La pulce nell’orecchio

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CAMILLO (sorpreso, riprende a stento l’equilibrio; brontolone) — Ma no, andiamo

LA PULCE NELL’ORECCHIO

commedia in tre atti di

Georges Feydeau

PERSONAGGI:      

VITTORIO EMANUELE CHANDE­BISE

POCHE

CAMILLO CHANDEBISE

RO­MANO TOURNEL

DOTTOR FINACHE

CAR­LOS HOMENIDES DE HISTANGUA

AGOSTINO

FERRAILLON

ETIENNE 

RUGBY

BAT­TISTINO

RAIMONDA CHANDEBISE

LUCIA­NA DE HISTANGUA

OLIMPIA FERRAILLON

ANTONIETTA

EUGENIA

L’azione si svolge nel mese di giugno. Il primo e ter­zo atto a Parigi, il secondo a Montretout.

ATTO PRIMO

La scena figura il salotto dei Chandebise. Stile in­glese. Il lato sinistro della scena è liscio, il lato de­stro ha una breve ansa. Sul fondo, un grande vano a fondo pieno e centinato, al centro del quale è una porta a due battenti (serrature e chiavistelli esterni). A destra e a sinistra del vano, porte a un solo bat­tente, con chiavistelli esterni. A sinistra, in primo piano, una finestra. A destra, in primo piano, una porta a un battente, in mogano come le altre (serra­tura e chiavistello interni). In secondo piano, nell’an­sa, un caminetto piuttosto alto. Nell’intavolato, piccoli pannelli di seta disegnata a ranuncoli gialli; tende della finestra e tendaggi per il grande vano del fondo nella stessa seta; tendine bianche al­la finestra. Il mobilio, in genere, è di mogano e instile inglese. Sul fondo, nel pannello che divide il grande vano dalla porta di destra, uno chiffonier stretto e abbastanza alto. Gli fa pendant, a sinistra del vano, un mobiletto di riscontro. A sinistra, tra la finestra e il fondo, un piccolo mobile con tre cas­setti. Davanti alla finestra, una panca imbottita sen­za spalliera. Contro la panca, uno di quei grandi scrit­toi inglesi a forma di X, che, chiusi, non tengono più posto di una cartelle da disegno e, aperti, formano una tavola che contiene nel suo interno tutto l’occor­rente per scrivere. Al levarsi del sipario, questo mo­bile è chiuso. In mezzo alla scena, sulla sinistra, non lontano dalla panca, ma più verso il fondo, un pic­colo divano con la spalliera in mogano traforato, messo sghembo e col dorso al pubblico. Di frontee sempre al di là della panca, un tavolinetto di stile diverso, con una sedia per lato. Sulla destra, un grande tavolo collocato perpendicolarmente alla sce­na. Una sedia per lato. Sopra il caminetto, uno spec­chio. Stampe inglesi inquadrate nei pannelli. Nin­noli a volontà. Nella hall esterna, in faccia alla por­ta del grande vano, una panca da sala di ingresso. Sopra, al muro, un telefono. Invisibile al pubblico, la porta di ingresso dello scalone.

All’aprirsi del sipario, Camillo è in piedi; si ap­poggia al lato sinistro dello chiffonier, e volta le spalle al vano di fondo. Sta consultando un dossier che ha preso da uno dei cassetti. Un tempo. La por­ta sul fondo a sinistra si apre lentamente e si vede far capolino Antonietta. Essa getta uno sguardo in­quisitore nella stanza, poi, scorgendo Camillo inten­to al suo lavoro, gli si avvicina in punta di piedi, gli afferra la testa con le due mani, dal di dietro, e gli dà un brusco bacio.

CAMILLO (sorpreso, riprende a stento l’equilibrio; brontolone) — Ma no, andiamo! (Si deve capire:

A-o! A-i-a-o!).

ANTONIETTA — Di che cosa hai paura? I padroni sono usciti.

CAMILLO — Eh, sì!

ANTONIETTA — Svelto, un bacetto! (Camillo scrolla le spalle come fanno i bambini imbronciati). Su, su!      (Camillo per un momento la guarda, come chi non sa se debba ridere o adirarsi, poi, improvvisamente eccitato, le dà un grosso bacio goloso. Su questo, la porta in fondo si apre: sono Etienne e il dott. Fi­nache).

ETIENNE (ancora nel vestibolo) — Avanti, avanti, signor dottore.

CAMILLO e ANTONIETTA (insieme) — Oh! Mio ma­rito! (Si separano bruscamente. Camillo, battendose­la come un coniglio, si eclissa dalla porta di destra. Antonietta si è spostata rapidamente a sinistra: e lì, come inebetita, si ferma).

ETIENNE (a Antonietta, mentre Finache si è spo­stato un po’ in avanti e a destra) — Che cosa fai qui?

ANTONIETTA — Ehm... Io? Sono... sono venuta a prendere gli ordini... Gli ordini per il pranzo.

ETIENNE — Quali ordini? Non sai che il signore e la signora sono usciti? Via, in cucina! Il salotto non è posto per una cuoca.

ANTONIETTA — Ma...

ETIENNE — Fila! (Antonietta esce da sinistra bron­tolando).

FINACHE (seduto sulla seggiola a sinistra del ta­volo) — Che marito autoritario!

ETIENNE — Bisogna, con le donne. Se non le co­mandiamo, ci comandano. Io non mangio di questo pane.

FINACHE — Bravo!

ETIENNE — Vedete, signor dottore, quella donnina in fatto di fedeltà è un can barbone, ma è gelosa come una tigre... Se ne scappa continuamente in questa stanza, e nelle altre dell’appartamento, sol­tanto per spiarmi.

FINACHE (alzandosi) — Beh, visto che il signore non c’è...

ETIENNE (bonario, condiscendente, tenendo le due mani nella pettorina del suo grembiule) — Oh, che importa? Ho tutto il tempo. Posso benissimo tenervi compagnia.

FINACHE — Come? Ah, certo. E’ molto amabile da parte vostra... e molto tentante. Ma avrei timore di abusare. Non sapete a che ora rientrerà il si­gnore?

ETIENNE — Non prima di un buon quarto d’ora.

FINACHE — Perbacco! (prende sul tavolo il suo cappello e se lo mette in testa). Sentite... stando così le cose, nonostante il piacere che avrei rimanendo con voi...

ETIENNE — Il signore mi lusinga!

FINACHE — Affatto, affatto: ma non si vive solo per divertirsi. Devo visitare un malato, qui vicino. Vado a liquidarlo.

ETIENNE (scandalizzato) — Oh!

FINACHE — Beh? Oh, non nel senso che credete. No, no, grazie! Ho dei malati e ci tengo! Sono la base del mio commercio. Volevo dire che liquido la mia visita e torno qui fra un quarto d’ora.

ETIENNE — Sarebbe inopportuno insistere (si al­lontana e un presso il tavolo).

FINACHE (con un’aria di finta contrizione) — Vo­gliate scusarmi. (Fa per uscire. Etienne s’inchina. Finache avanza di nuovo) Dimenticavo. Se il vostro padrone rincasa prima che io sia tornato (trae di tasca un fascicolo) consegnategli questo. E dite­gli che ho visitato il cliente che mi ha mandato: sta benissimo, può assicurarlo tranquillamente.

ETIENNE (indifferente e distratto) — Ah.

FINACHE — A voi non importa.

ETIENNE (con un gesto di noncuranza) — Oh.

FINACHE — Si capisce. Neppure a me importa. Solo — che volete mai — questo interessa al signor

Direttore, per Parigi e provincia, della “Boston Life Company “.

ETIENNE — Cioè il padrone.

FINACHE — Il  padrone, visto che voi lo permettete. Insomma, ditegli che il suo hidalgo è un uomo di prim’ordine... Come si chiama? Ah, sì, don Carlos Homénidés de Hìstangua.

ETIENNE (viene avanti) — Coso, sì, Histangua. Si, sì, lo conosco. A proposito, sua moglie è di là, nel salone. (sedendosi come se fosse a casa sua sul­la seggiola a destra del tavolo, mentre Finache ri­mane in piedi dal lato opposto) — Vorrei chiedervi, caro dottore, poichè ce ne stiamo qui tranquilla­mente...

FINACHE — Quel che soprattutto ammiro in voi, è che non siete superbo.

ETIENNE (con naturalezza e bonarietà) — Perchè dovrei esserlo? Sentite dottore: quando si sente... ma    sedetevi.

FÌNACHÈ (ubbidendo, sempre ironico) — Pardon.

ETIENNE -  (Si è collocato bene in faccia a Finache e spinge indietro il busto sulla sua poltrona, che è in equilibrio sulle gambe posteriori) — Cosa vuoi dire quando si sente, a tutti e due i lati della pan­cia, come una trafittura continua? (Per ben preci­sare i punti, si dà con le mani dei piccoli colpi ai due tali dell’ addome).

FINACHE  (Seduto in faccia a Etienne) — Beh, la cosa dipende spesso dalle ovaie.

ETIENNE — Sì? E’ il mio caso!

FINACHE (conservando a stento la sua serietà) —Allora, amico mio, dovrete farvele asportare.

ETIENNE (alzandosi e dirigendosi verso il fondo)— Neppure per sogno. Le no e me le tengo.

FINACHE (si è alzato anche lui) — Vi prego di notare che non ve le chiedo

ETIENNE — Oh! non si sa mai!

LUCIANA (comparendo dalla porta di sinistra, a Etienne) — Potete dirmi, per favore... (scorgendo      Finache). Chiedo scusa, signore. (A Etienne). Siete sicuro che la signora Chandebise rincaserà presto?

ETIENNE — Sicurissimo, signora. La signora mi ha perfino raccomandato: “Se la signora... “, ehm...   insomma, mi ha detto il suo nome.

LUCIANA (soccorrendolo) — Homénidès de Histan­gua.

ETIENNE (approvando) — Esattamente, “... dovesse venire, non lasciatela andar via: ho assolutamente bisogno di vederla ».

LUCIANA — Difatti mi ha scritto così. Per questo mi meraviglio... Comunque, aspetterò ancora.

ETIENNE — Va bene, signora. (Luciana si avvia verso il fondo come per ritornare nella stanza da cui era uscita, ma si ferma sentendo la voce di Etien­ne) Io stavo giusto conversando col signore...

FINACHE (ironico) — Sicuro. Noi conversavamo.

ETIENNE (facendo le presentazioni) — Il dott. Fi­nache. E’il medico della “Boston Life Company”, e mi diceva di aver visto vostro marito, questa mattina.

LUCIÀNA — Ma no!

FINACHE (avvicinandosi un po’ a lei, mentre E­tienne si è spostato verso il fondo) — E’ esatto, si­gnora... Ho avuto l’onore di visitare il signor de Histangua.

LUCIANA — Mio marito si è fatto visitare? Che strana idea.

FINACHE — Sono le piccole indiscrezioni di tut­te le Compagnie di Assicurazioni. Signora, mi con­gratulo...  Voi avete un marito !... Che salute! Che temperamento!

LUCIÀNA (a bassa voce, con un sospiro e lascian­dosi cadere sulla sedia a sinistra della scena, in faccia al divano) — Ah, signore! A chi lo dite!

FINACHE — Ma è lusinghiero.

LUCIANA — Oh, sì, signore... ma così faticoso!

FINACHE — Senza fatica non si ottiene nulla.

ETIENNE (con un sospiro) — E dire che la si­gnora Plucheux non pensa ad altro!

LUCIANA — Chi è la signora Plucheux?

ETIENNE — La mia sposa! Mi fa provare sempre tanta vergogna! Le occorrerebbe un uomo come il marito della signora.

FINACHE — Mio Dio, con l’autorizzazione della signora e col consenso del signor de Histangua, si  potrebbe forse rimediare.

ETIENNE – Come? Ah, no!

LUCIANA (alzandosi, gaia) — Oh, dottore, veramente... non accetto neppure io!

FINACHE (ridendo) — Vi chiedo scusa, signora: questo demonio di Etienne mi fa dire delle scioc­chezze.    (Traversando la scena per andare a pren­dere il suo cappello) Io scappo.

LUCIANA (inchinandosi) — E senza rancore, dot­tore.

FINACHE — Lo spero bene (si avvia verso il fon­do con Etienne)

ETIENNE (accompagnando il dottore) — Per ritor­nare al nostro discorso, dottore... quando io mi chi­no così, le mie ovaie...

FINACHE — Ah, sì? Prendete una buona purga, le calmerà. (Escono).

LUCIANA (seguendo il dottore con lo sguardo) Che tipo. (Guarda il suo orologio). Un’ora e sette minuti di ritardo! Raimonda chiama questo aspet­tarmi con impazienza... Mah... (Luciana si siede su una delle sedie a sinistra e prende una rivista, che sfoglia distrattamente).

CAMILLO (venendo dal fondo destra e dirigendosi verso il mobile per rimettervi il dossier che aveva preso all’inizio, scorge Luciana) — Oh, pardon si­gnora). (In realtà — e lo stesso accadrà per tutto l’atto — egli deve parlare in modo assolutamente inintelliggibile, con una voce nasale e pronuncian­do so/o — ma queste in modo netto — le vocali, come le persone che hanno il palato perforato).

LUCIANA (alzando il capo e con un leggero in­chino) — Signore...

CAMILLO — Naturalmente la signora aspetta il di­rettore della « Boston Life Company »? (Quel che giunge allo spettatore è più o meno questo: u-a-­en-e a i-o-a a-e-a i i-e-o-e e-a o-on i-e om-a-i? ».

LUCIANA (un po’ sorpresa) — Come?

CAMILLO (ripete, nello stesso modo indistinto di prima) — Io dico: naturalmente la signora aspet­ta il direttore della Boston Life Company?

LUCIANA (con un sorriso inquieto) — Vi chiedo scusa: non capisco bene ciò che dite...

CAMILLO (più lentamente, ma sempre in modo confuso) — E’ semplice, io domando: la persona che la signora aspetta, è bene il signor diret...

LUCIANA (interrompendolo, e come per scusarsi di non capire) — No, no! io francese. French!

Franzosich! (Si alza).

CAMILLO — Eh? Ma anch’io!

LUCIANA — Rivolgetevi al cameriere. Io non ap­partengo alla famiglia. Ho appuntamento con la signora Chandebise.

CAMILLO — Oh, oh! Vi domando scusa. (raggiun­ge il mobile camminando all’indietro e inchinan­dosi). Io mi informavo perchè se fosse stato per il signor direttore della Boston Life Company...

LUCIANA — Sì, signore, sì.

CAMILLO (è arrivato al mobile, vi ripone il dos­sier, richiude il cassetto, poi, al momento di usci­re dal fondo destra) — Vi prego ancora di scusarmi.

LUCIANA (che l’ha guardato uscire stupefatta, do­po una breve pausa) — Deve essere un papuasiano. (sempre parlando è passata a destra).

ETIENNE (giungendo dal fondo) — Sono venuto a vedere se la signora non si annoia troppo.

LUCIANA (vivacemente) — Oh, voi potrete spie­garmi: poco fa èentrato un uomo...

ETIENNE (con un leggero moto di sorpresa) —Un uomo?

LUCIANA — Sì. Mi ha parlato in papuasiano. Non so assolutamente che cosa mi ha raccontato. (Imi­tando Camillo) On a ou e a ai o en... Qualcosa di simile.

ETIENNE (ridendo) — Ah! E’ il signor Camillo.

LUCIANA — Uno straniero?

ETIENNE — No, no. E’ il nipote del signore, il figlio di suo fratello.., il suo nipote germano, ecco... Ma capisco come la signora si sia impressionata: il signor Camillo ha un piccolo difetto di pronun­cia, non può pronunciare le consonanti...

LUCIANA — Ma no!

ETIENNE — Sì, signora. Quando non si è abituati molto imbarazzante. Io comincio a capire qual­cosa...

LUCIANA — Vi ha dato delle lezioni?

ETIENNE — No, ma a forza di sentirlo l’orecchio si abitua, vero?

LUCIANA (sedendosi sulla sedia a sinistra del ta­volo) — Sì, sì.

ETIENNE — Il signore l’ha preso come segretario perchè non poteva trovare nessun altro impiego, a causa — con tutto il rispetto — della sua dannata maniera di parlare.

LUCIANA — Eh! Un uomo che ha solo vocali da offrirvi.

ETIENNE — Non è molto, si capisce! Va bene che quando scrive dà anche le consonanti, ma non si può scrivere sempre, vero? (Andando oltre il ta­volo) Che peccato! Un ragazzo così serio, così a modo! Mi credete se vi dico che non gli si conosce un’amante?

LUCIANA — Ma no!

ETIENNE (ingenuo) — Io almeno non gliene co­nosco.

LUCIANA (alzandosi) — E’ ben fortunato, il vo­stro giovanotto.

ETIENNE (sospirando) — Ah, sì! (Vedendo Rai­monda comparire sul fondo) C’è la signora!

LUCIANA (andandole incontro) — Finalmente!

RAIMONDA (entrando impetuosamente) — Mia povera amica, sono desolata... (A Etienne, mentre si avvia al di là del tavolo, su cui posa la borsetta) Andate, Etienne!

ETIENNE — Sì, signora. (A Luciana) La signora mi scusa?

LUCIANA — Come no? (Etienne esce).

RAIMONDA (togliendosi il cappello, che posa sul mobile a destra della porta di fondo) — Ti ho fatto aspettare.

LUCIANA — Credi proprio?

RAIMONDA — Vengo da così lontano! Ti spieghe­rò. (bruscamente, avvicinandosi a Luciana). Ti ho scritto di venire perchè accade qualcosa di molto grave! Mio marito mi tradisce.

LUCIANA — Vittorio Emanuele?

RAIMONDA — Vittorio Emanuele, proprio.

LUCIANA — Ah!

RAIMONDA — Che canaglia! Oh, ma lo sorprende­rò! (Passa in primo piano).

LUCIANA — Lo sorprenderai? Vuoi dire che non hai una prova?

RAIMONDA — Eh, no! Non l’ho! Vigliacco! Oh, ma l’avrò!

LUCIANA — E come?

RAIMONDA — Non lo so. Me la troverai tu. (Sie­de sul divano).

LUCIANA (in piedi accanto a lei) — Io?

RAIMONDA — Oh, sì, sì! Non dirmi di no, Lucia­na. In collegio eri la mia migliore amica. Anche se ci siamo perdute di vista per dieci anni, ci sono cose che niente può cancellare. Ti ho lasciata Lu­ciana Passar e ti ritrovo Luciana Homenidès de Histangua: e va bene, il tuo nome si è allungato, ma il tuo cuore è rimasto uguale. Ho il diritto di considerarti ancora la mia migliore amica.

LUCIANA — Questo è certo.

RAIMONDA — E allora a chi se non a te posso rivolgermi quando ho bisogno di aiuto?

LUCIANA (senza convinzione, sedendosi tuttavia in faccia a lei) — Sei molto buona, ti ringrazio.

RAIMONDA (continuando il suo discorso) — Dim­mi allora: che cosa devo fare?

LUCIANA (interdetta) — Eh? Per...?

RAIMONDA — Per sorprendere mio marito,  no?

LUCIANA — Ma io non saprei... Mi hai chiamata per questo?

RAIMONDA — Si capisce.

LUCIANA — Che idea! Anzitutto, chi ti dice che tuo marito è colpevole? Potrebbe esserti fedelis­simo.

RAIMONDA — Lui?

RAIMONDA — Andiamo! Non sono una bambina. Che cosa diresti, tu, se improvvisamente tuo mari-

LUCIANA — Diamine! Visto che non hai prove!

RAIMONDA — Ci sono cose che non ingannano.

LUCIANA — Esatto. Tuo marito può essere di queste.

RAIMONDA – Andiamo! Non sono una bambina. Cosa diresti, tu, se improvvisamente tuo marito, dopo essere stato un marito... un marito... un marito insomma, ecco !... cessasse di esserlo — così —        da un momento all’altro?

LUCIANA (deliziata) — Direi: aah!...

RÀIMONDA — Eh! diresti davvero aah! Questo si racconta prima. Anch’io prima trovavo noioso e monotono questo amore continuo, questa eterna primavera. Mi auguravo persino, pensa, una nuvola, una contrarietà, una preoccupazione, insomma! Sta­vo addirittura pensando di prendermi un amante, non fosse che per crearmela, una preoccupazione!

LUCIANA — Un amante, tu?

RAIMONDA — Capirai, cara mia, si passano dei momenti! Avevo già fatto la mia scelta: tanto per non dirti il nome, il signor Romano Tournel. Sai, quel signore con cui abbiamo pranzato insieme avan­t’ieri... Non ti sei accorta di nulla? Mi meraviglio. Una donna... Beh, siamo stati lì lì, mia cara.

LUCIANA — Oh!

RAIMONDA — Perchè oh! E’ il migliore amico di mio marito. Dunque era automaticamente designa­to per... (alzandosi). Oh, ma adesso che mio ma­rito mi tradisce non prenderò davvero un amante!

LUCIANA (alzandosi e avviandosi verso destra) —Vuoi che ti dica una cosa?

RÀIMONDA — Che cosa?

LUCIANA — In fondo, tu sei innamoratissima di tuo marito.

RAIMONDA — Innamoratissima io?

LUCIANA — Se non è così, perchè te la prendi?

RAIMONDA — Mi secca il fatto in sè! Io, sì, vo­glio tradirlo, ma che mi tradisca lui, eh, no, pas­sa la misura!

LUCIANA (prendendo il suo cappotto) — Hai una morale deliziosa.

RAIMONDA — Sta a vedere che ho torto.

LUCIANA (posando il cappotto sulla tavola a de­stra) — No, no. Solo.., ciò che mi hai detto non prova niente.

RAIMONDA (avanzando oltre il tavolo) — Come, non prova niente! Quando un marito è stato per anni e anni un torrente impetuoso e ad un tratto, improvvisamente, piff!... più niente!...

LUCIANA (seduta a sinistra del tavolo) — Il fiu­me Manzanarès è nelle stesse condizioni, ma non vuoi dire che ha abbandonato il suo letto.

RAIMONDA — Oh!

LUCIANA — Non hai mai visto nei casinò della gente che sbalordiva per il coraggio con cui chie­deva qualunque banco, giocare timidamente, il giorno dopo, una fiche da cento soldi?

RAIMONDA (adiratissima, con voce di testa) —Giocasse almeno la fiche da cento soldi! Macchè! Lui è il signore che gira intorno al tavolo. (Risale verso il mobile sul quale aveva posato il cappellino).

LUCIANA — Ragione di più! Ciò non prova che si faccia sbancare altrove. Prova semplicemente che è sbancato.

RAIMONDA (che ha ascoltata appoggiata con le spalle al mobile di fondo, le braccia incrociate) —Ah! Siii! (Avanza fino al tavolo e fruga nella sua borsetta, da cui trae un paio di bretelle che bran­disce sotto il naso di Luciana). E queste allora?

LUCIANA — Che roba è?

RAIMONDA (perentoria) — Un paio di bretelle.

LUCIÀNA (sullo stesso tono) — Difatti mi sem­bravano.

RAIMONDA — E sai di chi sono, queste bretelle?

LUCIANA — Di tuo marito, presumo.

RÀIMONDA (vivamente) — Ah, ah! Ora non io di­fendi più, eh!

LUCIANA — Ma che c’entra? Io ho detto così... per­chè suppongo che se hai delle bretelle con te, sia­no di tuo marito piuttosto che di un altro signore.

RAIMONDA (che ha riposto le bretelle nella bor­setta, andando a posare questa sul mobile di fon­do e tornando in avanti, sempre parlando, al cen­tro della scena) — Perfetto! E allora puoi spie­garmi per quale motivo mio marito le ha rice­vute stamattina per posta, queste bretelle?

LUCIANA — Per posta?

RAIMONDA — Sì, in un pacco postale che ho aperto inavvertitamente mentre ispezionavo la posta di mio marito.

LUCIANA — E perchè ispezionavi la sua posta?

RAIMONDA (con tono naturalissimo) — Per sa­pere cosa c’era dentro.

LUCIANA (inchinandosi ironicamente) — E’ una ragione.

RAIMONDA — Si capisce.

LUCIANA — Questo, tu lo chiami aprire un pac­co... inavvertitamente!

RAIMONDA — Diamine! Ho detto inavvertitamente perchè il pacco non era indirizzato a me.

LUCIANA — Ah!

RAIMONDA — Adesso vuoi riconoscere o no che se gli hanno rimandato le sue bretelle per posta significa che le aveva dimenticate da qualche parte?

LUCIANA (alzandosi e avviandosi a sinistra) —Riconosco.

RAIMONDA — Bene. E sai che nome si deve dare a questo “qualche parte”?

LUCIANA (fingendo lo spavento) — Mi fai paura.

RAIMONDA — L’albergo del Micio Innamorato, ca­ra mia!

LUCIANA — Che cos’è?

RAIMONDA — A giudicare dal nome, non una pen­sione di famiglia.

LUCIANA (scrollando la testa) — L’albergo del Micio Innamorato!

RAIMONDA (andando a prendere dal mobile a si­nistra della porta di fondo una scatoletta di legno o di cartone, con la quale torna tosto in avanti)— Ecco la scatola che conteneva le bretelle. Vedi l’etichetta? E, sotto, nome e indirizzo di mio ma­rito: “ Signor Chandebise, 95, boulevard Malesher­bes”.

LUCIANA (leggendo l’intestazione) — Albergo del Micio Innamorato, è vero.

RAIMONDA — Nel quartiere di Montretout, cara mia! Un altro nome che dice molte cose. Tutto è co­sì sconveniente! (Torna a posare la scatola su un tavolo a destra). Ora capisci che non c’è pericolo di sbagliare: io lo sono... (intende cornuta).

LUCIANA — Oh!

RAIMONDA — Mio Dio, mi era già venuto un dub­bio avendo visto mio marito così...

LUCIANA (venendole in aiuto) — Manzanarès.

RAIMONDA — Ecco. Mi domandavo, naturalmen­te: “Che cosa avrà? Come mai?” Ma adesso, ades­so ho una pulce nell’orecchio! (Va a riporre la sca­tola nel mobile da cui l’aveva presa).

LUCIANA — Ne hai motivo.

RAIMONDA (tornando in avanti) — Se poi tu ve­dessi quell’albergo, cara mia! Sembra fatto da un pasticciere.

LUCIANA — “ Se tu vedessi”? Allora lo conosci?

RAIMONDA — Si capisce! Ne torno ora! (Siede).

LUCIANA — Ah!

RAIMONDA — Per questo ero in ritardo.

LUCIANA — Oh.

RAIMONDA — Capirai, volevo esser sicura. Così mi sono detta: c’è solo un mezzo, interrogare l’al­bergatore. Bene, credi che sia facile interrogare un albergatore? Non ha voluto sentir ragioni. Muto come un pesce.

LUCIANA — E’ l’abc del mestiere.

RAIMONDA — Insomma, è evidente che possiamo contare solo sulle nostre forze. Gli uomini si sosten­gono fra loro, noi dobbiamo fare altrettanto. Conosci i fatti e sei più furba di me. Che cosa devo fare?

LUCIANA — Ora mi prendi alla sprovvista.

RAIMONDA — Su! Un lampo di genio!

LUCIANA — Non è facile. (Pensa). Vediamo... Ec­co. Potresti chiedere una spiegazione a tuo marito.

RAIMONDA (alza le spalle) — Mi risponderebbe con una menzogna. Non c’è niente al mondo di più bugiardo di un uomo... se si eccettua una donna.

LUCIANA — Oh, aspetta! Forse c’è un mezzo, che ho visto impiegare spesso in teatro.

RAIMONDA — Quale? Dì!

LUCIANA — Oh, niente di geniale. Ma con gli uo­mini, — vero? Si prende un foglio di carta da lettere ben profumato e si scrive una lettera al proprio marito... una lettera ardente, si capisce, come se fosse di un’altra donna... e alla fine gli si dà un appuntamento.

RAIMONDA — Un appuntamento?

LUCIANA — Al quale naturalmente si va. Se il marito viene, si è sicure.

RAIMONDA — Ho capito. Perfetto. Forse non è geniale, ma i mezzi più classici sono quelli che danno i risultati migliori. (Mentre va a prendere il mobile scrittoio che è davanti alla finestra e lo por­ta davanti al divano e lo apre). Scriviamo subito a Vittorio Emanuele.

LUCIANA (disinvolta) — Scriviamo a Vittorio Emanuele.

RAIMONDA (si è seduta sul divano e si appresta a scrivere; ripensandoci) — Già. Ma riconoscerà la mia scrittura.

LUCIANA (serissima) — Se gli hai scritto altre vol­te, è certo.

RAIMONDA (alzandosi) — Senti, la tua scrittura... non la conosce. Tu. Gli scrivi tu. (Parlando, tira Luciana per un braccio per farle prendere il suo posto).

LUCIANA (resistendo) — Io? Ah, no, no! Questo no. E’ una cosa troppo delicata.

RAIMONDA (su un  tono severo) — Sei la mia migliore amica o non lo sei?

LUCIANA (cedendo) — Tu mi trascinerai all’inferno.

RAIMONDA — Bene. Ci troverai mio marito.

LUCIANA (rassegnata, sedendosi sul divano di fronte allo scrittoio) — Dammi della carta da let­tere.

RAIMONDA (dallo scrittorio tira fuori un blocco di carta da lettere) — Ecco!

LUCIANA — Ma non della tua! La riconoscerebbe!

RAIMONDA — Che sciocca sono! E’ vero!

LUCIANA — Non hai dell’altra carta, della carta tenera, suggestiva?

RAIMONDA (tirando fuori una scatola di carta da lettere dal mobile a sinistra della porta in fondo)— Mio Dio, avrei questa qui lilla. L’ho comperata per la campagna. Non è molto suggestiva...

LUCIANA — Non lo è. Però profumandola molto...

RAIMONDA — Ah, per questo ho quel che ci vuole: una certa peonia azzurra che dovevo restituire al profumiere perchè non posso sopportarla. Ma adesso va benissimo. Aspetta. (Sempre parlando, va a pre­mere il campanello a destra della finestra).

Uscendo dalla camera di destra, compare Camil­lo, con in mano un dossier. Egli getta uno sguardo inquisitore nella stanza.

CAMILLO Chiedo scusa.

RAIMONDA (in piedi accanto al mobiletto a sini­stra della scena) — Che cosa volete, Camillo?

CAMILLO (nel suo linguaggio incomprensibile) —Non badate a me. Guardavo se Vittorio Emanuele era rientrato.

RAIMONDA (con grande semplicità, su un tono di normale conversazione) — Non ancora. Perchè?

CAMILLO (come sopra) — Perchè ho tutta la po­sta da fargli firmare, e poi devo chiedergli degli schiarimenti riguardo a un contratto che sto pre­parando. Ho qualche dubbio, e avrei voluto...

RAIMONDA — Credo che non tarderà molto.

CAMILLO — Bene. Aspetterò. In fondo non c’è altro da fare, vero? Lui non c’è e  qualunque cosa io dicessi...

RAIMONDA — Si capisce, si capisce! (A Luciana, che dall’inizio del dialogo ascolta a bocca aperta, con lo sguardo che va da un interlocutore all’altro per fissarsi infine, ammirativo, su Raimonda). Per­chè mi guardi così?

LUCIANA (imbarazzata) — Come? Per niente, per niente!

CAMILLO (a Luciana, giovialmente) — E così, si­gnora, mia cugina non vi ha fatto aspettare troppo?

LUCIANA (interdetta, ma volendo dimostrare che ha capito) — Effettivamente, signore, vi riconosco. Abbiamo anche conversato, poco fa.

RAIMONDA (maliziosa) — No, no, non ti parla di questo. Ti dice che finalmente sono rientrata a casa e che non ti ho fatto aspettare troppo.

CAMILLO (approvando) — ì... ì...

LUCIANA (imbarazzata e sforzandosi di essere a­mabile) — Ah! Ah, sì, sì, perfettamente.

RAIMONDA (facendo le presentazioni) — Ah! Scu­sa, il signor Camillo Chandebise, nostro cugino. La signora Carlos Homénidès de Histangua. (Ca­millo fa un inchino, mentre Raimonda torna ad avviarsi verso l’estrema sinistra).

LUCIANA (alzandosi) — Felicissima, signore... Scu­satemi se poco fa non vi ho capito. Sono un po’ dura d’orecchio.

CAMILLO (gioviale) — Oh, è molto amabile da par­te vostra dirmi questo, signora. La verità è che mi si capisce difficilmente, dato che ho un piccolo difetto di pronuncia...

LUCIANA (sorridendo falso, come chi non capi­sce nulla) — Oh, sì, sì. (a Raimonda, come per chie­derle aiuto) Che cosa?

RAIMONDA (con una comica serietà) — Ti dice che ha un piccolo difetto di pronuncia.

LUCIANA (fingendo stupore) — Come?... Ma no! Dite davvero? Beh, sì, forse... ora che me l’avete fat­to notare.

CAMILLO (con sorrisi e inchini) — Siete troppo indulgente.

ANTONIETTA (entrando dal fondo e avanzando) —La signora ha suonato?

RAIMONDA (mentre Luciana siede sul divano) — Sì, ma non per voi. Volevo Adele. Ho suonato due vol­te, no?

ANTONIETTA — Adele è salita un momento, così so­no venuta io.

RAIMONDA — E’ lo stesso. Andate in camera mia e portatemi una scatola di profumo che è nel cas­setto di destra della mia toilette.

ANTONIETTA — Va bene signora.

RAIMONDA — Sulla scatola vedrete stampato «peo­nia azzurra ».

ANTONIETTA Sì, signora. (Voltandosi per uscire, Antonietta trova alla sua sinistra Camillo. Con aria scherzosa descrive intorno a lui, che è imbarazza­tissimo, un semicerchio, tenendo gli  occhi negli occhi. Arriva così oltre di lui verso il fondo. In que­sto momento, volgendo le spalle al pubblico, dà un violento pizzicotto con la mano sinistra al fianco si­nistro di Camillo, e esce con la più imperturbabile aria da santarellina).

CAMILLO (proiettato in avanti dal dolore) — Ahi!

RAIMONDA e LUCIANA (di soprassalto) — Cosa c’è?

CAMILLO (mentre Antonietta esce) — Niente nien­te. Un... un dolore acuto qui nel fianco.

RAIMONDA — Uhm. Dipende dai reumi.

CAMILLO (fregandosi il fianco e spostandosi a de­stra con degli inchini all’indietro) — Dipende... di­pende sicuro dai reumi. (Un tempo) Vado a ripren­dere il mio lavoro... (salutando) Signora...

LUCIANA (si inchina leggermente) — Signore.

CAMILLO (giunto alla porta) — I miei omaggi. (E­sce. Le due donne lo guardano uscire, poi, appena è scomparso, scoppiano a ridere).

LUCIANA - Giuro che ti ammiro per come lo ca­pisci.

RAIMONDA (maliziosa) — Per questo mi guardavi, eh?

LUCIANA — Sì.

RAIMONDA — Cosa vuoi, è la forza dell’abitudine. Ma mi sei piaciuta quando volevi fargli credere che non avevi trovato nulla di strano nel suo modo di parlare.

LUCIANA — Non volevo mortificarlo.

ANTONIETTA (giungendo da sinistra, con in mano un flacone) — E’ questo, signora?

RAIMONDA (prendendo il flacone) — E’ questo, grazie. (Siede su una delle seggiole che stanno di fronte al divano su cui è seduta Luciana. Antoniet­ta esce). Forza! Vediamo di scrivere la lettera pri­ma che rientri mio marito.

LUCIANA — Hai ragione. (Disponendosi a scrivere) Allora, come gli prepariamo la nostra pietanzina?

RAIMONDA — Questo è il punto.

LUCIANA — Anzitutto dobbiamo stabilire dove la nostra sconosciuta ha ricevuto il colpo di fulmine vedendo tuo marito.

RAIMONDA — Certo. Dove?

LUCIANA — In questi giorni siete andati a teatro?

RAIMONDA — Mercoledì scorso, al Palais Royal. Col signor Tournel.

LUCIANA — Tournel?

RAIMONDA — Quello che ti ho detto che per poco diventava il mio amante.

LUCIANA — Ah, sì. Ottimamente. Ora vedrai. (Scri­vendo): “Signore! vi ho visto l’altra sera al Palais Royal...”.

RAIMONDA (con una smorfia) — Non ti sembra un po’ freddo, per un colpo di fulmine?

LUCIANA — Un po’ freddo?

RAIMONDA — Sembra il verbale di un usciere. Io non so, ma credo che avrei scritto, così, brutalmen­te: “ Io sono quella che non ha tralasciato un i­stante di guardarvi, l’altra sera al Palais Royal!”. E niente « Signore », niente! Via! Continuiamo.

LUCIANA — Ehi, ma tu hai la vocazione...

RAIMONDA (modesta) — Mio Dio, ti dico quello che mi sembra che scriverei...

LUCIANA — Bene, bene, siamo d’accordo. (Strappa dal blocco di carta il foglio cominciato, che lascia sullo scrittoio, e comincia subito a scrivere sul nuo­vo foglio di carta). “ Io sono quella che non ha tra­lasciato un istante di guardarvi... “.

RAIMONDA (dettando) — « ... l’altra sera al Palais Royal! » Così! E’ caldo! E’ diretto!

LUCIANA — E’ vissuto! (continuando) “... Voi era­vate in un palco con vostra moglie e con un signo­re...”.

RAIMONDA — Il signor Tournel.

LUCIANA (sempre scrivendo) — Sì, ma questo non deve dirlo la signora. (Tornando al testo della let­tera) « ... Delle persone che mi erano vicine hanno fatto il vostro nome... ».

RAIMONDA (ripetendo come in un dettato) — “... hanno fatto il vostro nome...”.

LUCIANA (ripetendo anche lei e scrivendo) — “... nome... Così ho saputo chi eravate... “.

RAIMONDA — Come è semplice!

LUCIANA (scrivendo) — « Da quella sera, io non sogno che voi... ».

RAIMONDA — Oh, oh! Non ti pare un po’ esagerato?

LUCIANA — Certo! Ma è quel che ci vuole! Queste cose sono sempre esagerate per gli altri, ma mai per noi stessi.

RAIMONDA — Se tu sei sicura, va bene.

LUCIANA (scrivendo) « Io sono pronta a fare una pazzia. Volete farla con me? Vi aspetto oggi alle cin­que all’albergo del Micio Innamorato ».

RAIMONDA — Proprio lo stesso albergo? Non dif­fiderà?

LUCIANA — Anzi! Ne sarà solleticato! (scrivendo) Tra parentesi. “ Montretout, Senna. Chiederete una camera prenotata a nome del signor Chandebise “.

RAIMONDA (dettando) — « Io spero in voi... ».

LUCIANA (approvando col capo e scrivendo) — “Spero in voi!” Perfetto! Sai che hai della stoffa?

RAIMONDA — Un po’ di tirocinio ci vuole.

LUCIANA (scrivendo) — « Una donna che vi ama ». Fatto! Il profumo, adesso!

RAIMONDA (che ha sturato il flacone mentre Luciana scriveva) — Eccolo. (Le porge il flacone).

LUCIANA — Va bene. (Versa il profumo sulle sue dita e ne asperge il foglio).

RAIMONDA (si alza vedendo che il profumo ha fatto spandere tutto l’inchiostro) — Oh!

LUCIANA (stesso gesto di disappunto di Raimonda) — Accidenti!

RAIMONDA — Bel lavoro!

LUCIANA — Sì.

RAIMONDA — Tutto da rifare.

LUCIANA — Aspetta! Ho un’idea. (Torna a scri­vere). « Post scriptum. Perchè, scrivendovi, non pos­so trattenere le mie lacrime? Oh, fate che siano la­crime di gioia e non di disperazione ». (Parlato) Ec­co fatto! E alla peonia azzurra! Via!

RAIMONDA — Uhm. Troverà che hai pianto molto, per essere una donna sola.

LUCIANA — Lascia andare. Gli sembrerà naturalis­simo. E ora l’indirizzo. (Scrive sulla busta). “Signor Vittorio Emanuele Chandebise, 95 boulevard Ma­lesherbes. Personale “. (Si alza e passa sul davanti mentre chiude la busta). Ecco. Adesso ci occorre un fattorino. Puoi mandare qualcuno a cercarlo?

RAIMONDA (che ha chiuso lo scrittoio e lo sta rimet­tendo a posto) — Viene gente, mi pare. Sì, sì. Mi chiedevi se ho qualcuno? Certo. Ho te.

LUCIANA (seccata) — Io? Scusa sai...

RAIMONDA — Ma è inevitabile! Cerca di capire. Io non posso mandare un domestico da un fattori­no con questa lettera e dirgli che deve farla ripor­tare a mio marito. Neppure io posso andare: se mio marito chiede al fattorino di descrivergli la signora e lui indica me, tutto va all’aria. Tu invece sei adat­tissima. Perfetta.

LUCIANA — Evviva.

RAIMONDA — E poi, sei la mia migliore amica, sì o no?

LUCIANA — Oh, sì. Ma ho idea che tu ne abusi. (Suona il campanello esterno).

RAIMONDA — Hanno suonato. Dev’essere mio ma­rito. (Si avvia verso il fondo a sinistra e indica a Luciana la porta, ugualmente a sinistra) Svelta! Da qui, e poi per la porta a destra: ti troverai in an­ticamera.

LUCIANA (dal centro della scena si avvia alla par­ta indicata) — Va bene. A tra poco.

RAIMONDA — A tra poco. (Luciana esce, mentre Raimonda va a chiudere il suo flacone nel mobiletto a sinistra. In questo momento la porta del fondo si schiude e si scorge nel vestibolo Chandebise che parla con Etienne. Dietro di lui è Tournel).

CHÀNDEBISE (ancora col cappello in testa, a Etien­ne) — Il dottore vi ha detto che sarebbe ripassato?

ETIENNE — Sì, signore.

CHANDEBISE — Benissimo. (A Tournel, che tiene in mano il suo cappello) Avanti, vecchio mio. (Lo fa passare. Tournel avanza o destra del tavolo di de­stra) Ti posso lasciare un momento? Devo firmare la posta.

RAIMONDA (che i due non avevano visto) — Ca­millo ti sta aspettando come se fossi il Messia.

CHANDEBISE (a sinistra e un po’ in avanti del ta­volo di destra) — Oh, sei qui?

TOURNEL (da dov’è) — Buon giorno, cara signora.

RAIMONDA — Buongiorno, Tournel. (A suo marito) Sì, sono qui.

CHANDEBISE — Ho incontrato Tournel per la sca­la, così siamo saliti insieme.

RAIMONDA (indifferente) — Ah.

TOURNEL (tirando fuori delle carte dalla busta di pelle che ha portato e che posa sul tavolo) — Ti ho portato un elenco di nuovi clienti da assicurare.

CHANDEBISE — Ottimamente! Tra un po’ lo vedre­mo. (Parlando si tira su i pantaloni come chi è infastidito dalle bretelle).

RAIMONDA (alla quale il gesto non è sfuggito) —Perchè ti stai tirando su i pantaloni? Forse le bre­telle ti danno fastidio?

CHANDEBISE — Sì.

RAIMONDA — Ma non sono quelle che ti ho com­perato io?

CHANDEBISE — Sì, sì che lo sono.

RAIMONDA — Prima non ti davano fastidio.

CHANDEBISE — Le ho tirate troppo.

RAIMONDA (facendo mostra di avvicinarsi a lui) — Niente di grave, te le allento subito.

CHANDEBISE (rinculando istintivamente) — Ma no... no! Non è il caso, le allenterò io.

RAIMONDA (punta) — Ah?... Va bene, come vuoi.

CHANDEBISE (a Tournel) — Ti chiedo scusa. Torno tra un momento.

TOURNEL — Vai pure, vai pure! (Chandebise apre la porta della camera di destra).

VOCE DI CAMILLO (che accoglie l’ingresso di Chan­debise) — Ah.

CHANDEBISE (seccato da questa esclamazione, il cui tono equivale a qualcosa come: « tu! oh, non sei davvero in anticipo! ») — Ebbene? Qualcosa che non va? Ho avuto da fare. (Esce e chiude la porta alle sue spalle).

TOURNEL (appena Chandebise è uscito, si preci­pita verso Raimonda, che è in fondo al palcoscenico, un po’ a sinistra) — Ah, Raimonda, Raimonda, questa notte vi ho sognata!

RAIMONDA (spezzandogli lo slancio) — Ah, no, amico mio, no. Grazie tante, ma no. Mentre mio ma­rito mi tradisce non posso davvero pensare di fare altrettanto.

TOURNEL (sbalordito) — Come?

RAIMONDA — Certe cose vanno bene quando non si ha altro a cui pensare.

TOURNEL — Ma Raimonda, Raimonda!... Mi ave­vate detto... Mi avevate fatto sperare...

RAIMONDA — Davvero? Può darsi. Ma non c’era­no ancora state le bretelle. Ora che ci sono le bre­telle... buonasera. (Esce da sinistra).

TOURNEL (per un attimo è come abbrutito) — Rai­monda! Beh, questa è grossa! Quali “bretelle”? Che cosa significano le “bretelle”? (parlando è arriva­to alla sinistra del tavolo di destra).

CAMILLO (sulla soglia della porta di fondo a de­stra, su ari tono gioviale) — Signor Tournel! Mio cugino vi vuole.

TOURNEL (di cattivo umore) — Che cosa?

CAMILLO (sforzandosi, senza riuscirci, di articolare meglio le parole) — Mio cugino vi vuole.

TOURNEL (c. s.) — Io non capisco quello che dite. Quando vi deciderete a parlar chiaro?!

CAMILLO — Un momento! (tira fuori dalla tasca della giacca un blocco di carta, dal taschino una ma­tita e, scandendo ogni sillaba, scrive): Mi-o cu-gi-no vi vuo-le. (e dà il foglietto a Tournel).

TOURNEL (leggendo) — « Mio cugino vi vuole ». E va bene. Non potevate dirlo? (sempre brontolando raccoglie le sue carte; la busta di pelle, invece, la lascia sul tavolo; esce dal fondo destra).

CAMILLO (appena Tournel è uscito) — Villano! (sempre parlando avanza fin quasi al proscenio) Un vero fenomeno, vi assicuro! Io mi disturbo per ve­nirlo a cercare e lui sbraita. (In questo momento la porta di fondo si apre, e Etienne  introduce il dot­tor Finache).

ETIENNE — Sì signore, è tornato.

FINACHE — Bene.

ETIENNE — Vado ad avvertirlo. (intanto Camillo, che non li ha sentiti entrare, continua le sue lamen­tele).

CAMILLO — Quel che è troppo è troppo! Io gli dico, gentilissimo: « Tournel, mio cugino vi vuole ». Lui me lo fa ripetere, io allora glie lo scrivo, e lui ha la faccia tosta di rispondermi: «Non potevate dirlo? ». Benone. Non mi disturberò mai più per un simile porcospino!

FINACHE (che da qualche momento lo contem­plava) — Amico Camillo, recitiamo dei monologhi adesso?

CAMILLO (ha un soprassalto) — Eh? Ah, siete voi, dottore? No, stavo brontolando contro un tipo che ce l’aveva con me per via...

FINACHE (che non capisce niente) — Sì, sì, non incomodatevi... (cambiando tono) A parte questa que­stione, che c’è di nuovo, piccolo demonio? Sempre baldorie?

CAMILLO (si avvicina vivamente a Finache, e, su un tono di voce più basso) — Oh, oh, zitto! Tacete!

FINACHE — Dimenticavo! Qui, voi passate per l’austero Camillo. E tenete alla vostra reputazione.

CAMILLO (sui carboni ardenti) — Vi prego!

FINACHE — Purtroppo, di fronte al proprio me­dico arriva sempre un’ora della vita in cui bisogna togliere le vesti al santarellino che ci siamo costrui­ti !... Vi assicuro che mi diverto molto, io che so tut­to, quando vedo gli altri che si immaginano...

CAMILLO (ridendo verde) — Sì, si...

FINACHE — Ditemi, avete approfittato del mio consiglio?

CAMILLO — Quale?

FINACHE — Riguardo all’albergo del Micio Inna­morato.

CAMILLO (angosciatissimo) — Oh, tacete!

FINACHE — Di che avete paura? Siamo tra noi! Ci siete andato o no?

CAMILLO (esita un secondo, getta uno sguardo a destra e a sinistra, poi, a voce bassa) — Sì.

FINACHE — Che cosa ne dite?

CAMILLO (estatico, volgendo gli occhi al cielo) —Oh!

FINACHE — Eh?! Che cosa vi avevo detto? E’ un albergo incomparabile. Ma vi vedo imbarazzato. Su, andate ad avvertire vostro cugino.

CAMILLO (felice della diversione) — Benissimo. Be­nissimo.

FINACHE — Aspettate. Dimenticavo di darvi il vo­stro apparecchio.

CAMILLO (tornando indietro) — Quale apparec­chio?

FINACHE (tirando fuori di tasca un piccolo astuc­cio) — Quello che vi avevo promesso... e che vi per­metterà di parlare come tutti gli altri.

CAMILLO — Ah, sì! Lo avete lì?

FINACHE — Sì. Lasciate che vi spieghi. In voi, che cosa impedisce la facoltà di parlare? Un vizio congenito, la volta del palato che non ha avuto il tempo di formarsi. Per conseguenza i suoni, invece di trovare quella parete naturale che li fa rimbal­zare all’esterno, si perdono nei condotti interni,

CAMILLO — E’ così.

FINACHE — Ebbene, io vi ho portato questa pa­rete che vi manca. Guardate com’è graziosa, con che cura è presentata!

CAMILLO — Fate vedere!

FINACIIE (aprendo l’astuccio) — Un palato d’ar­gento, caro mio, come nei racconti di fate.

CAMILLO (giungendo le mani ammirato) — Oh!

FINACHE — E in uno scrigno, signor mio... Non è da tutti, avere il proprio palato in uno scrigno!

CAMILLO — Finalmente potrò parlare!

FINACHE — Come?

CAMILLO — Finalmente... (vuol mettersi subito il palato in bocca).

FINACHE (glielo impedisce afferrandolo al pu­gno) — Non così. Prima dovete metterlo a bagno in un po’ d’acqua con acido borico. Chissà per quan­te mani è passato.

CAMILLO — Avete ragione. Comunque, io dicevo... (articolando meglio che può) Finalmente potrò par­lare?

FINACHE (che ha capito) — Ma certo potrete par­lare! E come! Se avete del talento potrete persino recitare alla Comédie Francaise.

CAMILLO (radioso) — Ah!... Vado a metterlo su­bito nell’acqua. (va verso il fondo).

VOCE DI CHANDEBISE — Camillo!

FINACIIE — Vi chiamano.

CAMILLO — Ditegli che torno subito. (Sparisce dal fondo).

CHANDEBISE (entrando dal fondo destra) — Ca­millo!

FINACHE (andando verso di lui) — Torna subito: ha una piccola faccenda da sbrigare. (tendendogli la mano). Come va?

CHANDEBISE — Oh, Finache, buongiorno. Sono proprio contento di vedervi, devo parlarvi.

FINACHE — Ero venuto poco fa: ve lo ha detto Etienne?

CHANDEBISE — Sì, sì. Per il certificato di de Hi­stangua, vero? Sembra che abbia una salute di prim’ordine.

FINACHE — Di primissimo. Ecco del resto il cer­tificato. (Tira fuori di tasca un foglio e lo porge a Chandebise).

CHANDEBISE (prendendo il foglio) — Grazie.

FINACHE (sedendosi a sinistra del tavolo) — Di che cosa dovete parlarmi?

CHANDEBISE (sedendo in faccia a lui, a destra del tavolo) — Beh, io volevo... Ecco volevo consultarvi a titolo personale, su una questione un po’ delicata. Finache, mi capita una cosa piuttosto strana.

FINACHE — Che cosa?

CHANDEBISE — Come posso spiegarvi? Voi sapete che ho una moglie deliziosa.

FINACHE — Su questo siamo d’accordo.

CHANDEBISE — Bene. Poi, sapete che nessuno è meno libertino di me.

FINACHE — Ah.

CHANDEBISE (leggermente seccato) — Come, ah? Perchè dite: “ Ah? ” Sì!

FINACHE — Amico mio, io non posso sapere.

CHANDEBISE — Ve lo assicuro io. E a questo punto non vi meraviglierete se vi dirò che in mia moglie si riassumeva tutto: la sposa e l’amante... Il che significa che sono sempre stato per lei — tra noi posso vantarmene — un marito soddisfacente.

FINACHE — Ah!

CHANDEBISE — Come « Ah? ». Perchè dite « Ah? ». Sì!

FINACHE — Ma come posso saperlo?

CHANDEBISE — Ve lo dico io. Soddisfacente e an­che qualcosa di più!

FINACHE — Benissimo, benissimo. Mi congratulo. Solo, non vedo dove vogliate arrivare...

CHANDEBISE — Appunto, appunto... Eh, Finache, non è facile!

FINACHE — Non è facile cosa?

CHANDEBISE — E’ imbarazzante... Io mi trovo... Io sono... Beh, sentite, vi racconto un fatto, un episo­dio, che vi illuminerà...

FINACHE — Benissimo! Coraggio!

CHANDEBISE — Ecco. Un bel giorno, o meglio una sporca notte... di circa un mese fa, io ero... mol­to affettuoso, come sempre. Mi ero espresso in que­sto senso con la signora Chandebise. e lei aveva ac­colto favorevolmente la proposta... Ebbene tutto a un tratto, non so per quale ragione... mi è preso un malessere, una specie di stordimento, e... e... ca­pitemi, Finache... Insomma, mi sono sentito diven­tare bambino.., un piccolo bambino...

FINACHE — Povero Chandebise!

CHANDEBISE — Potete dirlo, povero Chandebise: perchè ormai è finita. Io sono vittima di un’idea fissa. Non provo neppur più a lottare... Niente: bam­bino!

FINACHE — Via, alla vostra età!

CHANDEBISE — Oh, Finache, vi prego! Non è il momento di scherzare!

FINACHE (alzandosi) — Ma non vi aspetterete che prenda tragicamente il vostro caso! E’ un caso di tutti i giorni. Voi siete vittima di un semplice feno­meno di autosuggestione. Vincerlo dipende solo da voi. Un po’ di forza di carattere, perbacco! Volere è potere!

CHANDEBISE — Eh, eh!

FINACHE — Ma certo! Fidatevi di me!

CHANDEBISE (pensoso) — Forse avete ragione.

FINACHE — A parte il lato psicologico, voi avete bisogno di sport, di ginnastica. Ora vi visiterò. E’ chiaro che lavorate troppo, state troppo chiuso in ufficio. (Gli pianta un ginocchio nelle reni, lo afferra con le mani alle spalle e gli fa marcare il busto). Visto?Avete una netta tendenza a ingobbirvi. (Pas­sandogli davanti). Per questo vi ho ordinato le bre­telle ortopediche. E magari non le avete messe.

CHANDEBISE (tirandosi su il gilet per far vedere le bretelle) — Sì sì che le ho messe! Anzi, per esser costretto a tenerle sempre ho persino regalato tutte le mie bretelle normali. Le ha ereditate mio cugino Camillo. Però, queste sono davvero brutte.

FINACHE — Bah. Le vedete solo voi.

CHANDEBISE — Magari! Poco fa mia moglie stava per scoprirle.

FINACHE — Gran disastro!

CHANDEBISE (avviandosi a destra) — Grazie! Non mi manca che aggiungere questo ridicolo all’altro.

FINACHE (seguendolo) — Ah, voi mettete della vanità dove non dovrebbe essercene. (cambiando to­no). Su, toglietevi la giacca. Vi visito. (Mentre Chan­debise si appresta a togliersi la giacca, la porta di fondo si apre e entra Luciana, introdotta da Etienne).

LUCIANA (a Etienne) — Avvertite la signora per piacere.

CHANDEBISE (ricomponendosi prontamente) — Oh!

ETIENNE — Sì, signora (esce).

CHANDEBISE (a Finache, passandogli davanti per avvicinarsi a Luciana) — Rimandiamo. (a Luciana). Voi, cara signora!

LUCIANA — Come state?

CHANDEBISE — Bene, come spero di voi. Siete ve­nuta a trovare mia moglie?

LUCIANA — Torno, anzi. Ero uscita per una com­missione, ma poco fa ero qui e ho visto Raimonda...e anche il signore.

FINACHE (si inchina) — Effettivamente.

CHANDEBISE — Allora non occorrono presentazio­ni... Aveva un aspetto nervoso?

LUCIANA (indicando Finache) -— Il signore?

CHANDEBISE — No, mia moglie. Questa mattina non so cos’abbia: è da prendere con le molle.

LUCIANA — Non mi è sembrato.

CHANDEBISE — Meglio così.

RAIMONDA (comparendo dalla porta di destra) —Ah, eccoti!

LUCIANA (andando verso di lei) — Ti risaluto.

RAIMONDA (a voce bassa) — Fatto?

LUCIANA (anche lei a voce bassa) — Fatto. E’ già qui.

RAIMONDA — Bene.

ETIENNE (portando la lettera sul vassoio) — Si­gnore!

CHANDEBISE — Che c’è?

LUCIANA (a bassa voce a Raimonda) — Ci siamo!

ETIENNE — Un fattorino ha portato una lettera personale per il signore.

CHANDEBISE — Per me? (alle due donne). Permet­tete? (tira fuori i suoi occhiali, se li mette sulla pun­ta del naso, apre la lettera, poi, dopo averla letta, non può reprimere un’esclamazione di sorpresa) Ma guarda un po’!

RAIMONDA (pronta) — Cosa c’è?

CHANDEBISE — Niente.

RAIMONDA (perfida) — Non sarà una seccatura?

CHANDEBISE — Oh, no, no... E’... è un affare di as­sicurazioni.

RAIMONDA (secca) — Ah! (a Luciana, a voce bassa, furiosa) Andiamo! Mi sembra che tutto sia chiaro! (escono da sinistra).

CHANDEBISE (a Finache, mentre si avviano verso sinistra) — Incredibile, mio caro, incredibile! Le donne sono sorprendenti! Non indovinereste mai quel che mi capita.

FINACHE — Cosa vi capita?

TOURNEL (comparendo sulla porta di destra, con il suo dossier in mano) — Di’! Ti rendi conto che mi hai piantato di là...

CHANDEBISE — Vieni qui. Arrivi a proposito.

TOURNEL (venendo avanti e posando, mentre pas­sa, il suo dossier sul tavolo) — Che cosa c’è? (a Fi­nache) Buongiorno, dottore.

FINACHE — Buongiorno, Tournel.

CHANDEBISE — Ragazzi miei, tenetevi forte! (do­sando il suo effetto). Ho provocato... una passione fulminea.

FINACHE — Voi?

TOURNEL — Tu?

CHANDEBISE — Vi ho messi a terra, eh? (passando fra i due). Sentite! Non invento niente. (Legge dan­do rilievo ad ogni parola) « Io sono quella che non ha tralasciato un istante di guardarvi, l’altra sera al Palays Royal... ».

TOURNEL — Tu?

FINACHE — Voi?

CHANDEBISE (pavoneggiandosi) — Io, voi! Esatto! Non ha tralasciato un istante di guardarmi!

TOURNEL — Accidenti, che donna!

CHANDEBISE (stringendogli la mano) — Grazie!

TOURNEL (gli prende la lettera e continua lui la lettura) — « Voi eravate in un palco con vostra mo­glie e un signore... ».

CHANDEBISE — E un signore! Sei tu: « E un si­gnore. », cioè X..., primo venuto, entità trascurabile, polvere.

TOURNEL — Hai finito?

CHANDEBISE — Aspetta, aspetta. (gli riprende la lettera e legge) “ Delle persone che mi erano vicine hanno fatto il vostro nome, così ho saputo chi era­vate... “.

TOURNEL (con stizza) — Che astuzia!

CHANDEBISE — ...”da quella sera, io non sogno che voi... “.

I DUE (non riescono a riaversi) — Ma no!

CHANDEBISE (pavoneggiandosi sempre più) — Non sogna che me! (dando un colpo a Tournel) Capito, Tournel?

TOURNEL — Ma come, c’è scritto così?

CHANDEBISE (con aria di sufficienza, facendo con­statare sulla lettera) — Ma sì, vecchio mio! C’è scrit­to così.

FINACHE (di fronte all’evidenza) — C’è scritto.

TOURNEL (che continua a non rendersi conto) —Dio, quant’è curioso. (a Finache) Non vi sembra?

FINACHE (non sapendo che cosa rispondere) —Beh, teoricamente qualunque sogno è possibile.

TOURNEL — Si capisce. (beffardo) Dipende dalla digestione.

CHANDEBISE (prosegue la sua lettura) — “Io sono pronta a fare una pazzia. Volete farla con me?” (par­lato) Povera piccola. Cade bene! (a Finache) Eh!, Finache?

FINACHE — E perché?

CHANDEBISE — Dopo quello che vi ho confessato...

FINACHE (nancurante) — Bah! (va a sedersi a de­stra del tavolo).

CHANDEBISE (leggendo) — «Vi aspetto oggi alle cinque all’albergo del Micio Innamorato ».

FINACHE (ha un soprassalto) — All’albergo del Micio Innamorato?

CHANDEBISE (andando sino alla sinistra del tavolo) — Sì. «Montretout, Senna ».

FINACHE — Oh, bene! La signora se ne intende, ha pratica!

CHANDEBISE — Perché? Forse questo albergo...

FINACHE — Un sogno, mio caro. E’ il mio campo di battaglia.

CHANDEBISE — Guarda che cosa significa essere un’anima candida. Io non lo sapevo.

FINACHE — Neppure voi, Tournel?

TOURNEL (mentre va oltre la tavola, trovandosi così in mezzo ai due) — Conosco quell’albergo di nome, nient’altro.

CHANDEBISE (improvvisamente) — Oh, amici miei!

I DUE — Cosa c’è?

CHANDEBISE — Essa ha pianto.

I DUE — No!

CHANDEBISE — Proprio! Ha pianto! Sentite. (leg­gendo) «Post-scriptum. - Perché, scrivendovi, non posso trattenere le mie lacrime? Oh, fate che siano lacrime di gioia e non di disperazione ». Povero cuo­ricino! E non è da dire che finga. Guardate questo foglio: inondato. (mette la lettera sotto il naso di Tournel che è in piedi, le due mani appoggiate sul tavolo).

TOURNEL (annusando la lettera) — Ah, ragazzi miei!

I DUE — Cosa?

TOURNEL — Che cosa avrà messo nelle sue lacrime per farle così profumate? (viene in avanti al centro della scena).

FINACHE — Silenzio! La lacrima ha il suo segreto, la lacrima ha il suo mistero! Rispettiamo questo mi­stero.

CHANDEBISE (alzandosi) — Scherzate pure!... Ah!, mio vecchio Tournel, anch’io desto delle passioni. E così, mentre ce ne stavamo al Palays Royal, tran­quilli, senza sospettar nulla, una donna ci divorava con gli occhi.

TOURNEL — Ecco.

CHANDEBISE (a Tournel) — Tu non hai notato se una donna ci faceva l’occhietto?

TOURNEL — No!... Cioè, mi è sembrato, un mo­mento, ma credevo che fosse per me, e allora...

CHANDEBISE — Ah, a te è sembrato... (cambiando bruscamente tono) Oh, triplo idiota che sono! Ma è chiaro, è chiarissimo!

I DUE — Cosa succede?

CHANDEBISE — Non l’ho colpita io, ma tu!

TOURNEL — Io?

CHANDEBISE — Sicuro! Ti ha scambiato per me! Qualcuno avrà fatto il mio nome guardando verso il palco, e lei, che naturalmente aveva occhi solo per te...

TOURNEL (vanesio) — Credi?

CHANDEBISE — E’ così!

TOURNEL (c. s.) — Certo che probabilmente... Eh, sì.

CHANDEBISE — Ma guardami! Sono in grado di provocare amori improvvisi, io? Tu invece.., ma si capisce, è il tuo compito. (a Finache) E’ il suo com­pito. (a Tournel) Tu hai l’abitudine di far girare la testa alle donne! Sei bello, tu!

TOURNEL (lusingatissimo, schermendosi solo per la forma) — Ma via! Ma cosa dici!

CHANDEBISE — Sicuro, sicuro! Non è un mistero.

TOURNEL — No, no. Si potrà dire che ho dello charme, ecco.

CHANDEBISE — Là! Ha dello charme, lui! Ah, ci­vettone! Se delle donne si sono suicidate per te! E’ vero o no?

TOURNEL (modesto) — Oh... una, una sola.

CHANDEBISE — Ti par niente?

TOURNEL — E poi ora sta benissimo.

CHANDEBISE — Questo non vuol dire.

TOURNEL _-Devo aggiungere che la cosa è contestabile. Si è avvelenata mangiando datteri di mare.

I DUE — Datteri di mare?

TOURNEL — L’avevo appena lasciata e così lei ha sparso la voce che era stato per il dolore... Ma ha un bel dire, quando si vuol morire non si scelgono i datteri di mare... E’ troppo aleatorio.

CHANDEBISE (categorico) — Lasciamo andare! Non si può aver dubbi, questa lettera porta il mio nome, ma è indirizzata a te.

TOURNEL (esitante, a Finache) — Voi cosa ne pen­sate?

FINACHE (spalancando le braccia e non volendo prender partito) — Oh... io...

CHANDÈBISE — Ma sì, ma sì! E poiché la lettera è tua, andrai tu!

TOURNEL (difendendosi senza convinzione) ,— Ma no! No!

CHANDEBISE — Anzitutto io questa sera non sono libero: offriamo un banchetto al direttore della Sede Americana e quindi...

TOURNEL — No, senti, davvero...

CHANDEBISE — Ma smetti! Muori dalla voglia di andare!

TOURNEL — Credi?

CHANDEBISE — Toh, guarda il tuo naso! Preme!

TOURNEL (storcendo gli occhi per guardarsi ti na­so) — Freme! Il mio naso! E va bene! Accetto!

CHANDEBISE (mollandogli una pacca amichevole su una spalla e facendolo passare al centro) — Ah, ci­vettone! (risale un po’).

TOURNEL — Tanto più che la cosa mi garba. (a Fi­nache) Ho appena rotto una relazione in vista di un’avventura su cui contavo e che per il momento ho dovuto rimandare.

CHANDEBISE (che è di nuovo avanzato e si trova fra i due) — Ah, con chi?

TOURNEL (interdetto dall’apparizione di Chandebi­se) — Ma con... Ehm... Non posso dirtelo! (passa a destra).

CHANDEBISE (a Finache, scimmiottando Tournel) —Non può dirmelo! (a Tournel) Ah, Dongiovanni!

TOURNEL — La tua sconosciuta mi servirà da in­terregno.

CHANDEBISE (su un tono brillante) — Felicissimo di cedertela.

TOURNEI. (imitandolo) — Non si può essere più amabili. (senza transizione) Su, dammi la lettera!

CHANDEBISE — Come? Ah, no! Del resto a che ti serve? Tu devi semplicemente andare all’albergo in questione e chiedere della camera prenotata a mio nome. Capisci, lettere come queste non ne ricevo spesso. Voglio, che un giorno i miei nipotini - ammes­so che riesca ad averne - possano trovare questa let­tera fra le mie carte e dirsi: «Doveva essere dav­vero bello il nonno, se svegliava passioni come que­sta! ». Sarò bello almeno per i posteri!... Su, Fina­che, venite a visitarmi.

TOURNEL (avviandosi dietro di lui) — E le firme? (E’ passato oltre il tavolo e mostra il suo dossier).

CHANDEBISE — Due minuti e sono da te. Venite in questa camera, Finache, nessuno ci disturberà.

FINACHE — Ai vostri ordine. (escono da destra, primo piano).

TOURNEL (sempre col suo dossier in mano, bron­tolando) — Due minuti! Due minuti! Doveva anche farsi visitare... (dopo un momento, con un sorriso di compiacimento). L’albergo del Micio Innamora­to!... Chi sarà quest’altra donna che si è innamorata di me?

RALMONDA (ha il cappellino in testa) — Il signor Chandebise non c’è?

TOURNEL — E’ di là col dottore. Volete che lo chiami?

RAIMONDA — No, no, non disturbatelo! Quando lo vedrete, ditegli per piacere che io esco con la signora De Histangua... e che non stia in pensiero se rientrerò tardi: probabilmente pranzerò con una mia amica.

TOURNEL — Beh, credo che anche lui rientrerà tardi.

RAIMONDA (subito) per confonderlo) — E perché?

TOURNEL (che non scorge nessuna malizia nella domanda) — Se non. sbaglio, mi ha detto che que­sta sera ha un banchetto per il suo direttore d’A­merica.

RAIMONDA — Ah, vi ha detto così? Non mi dispiace saperlo, ma è falso, perchè il banchetto sarà do­mani. Ho visto l’invito con i miei occhi!

TOURNEL — Allora ha sbagliato giorno. Vado ad avvertirlo. (fa cenno di andare da Chandebise).

RAIMONDA (fermandolo con un gesto) — No, no. Non ha sbagliato giorno. Risparmiate il vostro zelo. L’errore è assolutamente intenzionale, lui vuole un alibi che gli permetta di tornare a casa questa sera e di affermare che ha confuso le date... So io come regolarmi.

TOURNEL (volendo por riparo alla sua goffe) —Ma vi assicuro che era sincerissimo! Andiamo, non ha nessuna ragione di raccontare delle bugie a me.

RAIMONDA — E a me sì, invece, vero?

TOURNEL — Eh!, già. Cioè, no. Niente affatto! Voi mi fate dire cose che non dico.

RAIMONDA — Poverino! Ma credete che non abbia capito il vostro gioco? Voi sapete che adesso che mio marito mi tradisce non potete sperar nulla da me, e allora vi credete furbissimo tentando di per­suadermi che è il più fedele degli sposi.

TOURNEL — Vi giuro che sono sincero.

RAIMONDA — Sì? Tanto peggio. Per me sarà come se non lo foste... Addio. (si avvia a sinistra).

TOURNEL (tentando di fermarla) — Raimonda!

RAIMONDA — Paraninfo! (ed esce sbattendogli la porta sul viso).

TOURNEL (che istintivamente ha fatto un salto in­dietro, interdetto) — Paraninfo! Mi ha detto para­ninfo! Oh!

CAMILLO (arriva dal fondo con un bicchiere pieno d’acqua e una bustina di acido borico. Il bic­chiere non è a calice ed è colorato) — Oh, signor Tournel! Siete di miglior umore?

TOURNEL — Toglietevi dai piedi! (parlando, Tour­nel è passato davanti a Camillo ed è uscito da de­stra, secondo piano).

CAMILLO (è rimasto un attimo mogio mogio, poi) Che bestione! (va al di là del tavolino, poi, stando di fronte al pubblico, posa il bicchiere sul tavolo e apre la bustina dell’acido borico). Quanto mi è stato difficile trovare l’acido borico... (versa il contenuto della bustina nel bicchiere, poi prende il bicchiere con una mano e il suo palato d’argento con l’altra; lo tiene un momento tra l’indice e il pollice, come l’ostia sopra il calice, poi, con amore) Bagnati, pa­lato mio, bagnati... (stacca l’indice dal pollice e il palato cade nel bicchiere, che Camillo va a posare sul caminetto).

ETIENNE (annunciando) — El señor Don Homeni­dès de Histangua.

HOMENIDES (entrando spavaldamente in scena) —Yo ve saludo!

CAMILLO (salutando) — Ah, il signor De Hìstan­gua!

HOMENIDES — El señor Chandebisse, non c’è?

CAMILLO — Sì, sì. Mio cugino è occupato col dot­tore, ma sarà qui tra un attimo.

HOMENIDES — Ah, bueno! Bueno! (in questo mo­mento la porta di destra si apre e appaiono Finache e Chandebise).

CAMILLO — Eccoli qui!

FINACHE (avviandosi verso l’estrema destra come chi voglia andarsene) — Insomma, dovete far solo quello che già vi avevo detto.

CHANDEBISE — Benissimo, siamo d’accordo.

HOMENIDES — Caro amigo... yo sono el vuestro ser­vidor.

CHANDEBISE — Ah, mio caro... Come state?

HOMENIDES — Bueno, bueno! E il nostro dottore anco? La salute è buena?

FINACHE — Buonissima! Della vostra è inutile chiedere! Scusatemi, stavo uscendo.

HOMENIDES — Ma yo ve prego!

FINACHE — Arrivederci!

TUTTI — Arrivederci!

FINACHE (fermandosi sulla soglia della porta) —Ah, e per chi ci andrà: buon Micio Innamorato!

CAMILLO (che è al di là del tavolo, piroettando) — Che idiota! (Si eclissa dal fondo destra).

FINACHE — Arrivederci! (esce).

HOMENIDES (appena Finache è uscito) — Por fa­vore, la mia spossa è aqui?

CHANDEBISE — Sì, sì. Con mia moglie.

HOMENIDES — Yo lo supponevo. Me aveva detto que me avrebbe anticipato.

CHANDEBISE (guarda Homenides stupito) — Vi avrebbe cosa?

HOMENIDES — Se comprende. Es venuta?

CHANDEBISE — Ah. Vj aveva detto che vi avrebbe preceduto.

HOMENIDES — Non è la stessa?

CHANDEBISE — Sì, sì... Volete che la faccia chia­mare?

HOMENIDES — No! Yo la vedrò tra un momento. Ah, Chandebisse, yo fui esta mattina en l’ufficio del­la vostra Compagnia. Yo lo vidi el vostro dottore.

CHANDEBISE — Me lo ha detto.

HOMENIDES — Sì, sì. Ei me ha fatto urinare.

CHANDEBISE — Come?

HOMENIDES — Fare pippi, fare pippi!

CHANDEBISE (capendo) — Ah, sì, certo.

HOMENIDES — Por que, questo?

CHANDEBISE — Che cosa?

HOMENIDES — Por que me ha fatto fare pippi?

CHANDEBISE — Diamine. Bisognava stabilire se siete in grado di farvi assicurare.

HOMENIDES — En que lo riguarda? Non me ase­guro io, ma mia moglie.

CHANDEBISE (interdetto) — Ma voi non me lo ave­vate detto.

HOMENIDES — Yo ve dissi: yo voglio fare una asegurazione !... Voi no me avete chiesto por qui.

CHANDEBISE (gioviale) — Beh, il piccolo equivo­co è facilmente rimediabile... La signora Homenides dovrà soltanto andare nell’ufficio della Com­pania e...

HOMENIDES — E que cossa? Le faranno fare como a yo?

CHANDEBISE — Eh, si capisce...

HOMENIDES (freddissimo, molto teso e netto) —Yo no lo voglio!

CHANDEBISE — Ma...

HOMENIDES (alzando a mano a mano il tono) —Yo no lo voglio! Yo no lo voglio! (L’ultimo « Yo no lo voglio» è molto scandito e rilevato) Yo no lo voglio! (parlando passa davanti a Chandebise).

CHANDEBISE — Signor Homenides, andiamo !... Bi­sogna essere ragionevoli: è la regola!

HOMENIDES (fa un brusco voltafaccia che lo por­ta petto a petto con Chandebise; violento) — Le regole, io le spezzo. Yo l’ho fatta pippi por lei.

CHANDEBISE (con grande energia) — Ah, no, no! Non è possibile!

HOMENIDES (ritornando a destra) — Bueno! Es semplice: no sarà asegurata.

CHANDEBISE — Siete così geloso?

HOMENIDES — No es gelossia. Yo trovo esto ab­bassamento de degnidad.

CHANDEBISE — E’ un pregiudizio!

HOMENIDES — Gelosso, yo! Oh, no, yo no lo sono.

CHANDEBISE (sforzandosi di essere amabile) —Perchè siete ben sicuro della fedeltà della signora De Histangua, eh? Del resto, non c’è da stupirsi.

HOMENIDES — No c’entra nada. Solo, yo so que ella sa que yo sarei terrible. Ella non oserebbe mai!

CHANDEBISE — Oh!

HOMENIDES (tirando fuori di tasca una pistola, che brandisce tenendo la canna verso Chandebise) —Vedete esto cincillo?

CHANDEBISE (proteggendosi istintivamente con la mano, e correndo intorno a Homenidés come in­torno a un asse, al fine di evitare la canna della pistola; e così passa a destra) — Eh, là, là! Piano! Via, via! Non scherzate con queste cose!

HOMENIDES (alzando le spalle) — No c’è pericolo. E’ in sigurezza.

CHANDEBISE (non molto rassicurato) — Sì, ma sa­pete...

HOMENIDES (a denti stretti) — Si yo la prendessi con on señor, ah, ah, el señor! Avrebbe subito una balla... nella schiena!... que riuscirebbe fuori... dalla schiena.

CHANDEBISE (sbalordito) — Eh? A lui?

HOMENIDES (brutale e quasi gridato) — No! A ella!

CHANDEBISE — Ah, ah !... Sì, sì!!! Ehm, perchè voi supponete che... (gesto delle mani per indicare due individui vicini).

HOMENIDES — Que cossa? Yo suppongo?... Ah, yo suppongo?

CHANDEBISE (volendo evitare di metterlo totalmen­te in collera) — No! Niente, niente!

HOMENIDES (più calmo) — Yo le ho fatto avver­timento nella nostra prima noche di nozze.

CHANDEBISE (a parte) — Graziosa dichiarazione!

HOMENIDES (rimettendosi in tasca la pistola e an­dando a sinistra) — Oh, ella no se azzarderebbe.

TOURNEL (comparendo sulla porta di destra) —Allora, vogliamo lavorare?

CHANDEBISE — Un momento, scusa.

TOURNEL — Ah, no. Non posso davvero aspettarti ancora. Ho dell’altro da fare!

CHANDEBISE — Ma sono subito da te! Prepara in­tanto i contratti.

TOURNEL (un po’ seccato) — Oh! (Ritorna nella stanza da cui era uscito, chiudendosi la porta alle spalle).

HOMENIDES — Qui es quest’uomo?

CHANDEBISE — Il signor Tournel.

HOMENIDES — Tournel?

CHANDEBISE — Un mio amico, che è anche pro­duttore della Compagnia.

HOMENIDES — Ah!

CHANDEBISE (credendo che Tournel sia ancora nella stanza, e volendo presentarlo) — Un adorabile ragazzo! Il signor Tournel!... Toh, non c’è più! Ha un solo difetto: civetta come una ragazza!

HOMENIDES (con indulgenza) — Pfi!

CHANDEBISE — A proposito, ha una gran fretta di andarsene perchè una donna lo aspetta.

HOMENIDES (ridendo) — Ah.

CHANDEBISE – (un po’ fatuo)  Ho detto “lo aspetta”, ma forse aspetta me... (dal taschino della giacca tira fuori a metà la lettera, che, parlando, accarezza compiaciuto con la mano)  Perchè a me lei ha scritto una bruciante lettera d’amore!

HOMENIDES (interessato) — Es verdad! (Spinto dalla curiosità). E qui è esta donna?

CHANDEBISE — Non lo so! Non ha firmato. (tira fuori del tutto la lettera).

HOMENIDES (profondo) — Probabilmente qualche anonima.

CHANDEBISE — Lo penso anch’io. Dev’essere una donna della buona società... una donna sposata.

HOMENIDES — Da que cossa lo arguziate?

CHANDEBISE — Pardon?

HOMENIDES (ripetendo a voce più alta) — Da que cossa lo arguziate?

CHANDEBISE (ripetendo macchinalmente) — Da che cosa lo arguzia? Beh, anzitutto dallo stile, dal tono. Le

cocottes sono meno sentimentali e più positive. Del resto, se volete farvi un’idea... (ha spigato la lettera e la porge a Homenidés)

HOMENIDES (prende la lettera ridendo) — Allora in esta faccenda c’è un cornuto.

CHANDEBISE — E ne ridete?

HOMENIDES (giubilante, con voce di testa) — Yo me diverta! Come me gusta!

CHANDEBISE — Animo malvagio.

HOMENIDES (scorre con lo sguardo la lettera e getta un grido) — Ah!

CHANDEBISE (stupito) — Cosa c’è?

HOMENIDES (sbotta, percorrendo il palcoscenico a grandi passi fino a arrivare all’estrema sinistra) —Caramba! Hija de la perra que te parrò!

CHANDEBISE — Ma che cosa avete!

HOMENIDES — La scrittura de mia moglie.

CHANDEBISE (sobbalzando) — Cosa dite?

HOMENIDES (piombando su di lui e schiacciandolo contro il tavolo) — Ah! Misserabile! Canaglia!

CHANDEBISE (tentando di liberarsi) — Eh, là! Eh, là!

HOMENIDES (con una mano lo tiene alla gola, con l’altra cerca la pistola, che tiene nella tasca poste­riore dei calzoni) — Il mio bulledogh! Dov’è il mio bulledogh?

CHANDEBISE (cercando istintivamente per terra in­torno a lui) — C’è un cane?

HOMENIDES (tirandolo fuori la pistola) — Ah, ec­colo!

CHANDEBISE (alla vista della pistola puntata ad­dosso a lui) — Mavia! Ma andiamo!

HOMENIDES (alza il cane, e toglie la sicura della pistola, sempre tenendo Chandebise contro il tavolo per mezzo di un ginocchio che gli ha piantato nel ventre) — Ah! La signora te scrive!

CHANDEBISE (riuscendo a liberarsi e guadagnan­do la destra passando davanti ai tavolo) — Ma no! Ma no! Anzitutto non si tratta certo di vostra moglie! Al giorno d’oggi le donne hanno tutte la stessa scrittura.

HOMENIDES (spostandosi un po’ a sinistra) — Yo la conosse!

CHANDEBISE — E poi, in fondo, che c’entro? Non ci vado io, ci va Tournel.

HOMENIDES — Tournel? Quale? L’uomo che era aqui adesso? Bueno! Lo ammazzerò!

CHANDEBISE (va prontamente fino alla porta di fondo a destra, passando per il lato destro del ta­volo) — Eh? Ma no! Non è ancora accaduto nien­te!... Vado subito io a avvertire Tournel e tutto va a posto.

HOMENIDES (che è risalito parallelamente a Chandebise, ma, più svelto di lui, gli sbarra il passo) — Yo ve lo proibisco! Yo voglio lasciar consu­mare la cossa! Yo ho la prova, poi yo ammazzo!

CHANDEBISE (cercando di rabbonirlo) — Andiamo, Histangua! (In questo momento si ode il brusio del­le voci di Luciana e di Raimonda).

HOMENIDES (spingendo Chandebise verso la por­ta di destra in primo piano e minacciandolo con la pistola) — Sento la voce de mia moglie! Entra qui tu!

CHANDEBISE — Histangua, amico mio!

HOMENIDES (feroce) — Yo te sono tuo amigo, ma yo te ammazzo como un cane. (Chandebise vorreb­be parlare) Andate! Andate o yo sparo!

CHANDEBISE (non se lo fa dire due volte e spa­risce attraverso la porta che Histangua gli indica) — No! No! (Homenides dà un giro di chiave, poi si terge la fronte; sta quasi soffocando).

LUCIANA (giunge in scena seguita da Raimonda) — Ah, eravate qui, amico mio.

HOMENIDES (sforzandosi di sembrare calmo) —Sì, yo ero aqui. Yo ero aqui.

RAIMONDA (passando davanti a Luciana per an­dare incontro a Homenides) — Oh, buongiorno, si­gnor Histangua.

HOMENIDES — Buongiorno, signora... State bene, sì?... Il marido?...

RÀIMONDA — Bene, grazie.

HOMENIDES — E i bambini?

RAIMONDA — Veramente.., non ne ho.

HOMENIDES — Peccato!... Bueno, sarà por un’al­tra volta.

RAIMONDA (ridendo) — Certo, certo!

LUCIANA (che da qualche istante lo osserva) —Che cosa avete?

HOMENIDES (con rabbia contenuta) — Yo no tien­go nada.

LUCIANA (poco convinta) — Ma! Io esco con Raimonda. Non avete bisogno di me?

HOMENIDES (c. s.) — No, no! Andate, ve prego... Andate!

LUCIANA — Allora, arrivederci.

RAIMONDA — Arrivederci, caro signore.

HOMENIDES (rabbioso) — A rivedervi, signora, a rivedervi.

LUCIANA (che vuoi mettersi il cuore in pace) —Que tienes, querido mio? Por que me pones una cara asì?

HOMENIDES (tanto più nervoso quanto meno vuoi dimostrare d’esserlo) — Te aseguro que no tiengo nada.

LUCIANA — Ah! Jesus! Que caracter tan inso­portable tienes! (Le due donne escono).

HOMENIDES (appena sono uscite, sbotta) — Oh! Sin verguenza! Oh! La garça! La garça! La garça! (E’ arrivato all’estrema destra quando sente tam­bureggiare alla porta di destra, primo piano. Rag­giunge con un balzo la porta). Basta! Basta o sparo! (Il rumore cessa. Homenides rimonta nervosamente per la destra e arriva in prossimità della porta di fondo quando questa si apre per dare passaggio a Tournel).

TOURNEL — Il signor Chandebise non c’è?

HOMENIDES (a parte, digrignando i denti) — Ec­co aqui l’altro, el Tournel. (A voce normale, con dei sorrisi sotto i quali si avverte la voglia di mor­dere). No, señor, no, non è aqui.

TOURNEL (senza accorgersi dello stato in cui si trova Homenides) — Va bene. Se lo vedete, potete per cortesia dirgli che ho lasciato tutti i contratti sulla sua scrivania e che dovrà soltanto prendersi nota dei nominativi?

HOMENIDES (piantato bene in faccia a Tournel) —Sì, señor, sì.

TOURNEL — Quanto a me... non posso aspettarlo ancora.

HOMENIDES (nervosissimo dietro il velo della sua falsa amabilità) — Va bene, andate!

TOURNEL (stupito) — Come?

HOMENIDES (non controllandosi più) — Andatevene o yo ve...!  (Le sue mani, assai vicine al collo di Tournel, si contraggono come se volesse stran­golarlo).

TOURNEL — O voi mi, che cosa?

HOMENIDES (riuscendo con un ultimo sforzo a padroneggiarsi) — Ma niente señor, proprio niente. (Molto amabile) Andate, andate.

TOURNEL — Ah. (Avviandosi) Che strano tipo. (Salutando). Signore! (E esce dal fondo).

HOMENIDES — Ah, scoppio! (Scorge il bicchiere che contiene il palato di Camillo e vi si dirige di corsa)- Ah! (Ne beve avidamente il contenuto)—        Ah, esto asse bien. (subito si rende conto dello strano gusto di ciò che ha bevuto). Puah! Cossa hanno puesto por farlo tanto salato? (Posa con di­sgusto il bicchiere vuoto sul tavolo e viene in avanti dall’estrema destra).

CAMILLO (compare dal fondo destro e viene in avanti lungo il lato sinistro del tavolo) — Il signor Histangua, tutto solo?

HOMENIDES (fa un balzo verso di lui) — Oh, voi! (Si calma subito). Arrivate opportuniamente. Yo vado via.

CAMILLO — Ah.

HOMENIDES — Dopo que yo sarò andato via (in­dica la porta destra in primo piano) quella porta, visto? Yo ve autorizzo: potete aprire al vuestro pa­drone. Via! (Parlando lo ha preso per i risvolti della giacca e lo fa passare a sinistra).

CAMILLO (turbato dagli scossoni che ha ricevuto) - Come, al mio padrone?

HOMENIDES (con rabbia, raggiungendo la porta di fondo a grandi passi) — Oh! Sin verguenza! Co­mo podria imaginarme que mi mujer tenesse un amante! (E esce come un energumeno).

CAMILLO (dopo averlo guardato uscire, con aria a metà spaventata e a metà divertita, scimmiottan­dolo) — Que mi mujer tenesse un amante! (Riden­do) Non si capisce una parola di quel che dice! (Andando verso la porta di destra, primo piano) Al mio padrone? Quale padrone? (Apre la porta; ve­dendo apparire Chandebise. che ha l’aspetto disfat­to, indietreggia) Tu?

CHANDEBISE (ancora pieno di paura, non osa av­venturarsi nella camera) — E’ andato via?

CAMILLO — Chi?

CHANDEBISE (sempre sotto lo stipite della porta) — Ho... Homenidès?

CAMILLO — Sì!

CHANDEBISE (c. s.) — E la signora Homenidès?

CAMILLO — Anche lei, con Raimonda.

CHANDEBISE — Bene... E Tournel?

CAMILLO — E’ appena uscito.

CHANDEBISE (passando davanti a lui) — Acciden­ti! Questo è grave. Non c’è un momento da per­dere! Chi si può mandare ad avvertirli che lui gli piomberà addosso? (Trovando) Ah, Etienne.

CAMILLO — Dove si deve mandare?

CHANDEBISE — Ehm, al coso, all’affare là... In­somma, so io. (Prendendolo per i risvolti della giac­ca). Siamo su un vulcano! Si prepara un dramma spaventoso, un doppio assassinio forse!

CAMILLO (sobbalzando) — Ma che cosa dici?

CHANDEBISE — Vediamo. Ma sì! Prima del ban­chetto io ho, il tempo di andare fino da Tournel! Tu aspettami! E dammi il mio cappello! Dov’è il mio cappello? (Passa a destra).

CAMILLO — Mio Dio, che cosa succede?

CHANDEBISE (in fretta) — Non ho il tempo di spie­garti. Senti: se durante la mia assenza Tournel tor­nasse qui per un motivo qualunque, digli che non vada assolutamente all’appuntamento che lui sa... E’ in gioco la sua vita!

CAMILLO (ha un sobbalzo) — La sua vita!

CHANDEBISE — Hai capito bene? La sua vita!

CAMILLO (affannatissimo) — Sì, sì, la sua vita!

CHANDEBISE — Che dramma, mio Dio, che dram­ma! (Esce da destra, primo piano).

CAMILLO (avviandosi verso sinistra) — Perbacco! Che cosa diavolo hanno tutti quanti, oggi?

TOURNEL (facendo una brusca apparizione sulla porta di fondo) — Devo aver lasciato la mia busta qui.

CAMILLO — Tournel!

TOURNEL (prendendo la sua busta sul tavolo) —Ah, eccola!

CAMILLO (balza verso di lui precipitoso e incom­prensibile) — In nome di Dio, non andate dove sapete voi! E’ in gioco la vostra vita!

TOURNEL — Che cosa?

CAMILLO (aggrappandosi perdutamente a lui) — All’appuntamento! All’appuntamento! Non andateci! E’ in gioco la vostra vita!

TOURNEL (lo fa piroettare su se stesso e lo spin­ge lontano per liberarsene), — Ma lasciatemi in pa­ce! Io non capisco ciò che dite.

CAMILLO (riprendendo rapidamente il suo equilibrio e correndogli appresso) — Tournel! Tournel!

TOURNEL (scappando via) — Ma zitto! Buonasera! (Esce precipitosamente dal fondo).

CAMILLO (corre al caminetto dove aveva lasciato il bicchiere e non lo trova più) — Dio santo, il mio palato! Dove hanno messo il mio palato? (Scor­gendo il bicchiere sul tavolo) Ah, eccolo! (Si cac­cia velocemente il palato in bocca e corre tosto verso il fondo) Tournel! Tournel! Tournel!

CHANDEBISE (col cappello in testa, accorrendo al­le grida di Camillo) — Ma con chi ce l’hai?

CAMILLO (un piede nel vestibolo e uno nel salot­to, parlando con grande volubilità e nel modo più chiaro del mondo) — Ma con Tournel! Non ho mai visto un bruto simile! Gli ho detto tutto quello che tu mi avevi incaricato di dirgli e lui non mi ha neppure voluto ascoltare.

CHANDEBISE (sbalordito, lasciandosi cadere su una sedia) — Ah! Parla!

CAMILLO (correndo e chiamando mentre il sipa­rio cala) — Tournel!... Tournel!... .Ehi, Tournel!

SIPARIO

*            ATTO SECONDO         *

A Montretout. il primo piano dell’Albergo del Mi­cio Innamorato. Per fare onore all’insegna, tutto è leggiadro, stimolante, suggestivo. La scena è divisa in due sezioni. A sinistra (e questa parte occupa più o meno i tre quinti della scena), una grande hall alla quale si accede da una scala situata sul fondo e che continua portando ai piani superiori. A sinistra in primo piano, contro il muro, una men­sola. Sopra la mensola, un attaccapanni al quale sono appesi una giacca di livrea e un berretto da facchino d’albergo. In secondo piano, una porta che dà nella camera occupata da Rugby, in terzo pia­no, un corridoio che porta ad altre camere; la porta di una di queste è di fronte al pubblico, visibile. Tra questa porta e la hall un quadro di suonerie elettriche è appeso al muro. A destra della hall, la parete che separa la hall stessa dalle due camere contigue, la prima delle quali è visibile al pubbli­co. Questa parete arriva fin quasi in primo piano, terminando a collo di cigno. In secondo piano, una porta, attraverso la quale camera e hall comunicano, in terzo piano, una porta che dà nella camera contigua, il cui interno per conseguenza non è vi­sibile dal pubblico. Nella hall, contro il collo di cigno, una panchettina.

Nella camera di destra, sul fondo, un letto a bal­dacchino, rialzato da uno scalino a angoli tondi e tappezzato. A destra del letto, in una rientranza, u­na finestra che porge su un giardino. In primo piano, a destra una porta che comunica col bagno. A si­nistra, contro il collo di cigno, un tavolinetto lac­cato di bianco. Sul fondo, a sinistra del letto, una sedia. Un’altra sedia è tra la finestra e la porta del bagno. Ai due lati del letto, posto all’altezza del­l’occhio, un bottone per campanello. Questi botto­ni devono essere fatti in modo che abbiano l’aspetto di un bersaglio. Ed essi azionano, quando li si prema, dei campanelli di legno posti tra le quin­te. Per loro mezzo i macchinisti vengono avvertiti e manovrano il girevole del letto. Ecco in che cosa consiste questo girevole: nello scalino sul quale posa il letto, vi sono due sezioni: una, quella inferiore, fissa e orizzontale, in modo che corregga il pendio del palcoscenico; l’altra, posta sopra, mobile e gi­revole. Il pannello del muro costituisce il diametro del disco ruotante, in modo che quando i macchini­sti per mezzo di un argano fanno ruotare questo di­sco, il pannello e il letto girano con esso e lasciano il posto al pannello e al letto della camera vicina: i     due letti devono quindi essere identici. La testie­ra di questi letti, quando sono in scena, dev’es­sere dalla parte della finestra; i piedi, per conse­guenza, dalla parte della porta. Per nascondere o­gni possibile fessura tra il pannello e il suo riqua­dro, mettere dei ripari in caucciù, che serviranno al tempo stesso a ammortizzare il colpo d’arrivo del girevole.

In questo atto, l’attore che sostiene la parte di Chandebise dovrà impersonare alternativamente que­sto personaggio e quello di Poche. Perchè questo sia possibile, bisogna predisporre i costumi nel se­guente modo. Fin da quando si alza il sipario, l’at­tore avrà sotto gli abili di Poche il costume di Chan­debise, che non si toglierà mai. Il costume di Po­che è composto da un paio di pantaloni da livrea verdi o blu, da un gilet della stessa stoffa con bot­toni di ottone, da una camicia di cotone rosa e da un paio di grosse scarpe (o pantofole) assai alte, in feltro nero : queste scarpe naturalmente, sono cal­zate sopra gli scarpini di Chandebise. La camicia è solo apparente: si tratta di un paio di maniche che partono dalle spalle del gilet, e di un davan­tino con colletto rivoltato cucito alla scollatura del gilet. Un grembiule e una sciarpa bianca di falsa seta completano il costume. In questa tenuta l’at­tore reciterà tutta la prima parte dell’atto fino al­l’ultima scena di Poche prima della prima entrata di Chandebise. A partire da questo momento, l’at­tore, ogni volta che dovrà mutarsi in Poche avrà —   dovendo essere i cambiamenti velocissimi — un gilet e dei pantaloni uguali a quelli di prima, ma completamente truccati, aperti cioè posteriormente.

All’alzarsi del sipario, Eugenia sta finendo di riordinare la camera di destra.

FERRAILLON (sbucando dal corridoio di sinistra) — Eugenia !... Eugenia !... (arriva alla porta della ca­mera di destra). Eugenia!

EUGENIA (senza turbarsi, continuando a spolvera­re col suo piumino) — Signore?

FERRAILLON (sulla soglia) — Cosa state facendo?

EUGENIA — Finisco la camera, signore.

FERRAILLON (entra nella camera) — Quindi se­condo voi questa è una camera fatta. E questo let­to vi sembra in ordine? Parola d’onore, si direbbe che qualcuno ci abbia dormito.

EUGENIA (tra pelle e pelle) — E invece no, eh?

FERRAILLON — Facciamo dello spirito adesso? Ma guarda!... Di questo passo direte che il mio è un albergo equivoco.

EUGENIA (ironica) — Per carità!...

FERRAILLON — No, signorina! Mettetevi in testa che questo è un albergo di lusso! Un albergo... come si deve! Dove vengono soltanto persone sposate. (Si sposta un po’ in avanti e a sinistra).

EUGENIA — Sì, ma mai insieme.

FERRAILLON (tornando prontamente verso di lei) — E con questo? Sono ancora più sposati, perchè lo sono ciascuno per proprio conto. Adesso la si­gnorina si permette di giudicare la mia clientela! Su, rimettete bene in ordine e alla svelta! (Butta per terra le coperte, poi va nella hall).

EUGENIA (a parte) — Quant’è seccante!

OLIMPIA (è apparsa sul fondo, venendo da  basso e portando una pila di lenzuoli. E’ una di quelle donne che sono state belle e che, pur som­merse dalla pinguedine, non abdicano. Ha 57 anni, ma non li dimostra tutti. Il corsetto la stringe ec­cessivamente. E’ molto truccata e ingioiellata) —Con chi ce l’hai, Ferraillon? (E va a posare i suoi lenzuoli sulla mensola di sinistra).

FERRAILLON — Quella ragazza si infischia di tut­to! Ah, come mi dispiace di non averla avuta al reggimento! Ne avrei fatto quello che volevo!

OLIMPIA (severamente) — Ferraillon!

FERRAILLON — Oh, intendo dire che l’avrei fatta rigar diritta. Penso davvero all’amore!

OLIMPIA — Spero bene di no!

FERRAILLON (scorgendo Battistino che arriva da basso ed ha un’aria da cane bastonato, gli va in­contro, lo afferra per il colletto e lo fa passare a destra) — Ah, sei qui! Da dove vieni? Di nuovo dal­l’osteria, si capisce!

BATTISTINO — Io?

FERRAILLON — Vuoi lavorare, sì o no?

BATTISTINO (timido) — Sì.

FERRAILLON — E allora và a coricarti (Battistino si avvia verso il fondo, ma si ferma alla voce di Ferraillon) Guarda un po’! Ecco un essere che non è buono a far niente e che ha la fortuna di avere dei reumatismi... indiscutibili in grazia dei quali io lo faccio vivere di rendita!... Ma perché lo fac­cio? — mi chiedo. Perché ho troppo cuore, per­ché non ho voluto che un mio zio si trascinasse nella miseria e nella vergogna! E con tutto questo il signore ha soltanto un pensiero, quello di sot­trarsi ai suoi doveri per correre da un oste all’altro!

BATTISTINO — Senti...

FERRAILLON — Non sento niente! (Passando a de­stra) Ah! queste osterie! Bisognerebbe chiuderle, in nome della pubblica moralità.

OLIMPIA (a Battistino) — E se avessimo bisogno del vecchio signore malato mentre sei fuori, eh? Oggi per esempio, chi avrebbe fatto il vecchio si­gnore malato? Io no di sicuro! Saremmo stati fre­schi, in caso di flagrante delitto!

BATTISTINO — Ma io sapevo che...

FERRAILLON — Basta! Finiamola! Fila nella tua camera, e di corsa!... Ma cosa vuole di più? (Batti­stino, sottomesso, rientra a testa bassa nella camera di destra sul fondo).

OLIMPIA — Eccola, la famiglia!... Tutto gli è do­vuto a non deve niente a nessuno.

RUGBY (sbuca dalla camera di sinistra; alla schiena di Ferraillon, da molto vicino.) — Nobody called?

FERRAILLON (ha un soprassalto e si volta di scat­to) — Come?

RUGBY (arrabbiato) — Nobody called, I said! (Fer­raillon e Olimpia si guardano sbalorditi; Rugby, vedendo che non l’hanno capito, più piano, a Olim­pia) I you please, anybody called for me?

OLIMPIA — No, no bodé, no bodé, signore!

RUGBY (brontolando) — Huah... Thank. (Ritorna in camera sua, furibondo. Ferraillon e Olimpia si guardano un momento abbrutiti).

FERRAJLLON (dopo un momento) — Che cosa ha detto?

OLIMPIA -— Credo che abbia chiesto se era venuto qualcuno a cercarlo.

FERRAILLON — Che mania, di parlarmi in inglese. Io non gli parlo in francese?

OLIMPIA — Non sa la nostra lingua.

FERRAILON — Non è una ragione perché io capi­sca la sua. (imitandolo). “Nobodècoll “. Oh, può vantarsi di avere un bel sorriso!

OLIMPIA — Pover’uomo. E’ la terza volta che vie­ne e che la signora che aspetta non si fa viva.

FERRAILLON — Lo credo bene! Se è così anche con le donne... “Nobodècoll “: si capisce che le fa scappare.

OLIMPIA — Questo è vero. (Disponendosi a ri­prendere la sua pila di lenzuoli). Vado a portare i lenzuoli in guardaroba.

FERRAILLON — Ma non devi farlo tu! (chiaman­do) Eugenia!

EUGENIA (che, durante le scene che precedono, aveva rifatto il letto ed era poi scomparsa nel ba­gno, per uscire due o tre battute più sopra) — Si­gnore?

FERRAILLON — Avete finito la camera?

EUGENIA (col piumino sotto il braccio e una broc­ca in mano) — Più o meno, signore.

FERRAILLON — So bene, una camera è sempre fi­nita quando si vuole.

EUGENIA (dirigendosi verso il corridoio di sini­stra) — Eh, visto che si fa per ridisfarla subito dopo...

FERRAILLON — Basta. Su, portate questi lenzuoli in guardaroba.

EUGENIA — Io?

FERRAILLON — Si capisce! Volete che li porti io?

EUGENIA (posa la brocca e il piumino nel corri­doio con un sospiro di rassegnazione) — Va bene. Che mestiere da bestie. (Si avvia verso il fondo come per raggiungere la scala; alla battuta di Olim­pia, si ferma).

OLIMPIA — Già che mi viene in mente! (Indica la camera di destra, in primo piano) Non dovete dare a nessuno questa camera: è prenotata.

FERRAILLON (accendendosi una sigaretta) — Ah. Da chi? (siede).

OLIMPIA — Dal signor Chandebise. (A Eugenia) Vi ricorderete?

EUGENIA — Sì, signora, è il signore che parla così. (Pronuncia « che parla così » alla maniera di Ca­millo).

OLIMPIA — Esatto.

FERRAILLON (si è seduto sulla panca che è con­tro il collo di cigno) — Ah, viene oggi?

OLIMPIA — Si. Guarda il suo biglietto. (vedendo che Eugenia si è avvicinata e ascolta) Va bene Eugenia.

EUGENIA (fraintendendo) — Io, signora? Sto benis­simo, grazie.

OLIMPIA — No, volevo dire: va bene, non ho più bisogno di voi.

EUGENIA — Ah, ho capito, signora. (a parte, andan­dosene) Mi sarei meravigliata. (Si avvia verso il fon­do, in direzione della scala).

OLIMPIA — Non da lì. Fate la scala del corridoio. E’ lo stesso, e non correte il rischio di incontrare qualche cliente, con tutti quei lenzuoli.

EUGENIA — Si, signora. (e esce dal corridoio di sinistra).

OLIMPIA (a Ferraillon) — Ti leggo il biglietto: “ Riservatemi per oggi alle cinque la stessa camera dell’ultima volta. Chandebise.”. L’ultima volta aveva appunto quella lì. (indica la camera di destra).

FERRAILLON (alzandosi) — Benissimo!... Andiamo a dare l’occhiata del padrone. (entra nella camera, seguito dalla moglie). Beh, così va meglio.

OLIMPIA — E nel bagno, c’è tutto quel che occor­re? Il bagno è molto importante. (Entra nel bagno).

FERRAILLON — Schiacciamo un po’ il bottone per vedere se quell’imbecille di mio zio è al suo posto. (Preme il bottone a sinistra del letto; la parete ruota sui suoi cardini, portando via il letto che è in scena, il cui posto viene preso dal letto della camera atti­gua. Nel letto, è Battistino).

BATTISTINO (coricato sul dorso, intonando un ritor­nello familiare) — Oh, i miei reumatismi! I miei po­veri reumatismi! (Egli è in camicia da notte, con un berretto in testa).

FERRAILLON (interrompendo/o) — Va bene, va be­ne. Non ti stancare, sono io.

BATTISTINO (mettendosi seduto) — Ah, sei tu? Hai visto, tu che mi sgridi sempre? Sono al mio posto di lavoro.

FERRAILLON — Vorrei vedere! Ti pago per questo! Su, rimandiamo il cassetto a posto. (Preme di nuovo il bottone, e di nuovo il girevole ruota, rimettendo a posto il primo letto) Tutto funziona benissimo. (O­limpia esce dal bagno e segue suo marito che va verso il fondo. Ferraillon, sempre camminando) Dov’è Poche?

OLIMPIA (seguendo il marito) — In cantina, a met­tere a posto la legna.

FERRAILLON (all’estrema sinistra) — In cantina?... Ma sei pazza! Io ti dico che ha un solo difetto, quel­lo di ubriacarsi, e tu lo mandi in cantina!

OLIMPIA — Ma il vino è chiuso a chiave. Non c’è pericolo.

FERRAILLON — Eh, purtroppo lo conosco, quel be­stione! E’ stato per tre anni il mio attendente! Però, a parte il suo viziaccio, in servizio era una perla. Onesto, lavoratore e soprattutto devoto! Ah, potevo strapazzarlo e malmenarlo come volevo! Che gioia era per lui!

OLIMPIA (appoggia la testa contro la spalla di Fer­raillon e, gli occhi al cielo) — Tu picchi tanto bene!

FERRAILLON (modesto) — Oh, una volta!... Si, pic­chiavo bene! Ora... stanca, sai... Comunque, Poche è un servitore come piacciono a me!... Per questo, quando un paio di settimane fa l’ho trovato disoc­cupato, l’ho preso subito con me.

OLIMPIA (raggiungendo la destra della hall) — Hai fatto benissimo.

(in questo momento compare sulla scala, proveniente dalla cantina e quindi dal basso, Poche. Ha un fascio di legna sulle spalle, ed è in tenuta da lavoro: pantaloni e gilet della livrea, grembiale con bretelle e scarpe di feltro. I capelli sono spettinati, come li ha chi torni dal proprio lavoro. E’ il sosia assoluto di Chandebise, solo è più volgare, più pesan­te. E’ lo stesso uomo, ma di uno strato sociale infe­riore. In mano ha un biglietto).

FERRAILLON (appena vede Poche) — Quando si par­la del diavolo... Che c’è, Poche?

POCHE (accennando il saluto militare, con voce piuttosto pastosa) — Un biglietto, capo!

FERRAILLON (andando verso di lui, e imitandolo) —« Un biglietto capo!» Dammi, su!... (mentre passa davanti a Poche gli prende di tra le mani il bigliet­to e va verso sua moglie) Grazie. (Vedendo Poche che è avanzato un po’ verso sinistra e lo contempla con un’aria beata e intenerita) Dio mio, quant’è brut­to questo bestione! (A Poche che sorride beatamen­te, sempre abbozzando istintivamente dei saluti mi­litari) Hai finito di guardarmi così, imbecille? (sem­pre parlando, ha aperto il biglietto correndo con lo sguardo alla firma) Ah... anche questo è di Chande­bise! (In questo momento Eugenia compare sulla scala in alto e scende lentamente mentre Ferraillon legge il contenuto del biglietto) “ Prenotatemi una buona camera...”

OLIMPIA (con una punta di ironia) — Ci tiene, evidentemente!

FERRAILLON — “ ...e fatene disporre a chi la chiederà a mio nome”. (A Eugenia che è arrivata in fon­do agli scalini e a Poche) Avete capito, voi due? Se qualcuno chiede la camera riservata al Signor Chan­debise, lo accompagnerete in quella lì. (indica la ca­mera in primo piano a destra).

EUGENIA — Si, signore.

POCHE (sempre sorridendo beato e facendo il sa­luto militare) — Si, capo.

FERRAILLON — E ora potete accomodarvi. (Eugenia esce dal corridoio. Poche rimane dove sta e continua a contemplare il suo padrone) Beh, non hai capito? Specie di cosacco! (Lo afferra per il braccio e lo fa ruotare su se stesso) Su, squagliatela. (Gli dà una pe­data. Poche si avvia verso il fonda con un’aria ra­diosa e sale i gradini della scala senza abbandonare Ferraillon con lo sguardo) Maguarda che aria beata! (Facendo la voce grossa) Sei ancora qui? Fila via! Via! (Poche ubbidisce precipitosamente e salendo il resto dei gradini inciampa e sta quasi per cadere) Ti dico che mi adora, questo animale.

OLIMPIA (quando Poche è uscito) — Che brav’uo­mo.

FINACHE (compare sulla scala provenendo da in basso) — Buongiorno, colonnello!

FERRAILLON e OLIMPIA — Ah, il signor dottore!

FINACHE (venendo in mezzo a loro) — Buongiorno, signora Ferraillon! Avete una camera libera?

OLIMPIA — Per voi sempre, signor dottore.

FINACHE — Nessuno ha chiesto di me?

OLIMPIA — Non ancora, signor dottore.

FINACHE — Tanto meglio!

OLIMPIA — Il signor dottore è in fortuna?

FINACHE — Oh, in fortuna! Una relazioncella.

OLIMPIA — Mi fa piacere. Si dice tanto per dire, ma da più di un mese...

FINACHE — Ho svolazzato un po’ qui un po’ là.

OLIMPIA — E’ male non essere fedele.

FINACHE  - Oh, ma con la stessa! Sempre con la stessa!

OLIMPIA  - Io non parlavo della signora, dicevo per noi.

FINACHE — Ah.

OLIMPIA — Capirete, se si dovesse esser fedeli in amore, noi potremmo chiudere bottega.

FINACHE — Giustissimo. (Cambiando tono) Sapete che si entra e si esce come si vuole, nel vostro al­bergo? (Risalendo leggermente) Non c’era il vostro cameriere, in portineria.

OLIMPIA — Poche?

FINACHE (riavanzando) — Chi, Poche? No, Gabrie­le, il bel Gabriele.

FERRAILLON — Ah, già, voi non sapete... Eh, non venite da tanto tempo! L’abbiamo licenziato, Ga­briele.

FINACHE — Che peccato! Era così decorativo.

OLIMPIA — Appunto! Lo era troppo. E ne appro­fittava. Faceva sempre quello che voleva.

FERRAILLON — Invece con me ci vuole della disci­plina! Io non conosco altro! Perchè ora mi vedete così, ma sono stato militare.

FINACHE — Allora è effettivo il vostro grado, co­lonnello?

OLIMPIA (che è riavanzata a sinistra) — Altro che effettivo! Era sergente maggiore al 290 di linea: per questo lo chiamano colonnello.

FINACHE — Ah. Voi siete colonnello... in borghese.

FERRAILLON (con bonomia) — Beh, nella vita pri­vata, vero, che importanza ha un grado in più o in meno? (a Olimpia) Fiorellino mio, ti dispiace dare un’occhiata al n°. 10 per il signor dottore?

OLIMPIA — Subito. (Raggiunge la scala, esce).

FINACHE — Una donna preziosa, eh, la signora Ferraillon?

FERRAILLON — Ah! E così seria!

FINACHE — Mi direte che è buffo, ma sapeste quan­te volte mi son chiesto dove l’ho vista.

FERRAILLON (scuotendo il capo) — Eh, è semplice. (Andando di poco verso destra) Voi... non avete mai conosciuto... qualche annetto fa... una donnina, la bella Castañà... che avevano soprannominato la Ma­rescialla?

FINACHE (cercando di ricordarsi) — Castañà?... Aspettate...

FERRAILLON — Castañà, sì, quella che è stata per tanto tempo l’amante del duca di Gennevilliers.

FINACHE — Ah, sì, perbacco! E che si è fatta ser­vire, una notte al Grand Seize, tutta nuda su un piat­to d’argento.

FERRAILLON — Bravo! Esatto! (Con una certa sod­disfazione) Ebbene, è lei. E’ mia moglie. L’ho sposata.

FINACHE (un po’ imbarazzata) — Ah... ah. Mi ral­legro.

OLIMPIA (dall’allo della scala) — Se il signor dot­tore vuol vedere la camera...

FINACHE (lanciandosi verso la scala e salendo i gra­dini a quattro a quattro) — Lo credo bene che vo­glio vederla! (a Ferraillon, dalla scala) Se qualcuno chiede di me, avvertitemi subito. D’accordo? (scom­pare ai piani superiori).

FERRAILLON (fa un inchino; poi, guardandolo an­dar via) — Che bella cosa, l’amore!

RUGBY (schizzando fuori dalla camera alla sua so­lita maniera e vicinissimo alle spalle di Ferraillon) Nobody called?

FERRAILLON — Ah, di nuovo! Volete smetterla?

RUGBY — Nobody called for me, I say?

FERRAILLON (col sorriso sulle labbra, a mezza voce) —        Che barba.

RUGBY (tendendo l’orecchio) — Wath?

FERRAILLON (c. s.) — Che barba.

RUGBY (che non capisce) — Baaba?

FERRAILLON (col suo tono più amabile) — Sì, En­glisch mio. Tu mi guardi con degli occhi tondi tondi, ma a me non dispiace approfittare del fatto che non capisci la nostra lingua per dirti quel che penso: che barba!

RUGBY (c. s.) — Baaba!... Aoh, thanks.

FERRAILLON — Ai tuoi ordini. (Rugby è già arri­vato sulla soglia della sua porta quando. compare Raimonda sulla scala. Ha il volto celato da un velo fitto).

RUGBY (fermandosi di colpo alla vista di Raimon­da) — Aoh!

FEIIRAILLON — La signora desidera?

RAIMONDA — La camera prenotata dal signor Chan­debise.

FERRAILLON (passando davanti a lei per andare ad aprire la porta della camera di destra) — Ah, da questa parte, signora! (Rugby, che non ha lasciato nemmeno per un attimo di guardare Raimonda, non potendo vederla in viso avanza senza riguardi fino a lei e si mette a girarle intorno come una farfalla intorno al lume, sempre squadrandola sfrontatamen­te e canticchiando un’aria di giga sulla quale ritma i suoi passi).

RUGBY (camminando intorno a Raimonda, che lo guarda sbalordita e gira istintivamente su se stessa)

—   «Turnin around town, Knocking people down, Kissing every girl you meet ». (constatando che Rai­monda non è colei che cerca). No! it’s not that one! (Rugby ritorna in camera sua, le mani in tasca e fischiettando la sua giga).

RAIMONDA (sempre stupitissima) — Che cos’ha?

FERRAILLON — Non badategli, signora. E’ un origi­nale d’oltremare.

RAIMONDA (avanzando un po’ verso sinistra) — La faccia tosta non gli manca. (a Ferraillon) Non èan­cora venuto nessuno a chiedere la camera? (rialza appena il velo).

FERRAILLON — Nessuno. (le si avvicina) Parola d’onore, non mi sbaglio: la signora è già venuta questa mattina.

RAIMONDA — Eh?

FERRAILLON — E’ proprio così. Ah, signora, sono lusingatissimo! Io ero certo che la mia discrezione mi avrebbe assicurato la fiducia della signora, ma confesso che non me l’aspettavo così presto!

RAIMONDA (urtata) — Ma che maniere! Io non vi permetto di...

FERRAILLON (inchinandosi subito) — Scusatemi, si­gnora. (risale fino alla porta e si schiaccia, si can­cella, per lasciar passare Raimonda) — Se la signora vuoi prendersi il fastidio di...

RAIMONDA (passa davanti a lui: poi, arrivata sulla soglia della porta, si volta per fulminare Ferraillon con uno sguardo altezzoso) — Sse !... (e raggiunge l’e­strema destra della camera).

FERRAILLON (che è entrato nella camera dietro di lei) — Ecco la camera. Come la signora può vedere, è confortevolissima. Il letto...

RAIMONDA (altezzosa, tagliandogli la parola) — Va bene, signore. Non mi occorre. (con aria dignitosis­sima passa a sinistra).

FERRAILLON (interdetto) — Ah!. (tra sè, dirigen­dosi verso il bagno: « Strano tipo!... »; ad alta voce) Questo è il bagno con acqua calda e fredda, doccia... E da questa parte...

RAIMONDA (seccata) — Va bene, va bene. Non ho intenzione di stabilirmi qui.

FERRAILLON — Sì, signora. (tornando verso il let­to) Qui ai due lati del letto — è molto importante —abbiamo un bottone. In caso di sorpresa...

RAIMONDA (passando a destra) — Insomma ba­sta!... Vedrò, controllerò da sola... Vi prego di la­sciarmi, signore.

FERRAILLON (interdetto) — Ma signora...

RAIMONDA — Non ho più bisogno di voi.

FERRAILLON Sta bene, signora. (si dirige verso la porta; al momento di uscire): Servo vostro, si­gnora.

RAIMONDA (nervosa) — Arrivedervi, signore, arri­vedervi.

FERRAILLON (chiudendosi la porta alle spalle) —Che isterica!

RAIMONDA — Che mancanza di tatto, quest’uomo!

FERRAILLON (scorgendo Poche che ridiscende con la sua gerla vuota) — Ehi, Poche.

POCHE (sguardo tenero, salutando militarmente) — Capo!

FERRAILLON Hai finito con quella legna?

POCHE (c. s.) — Ancora un carico, capo.

FERRAILLON — Al trotto, allora! E poi mi farai il piacere di metterti la livrea, invece di lasciarla ap­pesa qui. Non è il suo posto. (parlando ha indicato la giacca della livrea e il berretto, che sono appesi all’attaccapanni sopra la mensola). E’ l’ora in cui ar­rivano i clienti, devi essere in ordine.

POCHE — Sì, capo. (fa per uscire; suonano).

FERRAILLON — Suonano. (consulta il quadro dei segnali). E’ l’inglese. Vai a vedere che cosa vuole.

POCHE — Sì, capo (posa la sua gerla contro la rin­ghiera della scala e si dirige verso la camera di si­nistra senza smettere di fissare il suo sguardo te­nero su Ferraillon; bussa alla porta di Rugby).

VOCE DI RUGBY — Come in! (Poche entra da Rugby. Raimonda, che durante la scena precedente ha ispezionato la camera, aperto la finestra ecc. ecc.; in questo momento è entrata nel bagno).

TOURNEL (arrivando dal fondo) — Scusate, la ca­mera del signor Chandebise?

FERRAILLON — Da questa parte, signore. Ma... se non sbaglio voi non siete il signor Chandebise!

TOURNEL — No, ma non importa. Lo rappresento.

FERRAILLON (approvando col capo) — Bene. Del resto il biglietto dice di far passare chi chiede la camera prenotata a suo nome... La signora è già ve­nuta, signore.

TOURNEL — Ah. E... è bella?

FERRAILLON (lo guarda stupito, poi) — Il signore desidera il mio parere? Io ritengo che se la signora piace al signore...

TOURNEL — Il fatto è... che non la conosco.

FERRAILLON — Ah!

TOURNEL — Quindi capirete, prima di farmi ve­dere... Non si sa mai, potrebbe essere una vecchia trottola...

FERRAILLON — No, no! Rassicuratevi: non deve avere un carattere molto dolce, ma è graziosa.

TOURNEL (disinvolto) — Benone! Visto che in que­sto caso non è il carattere che ci interessa...

FERRAILLON (con una risata approvatrice) — Ah no! (passandogli davanti). La camera è questa, si­gnore. Scusate, vi precedo. (Entra nella camera se­guito da Tournel. Vedendo che la finestra è aperta, la chiude. Tournel posa il suo cappello sul tavolinetto che è contro il collo di cigno).

POCHE (uscendo dalla camera di Rugby e parlando verso le quinte) — Subito, signore! (a parte). Mi domanda un « nobodécol ». Chissà cos’è! (una pausa). Gli servirò un vermut. (Risale fino alla scala, prende la sua gerla e scende in basso).

FERRAILLON (che ha chiuso la finestra) — Qui non c’è nessuno. Vado a vedere di là (e bussa alla porta del bagno).

VOCE di RAIMONDA — Che cosa c’è?

FERRAILLON (guadagna la sinistra descrivendo un rispettoso semicerchio per passare davanti a Tour­nel) — La signora è lì, signore.

TOURNEL — Va bene, grazie.

FERRAILLON (sulla soglia, prima di ritirarsi) — Au­guri, signore.

TOURNEL (chiudendo la porta dietro Ferraillon, che poi se ne va verso la scala e raggiunge i piani supe­riori) — Grazie. (si dà un’occhiata intorno). Un po­sto grazioso. Civettuolo, bene ammobiliato. (Il suo sguardo cade sui bottoni elettrici). Questi sono i campanelli. Beh, se ci annoieremo potremo tirare al bersaglio. (Fa il gesto di tirare con la pistola in di­rezione del bottone che è alla destra del letto). E ora vediamo di presentarci in un modo originale. Tro­vato! (Va a sedersi sul letto, di cui chiude le cor­tine in modo da rimanere completamente celato alla vista).

RAIMONDA (irrompe fuori dal bagno; ha sempre il cappello in testa) — Ah, sei qui... (non vedendo nes­suno). E dov’è?

TOURNEL (dietro le cortine) — Cucù! Cucù!

RAIMONDA (a parte) — « Cucù ». Aspetta un po’!

TOURNEL (c. s.) — Cucù! (Raimonda è risalita fino al letto; con la mano destra apre violentemente una tendina e, col dorso della mano sinistra, applica un fortissimo schiaffo sulla guancia di Tournel).

RAIMONDA — A te!

TOURNEL (incassando lo schiaffo) — Oh! (e salta fuori dal letto).

RAIMONDA (facendo un balzo indietro) — Non era lui!

TOURNEL — Raimonda!... Siete voi!...

RAIMONDA (sbalordita) — Il signor Tournel!

TOURNEL — Questa non me l’aspettavo proprio! (lisciandosi la guancia). Che bella sorpresa!

RAIMONDA — Ma voi... Che cosa fate qui?

TOURNEL (pavone) — Non ha importanza... (in fretta, con la premura di fornire la sua brava spie­gazione per passare ad altro). Una avventuretta. Si tratta di una donna... Una donna che si è innamo­rata di me... Mi ha visto a teatro, e così... Ha avuto il colpo di fulmine!... La poveretta mi ha scritto ed io, per bontà d’animo...

RAIMONDA — Ma no !... Non può essere!

TOURNEL (equivocando sulla protesta di Raimonda, con foga) — Ma io rido di questa donna! Non la conosco e non l’amo! Mentre voi, Raimonda... Oh, il mio sogno... Il mio sogno diventa realtà! Eccovi qui, davanti a me, tutta mia. Anche il cielo si è messo dalla nostra parte! (parlando, tenta di prenderla tra le braccia).

RAIMONDA (liberandosi e passando a sinistra) —Lasciatemi!

TOURNEL — No!, no!

RAIMONDA — La lettera non era per voi, era per mio marito.

TOURNEL — Macchè!... Lui è brutto. Solo, eravamo insieme, vi ricordate? E quella signora ha confuso...

RAIMONDA (cercando di farlo tacere) — Niente af­fatto! Niente affatto! (col tono di chi fornisce un argomento ineccepibile) Ho scritto io la lettera a mio marito.

TOURNEL (sobbalzando per lo stupore) — Voi!

RAIMONDA (categorica) — Ma certo!

TOURNEL — E voi scrivete lettere d’amore a vo­stro marito?

RAIMONDA — Volevo vedere se mi ingannava... se sarebbe venuto all’appuntamento.

TOURNEL (lanciando un grido di trionfo) — Ah!... Ebbene, ora potete constatare, voi che non volevate più esser mia perchè vostro marito vi era infedele, ora potete constatare che lui non è venuto e che ha delegato me, come più adatto alle circostanze.

RAIMONDA (colpita dall’argomento) — E’ vero!

TOURNEL — E sapete cosa ha detto Vittorio Ema­nuele dopo aver letto la vostra lettera? Ha detto: “ Ma che vuole da me questa donna? Non sa forse che io non tradisco mia moglie? “.

RAIMONDA - Ha detto così?

TOURNEL — L’ha detto!

RAIMONDA — Oh, come sono felice! Come sono felice! (Si getta al collo di Tournel e lo bacia su tutte e due le guance).

TOURNEL (radioso) — Ah, Raimonda, Raimonda mia! (Vivacissimo a lei, stringendola alla vita col braccio destro, mentre col sinistro sottolinea in mo­do oratorio ognuna delle frasi che seguono) Eh, eh! Ora vi pentite di aver dubitato di lui! (La bacia avidamente) Hong! Hong! Ora finalmente riconosce­te... (c. s.) Hong! Hong! Che non avete più il dirit­to di sospettarlo! (c. s.) Hong! Hong! Che non ave­te più il diritto di non ingannarlo! (Baci reiterati).

RAIMONDA (ricambiando la stretta) — Sì, sì, avete ragione. (Lo bacia a sua volta) Ho avuto torto! Ho fatto male a sospettarvi, mio buon Chandebise! Ve ne chiedo scusa (baci).

TOURNEL (lirico) — No! no! Nessuna scusa... Siate mia, questo è l’importante.

RAIMONDA (lirica) Sì, sì, il castigo!

TOURNEL (trasportato) — Oh, Raimonda, vi amo! Ti amo! Ti amo! Vi amo! Raimonda, Raimonda! (Se la stringe al petto esaltatissimo).

RAIMONDA (d’un tratto torna alla realtà; dibatten­dosi) — Tournel, Tournel! Che cosa vi prende?... Lasciate che mi rimetta dall’emozione... (Si è libe­rata ed è passata a destra).

TOURNEL (tornando alla carica) — No! No! Ap­profittiamone invece! Approfittiamo del vostro tur­bamento finchè dura!

RAIMONDA (dibattendosi tra le sue braccia) —Tournel! Tournel!

TOURNEL (senza ascoltarla) — Raimonda! Raimon­da! (Trascinandola contro la sua volontà verso il letto) Via, venite! ... Venite, vieni!

RAIMONDA (spaventata) — Ma che cosa fate? Ma che cosa fate?

TOURNEL (ha già un piede sullo scalino del letto  e continua a trascinare Raimonda) — Venite!

RAIMONDA — Uh! Siete matto? (gli dà una spinta che lo manda a sedere sul letto e passa a sinistra) Per chi mi avete presa?

TOURNEL (sbalordito) — Come?... Ma non mi ave­te lasciato capire che consentivate?...

RAIMONDA (pronta, con alterigia) — A essere la vostra amante, è vero. (spostandosi a destra con di­gnità) Ma non a venire a letto con voi! Mi prendete proprio per una donnaccia?

TOURNEL (seduto a bordo  letto, miserevolissi­mo) — Ma allora che cosa?...

RAIMONDA (superba per dignità) — Io intendo... concedervi e concedermi un po’ di flirt, le emo­zioni che essere l’amante di un uomo comporta: parlarsi guardandosi - negli occhi e tenendo una mia mano tra le vostre e così via. Tournel, io vi dà la parte più bella di me!

TOURNEL (alza il viso verso Raimonda, poi) —Quale?

RAIMONDA — I miei pensieri... il mio cuore.

TOURNEL (con un gesto espressivo) — Oh, pfut!

RAIMONDA (squadrandolo alteramente) — Ah, è così. Ma che pensiero avevate?

TOURNEL (alzandosi, con molto calore) — Il pen­siero di ogni uomo onesto che desideri l’amore di una donna! (Avanzando verso Raimonda) Come!... Se tutto ci spinge l’uno verso l’altra... se il destino stesso interviene... se il vostro stesso marito mi get­ta tra le vostre braccia!... Perchè, signora, mi ha mandato qui vostro marito.

RAIMONDÀ — Mio marito?

TOURNEL — Sì, signora, vostro marito! E solo voi dovete resistere?... Ah, no, signora, no, per me non basta! (cerca di riabbracciarla).

RAIMONDA (liberandosi e passando a sinistra) —Tournel! Andiamo, Tournel, calmatevi!

TOURNEL (tornando alla carica) — Come potete credere che mi accontenterò di ciò che mi propo­nete?... Il flirt, gli occhi negli occhi... e la metà della vostra persona... che per di più è la meno adatta alle circostanze?

RAIMONDA (sotto l’incalzare di Tournel ha finito per essere costretta tra il tavolo e il collo di cigno) — Vi prego, Tournel!

TOURNEL — Ma che cosa volete che faccia dei vo­stri pensieri e del vostro cuore?

RAIMONDA — Oh!

TOURNEL (misurando teatralmente la stanza a lar­ghi passi, il che lo porta verso la destra) — Oh, mi offrite qualcosa di molto grazioso! La prospet­tiva di un continuo snervarsi, un turbine di desi­deri insoddisfatti... E che cosa ancora? Far le com­missioni della signora e portare a passeggio il suo cagnolino, quando il cagnolino ha voglia di... pas­seggiare. (Sempre parlando ritorna bruscamente verso Raimonda, che si fa piccola piccola nel suo angolino) Ah! (ogni “ no “ dev’essere ben scandito) No! No! No!

RAIMONDA (spaventata) — Tournel!

TOURNEL (sul viso di Raimonda) — Nooo! (Su un tono di minaccia) E visto che siete in una to­tale ignoranza delle cose d’amore, ve le insegnerò io.

RAIMONDA — Tournel, vi scongiuro!

TOURNEL — No! No! Voi siete mia! Mi apparte­nete! E vi voglio! (L’ha afferrata alla vita e tenta di trascinarla verso il letto).

RAIMONDA (difendendosi come può) — Tournel! Basta!

TOURNEL — No! No!

RAIMONDA (in un su premo sforzo riesce, a respin­gerlo, salta prontamente in ginocchio sul letto e mette il dito sul bottone elettrico a destra del letto) — Ancora un passo e suono!

TOURNEL — Suonate fin che volete! Vi giuro che nessuno entrerà qui! (Corre alla porta per chiudere a chiave; veden­do questo, Raimonda preme il bottone; immediata­mente il pannello gira su se stesso, portandosi via il letto con su Raimonda e sostituendovi il letto nel quale è coricato Battistino).

RAIMONDA (trascinata via sul girevole) — Dio mio! Aiuto! Aiuto!

TOURNEL (che, di spalle, non ha visto nulla e si inganna sui motivi delle grida di Raimonda) — Sì! Potete gridare “ aiuto “ fin che volete! Non mi im­porta niente! (a parte, trionfante) Ci sono! E’ mia! (Salta come un pazzo sul letto dove crede di trovare Raimonda e così, quasi coricato su Batti­stino, si mette a baciarlo) Oh, Raimonda, Raimon­da mia!

TOURNEL (schizzando fuori dal letto alla vista di Battistino) — Ah! (Spaventato, sbalordito, non capendo nulla di quel che gli succede, per un bel pez­zo va e viene come uno scoiattolo in gabbia, get­tando sguardi stravolti, a destra, a sinistra, al letto, come un uomo che ha letteralmente perduto la bus­sola).

BATTISTINO (intonando il suo consueto ritornello) — Oh i miei reumatismi!

TOURNEL (trovando la forza di parlare) — Che cos’ è?

BATTISTINO — I miei poveri reumatismi!

TOURNEL — Cosa fate, voi? Come siete entrato qui?

BATTISTINO (mettendosi a sedere, con un’aria ab­bastanza abbrutita) — Eh?

TOURNEL — E Raimonda...? Raimonda! Ma dov’è? (Corre ad aprire la porta che dà sulla hall e chiama) Raimonda! Raimonda! (A parte) Nessuno! (Ritorna in camera, lasciando la porta aperta e_ sempre chia­mando, raggiunge il bagno) Raimonda! Raimonda! (Scompare nel bagno).

RAIMONDA (uscendo come impazzita dalla camera di fondo destra dove il girevole l’aveva trasportata) —Che cosa è successo?... Dove sono? Oh, mio Dio! (Chiamando) Tournel! Tournel! (A parte) Ah, basta con questo albergo! Io scappo! Via! (Si precipita verso la scala; appena è scomparsa Rugby esce come una furia dalla sua camera).

RUGBY — Alloh! Boy! (Non trovando nessuno con cui parlare) Nobody here! (Si sporge sulla ringhiera della scala, cui parlando è arrivato, e chiama) Boy! Boy!

RAIMONDA (rispuntando sulla scala di cui ha risalito i gradini a quattro a quattro) — Dio! Mio marito... mio marito sulla scala! (Vedendo la porta di Rugby aperta, si precipita nella camera).

RUGBY (la guarda per un attimo sbalordito, poi il suo viso assume un’aria eccitata; lanciandosi dietro a Raimonda) — Ah! That’s a darling, hurrah! (At­traversa la scena a larghe falcate e entra nella came­ra chiudendosi la porta alle spalle).

POCHE (venendo dalla scala) — Che idiota! Non riesco a trovare il vermouth! Però, non è tanto stra­no: l’ho dato ieri a Battistino! (Si dirige verso la camera di fondo destra chiamando) Battistino! Ehi!

BATTISTINO (che è sempre nel suo letto, si è messo gli occhiali e legge tranquillo il giornale) — Sono qui!

POCHE (torna indietro e, sulla soglia) — Oh, sei qui?... Dì, vecchio, cosa diavolo hai fatto del ver­mouth?

BATTISTINO — E’ nella mia camera... sopra al guar­daroba, come al solito.

POCHE — Ah. Va bene. (Risale e entra nella ca­mera indicata).

TOURNEL (esce dal bagno e raggiunge la hall dopo aver preso, passando, il suo cappello dal tavolo) —Niente! Ma dove sarà? (Risale in direzione della sca­la; in questo momento irrompono fuori dalla camera di sinistra Raimonda e Rugby. Raimonda sta lottando per liberarsi di Rugby che vuole abbracciarla).

RUGBY — Aoh! Darling! Darling!

RAIMONDA (quasi contemporaneamente alla battuta di Rugby) — Lasciatemi! Volete lasciarmi, satiro!

TOURNEL (ridiscendendo) — Ah! Eccola! (In que­sto momento Raimonda, con le due mani aperte, ha respinto Rugby, e approfitta dello spazio che ha gua­dagnato per appippargli uno schiaffo; Tournel, che arriva proprio in quel momento tra i due lo incassa giusto giusto).  (fregandosi la guancia) — Un altro!

RUGBY — Aoh! Thanks!

TOURNEL (saluta rapidamente Rugby, mentre spin­ge Raimonda in direzione della camera) — Buongior­no signore! (Rugby rientra in camera sua brontolan­do, mentre Raimonda, sfinita, è entrata nella camera seguita da Tourne1). (Chiudendosi la porta alle spal­le) Ah, Raimonda! Raimonda!

RAIMONDA — Amico mio, troppe emozioni! Mio marito...

TOURNEL (senza capire) — Si.

RAIMONDA — Mio marito è qui!

TOURNEL (anche lui sfinito, macchinalmente) —Va bene. (Capendo in ritardo) Che?... Chandebise?

RAIMONDA — Vittorio Emanuele, si! Travestito da domestico, pensate!... Come? Perchè? Non lo so!...

Per sorprenderci, è sicuro!

TOURNEL (smarrito) — Ma andiamo, non è pos­sibile!

BATTISTINO (per scarico di coscienza) — Ah, i miei reumatismi! I miei poveri...

RAIMONDA (gettando un grido) — Ah!

TOURNEL (sobbalzando) — Che cosa c’è?

RAIMONDA (indicando Battistino) — Chi è quello lì?

TOURNEL — Dove? Chi! Ah, quello? Non lo so, è un malato! E’ saltato fuori all’improvviso! Cosa fa­te qui?

BATTISTINO — Ma siete voi che mi avete fatto ve­nire.

TOURNEL — Io?

RAIMONDA (risalendo fino al letto) — Ma insomma, fatelo andar via, vi prego!

TOURNEL — Certo, certo! (A Battistino) Su, sloggia­te, presto!

BATTISTINO — Ma non occorre... Sentite, signore, se la mia presenza vi imbarazza, schiacciate quel bot­tone... Tornerò dove ero prima.

TOURNEL — Ah! Magnifico! (preme il bottone a si­nistra del letto).

RAIMONDA (mentre il girevole funziona) — Questo è il colmo!

TOURNEL — Mia cara amica, non è colpa mia!... Vi assicuro che... (Mentre discutono, nel bel mezzo della scena, davanti e vicinissimi allo scalino del let­to, il girevole ha funzionato portando via il letto con­tenente Battistino per sostituirvi l’altro letto, sul qua­le è seduto Poche che ha in mano la bottiglia di vermouth).

POCHE (con il gomito ancora alzato, come un uo­mo che è stato sorpreso mentre beveva) — Ehi! Ehi! Beh, cos’è?

RAIMONDA (balzando all’estrema destra) — Dio!

TOURNEL (balzando all’estrema sinistra) — Chande­bise!

RAIMONDA — Mio marito! Sono perduta!

TOURNEL. (andando subito verso il letto, con le ma­ni giunte a Poche che, sempre seduto sul letto, li con­sidera con un’aria abbruttita) — Amico mio! Amico mio! Non credere a ciò che vedi!

RAIMONDA (c.s.) — Abbi pietà! Non condannarci prima che possiamo spiegarti...

POCHE (sbalordito) — Eh?

TOURNEL (volubilmente, tutto ciò che segue, da un personaggio all’altro, ben caldo, molto serrato) —Le apparenze sono contro di noi, ma ti giuro che non siamo colpevoli.

RAIMONDA (c.s.) — Dice la verità! Non sapevamo che ci saremmo incontrati.

TOURNEL — Tutto è accaduto per via della lettera!

RAIMONDA — La lettera, è vero!... Io sono la causa di tutto. Avevo fatto scrivere la lettera perchè...

TOURNEL — Proprio così! E ‘l’esatta verità!

RAIMONDA (inginocchiandosi sullo scalino) — Ti domando mille volte perdono: credevo che tu mi tradissi!

POCHE — Io!

RAIMONDA — Ti scongiuro, dimmi che mi credi, che non dubiti della mia parola!

POCHE — Ma certo, ma certo! (Torcendosi) Ma che cos’hanno?

RAIMONDA (indietreggiando spaventata da quella risata idiota che a lei sembra sardonica, con energia)- Oh, ti prego, Vittorio Emanuele... Non ridere così! La tua risata mi fa male.

POCHE (al quale l’ingiunzione di Raimonda ha ta­gliato la risata in gola) — La mia risata?

RAIMONDA (tornando a lui) — Eh, si! Ah, capisco... capisco che non mi credi.

TOURNEL (in posizione simmetrica a quella di Rai­monda, dall’altro lato del letto) — Eppure tutto è co­sì chiaro.

RAIMONDA — Dio mio, come convincerti?

POCHE (bruscamente, alzandosi e venendo in mezzo alla scena) — Sentite, vi domando scusa, ma bisogna che porti questo vermouth al 4. (Accenna ad avviarsi verso la porta).

RAIMONDA (lo ha seguito; lo fa girare su se stesso prendendolo per un braccio e lo ferma davanti a lei; imperativa) — Vittorio Emanuele!... Che cosa hai?

POCHE (stupito) — Io?

TOURNEL (ha seguito il movimento; fa girare Poche a sua volta in modo di ritrovarselo in faccia a sè)— Ti prego, amico mio! In un momento così grave, parlarci di vermouth!

POCHE — Ma è necessario! Il 4 lo aspetta: vedete la bottiglia?

RAIMONDA — Basta!... Ingiuriami, calpestami, bat­timi! (Cade ai suoi piedi) Tutto sarà meglio di questa calma spaventosa.

TOURNEL (cadendo come Raimonda ai piedi di Po­che) — Sì! Ecco! Batti anche me!

POCHE (contemplandoli tutti e due ai suoi piedi, lei a sinistra e lui a destra) — Questa è proprio bella! (A Raimonda) Io vi assicuro, signora...

RAIMONDA (dolorosamente) — Lo vedi? Lo vedi? Non mi dai più del tu!

TOURNEL (c.s.) — Dalle del tu!

POCHE (mettendosi anche lui in ginocchio per es­sere alla loro altezza) — Oh, per me... (Riprendendo) Io ti assicuro, signora...

TOURNEL — Oh, ma non « signora » !... Chiamala Raimonda, sii buono!

POCHE — Bene, bene... (Riprendendo) Io ti assicu­ro, Raimonda...

RAIMONDA — Oh, dimmi che mi credi!

POCHE (intento anzitutto a non contrariarla) —Ma sì che ti credo.

TOURNEL — Oh, finalmente!

RAIMONDA (con slancio) — Allora baciami, su, ba­ciami!

POCHE (non credendo alle proprie orecchie) – Cosa? Io?

RAIMONDA — Baciami !... Altrimenti crederò che sei ancora in collera!

POCHE — Per me va benissimo! (Sempre in gi­nocchio si volta verso di lei e, dopo essersi pulito le labbra col dorso di una mano, passa le sue braccia intorno al collo di Raimonda e, senza abbandonare la sua bottiglia, la bacia sulle due guance).

RAIMONDA (radiosa) — Ah!

TOURNEL (esortandoli) — Così! Così!

RAIMONDA (baciando le mani a Poche) — Ah, ti ringrazio! Ti ringrazio!

POCHE (perleccandosi) — Che pelle dolce!

TOURNEL (si è alzato; si fa indietro di un passo per aver spazio davanti a sè poi, lirico.) — Anche me!... Bacia anche me!

POCHE — E va bene! (Si avvicina a Tournel per ba­ciarlo) Accidenti come è amaro! (sale sul gradino del letto e bacia Tournel).

TOURNEL (con un peso di meno sulla coscienza) — Ah, che bella cosa!

POCHE — Si!... Con la signora soprattutto.

RAIMONDA — “La signora”!

POCHE (facendo l’atto di avviarsi verso la porta) —                E ora vado a portare il vermouth al 4.

RAIMONDA — Ci risiamo?

TOURNEL (che lo ha fermato al passaggio e lo ha riportato dove era) — Ehi senti! Cos’è questo scherzo?

RAIMONDA (tirandolo verso di sè per un braccio) — Sei mio marito o non lo sei?

POCHE — Io? Ma no! Io sono il cameriere dell’al­bergo.

TOURNEL (un passo indietro, stupito) — Cosa?

RAIMONDA (c.s.) — Dio Santo, Vittorio Emanuele è impazzito.

POCHE—Ma no! Niente affatto! si tratta di un “quiproquo”.Tanto per cominciare, mi chiamo Poche!E se non mi credete, chiedetelo a Battistino. (Risale verso il letto).

RAIMONDA (risalendo un po’ anche lei) — Battistino?

TOURNEL (cs.) — Quale Battistino?

POCHE — Il vecchio signore malato. Aspettate. (preme il bottone di sinistra, il girevole funziona

portando in scena il letto su cui è coricato Batti­stino.).

BATTISTINO — Oh, i miei reumatismi, i miei po...

POCHE (sedendosi ai piedi del letto) — No, non si tratta di questo! Di’ un po’ chi sono.

BATTISTINO (mettendosi a sedere) — Come, chi sei?... Non lo sai?

POCHE — Io si. Ma è per la signora.

RAIMONDA (passando davanti a Tournel, si sposta a destra) — Si. Chi è il signore?

BATTISTINO— Ma è Poche!

TOURNEL e RAIMONDA (indietreggiando stupiti) —Poche!

BATTISTINO — Il cameriere!

POCHE — Ecco! Cosa vi avevo detto?

RAIMONDA (non vedendoci più tanto chiaro) —Ah, diamine! ma allora... è vero?

FERRAILLON (dall’alto della scala, scendendo, chia­ma) — Poche!

TOURNEL — Può esistere una simile rassomiglian­za? Andiamo! Non ci credo, è una trappola.

FERRAILLON (chiamando) — Poche, ehi, Poche!

POCHE (rispondendo dalla camera) — Presente, capo! (Agli altri) Domando scusa: il padrone mi chiama.

RAIMONDA (mentre Poche sta per uscire, lo acchiap­pa per un braccio è io fa girare su se stesso in modo da poter passare lei) — Il padrone? Benissimo. Ora sapremo. (Entra nella hall).

TOURNEL (Facendo a Poche lo stesso giochetto che gli ha fatto Raimonda) — Ma toglietevi di qui! (Se­gue Raimonda).

RAIMONDA (a Ferraillon) — Signore! Signore!

FERRAILLON — Signora?

RAIMONDA — Volete dirci per piacere chi è questo signore? (Indica Poche che è uscito dalla camera).

TOURNEL — Esatto.

FERRAILLON (guardando dove gli indicano) — E’ Poche.

POCHE (a Raimonda e a Tournel) — Sentito?

RAIMONDA e TOURNEL (guardandosi sbalorditi) —Poche!

FERRAILLON (avanzando su Poche) — Cosa fai qui? E con una bottiglia in mano. (Lo afferra per il brac­cio destro e gli allunga un calcio ad ogni epiteto, il che fo girare Poche intorno a lui come intorno a un asse e finisce con l’ultimo calcio per riportarlo al suo posto primitivo). Animale! Bestione! Bruto! U­briacone! (ad ogni pedata Poche, sempre tenuto per il braccio, fa un salto in aria gettando un “Oh!“. Del pari ad ogni pedata, Tournel e Raimonda, che si tengono stretti l’uno all’altra, subiscono per dir così il contraccolpo, gettando un «Oh! » con un pic­colo movimento come se ricevessero anche loro il colpo).

POCHE (appena Ferraillon lo ha lasciato, a Raimon­da e a Tournel) — Che cosa vi dicevo?

FERRAILLON (strappandogli la bottiglia dalle mani) — Ricominci, eh?

RAIMONDA e TOURNEL — Eh?

POCHE — Padrone, è per il 4.

FERRAILLON (tornando alla carica) — Te lo do io, il 4! (Dandogli le pedate c.s.) Toh! Toh! Toh! Toh!

POCHE — Ma padrone...

FERRAILLON (indicandogli la scala) — E togliti dai piedi in fretta!

POCHE (battendosela) — Sì padrone! (Accingendosi a scendere la scala) Che cosa vi dicevo? (e scom­pare).

FERRÀILLON -— Signora e signore, vi domando scu­sa. E’ il nostro uomo di fatica, una specie di alco­lizzato. (Esce per il corridoio di sinistra lasciando Raimonda e Tournel completamente a terra, con gli occhi fissi nel vuoto e le bocche semiaperte).

RAIMONDA (dopo un momento, scuotendo la testa) — Il cameriere! Era il cameriere?

TOURNEL (addossato contro la mensola, improvvi­samente) — Raimonda!

RAIMONDA — Cosa c’è?

TOURNEL — Abbiamo baciato il cameriere!

RAIMONDA — Eh, lo so bene!... Ve l’ho appena detto. (Sfinita, trascinandosi fino alla panca, su cui si lascia cadere) — Amico mio, che emozione!... Ho la gola secca... datemi un po’ d acqua.

TOURNEL (improvvisamente premuroso, frugandosi macchinalmente in tasca) — Dell’acqua? Dell’acqua,

RAIMONDA — Ma non l’avrete in tasca!

TOURNEL — Oh, certo... dove sarà l’acqua?

RAIMONDA (alzandosi) — In camera, no?

TOURNEL (andando, sempre premurosissimo, in camera) — Si, si! Dell’acqua, certo. (A Battistino) Dov’è l’acqua?

BATTISTINO (interrompendo la lettura del suo gior­nale) — Generalmente è nel bagno.

TOURNEL  - Grazie! (Va nel bagno).

RAIMONDA (lamentevole, a Battistino, passandogli davanti e senza aspettare risposta) — Ci credete? Era il cameriere!

BATTISTINO (tanto per rispondere qualcosa) — Eh, accade di tutto nella vita...

(Raimonda va fino alla finestra, che socchiude per respirare un po’. Battistino, filosofo, torna a immer­gersi nella lettura del suo giornale).

(Durante le ultime battute Poche, venendo dai pia­ni inferiori, è riapparso, con la sua gerla carica di legna sulle spalle; arrivato sul pianerottolo, uno dei ceppi cade per terra).

POCHE (fa per chinarsi ma altra legna sta per ca­dere: entra Olimpia) — Oh, la signora. (Non osa chiederle aiuto).

OLIMPIA — Aspettate vi aiuto io.

POCHE — La signora mi confonde.

OLIMPIA — Per carità.

RÀIMONDA (richiudendo la finestra) — Ma diamine! Che cosa fa Tournel! (Va al bagno) Si può avere quest’acqua? (Entra nel bagno).

CAMILLO (gaio e disinvolto, sbuca dalla scala te­nendo per mano Antonietta. Entrano franchi in sce­na. Lui, avendo il suo palato d’argento, parla chiara­mente) — Su, bebè mio! Vieni, gallinella. Lo amerà questo fiorellino il suo Camillo, eh? Vieni vieni, ci hanno riservato sicuro una camera.

POCHE (vedendoli entrare è sceso; comparendo tra loro) — Desiderate, Signore?

CAMILLO — Io ho prenot... (Credendo di ricono­scere Chandebise, fa un balzo) VittorioEmanuele! (Fa un brusco dietro front e si precipita nella came­ra di destra, in terzo piano).

ANTONIETTA (comportandosi esattamente come Ca­millo) — Il signore! (Spaventatissima, si precipita nella camera di Rugby).

POCHE (risalendo) — Ma perché tutti, oggi, mi chia­mano Vittorio Emanuele? (Va alla scala e sale ai piani superiori, mentre Olimpia esce da sinistra). (In questo momento Raimonda esce dal bagno segui­ta subito da Tournel).

TOURNEL (a Raimonda) — Va meglio adesso?

RAIMONDA — Si, no.... Non lo so... Tutte queste emozioni... Misento debolissima, come se stessi per svenire.

TOURNEL (precipitandosi verso Raimonda) — Oh, no, no!

RAIMONDA — Amico mio, non lo faccio apposta...

TOURNEL — Dovreste riposarvi un po’. Venite, sdraiatevi qui... (dolcemente, con molte premure, la accompagna al letto).

RAIMONDA (lamentevolissima, lasciandosi portare) — Non posso rifiutare. (Si lascia cadere sul letto e getta un grido sentendo sotto di se il corpo di Batti­stino).

RAIMONDA e BATTISTINO (gettando uno stesso gri­do) — Ah! (Raimonda si rialza con un sobbalzo e raggiunge la destra).

TOURNEL (a Battistino) Ancora voi! Ma non vi toglierete mai dai piedi?

BATTISTINO (mettendosi a sedere) — Mi avete fatto venire voi!

RAIMONDA (nervosa, tornando vicino al letto) — Ora si passa la misura. (Scuotendo Tournel) Forza, fatelo andar via!

TOURNEL (a Raimonda) — Avete ragione. (A Battistino) Via! Tornate al vostro posto. (preme il bot­tone di sinistra).

RAIMONDA (che era salita sullo scalino senza pen­sare all’esistenza del girevole, furibonda, a Batti­stino) — E’ assurdo che si invada in questo modo le camere degli altri. (Sentendosi trascinare dal girevo­le, getta un grido) Ah!

TOURNEL (Acchiappandola al volo) — Là!

CAMILLO (aggrappato disperatamente all’altro letto che il girevole porta in scena al posto di quello di Battistino) — Ah! Ah! Che è?Ah, là! (riconoscendo Raimonda e Tournel) Ah!

TOURNEL e RAIMONDA (voltandosi al grido e facen­do un solo salto all’indietro) — Camillo! (E si preci­pitano come due pazzi fuori dalla camera).

CAMILLO (gridando) — Vi domando scusa! E’ que­sto coso che si è messo a girare.

RAIMONDA (senza fermare la sua corsa) — Non è lui! Parla!

TOURNEL (correndo dietro a Raimonda) — Parla! Non è lui! Non è lui!

CAMILLO (scendendo dal letto) — E’ il divano che ha girato.

RAIMONDA (arrivata all’estrema sinistra, inverte la corsa e raggiunge la scala) — Oh, ne ho abbastanza! Andiamo via, via!

TOURNEL — Si sì andiamocene! (Scompaiono per la scala).

CAMILLO — Tournel e Raimonda qui! Che vorrà dire? Se mi hanno riconosciuto sto fresco!... (Ha rag­giunto la hall dopo aver chiuso la porta della camera dietro di se) E Antonietta? (entra francamente nella camera di Rugby) Antonietta! (ha un grido di sor­presa). (Subito si sente un baccano indiavolato nella camera di Rugby, causato da un litigio in cui si me­scolano le voci di Camillo, di Rugby e di Antoniet­ta. Mobili rovesciati, vetri rotti. Il rumore non cessa durante le battute seguenti).

RAIMONDA (riapparendo come una pazza, seguita Sempre da Tournel) — Etienne! Ora c’è Etienne!

TOURNEL (correndo dietro a Raimonda) — Civole­va anche il vostro cameriere! Che musica. Dio mio, che musica! (Si precipitano al corridoio di sinistra; intanto il baccano nella camera di Rugby è aumen­tato; bruscamente la porta si spalanca e Camillo viene proiettato in scena come spinto da una molla. Rugby gli si precipita dietro). — Get away! get away!

CAMILLO (fronteggiandolo) — Ma, signore!

RUGBY (le spalle al pubblico e di fronte a Camillo)-                Ah, God damn! (Gli dà un pugno in pieno viso). CAMILLO — Oh! (Nuovo colpo, che gli fa sputare il                suo palato; da questo momento si mette a parlare come al primo atto) Oh, il mio palato! Ho perso il mio palato! (Vuole ridiscendere per raccoglierlo).

RUGBY (afferrandolo alla vita e portandolo nella ca­mera di destra, in terzo piano) — But get away, I say!

CAMILLO (portato via da Rugby) — Il.mio palato! Voglio il mio palato!

RUGBY (buttandolo come un fagotto nella camera, dove scompare) — Have you ever seen somebodv with such cheek? (Entrando nella camera) Aoh! it’s me, my darling! (La porta si richiude; appena Rugby è scomparso, Etienne entra in scena venendo dal fondo).

ETIENNE (avanzando) — Non c’è proprio nessuno inquesto albergo?... (Il suo sguardo cade in questo momento sul palato di Camillo che è per terra vici­no a lui; lo guarda, poi lo scosta col piede) Toh! E’ argento!... (Lo raccoglie) Oh, è bagnato!

OLIMPIA (giunge dal corridoio di sinistra, dirigen­dosi verso la scala per raggiungere i piani superiori; si ferma sul primo gradino) — Il signore desidera?

ETIENNE — Ah, signora... (Eugenio scende a sini­stra) Anzitutto, ecco un oggetto artistico di cui non immagino l’uso e che ho trovato per terra. (Le con­segna il palato).

OLIMPIA (esaminandolo) — Che strano!... Dev’es­sere un gioiello antico. (Fa vedere a Etienne come le sta il palato mettendoselo al collo, come una spilla. Intanto Camillo è uscito dalla stanza; la schiena cur­va, gli occhi a terra, avanza cercando il suo palato).

CAMILLO — Vorrei proprio trovare il mio palato. (Giunge così contro Etienne; alza la testa e rico­nosce il cameriere; subito, senza rialzarsi, gira su se stesso e, a grandi passi, piegando le ginocchia in mo­do da farsi più piccolo possibile, fila via velocemen­te) Dio! Etienne! (Scompare nella camera di destra, in terzo piano).

OLIMPIA (che, come Etienne, non si è accorta di nulla) — L’avrà perso qualche cliente. Vado a depo­sitarlo al bureau.

ETIENNE — Bene... Ora potete dirmi se una signo­ra ha chiesto la camera del signor Chandebise?

OLIMPIA — Si!

ETIENNE — E questa signora dov’è?

OLIMPIA — Ah. signore... Non è l’abitudine della casa...

ETIENNE — Devo vederla assolutamente! Suo mari­to può capitare da un attimo all’altro! E’ un demonio. l’ammazzerebbe!

ÒLIMPIA (spaventata) — Dio mio!

ETIENNE —. Devo assolutamente avvertirla.

OLIMPIA — Ah, in questo caso... E’ entrata lì, l’ho vista entrare lì! (indica la camera di Rugby).

ETIENNE (passando le davanti e andando fino alla porta della camera indicata) — Grazie! (Bussa).

VOCE DI RUGBY — Come in!

ETIENNE (entrando nella camera) — Vi domando scusa, signore... (grido simultaneo di Antonietta e di Rugby dalla camera).

ANTONIETTA e RUGBY — Ah!

VOCE DI ETIENNE — Mia moglie! (Immediatamente si sente un baccano d’inferno nella camera. Rumore di una lotta, grida, colpi, ecc.).

OLIMPIA (che aveva giù raggiunto la scala, al ru­more torna indietro) — Cosa succede? (Su questo, esce fuori dalla camera Antonietta, terrorizzata, i ca­pelli in disordine, con le spalle e le braccia nude, tenendo in mano il cappello e il corsetto che non ha avuto il tempo di mettere).

ANTONIETTA (perduta, precipitandosi verso la sca­la) — Etienne! Etienne è qui! Aiuto! Aiuto! (Un quarto di secondo durante il quale il baccano non è cessato, e Etienne balza fuori all’inseguimento di sua moglie, che sta volando sugli ultimi gradini).

ETIENNE — Fermatela! Fermatela!

RUGBY (che gli si è lanciato subito dietro, lo af­ferra con la mano destra per il braccio sinistro e lo fa piroettare intorno a sè, in modo da schiacciarlo contro il boccascena) — Ah! you bloody fool!

ETIENNE (all’urto contro il muro) — Oh!

OLIMPIA (per contraccolpo) — Ah!

RUGBY — I’m going to kill you! (prendendolo alle spalle e facendogli picchiare la schiena contro il mu­ro ogni volta) Here you are!

ETIENNE (per il dolore) — Oh!

RUGBY (c.s.) — Here you are!

ETIENNE — Oh, ma è mia moglie!

RUGBY (cs.) — Here you are!

ETIENNE — Lasciatemi!

RUGBY (lasciandolo e raggiungendo la propria ca­mera) — And now get away! (E rientra nella ca­mera),

ETIENNE — E’ troppo grossa! Il becco sono io, e ancora io prendo le botte!

OLIMPIA — Dovevate dirmelo che il becco eravate voi!

ETIENNE — E pensate che lo sapessi? (Olimpia al­za le spalle e risale verso la scala, mentre dai piani superiori scende Poche, con in mano la sua gerla vuota) Ah,no! Becco io, un cameriere personale!... Ah, sgualdrina!... Me la pagherai! (si slancia verso la scala ai piedi della quale Poche e Olimpia conver­sano; alla vista di Poche si ferma, sbalordito) Il signore!

POCHE (interdetto) — Come?

ETIENNE — Il signore! con una gerla in mano!

POCHE — Sicuro che ho una gerla! Perchè non do­vrei averla?

ETIENNE — Ah, signore! Signore!... Sono cornuto, signore!

POCHE (gioviale) — Davvero?

ETIENNE (indicando la camera di Rugby) — Si, signore!... Con un inglese!

POCHE (c.s.) — Ah! Nobodecoll!

ETIENNE — Non so, non mi ha detto il suo nome. Ora, dato che il signore è qui, e presumendo che il signore non ha più bisogno di me, il signore può permettermi... Vorrei inseguire la sciagurata, raggiun­gerla, e poi a noi due!... Il signore permette?

POCHE (bravo ragazzo) — Andate! Andate pure!

ETIENNE — Grazie, signore. Ah, che sgualdrina! Che sgualdrina! (Si precipita verso la scala all’inse­guimento della moglie).

POCHE (avanzando un po’; e lo stesso fa Olimpia) —  Non so da che cosa dipenda, ma oggi mi fanno l’effetto di aver tutti un maggiolino dentro la zucca!

VOCE di LUCIANA (dal di sotto) — Ma state attento! (Si sente il suono di un campanello).

OLIMPIA (guardando il quadro) — Suonano dal corridoio. Guardate se è per voi.

POCHE (passando davanti a Olimpia per raggiunge­re il corridoio) — Si... Vengo! Vengo! (Esce).

LUCIANA (mentre sale, continua a guardare nel vuoto della scala) — Non mi sbaglio, è Etienne, il came­riere dei Chandebise!

OLIMPIA — La signora desidera?

LUCIANA (andando verso Olimpia) — Ah, signora !... Quell’uomo che scappava non è il cameriere del si­gnor Chandebise?

OLIMPIA — E’ possibile, signora: mi ha chiesto la camera prenotata a quel nome. Ma è tutta una storia da pazzi. E’ venuto per avvertire una signora di scappare dato che il marito era al corrente di tut­to, e quando è stato di fronte alla signora — tac! —   si è scoperto che era la moglie sua!... E’un vero rebus!

LUCIANA — Ma cosa mi raccontate?... Mi pare che facciate una confusione...

OLIMPIA — Signora, io vi dico quello che ho visto.

LUCIANA — Va bene, va bene! Ditemi qual’è la ca­mera del signor Chandebise.

OLIMPIA (indicando la camera di destra) — La camera del signor... Oh, beh, è quella!

LUCIANA — Bene. Posso entrare?

OLIMPIA — Come desiderate, signora. Io ho l’ordine di mettere la camera a disposizione di chi la chie­de. (Sale verso i piani superiori).

LUCIANA — Grazie tante. (Va a bussare alla porta, mentre Eugenia esce da sinistra).

CAMILLO (uscendo dalla sua camera, come prima, alla ricerca del suo palato) — Eppure vorrei proprio trovare il mio palato... (Descrive un movimento a se­micerchio che lo porta contro Luciana).

LUCIANA (sempre davanti alla porta, alla quale bus­sa) — Come mai non risponde nessuno? (Bussa di nuovo).

CAMILLO (trovandosi vicino a Luciana, alza il ca­po per vedere di chi si tratta; con voce strozzata) — La signora de Histangua! Oh, basta con questo al­bergo! (Se la batte precipitandosi sulla scala, diretto ai piani inferiori).

LUCIANA (aprendo la porta della camera e entran­dovi; intanto continua a parlare) — Nessuno!... Non capisco... Raimonda mi ha detto: «Sorprenderò mio marito tra le cinque e le cinque e un quarto... Vieni­mi a prendere alle cinque e mezza ». Che non mi abbia aspettata? Vediamo qui. (Va fino al bagno, che esplora con una rapida occhiata).

CAMILLO (riappare affannatissimo e, con uno slan­cio assai violento per poter venire a scaricare qual­che parola al proscenio e per potere, in un movimen­to a semicerchio, riguadagnare senza fermarsi la ca­mera in terzo piano a destra) — Vittorio Emanuele!... C’è di nuovo Vittorio Emanuele! (Si precipita nella camera suddetta).

LUCIANA (raggiunge la hall e scende, sempre par­lando, fino alla ribalta) — E’ strano... Comunque, pazienza: me ne vado. (Gira su se stessa e risale ver­so la scala, per andarsene).

CHANDEBISE (giunge dal fondo, vestito come al pri­mo atto: abito completo, giacca grigio nera, cami­cia bianca, collo a punte rovesciate, scarpe di ver­nice) — A chi potrò rivolgermi?... (Scorgendo Lu­ciana) Ah, voi!

LUCIANA — Signor Chandebise!

CHANDEBISE (prendendo la vivamente per una mano e portandola fino al proscenio) — Finalmente vi trovo!

LUCIANA (stupita) — Cosa c’è?

CHANDEBISE — Avete visto Etienne, il mio came­riere?

LUCIANA — Perché?

CHANDEBISE (quanto segue, rotto e precipitato) — Perchè lo avevo incaricato di una commissione per voi, dato che... non potevo venire di persona. Avevo... avevo un banchetto che mi impediva... Ma poi... mi sono accorto che questo banchetto è per domani. Allora sono corso qui... per dirvi...

LUCIANA — Che cosa? Per dirmi che cosa?

CHANDEBISE (cambiando tono) — Ah, povera bam­bina! Che follia amarmi!... me!

LUCIANA (indietreggiando) — Cosa?

CHANDEBISE (su un tono che non sopporta replica) — Via via, so! Ma perché, poi, non avete firmato la vostra lettera?

LUCIANA (sempre più stupita) — La mia lettera! Quale lettera?

CHANDEBISE — Ma quella che mi avete scritto per darmi appuntamento qui!

LUCIANA (capendo) — Ah! (cambiando tono) Chi vi ha fatto supporre che sia io che...

CHANDEBISE — Eh, perché io, non sapendo nulla, ho fatto vedere la lettera a vostro marito!

LUCIANA (facendo un balzo indietro) — Eh?!

CHANDEBISE — Lui ha riconosciuto subito la vostra scrittura.

LUCIANA — Che cosa dite?

CHANDEBISE — Ed è capacissimo di uccidervi!

LUCIANA (spaventata, con voce stridula) — Ah, caramba!... Ma donde està?

CHANDEBISE — Dev’essere sulle nostre tracce!

LUCIANA — E ve ne state lì? Ma scappiamo!... Scappiamo! (Scappa smarrita).

CHANDEBISE (correndole dietro) — Oh, folle amore! Folle amore! (Spariscono come dei pazzi per la sca­la; su questo compare Olimpia, provenendo dai piani superiori).

OLIMPIA (chiamando) — Eugenia!... Eugenia!... Ma dov’è, benedetta ragazza? (In questo momento, essa è in faccia al lato destro della scala, e ostruisce così il lato della rampa che scende).

CHANDEBISE (risalendo come un pazzo, seguito da Luciana che è spaventata come 1ui) — E’ lui! Histan­gua! Si salvi chi può!

LUCIANA — Mio marito! sono perduta!

OLIMPIA — Oh! si ricomincia?

CHANDEBISE (urtandosi con Olimpia e facendola pi­roettare, il che la manda addosso a Luciana) — Ma toglietevi di qui!

OLIMPIA — Ehi!

LUCIANA (stesso movimento nell’altro senso) — Ma andate via! (Luciana si è rifugiata nella camera di destra, poi nel bagno, dove sparisce; Chandebise si è precipitato nella camera di Rugby).

OLIMPIA — Oh, signora...

RAIMONDA (sbuca dal corridoio, seguita da Tournel; ha il volto coperto dal velo) — Se Dio vuole, ce ne andiamo. Finchè non sarò fuori di qui, non sarò tranquilla !... (Andando a sbattere contro Olimpia). Ma che cosa fate qui? (La fa girare su se stessa per aprirsi una strada).

OLIMPIA — Ah!

TOURNEL — Si, si, andiamocene! (A Olimpia, con lo stesso movimento) Toglietevi dai piedi! (Scendono la scala verso i piani inferiori).

OLIMPIA (stordita) — Ma che cosa c’è? Cosa suc­cede?

VOCE DI HISTANGUA (dai piani inferiori) Dove sono i misserabili, que yo li ammazzi, que yo li strozzi? (Grido di Raimonda e di Tournel).

OLIMPIA (avvicinandosi al lato destro della scala) — Che cosa c’è ancora?

RAIMONDA (riapparendo affannata) — Homenidés de Histangua! (Urtandosi contro Olimpia) Oh, vole­te andarvene? (La fa girare su se stessa).

OLIMPIA — Ah! Ah!

TOURNEL (idem come Raimonda) — Il torero! (A Olimpia, facendola girare anche lui) Ma siete eterna­mente qui! (1 due scappano dal corridoio di sinistra).

OLIMPIA (stordita, quasi senza fiato) — Ah, mio Dio! Mio Dio!

HOMENIDES (irrompe come un selvaggio brandendo la pistola) — Il Tournel y una señora velata!... E’ lei! E’ mia mujer. (Urlo) Ah, que misserabile! (Risale per slanciarsi all’inseguimento dei fuggitivi).

OLIMPIA (affannata, interponendosi) — Ma dove andate, signore?

HOMENIDES (facendola piroettare) — Yo vado a ammazzarli todos los dos! Voi, anda! A passegiare! (Si precipita nel corridoio).

OLIMPIA — Va a ammazzarli! Ah, mio Dio! Aiuto! Aiuto!

FERRAILLON (arriva dall’alto scendendo i gradini a due a due, seguito da Eugenia) — Cosa succede? Cos’è questo chiasso?

OLIMPIA (senza fiuto) — Ah, Ferraillon! Un pazzo! Un pazzo che vuole ammazzare tutti!

FERRAILLON (con un sobbalzo) — Cosa?

OLIMPIA (svenendo tra le braccia di Eugenia) —Ah!... AhaI... Ah! Aha!...

EUGENIA — Signore! Signore!

FERRAILLON (si precipita a sostenerla dall’altra par­te) — Su, coraggio! Portatela di là! (indica la camera del corridoio visibile al pubblico e intanto accom­pagna le due donne) Fatele odorare dei sali!

EUGENIA (portando Olimpia) — Si, signore!

(Ferraillon introduce Olimpia e Eugenia nella ca­mera indicata, poi riesce richiudendosi la porta alle spalle; nel frattempo rumori di un litigio si sono ampliati nella camera di Rugby. Si sentono dei «Get out of my sight! Get out of my sight!» da parte dell­’inglese, e dei « Ma non posso! Ma non posso! C’è un energumeno!... » provenienti da Chandebise).

FERRAILLON (sentendo i rumori, avanza) — Dal­l’inglese litigano! Che cosa succede ancora? (Bru­scamente la porta si apre e sbucano fuori, lottando corpo a corpo Chandebise e Rugby; il primo si aggrappa allo stipite della porta, l’altro lo afferra alla vita e si sforza di fargli mollare la presa).

RUGBY (lottando contro Chandebise) — Will you leave my door! Will you leave my door!

CHANDEBISE (contemporaneamente, lottando con tutte le sue forze) — Volete lasciarmi? Lasciatemi!

FERRAILLON (intervenendo) — Basta! Basta! (Su questo, con uno sforzo più violento Rugby ha avuto ragione di Chandebise, e con lo stesso movimento la ha mandato a piroettare alla sua sinistra. Ferraillon si trova al posto giusto per riceverlo, lo afferra al volo e, facendolo nuovamente piroettare, lo manda a sedere sulla panca a destra della Hall).

CHANDEBISE (cadendo seduto sulla panca mentre Rugby rientra brontolando nella sua camera) — Ehi, ma che cosa salta anche a voi?

FERRAILLON (facendo un salto indietro alla vista di Chandebise) — Poche!... Di nuovo Poche!

CHANDEBISE (alzandosi e fronteggiandolo) — Che cosa dite?

FERRAILLON (con la mano sinistra lo afferra al braccio e gli dà ad ogni invettiva un calcio nel po­sto giusto) — Ah, sporcaccione!

CHANDEBISE (saltando in aria ad ogni pedata) —Cos’è?

FERRAILLON (c.s.) — Vagabondo!

CHANDEBISE (c. s.) — Ehi, dico!

FERRAILLON (e. s.) — Maiale!

CHANDEBISE (c. s., poi si libera) — Oh, sentite, voi!

FERRAILLON (con tono minaccioso) — Cosa?

CHANDEBISE (sotto la propulsione delle pedate, ed essendo tenuto per il braccio, ha girato intorno a Ferraillon, e si trova così nella posizione primitiva: prendendo spazio) — Signore, io sono il signor Chan­debise, direttore della Boston Life Company.

FERRAILLON (all’estrema sinistra, mostrando Chan­debise con un largo gesto della mano) — Ecco lì... E’ ubriaco!... E’ completamente ubriaco!

CHANDEBISE (avanzando su di lui) — Signore, ri­ceverete i miei padrini.

FERRAILLON (afferrandolo come prima per il brac­cio e facendoselo ruotare intorno a forza di calci) —Ah, davvero? Allora toh, per i tuoi padrini!

CHANDEBISE (saltando in aria ad ogni pedata) —Oh!

FERRAILLON — E toh, per Chandebise!

CHANDEBISE (c.s.) Oh!

FERRAILLON — E ancora questo! Questo! Questo! (ad ogni « questo » Chandebise gettq un « oh! »).

CHANDEBISE (riportato come prima al suo posto primitivo) — Oh, insomma, adesso io... (e va di nuo­vo a mettersi a petto di Ferraillon).

FERRAILLON (vedendo la sua giacca) — E poi, dove hai preso questa roba? Mi vuoi spiegare... (lo afferra al colletto della giacca e si sente in dovere di to­gliergliela).

CHANDEBISE (difendendosi come può) — Ehi, ma che vi prende? Ma no...

FERRAILLON — Su, su! Cos’è questa mascherata? (gli ha tolto, nonostante ogni resistenza, la giacca).

CHANDEBISE — Ma andiamo!

FERRAILLON (togliendogli il cappello) — Togliti an­che questo! (va a appendere giacca e cappello all’attaccapanni).

CHANDEBISE (letteralmente atterrato) — Dio mio E’ un pazzo!

FERRAILLON (che ha tolto dall’attaccapanni il ber­retto e la livrea, ritorna a Chandebise) — Su! Mettiti il tuo berretto! (glielo mette sulla testa e lo fa sprofondare fino alle orecchie con un solido pugno).

CHANDEBISE — No! No!

FERRAILLON (tentando di fargli infilare anche la giacca della livrea) — Ecco fatto! E ora la giacca!

CHANDEBISE (difendendosi) — Non voglio! Non vo­glio!

FERRAILLON (infilandogliela di forza) — Non vuoi? A me osi dire che non vuoi? Zitto sai! E subito!

CHANDEBISE (spaventato, la testa tra le spalle, fa­cendosi obbediente e sottomesso) — Sì! Sì, sì!

FERRAILLON (indicando gli la scala) — Adesso fila! Nella tua camera! Più svelto che puoi!

CHANDEBISE (precipitandosi verso la scala) Sì, sì!... E’ un pazzo! E’ pazzo!

FERRAILLON (slanciandosi verso la scala, come per rincorrerlo) — Che cosa dici? Vuoi prenderne del­le altre?

CHANDEBISE (prontamente, sempre salendo) — No, no!...

FERRAILLON (sul primo gradino) — Fuori dai piedi allora!

CHANDEBISE (salendo senza abbandonarlo con lo sguardo) — E’ pazzo! E’ un pazzo!

FERRAILLON (sale tre gradini di scatto, battendo forte il piede su ogni gradino) — Vuoi toglierti dai piedi, maledizione! (Chandebise spaventato se la bat­te più in fretta che può, al punto che quasi sta per fare un ruzzolone. E scompare).

Appena uscito di scena, l’attore che sostiene la parte di Chandebise, mentre scenderà la parte po­steriore dal praticabile si toglierà la giacca della li­vrea e il berretto. Arrivato in basso, egli deve tro­vare una sedia e due aiuti che gli presentano i cal­zoni truccati, ognuno tenendo uno dei due capi ben aperto. Egli mette rapidamente questi calzoni sopra quelli che ha, mentre uno degli aiuti gli infila le scarpe (o ciabatte) sopra gli scarpini di vernice. Poco discosti, due altri aiuti lo aspettano col gilet truccato aperto, nel quale egli non ha che da lasciar scivolare le braccia. Subito gli si fa indossare il grembiale e la sciarpa. Un colpo ai capelli per spettinarli e la trasformazione è fatta.

FERRAILLON (ridiscende gli scalini che aveva ap­pena salito; poi, ben rilevato, al pubblico) — Visto gli effetti del vermuth? E’ di nuovo ubriaco fradicio! Perchè un così buon domestico dev’essere un ubria­cone? (parlando è  venuto un po’ in avanti).

EUGENIA (esce di corsa dalla camera dov’è Olim­pia: ogni volta che la porta è aperta, si sentono dei piccoli “ Hi! Ahi! “ spasmodici, emessi in quinta da Olimpia) — Signore! Signore!

FERRAILLON (seccato) — Che c’è ancora?

EUGENIA — La signora ha un attacco di nervi.

FERRAILLON (passando a sinistra) Ouff, che bar­ba! (voltandosi verso Eugenia) Andate di corsa al 10 e pregate il dottor Finache di scendere a visitare mia moglie, se può.

EUGENIA — Corro, signore! (sale in fretta verso i piani superiori).

FERRAILLON — Accidenti, non un minuto di pace! (entra nella camera di sua moglie, di cui si sentono, fin che la porta è aperta, i piccoli gridi nervosi) —Che cos’hai, amore mio, non stai bene? (la porta si richiude).

POCHE (viene da sinistra, con delle lettere in ma­no, raggiunge il centro della scena; sta sciogliendosi i cordoni del grembiale che si toglie) — Ecco fatto. E adesso di corsa in stazione. (va ad appendere il grembiule all’attaccapanni; non vedendo la sua livrea che credeva di ritrovare appesa). Beh? (dà un’oc­chiata per terra). Chi si è soffiato la mia giacca e il mio berretto? Un bel farabutto. Però mi ha la­sciato in cambio la sua giacca e il suo cappello. (si prova il cappello). Perbacco: è su misura! Per an­dare fino alla stazione uno vale l’altro, no? Resti­tuirò tutto quando mi restituiranno la roba mia. (Parlando, e senza togliersi la sciarpa, si è infilato la giacca di Chandebise sopra il gilet. Risale come per andarsene. Suonano. Inverte la sua rotta) Mi chia­mano di nuovo! (esce da sinistra).

Appena uscito l’attore si toglie prontamente la giacca e il cappello; trova gli aiuti che gli tolgono la sciarpa e il gilet rovesciando le maniche per far più presto. Le rimetteranno a posto dopo. Più lontano, la sedia lo aspetta: i due aiuti gli tolgono le ciabatte e i pantaloni. Un veloce colpo di pettine e gli aiuti gli porgono il berretto e la giacca della livrea, che egli metterà salendo la scala praticabile.

EUGENIA (venendo dai piani superiori con Finache) — Di qui, signor dottore, di qui.

FINACHE (finendo di infilarsi la giacca) — Pen­sate proprio che sia venuto qui per curare dei ma­lati?... Beh, cos’ha la vostra padrona?

EUGENIA —- Oh, niente di grave, sarebbe come chi dicesse che ha avuto uno stock.

FINACHE (non capisce) — Ah! Uno shock?

EUGENIA — Ma sì... Un colpo di fifa!

FINACHE — Ah!... Un colpo di fifa!... E ditelo; vi­sto che parlate francese!

EUGENIA — Un colpo che le ha mandato il sangue alla testa. Così i suoi nervi, vero...

FINACHE  -  E mi disturbate per questo?... Bastava che prendeste un bel sifone e l’annaffiaste!... Si cal­mava subito.

EUGENIA — Sì, sì, ma ad ogni modo giacchè il si­gnor dottore si è preso la pena di scendere, tanto vale che il signor dottore la visiti.

FINACHE — Si capisce, giacchè ci sono!

EUGENIA (introducendo Finache) — Sì, signor dot­tore! Di qui signor dottore! (con la porta aperta si sentono i gridolini di Olimpia; la porta si richiude. Appena sono scomparsi Finache e Eugenia, si scorge Chandebise, sempre con la livrea e il berretto, che avanza guardandosi intorno circospetto).

CHANDEBISE (in cima alla scala) — Il... il matto se ne è andato?... (scende sempre parlando) Ah, che storia!... se questo è il suo modo di ricevere la clien­tela, non credo che molti tornino due volte!... Razza d’energumeno !... (va all’attaccapanni al quale Fer­raillon aveva appeso la sua giacca e il cappello) Oh, perbacco!... E la mia giacca? E il cappello?... Ep­pure li avevo appesi qui... Dove saranno andati a finire? (Cerca per terra, intorno a lui. Sulle sue ul­time parole, dall’alto della scala, che scendono di corsa, compaiono Raimonda e Tournel).

RAIMONDA (scendendo i gradini a due a due) —Ce l’abbiamo fatta! Ha perso le nostre tracce!... Pre­sto, una carrozza!

TOURNEL (c. s. dietro a Raimonda) — Si, sì! Che fortuna, c’è il cameriere!

RAIMONDA — Meno male!

CHANDEBISE (sempre curvo alla ricerca delle sue cose) — E’ grossa...

RAIMONDA (arrivando vicino a Chandebise, che vol­ta la schiena) — Presto, Poche, chiamatemi una carrozza!

CHANDEBISE — Che cosa?

TOURNEL — Una carrozza!

CHANDEBISE (sobbalzando alla vista della moglie) — Mia moglie?

TOURNEL — Ehm!

RAIMONDA (con un balzo) — Mio marito! Era lui! Era lui! (smarrita, scappa).

CHANDEBISE — E Tournel è con lei!

TOURNEL (impietrito) — Era lui!

CHANDEBISE (afferrando Tournel alla gola) — Che cosa fai qui? Che cosa fai qui con mia moglie? (lo fa piroettare in modo da mandarlo alla sua sinistra).

TOURNEL (semistrangolato) — Ma lo sai, no?

CHANDEBISE — Che cosa? Che cosa dici?

TOURNEL — Amico mio, ti abbiamo spiegato tutto poco fa.

CHANDEBISE (costringendolo contro la panca, sulla quale perdendo l’equilibrio va a cadere) — Cosa? Tu mi hai spiegato... (scuotendolo) Vuoi rispondermi, eh? Vuoi rispondermi?

TOURNEL (spaventatissimo) — Ma via! Su! Via!

FERRAILLON (uscendo a valanga dalla camera) —Non avete ancora finito di far chiasso? (afferra Chan­debise per il braccio destro e lo manda all’estrema sinistra; Tournel, liberato, ne approfitta per batter­sela) Poche! Di nuovo Poche!

CHANDEBISE — Il pazzo!

FERRAILLON (dandogli una pedata ad ogni invet­tiva come nella scena precedente) — Ah, sporcac­cione!

CHANDEBISE (saltando) — Ehi! Ah!

FERRAILLON (c. s.) — Bestiaccia!

CHANDEBISE (e. s.) — Oh!

FERRAILLON (c.s.) — Maiale!

CHANDEBISE (c. s.) — Ma insomma...!

FERRAILLON — Ne hai avute abbastanza?

CHANDEBISE (battendosela) — Sì, sì! Aiuto! Al mat­to!, al matto!

FERRAILLON (rincorrendolo mentre Chandebise sa­le 1e scale al galoppo) — Te lo do io il matto, ubria­cone! Va in cella! Ti ci chiudo dentro e fino a do­mani mattina te ne starai lì a smaltire la sbronza!... Su, su, e in fretta! (scompaiono al piano superiore, l’uno inseguendo l’altro).

(Scomparsi i due, Rugby esce dalla sua camera lasciando la porta aperta. Ha l’aria di un uomo che sta per perdere l’ultimo briciolo di pazienza).

RUGBY — Hallo Boy! Nobody call for me? (parlando ha raggiunto la scala e sparisce ai piani in­feriori).

CAMILLO (venendo da destra, secondo piano) —Via libera, finalmente. Mi sembra che sia il momen­to di battersela.

LUCIANA (è uscita dal bagno contemporaneamente all’uscita di Camillo; si ferma sulla soglia della porta della camera e, prima di uscire, rimane in ascolto) — Non si sente più nessun rumore.

CAMILLO (ispezionando un’ultima volta il pavimen­to) — Dove sarà andato a finire il mio palato? (De­scrive un movimento a semicerchio partendo da si­nistra e va a imbattersi in Luciana quando costei esce dalla camera).

LUCIANA (entrando nella hall) — Mio marito deve essere andato via.

CAMILLO (faccia a faccia con Luciana) — Di nuo­vo la signora de Histangua! (gira su se stesso per scappare).

LUCIANA (riconoscendolo) — Signor Camillo! (si aggrappa a lui) Ah, signor Camillo, non lasciatemi! Non abbandonatemi! Mio marito mi insegue... con una pistola! Vuole ammazzare tutti!

CAMILLO (sobbalzando) — Accidenti!

LUCIANA — Vi prego, non lasciatemi!

CAMILLO — No, no!

VOCE DI HISTANGUA (dall’alto) — Por dove que so­no, i misserabili?

LUCIANA (con un balzo) — Mio marito!

CAMILLO — Lui! Scappiamo. (Si precipitano tutti e due versa la scala, ma finiscono addosso a Rugby che risale. Affannati invertono i loro passi. Camillo si slancia nella camera di destra in primo piano, di cui richiude la porta puntellandovisi contro. Lucia­na, senza sapere quello che fa, vedendo la camera di Rugby aperta vi si precipita dentro)

RUGBY (che dalla scala ha seguito stupito tutta la scena, vede Luciana rientrare nella camera; giubilante) — Aoh! That’s a pretty girl (attraversa la sce­na a grandi passi e rientra nella sua camera).

HISTANGUA (volando giù per la scala e piombando in scena) — Por dove que sono? Yo li ammazzo, yo li occido!... Ma por dove que è, la camera del señor Chandebisse?... Non c’è nessuno in esto albergo?... (si precipita verso la scala e scompare verso i piani inferiori).

POCHE (arrivando da sinistra) — Ma chi grida in questo modo?

LUCIANA (uscendo dalla camera di Rugby inse­guita da vicino da lui) — Volete lasciarmi, villano! (si volta, lo respinge e gli dà uno schiaffo).

RUGBY — Again!... Aoh!, it’s disgusting! (raggiun­ge di nuovo la sua camera).

POCHE (ridendo) — Bel colpo!

LUCIANA (precipitandosi verso Poche) — Ah, si­gnor Chandebise!

POCHE — Come?

LUCIANA — Vi manda il cielo! Salvatemi! Nascon­detemi!

POCHE (sostenendola col suo braccio destro) —Venite, venite. Vi accompagno all’uscita. Da questa parte. (Parlando camminano a piccoli passi laterali l’uno sostenendo l’altra. Giunti alla scala Poche fa passare Luciana e tutti e due scendono qualche gra­dino).

VOCE DI HISTANGUA (dal basso) — Oh, caramba! Yo ve tiengo!

LUCIANA (riapparendo in scena come una pazza, seguita da Poche). Eccolo! (va alla porta di destra in primo piano) Aprite! Aprite!

CAMILLO (appoggiandosi con tutto il peso del suo  corpo contro la porta) — Non si passa!

POCHE — Sbrigatevi !... (smarrita, Luciana va ver­so la camera di Rugby) Non da lì! C’è l’inglese!

LUCIANA — Ma dove? Dove?

POCHE — Lì, nella camera di Battistino!

HISTANGUA (di cui si è continuato a sentire le im­precazioni provenienti dal basso, balzando in scena come un energumeno) — Inutile que ve nascondete! Yo ve ho visto!

EUGENIA (uscendo dalla camera di Olimpia) — Il signore desidera?

HISTANGUA — Desidero il muerto! El señor Chan­debise y la dama que es insieme?

EUGENIA (indicando la camera dov’è Camillo) —In quella camera, signore (esce da sinistra).

HISTANGUA (alla porta di destra in primo piano) —Aprite! Aprite! Que yo ve amazzo!

CAMILLO (gridando) — Qui non c’è nessuno!

HISTANGUA (spingendo la porta) — Aprite, oppu­re... Uno, due, tre! (Dà ogni volta una spinta alla porta di destra in primo piano. L’ultima, la più forte, fa saltar via Camillo. Histangua gli balza al collo) Mia moglie! Dove es mia moglie... que yo la amazzi... que yo la occida...?

CAMILLO (all’estrema destra, terrificato e senza sa­pere più quel che dice) — Ma io non ce l’ho!... Vi dò la mia parola! Ecco, perquisitemi. (Per provare la verità di quel che dice rovescia le tasche dei suoi calzoni).

HISTANGUA (senza ascoltarlo, raggiungendo la si­nistra) — Ah, sì! Que yo la trovi e yo la amazzo... Vero como es vero que yo faccio centro su quel bersaglio! (spara con la sua pistola sul bottone a destra del letto; il letto gira e appaiono su quello che vi si sostituisce Luciano e Poche).

LUCIANA — Mio marito! (Scappa, seguita da Po­che).

HISTANGUA — Mia moglie! (si precipita a inseguirla sparando dei colpi di pistola. Luciana e Poche filano via dal fondo. Histangua è arrestato nella sua corsa da tutta la gente dell’albergo che è accorsa agli spari. Gli afferrano il braccio e glielo tengono sollevato in aria, ma lui continua a sparare mentre il sipario cade).

SIPARIO

ATTO TERZO

La scena è quella del primo atto. (N.B.: la porta di centro deve sempre aprirsi a un solo battente, eccetto nei casi che vengono specificatamente in­dicati).

(All’aprirsi del sipario la scena è vuota; le por­te sono chiuse. Bruscamente quella di fondo si apre, Antonietta, affannata, si precipita in scena e chiude prontamente la porta alle sue spalle. Si capisce che ha indossato di gran fretta la sua tenuta da came­riera: infatti accorre abbottonandosi l’abito; e ha ancora in mano grembiule e berretto).

ANTONIETTA — Mio Dio, Etienne!... E’ già di ri­torno!... Non farò certo in tempo... (termina di ab­bottonarsi) Così!... Quando si è emozionate, non si guadagna certo tempo !... Coraggio, ora!

VOCE DI ETIENNE (dalle quinte di sinistra) — An­tonietta!... Antonietta!...

ANTONIETTA — Oh!... (Va a chiudere il chiavistel­lo della porta di fondo).

VOCE DI ETIENNE (più vicina) — Antonietta!...

ANTONIETTA (mettendosi grembiule e berretto) —Dio, Dio!...

VOCE DI ETIENNE (dietro la porta di centro) —Antonietta !... (Scuote dall’esterno i battenti della porta, che resistono) Sù, aprì! Che sgualdrina! Si è chiusa a chiave! (La voce si allontana in direzio­ne di sinistra) Aspetta un po’!

ANTONIETTA (che ha terminato la sua toilette) — Presto! (Va a togliere il chiavistello, e, rapidamen­te, in punta di piedi, si infila nella camera di de­stra, in primo piano).

ETIENNE (col cappello in testa e vestito come al secondo atto, sbucando dalla porta di fondo a si­nistra) — Antonietta!... Dove si sarà ficcata?... An­tonietta!

ANTONIETTA (comparendo sulla soglia della por­ta di destra, calmissima) — Ah, sei tu che gridi in questo modo?

ETIENNE — Esattamente... Perchè ti sei chiusa a chiave?

ANTONIETTA (facendo finta di non capire) — Che cosa?

ETIENNE — Perchè ti sei chiusa a chiave?

ANTONIETTA (imperturbabile) — Ma io non mi sono chiusa a chiave.

ETIENNE (perdendo la sua linea) — Ah, questa poi ... (Per confondere sua moglie si slancia ver­so la porta di fondo, gira la maniglia; la porta si apre; stupito) Accidenti!

ANTONIETTA (appoggiata alla tavola, le braccia in­crociate, lo sguardo al soffitto, con aria ironica e scherzosa,) — Se adesso non sai neppure aprire una porta...

ETIENNE  — E’ grossa! Oh, ma questo non ha nes­suna importanza. Dimmi piuttosto che cosa combi­navi poco fa all’albergo del Micio Innamorato!

ANTONIETTA (come se le parlassero in cinese) —Al che cosa?

ETIENNE — All’albergo del Micio Innamorato.

ANTONIETTA (calcando) — Che cos’è?

ETIENNE — Come,  “che cos’è”?... Ti assicuro che hai una faccia!... Ti ci ho sorpreso mezz’ora fa!

ANTONIETTA (ferita profondamente e visibilmente dall’oltraggio) — Io! Tu hai sorpreso me!?

ETIENNE — Sì, te!

ANTONIETTA (calmissima) — Io non mi sono mos­sa da qui.

ETIENNE (stordito da tanto cinismo) — Che cosa dici?

ANTONIETTA — La verità, semplicemente.

ETIENNE — Non ti sei mossa da qui, eh?...

ANTONIETTA — No.

ETIENNE — Sciagurata! Ti ho vista coi miei oc­chi in quell’albergo!

ANTONIETTA (con sangue freddo sconcertante) —E questo cosa prova?

ETIENNE (soffocando) — Oh!

ANTONIETTA (perentoria) — Che tu mi ci abbia vista oppure no, io non c’ero!

ETIENNE -- Che faccia tosta! Ma se ti ho sorpre­sa... mezza svestita, tra le braccia di un inglese!

ANTONIETTA — Io?

ETIENNE (proprio sul viso di Antonietta) — Tu, sì! Proprio tu! Mi ha persino preso a pugni.

ANTONIETTA — Tra le braccia di un inglese, io? Ma come avrei potuto? Non so l’inglese.

ETIENNE (con una risata che suona falsa) — Aah! Aha! Bella ragione!...

ANTONIETTA (sempre imperturbabile) — Io non mi sono mossa da qui.

ETIENNE — Ma, perd... (rimasto senza argomenti pianta Antonietta dove si trova e raggiunge la sini­stra; tra i denti:) Accidenti, sa mentire come una signora della buona società! (Tornando verso An­tonietta) Dunque, tu non ti sei mossa da qui! Va bene. Sapremo subito tutto. (Si dirige verso il fondo).

ANTONIETTA (con inquietudine, facendo qualche passo verso di lui) — Che cosa vuoi fare?

ETIENNE (tornando verso sua maglie) — Voglio chiedere al portinaio.

ANTONIETTA — Al portinaio!

ETIENNE — Mi dirà lui se sei uscita o no. (Fa per risalire).

ANTONIETTA — Etienne!

ETIENNE — Ah! Ti ho smascherata!

ANTONIETTA — Sei matto!

ETIENNE — Questo non te l’aspettavi.

ANTONIETTA — Non puoi immischiare il portinaio in una discussione così ridicola.

(Tutto questa dialogo, molto caldo e rapido, deve intrecciarsi come in una discussione esasperata).

ETIENNE — Aha! Hai paura adesso, eh!... Non ave­vi previsto che avrei trovato questo mezzo!... Cre­devi di farmi bere la tua storiella, e invece ti senti in trappola, eh?

ANTONIETTA — Ti prego, Etienne.

ETIENNE (respingendola) — Niente da fare!

ANTONIETTA (cambiando tono) — E va bene. Fai come vuoi. (Va a piazzarsi di fronte al pubblico, ap­poggiata al tavolo e con le braccia incrociate).

ETIENNE (che è corso subito nel vestibolo lascian­do i due battenti della porta aperti, si precipita al telefono, che è posto di fronte al pubblica; chia­ma, poi stacca il ricevitore) — Pronto... Siete voi, signor Piumino? Bene... Sentite... Quello che sto per chiedervi vi stupirà, ma ho assolutamente bisogno di sapere... Insomma, a che ora è uscita mia mo­glie?... Oggi, sì. (il viso di Antonietta esprime una certa ansietà) Eh?... Come, non è uscita affatto?... (Antonietta si rischiara in viso e emette un sospi­ro di sollievo) Andiamo, è impossibile: dite piut­tosto che non l’avete vista passare... Come?... E’ venuta a mangiare da voi! (Piccolo moto di gioia, appena visibile, di Antonietta, il cui sguardo da questo momento diventa canzonatore) Eh?... Sì, sì, ho capito benissimo: dato che nessuno qui in casa pranzava, Antonietta è venuta da voi... (Non cre­dendo alle proprie orecchie) Questa poi!... Ma io...

ANTONIETTA (sempre nella stessa posizione, anco­ra con le braccia incrociate, presenta le cinque dita della sua mano al pubblico; poi, con un cenno del capo indica il telefono) — Mi costa cinque franchi.

ETIENNE (che è rimasto impietrito) — Non capi­sco più niente!... Va bene, vi ringrazio... E vi chie­do scusa... (Riaggancia il ricevitore, arrabbiato, e ritorna nel salotto con un’aria seccatissima; rientrando ha chiuso i due battenti).

ANTONIETTA — Ebbene?

ETIENNE (brutale) — Lasciami in pace! (andando a sinistra) C’è da chiedersi se sono impazzito, se stravedo!

ANTONIETTA (risalendo in direzione della porta di fondo-sinistra) — Quanto diventano idioti gli uo­mini gelosi!

ETIENNE (risalendo alla sua destra) — Sì... Basta, ora! Fila in cucina! (Campanello) E non credere che finisca così.

ANTONIETTA — A tuo piacere. (Alza le spalle ed esce; suonano di nuovo).

ETIENNE (arrabbiandosi, e come rispondendo al suono del campanello) — Subito! (A parte) O que­sta donna è un mostro di cinismo, o devo farmi curare. (Campanello) Eccomi! (Esce un momento di scena; si sente il rumore della porta d’ingresso che si apre e si chiude, poi si distingue la voce di Raimonda mescolata a quella di Etienne).

RAIMONDA (entra, seguita da Tournel; parlando scende fino al divano, mentre Tournel rimane sul fondo, a sinistra della porta di centro) — Non sen­tivate suonare?

ETIENNE (rispondendo alle domande per puro do­vere, ma evidentemente pensando a tutt’altro) — Sì, signora, ma ero...

RAIMONDA — Il signore è rientrato?

ETIENNE — Eeh... No, signora.

RAIMONDA — Va bene, potete andare.

ETIENNE — Sì, signora. (Andandosene e indiriz­zando l’epiteto, fra i denti, alla moglie) Cammello!

TOURNEL (che si trova in ottima posizione per ricevere l’epiteto) — Cosa?

ETIENNE — Eh?... Oh, non dicevo al signore...

TOURNEL — Lo spero bene! (Etienne esce).

TOURNEL (poco voglioso di trattenersi ancora) —Cara amica, visto che siete finalmente in casa vo­stra, io...

RAIMONDA (che, vicina al divano, sta togliendosi cappello e guanti, voltandosi verso Tournel) — Che? Non vorrete andarvene! (Ha posato cappello e guan­ti su un mobile vicino).

TOURNEL (sconfitto) — Ah?

RAIMONDA (nervosa, senza riuscire a star ferma) — Eh no, grazie !... Non so in che stato d’animo ri­tornerà mio marito... Lo avete visto all’albergo del Micio Innamorato, no? La seconda volta che ci ha incontrati sembrava che volesse strozzarvi!... Se que­sto bel pensierino gli ritornasse...

TOURNEL (tanto placido quanto lei è agitata) — Capisco. Pensate che sarebbe bene che io fossi qui.

RAIMONDA — Eh, sì!... Non voglio essere sola a sostenere il primo urto.

TOURNEL (rassegnato) — Va bene, va bene. (Vie­ne avanti).

RAIMONDA — Sembra che la cosa non vi entu­siasmi.

TOURNEL (effettivamente senza entusiasmo) —Beh, capirete...

RAIMONDA — Tutti uguali! In principio dei leoni, ma poi, di fronte alle responsabilità...

TOURNEL — Piano, piano. Tanto per cominciare, quali responsabilità? Non è accaduto nulla.

RAIMONDA (andando verso di lui) — Se non è ac­caduto nulla non è stato per merito vostro! E poi mio marito non sa se non è accaduto nulla o se è accaduto. Dopo averci trovati in un posto come quello, ha il diritto di immaginarsi... quello che del resto si immagina. Lo prova la sua collera di po­co fa! (suonano) Mio Dio, suonano! Forse è lui...

TOURNEL — Di già! (Si sente il rumore della por­ta che si apre).

VOCE DI LUCIANA — La signora è rincasata? (Ru­more della porta che si rinchiude).

VOCE DI ETIENNE — Sì, signora.

RAIMONDA — Ah, è Luciana. (Risale verso la por­ta di fondo, che apre) Vieni, vieni!

LUCIANA (passando davanti a Raimonda e scen­dendo in direzione del tavolo) — Ah, Raimonda, Raimonda!... Che dramma!.. Che tragedia!...

RAIMONDA (alzando gli occhi al cielo) — A chi lo dici!

LUCIANA — Guarda le mie gambe! (Fa vedere co­me le tremano le ginocchia).

RAIMONDA E TOURNEL (con tono di condoglianza) — Oh!

LUCIANA (lasciandosi cadere sulla sedia a sini­stra del tavolo) — Oh, ma non tornerò più a casa mia... No, no!... (Senza transizione, sullo stesso tono) Buongiorno, signor Tournel. Vi prego di scu­sarmi..

TOURNEL — Per carità! Abbiamo tutto il tempo...

LUCIANA (senza ascoltarlo, tornando ai fatti suoi) — Andrò ad abitare in un posto qualunque... sotto un ponte o qualcosa di simile. Tutto, tutto pur di non ritrovarmi più faccia a faccia con quella bel­va di mio marito!...

RAIMONDA — Parliamo un po’ di tuo marito! Che energumeno! Quando ha visto Tournel e me, non so che cosa gli ha preso... si è messo a inseguirci brandendo una rivoltella, come se avesse voluto am­mazzarci!

TOURNEL — Ce l’aveva proprio con noi. Chissà poi perché!

LUCIANA — Come? Ha inseguito anche voi?

TOURNE[. — Sì! Che vulcano! Che mostro!

LUCIANA (appoggiandosi al tavolo di destra) — Io non mi sono ancora riavuta. Per fortuna ho trovato tuo marito, che mi ha sostenuta, mi ha trascinata via. Altrimenti svenivo e non so proprio che cosa sarebbe accaduto.

RAIMONDA — Ah, mio marito ti ha...

LUCIANA — Sì... Oh, anche lui mi ha spaventa­ta, sai.

RÀIMONDA — Ah! Ah!

LUCIANA — Penso che l’emozione gli abbia dato un brutto colpo al cervello.

RAIMONDA — Lo hai notato anche tu?

LUCIANA — Altro che notato... Mi sono perfino detta: « Ci siamo!... Chandebise è impazzito! ». Ha cominciato a dirmi un mucchio di cose incoerenti...

RAIMONDA (a Tournel) — Sentito? Come a noi!

TOURNEL — Come a noi!

LUCIANA — Chi si ricorda più?... Che lui era il cameriere dell’albergo... che stava mettendo a posto la legna... che gli avevano rubato la sua livrea, in­somma mille sciocchezze.

RAIMONDA — E’ assurdo.

TOURNEL — Assurdo. (Si siede).

LUCIANA — E a un certo punto sapete che cosa gli salta in mente?... Di portarmi con lui dal vina­io!... Io!

RAIMONDA E TOURNEL — Oh!

LUCIANA — Faccio un balzo indietro, e gli dico: “Andiamo, Chandebise! Su, su!” E lui: « Poche, Poche ».

TOURNEL (sedendosi sulla sedia a destra del tavo­linetto posto sulla sinistra della scena) — E’ la sua fissazione.

LUCIANA — Tu mi capisci che mi prende la fifa: pianto in asso tua marito e il suo vinaio e mi metto

a filare, a filare...! Guarda, filo ancora adesso! (si lascia cadere sulla sedia a sinistra del tavolo).

RAIMONDA — Io non capisco! Non capisco niente! O mio marito ha perso la testa o è tutta una trap­pola. Non capisco proprio.

TOURNEL (improvvisamente, a piena voce e su un tono profondo) — Ah! E’ lo stesso!

LE DUE DONNE — Che cosa?

TOURNEL (miserevolissimo) — Che giornata!

RAIMONDA — Tutto qui?... Pensavo che voi...

TOURNEL — No.

RAIMONDA — Siamo in un bel pasticcio!

TOURNEL — Sì.

LUCIANA — Tra un marito che ci vuoi bruciare il cervello...

RAIMONDA — ... E un altro che sta perdendo il suo.

TOURNEL — Quanti cervelli!

TUTTI E TRE — Ah, siamo a posto! (Suonano; istin­tivamente Luciana e Tournel si alzano e si avvici­nano a Raimonda, che è al centro della scena).

LUCIANA (quasi sottovoce) — Hanno... hanno suo­nato!

RAIMONDA E TOURNEL (c. s.) — Sì!

TOURNEL — Forse... forse è Chandebise.

RAIMONDA — Mi sembra strano: ha la sua chiave.

TOURNEL — Qualche volta si dimentica a casa.

RAIMONDA — E’ vero.

TOURNEL (spalle al pubblico, rivolto alle due don­ne) — Io mi ricordo di una volta, per esempio, si era d’inverno e nevicava...

RÀIMONDA (interrompendolo) — Ah no, amico mio! Non è il momento di raccontar storielle.

TOURNEL (interdetto) — Va bene, va bene. (Va di nuovo a sedersi).

RAIMONDA (non si controlla più) — Oh! Mio Dio! Mio Dio!

LUCIANA E TOURNEL — Ma insomma nessuno va a aprire?

RAIMONDA — Non lo so!... Eppure, se hanno suo­nato....

TOURNEL. — Vuol dire che c’è qualcuno.

RAIMONDA (inchinandosi a questa verità lapalissia­na) — E’ evidente.

TOURNEL — Volevo dire... Insomma, io mi capi­sco. (Durante queste ultime battute si è sentito la porta esterna aprirsi e chiudersi).

ETIENNE (entrando smarrito) — Signora! Signora!

RAIMONDA — Che cosa c’è?

ETIENNE — Ah, signora!

RAIMONDA — Beh?

ETIENNE — E’ il signore!

TOURNEL E LUCIANA — Ah!

RAIMONDA — E con questo?

ETIENNE — Eh... Eh... Non so che cos’abbia, il signore... Gli ho aperto, lui è entrato... (imita il mo­do di camminare di Poche), e mi ha detto: « Abita qui il signor Chandebise? ».

TUTTI — Eh?

ETIENNE — Sì, signora!... Lì per lì ho creduto che volesse scherzare... E allora, per uniformarmi, vero, gli ho fatto: « Hehe! Sicuro che il signor Chandebise abita qui! Hehe! Hehe! » Ma lui non scherzava. Tran­quillo mi dice: « Ditegli che sono venuto per la livrea... ».

TUTTI — No!

ETIENNE — Sì, signore! Sì, signore! (Si è rivolto alle due signore e poi a Tournel).

RAIMONDA — Ah, no! Questa storia non ricomincia un’altra volta! (A Etienne, con energia) Dov’è il si­gnore?

ETIENNA — In anticamera... Aspetta.

TOURNEL E LUCIANA — Eh!

RAIMONDA (sobbalzando per la sorpresa) — Come, aspetta?

TOURNEL E LUCIANA — In anticamera?

RAIMONDA — Questa poi! (Risale, seguita dagli al­tri personaggi, fino alla porta, che spinge aprendo tutti e due i battenti. Tournel e Raimonda sono a sinistra della porta, Etienne e Luciana a destra. Si scorge in fondo al vestibolo Poche, che ha il cap­pello in testa ed è seduto sull’estremo bordo della sedia. Aspetta tranquillo. Alla vista dei personaggi il suo volto , da serio che era, si fa sorridente).

TUTTI (indietreggiando, sorpresi) — Oh!...

RAIMONDA — Che cosa fai lì?

POCHE (alzandosi a metà; ha l’aria abbrutita) —Desiderano ?...

RAIMONDA — Maandiamo! Ti sembra d’essere a tuo posto, lì in anticamera, come un fornitore?

POCHE (alzando leggermente il cappello) — Signora?

TUTTI — “Signora “?

RAIMONDA — “Signora !”... Su, vieni! (Avanza leg­germente).

POCHE (spingendosi fino alla soglia della porta) —                Il fatto è che io aspetto il signor Chandebise.

TOURNEL E LUCIANA — Cosa?

RAIMONDA — Ma che dici?

ETIENNE — Ha sentito, signora?

POCHE (dandogli, come per uno scherzo bonario, un colpo nello stomaco col suo cappello) — Ehi, ma vi riconosco! Non eravate poco fa all’albergo del Micio Innamorato?

ETIENNE — Sì, signore, sì.

POCHE  -- Siete il cornuto!

ETIENNE (offeso) — Oh, oh, signore!...

RAIMONDA — Che cosa dice?

POCHE (sentendo la voce di Raimonda, si volta verso di lei) — Eh! Ma anche la signora conosco!... E’ la signora dell’albergo... Ci siamo perfino baciati... (Avanzando verso di lei) Buongiorno, signora.

RAIMONDA (spaventata, tirando Tournel verso di se per frapporlo fra lei stessa e Poche) — Mio Dio!... Tournel, Tournel! Cosa avrà?

TOURNEL — Su, su, amico mio.

POCHE (indicando Tournel) — C’è anche il suo amichetto! Ah, perbacco!... Come va, come va? (vuole baciarlo).

TOURNEL (allontanandolo) — Ma andiamo!... Vittorio Emanuele! Vittorio Emanuele! (Avanza, come Raimonda, verso la sinistra).

POCHE (avanzando al centro della scena) — No! Poche! Poche!

LUCIANA (che si è avvicinata al tavolo di destra) — Evviva, Poche!

POCHE (riconosce Luciana e, parlando, le si avvi­cina) — Oh, la signora con la quale siamo scappati per via del pellerossa. Vi ricordate, signora? Che fifa, eh!

LUCIANA (un po’ spaventata) — Ehm. Sì... Sì... (Ve­dendosi costretta contro il tavolo, scivola, sempre parlando, lungo tutto il tavolo, e, arrivata in fondo, repentinamente, scappa, raggiungendo gli altri).

POCHE (torcendosi dal ridere) — Hi! Hi!... Ma dun­que abitate tutti insieme! Hi, hi! Che buffo!

TUTTI (stretti gli uni agli altri lo osservano acco­rati; sottovoce) — Oh!

POCHE (l’atteggiamento generale lo fa smettere di ridere) — Beh? Cosa avete?

TUTTI (prontamente) — Niente!... Niente!... Niente!

POCHE (a parte) — In questa famiglia sono molto gentili, ma un po’ toccati. (Guadagna la destra).

RAIMONDA — Ma che cos’ha? che cos’ha?

LUCIANA (sottovoce a Raimondo) — Poveretto! Do­vresti farlo visitare subito subito.

ETIENNE (che era rimasto in fondo alla scena, a­vanza; a mezza voce) — La signora desidera che te­lefoni al dottor Finache?

RAIMONDA — Fate come volete!

ETIENNE — Sì, signora (risale).

POCHE (andando verso Etienne) — Ve ne andate?

ETIENNE — Sì, signore, sì.

POCHE — Va bene. Non dimenticate di dire al si­gnor Chandebise...

LUCIANA (a Raimondo) — Lo senti?

ETIENNE (a Poche) — Sì, sì, signore (esce chiuderi­dosi la porta alle spalle).

TOURNEL — Perché deve far l’idiota in questo modo?

RAIMONDA — Lo fa apposta. Sono sicura che lo fa apposta.

POCHE (ridiscendendo verso gli altri personaggi per dare le sue spiegazioni) — Tutto è dipeso dal fatto che la livrea era appesa, mi spiego?

LUCIANA E TOURNEL (per non contrariarlo) —Sì, sì!

RAIMONDA (passando davanti a Tournel, va a pian­tarsi di fronte a Poche; con autorità) — Ora devi smetterla! Capito?

POCHE (interdetto, rimanendo a bocca aperta) —Ah!

RAIMONDA (con fermezza, scandendo bene le pa­role) — Se sei malato, dillo e noi ti cureremo!... Se invece il tuo atteggiamento è voluto, ti dichia­ro che è assolutamente stupido.

POCHE (c.s.) Ah!

RAIMONDA — Ti abbiamo spiegato per filo e per segno come si sono svolte le cose... Ti abbiamo pro­vato in modo matematico che non c’è mai stato niente tra il signor Tournel e me... e se non ba­stasse la signora Homenidès può confermarti che siamo stati sinceri.

LUCIANA — Assolutamente sinceri.

RAIMONDA — Con tutto ciò, l’incidente è chiuso. Se tu vuoi proprio intestarti a credere che... Va bene, a tuo piacimento: in fin dei conti il signor Tournel è qui pronto a risponderti delle sue azioni. (Parlando ha afferrato Tournel per una manica -- e Tournel intento a parlare con Luciana non se lo aspettava — e lo ha mandato bruscamente contro Poche).

TOURNEL (mentre viene trascinato) — Io?

POCHE (cui Tournel è piombato in pieno petto, scostandolo con forzo lo butta alla sua sinistra) — Oh!

RAIMONDA — Sicuro! Che tu ci creda o no prendi l’atteggiamento che la situazione comporta e smet­ti di dare spettacolo in una maniera tanto idiota!

POCHE — Io?

RAIMONDA — Si capisce! A un certo momento ti convinci, e ci abbracci e ci baci. E dieci minuti dopo salti alla gola del signor Tournel!

POCHE (voltandosi verso Tournel) — Io vi sono saltato alla gola?

TOURNEL — Sì.

RAIMONDA — Ma insomma, smettila! Ci credi o non ci credi?

POCHE — Ma certo!

RAIMONDA — E allora dacci un bel bacio e fac­ciamola finita!

POCHE — Io? Ma anche dieci!

TUTTI — Finalmente! (Poche si è asciugato le labbra col dorso della mano e si accinge diligente­mente a baciare Raimonda).

RAIMONDA (quando Poche già sta per sfiorarle la guancia, lo respinge) Oh!

TOURNEL (Poche, respinto, gli ha pestato un pie­de, emette un grido di dolore) — Oh!

TUTTI — Cosa c’è?

RAIMONDA (indignata) — Ma hai bevuto!

POCHE — Eh?

RAIMONDA — Puzzi di vino.

POCHE — Io?

RAIMONDA (afferrandolo per il mento e voltandogli bruscamente il viso in modo da porlo in pieno sotto il naso di Tournel che si era avvicinato senza sospetti) — Sentite, mio caro, sentite!

TOURNEL (indietreggia, semiasfissiato) — Oh!

RAIMONDA — Sentito?

TOURNEL — Puah!... Che cantina!

RAIMONDA (su un tono di rimprovero indignato) — Tu bevi! Ora bevi, eh!

TUTTI — Oh!...

POCHE — Che esagerazioni !... Io bevo, bevo! E’ proprio la parola adatta per tre o quattro miseris­simi mezzi litri che ci siamo concessi per via del fatto che bisogna farsi un po’ di sangue!... Voi avreste fatto altrettanto, andiamo!

RAIMONDA (risalendo) — Siamo a posto! E’ ubria­co! E’ completamente ubriaco.

TUTTI (scandalizzati) — Oh!

POCHE (andando dietro a Raimonda e cercando di farla voltare) — Io ubriaco? Ma sentite!... Non è affatto vero!... Mia piccola signora...

RAIMONDA (allontanandolo con gesto) — Via! Via, signore, andate a smaltire altrove il vostro vino.

POCHE — Cosa?

TOURNEL — Tu! Proprio tu, Vittorio Emanuele!

POCHE (sotto il naso di Tournel) — Poche, tan­to per cominciare! Poche! Poche! (Appoggia sul­la «P » di ogni “Poche”, in modo da mandare un soffio del suo alito sul viso di Tournel).

TOURNEL (infastidito da quell’alito di ubriacone, respingendolo con tutte e due le mani) — Poche, va bene! Se vuoi.

LUCIANA (non volendo ricevere addosso Poche, che la spinta manda verso di lei, gira bruscamente su sè stessa e raggiunge prontamente la destra) — Oh!

POCHE (riprendendo il suo equilibrio) — Sicuro che voglio !... Ma guarda. (Brontolando) Se conti­nuano a fare a ‘sto modo, sento che cominceran­no a girarmi le scatole...

RAIMONDA — Che vergogna!

ETIENNE (correndo) — E’ arrivato il dottore, si­gnora.

TUTTI — Ah!

FINACHE (accorrendo anche lui, a Raimonda) —Cosa è accaduto? Etienne mi ha detto che stava proprio per telefonarmi. (Amichevolmente, con un saluto della mano verso Poche) — Buongiorno, Chandebise!

POCHE (guardandosi intorno per vedere a chi si rivolgeva il dottore) — Dov’è questo Chandebise?

FINACHE (che si era già rivolto di nuovo a Rai­monda, credendo a uno scherzo di Chandebise gli fa un educato sorriso di compiacenza) — Che spi­ritoso! (A Raimonda) Ma che cosa c’è?

RAIMONDA (indicando Poche) — C’è che il signo­re è ubriaco fradicio.

FINACHE (con un moto di sorpresa) — Come? Ma andiamo! Lui?

ETIENNE (c.s.) — Cosa? Il signore?

TOURNEL E LUCIANA — Sì, si.

POCHE — Io?

RAIMONDA — Provate a annusarlo, dottore! Pro­vate!

FINACHE (a Poche al quale si è avvicinato) — Non è possibile... E’ vero che siete ubriaco?

POCHE — Io? (alzando le spalle con aria di com­patimento) Pffu !

FINACHE (che ha ricevuto lo sbuffo in pieno viso, si butta all’indietro) — Oh!

POCHE — Che storie.

FINACHE (a Raimonda, alludendo a Poche) — Oh, sì! Oh, moltissimo!

RAIMONDA — Avete visto?

ETIENNE (che è avanzato oltre il divano; scanda­lizzato) — Oh, signore!...

POCHE — Buh.

FINACHE — Mio povero amico!... Ma che cosa vi hanno fatto buttar giù, per ridurvi in uno stato simile?

POCHE — Vi ci mettete anche voi? (Avanzando su Finache) Sentite, buon uomo...

FINACHE (indietreggiando) — Buon uomo?

POCHE — La finirete di divertirvi?... Io non sono più ubriaco di voi...

FINACHE (cercando di calmarlo) — Su, su, an­diamo...

POCHE (passando davanti a lui e rivolgendosi suc­cessivamente ad ogni personaggio; e ognuno, quan­do lui si avvicina, schivandolo con dei “ sì, sì” inquieti e guadagnando rapidamente la sinistra del­la scena) — Ho detto la verità!... Da quando sono arrivato, voi giocate a chi mi prende meglio in gi­ro!... Io non vi conosco!... Che cosa volete da me?... Sono venuto per vedere il signor Chandebise e vo­glio vedere il signor Chandebise, accidenti!... (Si rimette il cappello in testa e percorre a passi rab­biosi la scena, prima dal fondo in avanti, poi da in avanti al fondo. Tutti i personaggi, serrati gli uni agli altri, formano una linea per sbieco davanti allo schienale del divano e lo osservano atterriti. La loro posizione è la seguente: Etienne dietro a Finache, Raimonda accanto a Finache, poi Luciana, poi Tournel).

FINACHE (non credendo alle proprie orecchie) —Oh, perbacco!... Oh!...

RAIMONDA (a Finache) — Lo sentite?

LUCIANA — Ha degli attimi di lucidità, e poi, d’un tratto, più niente!

TOURNEL — Ed è in questo stato dal pomeriggio...

FINACHE — E’ ben conciato!... (Lo osservano tutti in silenzio, scuotendo il capo con accoramento).

POCHE (vedendo tutti quegli occhi fissi su di lui) — Beh?... E quando mi avrete ben guardato?... Oh, sentite, io sono un bravo ragazzo, ma non permet­to che mi si canzoni!

FINACHE — Sì, amico mio, sì.

TUTTI — Si, sì!

POCHE — Al diavolo! (Risale e misura la scena a grandi passi, brontolando).

RAIMONDA (a Finache) — L’avreste immaginato?

TOURNEL — Eh! (Poche si è seduto, immusonito, sulla sedia a sinistra del tavolo di destra).

LUCIANA E ETIENNE (accorati) — Oh!

FINACHE (tutto il dialogo che segue è bisbigliato e senza abbandonare con lo sguardo Poche) — Non riesco a rendermi conto... Gli è capitato altre volte, che voi sappiate?

RAIMONDA — Ma mai! Vero, Etienne?

ETIENNE — Mai!

FINACHE — Ve l’ho chiesto perchè questi feno­meni di allucinazione, questo stato di amnesia spin­to fino alla perdita della nozione della propria per­sonalità, sono riscontrabili soltanto in individui af­fetti da alcolismo inveterato.

TUTTI — No!

FINACHE — Al di là, abbiamo solo il delirium tremens!

TUTTI (considerando Poche con commiserazione) — Oh! (Poche, seccatissimo, si è tolto il cappello, con cui dà un gran colpo sul tavolo).

TUTTI (di soprassalto) — Ah!

RAIMONDA — E’ assurdo! Vittorio Emanuele pren­de un bicchierino dopo i pasti, nient’altro!

TOURNEL — E spesso lo lascia a metà.

ETIENNE — E’ vero. Per non sprecarlo lo bevo io.

LUCIANA — Un bicchierino dopo i pasti non può certo...

FINACHE — Sì, invece! Qualche volta basta... L’al­coolismo non è una questione di quantità, ma di idiosincrasia.

TOURNEL — Ah, ecco!

TUTTI (eccetto Tournel) — Di che cosa?

FINACHE — Di idiosincrasia.

TOURNEL — Si capisce. (a Finache, soddisfatto della sua superiorità) Non sanno... (uscendo dai ran­ghi e volgendo le spalle al pubblico) L’idiosincrasia è la disposizione più o meno grande che ha un in­dividuo a... a diventare idiota.

FINACHE (che aveva approvato con dei cenni del capo, bruscamente) — Eh? Ma no, no!

TOURNEL (stupito) — Ah, no?... Io credevo... (ri­prende il suo posto).

FINACHE — L’idiosincrasia è il modo che ha ogni individuo di soffrire gli effetti di una certa cosa. Per esempio, un tale beve un litro di liquori al gior­no e non ne risente, mentre un altro beve appena un bicchierino e diventa alcoolizzato.

POCHE (che da un momento li osservava, si china bruscamente; a parte) — Scommetterei la testa che continuano a sfottermi.

FINACHE — E guardate gli effetti!

TUTTI (ben stretti gli uni agli altri, il corpo leg­germente piegato sulle ginocchia, considerando con compassione Poche) — Oh!...

POCHE (dopo una breve pausa) — Dite un po’, te­ste di rape, vi divertite proprio?

TUTTI — Come?

FINACHE — Non parlavamo di voi... Piuttosto, per piacere, volete tendere il braccio?

POCHE (stupito) — Il braccio?

FINACHE (tendendo il braccio in avanti, con la mano rigida e le dita aperte) — Così. Vedete?

POCHE (ubbidendo macchinalmente) — A che co­sa serve? (La sua mano, così tesa, ha un tremito caratteristico).

RAIMONDA — Come trema!

TUTTI Oh!

FINACHE (tenendogli l’avambraccio) — Vedete ?... Lo vedete, il tremito degli alcolizzati? E’ uno dei sintomi più caratteristici.

POCHE (con un balzo, incollerito) — Ahaha! Ahaha!

TUTTI (sobbalzando per la paura) — Ah!

POCHE (cammina pestando i piedi per terra e passa tra Finache e Raimonda) — Ora basta !... Ora ba­sta!... Ora basta!

TUTTI (allontanandosi precipitosamente) — Ah, mio Dio!

FINACHE (tentando di calmarlo) — Su, su... Cosa c’è, vecchio mio?

POCHE (a Raimonda) — Volete che mi arrabbi, ve­ro? (a Finache) Volete che mi arrabbi, accidenti!

TUTTI — Ma no! Ma no!

RAIMONDA — Amico mio, caro, calmati, ti prego.

POCHE (rivoltandosi verso Raimonda, in pieno vi­so) — Basta voi! Non rompetemi più le scatole, mon­do fottuto!

RAIMONDA (con un balzo indietro) — Eh? Che co­sa ha detto?

FINACHE (parlando la accompagna verso il fondo: gli altri seguono il movimento dall’estrema sinistra) —Niente, niente!... Non fate caso... in certi momen­ti un uomo perde il controllo... Su, andate di là... Non irritatelo.

RAIMONDA (sul fondo) — Dottore, quel che è trop­po è troppo !... Per quanto alcolizzato... dirmi mon­do fo... come ha detto?

FINACHE (spingendo tutti verso la porta di sini­stra) — E’ sovreccitato... Lasciatemi solo con Etien­ne. Tenteremo di farlo coricare. (Escono: Etienne, che quando tutti si avviavano verso il fondo era in testa al gruppo, è ora sul fon­do, a destra della porta di centro).

FINACHE (ridiscendendo verso Poche, che conti­nua a passeggiare nervosamente) — Su su, ami­co mio!

POCHE — Ah! avete avuto una buona idea a farli uscire, perchè si metteva male!

FINACHE — Si capisce! Me ne ero accorto.

POCHE — Ma che gente è, dico io? (Si tocca la testa) Gli manca qualche rotellina?

ETIENNE — Sì, sì, qualche rotellina.

POCHE — Eh, ma allora dovevate farmi un segno! Bastava che mi diceste, sottovoce:  “Sono un po’ toccatini”! (A Finache, che ha approfittato del fat­to che Poche tendeva il braccio per afferrargli il pol­so, allo scopo di sentirne i battiti) Perchè mi pren­dete la mano?

FINACHE (tirando fuori l’orologio con la mano de­stra rimasta libera) — Niente, niente! Così, per ami­cizia.

POCHE (con noncuranza) — Ah! (riprendendo il suo discorso) Ionon mi sarei arrabbiato !... (ridendo) So bene come ci si comporta: con i matti, bisogna sempre dire quello che dicono loro.

FINACHE (rimettendo l’orologio in tasca) — E’ cu­rioso. Avete un polso debolissimo.

POCHE — Che cosa?

FINACHE — Dicevo che avete... (a Etienne) Ha un polso debolissimo.

POCHE (gioviale) — Eh, lo credo! Non sono Erco­le! (Con una grossa risata soddisfatto, raggiunge la destra).

FINACHE (ridendo per compiacenza) — Aha! Molto spiritoso! Aha! (Sottovoce a Etienne, dandogli una manata su un braccio) Ridete anche voi!

ETIENNE — Io? Va bene. (Ridendo senza convin­zione) Ah ah! Ah, ah!

POCHE (indicando Etienne) — L’ho fatto ridere, eh!

FINACHE (passando a destra) — Sì, sì! Eccome! (Ridiventando serio) Bene, ora che abbiamo fatto le nostre belle risate, dobbiamo essere ragionevoli.

POCHE — Come?

FINACHE — Vi spiego. Io sono un amico... (su un tono che non ammette dubbi) Voi mi conoscete.

POCHE — No!

FINACHE (un po’ interdetto) — Ah, se è così... be­ne, bene. Io sono il dottore, il buon dottore. Sono quello che guarisce!... Malati!... Bua!... Tisane!... Die­ta!... Sono il buon dottorino!

POCHE — Eh, ho capito! Non sono stupido. Voi siete un dottore.

FINACHE — Bravo!

POCHE (a parte) — Perchè fa l’idiota a ’sto modo?

FINACHE (con un’aria profonda) — Ebbene, io sen­to... mi basta guardarvi... che siete molto stanco.

POCHE (sorpreso) — Io?

FINACHE — Sì, sì! Voi siete stanco!... (a Etienne) E’ stanco.

ETIENNE (abbondando nel senso voluto) — E’ stan­chissimo.

POCHE — Beh, lo credo che sono stanco! Baste­rebbe anche meno!... Mi sono alzato alle cinque, ho spazzato tutto l’albergo, ho dato la cera, ho traspor­tato la legna...

FINACHE — Si capisce, si capisce!

ETIENNE — Si capisce!

ETIENNE e FINACHE (scambiandosi una sguardo ac­corato e scotendo il capo) — Oh!

FINACHE — Bene, sapete cosa si fa adesso? Vi spo­gliate subito subito e vi coricate!

POCHE — Io? Ma niente affatto!

FINACHE (sempre accomodante) — Come preferite voi. Mavolete almeno togliervi questa giacca che vi è tanto scomoda e mettervi una vestaglia... una ve­staglia morbida morbida?

POCHE — Va bene... Però, la mia livrea?

FINACHE — L’avrete! Certo !... Ma finchè aspetta­te... (fa segno a Etienne) Etienne!

ETIENNE — Sì, signor dottore. (Risale, fa il giro della tavola e entra nella camera di destra).

FINACHE (approfitta del fatto che Poche è voltato in direzione della camera di destra per incollarsi, petto contro schiena, a lui; mette la mano sinistra sulla sua spalla, l’avambraccio destro teso al disotto della spalla destra di Poche, in modo da indicargli la camera in questione) — Ecco qua! E adesso... (par­lando, imprime al proprio corpo, e per conseguenza a quello di Poche, un movimento di va e vieni). In quella camera c’è un ottimo letto...

POCHE — Chissà perchè fa la pompa, ora?

FINACHE — ... voi vi ci coricherete...

POCHE — Mi fa venire il mal di mare.

FINACHE — ... e vi farete una bella nannina!

POCHE (voltandosi) — Io? Ma no! Non pensateci nemmeno! E il signor Chandebise?

FINACHE (a parte, alzando le braccia al cielo) —Dio mio! (a Poche) State tranquillo. Se vi rimpro­verasse sono qua io.

POCHE (conciliante) — Va bene.

ETIENNE (portando la vestaglia) — Ecco la vesta­glia!

FINACHE — Benissimo.

POCHE (lasciando che Etienne e Finache gli tol­gano la giacca) — Non faccio per dire, ma voi fate di me quello che volete.

FINACHE — Siete una pasta di ragazzo. (Gli infila­no la vestaglia) Eh?... Dite un po’ che non ci state bene?

POCHE (annodandosi la cintura) — Oh! Sembro almeno il cocchiere di un lord!

FINACHE (mentre Etienne va a posare la giacca sulla sedia a destra del tavolo) — Eccovi a posto!

POCHE — E’ più morbida della livrea!

FINACHE — Ma certo! Ah! E ora, un uccellino mi ha detto in un orecchio che avete un po’ di sete.

POCHE (gioviale) — E’ in gamba il vostro uccel­lino!

FINACHE (ridendo) — Vero?... vi faccio portar su­bito qualcosa da bere... Forse non vi sembrerà molto buono, ma dovete buttarlo giù lo stesso.

POCHE — Ah! Roba forte, eh?

FINACHE — Eh. Abbastanza, abbastanza.

POCHE (spostandosi a destra) — Date qua, senza paura! Io butto giù qualsiasi cosa.

FINACHE — Benone! (Sottovoce a Etienne, che, do­po aver posato la giacca, si era riavvicinato) Avete dell’ammoniaca?

ETIENNE — Sì, signore.

POCHE (che non sente ciò che i due dicono) — Che manna! Che gente! (Va a sedersi a sinistra del ta­volo).

FINACHE — Bisogna prepararne dieci gocce in un bicchier d’acqua.

ETIENNE — Bene, signore.

FINACHE — Quando poi la sbornia gli sarà pas­sata, gli darete... (passando davanti a Etienne) A­spettate, vi preparo una ricetta.

ETIENNE (seguendolo) — Sì, signore.

FINACHE (spostandosi a destra) — Il necessario per scrivere?

ETIENNE (indicando lo scrittoio che è davanti al­la finestra) — In quel mobiletto, signore.

FINACHE (dirigendosi verso il mobile indicato) —Grazie. E ora portatelo a letto.

ETIENNE — Va bene, signor dottore. (Affettuosissi­mo, a Poche) Coraggio, signore. Se il signore vuole accomodarsi? Il signore può appoggiarsi al mio braccio.

POCHE (commosso, si alza e si appoggia al braccio di Etienne) — Siete proprio un uomo di buon cuore.

ETIENNE (accompagnandolo verso la camera di de­stra) — Il signore mi onora...

POCHE — Ma figuratevi... Vi assicuro che mi di­spiace moltissimo che siate cornuto.

ETIENNE — Io?

POCHE — Perbacco! Me l’avete detto voi!

ETIENNE (facendo passare Poche per primo) — Ah, ma non lo sono più! Mia moglie era andata a pren­dere il suo pasto dal portiere!

POCHE (uscendo) — Beh, se non ha preso che questo! (escono).

(Appena uscito di scena l’attore si toglierà l’a­bito di Poche (calzoni e gilet) per la sua trasfor­mazione in Chandebise, che non avrebbe il tempo di effettuare dopo la prossima scena. Tolti i calzo­ni e il gilet si infilerà la giacca della livrea, vi rimet­terà sopra la vestaglia e si rimetterà la sciarpa in­torno al collo. Essendo il colore dei calzoni di Chan­debise non vistoso l’attenzione del pubblico non sarà attirata da quel poco che ne vedrà).

FINACHE (durante le ultime battute, si è preso lo scrittoio, lo ha aperto davanti al divano. Egli è di faccia al pubblico, e per conseguenza oltre lo scrit­toio e il divano) — Accidenti che profumo! Ah, è questa carta! (Ciò dicendo, si porta al naso il fo­glio di carta color malva sul quale, al primo atto, Lu­ciana aveva steso il suo primo tentativo di lettera. Quando Finache annusa il foglio, la parte scritta è visibile al pubblico) C’è da cader stecchiti. (Rimette il foglio in mezzo agli altri, poi, facendo  il giro del mobile, va a sedersi con le spalle al pubblico sul divano, e si dispone a scrivere. Nel momento in cui siede, si sente sbattere la porta d’ingresso). Questa èla porta d’ingresso... Deve essere Camillo. (Camillo difatti entra nella hall).

CAMILLO (scorgendo Finache, ancora tutto affannato) — Voi !... Ah, dottore, ricorderò a lungo il vo­stro albergo! Sono accadute cose... cose!... Ah, se ne sono accadute!

FINACHE (sempre seduto, senza capire una parola di quel precipitoso discorso) — Come? Come dite?... Non parlate così in fretta!

CAMILLO — Se sapeste cos’è accaduto!

FINACHE — Ma perchè non vi mettete il vostro pa­lato? Valeva la pena che ve lo portassi!

CAMILLO — L’ho perduto, il mio palato!

FINACHE — Eh?

CAMILLO — Lo ha spedito a passeggio un inglese affibbiandomi un pugno nella mascella. (Aiuta la parola con la mimica dando un pugno in aria).

FINACHE (che stenta a capirlo) — Un inglese vi ha dato un pugno?

CAMILLO — Sì!... E magari non avessi avuto al­tro!... Oggi mi sembra di aver vissuto in un incubo! Chi non ho incontrato in quell’albergo?... Tutti, tut­ti!... E Tournel!... E Raimonda!... E Chandebise... con una gerla di legna sulla schiena !... Perchè una gerla, io domando? E poi la signora Homenidès, e suo ma­rito che andava a caccia con la pistola! Pan! Pan! Ma se vi dico che ho avuto tutto, tutto! Ah, che tra­gedia! Mio Dio! Che tragedia! (Si lascia cadere sul­la sedia a sinistra del tavolo di destra).

ANTONIETTA (arrivando da sinistra) — La signora mi manda dal signor dottore per sapere come sta il

signore.

FINACHE — Il signore? Meglio! Dite alla signora che sta meglio... (Alzandosi). Anzi, no: vado io stes­so da lei.

CAMILLO — Ma che cosa c’è?

FINACHE (avviandosi verso il fondo) — Niente! Chandebise sta poco bene.

CAMILLO (scuotendo il capo) — Ah.

ETIENNE (uscendo dalla camera di Chandebise) —Il signore è a letto. (Risale all’estrema destra).

FINACHE — Perfetto!

ETIENNE (passando e prendendo dal tavolo il cap­pello che vi aveva lasciato Poche) — Buona sera, signor Camillo.

CAMILLO — Buona sera, Etienne.

FINACHE (dal fondo, accanto a Antonietta) — Su, Etienne, andate a preparare l’acqua e ammoniaca.

ETIENNE — Subito, signor dottore. (Etienne esce dalla porta di fondo di cui lascia i due battenti a­perti. Finache e Antonietta escono dal fondo a sini­stra).

CAMILLO — Mio Dio! Mio Dio! Sono abbrutito! Totalmente abbrutito! (Si alza e scende; a parte) Mi faccio l’effetto di una piccola piuma... di una povera piccola piuma in balia di un ciclone! (Bus­sano a destra, in primo piano: sullo stesso tono) Avanti... Perderò la ragione, è certo!

POCHE (entra, sempre avvolto nella vestaglia) —Vi chiedo scusa...

CAMILLO (sobbalzando) — Vittorio Emanuele!

POCHE (per scherzare affetta un tono severo) —Ehè! Questo signore, io l’ho visto oggi al Micio In­namorato!

CAMILLO (a parte, credendo a una ramanzina) —Accidenti!

POCHE — Abitano tutti qui!

CAMILLO (a parte) — Mi aveva riconosciuto! (an­dando da Poche e piantandoglisi ben di fronte) De­vo spiegarti !... Io ero... in quel posto... perchè ave­vo un motivo... un eccellente motivo!... Avevo sen­tito dire che c’era una persona...

POCHE (che dal momento in cui Camillo gli ha rivolto la parola, lo ascolta sbalordito e a bocca a­perta, si abbassa leggermente, con discrezione, per tentar di vedere quello che succede dentro la bocca del suo interlocutore) — Che diavolo ha in quella bocca?

CAMILLO (interdetto) — Come?

POCHE — Sputa, vecchio mio, sputa!

CAMILLO (seccato) — Ma non ho niente nella boc­ca! (riprendendo) No, io ti stavo dicendo che c’era una persona... Ehm era... era per una assicurazione...

POCHE (interrompendolo) — Per esser franco, io me ne infischio!

CAMILLO (interdetto) — Ah.

POCHE — Tutta roba che non mi riguarda! Solo, sto crepando di sete. Mi avevano detto che mi avreb­bero portato da bere, ma credo che si siano di­menticati...

CAMILLO — Ma chi? (pronuncia: ha hi).

POCHE (ripetendo, come chi non capisce) — Ha hi?

CAMILLO (più forte articolando il meglio possibi­le) — Ma chi? (stessa pronuncia).

POCHE — Ah! Ma chi?... Voi dite “ ha hi “!... In­tendevo il dottore.

CAMILLO (zelante) — Oh, è certo una dimentican­za. Ora vado io...

POCHE — Grazie! Ho la pipita, capite, una vera pi­pita.

CAMILLO — Ma è naturale! Corro!

POCHE — Grazie! (Ritorna nella camera di destra e chiude la porta alle sue spalle. Appena uscito di scena, getta via la vestaglia e le ciabatte; con due colpi di pettine, correndo, aggiusta la sua pettina­tura; passando, mette il berretto che gli porgono, poi, facendo un giro dietro il vestibolo, lo si deve veder arrivare dalla sinistra dell’anticamera. L’atto­re deve comparire in scena appena è pronto senza aspettare la fine del monologo di Camillo, che è fatto solo per dare il tempo della trasformazione).

CAMILLO (davanti al tavolo) — Ah, ah! Benone! Pensare che avevo paura di essere sgridato !... Inve­ce l’ha presa benissimo! Chi l’avrebbe mai detto? Io lo credevo di idee strette... le ha larghissime. (Si sente il rumore della porta di ingresso che si apre e si richiude, e, dalla porta di fondo lasciata spa­lancata da Etienne, si scorge Chandebise che arri­va da sinistra e sta rimettendo il suo mazzo di chia­vi in tasca).

CAMILLO (vedendo Chandebise un attimo dopo aver visto Poche entrare nella camera, lancia un gri­do pazzo) — Ah!

CHANDEBISE (che era entrato francamente in sce­na, al grido di Camillo) — Cosa c’è?

CAMILLO (spaventato, non sapendo più dove batte­re il capo, indica successivamente col dito Chande­bise e la porta di destra in primo piano) — Ah, Dio, Dio! Qui, qui!... E là là!

CHANDEBISE (oltre e a sinistra del tavolo) — Ma cosa succede?

CAMILLO (smarrito, urtando nel tavolo, urtando nelle sedie) — Mio Dio! Divento pazzo! Io sono pazzo!

CHANDEBISE (facendo qualche passo verso di lui) — Andiamo, Camillo!

CAMILLO — Vade retro! Sono pazzo! Sono pazzo! (Scompare dalla porta di fondo destra).

CHANDEBISE (abbrutito da questa accoglienza) —Perbacco! Sta dando i numeri!... Ma che cosa c’è nell’aria oggi? Ah, quell’albergo! Che incubo! Che incubo! (Vedendo la sua giacca sulla sedia a de­stra del tavolo) Guarda, la mia giacca?... Chi l’avrà riportata qui? Comunque, mi pare di aver tenuto fin troppo questa livrea. (Parlando, si toglie la giacca della livrea che posa sul tavolo, come il berretto, e indossa la sua giacca). Pensare che son dovuto rien­trare a casa in questa tenuta.

CAMILLO (attraversando come un pazzo il vestibo­lo da destra a sinistra e aggrappandosi a Etienne che arriva in senso inverso) — Etienne! Sono pazzo! Sono pazzo! (Lo lascia e sparisce a sinistra conti­nuando a gridare «sono pazzo »; Etienne rimane co­me abbrutito).

CHANDEBISE — Evviva. Non ha ancora finito.

ETIENNE (avanzando) — Che cos’ha il signor Ca­millo?

CHANDEBISE - E’ quello che mi domando io, E­tienne!

ETIENNE (sentendosi chiamare col suo nome) —Ah! Il signore mi riconosce?

CHANDEBISE — Come, vi riconosco? Scherzate? Perchè non dovrei riconoscervi?

ETIENNE (prontamente) — Ehm. Non so, signore, non so. (In questo momento irrompe in scena Ca­millo, proveniente da sinistra, seguito da Finache, Raimonda, Tournel e Luciana).

CAMILLO — Vi dico che sono due! Sono due! Qui e là.

TUTTI — Ma come? Cosa?

CAMILLO (scappando dal fondo) — Divento pazzo, mio Dio, divento pazzo! (Sparisce per la destra del vestibolo).

TUTTI — Ma che cos’ha?

RAIMONDA (andando verso il marito) — Siamo noi caro... Veniamo per sapere...

CHANDEBISE (vedendo Raimonda, sobbalza) — Voi? Voi qui signora? (Scorgendo Tournel che avanza lungo il lato destra del divano). E Tournel è con voi!

RAIMONDA e TOURNEL (insieme) — Cosa?

CHANDEBISE (è saltato al collo di Tournel, lo ha fatto piroettare intorno a lui e lo spinge così, mar­ciando su di lui e scuotendolo, fino al lato destro della scena) — Che cosa facevi, tu? Che cosa face­vate quando vi ho sorpresi tutti e due, in quell’al­bergo equivoco?

TUTTI — Oh!

RAIMONDA — Ci risiamo!

TOURNEL (sempre nella stretta di Chandebise) —Amico caro, te l’abbiamo spiegato cento volte!

CHANDEBISE (sempre spingendolo e facendolo così andare fino sul fondo passando alla destra del tavolo) — Mi avete spiegato che cosa?... Che cosa? Oh, basta! Credete proprio di potermi prendere in giro ancora per molto?... Fuori dai piedi! (Tutti, istinti­vamente, hanno seguito il movimento, ma dal fondo, e si trovano così a sinistra del tavolo).

RAIMONDA — Senti, caro...

CHANDEBISE (avanzando minaccioso verso tutti) —Fuori dai piedi!

LUCIANA — Ma, signor Chandebise...

CHANDEBISE — Oh, signora, vi prego! (agli altri) Vi ho detto di andarvene! Non voglio più vedervi. (Misura a grandi passi la scena, esasperato).

FINACHE (esortandoli a rientrare nella camera di fondo a sinistra) — Uscite di qui! Andate! Non ir­ritatelo, è in piena crisi. Ritornerete appena si sarà calmato.

RAIMONDA (lasciandosi accompagnare fuori) — Oh, con questa crisi! Con questa crisi! Io comincio ad averne abbastanza! (esce seguita da Luciana).

FINACHE — Su, su! (a Tournel) Tournel, vi prego.

TOURNEL (andandosene dietro agli altri) — In fin dei conti è stupido! Cambia idea ogni due minuti. (Etienne esce dal fondo e chiude i due battenti del­la porta).

FINACHE (quando tutti sono usciti, andando ver­so Chandebise) — E allora, mio buon Chandebise, che cosa c’è?

CHANDEBISE (davanti al tavolo di destra) — Vi prego di scusairmi, caro Finache. Ho ceduto a un impeto di collera.

FINACHE — Per carità! Uno sfogo fa sempre bene.

CHANDEBISE (ancora nervoso) — Ora comincio a calmarmi.

FINACHE — Ma certo !... Del resto possiamo già no­tare un sensibile miglioramento. Cominciate a rico­noscere le persone... a sapere chi siete...

CHANDEBISE (lo guarda sbalordito) — Cosa?

FINACHE — Va meglio! Va meglio!

CHANDEBISE — Cosa significa che comincio a ri­conoscere le persone, a sapere chi sono... Ah, per­bacco! Vi ci mettete anche voi?

FINACHE — Come?

CHANDEBISE — Ma non irritatemi! Forse ho dav­vero l’abitudine di non riconoscere le persone e di non sapere chi sono?

FINACHE — Non intendevo dir questo. Io...

CHANDEBISE — Mi sono lasciato trascinare da impeto di collera, ma ho sempre l’uso della ragio­ne, sapete.

FINACHE (pronto, per non contrariarlo) — Eh, lo vedo! Lo vedo!

CHANDEBISE (soddisfatto) — Ah!

FINACHE — Sì, sì, sì, sì!... Ma con tutto ciò, al posto vostro io sarei rimasto a letto.

CHANDEBISE (stessa meraviglia di poco prima) —Cosa?

FINACHE — Che bisogno avevate di mettervi la giacca?

CHANDEBISE — Ah, bravo! L’ho rimessa perchè non avevo più voglia di passeggiare vestito da ca­meriere! (Parlando, risale lungo la destra del ta­volo).

FINACHE — Da cam... (alzando gli occhi al cielo) da cameriere! Oh!

CHANDEBISE — Credete che sia divertente sem­brare uno sguattero?

FINACHE (a parte) — Ohi, ohi, ohi, ohi!

CHANDEBISE (ridiscendendo dalla sinistra del ta­volo) — Sì, mio caro, in livrea! Io! Con una livrea!

FINACHE (a parte) — Ecco l’idea fissa!

CHANDEBISE — Ah, vi assicuro che tutto quel che poteva capitarmi mi è capitato, nel vostro albergo del Micio!

FINACHE — Ma allora ci siete stato?

CHANDEBISE — Lo credo!

FINACHE — Non dovevate andarci.

CHANDEBISE (pronto) — E invece ci sono stato!... Quante peripezie, Dio santo! Botte da una parte! Botte dall’altra!... Il padrone matto!... Mi mettono addosso una livrea e mi chiudono in una stanza!... Costretto a scappare attraverso i tetti, per poco non mi rompo il collo!... E come se non bastasse, Home­nidès! Ho-mee-ni-dès! Tutto! Vi giuro che ho avuto tutto!

FINACHE (a parte, smarrito) — Com’è malato, mio Dio! Com’è malato!

CHANDEBISE — Oh, me ne ricorderò! (Si sposta a destra).

ETIENNE (portando un bicchiere pieno d’acqua su un piatto, e il flacone di ammoniaca) — Ecco qua.

CHANDEBISE (vedendo Etienne si volta) — Cosa c’è, Etienne?

ETIENNE (avanzando verso Finache) – Niente, signore. Il signor dottore mi ha domandato di...

FINACHE — Sono stato io, sì, sì.

CHANDEBISE — Ah, va bene. (Si scosta e va ver­so il fondo lungo l’estrema destra).

FINACHE (a Etienne che gli presenta il piatto) —Grazie. (Prende il flacone di ammoniaca e ne ver­sa qualche goccia nel bicchiere durante le battu­te seguenti).

ETIENNE (sottovoce al dottore) — Il signor dot­tore è contento, eh? (Semiasfissiato dalle esalazio­ni dell’ammoniaca, Etienne termina la sua frase sco­stando il viso dal flacone).

FINACHE (conta le gocce, tenendo il naso a una rispettosa distanza dal flacone). — Una... due... tre.. Io?

ETIENNE (c. s.) — Il padrone sta meglio?

FINACHE (c. s.) — Oh, no. No.

ETIENNE (c.s.) — No?

FINACHE (c. s.) — Proprio no!... Sei... sette...

ETIENNE (c.s.) — Oh!

FINACHE — Siamo al delirio! Al delirio !... Otto... nove.., dieci...

CHANDEBISE (che torna ad avanzare a sinistra del tavolo) — State poco bene, dottore?

FINACHE — No, no! (Gli si avvicina, agitando con la mano destra, piano e con un movimento in circolo, il bicchiere che contiene la mistura per mescolarla bene; tutta questo a una certa distanza dal proprio naso) — Su, bevete questo.

CHANDEBISE — Io?

FINACHE — Sì !... Dopo tutte le emozioni che ave­te avuto, vi rimetterà in gamba.

CHANDEBISE — Se è così, non rifiuto! Confesso che lo scatto di poco fa mi ha turbato. (Prende il bicchiere).

FINACHE — Ero certo che mi avreste detto così. (Smette di agitare la mistura; quando Chandebise si dispone a bere, copre con la mano il bicchiere) Solo, è un po’ forte: buttate giù in un colpo solo!

CHANDEBISE (noncurante) — Oh! (Ne prende una buona sorsata, ma appena si sente il liquido in boc­ca posa precipitosamente il bicchiere sul tavolo e allontanando i due dal suo passaggio, si slancio come un pazzo verso la finestra).

FINACHE (ricorrendolo) — Non è niente! Vi ave­vo avvertito! Buttate giù! Buttate giù!

CHANDEBISE (ha aperto precipitosamente la fine­stra e ha sputato fuori tutto quello che aveva in boc­ca) — Ah!... Puah!

ETIENNE E FINACHE (dispiaciuti) — Oh!

CHANDEBISE (furibondo) — Volevate scherzare? Lo scherzo è di cattivo gusto!

FINACHE — Su, Chandebise!

CHANDEBISE (gli passa davanti respingendolo) —Ma non seccatemi! Che porcheria! (Parlando ha raggiunto il fondo destra).

FINACHE (che lo segue) — Dove andate?

CHANDEBISE — A risciacquarmi la bocca! Cre­dete che avesse un sapore gradevole? (Esce).

ETIENNE — Hanno suonato. (Esce dal fondo).

FINACHE (al di là del tavolo esamina seccato il bicchiere lasciato da Chandebise) — Ha sputato tutto. Abbiamo faticato per niente.

VOCE DI FERRAILLON — Il signor Chandebise, per piacere?

VOCE DI ETIENNE — Abita qui, signore.

FINACHE (guardando attraverso la porta che E­tienne ha lasciato semiaperta) — Ma guarda! Fer­raillon!

VOCE DI FERRAILLON — Il signor dottore!

FINACHE — Avanti! (Si porta a sinistra).

FERRAILLON (entra, seguito da Etienne) — Grazie.

FINACHE (sedendosi sul divano) — Siete venuto per farvi assicurare?

FERRAILLON -— No signor dottore. Sono qui per re­stituire un oggetto che è stato trovato nel mio al­bergo e che appartiene al signor Camillo Chande­bise. (Tiro fuori dal taschino il palato di Camillo).

ETIENNE (che è vicino a Ferraillon) — Ma l’ho trovato io!

FERRAILLON — Ah? (Salutando) Signore.

ETIENNE (presentandosi) — Etienne! Cameriere personale del signor Chandebise.

FERRAILLON (raffreddandosi) — Fortunato.

FINACHE (che da un momento strizza gli occhi per vedere l’oggetto che ha in mano Ferraillon) —Fatemi vedere! (Ferraillon gli dà il palato) Ma sì! E’ il palato di Camillo! Come ha fatto a perderlo?...E voi, come avete potuto sapere che era suo?

FERRAILLON — Eh, c’è inciso nome e indirizzo.

FINACHE — E’ vero! « Camillo Chandebise, 95Boulevard Malesherbes »! Intelligente!

FERRAILLON — E comodo. Sostituisce benissimo i biglietti da visita. (Finge di porgere un biglietto).

FINACHE — Camillo sarà contentissimo. Vado a portarglielo.

ANTONIETTA (compare dal fondo, affannata) — Si­gnor dottore! Signor dottore! Il signor Camillo, non so cos’abbia, l’ho trovato nel bagno, completamente nudo, che si faceva una doccia!

FINACHE — Continuiamo con le novità!

FERRAILLON — Una doccia a quest’ora!

FINACHE — Cose da matti! (a Ferraillon) Ecco chi è il vostro signor Camillo! Voi volete vederlo e lui si fa una doccia. E’ incredibile! (Si avvia ver­so il fondo; a Antonietta) Dov’è il bagno?

ANTONIETTA (indicando la destra del vestibolo) —Di qui, signor dottore.

FINACHE (esce, seguito da Antonietta) — Ma che cos’hanno, tutti quanti? Che cos’hanno?

FERRAILLON (che, usciti Finache e Antonietta, si trova a sinistra della porta di fondo mentre Etien­ne è sulla destra, avanza parlando in direzione del tavolo di destra) — Che idea, farsi la doccia a que­st’ora! (Il suo sguardo cade sulla livrea e sul ber­retto che aveva posato Chandebise) Perbacco! Ma quella è la livrea di Poche! (La prende) E il suo berretto!... Questa è grossa!... Come mai questa ro­ba si trova qui?... ( A Etienne che avanza anche lui) Il mio cameriere è stato qui?

ETIENNE — Il vostro cameriere? No! Perchè a­vrebbe dovuto venire da noi?

FERRAILLON — E allora?

CHANDEBISE (arriva dalla porta in fondo a de­stra e avanza francamente lungo l’estrema destra) Che sapore orribile!

FERRAILLON (vedendo Chandebise, sobbalza) —Eh! Poche! Poche qui! (Si slancio per acchiap­parlo).

CHANDEBISE (spaventatissimo) — Il pazzo! Il paz­zo in casa mia! (Tenta di scappare evitando di far­si acchiappare da Ferraillon; i due personaggi, così, vanno e vengono al di là e al di qua del tavolo che li separa).

FERRAILLON — Ah, bestione! Che cosa fai qui? (Riesce ad acchiapparlo).

CHANDEBISE — Ah, là, là! Ah! Là, là!

FERRAILLON (facendo piroettare Chandebise) —Ora si porta a spasso la mia livrea fuori di casa, eh!

CHANDEBISE — Ah, là, là!

ETIENNE (interponendosi e tentando di dividerli)—                Ma signore!... Che cosa fate?...

FERRAILLON (a Etienne, continuando a lottare con Chandebise) — Voi toglietevi dai piedi!

CHANDEBISE (riuscendo, grazie all’intervento di Etienne, a liberarsi) — Ah, là, là! Ah, là, là! Tene­telo! (Scappa, smarritissimo).

FERRAILLON (lottando ora con Etienne) — Lascia­temi! (Lo manda, con uno strattone, lontano).

ETIENNE (tornando alla carica) — Ma è il signor Chandebise! Il mio padrone! (Si sente la porta del vestibolo sbattere violentemente).

FERRAILLON (respingendo Etienne) — Ma che pa­drone! E’ il mio cameriere!... Lo conosco bene! (Esce correndo e portandosi via la livrea e il ber­retto di Poche).

ETIENNE (correndogli dietro) — Ma no! Ma no!

CHANDEBISE (si arrischia a far capolino dalla por­ta di sinistra; angosciatissimo) — Se... se n’è anda­to? (Si sposta verso il proscenio a sinistra) — Che buona idea ho avuto di far sbattere la porta! Lui ha creduto che filassi via dalla scala e si è lancia­to a inseguirmi! (Sospirando) Finalmente! Se n’è andato! (in questo momento si sente un confuso rumore di voci provenienti dall’anticamera).

VOCE DI ETIENNE — Ma signore! Signore!

VOCE DI HOMENIDES — Yo entrerò — hablo chia­ro? Yo entrerò!

CHANDEBISE — Che succede? (sotto una spinta dall’esterno, la porta di fondo si apre bruscamente).

HOMENIDES (con un astuccio da pistole sotto il braccio) — Ah! Lui! (Etienne, rinunciando a intro­mettersi, si ritira).

CHANDEBISE (accerchiato nel suo angolo) — Ho­menidès! (Fa per scappare).

HOMENIDES (avanza su di lui, e, con tono che non ammette replica) — Fermatevi!

CHANDEBISE (miserevolissimo) — Amico mio...

HOMENIDES (fulminandolo con uno sguardo) —Non c’è più d’amigos! (Posa con un gesto secco il suo astuccio per pistole sulla sedia che è a destra del tavolinetto davanti al divano, poi) — Aha! Voi ve la siete escapato, poco fa!... Ma yo ve ritrovo!... E si no fosse por quelli qui me hanno arrestato e portato dal... commissionario de polizia, yo ve a­vrei insegnato que cossa es una pistola. Ma il com­missionario me ha confisquato il mio buldog e ha fatto que yo ho promisso, por ottenire la libertà, que yo no me servirò più del buldog!... (Con un sospiro di rimpianto) Yo loho promisso!

CHÀNDEBISE (rassicurato) — Sì?... bravo, «com­missionario »!

HOMENIDES — E così... (aprendo il suo astuccio) Yo hoportato delle pistoline.

CHANDEBISE (facendo un salto indietro) Eh?

HOMENIDES (rassicurandolo col gesto) Oh! No avete timore! Sì, sì, delle piccole pistole. Pistoline! Ma yo no voglio suicidarvi. Yo no l’ho potuto fare al momento, — como dite voi? — della «flagrante delitto »...

CHANDEBISE (sempre meno rassicurato) — Sì, sì... ho capito.

HOMENIDES — Adesso, esto sarebbe... on assassi­nio! Yo no lo voglio!

CHANDEBISE (avvicinandosi, un po’ più rassicu­rato) — Ah! E’ quello che dico io!

HOMENIDES — Ecco due pistoline; una es carica, l’altra no lo è.

CHANDEBISE (molto interessato) — Bene. Io prefe­risco la prima.

HOMENIDES (emettendo un ruggito che fa fare un balzo indietro a Chandebise) — Belepp! (Si calma subito e va a prendere un pezzo di gesso nella scatiola) Yoprendo del gesso e yo faccio un cerchio nel vostro coraçon. (Disegna rapidamente un cer­chio sul lato sinistro del petto di Chandebise).

CHANDEBISE — Ma che cosa fate? (Cerca di can­cellare il cerchio con la mano).

HOMENIDES (disegnando anche sul proprio petto un cerchio uguale) — Yo me faccio la istessa cossa.

CHANDEBISE (a parte) — Era un sarto!

HOMENIDES (ha posato il gesso e ha ripreso le sue pistole) — Si prende la pistolina, e ognuno mette la canna en el cerchio dell’altro... Pan! Pan !... Qui ha la balla, quello es lo muerto.

CHANDEBISE — Ah!... E l’altro?

HOMENIDES (fa un balzo e ruggisce in un modo che fa trasalire Chandebise) — Belepp! (Calmissi­mo e cortese) Esto è el duello de noialtri!

CHANDEBISE (che gusta poco questo genere di com­battimento) — Vedo, vedo.

HOMENIDES (molto amabile, presentandogli dalla parte del calcio le due pistole, tenute in una mano) —               Su! Toma una pistolina.

CHANDEBISE — Cosa?

HOMENIDES (insiste più imperioso) — Yo ve ho detto de prendere una pistolina.

CHANDEBISE (gli passa davanti facendo un lar­go giro) — Grazie tante! Ma non prendo niente fuori pasto.

HOMENIDES (feroce) — Prendete!... Oppure yo fac­cio l’assassinio!

CHANDEBISE (vedendo che l’altro non scherza) —Ma parlavate sul serio? Ah, mio Dio!... Aiuto!... Aiuto!... (Se la batte come un coniglio verso la por­ta di fondo, dalla quale esce).

HOMENIDES (Si precipita ad inseguirlo.) — Chan­debisse!... Yo te ordino!... Yo voglio!... (esce).

VOCE DI CHANDEBISE (dalla quinta di sinistra) —Aiuto! Aiuto!

VOCE DI HOMENIDES (che si dirige dal lato dal quale proviene la voce di Chandebise) — Ora ve­drai! Ora vedrai!

VOCE DI CHANDEBISE (dalla quinta di sinistra) —Aiuto! Aiuto! (affannato, ricompare dalla porta di fondo sinistra, attraversa la scena come una frec­cia e si precipita nella camera in primo piano a destra. Appena entrato lo si sente gridare fortissi­mo) Ah! (subito ricompare ancora più spaventato) Ah! Io!... Io! Io sono coricato di là, nel mio letto! La casa è stregata! E’ stregata!

VOCE DI HOMENIDES — Dov’è il misserabile? (In questo momento il direttore di scena deve tro­varsi in prossimità del fondo. Da quando l’interpre­te di Chandebise esce di scena, si sostituisce a lui per continuare a gridare «aiuto », prima dirigendosi esteriormente verso la porta di fondo destra, che egli tiene chiusa finchè Homenides la scuote, poi correndo gridando verso la porta di fondo sinistra, che terrà ugualmente chiusa per resistere a Home­nides. Durante questo gioco di scena fatto per trar­re in inganno il pubblico, che crederà Chandebise all’estrema sinistra, l’attore avrà indossato pronta­mente la vestaglia e si sarà messo la sciarpa di Po­che, pronto così a entrare dalla parte indicata).

CHANDEBISE (riconoscendo la voce) — Oh! (si precipita verso la porta di fondo, che si chiude alle spalle).

HOMENIDES (sbucando dal fondo a sinistra, lo ve­de e si lancia verso la porta dalla quale Chandebise è scappato) — Aspetta un momento! (Va a battere il naso contro la porta chiusa col chiavistello, e la scuote invano).

VOCE DI CHANDEBISE (dirigendosi fuori scena ver­so la porta di fondo destra) Aiuto! Aiuto!

HOMENIDES (seguendo la voce si precipita verso la porta di fondo destra, che trova chiusa come l’al­tra) — Apri! Vuoi aprire?

VOCE DI CHANDEBISE (traversando fuori scena da destra a sinistra) — Aiuto! Aiuto!

HOMENIDES (correndo alla porta di fondo sinistra che trova chiusa) — Apri, misserabile, apri! (scuote invano la porta).

POCHE (esce da destra primo piano, avvolto nella sua vestaglia e ancora semiaddormentato) — In que­sta casa non si può proprio dormire!

HOMENIDES (alla vista di Poche, lascia immediata­mente la porta e si slancia su di lui tenendo sem­pre in mano le sue pistole) — Ah, sei aqui! Misse­rabile!... Su, prendi subito le pistoline!

POCHE (con un balzo) — Dio! Il pellerossa!

HOMENIDES (avanzando lungo l’estrema destra) —Yo te ammazzo!

POCHE (battendosela lungo l’estrema sinistra fino sul fondo) — Ma cosa dite?... Ah, mio Dio! Mio Dio! (trova la porta di fondo destra chiusa).

HOMENIDES (alle sue calcagna) — Yote tiengo! Tu no me scapperai!

POCHE (lanciandosi successivamente verso le al­tre due porte del fondo che trova chiuse) — Ah, là, là!... Ah, là, là!... (arriva così alla finestra, che precedentemente Chandebise aveva lasciata aperta, e, non trovando altra via di salvezza): Ah! (e salta nel vuoto).

HOMENIDES (arrivato alla finestra nel momento in cui l’altro la scavalca, non può reprimere un moto di raccapriccio) — Ah, sventurato! Se ammatterà (guarda). No!... Nosi è ammattato! Ah!... Yo lo ammatterò!... (queste due esclamazioni devono con­trapporsi con immediatezza, senza transizione; poi, Homenides si sposta a destra) Oh, sì, yo lo suici­derò! (si passa due dita al colletto, come chi si sen­te salire il sangue alla testa). Yo tiengo sete (scorge sul tavolo di destra il bicchiere lasciato quasi pieno da Chandebise) Ah! (si precipita verso il bicchiere e se lo porta avidamente alle labbra; appena ha pre­so la prima sorsata, posa il bicchiere sul tavolo, poi, non sapendo dove risputarla, si precipita verso la finestra e sputa fuori tutto quanto con disgusto) Ah! Puah! (come se se ne appellasse al cielo) Ma se beve proprio delle porcherie in esta cassa!... Puah! (respira profondamente; in questo momento si trova proprio sopra allo scrittoio lasciato aperto da Fina­che). Que cossa yo sento aqui?... El profumo della lettera !... El profumo de mia moglie !... (prende uno dei fogli, esattamente quello lasciato da Luciana al primo atto) Ah, la carta! La carta qui es la stes­sa!... Ah, e los caratteres, los caratteres de mi mu­jer! (leggendo):  “ Señor, yo ve ho visto l’altra sera al Palays Royal “. Pero! Esta es la copia de la let­tera al marito... que yo l’ho en mi tasca (parlando ha tirato fuori di tasca l’altra lettera e la confronta). Porque? Porque aqui, en la scrittoio de señora Chan­debisse?... Oh, yo voglio saver! Yo savrò (si preci­pita verso la porta di fondo sinistra e vi batte sopra furiosamente con i pugni) Aprite! Aprite!

TOURNEL (comparendo sulla soglia) — Ehi! Ma che c’è?

HOMENIDES (gli salta al collo, e, dopo averlo fatto piroettare intorno a lui) — Ah! El Tournel! Voi adesso me dite subito...

TOURNEL — Accidenti! Il torero!

HOMENLDES — Esta lettera...

TOURNEL — Ma lasciatemi, perbacco!

RAIMONDA (compare dal fondo sinistra e avanza)— Cosa succede?

HOMENIDES (abbandona Tournel dandogli una spinta che gli fa perdere l’equilibrio e marcia di­ritto su Raimonda) — No, voi! Esta lettera que yo ho trovata en le vostre carte.

RAIMONDA (riconosce la lettera; trasale leggermen­te) — Frugate tra le mie carte adesso?

HOMENIDES — La questione non es aqui!... (con ira contenuta) Porque?... Porque los caratteres de mia moglie?

RAIMONDA — Aha!

HOMENIDES — Dunque essa confeziona le sue let­tare d’amore in cassa vostra?

RAIMONDA – In casa mia. Questo dovrebbe bastare a provarvi l’assoluta innocenza di vostra moglie. Vi assicuro che il vostro atteggiamento non ha nessuna ragione.

HOMEDINES -- Como?

RAIMONDA — Come, “ como”! Ma perchè si deve supporre che se tra vostra moglie e mio marito ci fosse un accordo, un intrigo, il mio scrittoio non sarebbe...

TOURNEL (completando il pensiero di Raimonda) —... il posto più adatto.

HOMEDINES — Ma allora, que, que?

RAIMONDA — Eh, que, que! Guardate, c’è vostra moglie: chiedetelo a lei. (avanza a sinistra, oltre il divano).

HOMENIDES (correndo da Luciana) — Ah, señora, voi me direte...

LUCIANA (accennando a voler scappare) — Mio marito!

HOMENIDES (la ferma afferrandola a un polso e la fa avanzare, parlando) — No, ve supplico, rima­nete!... Con una palabra, con una parola, voi me potete tranquillizare !... Esta lettera !... Esta lettera

LUCIANA (stupita, riconoscendo la sua lettera fra le mani del marito) — Eh, ma come...?

HOMENIDES – Yo l’ho trovata!.... Porquè? Porquè?

LUCIANA (guardando Raimonda) — Ma... si tratta di un segreto non mio.

RAIMONDA — Coraggio, Luciana, dagli la chiave di questo rebus affinché possa riposare le sue me­ningi.

HOMENIDES (supplichevole) — Oh, sì!

LUCIANA (a Raimonda) — Vuoi proprio?

RAIMONDA (con indifferenza) — Su!

LUCIANA — E va bene. (a suo marito) Che Otello siete! Ma non avete proprio capito? (a Raimonda, indicando suo marito) Ah!, que tonto! (a Homeni­des) Raimonda dubitava della fedeltà di suo marito.

HOMENIDES (brusco) — Como?

LUCIANA — E allora per avere una prova decise di dargli un appuntamento galante.

HOMENIDES (bollendo di impazienza) — Pero, la carta! La carta!

LUCIANA (andando in collera a sua volta) — Eh, la carta! La carta! Aspetta, accidenti. (ridiventa su­bito calma e, mettendo i puntini sulle i) Se la lettera l’avesse scritta lei, suo marito avrebbe ricono­sciuto la calligrafia.

HOMENIDES (con un barlume di speranza negli oc­chi per quella verità che vede nascere) — Despuès! Despuès!

LUCIANA — E così ha voluto che la scrivessi io.

HOMENIDES (non potendo credere ai propri orec­chi) — No! Es verdad? (a Raimondo) Es verdad?

RAIMONDA (stupita per questa domanda in una lin­gua che non conosce) — Cosa?

HOMENIDES — Es verdad lo que ella dice?

RAIMONDA — Tutto quello che c’è di più verdad! (a parte). Tanto, cosa rischio?

HOMENIDES — Ah, señora, señora! Quando pienso que me metevo tantas ideas en la testina!

RAIMONDA (con delle comiche riverenze) — Oh, ma non c’è di che! Ma figuratevi!

HOMENIDES (a Luciana) — Ah! Que tonto! Tonto soy! (a Tournel, dandosi a mo’ di atto di contrizio­ne un pugno nel petto ad ogni « bruto ») Ah, yo soy un bruto! Un bruto! Un bruto!

TOURNEL (lo scimmiotta dandosi anche lui dei gran colpi nel petto) — Ma è quello che ci sforziamo di dirvi!

HOMENIDES (che ha già smesso di ascoltarlo, a Lu­ciana, con slancio) — Ah, querida! Perdoname, mi tonterias!

LUCIANA — Ti perdono, però non farlo più.

HOMENIDES (spostandosi con lei fino al divano) —Ah, querida mia! Ah, yo te quiero! (si siedono, la mano in mano).

RAIMONDA (indicandoli a Tournel) — Ah! Come si capiscono bene questi spagnoli. (In questo momento la porta di fondo destra si apre, ed entrano Finache, Camillo e Chandebise. Questa entrata deve es­sere rapidissima).

FINACHE (raggiunge dal fondo il centro della sce­na, avendo alle calcagno Camillo) — Ragazzi miei, ragionate.

CAMILLO (in accappatoio da bagno e sempre senza palato) — Vi ripeto che l’ho visto nello stesso istan­te lì e di là (indica l’anticamera e la camera in pri­mo piano a destra).

CHANDEBISE (che è avanzato senza esitare lungo l’estrema destra) — E io mi sono trovato a faccia a faccia con me stesso, in questa camera e coricato nel mio letto!

FINACHE (scettico) — Oh!

HOMENIDES (sempre seduto) — Que? Que?

CHANDEBISE (alla vista di Homenides a un metro da lui, gira su se stesso per battersela) — Home­nides! Ancora qui!

HOMENIDES (fermandolo col gesto) — Su, su, no abbiate timore! Yo adesso sono calmato... Por que adesso yo so que l’autore della lettera... la dama del Palays Royal, non era mi moglie — come me gu­sta — ma la vostra.

CHANDEBISE (a Raimonda) — Come? Tu?

RAIMONDA (che è a sinistra del tavolo) — Ma se te l’abbiamo detto quaranta volte! (sale oltre il ta­volo).

CHANDEBISE — A me?

TOURNEL (a destra del tavolo) — Ma sì! Ogni volta che ci siamo baciati. Poi, abbiamo dovuto ri­cominciare tutto da capo. (Risale lungo l’estrema de­stra e va a raggiungere Raimonda vicino al mobile che è tra le due porte di fondo).

CHANDEBISE — Che cosa dice?

HOMENIDES — E pensare que por esta cossa, yo ve ho defenestrato dalla finestra.

CHANDEBISE — Io?

TUTTI — Dalla finestra?

HOMENIDES — Ah, que emozione yo ho avuto!

CHANDEBISE — Io! Voi avete fatto saltare me dal­la finestra?

HOMENIDES — Naturalmente! Yo vi ho fatto!... Voi uscivate da lì (indica la camera di destra in primo piano) e, hop!, siete saltato!

CHANDEBISE (spostandosi a grandi passi all’estre­mo destra) — Ci siamo! Ci siamo! Anche lui!... Sia­mo tutti in balia della stessa allucinazione!... Quello che voi avete visto saltare dalla finestra e che mi somigliava... è quello che ho visto io nel mio letto!

CAMILLO — E che io ho visto lì e di là.

CHANDEBISE (che è sempre all’estrema destra) —Sicuro! E la prova è che io sono certissimo di non esser saltato mai da questa finestra.

HOMENIDES — Que cossa dite?

FINACHE (prendendosi la testa fra le mani) — Oh, oh, oh!, sento che sto per caderci anch’io. Lo sento!

TOURNEL — E’ un incantesimo !... E’ un incante­simo! (Entra Ferraillon).

FERRAILLON (con la vestaglia di Poche sotto il braccio) .— Domando scusa, signore e signori...

CHANDEBISE — Il pazzo! (spaventato, si precipita sotto il tavolo di destra, cui era vicino).

FINACHE e CAMILLO — Ferraillon!

RAIMONDA — Il padrone del Micio Innamorato

TOURNEL — Il padrone dell’albergo! (queste tre battute, contemporaneamente).

FERRAILLON — ...Domando scusa, ma poco fa, pas­sando per la strada, è mancato poco che ricevessi sulla testa il mio cameriere, il quale saltava, per ragioni che mi sfuggono, da questa finestra...

TUTTI — Eh?

TOURNEL, CAMILLO EHOMENIDES — Era il came­riere!

FERRAILLON — ...e se la batteva portandosi via questo indumento. (mostra la vestaglia).

RAIMONDA (che è avanzata a sinistra del tavolo)—                Ma è di mio marito! (credendo di trovare Chan­debise) E’ tua, questa... Beh? E dove è andato? (chia­mando) Vittorio Emanuele! Vittorio Emanuele! (ri­sale verso il fondo e va a aprire la porta di fondo destra per lanciare il suo ultimo appello).

TUTTI — Vittorio Emanuele! (Elienne va a guar­dare dalla porta in fondo destra, Tourne! da quella in primo piano a destra).

FERRAILLON (scorgendo Chandebise rannicchiato a quattro zampe sotto il tavolo) — Ah!

TUTTI — Cosa c’è?

FERRAILLON — Poche! Di nuovo Poche! (va a prenderlo per il colletto e lo tira fuori dal suo na­scondiglio).

TUTTI — Come, Poche?

CHANDEBISE (uscendo da sotto il tavolo tirato di Ferraillon) — Ah, là, là!... Ah! Ah!

FERRAILLON (facendolo piroettare intorno a sè stes­so a forza di calci nel sedere) — Ah, sporcaccione! Bestiaccia! Maiale!

TUTTI — Ah!

RAIMONDA (interponendosi) — Ma, signore !... E’ mio marito!

FERRAILLON (indietreggiando, sbalordito) — Cosa?

CHANDEBLSE — Ma si! E’ un’idea fissa la vostra, sapete!... (agli altri) Ogni volta che ci incontriamo, mi affibbia un sacco di botte!

FERRAILLON — Questo è vostro marito?

RAIMONDA — Il signor Chandebise, esatto!

FERRAILLON — Non è possibile! Lui! Ma è il ri­tratto preciso di Poche, il mio cameriere!

TUTTI — Poche!

FERRAILLON— Si, quello che poco fa è saltato dalla finestra.

TUTTI (sbalorditi) — Ah!

CHANDEBISE — Ora capisco tutto! L’uomo che ho visto poco fa nel mio letto e che ho scambiato per me stesso, era Poche!

TUTTI — Poche!

RAIMONDA — Ed era quello che abbiamo visto nel­l’albergo con la bottiglia in mano!

TOURNEL — Quello che abbiamo baciato!

TUTTI (bene insieme) — Era Poche!

LUCIANA — Quello che voleva assolutamente por­tarmi dal vinaio!

CAMILLO — E che aveva la gerla sulle spalle!

TUTTI (c. s.) — Era Poche!

CHANDEBISE — Poche! Poche! Sempre Poche! Ah, perbacco, mi dispiace che se ne sia andato tanto presto !... Mi sarebbe piaciuto vedere da vicino il mio sosia.

FERRAILLON — Ma c’è un mezzo semplicissimo, si­gnore! Venite un giorno al Micio Innamorato!

CHANDEBISE — Io, al Micio Innamorato! Ah, no, no, ci sono stato anche troppo!

RAIMONDA (con perfidia) — Neppure per i begli occhi della sconosciuta del Palays Royal?

CHANDEBISE — Hai il coraggio di canzonarmi, anche? Dopo avermi teso quella tua pericolosa trap­pola...

RAIMONDA — Ti domando perdono, ho avuto tor­to. Ma — cosa vuoi? — avevo dei dubbi sulla tua fedeltà.

CANDEBISE — Dio buono! E perchè? Perché?

RAIMONDA — Beh, perchè... Oh, senti, te lo dico... (gli parla all’orecchio).

CHANDEBISE — No! Per così poco?

RAIMONDA — Cosa? Proprio per questo poco.

CHANDEBISE — Oh, beh...

RAIMONDA — Sarà sciocco se vuoi... Ma è bastato a mettermi una pulce nell’orecchio.

CHANDEBISE — Dannata pulce! (come accettando una sfida) E va bene! L’ammazzerò questa sera!

(Tutti lo guardano tra increduli e maliziosi, men­tre cala il

SIPARIO

I diritti dell’adattamento de « La pulce nell’orec­chio » che abbiamo pubblicato, appartengono a Ivo Chiesa - Rivolgersi alla S.I.A.E. di Roma.