risvolti della giacca e lo fa passare a sinistra).
CAMILLO (turbato dagli scossoni che ha ricevuto) - Come, al mio padrone?
HOMENIDES (con rabbia, raggiungendo la porta di fondo a grandi passi) — Oh! Sin verguenza! Como podria imaginarme que mi mujer tenesse un amante! (E esce come un energumeno).
CAMILLO (dopo averlo guardato uscire, con aria a metà spaventata e a metà divertita, scimmiottandolo) — Que mi mujer tenesse un amante! (Ridendo) Non si capisce una parola di quel che dice! (Andando verso la porta di destra, primo piano) Al mio padrone? Quale padrone? (Apre la porta; vedendo apparire Chandebise. che ha l’aspetto disfatto, indietreggia) Tu?
CHANDEBISE (ancora pieno di paura, non osa avventurarsi nella camera) — E’ andato via?
CAMILLO — Chi?
CHANDEBISE (sempre sotto lo stipite della porta) — Ho... Homenidès?
CAMILLO — Sì!
CHANDEBISE (c. s.) — E la signora Homenidès?
CAMILLO — Anche lei, con Raimonda.
CHANDEBISE — Bene... E Tournel?
CAMILLO — E’ appena uscito.
CHANDEBISE (passando davanti a lui) — Accidenti! Questo è grave. Non c’è un momento da perdere! Chi si può mandare ad avvertirli che lui gli piomberà addosso? (Trovando) Ah, Etienne.
CAMILLO — Dove si deve mandare?
CHANDEBISE — Ehm, al coso, all’affare là... Insomma, so io. (Prendendolo per i risvolti della giacca). Siamo su un vulcano! Si prepara un dramma spaventoso, un doppio assassinio forse!
CAMILLO (sobbalzando) — Ma che cosa dici?
CHANDEBISE — Vediamo. Ma sì! Prima del banchetto io ho, il tempo di andare fino da Tournel! Tu aspettami! E dammi il mio cappello! Dov’è il mio cappello? (Passa a destra).
CAMILLO — Mio Dio, che cosa succede?
CHANDEBISE (in fretta) — Non ho il tempo di spiegarti. Senti: se durante la mia assenza Tournel tornasse qui per un motivo qualunque, digli che non vada assolutamente all’appuntamento che lui sa... E’ in gioco la sua vita!
CAMILLO (ha un sobbalzo) — La sua vita!
CHANDEBISE — Hai capito bene? La sua vita!
CAMILLO (affannatissimo) — Sì, sì, la sua vita!
CHANDEBISE — Che tragedia, mio Dio, che tragedia! Eschilo, Eschilo…Qui si Sofloce…Attenti alle scale che sono Euripide..(il senso è: Eschino, eschino..che qui si soffoca, attenzione alle scale che sono ripide-Esce da destra, primo piano).
CAMILLO (avviandosi verso sinistra) — Perbacco! Che cosa diavolo hanno tutti quanti, oggi? Tutti pazzi!
TOURNEL (facendo una brusca apparizione sulla porta di fondo) — Devo aver lasciato la mia busta qui.
CAMILLO — Tournel!
TOURNEL (prendendo la sua busta sul tavolo) —Ah, eccola!
CAMILLO (balza verso di lui precipitoso e incomprensibile) — In nome di Dio, non andate dove sapete voi! E’ in gioco la vostra vita!
TOURNEL — Che cosa?
CAMILLO (aggrappandosi perdutamente a lui) — All’appuntamento! All’appuntamento! Non andateci! E’ in gioco la vostra vita!
TOURNEL (lo fa piroettare su se stesso e lo spinge lontano per liberarsene), — Ma lasciatemi in pace! Io non capisco ciò che dite.
CAMILLO (riprendendo rapidamente il suo equilibrio e correndogli appresso) — Tournel! Tournel!
TOURNEL (scappando via) — Ma zitto! Buonasera! (Esce precipitosamente dal fondo).
CAMILLO (corre al caminetto dove aveva lasciato il bicchiere e non lo trova più) — Dio santo, il mio palato! Dove hanno messo il mio palato? (Scorgendo il bicchiere sul tavolo) Ah, eccolo! (Si caccia velocemente il palato in bocca e corre tosto verso il fondo) Tournel! Tournel! Tournel!
CHANDEBISE (col cappello in testa, accorrendo alle grida di Camillo) — Ma con chi ce l’hai?
CAMILLO (un piede nel vestibolo e uno nel salotto, parlando con grande volubilità e nel modo più chiaro del mondo) — Ma con Tournel! Non ho mai visto un bruto simile! Gli ho detto tutto quello che tu mi avevi incaricato di dirgli , cioè di nn andare all’ appuntamento…e lui non mi ha neppure voluto ascoltare.
CHANDEBISE (sbalordito, lasciandosi cadere su una sedia) — Ah! Parla!
CAMILLO (correndo e chiamando mentre il sipario cala) — Tournel!... Tournel!... .Ehi, Tournel!
SIPARIO
* ATTO SECONDO *
A Montretout. il primo piano dell’Albergo della Micia Innamorata. Per fare onore all’insegna, tutto è leggiadro, stimolante, suggestivo. La scena è divisa in due sezioni. A sinistra (e questa parte occupa più o meno i tre quinti della scena), una grande hall alla quale si accede da una scala situata sul fondo e che continua portando ai piani superiori. A sinistra in primo piano, contro il muro, una mensola. Sopra la mensola, un attaccapanni al quale sono appesi una giacca di livrea e un berretto da facchino d’albergo. In secondo piano, una porta che dà nella camera occupata da Rugby, in terzo piano, un corridoio che porta ad altre camere; la porta di una di queste è di fronte al pubblico, visibile. Tra questa porta e la hall un quadro di suonerie elettriche è appeso al muro. A destra della hall, la parete che separa la hall stessa dalle due camere contigue, la prima delle quali è visibile al pubblico. Questa parete arriva fin quasi in primo piano, terminando a collo di cigno. In secondo piano, una porta, attraverso la quale camera e hall comunicano, in terzo piano, una porta che dà nella camera contigua, il cui interno per conseguenza non è visibile dal pubblico. Nella hall, contro il collo di cigno, una panchettina.
Nella camera di destra, sul fondo, un letto a baldacchino, rialzato da uno scalino a angoli tondi e tappezzato. A destra del letto, in una rientranza, una finestra che porge su un giardino. In primo piano, a destra una porta che comunica col bagno. A sinistra, contro il collo di cigno, un tavolinetto laccato di bianco. Sul fondo, a sinistra del letto, una sedia. Un’altra sedia è tra la finestra e la porta del bagno. Ai due lati del letto, posto all’altezza dell’occhio, un bottone per campanello. Questi bottoni devono essere fatti in modo che abbiano l’aspetto di un bersaglio. Ed essi azionano, quando li si prema, dei campanelli di legno posti tra le quinte. Per loro mezzo i macchinisti vengono avvertiti e manovrano il girevole del letto. Ecco in che cosa consiste questo girevole: nello scalino sul quale posa il letto, vi sono due sezioni: una, quella inferiore, fissa e orizzontale, in modo che corregga il pendio del palcoscenico; l’altra, posta sopra, mobile e girevole. Il pannello del muro costituisce il diametro del disco ruotante, in modo che quando i macchinisti per mezzo di un argano fanno ruotare questo disco, il pannello e il letto girano con esso e lasciano il posto al pannello e al letto della camera vicina: i due letti devono quindi essere identici. La testiera di questi letti, quando sono in scena, dev’essere dalla parte della finestra; i piedi, per conseguenza, dalla parte della porta. Per nascondere ogni possibile fessura tra il pannello e il suo riquadro, mettere dei ripari in caucciù, che serviranno al tempo stesso a ammortizzare il colpo d’arrivo del girevole.
In questo atto, l’attore che sostiene la parte di Chandebise dovrà impersonare alternativamente questo personaggio e quello di Poche. Perchè questo sia possibile, bisogna predisporre i costumi nel seguente modo. Fin da quando si alza il sipario, l’attore avrà sotto gli abili di Poche il costume di Chandebise, che non si toglierà mai. Il costume di Poche è composto da un paio di pantaloni da livrea verdi o blu, da un gilet della stessa stoffa con bottoni di ottone, da una camicia di cotone rosa e da un paio di grosse scarpe (o pantofole) assai alte, in feltro nero : queste scarpe naturalmente, sono calzate sopra gli scarpini di Chandebise. La camicia è solo apparente: si tratta di un paio di maniche che partono dalle spalle del gilet, e di un davantino con colletto rivoltato cucito alla scollatura del gilet. Un grembiule e una sciarpa bianca di falsa seta completano il costume. In questa tenuta l’attore reciterà tutta la prima parte dell’atto fino all’ultima scena di Poche prima della prima entrata di Chandebise. A partire da questo momento, l’attore, ogni volta che dovrà mutarsi in Poche avrà — dovendo essere i cambiamenti velocissimi — un gilet e dei pantaloni uguali a quelli di prima, ma completamente truccati, aperti cioè posteriormente.
All’alzarsi del sipario, Eugenia sta finendo di riordinare la camera di destra.
FERRAILLON (sbucando dal corridoio di sinistra) — Eugenia !... Eugenia !... (arriva alla porta della camera di destra). Eugenia!
EUGENIA (senza turbarsi, continuando a spolverare col suo piumino) — Signora?
FERRAILLON (sulla soglia con stile gay alternato ad arrabbiato) — Cosa state facendo?
EUGENIA — Finisco la camera, signora.
FERRAILLON (entra nella camera) — Quindi secondo voi questa è una camera fatta. E questo letto vi sembra in ordine? Parola d’onore, si direbbe che qualcuno ci abbia dormito.
EUGENIA (tra pelle e pelle) — E invece no, eh?
FERRAILLON — Facciamo dello spirito adesso? Ma guarda!... Di questo passo direte che il mio è un albergo equivoco.
EUGENIA (ironica) — Per carità!...
FERRAILLON — No, signorina! Mettetevi in testa che questo è un albergo di lusso! Un albergo... come si deve! Dove vengono soltanto persone sposate. (Si sposta un po’ in avanti e a sinistra).
EUGENIA — Sì, ma mai sposate insieme.
FERRAILLON (tornando prontamente verso di lei) — E con questo? Sono ancora più sposati, perchè lo sono ciascuno per proprio conto. Adesso la signorina si permette di giudicare la mia clientela! Su, rimettete bene in ordine e alla svelta! (Butta per terra le coperte, poi va nella hall).
EUGENIA (a parte) — Quant’è seccante!
OLIMPIA (è apparsa sul fondo, venendo da basso e portando una pila di lenzuoli. E’ una di quelle donne che sono state belle e che, pur sommerse dalla pinguedine, non abdicano. E’ over 50, ma non li dimostra tutti. Il corsetto la stringe eccessivamente. E’ molto truccata e ingioiellata) —Con chi ce l’hai, Ferraillon? (E va a posare i suoi lenzuoli sulla mensola di sinistra).
FERRAILLON — Quella ragazza si infischia di tutto! Ah, come mi dispiace di non averla avuta con me prima, verso i 14 anni! Ne avrei fatto quello che volevo!
OLIMPIA (severamente) — Ferraillon!
FERRAILLON — Oh, intendo dire che l’avrei fatta rigar diritta. Non penso mica ad altro! Ora è più difficile…ha il suo caratterino…(guardando la sorella). Mica volevo metterla a fare la vita…
OLIMPIA — Spero bene di no!
FERRAILLON (scorgendo Battistina che arriva da basso ed ha un’aria da cane bastonato, gli va incontro, lo afferra per il colletto e lo fa passare a destra) — Ah, sei qui! Da dove vieni? Di nuovo dall’osteria, si capisce!
BATTISTINA — Io?
FERRAILLON — Vuoi lavorare, sì o no?
BATTISTINA (timido) — Sì.
FERRAILLON — E allora và a coricarti (Battistina si avvia verso il fondo, ma si ferma alla voce di Ferraillon) Guarda un po’! Ecco una donna che non è buona a far niente e che ha la fortuna di avere dei reumatismi... indiscutibili in grazia dei quali io la faccio vivere di rendita!... Ma perché lo faccio? — mi chiedo. Perché ho troppo cuore, perché non ho voluto che una mia zia si trascinasse nella miseria e nella vergogna! E con tutto questo la signora ha soltanto un pensiero, quello di sottrarsi ai suoi doveri per correre da un osteria all’altro! Mangiare e bere…questi sono i suoi comandamenti…
BATTISTINA — Senti...
FERRAILLON — Non sento niente! (Passando a destra) Ah! queste osterie! Bisognerebbe chiuderle, in nome della pubblica moralità.
OLIMPIA (a Battistina) — E se avessimo bisogno della vecchia signora malata mentre sei fuori, eh? Oggi per esempio, chi avrebbe fatto la vecchia signora malata? Io no di sicuro! Saremmo stati freschi, in caso di flagrante delitto!
BATTISTINO — Ma io sapevo che...
FERRAILLON — Basta! Finiamola! Fila nella tua camera, e di corsa!... Ma cosa vuole di più? (Battistina, sottomessa, rientra a testa bassa nella camera di destra sul fondo).
OLIMPIA — Eccola, la famiglia!...i parenti vogliono tutto e non vorrebbero dare niente in cambio…Spesso il proverbio ha ragione: I parenti son serpenti… (Disponendosi a riprendere la sua pila di lenzuoli). Vado a portare i lenzuoli in guardaroba.
FERRAILLON — Ma non devi farlo tu! (chiamando) Eugenia!
EUGENIA (che, durante le scene che precedono, aveva rifatto il letto ed era poi scomparsa nel bagno, per uscire due o tre battute più sopra) — Signora?
FERRAILLON — Avete finito la camera?
EUGENIA (col piumino sotto il braccio e una brocca in mano) — Più o meno, signora.
FERRAILLON — So bene, una camera è sempre finita quando si vuole.
EUGENIA (dirigendosi verso il corridoio di sinistra) — Eh, visto che si fa per ridisfarla subito dopo...
FERRAILLON — Basta. Su, portate questi lenzuoli in guardaroba.
EUGENIA — Io?
FERRAILLON — Si capisce! Volete che li porti io?
EUGENIA (posa la brocca e il piumino nel corridoio con un sospiro di rassegnazione) — Va bene. Che mestiere da bestie. (Si avvia verso il fondo come per raggiungere la scala; alla battuta di Olimpia, si ferma).
OLIMPIA — Già che mi viene in mente! (Indica la camera di destra, in primo piano.n. 14) Non dovete dare a nessuno questa camera: è prenotata.
FERRAILLON— Ah. Da chi? (siede).
OLIMPIA — Dal signor Chandebise. (A Eugenia) Vi ricorderete?
EUGENIA — Sì, signora, è il signore che parla così: a-u-o (Pronuncia « che parla così » alla maniera di Camillo).
OLIMPIA — Esatto.
FERRAILLON (si è seduto sulla panca che è contro il collo di cigno) — Ah, viene oggi?
OLIMPIA — Si. Guarda il suo biglietto. (vedendo che Eugenia si è avvicinata e ascolta) Sta bene Eugenia!
EUGENIA (fraintendendo) — Io, signora? Sto benissimo, grazie.
OLIMPIA — No, volevo dire:, sta bene così… va bene così, non ho più bisogno di voi.
EUGENIA — Ah, ho capito, signora. (a parte, andandosene) Mi meraviglierei se si chiedesse della mia salute… (Si avvia verso il fondo, in direzione della scala).
OLIMPIA — Non da lì. Fate la scala del corridoio. E’ lo stesso, e non correte il rischio di incontrare qualche cliente, con tutti quei lenzuoli.
EUGENIA — Si, signora. (e esce dal corridoio di sinistra).
OLIMPIA (a Ferraillon) — Ti leggo il biglietto: “ Riservatemi per oggi alle cinque la stessa camera dell’ultima volta. Chandebise.”. L’ultima volta aveva appunto quella lì. (indica la camera di destra. N. 14).
FERRAILLON (alzandosi) — Benissimo!...Chi sa se ha ricevuto le bretelle che aveva lasciato in camera…se sapevo che veniva oggi risparmiavo le spese per mandargliele… Andiamo a dare l’occhiata della padrona. (entra nella camera, seguito dalla moglie). Beh, così va meglio.
OLIMPIA — E nel bagno, c’è tutto quel che occorre? Il bagno è molto importante. (Entra nel bagno).
FERRAILLON — Schiacciamo un po’ il bottone per vedere se quell’imbecille di mia zia è al suo posto. (Preme il bottone a sinistra del letto o poltrona; la parete ruota sui suoi cardini, portando via il letto che è in scena, il cui posto viene preso dal letto della camera attigua. Nel letto, è Battistina).
BATTISTINA (coricata sul dorso, intonando un ritornello familiare) — Oh, i miei reumatismi! I miei poveri reumatismi! (ella è in camicia da notte, con un berretto in testa).
FERRAILLON (interrompendola) — Va bene, va bene. Non ti stancare, sono io.
BATTISTINA (mettendosi seduta) — Ah, sei tu? Hai visto, tu che mi sgridi sempre? Sono al mio posto di combattimento…di lavoro…
FERRAILLON — Vorrei vedere! Ti pago per questo! Su, rimandiamo il cassetto a posto. (Preme di nuovo il bottone, e di nuovo il girevole ruota, rimettendo a posto il primo letto) Tutto funziona benissimo. (Olimpia esce dal bagno e segue sua sorella che va verso il fondo. Ferraillon, sempre camminando) Dov’è Poche?
OLIMPIA (seguendo il marito) — In cantina, a mettere a posto la legna.
FERRAILLON (all’estrema sinistra) — In cantina?... Ma sei pazza! Io ti dico che ha un solo difetto, quello di ubriacarsi, e tu lo mandi in cantina!
OLIMPIA — Ma il vino è chiuso a chiave. Non c’è pericolo.
FERRAILLON — Eh, purtroppo lo conosco, quel bestione! E’ stato per tre anni il mio fidanzato! Però, a parte il suo viziaccio, allora era una perla. Onesto, lavoratore e soprattutto devoto!Pensa che non mi ha mai tradita…e le occasioni non gli sono mancate…Anche se , qualche volta, lo prendo a calci…gli voglio sempre bene.. Ah, allora…eravamo molto giovani e potevo strapazzarlo e malmenarlo come volevo! Che gioia era per lui! Forse era un poco masochista…
OLIMPIA (appoggia la testa contro la spalla di Ferraillon e, gli occhi al cielo) — Tu picchi tanto bene!
FERRAILLON (modesto) — Oh, una volta!... Si, picchiavo bene! Ora... stanca, sai... Comunque, Poche è un servitore come piacciono a me!... Per questo, quando un paio di settimane fa l’ho trovato disoccupato, l’ho preso subito con me….in ricordo del nostro amore…
OLIMPIA (raggiungendo la destra della hall) — Hai fatto benissimo.
(in questo momento compare sulla scala, proveniente dalla cantina e quindi dal basso, Poche. Ha un fascio di legna sulle spalle, ed è in tenuta da lavoro: pantaloni e gilet della livrea, grembiale con bretelle e scarpe di feltro. I capelli sono spettinati, come li ha chi torni dal proprio lavoro. E’ il sosia assoluto di Chandebise, solo è più volgare, più pesante, ma non tende ad avere la gobba… cerca di camminare diritto come un soldato, pancia in dentro e petto in fuori..(oltre ai vestiti la differenza tra Vittorio e Poche è che il primo cammina curvo, il secondo come un soldato. In mano ha un biglietto).
FERRAILLON (appena vede Poche) — Quando si parla del diavolo... Che c’è, Poche?
POCHE (accennando il saluto militare, con voce piuttosto pastosa) — Un biglietto, padrona!
FERRAILLON (andando verso di lui, e imitandolo) —« Un biglietto padrona!» Dammi, su!... (mentre passa davanti a Poche gli prende di tra le mani il biglietto e va verso sua moglie) Grazie. (Vedendo Poche che è avanzato un po’ verso sinistra e lo contempla con un’aria beata e intenerita) Dio mio, quant’è brutto questo bestione! (A Poche che sorride beatamente, sempre abbozzando istintivamente dei saluti militari) Hai finito di guardarmi così, imbecille? (sempre parlando, ha aperto il biglietto correndo con lo sguardo alla firma) Ah... anche questo è di Chandebise! (In questo momento Eugenia compare sulla scala in alto e scende lentamente mentre Ferraillon legge il contenuto del biglietto) “ Prenotatemi una buona camera...”
OLIMPIA (con una punta di ironia) — Ci tiene, evidentemente!
FERRAILLON — “ ...e fatene disporre a chi la chiederà a mio nome”. (A Eugenia che è arrivata in fondo agli scalini e a Poche) Avete capito, voi due? Se qualcuno chiede la camera riservata al Signor Chandebise, lo accompagnerete in quella lì. (indica la camera in primo piano a destra,n. 14).
EUGENIA — Chi è Chandebise?
FERRAILLON — Quel signore che parla strano…senza pronunciare le consonanti…viene con quella signora che lui chiama : A-O-I-A cioè Antonia…Aveva dimenticate le sue bretelle e noi gliele abbiamo spedite…(Eugenia fa segno che ha capito)Non vi ricordate mai niente…E’ grave! È segno di demenza precoce! E ora potete accomodarvi. (Eugenia esce dal corridoio. Poche rimane dove sta e continua a contemplare il suo padrone) Beh, non hai capito? Specie di cosacco! (Lo afferra per il braccio e lo fa ruotare su se stesso) Su, squagliatela. (Gli dà una pedatina finta. Poche si avvia verso il fonda con un’aria radiosa e sale i gradini della scala senza abbandonare Ferraillon con lo sguardo) Maguarda che aria beata! (Facendo la voce grossa) Sei ancora qui? Fila via! Via! (Poche ubbidisce precipitosamente e salendo il resto dei gradini inciampa e sta quasi per cadere) Ti dico che mi adora, questo animale.
OLIMPIA (quando Poche è uscito) — Che brav’uomo …è un santo…un santo autentico…se non fosse per il vino..diventerebbe santo martire compare Raimonda sulla scala. Ha il volto celato da un velo fitto).
FEIIRAILLON — La signora desidera?
RAIMONDA — La camera prenotata n.16.
FERRAILLON (passando davanti a lei per andare ad aprire la porta della camera ) — Ah, da questa parte, signora!
RAIMONDA (ansiosa e guardinga) — Grazie!. (avanzando un po’ verso sinistra, a Ferraillon) Non èancora venuto nessuno a chiedere la camera? (rialza appena il velo).
FERRAILLON — Nessuno. (le si avvicina) Parola d’onore, non mi sbaglio: la signora è già venuta questa mattina.
RAIMONDA — Eh?
FERRAILLON — E’ proprio così. Ah, signora, sono lusingatissima! Io ero certo che la mia discrezione mi avrebbe assicurato la fiducia della signora, ma confesso che non me l’aspettavo così presto!
RAIMONDA (urtata) — Ma che maniere! Io non vi permetto di...
FERRAILLON (inchinandosi subito) — Scusatemi, signora. (risale fino alla porta e si schiacci, per lasciar passare Raimonda) — Se la signora vuoi prendersi il fastidio di...
RAIMONDA (passa davanti a lui: poi, arrivata sulla soglia della porta, si volta per fulminare Ferraillon con uno sguardo altezzoso) — Sse !... (e raggiunge l’estrema destra della camera).
FERRAILLON (che è entrato nella camera dietro di lei) — Ecco la camera. Come la signora può vedere, è confortevolissima. Il letto...
RAIMONDA (altezzosa, tagliandogli la parola) — Va bene, signora. Non mi occorre. (con aria dignitosissima passa a sinistra).
FERRAILLON (interdetta) — Ah!. (tra sè, dirigendosi verso il bagno: « Strano tipo!... »; ad alta voce) Questo è il bagno con acqua calda e fredda, doccia... E da questa parte...
RAIMONDA (seccata) — Va bene, va bene. Non ho intenzione di stabilirmi qui.
FERRAILLON — Sì, signora. (tornando verso il letto) Qui ai due lati del letto — è molto importante —abbiamo un bottone. In caso di sorpresa...
RAIMONDA (passando a destra) — Insomma basta!... Vedrò, controllerò da sola... Vi prego di lasciarmi, signore.
FERRAILLON (interdetta) — Ma signora...
RAIMONDA — Non ho più bisogno di voi.
FERRAILLON Sta bene, signora. (si dirige verso la porta; al momento di uscire): Serva vostra, signora.
RAIMONDA (nervosa) — Arrivedervi, signore, arrivedervi.
FERRAILLON (chiudendosi la porta alle spalle) —Che isterica!
RAIMONDA — Che mancanza di tatto, questa donna!
FERRAILLON (scorgendo Poche che ridiscende con la sua gerla vuota) — Ehi, Poche.
POCHE (sguardo tenero, salutando militarmente) — Padrona mia!
FERRAILLON Hai finito con quella legna?
POCHE (c. s.) — Ancora un carico, padrona.
FERRAILLON — Al trotto, allora! E poi mi farai il piacere di metterti la livrea, invece di lasciarla appesa qui. Non è il suo posto. (parlando ha indicato la giacca della livrea e il berretto, che sono appesi all’attaccapanni sopra la mensola). E’ l’ora in cui arrivano i clienti, devi essere in ordine.
POCHE — Sì, padrona. ( Raimonda, che durante la scena precedente ha ispezionato la camera, aperto la finestra ecc. ecc.; in questo momento è entrata nel bagno).
TOURNEL (arrivando dal fondo) — Scusate, la camera n. 16?
FERRAILLON — Da questa parte, signore! La signora è già venuta, signore.
TOURNEL — Ah. E... è bella?
FERRAILLON (lo guarda stupito, poi) — Il signore desidera il mio parere? Io ritengo che se la signora piace al signore...
TOURNEL — Il fatto è... che non la conosco.
FERRAILLON — Ah!
TOURNEL — Quindi capirete, prima di farmi vedere... Non si sa mai, potrebbe essere una vecchia trottola...
FERRAILLON — No, no! Rassicuratevi: non deve avere un carattere molto dolce, ma è graziosa.
TOURNEL (disinvolto) — Benone! Visto che in questo caso non è il carattere che ci interessa...
FERRAILLON (con una risata approvatrice) — Ah no! (passandogli davanti). La camera è questa, signore. Scusate, vi precedo. (Entra nella camera seguito da Tournel. Vedendo che la finestra è aperta, la chiude. Tournel posa il suo cappello sul tavolinetto che è contro il collo di cigno). Qui non c’è nessuno. Vado a vedere di là (e bussa alla porta del bagno).
VOCE di RAIMONDA — Che cosa c’è?
FERRAILLON (guadagna la sinistra descrivendo un rispettoso semicerchio per passare davanti a Tournel) — La signora è lì, signore.
TOURNEL — Va bene, grazie.
FERRAILLON (sulla soglia, prima di ritirarsi) — Auguri, signore.
TOURNEL (chiudendo la porta dietro Ferraillon, che poi se ne va verso la scala e raggiunge i piani superiori) — Grazie. (si dà un’occhiata intorno). Un posto grazioso. Civettuolo, bene ammobiliato. (Il suo sguardo cade sui bottoni elettrici). Questi sono i campanelli. Beh, se ci annoieremo potremo tirare al bersaglio. (Fa il gesto di tirare con la pistola in direzione del bottone che è alla destra del letto). E ora vediamo di presentarci in un modo originale. Trovato! (Va a sedersi sul letto, di cui chiude le cortine in modo da rimanere completamente celato alla vista).
RAIMONDA (irrompe fuori dal bagno; ha sempre il cappello in testa) — Ah, ..sei qui...delinquente traditore…ora ho la prova… (non vedendo nessuno). E dov’è? Dove sei?
TOURNEL (dietro le cortine) — Cucù! Cucù!
RAIMONDA (a parte) — « Cucù ». Aspetta un po’!
TOURNEL (c. s.) — Cucù! (Raimonda è risalita fino al letto; con la mano destra apre violentemente una tendina e, col dorso della mano sinistra, applica un fortissimo schiaffo sulla guancia di Tournel).
RAIMONDA — A te!
TOURNEL (incassando lo schiaffo) — Oh! (e salta fuori dal letto).
RAIMONDA (facendo un balzo indietro) — Non era lui! E chi era?
TOURNEL — Raimonda!... Siete voi!...
RAIMONDA (sbalordita) — Il signor Tournel!
TOURNEL — Questa non me l’aspettavo proprio! (lisciandosi la guancia). Che bella sorpresa!
RAIMONDA — Ma voi... Che cosa fate qui?
TOURNEL (pavone) — Non ha importanza... (in fretta, con la premura di fornire la sua brava spiegazione per passare ad altro). Una avventuretta. Si tratta di una donna... Una donna che si è innamorata di me... Mi ha visto a teatro, e così... Ha avuto il colpo di fulmine!... La poveretta mi ha scritto ed io, per bontà d’animo...
RAIMONDA — Ma no !... Non può essere!
TOURNEL (equivocando sulla protesta di Raimonda, con foga) — Ma io rido di questa donna! Non la conosco e non l’amo! Mentre voi, Raimonda... Oh, il mio sogno... Il mio sogno diventa realtà! Eccovi qui, davanti a me, tutta mia. Anche il cielo si è messo dalla nostra parte! (parlando, tenta di prenderla tra le braccia).
RAIMONDA (liberandosi e passando a sinistra) —Lasciatemi!
TOURNEL — No!, no!
RAIMONDA — La lettera non era per voi, era per mio marito.
TOURNEL — Come sarebbe…io vi amo…vi desidero…vi voglio…
RAIMONDA (cercando di farlo tacere) — Niente affatto! Niente affatto! (col tono di chi fornisce un argomento ineccepibile) Ho scritto io la lettera a mio marito.
TOURNEL (sobbalzando per lo stupore) — Voi!
RAIMONDA (categorica) — Ma certo!
TOURNEL — E voi scrivete lettere d’amore a vostro marito?
RAIMONDA — Volevo vedere se mi ingannava... se sarebbe venuto all’appuntamento.
TOURNEL (lanciando un grido di trionfo) — Ah!... Ebbene, ora potete constatare, voi che non volevate più esser mia perchè vostro marito vi era infedele, ora potete constatare che lui non è venuto e che ha delegato me, come più adatto alle circostanze, quindi vi è fedele e voi potete essere mia…
RAIMONDA (colpita dall’argomento) — E’ vero!
TOURNEL — E sapete cosa ha detto Vittorio Emanuele dopo aver letto la vostra lettera? Ha detto: “ Ma che vuole da me questa donna? Non sa forse che io non tradisco mia moglie? “.
RAIMONDA - Ha detto così?
TOURNEL — L’ha detto!
RAIMONDA — Oh, come sono felice! Come sono felice! (Si getta al collo di Tournel e lo bacia su tutte e due le guance).
TOURNEL (radioso) — Ah, Raimonda, Raimondina mia! (Vivacissimo a lei, stringendola alla vita col braccio destro, mentre col sinistro sottolinea in modo oratorio ognuna delle frasi che seguono) Eh, eh! Ora vi pentite di aver dubitato di lui! (La bacia avidamente) Smac! Smac! Ora finalmente riconoscete... (c. s.) Smac, smac! Che non avete più il diritto di sospettarlo! (c. s.) Smac, smac! Che non avete più il diritto di non ingannarlo! (Baci reiterati).
RAIMONDA (ricambiando la stretta) — Sì, sì, avete ragione. (Lo bacia a sua volta) Ho avuto torto! Ho fatto male a sospettarvi, mio buon Vittorio Emanuele! Ve ne chiedo scusa (baci).
TOURNEL (lirico) — No! no! Nessuna scusa... Siate mia, questo è l’importante.
RAIMONDA (lirica) Sì, sì, il castigo!
TOURNEL (trasportato) — Oh, Raimonda, vi amo! Ti amo! Ti amo! Vi amo! Raimonda, Raimonda! (Se la stringe al petto esaltatissimo).Su spogliatevi…presto…non resisto più…
RAIMONDA (d’un tratto torna alla realtà; dibattendosi) — Tournel, Tournel! Che cosa vi prende?... Lasciate che mi rimetta dall’emozione... (Si è liberata ed è passata a destra).
TOURNEL (tornando alla carica) — No! No! Approfittiamone invece! Approfittiamo del vostro turbamento finchè dura!
RAIMONDA (dibattendosi tra le sue braccia) —Tournel! Tournel!
TOURNEL (senza ascoltarla) — Raimonda! Raimonda! (Trascinandola contro la sua volontà verso il letto) Via, venite! ... Venite, vieni!
RAIMONDA (spaventata) — Ma che cosa fate? Ma che cosa fate?
TOURNEL (ha già un piede sullo scalino del letto e continua a trascinare Raimonda) — Venite!
RAIMONDA — Uh! Siete matto? (gli dà una spinta che lo manda a sedere sul letto e passa a sinistra) Per chi mi avete presa?
TOURNEL (sbalordito) — Come?... Ma non mi avete lasciato capire che consentivate?...
RAIMONDA (pronta, con alterigia) — A essere la vostra amante, è vero. (spostandosi a destra con dignità) Ma non a venire a letto con voi! Mi prendete proprio per una donnaccia?
TOURNEL (seduto a bordo letto, miserevolissimo) — Ma allora che cosa?...
RAIMONDA (superba per dignità) — Io intendo... concedervi e concedermi un po’ di flirt, le emozioni che essere l’amante di un uomo comporta: parlarsi guardandosi - negli occhi e tenendo una mia mano tra le vostre e così via. Tournel, io vi dà la parte più bella di me!
TOURNEL (alza il viso verso Raimonda, poi) —Quale?
RAIMONDA — I miei pensieri... il mio cuore.
TOURNEL (con un gesto espressivo) — Oh, pfut!
RAIMONDA (squadrandolo alteramente) — Ah, è così. Ma che pensiero avevate?
TOURNEL (alzandosi, con molto calore) — Il pensiero di ogni uomo onesto che desideri l’amore di una donna! (Avanzando verso Raimonda) Come!... Se tutto ci spinge l’uno verso l’altra... se il destino stesso interviene... se il vostro stesso marito mi getta tra le vostre braccia!... Perchè, signora, mi ha mandato qui vostro marito.
E solo voi dovete resistere?... Ah, no, signora, no, per me non basta! (cerca di riabbracciarla).
RAIMONDA (liberandosi e passando a sinistra) —Tournel! Andiamo, Tournel, calmatevi!
TOURNEL (tornando alla carica) — Come potete credere che mi accontenterò di ciò che mi proponete?... Il flirt, gli occhi negli occhi... e la metà della vostra persona... che per di più è la meno adatta alle circostanze?
RAIMONDA (sotto l’incalzare di Tournel ha finito per essere costretta tra il tavolo e il collo di cigno) — Vi prego, Tournel!
TOURNEL — Ma che cosa volete che faccia dei vostri pensieri e del vostro cuore?
RAIMONDA — Oh!
TOURNEL (misurando teatralmente la stanza a larghi passi, il che lo porta verso la destra) — Oh, mi offrite qualcosa di molto grazioso! La prospettiva di un continuo snervarsi, un turbine di desideri insoddisfatti... E che cosa ancora? Far le commissioni della signora e portare a passeggio il suo cagnolino, quando il cagnolino ha voglia di... passeggiare. (Sempre parlando ritorna bruscamente verso Raimonda, che si fa piccola piccola nel suo angolino) Ah! (ogni “ no “ dev’essere ben scandito) No! No! No!
RAIMONDA (spaventata) — Tournel!
TOURNEL (sul viso di Raimonda) — Nooo! (Su un tono di minaccia) E visto che siete in una totale ignoranza delle cose d’amore, ve le insegnerò io.
RAIMONDA — Tournel, vi scongiuro!
TOURNEL — No! No! Voi siete mia! Mi appartenete! E vi voglio! (L’ha afferrata alla vita e tenta di trascinarla verso il letto).
RAIMONDA (difendendosi come può) — Tournel! Basta!
TOURNEL — No! No!
RAIMONDA (in un su premo sforzo riesce, a respingerlo, salta prontamente in ginocchio sul letto e mette la mano sul bottone elettrico a destra del letto) — Ancora un passo e suono!
TOURNEL — Suonate fin che volete! Vi giuro che nessuno entrerà qui! (Corre alla porta per chiudere a chiave; vedendo questo, Raimonda preme il bottone; immediatamente il pannello gira su se stesso, portandosi via il letto con su Raimonda e sostituendovi il letto nel quale è coricato Battistina).
RAIMONDA (trascinata via sul girevole) — Dio mio! Aiuto! Aiuto!
TOURNEL (che, di spalle, non ha visto nulla e si inganna sui motivi delle grida di Raimonda) — Sì! Potete gridare “ aiuto “ fin che volete! Non mi importa niente! (a parte, trionfante) Ci sono! E’ mia! (Salta come un pazzo sul letto dove crede di trovare Raimonda e così, quasi coricato su Battistina, si mette a baciarla) Oh, Amore, Amore mio! ( poi finalmente si rende conto che non è Raimonda e schizzando fuori dal letto alla vista di Battistina) — Ah! (Spaventato, sbalordito, non capendo nulla di quel che gli succede, per un bel pezzo va e viene come uno scoiattolo in gabbia, gettando sguardi stravolti, a destra, a sinistra, al letto, come un uomo allucinato… che ha letteralmente perduto la bussola).
BATTISTINA (intonando il suo consueto ritornello) — Oh i miei reumatismi! Amore, amore mio dove sei?
TOURNEL (trovando la forza di parlare) — Chi sei? Cosa vuoi?Che cos’ è?
BATTISTINA — I miei poveri reumatismi! Dov’è l’ amore mio?
TOURNEL — Cosa fate, voi? Come siete entrata qui?
BATTISTINA (mettendosi a sedere, con un’aria abbastanza abbrutita) — Eh?
TOURNEL — E Raimonda...? Raimonda! Ma dov’è? (Corre ad aprire la porta che dà sulla hall e chiama) Raimonda! Raimonda! (A parte) Nessuno! (Ritorna in camera, lasciando la porta aperta e_ sempre chiamando, raggiunge il bagno) Raimonda! Raimonda! (Scompare nel bagno).
RAIMONDA (uscendo come impazzita dalla camera di fondo destra dove il girevole l’aveva trasportata) —Che cosa è successo?... Dove sono? Oh, mio Dio! (Chiamando) Tournel! Tournel! (A parte) Ah, basta con questo albergo! Io scappo! Via! (Si precipita verso la scala e sale infretta… la scena resta vuota per qualche istante…ma subito Raimonda rispunta sulla scala di cui ha risalito i gradini) — Dio! Mio marito... mio marito sulla scala! ( si lancia nella camera vuota e richiude la porta).
POCHE (venendo dalla scala) — Che idiota! Non riesco a trovare il vermouth per la camera n. 20! Però, non è tanto strano: l’ho dato ieri a Battistina! (Si dirige verso la camera di fondo destra chiamando) Battistina! Ehi!
BATTISTINA (che è sempre nel suo letto, si è messo gli occhiali e legge tranquillo il giornale) — Sono qui!
POCHE (torna indietro e, sulla soglia) — Oh, sei qui?... Dì, cosa diavolo ne hai fatto del vermouth?
BATTISTINA — E’ nella mia camera... sopra al guardaroba, come al solito.
POCHE — Ah. Va bene. (Risale e entra nella camera indicata).
TOURNEL (esce dal bagno e raggiunge la hall dopo aver preso, passando, il suo cappello dal tavolo) —Niente! Ma dove sarà? (Risale in direzione della scala; in questo momento Raimonda apre un poco la porta per vedere se può andar via, Tournel la vede e ridiscendendo) — Ah! Eccola! ( la prende per la mano destra e la conduce, in fretta, nella camera n. 16… Raimonda, sfinita, entra nella camera spinta da Tournel che chiudendosi la porta alle spalle) Ah, Raimonda! Raimonda! Ti amo tanto…
RAIMONDA — Amico mio, troppe emozioni! Mio marito...
TOURNEL (senza capire) — Si.
RAIMONDA — Mio marito è qui!
TOURNEL (anche lui sfinito, macchinalmente) —Va bene. (Capendo in ritardo) Che?... Vittorio Chandebise?
RAIMONDA — Vittorio Emanuele, si! Travestito da domestico, pensate!... Come? Perchè? Non lo so!...
Per sorprenderci, è sicuro!(poggia la mano sul bottone)
TOURNEL (smarrito) — Ma andiamo, non è possibile!
BATTISTINA — Ah, i miei reumatismi! I miei poveri...
RAIMONDA (gettando un grido) — Ah!
TOURNEL (sobbalzando) — Che cosa c’è?
RAIMONDA (indicando Battistina) — Chi è quella lì?
TOURNEL — Dove? Chi! Ah, quella? Non lo so, è una malata! E’ saltato fuori all’improvviso! Cosa fate qui?
BATTISTINO — Ma siete voi che mi avete fatto venire.
TOURNEL — Io?
RAIMONDA (risalendo fino al letto) — Ma insomma, fatela andar via, vi prego!
TOURNEL — Certo, certo! (A Battistina) Su, sloggiate, presto!
BATTISTINO — Ma non occorre... Sentite, signore, se la mia presenza vi imbarazza, schiacciate quel bottone... Tornerò dove ero prima.
TOURNEL — Ah! Magnifico! (preme il bottone a sinistra del letto).
RAIMONDA (mentre il girevole funziona) — Questo è il colmo!
TOURNEL — Mia cara amica, non è colpa mia!... Vi assicuro che... (Mentre discutono, nel bel mezzo della scena, davanti e vicinissimi allo scalino del letto, il girevole ha funzionato portando via il letto contenente Battistina per sostituirvi l’altro letto, sul quale è seduto Poche che ha in mano la bottiglia di vermouth).
POCHE (con il gomito ancora alzato, come un uomo che è stato sorpreso mentre beveva) — Ehi! Ehi! Beh, cos’è?
RAIMONDA (balzando all’estrema destra) — Dio!
TOURNEL (balzando all’estrema sinistra) — Chandebise!
RAIMONDA — Vittorio ! Mio marito! Sono perduta!
TOURNEL. (andando subito verso il letto, con le mani giunte a Poche che, sempre seduto sul letto, li considera con un’aria abbruttita) — Amico mio! Amico mio! Non credere a ciò che vedi!
RAIMONDA (c.s.) — Abbi pietà! Non condannarci prima che possiamo spiegarti...
POCHE (sbalordito) — Eh?
TOURNEL (volubilmente, tutto ciò che segue, da un personaggio all’altro, ben caldo, molto serrato) —Le apparenze sono contro di noi, ma ti giuro che non siamo colpevoli.
RAIMONDA (c.s.) — Dice la verità! Non sapevamo che ci saremmo incontrati.
TOURNEL — Tutto è accaduto per via della lettera!
RAIMONDA — La lettera, è vero!... Io sono la causa di tutto. Avevo fatto scrivere la lettera perché ero molto gelosa…e credevo che tu mi tradissi..
TOURNEL — Proprio così! E ‘l’esatta verità!
RAIMONDA (inginocchiandosi sullo scalino) — Ti domando mille volte perdono: ero sicura che tu mi tradissi! E invece tu sei un uomo fedele e buono…e mi perdoni…vero che mi perdoni…
POCHE — Io!
RAIMONDA — Ti scongiuro, dimmi che mi credi, che non dubiti della mia parola! Ti giuro su mia madre, la persona che più mi è cara…
POCHE — Ma certo, ma certo! (Torcendosi) Ma che cos’hanno?
RAIMONDA (indietreggiando spaventata da quella risata idiota che a lei sembra sardonica, con energia)- Oh, ti prego, Vittorio Emanuele... Non ridere così! La tua risata mi fa male.
POCHE (al quale l’ingiunzione di Raimonda ha tagliato la risata in gola) — La mia risata?
RAIMONDA (tornando a lui) — Eh, si! Ah, capisco... sembra che tu non voglia credermi….
TOURNEL (in posizione simmetrica a quella di Raimonda, dall’altro lato del letto) — Eppure tutto è così chiaro…semplice…onesto…se tua moglie si è ingelosita è perché ti ama tanto, tanto…
RAIMONDA — Dio mio, come convincerti?
POCHE (bruscamente, alzandosi e venendo in mezzo alla scena) — Sentite, vi domando scusa, ma bisogna che porti questo vermouth al 20. (Accenna ad avviarsi verso la porta).
RAIMONDA (lo ha seguito; lo fa girare su se stesso prendendolo per un braccio e lo ferma davanti a lei; imperativa) — Vittorio Emanuele!... Che cosa hai?
POCHE (stupito) — Chi ? Io?
TOURNEL (ha seguito il movimento; fa girare Poche a sua volta in modo di ritrovarselo in faccia a sè)— Ti prego, amico mio! In un momento così grave, parlarci di vermouth! Dicci che ti abbiamo persuaso della nostra onestà…non parlare del vermouth…
POCHE — Ma è necessario! Il 20 lo aspetta: vedete la bottiglia?
RAIMONDA — Basta!... Ingiuriami, calpestami, battimi! (Cade ai suoi piedi) Tutto sarà meglio di questa calma spaventosa.
TOURNEL (cadendo come Raimonda ai piedi di Poche) — Sì! Ecco! Batti anche me! Ma perdonaci…
POCHE (contemplandoli tutti e due ai suoi piedi, lei a sinistra e lui a destra) — Questa è proprio bella! (A Raimonda) Io vi assicuro, signora...
RAIMONDA (dolorosamente) — Lo vedi? Lo vedi? Non mi dai più del tu!
TOURNEL (c.s.) — Ti prego… Dalle del tu!
POCHE (mettendosi anche lui in ginocchio per essere alla loro altezza) — Oh, per me... (Riprendendo) Io ti assicuro, signora...
TOURNEL — Oh, ma non « signora » !...Ti prego… Chiamala Raimonda, sii buono!
POCHE — Bene, bene... (Riprendendo) Io ti assicuro, Raimonda...
RAIMONDA — Oh, dimmi che mi credi!
POCHE (intento anzitutto a non contrariarla) —Ma sì che ti credo.
TOURNEL — Oh, finalmente!
RAIMONDA (con slancio) — Allora baciami, su, baciami!
POCHE (non credendo alle proprie orecchie) – Cosa? Io?
RAIMONDA — Baciami !... Altrimenti crederò che sei ancora in collera!
POCHE — Per me va benissimo! (Sempre in ginocchio si volta verso di lei e, dopo essersi pulito le labbra col dorso di una mano, passa le sue braccia intorno al collo di Raimonda e, senza abbandonare la sua bottiglia, la bacia sulle due guance).
RAIMONDA (radiosa) — Ah!
TOURNEL (esortandoli) — Così! Così!
RAIMONDA (baciando le mani a Poche) — Ah, ti ringrazio! Ti ringrazio!
POCHE (leccandosi) — Che pelle vellutata e dolce! Quasi quasi lo rifaccio…
TOURNEL (si è alzato; si fa indietro di un passo per aver spazio davanti a sè poi, lirico.) — Anche me!... Bacia anche me! Ti supplico…
POCHE — E va bene! (Si avvicina a Tournel per baciarlo) Accidenti ma punge! (sale sul gradino del letto e bacia Tournel ma solo su una guancia).
TOURNEL (con un peso di meno sulla coscienza) — Ah, che bella cosa!
POCHE — Si!... Con la signora è molto meglio e poi non punge…non ha la barba….
RAIMONDA — “La signora”!
POCHE (facendo l’atto di avviarsi verso la porta) — E ora vado a portare il vermouth al 4.
RAIMONDA — Ci risiamo?
TOURNEL (che lo ha fermato al passaggio e lo ha riportato dove era) — Ehi senti! Cos’è questo scherzo?
RAIMONDA (tirandolo verso di sè per un braccio) — Sei di nuovo mio marito o non lo vuoi essere più ?
POCHE — Io? Ma no! Io sono il cameriere dell’albergo. Però con la signora mi sposerei…se ci tiene tanto…
TOURNEL (un passo indietro, stupito) — Cosa?
RAIMONDA (c.s.) — Dio Santo, Vittorio Emanuele è impazzito.
POCHE—Ma no! Niente affatto! si tratta di un “quiproquo”.Tanto per cominciare, mi chiamo Poche!E se non mi credete, chiedetelo a Battistina. (Risale verso il letto).
RAIMONDA (risalendo un po’ anche lei) — Battistina?
TOURNEL (cs.) — Quale Battistina?
POCHE — La vecchia signora malata. Aspettate. (preme il bottone di sinistra, il girevole funziona
portando in scena il letto su cui è coricato Battistina.).
BATTISTINA — Oh, i miei reumatismi, i miei po...
POCHE (sedendosi ai piedi del letto) — No, non si tratta di questo! Di’ un po’ chi sono.
BATTISTINA (mettendosi a sedere) — Come, chi sei?... Non lo sai?
POCHE — Io si. Ma è per la signora.
RAIMONDA (passando davanti a Tournel, si sposta a destra) — Si. Chi è il signore?
BATTISTINA— Ma è Poche!
TOURNEL e RAIMONDA (indietreggiando stupiti) —Poche!
BATTISTINA — Il cameriere!
POCHE — Ecco! Cosa vi avevo detto?
RAIMONDA (non vedendoci più tanto chiaro) —Ah, diamine! ma allora... è vero?
FERRAILLON (dall’alto della scala, scendendo, chiama) — Poche!
TOURNEL — Può esistere una simile rassomiglianza? Andiamo! Non ci credo, è una trappola.
FERRAILLON (chiamando) — Poche, ehi, Poche!
POCHE (rispondendo dalla camera) — Presente, capo! (Agli altri) Domando scusa: la padrona mi chiama.
RAIMONDA (mentre Poche sta per uscire, lo acchiappa per un braccio è io fa girare su se stesso in modo da poter passare lei) — La padrona?!! Benissimo. Ora sapremo. (Entra nella hall).
TOURNEL (Facendo a Poche lo stesso giochetto che gli ha fatto Raimonda) — Ma toglietevi di qui! (Segue Raimonda).
RAIMONDA (a Ferraillon) — Signora! Signora!
FERRAILLON — Signora?
RAIMONDA — Volete dirci per piacere chi è questo signore? (Indica Poche che è uscito dalla camera).
TOURNEL — Esatto.
FERRAILLON (guardando dove gli indicano) — E’ Poche.
POCHE (a Raimonda e a Tournel) — Sentito?
RAIMONDA e TOURNEL (guardandosi sbalorditi) —Poche!
FERRAILLON (avanzando su Poche) — Cosa fai qui? E con una bottiglia in mano. (Lo afferra per il braccio destro e gli allunga un calcio ad ogni epiteto, il che fo girare Poche intorno a lui come intorno a un asse e finisce con l’ultimo calcio per riportarlo al suo posto primitivo). Animale! Bestione! Bruto! Ubriacone! (ad ogni pedata Poche, sempre tenuto per il braccio, fa un salto in aria gettando un “Oh!“. Del pari ad ogni pedata, Tournel e Raimonda, che si tengono stretti l’uno all’altra, subiscono per dir così il contraccolpo, gettando un «Oh! » con un piccolo movimento come se ricevessero anche loro il colpo).
POCHE (appena Ferraillon lo ha lasciato, a Raimonda e a Tournel) — Che cosa vi dicevo?
FERRAILLON (strappandogli la bottiglia dalle mani) — Ricominci, eh?
RAIMONDA e TOURNEL — Eh?
POCHE — Padrone, è per il 20…
FERRAILLON (tornando alla carica) — Te lo do io, il 20! (Dandogli le pedate c.s.) Toh! Toh! Toh! Toh!
POCHE — Ma padrone...
FERRAILLON (indicandogli la scala) — E togliti dai piedi in fretta!
POCHE (battendosela) — Sì padrona! (Accingendosi a scendere la scala) Che cosa vi dicevo? (e scompare).
FERRÀILLON -— Signora e signore, vi domando scusa. E’ il nostro uomo di fatica, una specie di alcolizzato, lo teniamo per umana pietà. (Esce per il corridoio di sinistra lasciando Raimonda e Tournel completamente a terra, con gli occhi fissi nel vuoto e le bocche semiaperte).
RAIMONDA (dopo un momento, scuotendo la testa) — Il cameriere! Era il cameriere?
TOURNEL (addossato contro la mensola, improvvisamente) — Raimonda!
RAIMONDA — Cosa c’è?
TOURNEL — Abbiamo baciato il cameriere!
RAIMONDA — Eh, lo so bene!... Ve l’ho appena detto. (Sfinita, trascinandosi fino alla panca, su cui si lascia cadere) — Amico mio, che emozione!... Ho la gola secca... datemi un po’ d acqua.
TOURNEL (improvvisamente premuroso, frugandosi macchinalmente in tasca) — Dell’acqua? Dell’acqua,
RAIMONDA — Ma non l’avrete in tasca!
TOURNEL — Oh, certo... dove sarà l’acqua?
RAIMONDA (alzandosi) — In camera, no?
TOURNEL (andando, sempre premurosissimo, in camera) — Si, si! Dell’acqua, certo. (A Battistino) Dov’è l’acqua?
BATTISTINA (interrompendo la lettura del suo giornale) — Generalmente è nel bagno.
TOURNEL - Grazie! (Va nel bagno).
RAIMONDA (lamentevole, a Battistina, passandogli davanti e senza aspettare risposta) — Era il cameriere!
BATTISTINA (tanto per rispondere qualcosa) — Eh, accade di tutto nella vita...
(Raimonda va fino alla finestra, che socchiude per respirare un po’. Battistina, filosoficamente, torna a immergersi nella lettura del suo giornale).
(Durante le ultime battute Poche, venendo dai piani inferiori, è riapparso, con la sua gerla carica di legna sulle spalle; arrivato sul pianerottolo, uno dei ceppi cade per terra).
POCHE (fa per chinarsi ma altra legna sta per cadere: entra Olimpia) — Oh, la signora. (Non osa chiederle aiuto).
OLIMPIA — Aspettate vi aiuto io.
POCHE — La signora mi confonde.
OLIMPIA — Per carità.
RÀIMONDA (richiudendo la finestra) — Ma diamine! Che cosa fa Tournel! (Va al bagno) Si può avere quest’acqua? (Entra nel bagno).
CAMILLO (gaio e disinvolto, sbuca dalla scala tenendo per mano Antonietta. Entrano franchi in scena. Lui, avendo il suo palato d’argento, parla chiaramente) — Su, bebè mio! Vieni, gallinella. Lo amerà questo fiorellino il suo Camillo, eh? Vieni vieni, ci hanno riservato sicuro una camera.
POCHE (vedendoli entrare è sceso; comparendo tra loro) — Desiderate, Signore?
CAMILLO — Io ho prenot... (Credendo di riconoscere Chandebise, fa un balzo) VittorioEmanuele! (Fa un brusco dietro front e si precipita nella camera col girevole).
ANTONIETTA (comportandosi esattamente come Camillo) — Il signore! (Spaventatissima, si precipita anche lei nella camera col girevole).
POCHE (risalendo) — Ma perché tutti, oggi, mi chiamano Vittorio Emanuele? (Va alla scala e sale ai piani superiori, mentre Olimpia esce da sinistra). (In questo momento Raimonda esce dal bagno seguita subito da Tournel).
TOURNEL (a Raimonda) — Va meglio adesso?
RAIMONDA — Si, no.... Non lo so... Tutte queste emozioni... Misento debolissima, come se stessi per svenire.
TOURNEL (precipitandosi verso Raimonda) — Oh, no, no!
RAIMONDA — Amico mio, non lo faccio apposta...
TOURNEL — Dovreste riposarvi un po’. Venite, sdraiatevi qui... (dolcemente, con molte premure, la accompagna al letto).
RAIMONDA (lamentevolissima, lasciandosi portare) — Non posso rifiutare. (Si lascia cadere sul letto e getta un grido sentendo sotto di se il corpo di Battistina).
RAIMONDA e BATTISTINA (gettando uno stesso grido) — Ah! (Raimonda si rialza con un sobbalzo e raggiunge la destra).
TOURNEL (a Battistina) Ancora voi! Ma non vi toglierete mai dai piedi?
BATTISTINA (mettendosi a sedere) — Mi avete fatto venire voi!
RAIMONDA (nervosa, tornando vicino al letto) — Ora si passa la misura. (Scuotendo Tournel) Forza, fatelo andar via!
TOURNEL (a Raimonda) — Avete ragione. (A Battistina) Via! Tornate al vostro posto. (preme il bottone di sinistra).
RAIMONDA (che era salita sullo scalino senza pensare all’esistenza del girevole, furibonda, a Battistina) — E’ assurdo che si invada in questo modo le camere degli altri. (Sentendosi trascinare dal girevole, getta un grido) Ah!
TOURNEL (Acchiappandola al volo) — Là!
CAMILLO (aggrappato disperatamente all’altro letto che il girevole porta in scena al posto di quello di Battistina) — Ah! Ah! Che è?Ah, là! (riconoscendo Raimonda e Tournel) Ah!
TOURNEL e RAIMONDA (voltandosi al grido e facendo un solo salto all’indietro) — Camillo! (E si precipitano come due pazzi fuori dalla camera).
CAMILLO (gridando) — Vi domando scusa! E’ questo coso che si è messo a girare.
RAIMONDA (senza fermare la sua corsa) — Non è lui! Parla!
TOURNEL (correndo dietro a Raimonda) — Parla! Non è lui! Non è lui!
CAMILLO (scendendo dal letto) — E’ il divano che ha girato.
RAIMONDA (arrivata all’estrema sinistra, inverte la corsa e raggiunge la scala) — Oh, ne ho abbastanza! Andiamo via, via!
TOURNEL — Si sì andiamocene! (Scompaiono per la scala).
CAMILLO — Tournel e Raimonda qui! Che vorrà dire? Se mi hanno riconosciuto sto fresco!... (Ha raggiunto la hall dopo aver chiuso la porta della camera dietro di se) E Antonietta? (entra francamente nella camera vuota) Antonietta! (ha un grido di sorpresa).
RAIMONDA (riapparendo come una pazza, seguita Sempre da Tournel) — Etienne! Ora c’è Etienne!
TOURNEL (correndo dietro a Raimonda) — Civoleva anche il vostro maggiordomo! Che musica. Dio mio, che musica! (Si precipitano al corridoio di sinistra;
CAMILLO ( bruscamente la porta si spalanca e Camillo appare in scena e subito richiude la porta e vi rimane contro come per non farla aprire) Che schifo!...Un topo..( Etienne entra in scena venendo dal fondo).
ETIENNE (avanzando) — Non c’è proprio nessuno inquesto albergo?.
OLIMPIA (giunge dal corridoio di sinistra, dirigendosi verso la scala per raggiungere i piani superiori; si ferma sul primo gradino) — Il signore desidera?
ETIENNE — Ah, signora... (Eugenio scende a sinistra)
CAMILLO — (allucinato, si allontana dalla porta guardando, curvo, a terra)Mio Dio…mi è parso un topo….
( si trova così contro Etienne; alza la testa e riconosce il maggiordomo; subito, senza rialzarsi, gira su se stesso e, a grandi passi, piegando le ginocchia in modo da farsi più piccolo possibile, fila via velocemente ) Dio! Etienne! (Scompare nella camera col girevole).
ETIENNE — Bene... Ora potete dirmi se una signora ha chiesto la camera del signor Chandebise?
OLIMPIA — Si!
ETIENNE — E questa signora dov’è?
OLIMPIA — Ah. signore... Non è l’abitudine della casa...
ETIENNE — Devo vederla assolutamente! Suo marito può capitare da un attimo all’altro! E’ un demonio. l’ammazzerebbe!
ÒLIMPIA (spaventata) — Dio mio!
ETIENNE —. Devo assolutamente avvertirla.
OLIMPIA — Ah, in questo caso... E’ entrata lì, l’ho vista entrare lì! (indica la camera vuota).
ETIENNE (passando le davanti e andando fino alla porta della camera indicata) — Grazie! (Bussa).
Chi mettiamo nella camera
VOCE DI RUGBY — Come in!
ETIENNE (entrando nella camera) — Vi domando scusa, signore... (grido simultaneo di Antonietta e di Rugby dalla camera).
ANTONIETTA e RUGBY — Ah!
VOCE DI ETIENNE — Mia moglie! (Immediatamente si sente un baccano d’inferno nella camera. Rumore di una lotta, grida, colpi, ecc.).
OLIMPIA (che aveva giù raggiunto la scala, al rumore torna indietro) — Cosa succede? (Su questo, esce fuori dalla camera Antonietta, terrorizzata, i capelli in disordine, con le spalle e le braccia nude, tenendo in mano il cappello e il corsetto che non ha avuto il tempo di mettere).
ANTONIETTA (perduta, precipitandosi verso la scala) — Etienne! Etienne è qui! Aiuto! Aiuto! (Un quarto di secondo durante il quale il baccano non è cessato, e Etienne balza fuori all’inseguimento di sua moglie, che sta volando sugli ultimi gradini).
ETIENNE — Fermatela! Fermatela!
RUGBY (che gli si è lanciato subito dietro, lo afferra con la mano destra per il braccio sinistro e lo fa piroettare intorno a sè, in modo da schiacciarlo contro il boccascena) — Ah! you bloody fool!
ETIENNE (all’urto contro il muro) — Oh!
OLIMPIA (per contraccolpo) — Ah!
RUGBY — I’m going to kill you! (prendendolo alle spalle e facendogli picchiare la schiena contro il muro ogni volta) Here you are!
ETIENNE (per il dolore) — Oh!
RUGBY (c.s.) — Here you are!
ETIENNE — Oh, ma è mia moglie!
RUGBY (cs.) — Here you are!
ETIENNE — Lasciatemi!
RUGBY (lasciandolo e raggiungendo la propria camera) — And now get away! (E rientra nella camera),
ETIENNE — E’ troppo grossa! Il becco sono io, e ancora io prendo le botte!
OLIMPIA — Dovevate dirmelo che il becco eravate voi!
ETIENNE — E pensate che lo sapessi? Ero venuto per altri motivi…E’ stata una coincidenza…Ignoravo di avere una moglie fedifraga (Olimpia alza le spalle e risale verso la scala, mentre dai piani superiori scende Poche, con in mano la sua gerla vuota) Ah,no! Becco io, un maggiordomo!... Ah, sgualdrina!... Me la pagherai! (si slancia verso la scala ai piedi della quale Poche e Olimpia conversano; alla vista di Poche si ferma, sbalordito) Il signore!
POCHE (interdetto) — Come?
ETIENNE — Il signore! con una gerla in mano!
POCHE — Sicuro che ho una gerla! Perchè non dovrei averla?
ETIENNE — Ah, signore! Signore!... Sono cornuto, signore!
POCHE (gioviale) — Davvero?
ETIENNE (indicando la camera di Rugby) — Si, signore!... Con un inglese!
POCHE (c.s.) — Ah! Nobodecoll!
ETIENNE — Non so, non mi ha detto il suo nome. Ora, dato che il signore è qui, e presumendo che il signore non ha più bisogno di me, il signore può permettermi... Vorrei inseguire la sciagurata, raggiungerla, e poi a noi due!... Il signore permette?
POCHE (bravo ragazzo) — Andate! Andate pure!
ETIENNE — Grazie, signore. Ah, che sgualdrina! Che sgualdrina! (Si precipita verso la scala all’inseguimento della moglie).
POCHE (avanzando un po’; e lo stesso fa Olimpia) — Non so da che cosa dipenda, ma oggi mi fanno l’effetto di aver tutti un maggiolino dentro la zucca!
VOCE di LUCIANA (dal di sotto) — Ma state attento! (Si sente il suono di un campanello).
OLIMPIA (guardando il quadro) — Suonano dal corridoio. Guardate se è per voi.
POCHE (passando davanti a Olimpia per raggiungere il corridoio) — Si... Vengo! Vengo! (Esce).
LUCIANA (mentre sale, continua a guardare nel vuoto della scala) — Non mi sbaglio, è Etienne, il cameriere dei Chandebise!
OLIMPIA — La signora desidera?
LUCIANA (andando verso Olimpia) — Ah, signora !... Quell’uomo che scappava non è il cameriere del signor Chandebise?
OLIMPIA — E’ possibile, signora: mi ha chiesto la camera prenotata a quel nome. Ma è tutta una storia da pazzi. E’ venuto per avvertire una signora di scappare dato che il marito era al corrente di tutto, e quando è stato di fronte alla signora — tac! — si è scoperto che era la moglie sua!... E’un vero rebus!
LUCIANA — Ma cosa mi raccontate?... Mi pare che facciate una confusione...
OLIMPIA — Signora, io vi dico quello che ho visto.
LUCIANA — Va bene, va bene! Ditemi qual’è la camera n.16.
OLIMPIA (indicando la camera di destra) — La camera del signor... Oh, beh, è quella!
LUCIANA — Bene. Posso entrare?
OLIMPIA — Come desiderate, signora. Io ho l’ordine di mettere la camera a disposizione di chi la chiede. (Sale verso i piani superiori).
LUCIANA — Grazie tante. (Va a bussare alla porta, mentre Eugenia esce da sinistra).
CAMILLO (uscendo dalla sua camera, come prima, alla ricerca del suo palato) — Eppure vorrei proprio trovare il mio palato... (Descrive un movimento a semicerchio che lo porta contro Luciana).
LUCIANA (sempre davanti alla porta, alla quale bussa) — Come mai non risponde nessuno? (Bussa di nuovo).
CAMILLO (trovandosi vicino a Luciana, alza il capo per vedere di chi si tratta; con voce strozzata) — La signora de Histangua! Oh, basta con questo albergo! (Se la batte precipitandosi sulla scala, diretto ai piani inferiori).
LUCIANA (aprendo la porta della camera e entrandovi; intanto continua a parlare) — Nessuno!... Non capisco... Raimonda mi ha detto: «Sorprenderò mio marito tra le cinque e le cinque e mezza... Vienimi a prendere dopo le cinque e mezza ». Che non mi abbia aspettata? Vediamo qui. (Va fino al bagno, che esplora con una rapida occhiata).
CAMILLO (riappare affannatissimo e, con uno slancio assai violento per poter venire a scaricare qualche parola al proscenio e per potere, in un movimento a semicerchio, riguadagnare senza fermarsi la camera in terzo piano a destra) — Vittorio Emanuele!... C’è di nuovo Vittorio Emanuele! (Si precipita nella camera suddetta).
LUCIANA (raggiunge la hall e scende, sempre parlando, fino alla ribalta) — E’ strano... Comunque, pazienza: me ne vado. (Gira su se stessa e risale verso la scala, per andarsene).
CHANDEBISE (giunge dal fondo, vestito come al primo atto: abito completo, giacca grigio nera, camicia bianca, collo a punte rovesciate, scarpe di vernice) — A chi potrò rivolgermi?... (Scorgendo Luciana) Ah, voi!
LUCIANA — Signor Chandebise!
CHANDEBISE (prendendo la vivamente per una mano e portandola fino al proscenio) — Finalmente vi trovo!
LUCIANA (stupita) — Cosa c’è?
CHANDEBISE — Avete visto Etienne, il mio cameriere?
LUCIANA — Perché?
CHANDEBISE (quanto segue, rotto e precipitato) — Perchè lo avevo incaricato di una commissione per voi, dato che... non potevo venire di persona. Avevo... avevo un banchetto che mi impediva... Ma poi... mi sono accorto che questo banchetto è per domani. Allora sono corso qui... per dirvi...
LUCIANA — Che cosa? Per dirmi che cosa?
CHANDEBISE (cambiando tono) — Ah, povera bambina! Che follia amarmi!... me! Amare Vittorio Emanuele…o amate Romano Tourniel, il mio amico…stava con me a teatro…
LUCIANA (indietreggiando) — Cosa?
CHANDEBISE (su un tono che non sopporta replica) — Via via, so! Ma perché, poi, non avete firmato la vostra lettera?
LUCIANA (sempre più stupita) — La mia lettera! Quale lettera?
CHANDEBISE — Ma quella che mi avete scritto per darmi appuntamento qui!
LUCIANA (capendo) — Ah! (cambiando tono) Chi vi ha fatto supporre che sia io che...
CHANDEBISE — Eh, perché io, non sapendo nulla, ho fatto vedere la lettera a vostro marito!
LUCIANA (facendo un balzo indietro) — Eh?!
CHANDEBISE — Lui ha riconosciuto subito la vostra scrittura e anche il profumo.
LUCIANA — Che cosa dite?
CHANDEBISE — Ed è capacissimo di uccidervi! Anzi vuole uccidere voi, che siete sua moglie e il vostro amante, cioè Romano Tourniel…perché io ho creduto che la lettera fosse indirizzata a lui…
LUCIANA (spaventata, con voce stridula) — Ah, misericordia!..Che imbroglio…Che tragedia…. Ma dove stamio marito Carlos?
CHANDEBISE — Dev’essere sulle nostre tracce!
LUCIANA — E ve ne state lì? Ma scappiamo!... Scappiamo! (Scappa smarrita).
CHANDEBISE (correndole dietro) — Oh, folle amore! Folle amore! (Spariscono come dei pazzi per la scala; su questo compare Olimpia, provenendo dai piani superiori).
OLIMPIA (chiamando) — Eugenia!... Eugenia!... Ma dov’è, benedetta ragazza? (In questo momento, essa è in faccia al lato destro della scala, e ostruisce così il lato della rampa che scende).
CHANDEBISE (risalendo come un pazzo, seguito da Luciana che è spaventata come 1ui) — E’ lui! Histangua! Si salvi chi può!
LUCIANA — Mio marito! sono perduta!
OLIMPIA — Oh! si ricomincia?
CHANDEBISE (urtandosi con Olimpia e facendola piroettare, il che la manda addosso a Luciana) — Ma toglietevi di qui!
OLIMPIA — Ehi!
LUCIANA (stesso movimento nell’altro senso) — Ma andate via! (Luciana si è rifugiata nella camera di destra, poi nel bagno, dove sparisce; Chandebise si è precipitato nella camera di Rugby).
OLIMPIA — Oh, signora...
RAIMONDA (sbuca dal corridoio, seguita da Tournel; ha il volto coperto dal velo) — Se Dio vuole, ce ne andiamo. Finchè non sarò fuori di qui, non sarò tranquilla !... (Andando a sbattere contro Olimpia). Ma che cosa fate qui? (La fa girare su se stessa per aprirsi una strada).
OLIMPIA — Ah!
TOURNEL — Si, si, andiamocene! (A Olimpia, con lo stesso movimento) Toglietevi dai piedi! (Scendono la scala verso i piani inferiori).
OLIMPIA (stordita) — Ma che cosa c’è? Cosa succede?
VOCE DI HISTANGUA (dai piani inferiori) Dove sono i misserabili, que yo li ammazzi, que yo li strozzi? (Grido di Raimonda e di Tournel).
OLIMPIA (avvicinandosi al lato destro della scala) — Che cosa c’è ancora?
RAIMONDA (riapparendo affannata) — Carlos Homenidés de Histangua! (Urtandosi contro Olimpia) Oh, volete andarvene? (La fa girare su se stessa).
OLIMPIA — Ah! Ah!
TOURNEL (idem come Raimonda) — Il torero! (A Olimpia, facendola girare anche lui) Ma siete eternamente qui! (1 due scappano dal corridoio di sinistra).
OLIMPIA (stordita, quasi senza fiato) — Ah, mio Dio! Mio Dio!
HOMENIDES (irrompe come un selvaggio brandendo la pistola) — Il Tournel y una señora velata!... E’ lei! E’ mia mujer. (Urlo) Ah, que misserabile! (Risale per slanciarsi all’inseguimento dei fuggitivi).
OLIMPIA (affannata, interponendosi) — Ma dove andate, signore?
HOMENIDES (facendola piroettare) — Yo vado a ammazzarli todos los dos! Voi, anda! A passegiare! (Si precipita nel corridoio).
OLIMPIA — Va a ammazzarli! Ah, mio Dio! Aiuto! Aiuto!
FERRAILLON (arriva dall’alto scendendo i gradini a due a due, seguito da Eugenia) — Cosa succede? Cos’è questo chiasso?
OLIMPIA (senza fiuto) — Ah, Ferraillon! Un pazzo! Un pazzo che vuole ammazzare tutti!
FERRAILLON (con un sobbalzo) — Cosa?
OLIMPIA (svenendo tra le braccia di Eugenia) —Ah!... AhaI... Ah! Aha!...
EUGENIA — Signore! Signore!
FERRAILLON (si precipita a sostenerla dall’altra parte) — Su, coraggio! Portatela di là! (indica la camera del corridoio visibile al pubblico e intanto accompagna le due donne) Fatele odorare dei sali!
EUGENIA (portando Olimpia) — Si, signore!
(Ferraillon introduce Olimpia e Eugenia nella camera indicata, poi riesce richiudendosi la porta alle spalle; nel frattempo rumori di un litigio si sono ampliati nella camera di Rugby. Si sentono dei «Get out of my sight! Get out of my sight!» da parte dell’inglese, e dei « Ma non posso! Ma non posso! C’è un energumeno!... » provenienti da Chandebise).
FERRAILLON (sentendo i rumori, avanza) — Dall’inglese litigano! Che cosa succede ancora? (Bruscamente la porta si apre e sbucano fuori, lottando corpo a corpo Chandebise e Rugby; il primo si aggrappa allo stipite della porta, l’altro lo afferra alla vita e si sforza di fargli mollare la presa).
RUGBY (lottando contro Chandebise) — Will you leave my door! Will you leave my door!
CHANDEBISE (contemporaneamente, lottando con tutte le sue forze) — Volete lasciarmi? Lasciatemi!
FERRAILLON (intervenendo) — Basta! Basta! (Su questo, con uno sforzo più violento Rugby ha avuto ragione di Chandebise, e con lo stesso movimento la ha mandato a piroettare alla sua sinistra. Ferraillon si trova al posto giusto per riceverlo, lo afferra al volo e, facendolo nuovamente piroettare, lo manda a sedere sulla panca a destra della Hall).
CHANDEBISE (cadendo seduto sulla panca mentre Rugby rientra brontolando nella sua camera) — Ehi, ma che cosa salta anche a voi?
FERRAILLON (facendo un salto indietro alla vista di Chandebise) — Poche!... Di nuovo Poche!
CHANDEBISE (alzandosi e fronteggiandolo) — Che cosa dite?
FERRAILLON (con la mano sinistra lo afferra al braccio e gli dà ad ogni invettiva un calcio nel posto giusto) — Ah, sporcaccione!
CHANDEBISE (saltando in aria ad ogni pedata) —Cos’è?
FERRAILLON (c.s.) — Vagabondo!
CHANDEBISE (c. s.) — Ehi, dico!
FERRAILLON (e. s.) — Maiale!
CHANDEBISE (c. s., poi si libera) — Oh, sentite, voi!
FERRAILLON (con tono minaccioso) — Cosa?
CHANDEBISE (sotto la propulsione delle pedate, ed essendo tenuto per il braccio, ha girato intorno a Ferraillon, e si trova così nella posizione primitiva: prendendo spazio) — Signore, io sono il signor Chandebise, direttore della Boston Life Company.
FERRAILLON (all’estrema sinistra, mostrando Chandebise con un largo gesto della mano) — Ecco lì... E’ ubriaco!... E’ completamente ubriaco!
CHANDEBISE (avanzando su di lui) — Signore, riceverete i miei padrini.
FERRAILLON (afferrandolo come prima per il braccio e facendoselo ruotare intorno a forza di calci) —Ah, davvero? Allora toh, per i tuoi padrini!
CHANDEBISE (saltando in aria ad ogni pedata) —Oh!
FERRAILLON — E toh, per Chandebise!
CHANDEBISE (c.s.) Oh!
FERRAILLON — E ancora questo! Questo! Questo! (ad ogni « questo » Chandebise gettq un « oh! »).
CHANDEBISE (riportato come prima al suo posto primitivo) — Oh, insomma, adesso io... (e va di nuovo a mettersi a petto di Ferraillon).
FERRAILLON (vedendo la sua giacca) — E poi, dove hai preso questa roba? Mi vuoi spiegare...anche ladro…oltre che ubriacone… (lo afferra al colletto della giacca e si sente in dovere di togliergliela).
CHANDEBISE (difendendosi come può) — Ehi, ma che vi prende? Ma no...
FERRAILLON — Su, su! Cos’è questa mascherata? (gli ha tolto, nonostante ogni resistenza, la giacca).
CHANDEBISE — Ma andiamo!
FERRAILLON (togliendogli il cappello) — Togliti anche questo! (va a appendere giacca e cappello all’attaccapanni).
CHANDEBISE (letteralmente atterrato) — Dio mio E’ un pazzo!
FERRAILLON (che ha tolto dall’attaccapanni il berretto e la livrea, ritorna a Chandebise) — Su! Mettiti il tuo berretto! (glielo mette sulla testa e lo fa sprofondare fino alle orecchie con un solido pugno).
CHANDEBISE — No! No!
FERRAILLON (tentando di fargli infilare anche la giacca della livrea) — Ecco fatto! E ora la giacca!
CHANDEBISE (difendendosi) — Non voglio! Non voglio!
FERRAILLON (infilandogliela di forza) — Non vuoi? A me osi dire che non vuoi? Zitto sai! E subito!
CHANDEBISE (spaventato, la testa tra le spalle, facendosi obbediente e sottomesso) — Sì! Sì, sì!
FERRAILLON (indicando gli la scala) — Adesso fila! Nella tua camera! Più svelto che puoi!
CHANDEBISE (precipitandosi verso la scala) Sì, sì!... E’ un pazzo! E’ pazzo!
FERRAILLON (slanciandosi verso la scala, come per rincorrerlo) — Che cosa dici? Vuoi prenderne delle altre?
CHANDEBISE (prontamente, sempre salendo) — No, no!...
FERRAILLON (sul primo gradino) — Fuori dai piedi allora!
CHANDEBISE (salendo senza abbandonarlo con lo sguardo) — E’ pazzo! E’ un pazzo!
FERRAILLON (sale tre gradini di scatto, battendo forte il piede su ogni gradino) — Vuoi toglierti dai piedi, maledizione! (Chandebise spaventato se la batte più in fretta che può, al punto che quasi sta per fare un ruzzolone. E scompare).
Appena uscito di scena, l’attore che sostiene la parte di Chandebise, mentre scenderà la parte posteriore dal praticabile si toglierà la giacca della livrea e il berretto. Arrivato in basso, egli deve trovare una sedia e due aiuti che gli presentano i calzoni truccati, ognuno tenendo uno dei due capi ben aperto. Egli mette rapidamente questi calzoni sopra quelli che ha, mentre uno degli aiuti gli infila le scarpe (o ciabatte) sopra gli scarpini di vernice. Poco discosti, due altri aiuti lo aspettano col gilet truccato aperto, nel quale egli non ha che da lasciar scivolare le braccia. Subito gli si fa indossare il grembiale e la sciarpa. Un colpo ai capelli per spettinarli e la trasformazione è fatta.
FERRAILLON (ridiscende gli scalini che aveva appena salito; poi, ben rilevato, al pubblico) — Visto gli effetti del vermuth? E’ di nuovo ubriaco fradicio! Perchè un così buon domestico dev’essere un ubriacone? (parlando è venuto un po’ in avanti).
EUGENIA (esce di corsa dalla camera dov’è Olimpia: ogni volta che la porta è aperta, si sentono dei piccoli “ Hi! Ahi! “ spasmodici, emessi in quinta da Olimpia) — Signore! Signore!
FERRAILLON (seccato) — Che c’è ancora?
EUGENIA — La signora ha un attacco di nervi.
FERRAILLON (passando a sinistra) Ouff, che barba! (voltandosi verso Eugenia) Andate di corsa al 10 e pregate il dottor Finache di scendere a visitare mia moglie, se può.
EUGENIA — Corro, signore! (sale in fretta verso i piani superiori).
FERRAILLON — Accidenti, non un minuto di pace! (entra nella camera di sua moglie, di cui si sentono, fin che la porta è aperta, i piccoli gridi nervosi) —Che cos’hai, amore mio, non stai bene? (la porta si richiude).
POCHE (viene da sinistra, con delle lettere in mano, raggiunge il centro della scena; sta sciogliendosi i cordoni del grembiale che si toglie) — Ecco fatto. E adesso di corsa in stazione. (va ad appendere il grembiule all’attaccapanni; non vedendo la sua livrea che credeva di ritrovare appesa). Beh? (dà un’occhiata per terra). Chi si è soffiato la mia giacca e il mio berretto? Un bel farabutto. Però mi ha lasciato in cambio la sua giacca e il suo cappello. (si prova il cappello). Perbacco: è su misura! Per andare fino alla stazione uno vale l’altro, no? Restituirò tutto quando mi restituiranno la roba mia. (Parlando, e senza togliersi la sciarpa, si è infilato la giacca di Chandebise sopra il gilet. Risale come per andarsene. Suonano. Inverte la sua rotta) Mi chiamano di nuovo! (esce da sinistra).
Appena uscito l’attore si toglie prontamente la giacca e il cappello; trova gli aiuti che gli tolgono la sciarpa e il gilet rovesciando le maniche per far più presto. Le rimetteranno a posto dopo. Più lontano, la sedia lo aspetta: i due aiuti gli tolgono le ciabatte e i pantaloni. Un veloce colpo di pettine e gli aiuti gli porgono il berretto e la giacca della livrea, che egli metterà salendo la scala praticabile.
EUGENIA (venendo dai piani superiori con Finache) — Di qui, signor dottore, di qui.
FINACHE (finendo di infilarsi la giacca) — Pensate proprio che sia venuto qui per curare dei malati?... Beh, cos’ha la vostra padrona?
EUGENIA —- Oh, niente di grave, sarebbe come chi dicesse che ha avuto uno stock.
FINACHE (non capisce) — Ah! Uno shock?
EUGENIA — Ma sì... Un colpo di fifa!
FINACHE — Ah!... Un colpo di fifa!... E ditelo; visto che parlate francese!
EUGENIA — Un colpo che le ha mandato il sangue alla testa. Così i suoi nervi, vero...
FINACHE - E mi disturbate per questo?... Bastava che prendeste un bel sifone e l’annaffiaste!... Si calmava subito.
EUGENIA — Sì, sì, ma ad ogni modo giacchè il signor dottore si è preso la pena di scendere, tanto vale che il signor dottore la visiti.
FINACHE — Si capisce, giacchè ci sono!
EUGENIA (introducendo Finache) — Sì, signor dottore! Di qui signor dottore! (con la porta aperta si sentono i gridolini di Olimpia; la porta si richiude. Appena sono scomparsi Finache e Eugenia, si scorge Chandebise, sempre con la livrea e il berretto, che avanza guardandosi intorno circospetto).
CHANDEBISE (in cima alla scala) — Il... il matto se ne è andato?... (scende sempre parlando) Ah, che storia!... se questo è il suo modo di ricevere la clientela, non credo che molti tornino due volte!... Razza d’energumeno !... (va all’attaccapanni al quale Ferraillon aveva appeso la sua giacca e il cappello) Oh, perbacco!... E la mia giacca? E il cappello?... Eppure li avevo appesi qui... Dove saranno andati a finire? (Cerca per terra, intorno a lui. Sulle sue ultime parole, dall’alto della scala, che scendono di corsa, compaiono Raimonda e Tournel).
RAIMONDA (scendendo i gradini a due a due) —Ce l’abbiamo fatta! Ha perso le nostre tracce!... Presto, una carrozza!
TOURNEL (c. s. dietro a Raimonda) — Si, sì! Che fortuna, c’è il cameriere!
RAIMONDA — Meno male!
CHANDEBISE (sempre curvo alla ricerca delle sue cose) — E’ grossa...
RAIMONDA (arrivando vicino a Chandebise, che volta la schiena) — Presto, Poche, chiamatemi una carrozza!
CHANDEBISE — Che cosa?
TOURNEL — Una carrozza!
CHANDEBISE (sobbalzando alla vista della moglie) — Mia moglie?
TOURNEL — Ehm!
RAIMONDA (con un balzo) — Mio marito! Era lui! Era lui! (smarrita, scappa).
CHANDEBISE — E Tournel è con lei!
TOURNEL (impietrito) — Era lui!
CHANDEBISE (afferrando Tournel alla gola) — Che cosa fai qui? Che cosa fai qui con mia moglie? (lo fa piroettare in modo da mandarlo alla sua sinistra).
TOURNEL (semistrangolato) — Ma lo sai, no?
CHANDEBISE — Che cosa? Che cosa dici?
TOURNEL — Amico mio, ti abbiamo spiegato tutto poco fa.
CHANDEBISE (costringendolo contro la panca, sulla quale perdendo l’equilibrio va a cadere) — Cosa? Tu mi hai spiegato... (scuotendolo) Vuoi rispondermi, eh? Vuoi rispondermi?
TOURNEL (spaventatissimo) — Ma via! Su! Via!
FERRAILLON (uscendo a valanga dalla camera) —Non avete ancora finito di far chiasso? (afferra Chandebise per il braccio destro e lo manda all’estrema sinistra; Tournel, liberato, ne approfitta per battersela) Poche! Di nuovo Poche!
CHANDEBISE — Il pazzo!
FERRAILLON (dandogli una pedata ad ogni invettiva come nella scena precedente) — Ah, sporcaccione!
CHANDEBISE (saltando) — Ehi! Ah!
FERRAILLON (c. s.) — Bestiaccia!
CHANDEBISE (e. s.) — Oh!
FERRAILLON (c.s.) — Maiale!
CHANDEBISE (c. s.) — Ma insomma...!
FERRAILLON — Ne hai avute abbastanza?
CHANDEBISE (battendosela) — Sì, sì! Aiuto! Al matto!, al matto!
FERRAILLON (rincorrendolo mentre Chandebise sale 1e scale al galoppo) — Te lo do io il matto, ubriacone! Va in cella! Ti ci chiudo dentro e fino a domani mattina te ne starai lì a smaltire la sbronza!... Su, su, e in fretta! (scompaiono al piano superiore, l’uno inseguendo l’altro).
(Scomparsi i due, Rugby esce dalla sua camera lasciando la porta aperta. Ha l’aria di un uomo che sta per perdere l’ultimo briciolo di pazienza).
RUGBY — Hallo Boy! Nobody call for me? (parlando ha raggiunto la scala e sparisce ai piani inferiori).
CAMILLO (venendo da destra, secondo piano) —Via libera, finalmente. Mi sembra che sia il momento di battersela.
LUCIANA (è uscita dal bagno contemporaneamente all’uscita di Camillo; si ferma sulla soglia della porta della camera e, prima di uscire, rimane in ascolto) — Non si sente più nessun rumore.
CAMILLO (ispezionando un’ultima volta il pavimento) — Dove sarà andato a finire il mio palato? (Descrive un movimento a semicerchio partendo da sinistra e va a imbattersi in Luciana quando costei esce dalla camera).
LUCIANA (entrando nella hall) — Mio marito deve essere andato via.
CAMILLO (faccia a faccia con Luciana) — Di nuovo la signora de Histangua! (gira su se stesso per scappare).
LUCIANA (riconoscendolo) — Signor Camillo! (si aggrappa a lui) Ah, signor Camillo, non lasciatemi! Non abbandonatemi! Mio marito mi insegue... con una pistola! Vuole ammazzare tutti!
CAMILLO (sobbalzando) — Accidenti!
LUCIANA — Vi prego, non lasciatemi!
CAMILLO — No, no!
VOCE DI HISTANGUA (dall’alto) — Por dove que sono, i misserabili?
LUCIANA (con un balzo) — Mio marito!
CAMILLO — Lui! Scappiamo. (Si precipitano tutti e due versa la scala, ma finiscono addosso a Rugby che risale. Affannati invertono i loro passi. Camillo si slancia nella camera di destra in primo piano, di cui richiude la porta puntellandovisi contro. Luciana, senza sapere quello che fa, vedendo la camera di Rugby aperta vi si precipita dentro)
RUGBY (che dalla scala ha seguito stupito tutta la scena, vede Luciana rientrare nella camera; giubilante) — Aoh! That’s a pretty girl (attraversa la scena a grandi passi e rientra nella sua camera).
HISTANGUA (volando giù per la scala e piombando in scena) — Por dove que sono? Yo li ammazzo, yo li occido!... Ma por dove que è, la camera del señor Chandebisse?... Non c’è nessuno in esto albergo?... (si precipita verso la scala e scompare verso i piani inferiori).
POCHE (arrivando da sinistra) — Ma chi grida in questo modo?
LUCIANA (uscendo dalla camera di Rugby inseguita da vicino da lui) — Volete lasciarmi, villano! (si volta, lo respinge e gli dà uno schiaffo).
RUGBY — Again!... Aoh!, it’s disgusting! (raggiunge di nuovo la sua camera).
POCHE (ridendo) — Bel colpo!
LUCIANA (precipitandosi verso Poche) — Ah, signor Chandebise!
POCHE — Come?
LUCIANA — Vi manda il cielo! Salvatemi! Nascondetemi!
POCHE (sostenendola col suo braccio destro) —Venite, venite. Vi accompagno all’uscita. Da questa parte. (Parlando camminano a piccoli passi laterali l’uno sostenendo l’altra. Giunti alla scala Poche fa passare Luciana e tutti e due scendono qualche gradino).
VOCE DI HISTANGUA (dal basso) — Oh, caramba! Yo ve tiengo!
LUCIANA (riapparendo in scena come una pazza, seguita da Poche). Eccolo! (va alla porta di destra in primo piano) Aprite! Aprite!
CAMILLO (appoggiandosi con tutto il peso del suo corpo contro la porta) — Non si passa!
POCHE — Sbrigatevi !... (smarrita, Luciana va verso la camera di Rugby) Non da lì! C’è l’inglese!
LUCIANA — Ma dove? Dove?
POCHE — Lì, nella camera di Battistina!
HISTANGUA (di cui si è continuato a sentire le imprecazioni provenienti dal basso, balzando in scena come un energumeno) — Inutile que ve nascondete! Yo ve ho visto!
EUGENIA (uscendo dalla camera di Olimpia) — Il signore desidera?
HISTANGUA — Desidero il muerto! El señor Chandebise y la dama que es insieme?
EUGENIA (indicando la camera dov’è Camillo) —In quella camera, signore (esce da sinistra).
HISTANGUA (alla porta di destra in primo piano) —Aprite! Aprite! Que yo ve amazzo!
CAMILLO (gridando) — Qui non c’è nessuno!
HISTANGUA (spingendo la porta) — Aprite, oppure... Uno, due, tre! (Dà ogni volta una spinta alla porta di destra in primo piano. L’ultima, la più forte, fa saltar via Camillo. Histangua gli balza al collo) Mia moglie! Dove es mia moglie... que yo la amazzi... que yo la occida...?
CAMILLO (all’estrema destra, terrificato e senza sapere più quel che dice) — Ma io non ce l’ho!... Vi dò la mia parola! Ecco, perquisitemi. (Per provare la verità di quel che dice rovescia le tasche dei suoi calzoni).
HISTANGUA (senza ascoltarlo, raggiungendo la sinistra) — Ah, sì! Que yo la trovi e yo la amazzo... Vero como es vero que yo faccio centro su quel bersaglio! (spara con la sua pistola sul bottone a destra del letto; il letto gira e appaiono su quello che vi si sostituisce Luciana e Poche).
LUCIANA — Mio marito! (Scappa, seguita da Poche).
HISTANGUA — Mia moglie! (si precipita a inseguirla sparando dei colpi di pistola. Luciana e Poche filano via dal fondo. Histangua è arrestato nella sua corsa da tutta la gente dell’albergo che è accorsa agli spari. Gli afferrano il braccio e glielo tengono sollevato in aria, ma lui continua a sparare mentre il sipario cade).
SIPARIO
ATTO TERZO
La scena è quella del primo atto. (N.B.: la porta di centro deve sempre aprirsi a un solo battente, eccetto nei casi che vengono specificatamente indicati).
(All’aprirsi del sipario la scena è vuota; le porte sono chiuse. Bruscamente quella di fondo si apre, Antonietta, affannata, si precipita in scena e chiude prontamente la porta alle sue spalle.E’ in sottoveste e porta con se il grembiule e il cappellino da cameriera che indossa, in gran fretta.
ANTONIETTA — Mio Dio, Etienne!... E’ già di ritorno!... Non farò certo in tempo... (mette il berretto e inizia a indossare l’ abito da lavoro) Così!... Quando si è emozionate, non si guadagna certo tempo !... Coraggio, ora!
VOCE DI ETIENNE (dalle quinte di sinistra) — Antonietta!... Antonietta!...
ANTONIETTA — Oh!... (Va a chiudere il chiavistello della porta di fondo).
VOCE DI ETIENNE (più vicina) — Antonietta!...
ANTONIETTA (termina di abbottonarsi la veste da cameriera) —Dio, Dio!...
VOCE DI ETIENNE (dietro la porta di centro) —Antonietta !... (Scuote dall’esterno i battenti della porta, che resistono) Sù, aprì! Che sgualdrina! Si è chiusa a chiave! (La voce si allontana in direzione di sinistra) Aspetta un po’!
ANTONIETTA (che ha terminato la sua toilette) — Presto! (Va a togliere il chiavistello, e, rapidamente, in punta di piedi, si infila nella camera di destra, in primo piano).
ETIENNE (col cappello in testa e vestito come al secondo atto, sbucando dalla porta di fondo a sinistra) — Antonietta!... Dove si sarà ficcata?... Antonietta!
ANTONIETTA (comparendo sulla soglia della porta di destra, calmissima) — Ah, sei tu che gridi in questo modo?
ETIENNE — Esattamente... Perchè ti sei chiusa a chiave?
ANTONIETTA (facendo finta di non capire) — Che cosa?
ETIENNE — Perchè ti sei chiusa a chiave?
ANTONIETTA (imperturbabile) — Ma io non mi sono chiusa a chiave.
ETIENNE (perdendo la calma) — Ah, questa poi ... (Per confondere sua moglie si slancia verso la porta di fondo, gira la maniglia; la porta si apre; stupito) Accidenti!
ANTONIETTA (appoggiata alla tavola, le braccia incrociate, lo sguardo al soffitto, con aria ironica e scherzosa e allusiva) — Se adesso non sai più aprire una porta...
ETIENNE — Oh, ma questo non ha nessuna importanza. Dimmi piuttosto che cosa combinavi poco fa all’albergo della Micia Innamorata!
ANTONIETTA (come se le parlassero in cinese) —Al che cosa?
ETIENNE — All’albergo della Micia Innamorata.
ANTONIETTA (calcando) — Che cos’è?
ETIENNE — Come, “che cos’è”?... Ti assicuro che hai una faccia!... Ti ci ho sorpreso mezz’ora fa!
ANTONIETTA (ferita profondamente e visibilmente dall’oltraggio) — Io! Tu hai sorpreso me!?
ETIENNE — Sì, te!
ANTONIETTA (calmissima) — Io non mi sono mossa da qui.
ETIENNE (stordito da tanto cinismo) — Che cosa dici?
ANTONIETTA — La verità, semplicemente.
ETIENNE — Non ti sei mossa da qui, eh?...
ANTONIETTA — No.
ETIENNE — Sciagurata! Ti ho vista coi miei occhi in quell’albergo!
ANTONIETTA (con sangue freddo sconcertante) —E questo cosa prova?
ETIENNE (soffocando) — Come!
ANTONIETTA (perentoria) — Che tu mi ci abbia vista oppure no, io non c’ero!
ETIENNE -- Che faccia tosta! Ma se ti ho sorpresa... mezza svestita, tra le braccia di un inglese!
ANTONIETTA — Io?
ETIENNE (proprio sul viso di Antonietta) — Tu, sì! Proprio tu! Mi ha persino preso a pugni.
ANTONIETTA — Tra le braccia di un inglese, io? Ma come avrei potuto? Non so l’inglese.
ETIENNE (con una risata che suona falsa) — Aah! Aha! Bella ragione!...Per fare certe cose non bisogna conoscere le lingue…
ANTONIETTA (sempre imperturbabile) — Io non mi sono mossa da qui.
ETIENNE — Ma, perd... (rimasto senza argomenti pianta Antonietta dove si trova e raggiunge la sinistra; tra i denti:) Accidenti, sa mentire come una signora della buona società! (Tornando verso Antonietta) Dunque, tu non ti sei mossa da qui! Va bene. Sapremo subito tutto. (Si dirige verso il fondo).
ANTONIETTA (con inquietudine, facendo qualche passo verso di lui) — Che cosa vuoi fare?
ETIENNE (tornando verso sua maglie) — Voglio chiedere alla portinaia.
ANTONIETTA — Alla portinaia!
ETIENNE — Mi dirà lei se sei uscita o no. (Fa per risalire).
ANTONIETTA — Etienne!
ETIENNE — Ah! Ti ho smascherata!
ANTONIETTA — Sei matto!
ETIENNE — Questo non te l’aspettavi.
ANTONIETTA — Non puoi immischiare la portinaia in una discussione così ridicola. Capirà che sei un geloso patologico…allucinato…che mi vede ovunque…
(Tutto questa dialogo, molto caldo e rapido, deve intrecciarsi come in una discussione esasperata).
ETIENNE — Aha! Hai paura adesso, eh!... Non avevi previsto che avrei trovato questo mezzo!... Credevi di farmi bere la tua storiella, e invece ti senti in trappola, eh?
ANTONIETTA — Ti prego, Etienne.
ETIENNE (respingendola) — Niente da fare!
ANTONIETTA (cambiando tono) — E va bene. Fai come vuoi. (Va a piazzarsi di fronte al pubblico, appoggiata al tavolo e con le braccia incrociate).
ETIENNE (che è corso subito nel vestibolo lasciando i due battenti della porta aperti, si precipita al telefono, che è posto di fronte al pubblica;fa il numero) — Pronto... Siete voi, signora Piumino? Bene... Sentite... Quello che sto per chiedervi vi stupirà, ma ho assolutamente bisogno di sapere... Insomma, a che ora è uscita mia moglie?... Oggi, sì. (il viso di Antonietta esprime una certa ansietà) Eh?... Come, non è uscita affatto?... (Antonietta si rischiara in viso e emette un sospiro di sollievo) Andiamo, è impossibile: dite piuttosto che non l’avete vista passare... Come?... E’ venuta a mangiare da voi! (Piccolo moto di gioia, appena visibile, di Antonietta, il cui sguardo da questo momento diventa canzonatore) Eh?... Sì, sì, ho capito benissimo: dato che nessuno qui in casa pranzava, Antonietta è venuta da voi... (Non credendo alle proprie orecchie) Questa poi!... Ma io...
ANTONIETTA (sempre nella stessa posizione, ancora con le braccia incrociate, presenta le cinque dita della sua mano al pubblico; poi, con un cenno del capo indica il telefono) — Mi costa cinque franchi-euro.
ETIENNE (che è rimasto impietrito) — Non capisco più niente!... Va bene, vi ringrazio... E vi chiedo scusa... (Riaggancia il ricevitore, arrabbiato, e ritorna nel salotto con un’aria seccatissima; rientrando ha chiuso i due battenti).
ANTONIETTA — Ebbene?
ETIENNE (brutale) — Lasciami in pace! (andando a sinistra) C’è da chiedersi se sono impazzito, se stravedo!
ANTONIETTA (risalendo in direzione della porta di fondo-sinistra) — Quanto diventano idioti gli uomini gelosi!
ETIENNE (risalendo alla sua destra) — Sì... Basta, ora! Fila in cucina! (Campanello) E non credere che finisca così.
ANTONIETTA — A tuo piacere. (Alza le spalle ed esce; suonano di nuovo).
ETIENNE (arrabbiandosi, e come rispondendo al suono del campanello) — Subito! (A parte) O questa donna è un mostro di cinismo, o devo farmi curare. (Campanello) Eccomi! (Esce un momento di scena; si sente il rumore della porta d’ingresso che si apre e si chiude, poi si distingue la voce di Raimonda mescolata a quella di Etienne).
RAIMONDA (entra, seguita da Tournel; parlando scende fino al divano, mentre Tournel rimane sul fondo, a sinistra della porta di centro) — Non sentivate suonare?
ETIENNE (rispondendo alle domande per puro dovere, ma evidentemente pensando a tutt’altro) — Sì, signora, ma ero...
RAIMONDA — Il signore è rientrato?
ETIENNE — Eeh... No, signora.
RAIMONDA — Va bene, potete andare.
ETIENNE — Sì, signora. (Andandosene e indirizzando l’epiteto, fra i denti, alla moglie) Cammello!
TOURNEL (che si trova in ottima posizione per ricevere l’epiteto) — Cosa?
ETIENNE — Eh?... Oh, non dicevo al signore...
TOURNEL — Lo spero bene! (Etienne esce).
TOURNEL (poco voglioso di trattenersi ancora) —Cara amica, visto che siete finalmente in casa vostra, io...
RAIMONDA (che, vicina al divano, sta togliendosi cappello e guanti, voltandosi verso Tournel) — Che? Non vorrete andarvene! (Ha posato cappello e guanti su un mobile vicino).
TOURNEL (sconfitto) — Ah?
RAIMONDA (nervosa, senza riuscire a star ferma) — Eh no, grazie !...Troppo comodo! Non so in che stato d’animo ritornerà mio marito... Lo avete visto all’albergo della Micia Innamorata, no? La seconda volta che ci ha incontrati sembrava che volesse strozzarvi!... Se questo bel pensierino gli ritornasse...
TOURNEL (tanto placido quanto lei è agitata) — Capisco. Pensate che sarebbe bene che io fossi qui.
RAIMONDA — Eh, sì!... Non voglio essere sola a sostenere il primo urto.
TOURNEL (rassegnato) — Va bene, va bene. (Viene avanti).
RAIMONDA — Sembra che la cosa non vi entusiasmi.
TOURNEL (effettivamente senza entusiasmo) —Beh, capirete...
RAIMONDA — Tutti uguali! In principio dei leoni, ma poi, di fronte alle responsabilità...
TOURNEL — Piano, piano. Tanto per cominciare, quali responsabilità? Non è accaduto nulla.
RAIMONDA (andando verso di lui) — Se non è accaduto nulla non è stato per merito vostro! E poi mio marito non sa se non è accaduto nulla o se è accaduto. Dopo averci trovati in un posto come quello, ha il diritto di immaginarsi... quello che del resto si immagina. Lo prova il suo stato e la sua collera di poco fa! (suonano) Mio Dio, suonano! Forse è lui...
TOURNEL — Di già! (Si sente il rumore della porta che si apre).
VOCE DI LUCIANA — La signora è rincasata? (Rumore della porta che si rinchiude).
VOCE DI ETIENNE — Sì, signora.
RAIMONDA — Ah, è Luciana. (Risale verso la porta di fondo, che apre) Vieni, vieni!
LUCIANA (passando davanti a Raimonda e scendendo in direzione del tavolo) — Ah, Raimonda, Raimonda!... Che dramma!.. Che tragedia!...
RAIMONDA (alzando gli occhi al cielo) — A chi lo dici!
LUCIANA — Guarda le mie gambe! (Alza la gonna per far vedere come le tremano le ginocchia).
RAIMONDA E TOURNEL (con tono di condoglianza) — Oh!
LUCIANA (lasciandosi cadere sulla sedia a sinistra del tavolo) — Oh, ma non tornerò più a casa mia... No, no!... (Senza transizione, sullo stesso tono) Buongiorno, signor Tournel. Vi prego di scusarmi..
TOURNEL — Per carità! ...
LUCIANA (senza ascoltarlo, tornando ai fatti suoi) — Andrò ad abitare in un posto qualunque... dalle suore…sotto un ponte o qualcosa di simile. Tutto, tutto pur di non ritrovarmi più faccia a faccia con quella belva di mio marito!...
RAIMONDA — Parliamo un po’ di tuo marito Carlos! Che energumeno! Quando ha visto Tournel e me, non so che cosa gli ha preso... si è messo a inseguirci brandendo una rivoltella, come se avesse voluto ammazzarci!
TOURNEL — Ce l’aveva proprio con noi. Chissà poi perché!
LUCIANA — Come? Ha inseguito anche voi?
TOURNE[. — Sì! Che vulcano! Che mostro!
LUCIANA (appoggiandosi al tavolo di destra) — Io non mi sono ancora riavuta. Per fortuna ho trovato tuo marito, che mi ha sostenuta, mi ha trascinata via. Altrimenti svenivo e non so proprio che cosa sarebbe accaduto.
RAIMONDA — Ah, mio marito ti ha...
LUCIANA — Sì... Oh, anche lui mi ha spaventata, sai.
RÀIMONDA — Ah! Ah!
LUCIANA — Penso che l’emozione gli abbia dato un brutto colpo al cervello.
RAIMONDA — Lo hai notato anche tu?
LUCIANA — Altro che notato... Mi sono perfino detta: « Ci siamo!... Chandebise è impazzito! ». Ha cominciato a dirmi un mucchio di cose incoerenti...
RAIMONDA (a Tournel) — Sentito? Come a noi!
TOURNEL — Come a noi!
LUCIANA — Chi si ricorda più?... Che lui era il cameriere dell’albergo... che stava mettendo a posto la legna... che gli avevano rubato la sua livrea, insomma mille sciocchezze.
RAIMONDA — E’ assurdo.
TOURNEL — Assurdo. (Si siede).
LUCIANA — E a un certo punto sapete che cosa gli salta in mente?... Di portarmi con lui dal vinaio!... Io!
RAIMONDA E TOURNEL — Oh!
LUCIANA — Faccio un balzo indietro, e gli dico: “Andiamo, Chandebise! Su, su!” E lui: « Poche, Poche ».
TOURNEL (sedendosi sulla sedia a destra del tavolinetto posto sulla sinistra della scena) — E’ la sua fissazione.
LUCIANA — Tu mi capisci che mi prende la fifa: pianto in asso tua marito e il suo vinaio e mi metto
a fifare, cioè a tremare...! Guarda, fifo ancora …tremo ancora adesso! (si lascia cadere sulla sedia a sinistra del tavolo).
RAIMONDA — Io non capisco! Non capisco niente! O mio marito ha perso la testa o è tutta una trappola. Non capisco proprio.
TOURNEL (improvvisamente, a piena voce e su un tono profondo) — Ah! Io credo sia una trappola…una vendetta…
LE DUE DONNE — Che cosa?
TOURNEL (miserevolissimo) — Che giornata! Mio Dio…che giornata…
RAIMONDA — Tutto qui?... Pensavo che voi...
TOURNEL — No.
RAIMONDA — Siamo in un bel pasticcio!
TOURNEL — Sì.
LUCIANA — Tra un marito che ci vuoi bruciare il cervello...
RAIMONDA — ... E mio marito che sta perdendo il suo…diciamo cervello o quel che resta…Se avessi saputo non avrei mai fatto quell’ esperimento di fedeltà
TOURNEL — Quanti cervelli vanno al diavolo…anche il mio è un poco confuso…
TUTTI E TRE — Ah, siamo a posto! (Suonano; istintivamente Luciana e Tournel si alzano e si avvicinano a Raimonda, che è al centro della scena).
LUCIANA (quasi sottovoce) — Hanno... hanno suonato!
RAIMONDA E TOURNEL (c. s.) — Sì!
TOURNEL — Forse... forse è Chandebise.
RAIMONDA — Mi sembra strano: ha la sua chiave.
TOURNEL — Qualche volta si dimentica a casa.
RAIMONDA — E’ vero.(non si controlla più) — Oh! Mio Dio! Mio Dio!
LUCIANA E TOURNEL — Ma insomma nessuno va a aprire?
RAIMONDA — Non lo so!... Eppure, se hanno suonato....
TOURNEL. — Vuol dire che c’è qualcuno.
RAIMONDA (inchinandosi a questa verità lapalissiana) — E’ evidente.
TOURNEL — Volevo dire... Insomma, io non capisco. (Durante queste ultime battute si è sentito la porta esterna aprirsi e chiudersi).
ETIENNE (entrando smarrito) — Signora! Signora!
RAIMONDA — Che cosa c’è?
ETIENNE — Ah, signora!
RAIMONDA — Beh?
ETIENNE — E’ il signore!
TOURNEL E LUCIANA — Ah!
RAIMONDA — E con questo?
ETIENNE — Eh... Eh... Non so che cos’abbia, il signore... Gli ho aperto, lui è entrato... (imita il modo di camminare di Poche), e mi ha detto: « Abita qui il signor Chandebise? ».
TUTTI — Eh?
ETIENNE — Sì, signora!... Lì per lì ho creduto che volesse scherzare... E allora, per uniformarmi, vero, gli ho fatto: « Hehe! Sicuro che il signor Chandebise abita qui! Hehe! Hehe! » Ma lui non scherzava. Tranquillo mi dice: « Ditegli che sono venuto per la livrea... ».
TUTTI — No!
ETIENNE — Sì, signore! Sì, signore! (Si è rivolto alle due signore e poi a Tournel).
RAIMONDA — Ah, no! Questa storia non ricomincia un’altra volta! (A Etienne, con energia) Dov’è il signore?
ETIENNA — In anticamera... Aspetta.
TOURNEL E LUCIANA — Eh!
RAIMONDA (sobbalzando per la sorpresa) — Come, aspetta?
TOURNEL E LUCIANA — In anticamera?
RAIMONDA — Questa poi! (Risale, seguita dagli altri personaggi, fino alla porta, che spinge aprendo tutti e due i battenti. Tournel e Raimonda sono a sinistra della porta, Etienne e Luciana a destra. Si scorge in fondo al vestibolo Poche, che ha il cappello in testa ed è seduto sull’estremo bordo della sedia. Aspetta tranquillo. Alla vista dei personaggi il suo volto , da serio che era, si fa sorridente).
TUTTI (indietreggiando, sorpresi) — Oh!...
RAIMONDA — Che cosa fai lì?
POCHE (alzandosi a metà; ha l’aria abbrutita) —Desiderano ?...
RAIMONDA — Maandiamo! Ti sembra d’essere a tuo posto, lì in anticamera, come un fornitore?
POCHE (alzando leggermente il cappello) — Signora?
TUTTI — “Signora “?
RAIMONDA — “Signora !”... Su, vieni! (Avanza leggermente).
POCHE (spingendosi fino alla soglia della porta) — Il fatto è che io aspetto il signor Chandebise.
TOURNEL E LUCIANA — Cosa?
RAIMONDA — Ma che dici?
ETIENNE — Ha sentito, signora?
POCHE (dandogli, come per uno scherzo bonario, un colpo nello stomaco col suo cappello) — Ehi, ma vi riconosco! Non eravate poco fa all’albergo della Micia Innamorata?
ETIENNE — Sì, signore, sì.
POCHE -- Siete il cornuto!
ETIENNE (offeso) — Oh, oh, signore!...
RAIMONDA — Che cosa dice?
POCHE (sentendo la voce di Raimonda, si volta verso di lei) — Eh! Ma anche la signora conosco!... E’ la signora dell’albergo... Ci siamo perfino baciati... (Avanzando verso di lei) Buongiorno, signora…Vuole ancora baciarmi?
RAIMONDA (spaventata, tirando Tournel verso di se per frapporlo fra lei stessa e Poche) — Mio Dio!... Tournel, Tournel! Cosa avrà?
TOURNEL — Su, su, amico mio.
POCHE (indicando Tournel) — C’è anche il suo amichetto! Ah, perbacco!... Come va, come va? (vuole baciarlo).
TOURNEL (allontanandolo) — Ma andiamo!... Vittorio Emanuele! Vittorio Emanuele! (Avanza, come Raimonda, verso la sinistra).
POCHE (avanzando al centro della scena) — No! Poche! Poche!
LUCIANA (che si è avvicinata al tavolo di destra) — Evviva, Poche!
POCHE (riconosce Luciana e, parlando, le si avvicina) — Oh, la signora con la quale siamo scappati per via del pellerossa. Vi ricordate, signora? Che fifa, eh!
LUCIANA (un po’ spaventata) — Ehm. Sì... Sì... (Vedendosi costretta contro il tavolo, scivola, sempre parlando, lungo tutto il tavolo, e, arrivata in fondo, repentinamente, scappa, raggiungendo gli altri).
POCHE (torcendosi dal ridere) — Hi! Hi!... Ma dunque abitate tutti insieme! Hi, hi! Che buffo!Non so che sembrate…ah ecco una una famiglia di attori…(sottovoce) toccati…
TUTTI (stretti gli uni agli altri lo osservano accorati; sottovoce) — Oh!
POCHE (l’atteggiamento generale lo fa smettere di ridere) — Beh? Cosa avete?
TUTTI (prontamente) — Niente!... Niente!... Niente!
POCHE (a parte) — In questa famiglia sono molto gentili, ma un po’ strani. (Guadagna la destra).
RAIMONDA — Ma che cos’ha? che cos’ha?
LUCIANA (sottovoce a Raimondo) — Poveretto! Dovresti farlo visitare subito subito.
ETIENNE (che era rimasto in fondo alla scena, avanza; a mezza voce) — La signora desidera che telefoni alla dottoressa Finache?
RAIMONDA — Fate come volete!
ETIENNE — Sì, signora (risale).
POCHE (andando verso Etienne) — Ve ne andate?
ETIENNE — Sì, signore, sì.
POCHE — Va bene. Non dimenticate di dire al signor Chandebise...
LUCIANA (a Raimondo) — Lo senti?
ETIENNE (a Poche) — Sì, sì, signore (esce chiuderidosi la porta alle spalle).
TOURNEL — Perché deve far l’idiota in questo modo?
RAIMONDA — Lo fa apposta. Sono sicura che lo fa apposta.
POCHE (ridiscendendo verso gli altri personaggi per dare le sue spiegazioni) — Tutto è dipeso dal fatto che la livrea era appesa, mi spiego?
LUCIANA E TOURNEL (per non contrariarlo) —Sì, sì!
RAIMONDA (passando davanti a Tournel, va a piantarsi di fronte a Poche; con autorità) — Ora devi smetterla! Capito?
POCHE (interdetto, rimanendo a bocca aperta) —Ah!
RAIMONDA (con fermezza, scandendo bene le parole) — Se sei malato, dillo e noi ti cureremo!... Se invece il tuo atteggiamento è voluto, se è una vendetta contro di noi, ti dico che è una vendetta assolutamente stupida.
POCHE (c.s.) Ah!
RAIMONDA — Ti abbiamo spiegato per filo e per segno come si sono svolte le cose... Ti abbiamo provato in modo matematico che non c’è mai stato niente tra il signor Tournel e me... e se non bastasse la signora Homenidès può confermarti che siamo stati sinceri.
LUCIANA — Assolutamente sinceri.
RAIMONDA — Con tutto ciò, l’incidente è chiuso. Se tu vuoi proprio intestarti a credere che... Va bene, a tuo piacimento: in fin dei conti il signor Tournel è qui pronto a risponderti delle sue azioni. (Parlando ha afferrato Tournel per una manica -- e Tournel intento a parlare con Luciana non se lo aspettava — e lo ha mandato bruscamente contro Poche).
TOURNEL (mentre viene trascinato) — Io?
POCHE (cui Tournel è piombato in pieno petto, scostandolo con forza lo butta alla sua sinistra) — Oh!
RAIMONDA — Sicuro! Che tu ci creda o no prendi l’atteggiamento che la situazione comporta e smetti di dare spettacolo in una maniera tanto idiota!
POCHE — Io?
RAIMONDA — Si capisce! A un certo momento ti convinci, e ci abbracci e ci baci. E dieci minuti dopo salti alla gola del signor Tournel!
POCHE (voltandosi verso Tournel) — Io vi sono saltato alla gola?
TOURNEL — Sì.
RAIMONDA — Ma insomma, smettila! Ci credi o non ci credi?
POCHE — Ma certo!
RAIMONDA — E allora dacci un bel bacio e facciamola finita!
POCHE — Io? Ma anche dieci!
TUTTI — Finalmente! (Poche si è asciugato le labbra col dorso della mano e si accinge diligentemente a baciare Raimonda).
RAIMONDA (quando Poche già sta per sfiorarle la guancia, lo respinge) Oh!
TOURNEL (Poche, respinto, gli ha pestato un piede, emette un grido di dolore) — Oh!
TUTTI — Cosa c’è?
RAIMONDA (indignata) — Ma hai bevuto!
POCHE — Eh?
RAIMONDA — Puzzi di vino.
POCHE — Io?
RAIMONDA (afferrandolo per il mento e voltandogli bruscamente il viso in modo da porlo in pieno sotto il naso di Tournel che si era avvicinato senza sospetti) — Sentite, mio caro, sentite!
TOURNEL (indietreggia, semiasfissiato) — Oh!
RAIMONDA — Sentito?
TOURNEL — Puah!... Che cantina!
RAIMONDA (su un tono di rimprovero indignato) — Tu bevi! Ora bevi, eh!
TUTTI — Oh!...
POCHE — Che esagerazioni !... Io bevo, bevo! E’ proprio la parola adatta per tre o quattro miserissimi mezzi litri che ci siamo concessi per via del fatto che bisogna farsi un po’ di sangue!.e il proverbio dice: La carne fa carne…il vino fa sangue e la fatica fa buttare il sangue.... Voi avreste fatto altrettanto, andiamo!
RAIMONDA (risalendo) — Siamo a posto! E’ ubriaco! E’ completamente ubriaco.
TUTTI (scandalizzati) — Oh!
POCHE (andando dietro a Raimonda e cercando di farla voltare) — Io ubriaco? Ma sentite!..(cerca di farle sentire l’ alito). Non è affatto vero!... Mia piccola signora...
RAIMONDA (allontanandolo con gesto) — Via! Via, signore, andate a smaltire altrove il vostro vino.
POCHE — Cosa?
TOURNEL — Tu! Proprio tu, Vittorio Emanuele!
POCHE (sotto il naso di Tournel) — Poche, tanto per cominciare! Poche! Poche! (Appoggia sulla «P » di ogni “Poche”, in modo da mandare un soffio del suo alito sul viso di Tournel).
TOURNEL (infastidito da quell’alito di ubriacone, respingendolo con tutte e due le mani) — Poche, va bene! Se vuoi.
LUCIANA (non volendo ricevere addosso Poche, che la spinta manda verso di lei, gira bruscamente su sè stessa e raggiunge prontamente la destra) — Oh!
POCHE (riprendendo il suo equilibrio) — Sicuro che voglio !... Ma guarda. (Brontolando) Se continuano a fare così, sento che cominceranno a girarmi le scatole...per non dire…
RAIMONDA — Che vergogna!
ETIENNE (correndo) — E’ arrivato il dottore, signora.
TUTTI — Ah!
FINACHE (avvicinandosi a Raimonda) —Cosa è accaduto? Etienne mi ha detto che stava proprio per telefonarmi. (Amichevolmente, con un saluto della mano verso Poche) — Buongiorno, Vittorio!
POCHE (guardandosi intorno per vedere a chi si rivolgeva il dottore) — Dov’è questo Vittorio?
FINACHE (che si era già rivolto di nuovo a Raimonda, credendo a uno scherzo di Vittorio Chandebise gli fa un educato sorriso di compiacenza) — Che spiritoso! (A Raimonda) Ma che cosa c’è?
RAIMONDA (indicando Poche) — C’è che il signore è ubriaco fradicio.
FINACHE (con un moto di sorpresa) — Come? Ma andiamo! Lui?
ETIENNE (c.s.) — Cosa? Il signore?
TOURNEL E LUCIANA — Sì, si.
POCHE — Io?
RAIMONDA — Provate a annusarlo, dottoressa! Provate!
FINACHE (a Poche al quale si è avvicinato) — Non è possibile... E’ vero che siete ubriaco?
POCHE — Io? (alzando le spalle con aria di compatimento) Pffu !
FINACHE (che ha ricevuto lo sbuffo in pieno viso, si butta all’indietro) — Oh!
POCHE — Che storie.
FINACHE (a Raimonda, alludendo a Poche) — Oh, sì! Oh, moltissimo!
RAIMONDA — Avete visto?
ETIENNE (che è avanzato oltre il divano; scandalizzato) — Oh, signore!...
POCHE — Buh.
FINACHE — Mio povero amico!... Ma che cosa vi hanno fatto buttar giù, per ridurvi in uno stato simile?
POCHE — Vi ci mettete anche voi? (Avanzando su Finache) Sentite, buona donna...
FINACHE (indietreggiando) — Buona donna ?
POCHE — La finirete di divertirvi?... Io non sono più ubriaco di voi...
FINACHE (cercando di calmarlo) — Su, su, andiamo...
POCHE (passando davanti a lui e rivolgendosi successivamente ad ogni personaggio; e ognuno, quando lui si avvicina, schivandolo con dei “ sì, sì” inquieti e guadagnando rapidamente la sinistra della scena) — Ho detto la verità!... Da quando sono arrivato, voi giocate a chi mi prende meglio in giro!... Io non vi conosco!... Che cosa volete da me?... Sono venuto per vedere il signor Chandebise e voglio vedere il signor Chandebise, accidenti!... (Si rimette il cappello in testa e percorre a passi rabbiosi la scena, prima dal fondo in avanti, poi da in avanti al fondo. Tutti i personaggi, serrati gli uni agli altri, formano una linea per sbieco davanti allo schienale del divano e lo osservano atterriti. La loro posizione è la seguente: Etienne dietro a Finache, Raimonda accanto a Finache, poi Luciana, poi Tournel).
FINACHE (non credendo alle proprie orecchie) —Oh, perbacco!... Oh!...
RAIMONDA (a Finache) — Lo sentite?
LUCIANA — Ha degli attimi di lucidità, e poi, d’un tratto, più niente!
TOURNEL — Ed è in questo stato dal pomeriggio...
FINACHE — Ha avuto uno trauma !E’ ben conciato!... (Lo osservano tutti in silenzio, scuotendo il capo con accoramento).Ha
POCHE (vedendo tutti quegli occhi fissi su di lui) — Beh?... E quando mi avrete ben guardato?... Oh, sentite, io sono un bravo ragazzo, ma non permetto che mi si canzoni!
FINACHE — Sì, amico mio, sì.
TUTTI — Si, sì!
POCHE — Al diavolo! (Risale e misura la scena a grandi passi, brontolando).
RAIMONDA (a Finache) — L’avreste immaginato?
TOURNEL — Eh! (Poche si è seduto, immusonito, sulla sedia a sinistra del tavolo di destra).
LUCIANA E ETIENNE (accorati) — Oh!
FINACHE (tutto il dialogo che segue è bisbigliato e senza abbandonare con lo sguardo Poche) — Non riesco a rendermi conto... Gli è capitato altre volte, che voi sappiate?
RAIMONDA — Ma mai! Vero, Etienne?
ETIENNE — Mai!
FINACHE — Ve l’ho chiesto perchè questi fenomeni di allucinazione, questo stato di amnesia spinto fino alla perdita della nozione della propria identità, sono riscontrabili soltanto in individui affetti da alcolismo cronico.Questo stato è tra il delirium tremens…e l’ allucinazione cronica delirante…di tipo schizofrenico-paranoico…anancastico…un delirio alquanto lucido…ma ci vorrebbe uno specialista..uno psichiatra…e una cura in ospedale con neurolettici molto forti..
TUTTI — No!
FINACHE — Si può anche morire!
TUTTI (considerando Poche con commiserazione) — Oh! (Poche, seccatissimo, si è tolto il cappello, con cui dà un gran colpo sul tavolo).
TUTTI (di soprassalto) — Ah!
RAIMONDA — E’ assurdo! Vittorio Emanuele prende un bicchierino dopo i pasti, nient’altro!
TOURNEL — E spesso lo lascia a metà.
ETIENNE — E’ vero. Per non sprecarlo lo bevo io.
LUCIANA — Un bicchierino dopo i pasti non può certo...
FINACHE — Sì, invece! Qualche volta basta... L’alcoolismo non è una questione di quantità, ma di idiosincrasia.
TOURNEL — Ah, ecco!
TUTTI (eccetto Tournel) — Di che cosa?
FINACHE — Di idiosincrasia.
TOURNEL — Si capisce. (a Finache, soddisfatto della sua superiorità) Non sanno... (uscendo dai ranghi e volgendo le spalle al pubblico) L’idiotosincrasia è la disposizione più o meno grande che ha un individuo a... a diventare idiota.
FINACHE (che aveva approvato con dei cenni del capo, bruscamente) — Eh? Ma no, no!
TOURNEL (stupito) — Ah, no?... Io credevo... (riprende il suo posto).
FINACHE — L’idiosincrasia è il modo che ha ogni individuo di soffrire gli effetti di una certa cosa. Per esempio, un tale beve un litro di liquori al giorno e non ne risente, mentre un altro beve appena un bicchierino e diventa alcoolizzato.
POCHE (che da un momento li osservava, si china bruscamente; a parte) — Scommetterei la testa che continuano a sfottermi.
FINACHE — E guardate gli effetti!
TUTTI (ben stretti gli uni agli altri, il corpo leggermente piegato sulle ginocchia, considerando con compassione Poche) — Oh!...
POCHE (dopo una breve pausa) — Dite un po’, teste di rape, vi divertite proprio?
TUTTI — Come?
FINACHE — Non parlavamo di voi... Piuttosto, per piacere, volete tendere il braccio?
POCHE (stupito) — Il braccio?
FINACHE (tendendo il braccio in avanti, con la mano rigida e le dita aperte) — Così. Vedete?
POCHE (ubbidendo macchinalmente) — A che cosa serve? (La sua mano, così tesa, ha un tremito caratteristico).
RAIMONDA — Come trema!
TUTTI Oh!
FINACHE (tenendogli l’avambraccio) — Vedete ?... Lo vedete, il tremito degli alcolizzati? E’ uno dei sintomi più caratteristici. Inoltre potrebbe avere anche il morbo di Parkinson!
POCHE (con un balzo, incollerito) — Ahaha! Ahaha!
TUTTI (sobbalzando per la paura) — Ah!
POCHE (cammina pestando i piedi per terra e passa tra Finache e Raimonda) — Ora basta !... Ora basta!... Ora basta!
TUTTI (allontanandosi precipitosamente) — Ah, mio Dio!
FINACHE (tentando di calmarlo) — Su, su... Cosa c’è, vecchio mio?
POCHE (a Raimonda) — Volete che mi arrabbi, vero? (a Finache) Volete che mi arrabbi, accidenti!
TUTTI — Ma no! Ma no!
RAIMONDA — Amico mio, caro, calmati, ti prego. La colpa è nostra: gli abbiamo procurato uno choc e lui ha cercato di affogare il dolore nell’ alcool…
POCHE (rivoltandosi verso Raimonda, in pieno viso) — Basta voi! Non rompetemi più le scatole, boia di un mondo fottuto!
RAIMONDA (con un balzo indietro) — Eh? Che cosa ha detto?
FINACHE (parlando la accompagna verso il fondo: gli altri seguono il movimento dall’estrema sinistra) —Niente, niente!... Non fate caso... in certi momenti un uomo perde il controllo... Su, andate di là... Non irritatelo.
RAIMONDA (sul fondo) — Dottoressa, quel che è troppo è troppo !... Per quanto alcolizzato... dirmi mondo fo... come ha detto?
FINACHE (spingendo tutti verso la porta di sinistra) — E’ sovreccitato... Lasciatemi sola con Etienne. Tenteremo di farlo coricare, magari gli faccio un’ iniezione di un antidelirante…penso di avere dell’ aloperidolo…(Escono: Etienne, che quando tutti si avviavano verso il fondo era in testa al gruppo, è ora sul fondo, a destra della porta di centro).
FINACHE (ridiscendendo verso Poche, che continua a passeggiare nervosamente) — Su su, amico mio!
POCHE — Ah! avete avuto una buona idea a farli uscire, perchè si metteva male!
FINACHE — Si capisce! Me ne ero accorto.
POCHE — Ma che gente è, dico io? (Si tocca la testa) Gli manca qualche rotellina?
ETIENNE — Sì, sì, qualche rotellina.
POCHE — Eh, ma allora dovevate farmi un segno! Bastava che mi diceste, sottovoce: “Sono un po’ toccatini”! (A Finache, che ha approfittato del fatto che Poche tendeva il braccio per afferrargli il polso, allo scopo di sentirne i battiti) Perchè mi prendete la mano?
FINACHE (tirando fuori l’orologio con la mano destra rimasta libera) — Niente, niente! Così, per amicizia.
POCHE (con noncuranza) — Ah! (riprendendo il suo discorso) Ionon mi sarei arrabbiato !... (ridendo) So bene come ci si comporta: con i matti, bisogna sempre dire quello che dicono loro.Ditegli sempre di si…ai matti…
FINACHE (rimettendo l’orologio in tasca) — E’ curioso. Avete un polso debolissimo.
POCHE — Che cosa?
FINACHE — Dicevo che avete... (a Etienne) Ha un polso debolissimo.
POCHE (gioviale) — Eh, lo credo! Non sono Ercole! (Con una grossa risata soddisfatto, raggiunge la destra).
FINACHE (ridendo per compiacenza) — Aha! Molto spiritoso! Aha! (Sottovoce a Etienne, dandogli una manata su un braccio) Ridete anche voi!
ETIENNE — Io? Va bene. (Ridendo senza convinzione) Ah ah! Ah, ah!
POCHE (indicando Etienne) — L’ho fatto ridere, eh!
FINACHE (passando a destra) — Sì, sì! Eccome! (Ridiventando serio) Bene, ora che abbiamo fatto le nostre belle risate, dobbiamo essere ragionevoli.
POCHE — Come?
FINACHE — Vi spiego. Io sono un amico... (su un tono che non ammette dubbi) Voi mi conoscete.
POCHE — No!
FINACHE (un po’ interdetto) — Ah, se è così... bene, bene. Io sono il dottore, la buona dottoressa. Sono quella che guarisce!... Malati!... Bua!... Tisane!... Dieta!... Sono il buon dottorino!
POCHE — Eh, ho capito! Non sono stupido. Voi siete una dottoressa.
FINACHE — Bravo!
POCHE (a parte) — Perchè fa l’idiota a ’sto modo?
FINACHE (con un’aria profonda) — Ebbene, io sento... mi basta guardarvi... che siete molto stanco.
POCHE (sorpreso) — Io?
FINACHE — Sì, sì! Voi siete stanco!... (a Etienne) E’ stanco.
ETIENNE (abbondando nel senso voluto) — E’ stanchissimo.
POCHE — Beh, lo credo che sono stanco! Basterebbe anche meno!... Mi sono alzato alle cinque, ho spazzato tutto l’albergo, ho dato la cera, ho trasportato la legna...
FINACHE — Si capisce, si capisce!
ETIENNE — Si capisce!
ETIENNE e FINACHE (scambiandosi una sguardo accorato e scotendo il capo) — Oh!
FINACHE — Bene, sapete cosa si fa adesso? Vi spogliate subito subito e vi coricate!
POCHE — Io? Ma niente affatto!
FINACHE (sempre accomodante) — Come preferite voi. Mavolete almeno togliervi questa giacca che vi è tanto scomoda e mettervi una vestaglia... una vestaglia morbida morbida?
POCHE — Va bene... Però, la mia livrea?
FINACHE — L’avrete! Certo !... Ma finchè aspettate... (fa segno a Etienne) Etienne!
ETIENNE — Sì, dottoressa. (Risale, fa il giro della tavola e entra nella camera di destra).
FINACHE (approfitta del fatto che Poche è voltato in direzione della camera di destra per incollarsi, petto contro schiena, a lui; mette la mano sinistra sulla sua spalla, l’avambraccio destro teso al disotto della spalla destra di Poche, in modo da indicargli la camera in questione) — Ecco qua! E adesso... (parlando, imprime al proprio corpo, e per conseguenza a quello di Poche, un movimento di va e vieni). In quella camera c’è un ottimo letto...
POCHE — Chissà perchè fa la pompa, ora?
FINACHE — ... voi vi ci coricherete...
POCHE — Mi fa venire il mal di mare.
FINACHE — ... e vi farete una bella nannina!
POCHE (voltandosi) — Io? Ma no! Non pensateci nemmeno! E il signor Chandebise?
FINACHE (a parte, alzando le braccia al cielo) —Dio mio! (a Poche) State tranquillo. Se vi rimproverasse sono qua io.(cerca con il movimento delle mani di suggestionarlo…ipnotizzarlo)
POCHE (conciliante) — Va bene.
ETIENNE (portando la vestaglia) — Ecco la vestaglia!
FINACHE — Benissimo.
POCHE (lasciando che Etienne e Finache gli tolgano la giacca) — Non faccio per dire, ma voi fate di me quello che volete.
FINACHE — Siete una pasta d’ uomo. (Gli infilano la vestaglia) Eh?... Dite un po’ che non ci state bene?
POCHE (annodandosi la cintura) — Oh! Sembro almeno il cocchiere di un lord!
FINACHE (mentre Etienne va a posare la giacca sulla sedia a destra del tavolo) — Eccovi a posto!
POCHE — E’ più morbida della livrea!
FINACHE — Ma certo! Ah! E ora, un uccellino mi ha detto in un orecchio che avete un po’ di sete.
POCHE (gioviale) — E’ in gamba il vostro uccellino!
FINACHE (ridendo) — Vero?... vi faccio portar subito qualcosa da bere... Forse non vi sembrerà molto buono, ma dovete buttarlo giù lo stesso.
POCHE — Ah! Roba forte, eh?
FINACHE — Eh. Abbastanza, abbastanza.
POCHE (spostandosi a destra) — Date qua, senza paura! Io butto giù qualsiasi cosa.
FINACHE — Benone! (Sottovoce a Etienne, che, dopo aver posato la giacca, si era riavvicinato) Ora gli diamo un ipnotico e quando dorme gli facciamo la siringhina?
ETIENNE — Sì, signora.
POCHE (che non sente ciò che i due dicono) — Che manna! Che gente! (Va a sedersi a sinistra del tavolo).
FINACHE — Bisogna dargli venti gocce in un mezzo bicchier d’acqua.
ETIENNE — Bene, dottoressa.
FINACHE E ora portatelo a letto.
ETIENNE — Va bene, signora dottoressa. (Affettuosissimo, a Poche) Coraggio, signore. Se il signore vuole accomodarsi? Il signore può appoggiarsi al mio braccio.
POCHE (commosso, si alza e si appoggia al braccio di Etienne) — Siete proprio un uomo di buon cuore.
ETIENNE (accompagnandolo verso la camera di destra) — Il signore mi onora...
POCHE — Ma figuratevi... Vi assicuro che mi dispiace moltissimo che siate cornuto.
ETIENNE — Io?
POCHE — Perbacco! Me l’avete detto voi!
ETIENNE (facendo passare Poche per primo) — Ah, ma non lo sono più! Mia moglie era andata a prendere il suo pasto dal portiere!
POCHE (uscendo) — Beh, se non ha preso che questo! (escono).
(Appena uscito di scena l’attore si toglierà l’abito di Poche (calzoni e gilet) per la sua trasformazione in Chandebise, che non avrebbe il tempo di effettuare dopo la prossima scena. Tolti i calzoni e il gilet si infilerà la giacca della livrea, vi rimetterà sopra la vestaglia e si rimetterà la sciarpa intorno al collo. Essendo il colore dei calzoni di Chandebise non vistoso l’attenzione del pubblico non sarà attirata da quel poco che ne vedrà).
FINACHE (durante le ultime battute, si è preso lo scrittoio, lo ha aperto davanti al divano. Egli è di faccia al pubblico, e per conseguenza oltre lo scrittoio e il divano) — Accidenti che profumo! Ah, è questa carta! (Ciò dicendo, si porta al naso il foglio di carta color malva sul quale, al primo atto, Luciana aveva steso il suo primo tentativo di lettera. Quando Finache annusa il foglio, la parte scritta è visibile al pubblico, poi lo gira e legge.Rimette il foglio in mezzo agli altri, poi, facendo il giro del mobile, va a sedersi con le spalle al pubblico sul divano, e si dispone a scrivere. Nel momento in cui siede, si sente sbattere la porta d’ingresso). Questa èla porta d’ingresso... Deve essere Camillo. (Camillo difatti entra nella hall).
CAMILLO (scorgendo Finache, ancora tutto affannata) — Voi !... Ah, dottoressa, ricorderò a lungo il vostro albergo! Sono accadute cose... cose!... Ah, se ne sono accadute!
FINACHE (sempre seduto, senza capire una parola di quel precipitoso discorso) — Come? Come dite?... Non parlate così in fretta!
CAMILLO — Se sapeste cos’è accaduto!
FINACHE — Ma perchè non vi mettete il vostro palato? Valeva la pena che ve lo portassi!
CAMILLO — L’ho perduto, il mio palato!
FINACHE — Eh?
CAMILLO — Lo ha spedito a passeggio un inglese affibbiandomi un pugno nella mascella. (Aiuta la parola con la mimica dando un pugno in aria).
FINACHE (che stenta a capirlo) — Un inglese vi ha dato un pugno?
CAMILLO — Sì!... E magari non avessi avuto altro!... Oggi mi sembra di aver vissuto in un incubo! Chi non ho incontrato in quell’albergo?... Tutti, tutti!... E Tournel!... E Raimonda!... E Chandebise... con una gerla di legna sulla schiena !... Perchè una gerla, io domando? E poi la signora Homenidès, e suo marito che andava a caccia con la pistola! Pan! Pan! Ma se vi dico che ho avuto tutto, tutto! Ah, che tragedia! Mio Dio! Che tragedia! (Si lascia cadere sulla sedia a sinistra del tavolo di destra).
ANTONIETTA (arrivando da sinistra) — La signora mi manda dal signora dottoressa per sapere come sta il
signore.
FINACHE — Il signore? Meglio! Dite alla signora che sta meglio... (Alzandosi). Anzi, no: vado io stesso da lei.
CAMILLO — Ma che cosa c’è?
FINACHE (avviandosi verso il fondo) — Niente! Chandebise sta poco bene.
CAMILLO (scuotendo il capo) — Ah.
ETIENNE (uscendo dalla camera di Chandebise) —Il signore è a letto. (Risale all’estrema destra).
FINACHE — Perfetto!
ETIENNE (passando e prendendo dal tavolo il cappello che vi aveva lasciato Poche) — Buona sera, signor Camillo.
CAMILLO — Buona sera, Etienne.
FINACHE (dal fondo, accanto a Antonietta) — Su, Etienne, andate a portare l’ ipnotico…
ETIENNE — Subito, signor dottore. (Etienne esce dalla porta di fondo di cui lascia i due battenti aperti. Finache e Antonietta escono dal fondo a sinistra).
CAMILLO — Mio Dio! Mio Dio! Sono abbrutito! Totalmente abbrutito! (Si alza e scende; a parte) Mi faccio l’effetto di una piccola piuma... di una povera piccola piuma in balia di un ciclone! (Bussano a destra, in primo piano: sullo stesso tono) Avanti... Perderò la ragione, è certo!
POCHE (entra, sempre avvolto nella vestaglia) —Vi chiedo scusa...
CAMILLO (sobbalzando) — Vittorio Emanuele!
POCHE (per scherzare affetta un tono severo) —Ehè! Questo signore, io l’ho visto oggi alla Micia Innamorata!
CAMILLO (a parte, credendo a una ramanzina) —Accidenti!
POCHE — Abitano tutti qui!
CAMILLO (a parte) — Mi aveva riconosciuto! (andando da Poche e piantandoglisi ben di fronte) Devo spiegarti !... Io ero... in quel posto... perchè avevo un motivo... un eccellente motivo!... Avevo sentito dire che c’era una persona...
POCHE (che dal momento in cui Camillo gli ha rivolto la parola, lo ascolta sbalordito e a bocca aperta, si abbassa leggermente, con discrezione, per tentar di vedere quello che succede dentro la bocca del suo interlocutore) — Che diavolo ha in quella bocca?
CAMILLO (interdetto) — Come?
POCHE — Sputa, vecchio mio, sputa!
CAMILLO (seccato) — Ma non ho niente nella bocca! (riprendendo) No, io ti stavo dicendo che c’era una persona... Ehm era... era per una assicurazione...
POCHE (interrompendolo) — Per esser franco, io me ne infischio!
CAMILLO (interdetto) — Ah.
POCHE — Tutta roba che non mi riguarda! Solo, sto crepando di sete. Mi avevano detto che mi avrebbero portato da bere, ma credo che si siano dimenticati...
CAMILLO — Ma chi? (pronuncia: ha hi).
POCHE (ripetendo, come chi non capisce) — Ha hi?
CAMILLO (più forte articolando il meglio possibile) — Ma chi? (stessa pronuncia).
POCHE — Ah! Ma chi?... Voi dite “ ha hi “!... Intendevo la dottoressa.
CAMILLO (zelante) — Oh, è certo una dimenticanza. Ora vado io...
POCHE — Grazie! Ho una sete, capite, una grande sete!....
CAMILLO — Ma è naturale! Corro!
POCHE — Grazie! (Ritorna nella camera di destra e chiude la porta alle sue spalle. Appena uscito di scena, getta via la vestaglia e le ciabatte; con due colpi di pettine, correndo, aggiusta la sua pettinatura; passando, mette il berretto che gli porgono, poi, facendo un giro dietro il vestibolo, lo si deve veder arrivare dalla sinistra dell’anticamera. L’attore deve comparire in scena appena è pronto senza aspettare la fine del monologo di Camillo, che è fatto solo per dare il tempo della trasformazione).
CAMILLO (davanti al tavolo) — Ah, ah! Benone! Pensare che avevo paura di essere sgridato !... Invece l’ha presa benissimo! Chi l’avrebbe mai detto? Io lo credevo di idee strette... le ha larghissime. (Si sente il rumore della porta di ingresso che si apre e si richiude, e, dalla porta di fondo lasciata spalancata da Etienne, si scorge Chandebise che arriva da sinistra e sta rimettendo il suo mazzo di chiavi in tasca).
CAMILLO (vedendo Chandebise un attimo dopo aver visto Poche entrare nella camera, lancia un grido pazzo) — Ah!
CHANDEBISE (che era entrato francamente in scena, al grido di Camillo) — Cosa c’è?
CAMILLO (spaventato, non sapendo più dove battere il capo, indica successivamente col dito Chandebise e la porta di destra in primo piano) — Ah, Dio, Dio! Qui, qui!... E là là!
CHANDEBISE (oltre e a sinistra del tavolo) — Ma cosa succede?
CAMILLO (smarrito, urtando nel tavolo, urtando nelle sedie) — Mio Dio! Divento pazzo! Io sono pazzo!
CHANDEBISE (facendo qualche passo verso di lui) — Andiamo, Camillo!
CAMILLO — Vade retro satana! Sono pazzo! Sono pazzo! (Scompare dalla porta di fondo destra).
CHANDEBISE (abbrutito da questa accoglienza) —Perbacco! Sta dando i numeri!... Ma che cosa c’è nell’aria oggi? Ah, quell’albergo! Che incubo! Che incubo! (Vedendo la sua giacca sulla sedia a destra del tavolo) Guarda, la mia giacca?... Chi l’avrà riportata qui? Comunque, mi pare di aver tenuto fin troppo questa livrea. (Parlando, si toglie la giacca della livrea che posa sul tavolo, come il berretto, e indossa la sua giacca). Pensare che son dovuto rientrare a casa in questa tenuta.
CAMILLO (attraversando come un pazzo il vestibolo da destra a sinistra e aggrappandosi a Etienne che arriva in senso inverso) — Etienne! Sono pazzo! Sono pazzo! (Lo lascia e sparisce a sinistra continuando a gridare «sono pazzo »; Etienne rimane come abbrutito).
CHANDEBISE — Evviva. Non ha ancora finito.
ETIENNE (avanzando) — Che cos’ha il signor Camillo?
CHANDEBISE - E’ quello che mi domando io, Etienne!
ETIENNE (sentendosi chiamare col suo nome) —Ah! Il signore mi riconosce?
CHANDEBISE — Come, vi riconosco? Scherzate? Perchè non dovrei riconoscervi?
ETIENNE (prontamente) — Ehm. Non so, signore, non so. (In questo momento irrompe in scena Camillo, proveniente da sinistra, seguito da Finache, Raimonda, Tournel e Luciana).
CAMILLO — Vi dico che sono due! Sono due! Qui e là.
TUTTI — Ma come? Cosa?
CAMILLO (scappando dal fondo) — Divento pazzo, mio Dio, divento pazzo! (Sparisce per la destra del vestibolo).
TUTTI — Ma che cos’ha?
RAIMONDA (andando verso il marito) — Siamo noi caro... Veniamo per sapere...
CHANDEBISE (vedendo Raimonda, sobbalza) — Tu? Tu qui ? (Scorgendo Tournel che avanza lungo il lato destra del divano). E Tournel è con te! Non vi vergognate…tradire la mia stima(a Raimonda) e la mia amicizia( a Tournel)
RAIMONDA e TOURNEL (insieme) — Cosa?
CHANDEBISE (è saltato al collo di Tournel, lo ha fatto piroettare intorno a lui e lo spinge così, marciando su di lui e scuotendolo, fino al lato destro della scena) — Che cosa facevi, tu? Che cosa facevate quando vi ho sorpresi tutti e due, in quell’albergo equivoco?
TUTTI — Oh!
RAIMONDA — Ci risiamo!
TOURNEL (sempre nella stretta di Chandebise) —Amico caro, te l’abbiamo spiegato cento volte!
CHANDEBISE (sempre spingendolo e facendolo così andare fino sul fondo passando alla destra del tavolo) — Mi avete spiegato che cosa?... Che cosa? Oh, basta! Credete proprio di potermi prendere in giro ancora per molto?... Fuori dai piedi! (Tutti, istintivamente, hanno seguito il movimento, ma dal fondo, e si trovano così a sinistra del tavolo).
RAIMONDA — Senti, caro...
CHANDEBISE (avanzando minaccioso verso tutti) —Fuori dai piedi!
LUCIANA — Ma, signor Chandebise...
CHANDEBISE — Oh, vi prego! ( tuttii) Vi ho detto di andarvene! Non voglio più vedervi. (Misura a grandi passi la scena, esasperato).
FINACHE (esortandoli a rientrare nella camera di fondo a sinistra) — Uscite di qui! Andate! Non irritatelo, è in piena crisi. Ritornerete appena si sarà calmato.
RAIMONDA (lasciandosi accompagnare fuori) — Oh, con questa crisi! Con questa crisi! Io comincio ad averne abbastanza! (esce seguita da Luciana).
FINACHE — Su, su! (a Tournel) Tournel, vi prego.
TOURNEL (andandosene dietro agli altri) — In fin dei conti è stupido! Cambia idea ogni due minuti. (Etienne esce dal fondo e chiude i due battenti della porta).
FINACHE (quando tutti sono usciti, andando verso Chandebise) — E allora, mio buon Chandebise, che cosa c’è?
CHANDEBISE (davanti al tavolo di destra) — Vi prego di scusairmi, caro Finache. Ho ceduto a un impeto di collera.
FINACHE — Per carità! Uno sfogo fa sempre bene.
CHANDEBISE (ancora nervoso) — Ora comincio a calmarmi.
FINACHE — Ma certo !... Del resto possiamo già notare un sensibile miglioramento. Cominciate a riconoscere le persone... a sapere chi siete...
CHANDEBISE (lo guarda sbalordito) — Cosa?
FINACHE — Va meglio! Va meglio!
CHANDEBISE — Cosa significa che comincio a riconoscere le persone, a sapere chi sono... Ah, perbacco! Vi ci mettete anche voi?
FINACHE — Come?
CHANDEBISE — Ma non irritatemi! Forse ho davvero l’abitudine di non riconoscere le persone e di non sapere chi sono?
FINACHE — Non intendevo dir questo. Io...
CHANDEBISE — Mi sono lasciato trascinare da impeto di collera, ma ho sempre l’uso della ragione, sapete.
FINACHE (pronto, per non contrariarlo) — Eh, lo vedo! Lo vedo!
CHANDEBISE (soddisfatto) — Ah!
FINACHE — Sì, sì, sì, sì!... Ma con tutto ciò, al posto vostro io sarei rimasto a letto.
CHANDEBISE (stessa meraviglia di poco prima) —Cosa?
FINACHE — Che bisogno avevate di mettervi la giacca?
CHANDEBISE — Ah, bravo! L’ho rimessa perchè non avevo più voglia di passeggiare vestito da cameriere! (Parlando, risale lungo la destra del tavolo).
FINACHE — Da cam... (alzando gli occhi al cielo) da cameriere! Oh!
CHANDEBISE — Credete che sia divertente sembrare uno sguattero?
FINACHE (a parte) — Ohi, ohi, ohi, ohi!
CHANDEBISE (ridiscendendo dalla sinistra del tavolo) — Sì, mio caro, in livrea! Io! Con una livrea!
FINACHE (a parte) — Ecco l’idea fissa!
CHANDEBISE — Ah, vi assicuro che tutto quel che poteva capitarmi mi è capitato, nell’ albergo della Micia!
FINACHE — Ma allora ci siete stato?
CHANDEBISE — Lo credo!
FINACHE — Non dovevate andarci.
CHANDEBISE (pronto) — E invece ci sono stato!... Quante peripezie, Dio santo! Botte da una parte! Botte dall’altra!... Il padrone matto!... Mi mettono addosso una livrea e mi chiudono in una stanza!... Costretto a scappare attraverso i tetti, per poco non mi rompo il collo!... E come se non bastasse, Homenidès! Ho-mee-ni-dès! Tutto! Vi giuro che ho avuto tutto!
FINACHE (a parte, smarrito) — Com’è malato, mio Dio! Com’è malato!
CHANDEBISE — Oh, me ne ricorderò! (Si sposta a destra).
ETIENNE (portando un bicchiere pieno d’acqua su un piatto) — Ecco qua.
CHANDEBISE (vedendo Etienne si volta) — Cosa c’è, Etienne?
ETIENNE (avanzando verso Finache) – Niente, signore. la dottoressa mi ha chiesto di...
FINACHE — Sono stato io, sì, sì.
CHANDEBISE — Ah, va bene. (Si scosta e va verso il fondo lungo l’estrema destra).
FINACHE (a Etienne che gli presenta il piatto) —Grazie. (Prende il flacone del medicinale dalla sua borsa e ne versa qualche goccia nel bicchiere durante le battute seguenti).
ETIENNE (sottovoce al dottore) — Il signor dottore è contento, eh?.
FINACHE ). — Una... due... tre.. Io?
ETIENNE (c. s.) — Il padrone sta meglio?
FINACHE (c. s.) — Oh, no. No.
ETIENNE (c.s.) — No?
FINACHE (c. s.) — Proprio no!... Sei... sette...
ETIENNE (c.s.) — Oh!
FINACHE — Siamo al delirio! Al delirio !... Otto... nove.., dieci...
CHANDEBISE (che torna ad avanzare a sinistra del tavolo) — State poco bene, dottore?
FINACHE — No, no! (Gli si avvicina, agitando con la mano destra, piano e con un movimento in circolo o col cucchiaino, il bicchiere che contiene le gocce per mescolare bene) — Su, bevete questo.
CHANDEBISE — Io?
FINACHE — Sì !... Dopo tutte le emozioni che avete avuto, vi rimetterà in gamba.
CHANDEBISE — Se è così, non rifiuto! Confesso che lo scatto di poco fa mi ha turbato. (Prende il bicchiere).
FINACHE — Ero certo che mi avreste detto così. (Smette di agitare la mistura; quando Chandebise si dispone a bere, copre con la mano il bicchiere) Solo, è un po’ forte: buttate giù in un colpo solo!
CHANDEBISE (noncurante) — Oh! (Ne prende una buona sorsata, ma appena si sente il liquido in bocca posa precipitosamente il bicchiere sul tavolo e allontanando i due dal suo passaggio, si slancio come un pazzo verso la finestra).
FINACHE (ricorrendolo) — Non è niente! Vi avevo avvertito! Buttate giù! Buttate giù!
CHANDEBISE (ha aperto precipitosamente la finestra e ha sputato fuori tutto quello che aveva in bocca) — Ah!... Puah!
ETIENNE E FINACHE (dispiaciuti) — Oh!
CHANDEBISE (furibondo) — Volevate scherzare? Lo scherzo è di cattivo gusto!
FINACHE — Su, Chandebise!
CHANDEBISE (gli passa davanti respingendolo) —Ma non seccatemi! Che porcheria! (Parlando ha raggiunto il fondo destra).
FINACHE (che lo segue) — Dove andate?
CHANDEBISE — A risciacquarmi la bocca! Credete che avesse un sapore gradevole? (Esce).
ETIENNE — Hanno suonato. (Esce dal fondo).
FINACHE (al di là del tavolo esamina seccato il bicchiere lasciato da Chandebise) — Ha sputato tutto. Abbiamo faticato per niente.
VOCE DI FERRAILLON — Il signor Chandebise, per piacere?
VOCE DI ETIENNE — Abita qui, signore.
FERRAILLON (entra, seguito da Etienne) — Grazie.
FINACHE (sedendosi sul divano) — Siete venuto per farvi assicurare?
FERRAILLON -— No signora... Sono qui per restituire un oggetto che è stato trovato nel mio albergo e che appartiene al signor Camillo Chandebise. (Tiro fuori dal taschino il palato di Camillo).
ETIENNE (che è vicino a Ferraillon) — Ma l’ho trovato io!
FERRAILLON — Ah? (Salutando) Signore.
ETIENNE (presentandosi) — Etienne! Cameriere personale del signor Chandebise.
FERRAILLON (raffreddandosi) — Fortunato.
FINACHE (che da un momento strizza gli occhi per vedere l’oggetto che ha in mano Ferraillon) —Fatemi vedere! (Ferraillon gli dà il palato) Ma sì! E’ il palato di Camillo! Come ha fatto a perderlo?...E voi, come avete potuto sapere che era suo?
FERRAILLON — Eh, c’è inciso nome e indirizzo.
FINACHE — E’ vero! Trovata intelligente!
FERRAILLON — E comodo. Sostituisce benissimo i biglietti da visita. (Finge di porgere un biglietto).
FINACHE — Camillo sarà contentissimo. Vado a portarglielo.
ANTONIETTA (compare dal fondo, affannata) — Dottoressa! dottoressa! Il signor Camillo, non so cos’abbia, l’ho trovato nel bagno, completamente nudo, che si faceva una doccia!
FINACHE — Continuiamo con le novità!
FERRAILLON — Una doccia a quest’ora!
FINACHE — Cose da matti! (a Ferraillon) Ecco chi è il vostro signor Camillo! Voi volete vederlo e lui si fa una doccia. E’ incredibile! (Si avvia verso il fondo; a Antonietta) Dov’è il bagno?
ANTONIETTA (indicando la destra del vestibolo) —Di qui, signor dottore.
FINACHE (esce, seguito da Antonietta) — Ma che cos’hanno, tutti quanti? Che cos’hanno?
FERRAILLON (che, usciti Finache e Antonietta, si trova a sinistra della porta di fondo mentre Etienne è sulla destra, avanza parlando in direzione del tavolo di destra) — Che idea, farsi la doccia a quest’ora! (Il suo sguardo cade sulla livrea e sul berretto che aveva posato Chandebise) Perbacco! Ma quella è la livrea di Poche! (La prende) E il suo berretto!... Questa è grossa!... Come mai questa roba si trova qui?... ( A Etienne che avanza anche lui) Il mio cameriere è stato qui?
ETIENNE — Il vostro cameriere? No! Perchè avrebbe dovuto venire da noi?
FERRAILLON — E allora?
CHANDEBISE (arriva dalla porta in fondo a destra e avanza francamente lungo l’estrema destra) Che sapore orribile!
FERRAILLON (vedendo Chandebise, sobbalza) —Eh! Poche! Poche qui! (Si slancio per acchiapparlo).
CHANDEBISE (spaventatissimo) — Il pazzo! Il pazzo in casa mia! (Tenta di scappare evitando di farsi acchiappare da Ferraillon; i due personaggi, così, vanno e vengono al di là e al di qua del tavolo che li separa).
FERRAILLON — Ah, bestione! Che cosa fai qui? (Riesce ad acchiapparlo).
CHANDEBISE — Ah, là, là! Ah! Là, là!
FERRAILLON (facendo piroettare Chandebise) —Ora si porta a spasso la mia livrea fuori di casa, eh!
CHANDEBISE — Ah, là, là!
ETIENNE (interponendosi e tentando di dividerli)— Ma signore!... Che cosa fate?...
FERRAILLON (a Etienne, continuando a lottare con Chandebise) — Voi toglietevi dai piedi!
CHANDEBISE (riuscendo, grazie all’intervento di Etienne, a liberarsi) — Ah, là, là! Ah, là, là! Tenetelo! (Scappa, smarritissimo).
FERRAILLON (lottando ora con Etienne) — Lasciatemi! (Lo manda, con uno strattone, lontano).
ETIENNE (tornando alla carica) — Ma è il signor Chandebise! Il mio padrone! (Si sente la porta del vestibolo sbattere violentemente).
FERRAILLON (respingendo Etienne) — Ma che padrone! E’ il mio cameriere!... Lo conosco bene! (Esce correndo e portandosi via la livrea e il berretto di Poche).
ETIENNE (correndogli dietro) — Ma no! Ma no!
CHANDEBISE (si arrischia a far capolino dalla porta di sinistra; angosciatissimo) — Se... se n’è andato? (Si sposta verso il proscenio a sinistra) — Che buona idea ho avuto di far sbattere la porta! Lui ha creduto che filassi via dalla scala e si è lanciato a inseguirmi! (Sospirando) Finalmente! Se n’è andato! (in questo momento si sente un confuso rumore di voci provenienti dall’anticamera).
VOCE DI ETIENNE — Ma signore! Signore!
VOCE DI HOMENIDES — Yo entrerò — hablo chiaro? Yo entrerò!
CHANDEBISE — Che succede? (sotto una spinta dall’esterno, la porta di fondo si apre bruscamente).
HOMENIDES (con un astuccio da pistole sotto il braccio) — Ah! Lui! (Etienne, rinunciando a intromettersi, si ritira).
CHANDEBISE (accerchiato nel suo angolo) — Homenidès! (Fa per scappare).
HOMENIDES (avanza su di lui, e, con tono che non ammette replica) — Fermatevi!
CHANDEBISE (miserevolissimo) — Amico mio...
HOMENIDES (fulminandolo con uno sguardo) —Non c’è più d’amigos! (Posa con un gesto secco il suo astuccio per pistole sulla sedia che è a destra del tavolinetto davanti al divano, poi) — Aha! Voi ve la siete escapato, poco fa!... Ma yo ve ritrovo!... E si no fosse por quelli qui me hanno arrestato e portato dal... commissionario de polizia, yo ve avrei insegnato que cossa es una pistola. Ma il commissionario me ha confisquato il mio buldog e ha fatto que yo ho promisso, por ottenire la libertà, que yo no me servirò più del buldog!... (Con un sospiro di rimpianto) Yo loho promisso!
CHÀNDEBISE (rassicurato) — Sì?... bravo, «commissionario »!
HOMENIDES — E così... (aprendo il suo astuccio) Yo hoportato delle pistoline.
CHANDEBISE (facendo un salto indietro) Eh?
HOMENIDES (rassicurandolo col gesto) Oh! No avete timore! Sì, sì, delle piccole pistole. Pistoline! Ma yo no voglio suicidarvi. Yo no l’ho potuto fare al momento, — como dite voi? — della «flagrante delitto »...
CHANDEBISE (sempre meno rassicurato) — Sì, sì... ho capito.
HOMENIDES — Adesso, esto sarebbe... on assassinio! Yo no lo voglio!
CHANDEBISE (avvicinandosi, un po’ più rassicurato) — Ah! E’ quello che dico io!
HOMENIDES — Ecco due pistoline; una es carica, l’altra no lo è.
CHANDEBISE (molto interessato) — Bene. Io preferisco la prima.
HOMENIDES (emettendo un ruggito che fa fare un balzo indietro a Chandebise) — Belepp! (Si calma subito e va a prendere un pezzo di gesso nella scatiola) Yoprendo del gesso e yo faccio un cerchio nel vostro coraçon. (Disegna rapidamente un cerchio sul lato sinistro del petto di Chandebise).
CHANDEBISE — Ma che cosa fate? (Cerca di cancellare il cerchio con la mano).
HOMENIDES (disegnando anche sul proprio petto un cerchio uguale) — Yo me faccio la istessa cossa.
CHANDEBISE (a parte) — Era un sarto!
HOMENIDES (ha posato il gesso e ha ripreso le sue pistole) — Si prende la pistolina, e ognuno mette la canna en el cerchio dell’altro... Pan! Pan !... Qui ha la balla, quello es lo muerto.
CHANDEBISE — Ah!... E l’altro?
HOMENIDES (fa un balzo e ruggisce in un modo che fa trasalire Chandebise) — Belepp! (Calmissimo e cortese) Esto è el duello de noialtri!
CHANDEBISE (che gusta poco questo genere di combattimento) — Vedo, vedo.
HOMENIDES (molto amabile, presentandogli dalla parte del calcio le due pistole, tenute in una mano) — Su! Toma una pistolina.
CHANDEBISE — Cosa?
HOMENIDES (insiste più imperioso) — Yo ve ho detto de prendere una pistolina.
CHANDEBISE (gli passa davanti facendo un largo giro) — Grazie tante! Ma non prendo niente fuori pasto.
HOMENIDES (feroce) — Prendete!... Oppure yo faccio l’assassinio!
CHANDEBISE (vedendo che l’altro non scherza) —Ma parlavate sul serio? Ah, mio Dio!... Aiuto!... Aiuto!... (Se la batte come un coniglio verso la porta di fondo, dalla quale esce).
HOMENIDES (Si precipita ad inseguirlo.) — Chandebisse!... Yo te ordino!... Yo voglio!... (esce).
VOCE DI CHANDEBISE (dalla quinta di sinistra) —Aiuto! Aiuto!
VOCE DI HOMENIDES (che si dirige dal lato dal quale proviene la voce di Chandebise) — Ora vedrai! Ora vedrai!
VOCE DI CHANDEBISE (dalla quinta di sinistra) —Aiuto! Aiuto! (affannato, ricompare dalla porta di fondo sinistra, attraversa la scena come una freccia e si precipita nella camera in primo piano a destra. Appena entrato lo si sente gridare fortissimo) Ah! (subito ricompare ancora più spaventato) Ah! Io!... Io! Io sono coricato di là, nel mio letto! La casa è stregata! E’ stregata!
VOCE DI HOMENIDES — Dov’è il misserabile? (In questo momento il direttore di scena deve trovarsi in prossimità del fondo. Da quando l’interprete di Chandebise esce di scena, si sostituisce a lui per continuare a gridare «aiuto », prima dirigendosi esteriormente verso la porta di fondo destra, che egli tiene chiusa finchè Homenides la scuote, poi correndo gridando verso la porta di fondo sinistra, che terrà ugualmente chiusa per resistere a Homenides. Durante questo gioco di scena fatto per trarre in inganno il pubblico, che crederà Chandebise all’estrema sinistra, l’attore avrà indossato prontamente la vestaglia e si sarà messo la sciarpa di Poche, pronto così a entrare dalla parte indicata).
CHANDEBISE (riconoscendo la voce) — Oh! (si precipita verso la porta di fondo, che si chiude alle spalle).
HOMENIDES (sbucando dal fondo a sinistra, lo vede e si lancia verso la porta dalla quale Chandebise è scappato) — Aspetta un momento! (Va a battere il naso contro la porta chiusa col chiavistello, e la scuote invano).
VOCE DI CHANDEBISE (dirigendosi fuori scena verso la porta di fondo destra) Aiuto! Aiuto!
HOMENIDES (seguendo la voce si precipita verso la porta di fondo destra, che trova chiusa come l’altra) — Apri! Vuoi aprire?
VOCE DI CHANDEBISE (traversando fuori scena da destra a sinistra) — Aiuto! Aiuto!
HOMENIDES (correndo alla porta di fondo sinistra che trova chiusa) — Apri, misserabile, apri! (scuote invano la porta).
POCHE (esce da destra primo piano, avvolto nella sua vestaglia e ancora semiaddormentato) — In questa casa non si può proprio dormire!
HOMENIDES (alla vista di Poche, lascia immediatamente la porta e si slancia su di lui tenendo sempre in mano le sue pistole) — Ah, sei aqui! Misserabile!... Su, prendi subito le pistoline!
POCHE (con un balzo) — Dio! Il pellerossa!
HOMENIDES (avanzando lungo l’estrema destra) —Yo te ammazzo!
POCHE (battendosela lungo l’estrema sinistra fino sul fondo) — Ma cosa dite?... Ah, mio Dio! Mio Dio! (trova la porta di fondo destra chiusa).
HOMENIDES (alle sue calcagna) — Yote tiengo! Tu no me scapperai!
POCHE (lanciandosi successivamente verso le altre due porte del fondo che trova chiuse) — Ah, là, là!... Ah, là, là!... (arriva così alla finestra, che precedentemente Chandebise aveva lasciata aperta, e, non trovando altra via di salvezza): Ah! (e salta nel vuoto).
HOMENIDES (arrivato alla finestra nel momento in cui l’altro la scavalca, non può reprimere un moto di raccapriccio) — Ah, sventurato! Se ammatterà (guarda). No!... Nosi è ammattato! Ah!... Yo lo ammatterò!... (queste due esclamazioni devono contrapporsi con immediatezza, senza transizione; poi, Homenides si sposta a destra) Oh, sì, yo lo suiciderò! (si passa due dita al colletto, come chi si sente salire il sangue alla testa). Yo tiengo sete (scorge sul tavolo di destra il bicchiere lasciato quasi pieno da Chandebise) Ah! (si precipita verso il bicchiere e se lo porta avidamente alle labbra; appena ha preso la prima sorsata, posa il bicchiere sul tavolo, poi, non sapendo dove risputarla, si precipita verso la finestra e sputa fuori tutto quanto con disgusto) Ah! Puah! (come se se ne appellasse al cielo) Ma se beve proprio delle porcherie in esta cassa!... Puah! (respira profondamente; in questo momento si trova proprio sopra allo scrittoio lasciato aperto da Finache). Que cossa yo sento aqui?... El profumo della lettera !... El profumo de mia moglie !... (prende uno dei fogli, esattamente quello lasciato da Luciana al primo atto) Ah, la carta! La carta qui es la stessa!... Ah, e los caratteres, los caratteres de mi mujer! (leggendo): “ Señor, yo ve ho visto l’altra sera al Palays Royal “. Pero! Esta es la copia de la lettera al marito... que yo l’ho en mi tasca (parlando ha tirato fuori di tasca l’altra lettera e la confronta). Porque? Porque aqui, en la scrittoio de señora Chandebisse?... Oh, yo voglio saver! Yo savrò (si precipita verso la porta di fondo sinistra e vi batte sopra furiosamente con i pugni) Aprite! Aprite!
TOURNEL (comparendo sulla soglia) — Ehi! Ma che c’è?
HOMENIDES (gli salta al collo, e, dopo averlo fatto piroettare intorno a lui) — Ah! El Tournel! Voi adesso me dite subito...
TOURNEL — Accidenti! Il torero!
HOMENLDES — Esta lettera...
TOURNEL — Ma lasciatemi, perbacco!
RAIMONDA (compare dal fondo sinistra e avanza)— Cosa succede?
HOMENIDES (abbandona Tournel dandogli una spinta che gli fa perdere l’equilibrio e marcia diritto su Raimonda) — No, voi! Esta lettera que yo ho trovata en le vostre carte.
RAIMONDA (riconosce la lettera; trasale leggermente) — Frugate tra le mie carte adesso?
HOMENIDES — La questione non es aqui!... (con ira contenuta) Porque?... Porque los caratteres de mia moglie?
RAIMONDA — Aha!
HOMENIDES — Dunque essa confeziona le sue lettare d’amore in cassa vostra?
RAIMONDA – In casa mia. Questo dovrebbe bastare a provarvi l’assoluta innocenza di vostra moglie. Vi assicuro che il vostro atteggiamento non ha nessuna ragione.
HOMEDINES -- Como?
RAIMONDA — Come, “ como”! Ma perchè si deve supporre che se tra vostra moglie e mio marito ci fosse un accordo, un intrigo, il mio scrittoio non sarebbe...
TOURNEL (completando il pensiero di Raimonda) —... il posto più adatto.
HOMEDINES — Ma allora, que, que?
RAIMONDA — Eh, que, que! Guardate, c’è vostra moglie: chiedetelo a lei. (avanza a sinistra, oltre il divano).
HOMENIDES (correndo da Luciana) — Ah, señora, voi me direte...
LUCIANA (accennando a voler scappare) — Mio marito!
HOMENIDES (la ferma afferrandola a un polso e la fa avanzare, parlando) — No, ve supplico, rimanete!... Con una palabra, con una parola, voi me potete tranquillizare !... Esta lettera !... Esta lettera
LUCIANA (stupita, riconoscendo la sua lettera fra le mani del marito) — Eh, ma come...?
HOMENIDES – Yo l’ho trovata!.... Porquè? Porquè?
LUCIANA (guardando Raimonda) — Ma... si tratta di un segreto non mio.
RAIMONDA — Coraggio, Luciana, dagli la chiave di questo rebus affinché possa riposare le sue meningi.
HOMENIDES (supplichevole) — Oh, sì!
LUCIANA (a Raimonda) — Vuoi proprio?
RAIMONDA (con indifferenza) — Su!
LUCIANA — E va bene. (a suo marito) Che Otello siete! Ma non avete proprio capito? (a Raimonda, indicando suo marito) Ah!, que tonto! (a Homenides) Raimonda dubitava della fedeltà di suo marito.
HOMENIDES (brusco) — Como?
LUCIANA — E allora per avere una prova decise di dargli un appuntamento galante.
HOMENIDES (bollendo di impazienza) — Pero, la carta! La carta!
LUCIANA (andando in collera a sua volta) — Eh, la carta! La carta! Aspetta, accidenti. (ridiventa subito calma e, mettendo i puntini sulle i) Se la lettera l’avesse scritta lei, suo marito avrebbe riconosciuto la calligrafia.
HOMENIDES (con un barlume di speranza negli occhi per quella verità che vede nascere) — Despuès! Despuès!
LUCIANA — E così ha voluto che la scrivessi io.
HOMENIDES (non potendo credere ai propri orecchi) — No! Es verdad? (a Raimondo) Es verdad?
RAIMONDA (stupita per questa domanda in una lingua che non conosce) — Cosa?
HOMENIDES — Es verdad lo que ella dice?
RAIMONDA — Tutto quello che dice è verità!
HOMENIDES — Ah, señora, señora! Quando pienso que me metevo tantas ideas en la testina!
RAIMONDA (con delle comiche riverenze) — Oh, ma non c’è di che! Ma figuratevi!
HOMENIDES (a Luciana) — Ah! Que tonto! Tonto soy! (a Tournel, dandosi a mo’ di atto di contrizione un pugno nel petto ad ogni « bruto ») Ah, yo soy un bruto! Un bruto! Un bruto!
TOURNEL (lo scimmiotta dandosi anche lui dei gran colpi nel petto) — Ma è quello che ci sforziamo di dirvi!
HOMENIDES (che ha già smesso di ascoltarlo, a Luciana, con slancio) — Ah, querida! Perdoname, mi tonterias!
LUCIANA — Ti perdono, però non farlo più.
HOMENIDES (spostandosi con lei fino al divano) —Ah, querida mia! Ah, yo te quiero! (si siedono, la mano in mano).
RAIMONDA (indicandoli a Tournel) — Ah! Come si capiscono bene questi spagnoli. (In questo momento la porta di fondo destra si apre, ed entrano Finache, Camillo e Chandebise. Questa entrata deve essere rapidissima).
FINACHE (raggiunge dal fondo il centro della scena, avendo alle calcagno Camillo) — Ragazzi miei, ragionate.
CAMILLO (in accappatoio da bagno e sempre senza palato) — Vi ripeto che l’ho visto nello stesso istante lì e di là (indica l’anticamera e la camera in primo piano a destra).
CHANDEBISE (che è avanzato senza esitare lungo l’estrema destra) — E io mi sono trovato a faccia a faccia con me stesso, in questa camera e coricato nel mio letto!
FINACHE (scettico) — Oh!
HOMENIDES (sempre seduto) — Que? Que?
CHANDEBISE (alla vista di Homenides a un metro da lui, gira su se stesso per battersela) — Homenides! Ancora qui!
HOMENIDES (fermandolo col gesto) — Su, su, no abbiate timore! Yo adesso sono calmato... Por que adesso yo so que l’autore della lettera... la dama del tiatro, non era mi mugliera — come me gusta — ma la vostra.
CHANDEBISE (a Raimonda) — Come? Tu?
RAIMONDA (che è a sinistra del tavolo) — Ma se te l’abbiamo detto quaranta volte! (sale oltre il tavolo).
CHANDEBISE — A me?
TOURNEL (a destra del tavolo) — Ma sì! Ogni volta che ci siamo baciati. Poi, abbiamo dovuto ricominciare tutto da capo. (Risale lungo l’estrema destra e va a raggiungere Raimonda vicino al mobile che è tra le due porte di fondo).
CHANDEBISE — Che cosa dice?
HOMENIDES — E pensare que por esta cossa, yo ve ho defenestrato dalla finestra.
CHANDEBISE — Io?
TUTTI — Dalla finestra?
HOMENIDES — Ah, que emozione yo ho avuto!
CHANDEBISE — Io! Voi avete fatto saltare me dalla finestra?
HOMENIDES — Naturalmente! Yo vi ho fatto!... Voi uscivate da lì (indica la camera di destra in primo piano) e, hop!, siete saltato!
CHANDEBISE (spostandosi a grandi passi all’estremo destra) — Ci siamo! Ci siamo! Anche lui!... Siamo tutti in balia della stessa allucinazione!... Quello che voi avete visto saltare dalla finestra e che mi somigliava... è quello che ho visto io nel mio letto!
CAMILLO — E che io ho visto lì e di là.
CHANDEBISE (che è sempre all’estrema destra) —Sicuro! E la prova è che io sono certissimo di non esser saltato mai da questa finestra.
HOMENIDES — Que cossa dite?
FINACHE (prendendosi la testa fra le mani) — Oh, oh, oh!, sento che sto per caderci anch’io. Lo sento!
TOURNEL — E’ un incantesimo !... E’ un incantesimo! (Entra Ferraillon).
FERRAILLON (con la vestaglia di Poche sotto il braccio) .— Domando scusa, signore e signori...
CHANDEBISE — Il pazzo! (spaventato, si precipita sotto il tavolo di destra, cui era vicino).
FINACHE e CAMILLO — Ferraillon!
RAIMONDA — Il padrone della Micia Innamorata
TOURNEL — Il padrone dell’albergo! (queste tre battute, contemporaneamente).
FERRAILLON — ...Domando scusa, ma poco fa, passando per la strada, è mancato poco che ricevessi sulla testa il mio cameriere, il quale saltava, per ragioni che mi sfuggono, da questa finestra...
TUTTI — Eh?
TOURNEL, CAMILLO EHOMENIDES — Era il cameriere!
FERRAILLON — ...e se la batteva portandosi via questo indumento. (mostra la vestaglia).
RAIMONDA (che è avanzata a sinistra del tavolo)— Ma è di mio marito! (credendo di trovare Chandebise) E’ tua, questa... Beh? E dove è andato? (chiamando) Vittorio Emanuele! Vittorio Emanuele! (risale verso il fondo e va a aprire la porta di fondo destra per lanciare il suo ultimo appello).
TUTTI — Vittorio Emanuele! (Elienne va a guardare dalla porta in fondo destra, Tourne! da quella in primo piano a destra).
FERRAILLON (scorgendo Chandebise rannicchiato a quattro zampe sotto il tavolo) — Ah!
TUTTI — Cosa c’è?
FERRAILLON — Poche! Di nuovo Poche! (va a prenderlo per il colletto e lo tira fuori dal suo nascondiglio).
TUTTI — Come, Poche?
CHANDEBISE (uscendo da sotto il tavolo tirato di Ferraillon) — Ah, là, là!... Ah! Ah!
FERRAILLON (facendolo piroettare intorno a sè stesso a forza di calci nel sedere) — Ah, sporcaccione! Bestiaccia! Maiale!
TUTTI — Ah!
RAIMONDA (interponendosi) — Ma, signore !... E’ mio marito!
FERRAILLON (indietreggiando, sbalordito) — Cosa?
CHANDEBLSE — Ma si! E’ un’idea fissa la vostra, sapete!... (agli altri) Ogni volta che ci incontriamo, mi affibbia un sacco di botte!
FERRAILLON — Questo è vostro marito?
RAIMONDA — Il signor Chandebise, esatto!
FERRAILLON — Non è possibile! Lui! Ma è il ritratto preciso di Poche, il mio cameriere!
TUTTI — Poche!
FERRAILLON— Si, quello che poco fa è saltato dalla finestra.
TUTTI (sbalorditi) — Ah!
CHANDEBISE — Ora capisco tutto! L’uomo che ho visto poco fa nel mio letto e che ho scambiato per me stesso, era Poche!
TUTTI — Poche!
RAIMONDA — Ed era quello che abbiamo visto nell’albergo con la bottiglia in mano!
TOURNEL — Quello che abbiamo baciato!
TUTTI (bene insieme) — Era Poche!
LUCIANA — Quello che voleva assolutamente portarmi dal vinaio!
CAMILLO — E che aveva la gerla sulle spalle!
TUTTI (c. s.) — Era Poche!
CHANDEBISE — Poche! Poche! Sempre Poche! Ah, perbacco, mi dispiace che se ne sia andato tanto presto !... Mi sarebbe piaciuto vedere da vicino il mio sosia.
FERRAILLON — Ma c’è un mezzo semplicissimo, signore! Venite un giorno alla Micia Innamorata!
CHANDEBISE — Io, alla Micia Innamorata! Ah, no, no, ci sono stato anche troppo!
RAIMONDA (con perfidia) — Neppure per i begli occhi della sconosciuta del Teatro?
CHANDEBISE — Hai il coraggio di canzonarmi, anche? Dopo avermi teso quella tua pericolosa trappola...
RAIMONDA — Ti domando perdono, ho avuto torto. Ma — cosa vuoi? — avevo dei dubbi sulla tua fedeltà.
CANDEBISE — Dio buono! E perchè? Perché?
RAIMONDA — Beh, perchè... Oh, senti, te lo dico... (gli parla all’orecchio).
CHANDEBISE — No! Per così poco?
RAIMONDA — Cosa? Proprio per questo poco.
CHANDEBISE — Oh, beh...
RAIMONDA — Sarà sciocco se vuoi... Ma è bastato a mettermi una pulce, che dico una zanzara tigre… nell’orecchio.
CHANDEBISE — Dannata zanzara! (come accettando una sfida) E va bene! L’ammazzerò questa sera!Un momento…ma cosa mi viene in mente…un ricordo importante…ma mia madre, buonanima, mi disse che avevo un fratello gemello che fu rubato da nomadi…Allora è Poche…ho ritrovato mio fratello…Dovrò ritornare all’ Albergo della Micia Innamorata…
(Tutti lo guardano tra increduli, mentre cala il